Le esperienze di Giovanni Arce

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LE ESPERIENZE

DI GIOVANNI ARCE, FILOSOFO

Commedia in tre atti

di ROSSO DI SAN SECONDO

PERSONAGGI

GIOVANNI ARCE filosofo

LUISELLA

OMODEO SBRENDI

RODOLFO VELI BABY

AMILCARE SODI

LANZINO

LA CUOCA

IL MEDICO

IL PORTIERE

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

 Salotto adibito anche a studio in casa, di Ro­dolfo Veli. Una porta comune in fondo. Due porte a sinistra; una a destra, in avanti. Poltro­ne, sofà, sedie tra le due porte di sinistra, e un paravento. A destra una scrivania, un armadio a specchio con delle statuette di ceramica sopra. E in terra, due gomme da automobile.

 (Ancora una volta il salottino di Rodolfo Veli, ex studioso di filosofia e al presente commer­ciante in pneumatici, è teatro di scene violente. Luisella urla, strepita, impreca; Rodolfo sup­plica, geme, si torce).

Rodolfo                        - (con accento di profonda e dispe­rata sincerità) Luisella, io perdo la testa! Te lo giuro, me la fai perdere tu!

Luisella                         - Benissimo! Perdila! Così ti chiu­dono al manicomio e non ti vedo più!

Rodolfo                        - Non è vero! Non è vero che tu non voglia più vedermi! Altrimenti mi lasceresti partire!

Luisella                         - Al diavolo, ti dico! Se tu parti e non torni più, va bene, parti pure! Ma tu vuoi andartene per tornare, fra quindici giorni, fra un mese. La cosa è diversa! Tu vuoi fare il tuo comodo! Andare, tornare, lasciarmi, riprender­mi, come se io fossi una cosa, una cosa che può esser posata dove si vuole, e che si ritrova al suo posto quando se ne ha bisogno. No, no, e no! Io non sono una brava donnetta come tutte le altre! Ancora non mi conosci, lo vedo!...

Rodolfo                        - Oh, Luisella, Luisella! Se ti cono­sco! Come ti conosco! da un anno non faccio che studiarti, per trovar la maniera di persua­derti definitivamente del mio amore!

Luisella                         - Si vede che tanto studio non è valso a nulla!

Rodolfo                        - E' valso! E' valso!

Luisella                         - A che cosa? Io non sono affatto persuasa del tuo amore. Dunque, non hai tro­vato la maniera di cui parli!

Rodolfo                        - Ma non per colpa mia!

Luisella                         - Di chi allora?

Rodolfo                        - Tua! Tua! Che sei un essere im­persuadibile! Che faresti dar di volta il più forte cervello! Ti son mancate forse le prove più ardenti di passione, la tenerezza più accorata, la sottomissione più devota, la premura più ansiosa? Non sei stata il mio pensiero costante, la mia preoccupazione quotidiana, lo scopo di ogni mio atto? Ma che cosa, che cosa avrei potuto fare e potrei fare ancora per te? Dimmelo tu! Parla! Nega tutto questo!

Luisella           - (irritatissima) Eh sì, sì, è inutile! Non mi capite, caro signore, non mi capite!

Rodolfo                        - (rimescolato) Luisella, ti prego!...Non dirmi più « signore ». Tu lo sai che non puoi ferirmi più crudelmente! Tu lo fai appo­sta! Quando mi vedi più commosso, cali una ter­ribile barriera di freddezza fra me e te, chiamandomi « caro signore ». Io « caro signore » non voglio sentirlo, non posso sentirlo!

Luisella                         - Avete ragione! Infatti non siete davvero « signore ». Almeno nel modo di pen­sare. I vostri ragionamenti mi danno ai nervi, tanto sono comuni e borghesi! Quando ragio­nate, mi sembrate mio marito!

Rodolfo                        - Bada! Bada Luisella! Tu lo sai che io non posso sopportare neanche questo! Io non voglio esser paragonato a tuo marito! Quan­do io penso a tuo marito, mi si rimescola il san­gue! Figurati poi se tu mi accosti a lui, se mi le­ghi in fascio con lui!

Luisella                         - Alla fine non è un mascalzone!

Rodolfo                        - Lo so. Ma è tuo marito.

Luisella                         - Nemmeno questo è vero. Perché lo è per modo di dire!

Rodolfo                        - O modo di dire, o modo di fare, vive nella tua stessa casa, vive vicino a te ed io non posso tollerarlo!

Luisella                         - Vedi? Egli è proprio superiore a te. Perché non solo tollera, ma si adatta ad es­sere propriamente nulla per me. E invece di odiarmi, come farebbe un povero diavolo qua­lunque, mi ama rassegnatamente!

Rodolfo                        - (con un grido) No! Non ti ama!

Luisella                         - Non lo. devi dir tu che lo conosci soltanto di vista! Lo so io che lo conosco fino in fondo!

Rodolfo                        - Io lo conosco meglio di te! L'ho studiato attraverso te.

Luisella                         - Tu studi sempre ma non capisci mai nulla!

Rodolfo                        - Lo dici tu! Ma io ho capito benis­simo tuo marito! E' un pigro! Un uomo che vuol vivere tranquillo! Che non vuol grattacapi! E, pur di non essere disturbato, ti lascia fare... mi lascia fare!

Luisella                         - Macché! Macché! Se fosse così, non mi farebbe dei ragionamenti noiosi ed inter­minabili come i tuoi! Egli aspetta ch'io mi rav­veda! Perché mi ama, perché mi adora!

Rodolfo                        - (geloso) Luisella, non dire scioc­chezze!... Ti prende con le buone per tenerti tranquilla, ti fa le prediche perché ha paura delle tue pazzie, ti dice di adorarti perché almeno, come padrona di casa, tu mantenga una certa linea! Ecco tutto!

Luisella                         - Benissimo! Ed allora, voi, caro signore, tenete la stessa tattica con i vostri ragio­namenti, con le vostre prediche!... Avete paura di me e mi prendete con le buone, come si fa con i bambini!

Bodolfo                        - No! no! no!... Ah, Dio mio! ma è la stessa cosa forse? Ma quale vincolo mi stringe a te? Quale obbligo mi impegna verso di te?! Perché avrei sofferto tutti i tormenti che mi hai inflitto, tutte le pene che ho patite, se non ti amassi veramente, se la passione non mi domi­nasse interamente? Sarei fuggito! Ti avrei la­sciata! Non portavi il mio nome, tu, come porli il suo!

Luisella                         - Ecco, adesso si tira fuori la carta bollata!

Bodolfo                        - Ma che c'entra la carta bollata!... Voglio dire che il matrimonio è il matrimonio e vincola, mentre la passione, c'è o non c'è!...

Luisella                         - Già già... E' propri» così: non c'è!...

Bodolfo                        - Ma come? Ma cerne « non c'è »? E non la senti che mi rugge dentro e che tu mi fai soffrire le pene dell'inferno, che sei una don­na terribile, e qualunque altro essere umano che non ti adorasse come me!...

Luisella                         - Che farebbe? Sentiamo!...

Bodolfo                        - Al diavolo, ti manderebbe, al dia­volo!

Luisella                         - Ah, l'hai detto! Ecco la verità!... Ti è scappata finalmente dalla becca!... Ma ora lo senti il diavolo!... Te lo farò sentire io il dia­volo!... Ridatemi tutte le mie lettere! Voglio tutte le mie lettere!... Subito, vi dico, subito!...

Rodolfo                        - Luisella, non ricominciare con cotesta richiesta!... Tu lo sai che io non ti dò nul­la perché ti amo, perché non so vivere senza di te!

Luisella                         - Datemi le lettere! Io non rimet­terò il piede in questa maledetta casa!... Datemi tutto, e poi partite, andate a trovare le vostre donnette! Voi siete degno di quelle!

Bodolfo                        - (disperato) Ecco, ecco la gelosia! Ma quali donnette? Dove sono queste donnette? Ma quando' le hai viste? Come te le sei sognate? Come farò a levarti di testa i fantasmi della tua immaginazione?

Luisella                         - Oh, del resto non m'importa nul­la! Voi potete spassarvela allegramente, come più vi piace. Datemi le mie lettere! E non se ne parli più! Soltanto, ho vergogna di me stessa, sento l'onta di essermi potuta accostare ad un basso miserabile uomo, quale voi siete! Vergo­gna, vergogna, vergogna!

Bodolfo                        - (coti le mani ai capelli) Vergogna, vergogna, vergogna!... E come lo dice! Con qua­le convinzione! Perché in questo momento ci crede davvero! (Volgendosi a Luisella con foga disperata) Ma che cosa devo fare per convincerti? Devo proprio mordermi a sangue la carne? Strapparmi il petto con le mani? Sbattermi la testa al muro?... (Gridando) Luisella! si deve vivere o no? Si deve piegare il capo dinanzi alla necessità, sì o no? Io parto per affari! E' neces­sario, capisci? Vuoi vedere i telegrammi? Vuoi vedere le lettere? Gli incartamenti?

Luisella                         - (con disgusto) Ecco le vostre poe­sie d'amore: gli incartamenti!

Bodolfo                        - Ah, no! non dir questo! Se seno tra gli affari è per te! Io ero un nomo di studio, tu lo sai! Sei entrata con violenza nella mia squallida tana!...

Luisella                         - Già... sono salita fino ad un quin­to piano, in un abbaino polveroso dove c'erano molte cartacce e non si respirava!

Bodolfo                        - E la mia vita ha dovuto cambiare per forza di cose!...

Luisella                         - Sicuro! Perché ti ho sedotto!...

Bodolfo                        - Oh, Dio!... s'intende non mi hai sedotto!... Ma io non ho fatto nulla per sedurre te! Ma non è questo che importa! Volevo dirti che anche il cambiamento della mia vita, l'esser­mi messo tra gli affari per sopperire alle neces­sità di una nuova maniera d'esistenza, dovrebbe essere per te una prova!...

Luisella                         - Basta! Io non discuto!... Io tre­mo di ribrezzo, di disgusto, di schifo!... Siete un piccolo uomo qualunque... Partite subito! Su­bito. Anzi! Dò ordine io stessa a quell'idiota di Lanzino di prepararvi le valigie (Va al fondo e urla) Lanzino!

Luisella                         - (a Lamino che si presenta sgomen­to) Vi permetto di preparare le valigie al vo­stro padrone!

Lanzino                         - (balbettando) Posso certamente?

Luisella                         - Se ve lo dico!

Lanzino                         - (incerto, tremando) Dico... dico... Lei proprio me lo ha ordinato!... Non se la pren­derà con me quando il signore sarà partito!

Luisella                         - Stupido!

Lanzino                         - (come per tema di vederla inalbe­rare) Scusi... scusi... ha ragione! Ma sicco­me... m'aveva prima ordinato, al contrario, di non dar retta al padrone... di non fargli le va­ligie!...

Luisella                         - Basta! Ora ho mutato idea! Pre­sto! Presto! Non perdete tempo, vi dico!

Lanzino                         - Subito, in due minuti! (Squilli di campanello elettrico) Suonano! Devo andare ad aprire?

Luisella                         - Ma sicuro: il signore riceve! Riceve sempre! Io sono qui come in piazza. Alla vista di tutti!

Lanzino                         - (sulla soglia, tremando) Ma allora non devo?...

Luisella                         - Anche il servo idiota! Anche il servo! Sì, sì, subito andate ad aprire!

Lanzino                         - (esce con le mani agli orecchi).

Luisella                         - (a Rodolfo caduto affranto su una poltrona) Addio, dunque, caro signore! Buon viaggio!... Divertitevi! (Fa per uscire dal fondo).

Rodolfo                        - (raggiungendola con un salto, e af­ferrandola per le braccia) No, no, Luisella, amor mio, non mi lasciare così!... Io non so far più niente, se te ne vai inquieta!... Tanto vale che non mi occupi più di nulla!... Un bacio!... Le tue labbra!... Sii una volta generosa! Capi­sci, una volta sola!... Aiutami a sopportare le miserie con il tuo amore invece d'avvilirmi!... Stringimi le manine al collo, fammi sentire che sei buona! Chi ti può amare più di me? Su, su, ti prego, ti supplico! uno solo! uno solo! (Ten­ta di baciarla ma ella si dibatte, volgendo il capo ora a destra ora a sinistra, per sfuggire alle lab­bra di Rodolfo).

Luisella                         - (ironica e crudele, con violenza) Ma sì!... Proprio!.. Va benissimo!.. Ora vi dò il bacio!... Sicuro!... Scostatevi!.. La sciatemi!.. Che vile!... Vi dico che mi fate ribrezzo!... La­sciatemi o vi graffio!... vi mordo!... Non vi pos-so< vedere!... Mi sembrate mio marito!

Rodolfo                        - (disarmato dall'ultima frase di Lui­sella, si lascia cascar le braccia, staccandosi da lei abbattuto, mormora) Perfida! Perfida!

Luisella                         - (coglie il destro per balzare verso il fondo ed uscire).

Rodolfo                        - (precorrendola e chiudendole il pas­so) Ah no! non ti lascio scappare!

Luisella                         - No? Dite di no? Adesso vedia­mo... Badate, vi faccio male! Siete avvertito!... (Gira per la stanza, ghermisce una statuetta di ceramica, e mostrandola a Rodolfo) Per l'ul­tima volta: mi lasciate passare?

Rodolfo                        - No!

Luisella                         - (gli lancia contro la statuetta, Ro­dolfo la evita, ed essa va a sfiorare Giovanni Ar­ce, che si presenta in quel momento sulla soglia).

Rodolfo                        - (con stupore) Giovanni? Giovanni Arce?

Giovanni Arce              - (con un sorriso ebete tra la barbetta arruffata, e ammiccando dietro la lenti) Eh già!

Rodolfo                        - (premuroso) Ti sei fatto male?... Scusa sai, ti prego!...

Giovanni Arce              - Nulla! Me ne son capitate di peggio!...

Rodolfo                        - Dopo tanto tempo che non ci ve­diamo!... Un'accoglienza simile, veramente... E come mai? (Imbarazzata) Luisella!.,.

Luisella                         - La -signora Luisa Sbremdi, prego!

Rodolfo                        - Ma sì! Ma sì!... tanto, dopo quel colpo di ceramica, non c'è più da far misteri!... Non è vero Giovanni?

Giovanni Arce              - (sempre con il suo arriso ebe­te) Eh!... Direi anch'io!

Luisella                         - Ah sì! Lo direste anche voi! Ma chi siete? Io non vi conosco!

Giovanni Arce              - Lo so!... Ma al contrario, voi vi siete fatta conoscere subito!...

Luisella                         - E allora vi dico che vi conosco anch'io! Siete un maleducato! Un villano!

Giovanni Arce              - (s'inchina).

Luisella                         - (a Rodolfo) E voi, signor Rodolfo Veli, voi permettete che mi si insulti così in casa vostra! Che il prime cialtrone venuto...

Rodolfo                        - Ma no, Luisella! no! E' un vec­chio amico! Uno studioso!... Giovanni Arce, un. filosofo!...

Luisella                         - (scoppiando a ridere) Questo qui! Un filosofe! Così lercio, sudicio, inzaccherato, polveroso, con la forfora sul bavero della giacca unta! E tenetevi il vostro filosofo! Anzi, vi con­siglio di condurvela in treno con voi!... Addio carini miei (All'orecchio di Giovanni Arce ur­lando) Schifoso! Schifoso! Schifoso! (Fugge dal fondo).

Rodolfo                        - (con strazio sincero, rincorrendola) Luisella! Luisella! No, no, non mi lasciare in un inferno!... (Si sente l'uscio che sbatte violen­temente, richiudendosi).

Giovanni Arce              - (ch'è rimasto per un minuto solo e con il dito mignolo si è sturato l'orecchio dell'urlo di Luisella, al ricomparire di Rodolfo dice con convinzione) Molto vivace, questa si­gnora!

Rodolfo                        - (desolata) Ah, sì, sì, merito la tua ironia!

Giovanni Arce              - Non è ironia. E' vivace real­mente! E' anche graziosa, spigliata, disinvolta!..

Rodolfo                        - Eh, sicure!... Lo so bene io! E' la mia sciagura! Una donna terribile!...

Giovanni Arce              - D'altro canto, se un uomo ha bisogno di amare, cosi può che amare una donna... E la donna, si sa, è di genere femmi­nile... genere notoriamente grazioso, spigliato e vivace!...

Rodolfo                        - E tu come fai?

Giovanni Arce              - Ah! io non ne ho bisogno! Se capita, ecco, non mi rifiuto. Però... senza im­pegni!

Rodolfo                        - Veramente?

Giovanni Arce              - Te lo assicuro!

Rodolfo                        - Sei rimasto sempre lo stesso!

Giovanni Arce              - Credo.

Rodolfo                        - Con la tua barbetta, le tue lenti, il tuo cappello floscio! Mi par quasi che porti lo stesso vestito!

Giovanni Arce              - Può essere! Ho portato in giro il mio vestito in parecchie regioni d'Europa e d'America.

Rodolfo                        - Davvero? Ma come?

Giovanni Arce              - Oh, è semplice! Sono stato precettore di due giovani signorine americane!... Siccome non ho apparenze pericolose per le si­gnore, la madre delle suddette giovani, al primo vedermi, esclamò: a Ecco un nonno adatto alla educazione di Edith e Gemmy! ». E così si sti­pulò. Ma, dopo un anno, la prima ragazza sposò! E dopo un altro anno, anche la seconda sposò. Durante il mio precettorato avevano, natural­mente, giocato al tennis, ed io avevo dormito profondamente. Mi dicevano sempre di profittare molto in storia e in filosofia dai miei insegna­menti! E io le lasciavo dire!... Del resto, i loro mariti saranno egualmente soddisfatti.

Rodolfo                        - Ah, come ti invidio! Come invidio la tua sapienza nel vivere, la tua suprema impas­sibilità.

Giovanni Arce              - Tu invece... Già, si vede ad occhio nudo. Sei mutato. Non porti più la bar­betta come la mia, sei bene spolverato, lustro ed elegante!... E... gli studi?

Rodolfo                        - Quali studi! Quali studi, caro Gio­vanni! Quella donna è entrata come un fulmine nella mia vita, ha scombussolato tutti i miei pia­ni di lavoro! Chi .aveva mai pensato prima che esistesse la passione! Chi avrebbe immaginato di poter dare così serio peso all'amore!... Sono sta­to punito! E vedi, messo dinnanzi al dilemma di sacrificare la donna o la filosofia, mi son deter­minato per quella, ed ho abbandonato questa!

Giovanni Arce              - Capisco! insieme le due cose non sono possibili! .

Rodolfo                        - Figurati... Con Luisella vicino mi si intorbidivano persino i più elementari prin­cipi della logica!...

Giovanni Arce              - S'intende! Luisella non può non essere che illogica!

Rodolfo                        - Ed è stato proprio questo che mi ha maggiormente attratto. Il mio amore è nato dall'accanimento con cui ho cercato di insegnare a Luisella a esser logica!...

Giovanni Arce              - Pazzia! Se Luisella impa­rava ad esser logica, non era più una donna!

Rodolfo                        - Giusto! Giusto! Ma come levarmi dall' anima la folle brama di voler persuadere Luisella? Più la scoprivo illogica, e più mi sen­tivo trasportato a darle delle idee sagge della vita, a convincerla della ragione delle cose!...

Giovanni Arce              - E intanto, la ragione, la per­devi tu stesso!

Rodolfo                        - Sì, sì, è proprio così!

Giovanni Arce              - In conclusione era lei ad in­segnarti ad esser pazzo!

Rodolfo                        - Lo confesso!

Giovanni Arce              - Tutto sbagliato! E ora che cosa fai?

Rodolfo                        - - Commercio in gomme, in pneu­matici, in altri generi affini... Dovevo scegliere un mestiere redditizio, tu lo comprendi! Metter su un quartiere dove potessi riceverla con deco­ro! Mantenere un tenore d'esistenza degno della condizione di lei, eh'è ricca, che ha un marito industriale!... Allora, poi che i pneumatici sem­bra che siano le fondamenta scorrevoli della so­cietà moderna, mi determinai per i pneumatici! Io pensavo che ella ne sarebbe contenta, che ap­prezzerebbe il mio spirito di sacrifizio!... Nemmen per sogno!... Ora mi detesta perché parlo di affari!... Non capisce nulla delle necessità. Non vuol saper nulla della terribile logica della vita! Ora mi dice che rassomiglio a suo marito, perché vorrei che avesse un po' di buon senso!... Vedi, io dovrei partire tra dieci minuti!... E' ur­gente ch'io parta!... Domani mi licenziano te non giungo alla sede della ditta in tempo!... Ma io sono sicuro che non partirò! Perché mi ha fatto delle scene!... Perché lontano non potrei vivere sapendola inquieta!... Ho paura che com­metta delle follie! Che entri in casa, mi frughi dappertutto, mi butti le carte all'aria! E sopra tutto ho paura che non mi ami più! Ho bisogno di lei, ormai! Non posso vivere senza di lei! E' ridicolo, è comico, puoi riderne, ma è così! Non ne posso più! E l'amo! L'amo!... (Scoppia in singhiozzi che subito reprime, per poi tentar di ridere) Ma che filosofia! Dov'è la filosofia? Io non ci credo più... Non serve a nulla!... (Pausa) Che ne dici, Giovanni?...

Giovanni Arce              - A me, serve….

Rodolfo                        - Sì, ma che cosa devo fare ora?

Giovanni Arce              - Per logica, devi partire.

Rodolfo                        - E' facile dirlo!...

Giovanni Arce              - Dico, per logica!... Infatti, se rimani, questo non impedirà alla signora Lui­sella di trovare altri pretesti per far pazzie. E tu, oltre alle pazzie della signora Luisella, dovrai subire i gravi imbarazzi del licenziamento. Inve­ce, partendo, m continui a subire soltanto le pazzie della signora Luisella!

Rodolfo                        - E' giusto. Non fa una piega... Ma se avessi almeno una persona da lasciarle vicino, che mi informasse, che la sorvegliasse!... Devo star lontano quindici giorni almeno!... (Ri­flette costernato, poi d'un tratto) Un'idea! Gio­vanni, tu non hai da fare per il momento?

Giovanni Arce              - Io? Ma io non ho avuto mai da fare in vita mia!...

Rodolfo                        - Voglio dire se sei libero.

Giovanni Arce              - Come l'acqua. Avendo im­partito una buona educazione alle due americane, non ho altri pupilli. Vorresti forse nomi­narmi precettore della signora Luisella?

Rodolfo                        - Sì, Giovanni, ti prego! Rimani in casa mia, durante la mia assenza! Oh, ella verrà ogni momento! Farà delle cose incredibili! Evi­ta, evita, Giovanni. Cerca d'indovinare le sue in­tenzioni, previenila in tempo!... Informami di tutto! Sii paziente con me! Io ti telegraferò ogni momento, lo so di già, ti invierò dei lunghi espressi! Rispondi, spendi tutto quello che vedi Danzino, il cameriere, è depositario di una buo­na somma! E' fidato! Ma anch'agli ha paura di lei!... Hai un alloggio tu?...

Giovanni Arce              - Io? Mai avuto! Arrivato sta­mane, sono andato in giro per la città!

Rodolfo                        - Benissimo!Qui puoi stare con tutti i tuoi comodi. Giù in cantina vi sono le mie casse con i libri di filosofìa! Che vuoi? Li avevo relegati colà! Fatteli portar su da Lanzino! Stu­dia! Studia!... E quand'ella giunge, sii saggio!... Già, che stupido!... Più saggio di te!... (Squillo di campanello) Dio mio, che sia tornata?... Se è lei, non potrò più partire. Me ne mancherà la forza!

Lanzino                         - (presentandosi) Un telegramma! (Lo porge a Rodolfo).

Rodolfo                        - (aprendolo convulso) Che sarà? (Leggendo) Ecco... ecco... un'altra sollecitazio­ne. (A Giovanni) Vedi... vedi... (Leggendo a voce alta) «Attendiamovi subito, secondo intesa, telegrafateci vostra partenza »... Ecco... ecco! E' impossibile sinanco rimandare! Lanzino, le va­ligie sono pronte?

Lanzino                         - Pronte! Tutto pronto.

Rodolfo                        - (guardando l'orologio) Le sei! Non c'è che il tempo per correre alla stazione! (A Lanzino) Lanzino, il cappello, il soprabito leggero! Sì, in camera mia!

Lanzino                         - Avevo già avvertito il portiere per la vettura secondo gli ordini della signora. Il portiere è già salito a prendere le valigie!

Rodolfo                        - E va bene! Sia fatta la volontà di Dio!

Lanzino                         - (esce un momento da destra).

Giovanni Arce              - Scusa. Ella aveva dato gli ordini per la tua partenza?

Rodolfo                        - A betta posta!... Per ironia!... Ah, tu non sai il cervellino di Luisella! Ah, te ne farà passare! Vedrai! Ti scongiuro, Giovanni! Non trattarla male. Pensa che non posso vivere senza di lei.

Lanzino                         - (ricompare con il soprabito ed il cap­pello del signore e glieli porge).

Rodolfo                        - Lanzino, questo è il mio amico Giovanni Arce, professore. Egli resta qui in casa, durante la mia assenza. Eseguirai scrupolosa­mente tutti i suoi ordini, non ascolterai altro che lui! Intendi? Non altri che lui!... Servilo come ei conviene e fai gli onori di casa con larghezza! Precedimi!

Lanzino                         - (s'inchina ed esce).

Rodolfo                        - (a Giovanni) Addio, Giovanni, Non ti dico; più nulla! (Abbracciandolo) La mia vita è nelle tue inani!...

Giovanni Arce              - (trattenendolo) Un attimo, per cose necessarie. La signora si chiama?

Rodolfo                        - Luisella, l'hai sentito.

Giovanni Arce              - (scrivendo su un taccuino che ha tratto di tasca) Cognome?

Rodolfo                        - Sbrendi!

Giovanni Arce              - Il marito?

Rodolfo                        - Omodeo, Dio mio!

Giovanni Arce              - Abita?

Rodolfo                        - Ma che t'importa? Me lo fai per­dere tu il treno ora!

Giovanni Arce              - Importa, per l'anagrafe.

Rodolfo                        - Via dei Gigli, 86 (Fugge dal fondo gridando ancora) Mi raccomando!... Sono nelle tue mani! Almeno un mese lontano!

Giovanni Arce              - (solo) Devono» capitare tutte a me. Più un uomo è immobile di dentro e più gli altri gli girono intorno! Non .avrei mai sup­posto di andare in America, e mi ci hanno por­tato!... Non avrei mai supposto di poter abitare da padrone in una casa così elegante, e mi ci trovo! Benissimo, su questo sofà si sta comodi. (Si sdraia. Accende un sigaro). Quell'animale di australiano, in piroscafo, mi ha regalato dei si­gari eccellenti!... Fumiamo! Però ho anche ap­petito! In fondo, il globo terracqueo è una pal­lottola qualunque!... E vi accadono sempre le stesse cose!... A quest'ora, ad esempio, accade sempre di .avere appetito!... Questo Lanzino non si fa vedere! Tentiamo a suonare! (Preme il bot­tone del campanello).

Lanzino                         - (presentandosi) Ha suonato?

Giovanni Arce              - Per l'appunto, caro Lanzi­no, che cosa abbiamo da mangiare stasera?

Lanzino                         - Ah, ecco!... Se permette, vado di là in cucina a informarmi dalla cuoca.

 Giovanni Arce             - C'è perfino una cuoca?

Lanzino                         - Già, siamo io e la cuoca!

Giovanni Arce              - Dunque, siamo in tre in casa!

Lanzino                         - Quando non c'è la signora!

Giovanni Arce              - Allora... saremo in quattro!

Lanzino                         - (con un sussulto) Dio mio, mi par d'udirla nel corridoio!

Giovanni Arce              - Se nessuno ha suonato?

Lanzino                         - Ha una chiave, e quando non la dimentica, entra così!

Giovanni Arce              - Benissimo. Da ora in poi chiuderete col chiavistello. La signora dovrà sempre suonare.

Lanzino                         - (tremando) Eccola!

Luisella                         - (entra violentemente, ma al vedere Giovanni Arce che fuma sdraiato sul sofà, e finge di non accorgersi nemmeno di lei, spalanca la bocca in atto di stupore rabbioso).

Giovanni Arce              - (a Lamino) Fatemi dunque sapere il a menu » e servite al più presto!

Luisella                         - (scoppiettando dall'ira) Ma!... ma!... ci sono io qui!

Giovanni Arce              - (re Lanzino, flemmatico, senza badare a Luisella) Mi raccomando però, che i cibi siano ben cotti. Io non digerisco che i cibi molto cotti!

Luisella                         - Ma dov'è?... Chi è il padrone qui?

Giovanni Arce              - E ancora. Badate che du­rante i pasti io non ricevo nessuno. Non sono mai in casa per nessuno.

Luisella                         - (scattando furibonda) Lanzino!... Dunque, è partito davvero!... E tu... e tu sei al servizio di questo miserabile sudicio di filosofo imbecille!... Ah, va bene! La vedremo!... Il si­gnor Rodolfo me la pagherà!... Oh, se me la pagherà!... (Fa per uscire dal fondo; poi torna in­dietro, indemoniata, s'accosta a Giovanni Arce e urla) Siete un ma-scal-zo-ne! Un sudicione!

Giovanni Arce              - Ma se me lo aveva detto prima!

Luisella                         - (stravolge gli occhi dalla rabbia, smania non trovando modo di vendicarsi, poi sol­leva una sedia, la sbatte violentemente a terra, ed esce dal fondo gridando) Omodeo! Omodeo! Tu mi vendicherai!

Giovanni Arce              - Adesso va a consolare Omo­deo! Per questa sera è garantito che lascia in pace noi!

 

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena dell'atto precedente. Dietro la scrivania, però, sono comparse delle scansie di libri polverosi. Mucchi di libri sono anche per terra.

Lanzino                         - (dopo essersi affaticato a mettere in ordine i libri, senza riuscirvi) Maledetti li bracci, mandano un fetore insostenibile! Io non so che cosa sia, certo appestano l'aria! Alcun sono umidi e muffiti, altri a toccarli paiono nidi di tignole e di tarle, tante ne scappali fuori in demoni ale, volando di qua e di là! Ecco!... Ecco!... (Ghermisce il pennacchio che aveva deposto da una parte e si dà a rincorrere le tarle e h tignole, picchiando ora qua ora là; finche non urta contro un mobile leggero rovesciandone dei ninnoli che vanno in frantumi) Al diavolo le tarme!... E al diavolo la scienza!... Stavano così

La Cuoca                      - Ve la prendete con qualcuno, dunque!

Lanzino                         - E non vedete carne luccicano volando? Son tutte tarle. Rovineranno i tappeti, le tende, i sofà del signor Veli. Gli starà bene, perché ha lasciato la casa in mano d'un vero amico! Il quale ha persino levato dall'uscio la targa con il nome del padrone, sostituendovi un bigliet­to con la dicitura: «Abitazione di Giovanni Arce, filosofo ».

La Cuoca                      - Sicuro, è un uomo molto strano. Io non l'ho ancora veduto bene. E non lo voglio ve­dere, intendiamoci! Con persone di questo genere è più prudente non aver nulla a spartire. Speria­mo che continui .a trovar di gra­dimento la mia cucina, e così non mi vorrà chiamare per farmi os­servazioni... (Squillo di campanello ripetuto più di tre volte.

La Cuoca                      - Giunge qualcuno che ha molta fretta!

Lanzino                         - Macché! E' lui che s'è destato! Mi ha avvertito che suona tre volte per abitu­dine!

La Cuoca                      - Hanno suonato cinque! Vedrete che sarà lui e l'uscio insieme!

                                      - (La cuoca poco dopo rientra smarrita introducendo Luisella e Baby che recano delle bot­tiglie di vino bianco in braccio).

Luisella                         - Deve si trova quel vile di Lan­zino?

La Cuoca                      - (smarrita) Non so, parola d'ono­re... Era qui... Sarà entrato- in camera del si­gnore... forse l'ha chiamato...

Luisella                         - Il signore?... Il signore sono io! Io pensavo che lei fosse la si­gnora:

Luisella                         - Intendo dire che non ci sono che io padrone, padrona e tutto in questa casa!

Baby                             - (tirando Luisella per la veste piano) Frenati!

La Cuoca                      - Ecco Lanzino.

Lanzino                         - (rientra da sinistra imbarazzato)   bene in cantina questi libracci!... Nossignori, seLa Cuoca n'è empita la casa!...

La Cuoca                      - (presentandosi dalla seconda porta di sinistra) Che cos'è stato, Lanzino? M'avete fatto sussultare!

Lanzino                         - Gli è che siete troppo sensibile. Tornatevene in cucina, vi prego, che non vorrei anche con voi avere a che dire. Devo, da parte del professore... io non c'en­tro beninteso', sono stato incaricato di pregare la signora che non alzi troppo la voce... perché il professore intende trattenersi a letto an­cora una mezz'oretta...

Luisella                         - A letto? Che deve fare ancora a letto?

Lanzino                         - Il professore, la mattina, pensa.

Luisella                         - Pensa. Che pensa? Al diavolo che se lo porti? Basta, non voglio saper nulla di quel sudicio uomo! Lanzino, badate a quel che vi dico. Io ho condotta con me, la mia amica Baby, e vogliamo prendere qui il nostro lunch! Eccovi delle bottiglie di Capribianco!

Lanzino                         - Vado a riferire al Professore!...

Luisella                         - Voi non riferite nulla. Io ordino e non voglio saper altro! Impartisci tu piuttosto le disposizioni alla cuoca!

La Cuoca                      - Ama le cotolette di vitella, la signora? Dell'aragosta? Degli asparagi?

Luisella                         - Benissimo, vada per queste pie­tanze (a Lanzino) E voi apparecchierete qui, proprio, qui in questa stanza.

Lanzino                         - (prendendo le bottiglie) Tra i li­bracci, dove il professore studia?

Luisella                         - La faremo studiare noi!

Lanzino                         - Per me!... Come comanda!

Luisella                         - Badate! Tra poco usciremo; ma ritorneremo presto; per le undici e mezzo deve essere in tavola! Potete andare!... (La cuoca e Lamino escono).

Baby                             - Se ti mostri così arcigna non potre­mo mettere in esecuzione il nostro piano! Ho tale una curiosità di questo filosofo!

Luisella                         - Saresti capace di farti abbrac­ciare davvero!... Lo so come sei fatta tu!

Baby                             - Ma è proprio sudicio?

Luisella                         - Inverosimilmente!

Baby                             - Come mi piace!

Luisella ;                        - Bada che se il tuo amico ti tro­vasse davvero sul fatto!...

Baby                             - Che scena! Sarebbe una grande emo­zione!

Luisella                         - Come gli hai scritto? Hai la mi­nuta, mi hai detto.

Baby                             - Iersera, con un pretesto, ho finto di bisticciare, come me ne hai pregata tu; pei l'ho lasciato' e gli ho mandato la lettera. Eccola qui!

Luisella                         - (legge la lettera) ce Mi vendi­cherò della tua villania in maniera atroce. Se non mi credi vieni domani alle undici e mezzo, in via Palestro 14, piano secondo e mi troverai in buona compagnia con il più sudicio uomo della terra. Meglio di cosi non potrei offenderti ». Benissimo. Laconica, ma efficace. Gli farà impressione.

Baby                             - Glie l'ha fatta di già. Sono passate le dieci, e alle otto e mezzo al più tardi avrà dovuto riceverla.

Luisella                         - Sarà agitato.

Baby                             - Agitatissimo.

Luisella                         - E attendendo le undici e mezzo, come accade in questi casi, la sua agitazione au­menterà.

Baby                             - Figurati, geloso com'è!...

Luisella                         - Quando giungerà qui e ti tro­verà con il filosofo, lo picchierà di santa ragione.

Baby                             - Però tu non te ne andrai, lascian­domi negli impicci!

Luisella                         - Io? Vedremo. Potrò nasconder­mi dietro quel paravento, ad esempio. L'im­portante è che noi si giunga al punto di farle prendere al filosofo! Comincio ad agitarmi anch'io! Che cosa faremo sino alle undici e mezzo?...

Baby                             - Diamine, ma ci vuole il tempo per sedurlo?

Luisella                         - Vorresti entrare nella sua ca­mera?

Baby                             - Oh, via! Non dir sciocchezze!...

Luisella                         - Dunque!... Torniamo a far delle compere. Due bottiglie di champagne per esem­pio, dei pasticcini...

Baby                             - Attendi. Qualcuno viene.

Luisella                         - (piano) Eccolo, l'animale! (Co­minciando ad urlare) Lanzino! Ma insomma! Ho parlato con il muro, forse? La tavola! Do­v'è? Ancora non la vedo!...

Giovanni Arce              - (s'è presentato e s'è fermato sulla soglia della prima porta di sinistra, e con un sorriso sornione tra la barba, sbircia ed os­serva ora l'una, ora l'altra donna).

Baby                             - (inchinandosi con civetteria) Buon­giorno, signor filosofia!

Giovanni Arce              - (imperturbabile) Ossequi a lei! (sorride sornione).

Baby                             - Sa! Ero molto desiderosa di cono­scerla!...

Giovanni Arce              - Piacere!

Baby                             - Certamente lei vuol sapere come mi chiamo, come si chiama, cioè, questa scono­sciuta che viene cosi di mattina, in casa sua...

Giovanni Arce              - (con grande flemma) No, non lo voglio sapere...

Baby                             - Davvero? Me ne meraviglio... Ho un nome molto carino, sa?

Giovanni Arce              - Credo... credo,..

Giovanni Arce              - Benissimo!

Lanzino                         - Dunque, per oggi, comanda quest'altra signora?

Luisella                         - Niente affatto. Qui, comando sempre io. E vi ordino di mettere soltanto due coperti...

Giovanni Arce              - Benissimo.

Baby                             - Mi chiamo... Baby!

Giovanni Arce              - Baby?... Brava!

Baby                             - Ma che diamine... Lei non imi inco­raggia... Tutti gli uomini, invece, appena mi vedono m'incoraggiano...

Giovanni Arce              - Benissimo. Si faccia co­raggio...

Lanzino                         - Sempre non capisco più niente!

Giovanni Arce              - Lanzino, state a sentire. Vi ho forse ordinato di capire?

Lanzino                         - No.

Giovanni Arce              - Dunque, non c'è bisogno di capire.

Baby                             - Oh, Dio! sempre di più!...

Luisella                         - Baby, smettila! Lanzino, due co­perti!

Lanzino                         - Ecco... ecco... (esce e poi rientra con l'occorrente per due coperti, e apparecchia).

Baby                             - (a Luisella) Senti, Luisella, se con­tinui così mi costringerai a venire da sola e a tua insaputa a trovare il signor Arce!...

Luisella                         - Accomodatevi pure!... Tutti i gusti son gusti... E i tuoi, me ne accorgo adesso, sentono di degenerazione...

Giovanni Arce              - Questa volta la signora Lui­sella ha imbroccato.

Baby                             - Oh, signor Arce, lei si considera così da poco. Se sapesse invece quale fascino...

Luisella                         - (continuando) ... emana la sua sporcizia!

Giovanni Arce              - (a Luisella) Perciò ella viene ad asciolvere in casa mia!

Luisella                         - La casa non è sua, prego!

Giovanni Arce              - Questa è ormai una vecchia questione.

Luisella                         - La vedremo!

Giovanni Arce              - Già l'ho visto!

Luisella                         - Lei non ha visto niente, glielo dico io! Più tardi me lo saprà dire!... (A Baby) Senti cara, io scendo a comperare dello' cham­pagne... Se tu vuoi rimanere fai pure... Ma non t'illudere! Costui è un arnese in disuso!

Baby                             - No, no, vengo con te. Ma faremo pre­sto è vero? Io non aspetterò che il momento di ritornare!... (dalla soglia mandano con le dita un bacio a Giovanni) A rivederci, professore!... Professore... caro!... caro!...

Giovanni Arce              - (con una smorfia) Cara!...

Lanzino                         - (che ha apparecchiato) Adesso, non mi vorrà rimproverare...

Giovanni Arce              - (che sta meditando) Io non ho detto nulla...

Baby                             - (dopo una brevissima pausa) Guarda le mie scarpette? Le mie calze di seta? Sa, tutti mi dicono che ho una bellissima caviglia... An­che la gambetta... il polpaccio...

Giovanni Arce              - E anche più su...

Baby                             - (tirando un po' su la gonna) Vuol vedere?

Giovanni Arce              - Non occorre. Ci credo...

Luisella                         - (che ha smaniato pestando con l'ombrello sulla soglia del fondo) Smettila, Baby, non t'ho condotta per far la civetta con un luridissimo cencioso il quale sta qui per ca­rità, non avendo un tetto per ripararsi!... T'ho invitata al lunch e basta! (Ricominciando ad urlare) Lanzino!... Subordinato! pigro, cretino di un cameriere, la tavola, quando l'appa­recchi?

Baby                             - (fingendo di fare una confidenza a Gio­vanni) Non ci creda... Luisella non la detesta tanto quanto vuol mostrare... Abbiamo portato del Capri bianco, sa... Io spero che lei vorrà sedere con noi al lunch!... Io ne gongolo già tutta... Mi sento i brividi addosso... come mi piace lei!...

Giovanni Arce              - Ah, benissimo! Oggi il lu­nario porta il lunch!

Baby                             - Dica la verità. Luisella ha sempre delle trovate graziose!... Un lunch di due don­nine tutta spuma come noi, con lei... in mezzo ai libri, alla scienza...

Giovanni                       - Ah! perché il lunch sarà servito proprio qui... nello studio!...

Luisella                         - Sicuro! Ma non sarà come vi ha detto costei; la quale è così sventata che appena vede un uomo anche sudicio cerne voi, s'elet­trizza e s'accende. Voi con il lunch non avete nulla a vedere... Sarà un téte-à-tète tra me e lei (a Lanzino che compare con una piccola ta­vola quadrata) Sbrigatevi, dunque!... Ma che maniera di servire è la vostra?...

Lanzino                         - (messa la tavola in mezzo allo stu­dio) Signor professore, io non so che farci! Vuole che prenda dei colpi d'ombrello?

Baby                             - (a Lamino) Niente di tutto questo. Ascoltate me piuttosto (indicando sulla tavola con la mano) H professore qui. Qui la signora Luisella, e qui io!

Lanzino                         - Meno male! Temevo assai...

Giovanni Arce              - Silenzio! (Medita) Sono le dieci e mezzo o non sono?

Lanzino                         - Mancano pochi minuti, profes­sore!

Giovanni                       - E non si è visto nessuno?

Lanzino                         - Quelle due si sono viste.

Giovanni Arce              - Non altri?

Lanzino                         - Nessuno.

Giovanni Arce              - Ma la lettera di ierseia fu impostata puntualmente per espresso?...

Lanzino                         - Come mi aveva detto lei, profes­sore!... (Breve pausa) Devo lasciarla per dav­vero questa tavola?

Giovanni Arce              - Ho detto di levarla?

Lanzino                         - No.

Giovanni Arce              - Dunque?... (Squillo di campanello).

Lanzino                         - Suonano. O tornano quelle lì, o è un altro telegramma del signor Veli.

Giovanni Arce              - Benissimo. Ma se invece, fosse il signor... Omodeo Sbrendi, venite subito ad annunziarlo.

Lanzino                         - (sbalordito) lì signor Omodeo...

Giovanni Arce              - Sbrendi... Ti ho detto di stupirti?

Lanzino                         - No.

Giovanni Arce              - Dunque!

Lanzino                         - (esce lasciando nella meditazione Giovanni Arce. Poco dopo rientra) E' lui.

Giovanni Arce              - Alle dieci e mezze!... Pun­tuale! Si accomodi.

Lanzino                         - (fa passare il signor Omodeo Sbren­di. Esce).

Giovanni Arce              - (rimane a lungo in piedi a considerare Omodeo Sbrendi squadrandolo di dietro le lenti senza dirgli nulla e mettendolo in grave imbarazzo).

Omodeo                        - Senta... signore... ho avuto il suo biglietto... assai enigmatico... quasi offensivo. Però sono venuto.

Giovanni Arce              - (senza scomporsi e come pen­sando ad altro) Lo vedo.

Omodeo                        - Lei vede pure che ha da fare con un uomo che soffre...

Giovanni Arce              - Lo vedo.

Omodeo                        - ... E allora cerchi, la prego, di sbrigarsi, tenendomi il meno possibile in que­sta penosa situazione.

Giovanni Arce              - Sicuro. Perfettamente. Quello che lei dice, vede, corrisponde cosi bene al suo carattere, che qualunque diversa presen­tazione sarebbe stata, al paragone, insufficiente.

Omodeo                        - Che può saperne lei del mio ca­rattere?

Giovanni Arce              - Ecco che cosa posso saper­ne. Lei è un uomo che per non affrontare una sola volta una penosa situazione, la sopporta per tutta la vita!

Omodeo                        - Non continui ad offendermi!

Giovanni Arce              - Non ne ho l'intenzione. I Però può darsi che le mie parole suonino offesa a lei. In tal caso, vede, lei mi conferma le mie... dirò così... supposizioni.

Omodeo                        - Vuol dirmi che sono un disgra­ziato?

Giovanni Arce              - Non avrei per questo alcun interesse particolare. Che gusto vuol che si provi a dir « disgraziato » ad uno che realmente lo è? Potrebbe essere gustoso dirlo a chi non lo è, per fargli dispetto!...

Omodeo                        - Già, ma così implicitamente me j lo dite!...

Giovanni Arce              - Non glielo dico. Faccio semplicemente una constatazione!...

Omodeo                        - E' lo stesso!

Giovanni Arce              - No, permetta!... Altro è se io con un ghigno mormoro ad un tale: disgraziato! Altro è se io semplicemente, umanamen­te, dolorosamente, scrollo il capo e osservo: Sì, lei è un disgraziato! Capisce?

Omodeo                        - (abbattuto) Che vuol che capisca? La mia sciagura?

Giovanni Arce              - Proprio! Proprio questa! Abbia pazienza! Devo ancora dare un'occhiata a questi due telegrammi (li apre ad uno ad uno e li considera, poi volgendosi di nuovo ad Omo­deo) Vede? (indica i telegrammi) Costui è un disgraziato come lei! Né più, né meno! Non ha la forza di strapparsi dalla sua sciagura. E me ne telegrafa ogni momento!... Ma lei non lo co­nosce e non può saper nulla di lui... Lasciamolo stare, e parliamo del nostro caso. Vuole che ne parliamo?

Omodeo                        - (sulle spine) Sì, ma più breve­mente che sarà possibile.

Giovanni Arce              - Brevissimamente, quindi anche brutalmente, per far presto. Senza andare, insomma, in cerca delle parole per vestir le cose! Le cose nude, ecco tutto!

Omodeo                        - Nude, in che modo, scusi?

Giovanni Arce              - E se vuol vestirle, vestia­mole, ma ci vuol più tempo... E, prima di tutto, si è perfettamente reso conto del mio animo? Ha compreso che io non ho nessun interesse ad incrudelire contro di lei? Mi trovo tra i suoi casi... per caso, ecco! E siccome ho molto da studiare, vorrei al più presto risolver questi suoi oasi per rimaner una buona volta tranquillo, nella mia abitazione...

Omodeo                        - L'ho disturbata io?...

Giovanni Arce              - No, sua moglie! Se giun­geva un minuto prima la incontrava per le scale!

Omodeo                        - (con una stretta al cuore) Dio mio!

Giovanni Arce              - Dio... nostro!... Un infer­no, mi creda, caro signor Sbrendi!... Un inferno!... Ha la chiave... e, se non c'è il chiavistello all'uscio, entra. Se c'è il chiavistello, è lo stesso, suona finché non le aprano...

Omodeo                        - Ma cerne mai? Come mai?

Giovanni Arce              - Lei non lo sa?

Omodeo                        - Che cosa vuole che sappia? E' una donna terribile!...

Giovanni Arce              - Ah, me ne sono accorto! Mi rovina anche i mobili che mi costano un occhio, getta i miei libri preziosi dal balcone!... Sostiene ch'io debba andar via da questa casa, perché questa casa le appartiene! E' una fis­sazione!... Io ho un contratto d'affitto!... Se vuole, glie lo faccio vedere!

Omodeo                        - Ma no, perché non dovrei credere?

Giovanni Arce              - Tuttavia, poiché sono abi­tuato a riflettere anche sulle più irragionevoli azioni umane, mi son domandato: « Perché mai questa vezzosa signora, è invasata dall'idea così strana idi aver dei diritti in una abitazione che non è la sua? Dinnanzi a quale nuovo caso pa­tologico ici mi trovo? ». E di riflessione in ri­flessione, sono risalito al ricordo di una carat­teristica della specie felina, che come tale, ha molti punti di contatto con la donna, e quindi anche con sua moglie!... Orbene, cerne lei sa, i gatti, anche quando il padrone sloggia, tendono a rimanere nel luogo dove hanno vissuto. Al­lora mi son proposta l'ipotesi che la signora Luisella, della quale avevo già avuto il tempo di assumere le informazioni, ubbidisse, in que­sta sua accanita persistenza a sostenere la sua padronanza in casa mia, ad un istinto simile a quello dei gatti. La signora Luisella, certamente - pensavo - ha dovuto; per lo meno frequen­tare questa casa, prima che io vi entrassi, e ci torna perché non sa persuadersi del mutamento avvenuto. Il fatto materiale, che ella possiede la chiave del mio uscio, mi ha confermato in maniera indiscutibile, la verità della mia ipo­tesi. Allora, naturalmente, ho cercato di rico­struire un recente passato... Ed ho chiamato lei (breve pausa) Vogliamo ricostruirlo insieme?

 Omodeo                       - Ma signor mio, signor mio! a quale stretta mi vuol condurre?

Giovanni Arce              - Eh, vede, glie l'ho detto che lei ha un debole carattere!... Su, sia corag­gioso per un pochino! Vediamo un po'!... Cer­chiamo!... e, prima di tutto, è necessario sapere chi abitasse, prima di me, questo appartamen­to... (breve pausa) Glie lo dico io... (come per ricordarsi) ... il signor... il signor... Rodolfo Veli!

Omodeo                        - (ha un moto d'ira e di rancore).

Giovanni Arce              - (dopo una pausa pensosa) Ecco, vedo bene. Abbiamo toccato giusto...

Omodeo                        - (con agitazione ed angoscia) Come « giusto »? Che cosa vuol dire? Che manciata di fango vuol buttarmi addosso?

Giovanni Arce              - Per amor di Dio, niente grosse parole! Lasciamo stare il fango che qui non c'entra. Il fango, se mai, lei lo sa, ha ser­vito financo al creatore per fabbricar l'uomo. Se dice però in questo senso, allora possiamo anche parlare di fango, e cioè del signor Veli, di lei e della sua signora, tutto; fango, tutta povera umanità!...

Omodeo                        - Basta! Basta! Quale orribile spec­chio vuol pormi dinnanzi agli occhi!... Sa lei quale piaga vuol torturare? Sa la sofferenza che mi infligge? Che cosa può saperne lei di certi oscuri angoli del cuore nei quali persino ai pro­pri occhi è vietato di scrutare?

Giovanni Arce              - Male! Male! E' questo che poco fa le dicevo! Bisogna invece (guardarci!... Altrimenti, vede, si rischia di mettere una quarta persona qualunque tra i nostri impicci ed autorizzarla ad aguzzar per noi lo sguardo!

Omodeo                        - Ah, dunque si è assunto; lei que­sto crudele incarico?

Giovanni Arce              - Io? Sua moglie, lei stessa mi ci ha costretto, violando ogni momento il mio' domicilio... mostrandosi a me in tutta la tragica sofferenza!...

Omodeo                        - Dunque la compatisce!.,.

Giovanni Arce              - Sicuro, caro signor Sbren­di; che cosa è sua moglie se lei per un momento fa astrazione del grazioso nome ch'ella porta, della 'figurina leggiadra che la caratterizza, se non l'espressione del libero istinto della vita? E' donna, è femmina! Le responsabilità dei suoi atti, non vanno ricercate in lei, le colpe che commette non sono le sue; piuttosto di quelli che gliele fanno commettere!... Di lei, per esempio, signor Sbrendi...

Omodeo                        - Ah, è duro, è duro sentirsi dire così!... E' facile discorrere, signor Arce! Ma io l'amo! (Scoppiando in singhiozzi) Che posso farci se son così sciagurato da amarla? Se sono così vile da sapere e fingere di non sapere, pur che resti vicino a me, pur che la veda in casa mia, anche senza toccarla, non volendola, anzi, nemmeno toccare!... E il vile sono io, sì! E quel miserabile il quale ha profittato della mia debolezza, del libero; istinto di una donna, come lei lo- chiama... quell'uomo abbietto... inquali­ficabile... che cosa è per lei? Me lo dica!...

Giovanni Arce              - Adagio. Adagio. Riflettiamo. E soprattutto, non incrudeliamo contro gli assenti che non possono dire le loro ragioni!... forse il signor... il signor... come si chiama... ah, il signor Rodolfo Veli fosse qui!...

Omodeo                        - (con un gesto di disgusto) Oh!

Giovanni Arce              - - Abbia pazienza, si chiama così, che ci vuol fare?... Dunque... se fosse qui, probabilmente, direbbe quello che dice lei dì: se stesso!... se Sono un debole! Uno sciagurato! ah, che cosa c'è nel mio cuore!... Quante ne ho viste con quella donna! ». E in verità, se riflet­tiamo severamente, non possiamo non convenire che il signor Rodolfo Veli, ex padrone di que­sta casa, se per qualche tempo ha subito il fa­scino di quella vezzosa signora, ha dovuto dav­vero passarne di brutte e, per lo meno, è tanto pietoso quanto lo è lei, caro signor Sbrendi! Conveniamone! Dunque, pietosi tutti. Stabilia­mo questo punto. Pietosa anche la signora Lui­sella, ed anche io, che non sono padrone della mia casa!--.

Omodeo                        - Va bene! Va bene! Ma dunque, che cosa vuole da me?

Giovanni Arce              - Ecco, che lei restituisca la tranquillità perduta ai miei studi, mentre dal canto mio, le restituirò, sebbene non glie l'ab­bia tolta io, la fedeltà della sua signora!

Omodeo                        - Ma son qui! Son qui! Oh, se lei lo facesse! Son pronto a tutto!...

Giovanni Arce              - Benissimo. Ora la vita, vede, bisogna guidarla, bisogna addirittura con­durla, proprio come l'autore di un romanzo conduce per la trama immaginata i suoi personaggi.

Omodeo                        - E lei m'assicura che si possa gui-dare... condurre la vita anche nel caso mio?

Giovanni Arce              - E perché no? Io ho molto riflettuto su loro tre personaggi, dico su lei, sua moglie ed anche... su quell'altro... sebbene non lo conosca... Ed ho; immaginato la soluzione del loro nodo!...

Omodeo                        - Oh, signor Arce, magari! Magari! Che cosa occorrerà fare dunque?

Giovanni Arce              - Ecco, glielo dicci subito: per il momento, mangiare di buon appetito... (indicando la tavola) Si accomodi. Vede? Ho fatto preparare anche per lei... Prendendo il nostro lunch nei ragioneremo con animo più sicuro...

Omodeo                        - No, no! Lei vuol burlarsi di me! Dopo un discorso così doloroso mi invita a Ge­lazione?

Giovanni Arce              - Oh, bella, che significa? Pensa forse che Giulio Cesare digiunasse mentre combatteva contro Aricvisto? ... Anzi, mangiava più del solito. Si rinforzi, caro signor Sbrendi, la mia cucina, non faccio per dire, è ottima. Ve­drà che al dessert le nostre idee saranno più chiare! Non mi ha promesse di lasciarsi guida­re? (Suona il campanello).

Omodeo                        - (Ma io non vedo quale relazione possa esserci tra il suo invito a colazione, e quanto a sua volta lei mi ha premesso!

Giovanni Arce              - Sicuro, a prima vista, pare che non ce ne sia alcuna. Ma mi vuol forse ne­gare lei che i rapporti tra le cose della vita sono così capillari eh'è difficile scorgerli se non vi si è abituati?

Omodeo                        - Oh, sì! Questo è vero!

Giovanni Arce              - E dunque, si lasci servire da uno che, in materia, è più esercitato di lei. S'accomodi!

                                      - (Omodeo scrolla le spalle e si siede al posto indicato; Giovanni gli si siede di fronte, mentre si presenta Lamino, il quale non può dominare un moto di stupore).

Giovanni Arce              - Lanzino, serviteci un anti­pasto da innaffiare con il Capri bianco che i nostri fornitori ci hanno inviato poc'anzi... E sol­lecitate il resto...

Lanzino                         - (in preda ad agitazione) Sicuro... subito...

Giovanni Arce              - Dunque, non v'indugiate ancora così!...

Lanzino                         - (indeciso, tremante, uscendo) Corro!... Corro!...

Giovanni Arce              -: Vede? Anche il mio came­riere spesso si meraviglia di alcune cose che per me, invece, sono chiarissime. Egli, come lei, non riesce a cogliere a colpo d'occhio quei rapporti capillari che sottoposti ad un esame più rigoroso, si rivelano ben altrimenti che ca­pillari, ingrossandosi a tal punto sotto lo sguardo dell'osservatore da prendere l'aspetto di vere catene di ferro; quelle tiranniche catene entro cui l'umanità si agita senza riuscire a spezzarle, econservando tuttavia l'illusione della libertà... Un giuoco, caro signor Sbrendi, assai crudele, mi creda. Perciò per prima cosa, necessario è nutrirsi solido, appunto per aver la forza di reggere ad un tal giuoco. (A Lamino il quale è rientrato e ha già servito l’antipasto) Mangi, signor Sbrendi, m'ascolti. E tu Lanzino, versa!

Lanzino                         - (tremando) Sicuro... verso... e... volevo dire... tanto per sapermi regolare... se tornassero le due persone...

Giovanni Arce              - (come sovvenendosi) Ah, quelle dello champagne!... Benissimo, auguria­moci che ce lo rechino a puntino per il dessert! Un po' dì champagne, signor Sbrendi, è neces­sarie... rianima!... (Squillo di campanello).

Lanzino                         - (con angoscia) Professore, suo­nano!

Giovanni Arce              - Non c'era bisogno che me lo dicessi. L'ho sentito! (Squillo di campa­nello).

Lanzino                         - (disperatamente) Suonano, pro­fessore!...

Giovanni Arce              - Se lo dici la terza volta, ti tiro questa bottiglia!...

Lanzino                         - (con desolata rassegnazione) E va bene, vo' ad aprire!...

Omodeo                        - (appena uscito Lanzino, alzandosi) Signor Arce, per carità!... Non mi metta, in nuove angosce!... Ho capito tutto!... E' mia moglie!

Giovanni Arce              - Ma si sieda! Non abbia paura!

Omodeo                        - Non posso! La prego! La suppli­co... Incontrarla qui!... E' orribile!... Mi na­scondo. ..

Giovanni Arce              - (afferrandolo per la giacca) Si sieda, le dico!

Omodeo                        - (sentendo qualcuno alla porta) E' qui, è qui... Non posso! Mi nascondo! (Si li­bera con uno strattone e scompare dietro il pa­ravento).

Amilcare                       - (precipitandosi da destra con il cappello in capo, ed il bastone in mano) Dov'è? Dove sono? (Scorgendo Giovanni Arce, che rimane impassibile alla tavola) Ali, ecco­lo!... (a Giovanni) Lei è quel furfante matrico­lato di filosofo, che con la scusa della filosofia...

Giovanni Arce              - Sicuro, sono io! Ma lei chi è?

Lanzino                         - (comparendo tutto indolenzito) Professore, questo è un brigante, mi ha dato una spinta, mi ha picchiato con il bastone!...

Giovanni Arce              - (impassibile) Mi meravi­glio. Ma può darsi che egli abbia questo' modo di farsi annunziare... Veniamo ora al noc­ciolo.

Amilcare                       - (fremendo) Ha pure la sfaccia­taggine di starsene lì, e pretendere di prender­mi in giro!... Ma lo sa che io sono in un orga­smo spaventevole!... Che sono buono a pic­chiarle, scazzottarlo, ammaccarlo, pestarlo, ri­durlo un cencio?

Giovanni                       - Perché non dovrei crederlo! E' abbastanza robusto!

Amilcare                       - Mi dica dov'è quella sgualdrina!

Giovanni Arce              - Quale sgualdrina?

Amilcare                       - (urlando) Non scherzi! Ha ca­pito che mi esaspera?

Giovanni Arce              - Se non mi dice chi è la sgualdrina, come posso saperlo? Ne ho conosciute tante!

Amilcare                       - (torcendosi dalla rabbia) Ah, miserabile... filosofo... idiota!... Quella che stava seduta lì, dove si è nascosta?

Giovanni Arce              - Oh, poteva spiegarsi pri­ma, perbacco! Ma lì, dietro il paravento!...

Amilcare                       - Ah, è lì, è lì! (Si precipita, poi arretrando mortificato) Lei, signor Sbrendi!

Omodeo                        - (venendo avanti) Lei, signor Sodi?

Giovanni Arce              - Meno male! Si conoscono. Lanzino, un altro coperto per il signore... Noi, come vede, signor Sodi, si stava tranquillamene te mangiando. Si accomodi, così non turberà il nostro frugale pasto.

Amilcare -                     - Domando scusa... bisogna che mi spieghi... Oh, signor Sbrendi, conosco la sua sciagura... Sì... sì... Devo dirlo, ecco, perché lei più facilmente mi compatisca... e anche lei... signor Arce... Eh, sì... perché lei è il signor Arce, l'ho visto subito... dalla descrizione che me ne fa la lettera...

Giovanni Arce              - Non contraddico! Ma c'è una lettera? E' questo l'importante... Perché, vede, finora in tutto questo non riuscivo ancora a scoprire quel rapporto capillare di cui par­lavo con il mio amico. Or dunque, fuori questa lettera. Ma si accomodi, la prego. Non mi faccia un simile torto.

Amilcare                       - Se si siede lei, signor Sbrendi,: mi siedo io.

Omodeo                        - (rassegnatamente) Mi siedo.

Amilcare                       - (sedendosi e traendo la lettera) Eccola, io domando a lor signori, perché mi scusino, se poteva agire diversamente un uomo, dopo aver ricevuto questa lettera...

Giovanni Arce              - Voglia prenderne visione, signor Sbrendi.

Omodeo                        - (leggendo) « Mi vendicherò della tua villania in maniera atroce; Se non mi credi vieni domani alle undici e mezzo, in via Pale­stra 14, piano secondo, e mi troverai con il più sudicio uomo della terra... ».

Giovanni Arce              - Comprendo ora, perché mi ha riconosciuto subito!

Omodeo                        - (leggendo) « Meglio di così non potevo offenderti. Baby ».

Giovanni Arce              - Baby? Ecco il rapporto ca­pillare... (a Sodi) E lei ha creduto... si è precipitato... (a Sbrendi) Signor Sbrendi, animo... Meglio di così non potrebbe andare... Mangi, signor Sodi, beva!... Benissimo!... Ora ci por­tano lo champagne!... (Squillo di campanello).

Lanzino                         - (di dentro, gemendo) Professore, suonano!... Professore!...

Giovanni Arce              - (imitando con ironia il gemito di Lamino) Apri, cretino, ,apri!

Omodeo                        - Questa volta è lei!

Amilcare                       - Canaglia, viene davvero!

Giovanni Arce              - Immobili, amici miei, non siamo forse degli uomini?...

Luisella                         - (si precipita in iscena recando una bottiglia di champagne. Rimane irretita dallo stupore e dalla rabbia) Baby!

Baby                             - (entrando con un mazzo di rose ed un'altra bottiglia di champagne e ritraendosi impaurita) Oh!... Luisella!...

Giovanni Arce              - Non vi avevo detto, amici miei, che ci avrebbero recato h> champagne?

Luisella                         - (scattando) Omodeo, vi ordino di ritornare subito a casa! O se no...

Giovanni Arce              - Mi dispiace, gentile e vi­vace signora, ma Omodeo per quindici giorni almeno, è ospite in casa mia!

Luisella                         - (fremendo) Ah, sì?... Ah, sì?... (Guarda intorno disperatamente come alla fine del primo atto, poi sbatte in terra con tutta la forza la bottiglia di champagne) Questa, però, non ve la berrete!

 

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena degli atti precedenti. E' sera. Sono accesi il lampadario centrale e le lampa­dine della scrivania.

(Omodeo Sbrendi e Giovanni Arce sono co­modamente abbandonati su due poltrone: in pigiama e in pantofole l'uno, l'altro nel solito suo bisunto vestito. Sorbiscono lentamente due tazze di tè).

Giovanni Arce              - Come si sta bene « chez poi » le serate umide cerne questa. Quando ero in America precettore delle due bionde fanciul­le Edith e Genmiy, mi rimpizzavo di succose leccornie e ci bevevo sopra un ottimo tè, stando in pantofole accanto al fuoco con un libro in mano. Poi udivo picchiare alla porta ed erano le due mie fanciulle, le quali stanche di quel quarto d'ora d'istruzione ricevuta, uscivano in gaie toilettes, per recarsi al teatro. Stringevo le loro manine di botto, le benedicevo e le vedevo allontanarsi felici di aver compiuto il loro do­vere. Ah! che riposante silenzio allora in quella morbida casa! Che calda intimità con quel tè e con quei pasticcini.

Omodeo                        - Lei professore, non faccio per di­re, è veramente un maestro. E da quindici gior­ni che sono in casa sua, mi sento riconfortato: più forte e più tranquillo insieme. Avevo proprio bisogno di questo riposo; non vivo più nel­la tensione dolorosa di prima, non passo le notti nell'inson­nia, il pensiero del domani non mi si affaccia pauroso come per il passato, non sussulto ogni momento. Ho capito che, ad un certo punto, è necessario dire: « accada quel che può, io non ci devo lasciar la pelle ». Que­sto libro sulle basi della mora­le che lei è andato; spiegandomi giornalmente ha contribuito molto al mio nuovo modo di considerare le cose. E devo an­che dirle, che, mentre i primi giorni soffrivo assai di non ve­dere Luisella, di non sapere che cosa facesse, a poco a poco, mi son fatta ragione e non ho più insistito presso di lei, per ave­re le lettere che essa ha man­date. Giovanni Arce           - (prendendo un tono professio-nale, pedantescamente scientifico, che conserverà per tutta la scena) Caro signor Sbrendi, noi abbiamo potuto studiare insieme tranquillamen­te. E' accaduto, difatti, come io avevo supposto. La sua presenza in casa mia, ha prodotto il sa­lutare effetto di non farci venire più sua mo­glie. Se ne deduce un principio generale: « Una moglie vi dà molestia? stringetevi in salda ami­cizia, con il marito ». Ma altre leggi si possono dedurre dal nostro caso. Tali leggi io avevo in­tuito quando la invitavo a dimorare in casa mia ; ma me ne occorreva la riprova della esperienza. Stasera, giacché lei si mostra in perfetto domi­nio di sé stesso, voglio renderle conto di confor­tanti risultati ottenuti, leggendole i punti salien­ti delle lettere che in questi quindici giorni la sua beneamata signora le ha indirizzato; che lei dietro mio consiglio, non ha lette e che io, al contrario, con il suo permesso, ho aperte, stu­diate, analizzate e segnate con lapis blu. (Apren­do la cassetta della scrivania) Stia pur tranquil­lo perché della nostra revisione, avremo da com­piacerci per la sapienza della nostra condotta. Or dunque, ecco il pacco bene ordinato: sono trentasei lettere. Suppongo che sua moglie non le aveva mai scritto tanto! Induetriamoci, adesso, di sscoprire le trasformazioni dell'animo del­la graziosa signora durante questo periodo di tempo. Prima lettera: 13 novembre, cioè a dire lo stesso giorno della nostra conoscenza e della nostra prima colazione. (Leggendo) « Vigliac­co! » « Mascalzone! » «Uomo senza dignità » Tutto segnato- in blu, signor Sbrendi!

Omodeo                        - (dolorosamente) Vede? Vede?

Giovanni Arce              - Lasci fare. Continuiamo. Altra lettera del 13, ma sena. La signora ha avu­to infatti l'amabilità di scrivere infatti: 13 sera. (Leggendo) « Tu non sei ancora rientrato. Sei una vera canaglia. Sono le nove. La tua condot­ta è inqualificabile, la tua 'permanenza in codesta casa è qualcosa di vergognoso! » (Freddo e scientifico come chiosando) Vergognoso? Perché, se lei è in casa di un gentiluomo come me? (Breve Pausa) Proseguiamo! 14 mattina: « Tut­to avrei immaginato, ma non questo, che tu pas­sassi la notte fuori di casa. E' veramente osce­ne. Non c'è altra parola! Tu sei un... » (Inter-rompendosi) Devo leggere?

Omodeo                        - Legga, signor Arce!

Giovanni Arce              - (leggendo) « Sei un becco contento. Dormi in casa del mio amante Rodol­fo Veli ». Tutto segnato in blu, signor Sbrendi!

Omodeo                        - E' duro! E' dure!...

Giovanni Arce              - Ma che duro! Lasci dire; lei è in casa di Giovanni Arce, filosofo. Il signor Veli? Chi è? Chi lo conosce? Proseguiamo. An­cora 14, pomeriggio. Questa lettera segna il col­mo dell'esasperazione; sembra scritta con la sciabola anziché con la penna; tutta segnata blu, signor Sbrendi: «Vigliacco, lurido, mascalzo­ne, becco » si rincorrono in una ridda. E le dieci lettere che seguono hanno lo stesso tono delicato.

Omodeo                        - Vede, signor Arce, vede?...

Giovanni Arce              - Niente. Che devo vedere? M'accolti. Se a questo punto, voglio dire (Cercando la data dell'ultima lettera sfogliata, con l'aria di chi voglia documentare le sue asserzio­ni) ai 17 novembre sera, lei avesse letti questi messaggi, non essendo ancora abbastanza saturo di filosofia ne sarebbe stato sconvolto. Scommet­to che avrebbe risposto. Quale errore! signor Sbrendi! Non avrebbe fatto che rinfocolare Fina della sua signora. Le lettere con le quali ella avrebbe risposto, sarebbero state un delirio pirotecnico d'insulti, macché! una tempesta di male parole! (Breve pausa) Vediamo un po' in­vece quale effetto ha prodotto nel gentile e mite animo di Luisella, il silenzio pertinace dello spo­so. Ha prodotto, lo vediamo subito, in un primo tempo del silenzio. Per due giorni non scrive. Luisella tace. Per una donna che d'ordinario non ha peli sulla scioltissima lingua, dobbiamo ri­conoscere per lo meno, l'effetto è impressio­nante. (Breve pausa) La verità è che la leggia­dra signora comincia a sgomentarsi dinnanzi al suo nuovo imprevisto atteggiamento, signor Sbrendi. E, per il momento, dall'invettiva pas­sa ad una nuova tattica ch'io chiamerei «finzio­ne d'infischiamento ». Riscontriamo al 20 no­vembre, infatti, questa interessante giravolta. (Leggendo) « Caro », segnato in blu, signor Sbrendi, perché qui, caro, vuol dire « idiota », ma non importa. La signora

Luisella                         - questo è l'importante - ha capito che non la si spunta, e comincia a dar segni di meditazione, perché dalla violenza, sa passare all'ironia. Ordunque - (Leggendo) « Caro, mi diverto un mondo. Sta­sera a teatro; domani sera ad un ballo con Baby, il cui amico è in viaggio e sarà assente per otto giorni. Che gioia! ci sbrigliamo a nostro ta­lento! ». Sia vero o no, che il signor Sodi, amico della signora Baby e nostro buon commensale, sia in viaggio, non conta ricercare. Quel che con­ta è che lo faccia sapere la scrivente. Guardi, si­gnor Sbrendi, com'è divenuta riflessiva la sua Luisella, appena dopo sette giorni dalla cura cui l'abbiamo sottoposta. Ella ha pensato: Mio ma­rito sa ch'io giuoco sempre le mie partite con Baby e, senza l'aiuto di lei, non so arrischiarmi troppo. Se io dico che ne faccio di cotte e di crude, mio marito immediatamente pensa a Ba­by, e pensando a Baby pensa anche a Sodi. In quest'ultimo pensiero si tranquillizza un po'; perché immagina che Sodi ci sorvegli. Bisogna dunque far sapere al signor Sbrendi, che non siamo nemmeno sotto il controllo, di Sodi, il quale è in viaggio.

Omodeo                        - Signor Arce, lei è straordinario!

Giovanni Arce              - Macché! Straordinarie sono le donne! (Breve pausa) Ma risponda, risponda alla sua signora, amico mio, a questo punto! Ve­drà che cosa le accadrà! Corra in casa di sua mo­glie impaurito! (Breve pausa) Lei, la sera, andrà a letto senza cena, e Luisella, chiudendolo a chiave, se ne andrà a teatro, rincaserà alle ore piccole. E invece... Dopo due giorni di silenzio, durante i quali evidentemente ella sperimenta invano la nuova tattica dell'infischiamento, la realtà dà un brusco strattone alla nostra bisbe­tica. Alcuni fornitori vogliono essere pagati. E' qualcosa di sbalorditivo per Luisella, la quale non si è mai preoccupata per queste faccende. (Leggendo) « 23 novembre. - Caro, non vorrai certo farmi sfigurare dinnanzi ai fornitori che vogliono essere pagati... Se non t'importa più e davvero di me, t'importi la tua dignità. Cerne si fa a non pagare i fornitori? ». Ecco, signor Sbrendi, come alla testolina bislacca della frene­tica dama, comincia a delinearsi, sia pur rudi­mentalmente, la figura morale del marito nella prima e più rozza forma, quella economica. E' un gran fatte, su, non è uno scherzo! (Leggen­do) « 24 novembre. Parliamoci francamente. (Breve pausa) Signor Sbrendi, non sono più in­vettive, non è più ironia, il leggiadro visetto di Luisella, comincia a corrugarsi; vuol parlare francamente, lei; cioè a dire, vuol discutere, ra­gionare; accetta, dunque, di sottomettersi alle leggi ferree della logica: Luisella, illogica per eccellenza! Mi creda, la verità è che ha una la­dra paura addosso; si sente sperduta, passa le notti in un'inquieta insonnia! ed il 25 novem­bre, accenna ad un vero e proprio esame di co­scienza. « In fondo, ho commesso tante cattive­rie, per meritarmi un tal castigo?

Omodeo                        - (con commozione)             Dice davvero signor Shrendi!

Giovanni Arce              - Segnato cosi : in bleu, Ma allora... allora.. torna a me!

Omodeo                        -E' tornata!

Giovanni Arce              - Se si commuove, siamo ro­vinati!

Omodeo                        - No, no... Ecco, sono perfettamente calmo!

Giovanni Arce              - Benissimo. Quelle basi del­la morale che lei ha potuto studiare nei libri da me fornitile, la signora Luisella, da sé, empiri­camente, le scopre, andandovi a sbattere sopra in una precipitosa caduta (Breve pausa) Penso che una gambetta, un fianco, una parte più pol­posa, le rimangano indolenzite. Diamine, quelle basi sono di pietra massiccia! Ma non fa nulla! l'importante è che la signora Luisella ora cono­sca l'esistenza di quella cosa aspra eh'è la mo­rale, e che sappia come scotta quando ci si pic­chia sopra! (Leggenda) « Omodeo, ora capisco che t'ho fatto tanto male! Non dormo più, non mangio più, penso alla nostra triste situazione, ti scongiuro di tornare, o permettermi di veni­re!... Sarei venuta ma la casa deve stai mi fa orrore. Torna, vieni ad aiutarmi ad esser buona. Voglio esserlo, ma se tu non tórni subito, ridi­venterò cattiva ». Signor Sbrendi, è l'ultima let­tera!

Omodeo                        - (con le lagrime agli occhi) Senta... io credo... mi par giusto... ormai...

Giovanni Arce              - Ah, no! (Suona il campa­nello) Lei non comprometterà all'ultimo i miei esperimenti! Corra da sua moglie commosso e domani sarà come prima! Ha capito che almeno per due mesi lei dovrà tenere il tono di un uo­mo offeso, seccato, e che ne ha piene le tasche?

Omodeo                        - Cosicché?

Giovanni Arce              - (a Lamino che si è presentato come per mettere un punto fermo sul discorso precedente) La solita camomilla! (Scomparso Lamino, con il tono di un professore di chimica che abbia finito i suoi esperimenti) Stasera ab­biamo lavorato più del solito. Conviene schiac­ciarci sopra un saporito sonno.

Omodeo                        - Ma... per concludere

Giovanni Arce              - Niente!... Chiuso!... Chiu­diamo! (Richiude le lettere nella scrivania poi come passando ad altro argomento) Le dirò che l'America mi apprese il conveniente uso nottur­no della camomilla. Le mie ragazze spesso ve­nivano a servirmela personalmente, nello studio.

Omodeo                        - (come per voler tornare al discorso di prima) Però... senta, professore.„

Giovanni Arce              - Niente!... Si accomodi, si accomodi in camera... E dorma... dorma!... Do­mani, alla solita ora, ritorneremo ai nostri stu­di (Fa passare a destra Omodeo che esce rilut­tante, poi va a sedere alla scrivania, ed accende un sigaro gittando soddisfatto boccate di fumo. All'entrare di Lamino con due tazze di camo­milla, fa un cenno come per dire a qui » sulla scrivania; e quando Lamino ha posato una tazza dinanzi a lui, con un altro cenno che vuol dire « là » indica la camera di Omodeo. Uscito Lanzino s'ode uno squillo di campanello. Giovanni ha un piccolo moto di sorpresa, corruga le ciglia e mormora) Io non temo che la cosa imprevista, in quanto essa può rappresentare il caso, cioè a dire, l'elemento illogico della vita. (Altro squillo di campanello. Lanzino rientra e si ferma a guardare interrogativamente Giovanni, il quale con il moto del capo e con una breve mossa di braccia, fa capire che non c'è nulla da doman­dare e che vada ad aprire. Lanzino esce; torna poco dopo con un telegramma che presenta Gio­vanni. Giovanni l'apre contrariato, legge, si ra­schia la testa, poi a Lanzino che attende) Il tuo signor padrone è assente da 21 giorni precisi.

Lanzino                         - (china il capo e apre le braccia come per dire « può essere »).

Giovanni Arce              - Doveva rimaner fuori tren­ta giorni almeno!

Lanzino                         - (ripete la mossa di prima).

Giovanni Arce              - Mi sai dire perché mai giun­ge a mezzanotte e mezzo?

Lanzino                         - (sgomento) Giunge?... E... e... quello lì?...

Giovanni Arce              - Silenzio! Potete andare!

Lanzino                         - (vorrebbe parlare; poi se n'esce di­sgustato).

Giovanni Arce              - (rimasto solo si gratta ancora la testa, guarda l'orologio e mormora) Le die­ci: ancora due ore e mezzo-. (Fuma. Fa alcuni passi meditando, dei gesti come di chi parli con se stesso. Si ferma, si gratta la testa, torna a passeggiare per la stanza; finalmente si ferma e fissa il telefono) Questo telefono il cui ricevitore è rimasto a pendere per giorni ventuno, la not­te del giorno ventuno per un fato avverso deve risquillare. (Va alla porta di Omodeo e, dopo avere ascoltato, la, chiude. Torna avanti al tele­fono, ne prende il libro, cerca nell'elenco, e mor­mora) Farmacia... farmacia... ecco... Settanta-trè-Quarantotto (Mette la mano sui campanelli per attutirne il suono, e gira la piccola mano­vella) Favorisca 73-48... immediatamente dopo ella avrà la bontà di favorirmi altro numero... Sicuro 73-48 per adesso. Farmacia notturna... già, con posto di soccorso.,, (Pausa) Pronto... pronto... Benissimo... un medico... d'urgenza... In via Palestro, 14... piano secondo., sì, secon­do... in casa del prof. Giovanni Arce. Sì... Sicu­ro, in taxi... subito... (Toglie la comunicazione. Cerca nuovamente nel libro) Sbre... Sbre... ecco per l'appunto: Sbrendi 13-24. (Ritelefona) Am­miro la di lei solerzia... Compiacciasi favorirmi il 13-24... sicuro, 24... (Pausa) Come?... Co­me?... Non risponde? (Si gratta la testa con la mano libera) Insista... insista... per l'amor di Dio!... (Tra se) Non è in casa? No... no... non può essere... ridotta in quello stato!... In casa dev'essere!...

Lanzino                         - (è comparso dal fondo e guarda con la bocca aperta).

Giovanni Arce              - (con un gesto vittorioso) Pronto... Pronto... Signora Sbrendi?... bene. Voglia mettersi in taxi... e venire in via Palestro 14 piano secondo, ove si raduna un consulto me­dico intorno al letto dell'infermo' signor Sbren­di, suo consorte!... Sicuro... gravemente infer­mo... Perfettamente, il professore Giovanni Ar­ce!... Niente, niente... le insolenze non occorrono... sia solerte piuttosto... solerte... E già... non si sa mai... (Lascia U telefono, riflette. Scorge Lanzino, e lo manda via con lo sguardo. Quando Lanzino si è ritirato, va ad aprire la porta di Omodeo, e chiama) Signor Omodeo!

Omodeo                        - (di dentro) Eh?

Giovanni Arce              - Di già in letto?

Omodeo                        - (di dentro) No, vengo subito. (Compare, infilandosi la tunica del pigiama) Mi è parso di udire il telefono...

Giovanni Arce              - Quando si sta male, accade sempre così!

Omodeo                        - Ma io.,, non sto male.

Giovanni Arce              - Lo dice lei. Lei ha bisogno di consultare una celebrità medica che non risie­da in questa città!

Omodeo                        - Io? Sto bene!

Giovanni Arce              - Si lasci servire. In questi giorni di permanenza in casa, le è sopravvenuto imo strano ingorgo al fegato... fegatoso, diciamo, che può risolversi da sé ma può anche avere bi­sogno dell'aiuto chirurgico.

Omodeo                        - Io non me ne sono accorte (Sgo­mento).

Giovanni Arce              - Io sì, invece. Bisogna che lei parta subito.

Omodeo                        - Non ho nemmeno la mia bianche­ria, i miei vestiti...

Giovanni Arce              - Non ci pensi. A questo prov-vederà la sua signora!...

Omodeo                        - Come?... Lei?...

Giovanni Arce              - In casi gravi come il suo, non si tiene conto più di nulla... Ho dovuto avvi­sarla... Lei lo capisce... Da un momento all'altro può restare vedova...

Omodeo                        - (sbiancandosi) Professore... Ma... Ma dice davvero?...

Giovanni Arce              - Si lasci servire. Al caso, non mancherei di provvedere io anche per le ese­quie... Non ci pensi...

Omodeo                        - Ma no, mi lasci pensare, se non è... Ma sì, è uno scherzo!...

Giovanni Arce              - Senta, scherzo o non scher­zo, si inetta in letto e faccia il morto.

Omodeo                        - Morto?

Giovanni Arce              - Una via dimezzo, ecco: mo­ribondo... Con un gran male qui... al fegato... E giacché ci vuol pensare, ci pensi, e cioè s'imme­desimi... s'immedesimi...Lei deve partire... considerare... quella gran celebrità medica... Non sa se tornerà... vivo almeno... Se sua moglie vuol pei trasportare la salma è un altro conto... Ordunque, parli alla moglie discola, come uno che probabilmente sta per separarsi da lei in eterno. Raccomandazioni su raccomandazioni, dunque paternali su paternali... In treno, non parli che della sua prossima fine...

Omodeo                        - Ah! Ora capisco!...

Giovanni Arce              - Capisce? Meglio!... E dun­que s'investa... s'investa!... Faccia pesare sulla scapataggine della sua signora... il suo ingorgo fegatoso!... Glie lo faccio sentire!... E se poi... quella gran celebrità medica, avendola osserva­ta, dice che non è nulla... Allora se ne torni a casa, ma il freno, m'intende?... Il freno non lo molli più! (Squillo di campanello) A letto! Il medico!... Male qui al fegato, mi raccomando!... Un ingorgo! ahi! ahi!... si butti!... presto, mori­bondo!... (Spinge Omodeo che scompare).

Lanzino                         - (presentandosi) C'è un medico.

Giovanni Arce              - Entrare subite.

Lanzino                         - (introduce, ed esce stupito).

Giovanni Arce              - (al medico) Io stesso, egre­gio collega, mi addottorai nelle università ame­ricane. So, dunque, di qual male si tratti... Fe­gato... Lei m'insegna che quando il fegato non regge più... eh... son dolori!... Ma soffre poi ve­ramente di fegato il paziente?... 0 soffre d'im­maginazione? Questo è il problema. Orbene, dia anche lei un'occhiata, e mi dica poi, se, come io penso, non sia il caso' di far intervenire una gran celebrità medica... sa, una di quelle celebrità... (Con ironia) che nei sappiamo bene quel che valgono... Mia, lei comprende, per scrupolo di coscienza, ecco!... E' un sollievo, per l'ammalato, viaggiare, ad esempio, recarsi in un'altra città a consultare un luminare... Un'illusione; ma anche l'illusione gli fa bene!... E, dunque, lo illuda... lo illuda...

Il Medico                      - Ho comprese... Lei, caro collega, la sa lunga, lo vedo.

Giovanni Arce              - Non l'avrei disturbata, egre­gio collega, se non sapessi che l'infermo le con­ferirà un ricco onorario. Si accomodi.

Lanzino                         - (è comparso e fa dei grandi gesti a Giovanni Arce).

Giovanni Arce              - (al medico, facendolo passare nella camera di Omodeo) Faccia lei... Io mi tengo in riserbo. (Uscito il medico, volgendosi a Lanzino) Chi vi ha ordinato di fare della gin­nastica?

Lanzino                         - (allarmato, a bassa voce) C'è la si­gnora... la signora...? le le scale!...

Giovanni Arce              - Va bene. (Si siede, dando le spalle alla porta del fondo, e rimane in atteggia­mento di costernazione; quando sente i passi di Luisella dietro a sé, non fa che alzare il brac­cio sinistro indicando la porta di Omodeo) Lì!

Luisella                         - (è entrata disfatta; ma scorgendo Giovanni Arce in quel gesto, ha un ultimo im­peto di collera, e sta quasi per scagliarsi contro di lui).

Giovanni Arce              - (impassibile, ripete il gesto) il fato! Lì!

Luisella                         - (.si precipita a sinistra).

Giovanni Arce              - (si alza. Guarda l'orologio) Il treno dovrebbe essere arrivato già da sette mi­nuti. Auguriamoci che, invece, sia in ritardo.

Lanzino                         - (che assiste al lavorio di Giovanni Arce, sbalordito) Professore... professore... Non crede che ci sia da preparare qualcosa al signor padrone?... Non vuol darmi degli ordini in proposito!...

Giovanni Arce              - Perfettamente. Una sedia avanti a quello scaffale.

Lanzino                         - (titubando) Per... il signor padro­ne... dico!

Giovanni Arce              - Proprie... per il tuo pa­drone.

Lanzino                         - (stupefatto, prende una sedia e la po­sa dinanzi allo scaffale indicato) Così?

Giovanni Arce              - Salire.

Lanzino                         - Sulla sedia?

Giovanni Arce              - Dove allora?

Lanzino                         - (sale).

Giovanni Arce              - Quarto volume dia destra, terzo compartimento.

Lanzino                         - (cercando) Quarto... da destra... terzo... ah, ecco! (Presentando un grosso volu­me) Questo?

                                      - (Compare dal fondo Rodolfo Veli, cambiato nell'aspetto, la barba incolta, occhiali montati in tartaruga, seguito dal portiere che gli porta la valigia).

Rodolfo                        - Giovanni, che cosa è accaduto in casa mia? Il portiere mi ha detto... Non basta quello che ho veduto e sofferto in questi giorni! Quale improvvisata mi hai preparala?

Giovanni Arce              - Ecco (indicando il volume che ha preso dalle mani di Lamino) una lettura miracolosa... filosofia... caro mio... che filosofia! Bravo, .a momenti non ti riconoscevo... ti sei fat­ta crescere la barba... E' un prime passo... o meglio' un ritorno ai tempi belli dei nostri studi!

Rodolfo                        - Mah! Mah! Mah! (Vorrebbe par­lare, ma è trattenuto dalla presenza, di Lamino e del portiere) Andate pure, portiere... Lamino! (Escono il portiere, e Lamino).

Rodolfo                        - (riprendendo) Ma le sai ch'io non posso vivere, senza quella donna!... Che in que­sti giorni, con il pensiero di lei in capo, man­cando di sue notizie, ne ho commesso tante, che la ditta mi ha licenziato!... capisci?...

Giovanni Arce              - Quella dei pneumatici?

Rodolfo                        - Quella che mi dava tanto da poter mantenere il lusso di Luisella...

Giovanni Arce              - Ah, se è per questo, non ti preoccupare!..

Rodolfo                        - Ma che cosa dici?

Giovanni Arce              - Dico che quel lusso te l'ho tolto di dosso!...

Rodolfo                        - Mi avresti rovinato?

Giovanni Arce              - No: ragioniamo. Saresti rovinato, se, essendo licenziato dalla ditta, aves­si ancora da mantenere il lusso di Luisella. Non dovendo più mantener questo, non sei affatto rovinato.

Rodolfo                        - Giovanni, che c'è di là?... Che cosa hai fatto?... Commetti delle sciocchezze!

Giovanni Arce              - Ancora?

Rodolfo                        - Che c'è di là?

Giovanni Arce              - Ecco: il signor Omodeo Sbrendi e sua moglie. Escono.

Rodolfo                        - Ed io qui?

Giovanni Arce              - Sei ridotto in uno stato, che non ti riconoscono nemmeno...

Rodolfo                        - (cade affranto a sedere d'un lato, guardando paralizzato Omodeo Sbrendi, ehm esce appoggiandosi al braccio di sua moglie se­guito dal medico).

Giovanni Arce              - (rivolto ad Omodeo e alla si­gnora e alludendo alla presenza di Rodolfo) Queste agenzie di pompe funebri! Ancora uno! non è morto, e già mandano un rappresentante a prendere le disposizioni!... Piano, signor Sbrendi, si appoggi, si appoggi alla sua gentile signora, non si preoccupi di farle male con ili suo ingorgo... non è contagioso..

Omodeo                        - Grazie, professore... grazie... Spe­ro di guarire... arrivederla... grazie... parto subito... grazie!... (Esce dal fondo con Luisella).

Giovanni Arce              - (.si trova faccia a faccia con il medico).

Il medico                       - Credo che si tratti più che di altro, d'un malato immaginario... L'ho inviato, perciò, secondo il di lei consiglio, da quella celebrità!...

Giovanni Arce              - Egregie! collega (gli stringe la mano. Ma poi che il medico rimane come ad attendere) Ah, già... (Fa come per cercare il por­tafogli; naturalmente nella sua tasca non c'è) Abbia la compiacenza, caro collega... Pazientare un minutino... . (Lo lascia al fondo della scena, si avvicina a Rodolfo) La ditta, almeno, ti avrà liquidato...

Rodolfo                        - Sono liquidato da tutti i lati.

Giovanni Arce              - Cento lire?... fammi il pia­cere...

Rodolfo                        - (traendo sfinito il portafogli, e con­segnandolo a Giovanni Arce) Ecco: mi fai anche pagare le spese al signor Sbrendi...

Giovanni Arce              - Il medico, ch'è servito per la tua cura!... (Trae un biglietto di banca dal portafogli, lo va a porger al medico) Egregio col­lega... (Gli stringe di nuovo la mano; e quegli esce. Sta un momento ritto in mezzo alla scena. Accende un sigaro. Fuma. Si avvicina alla scri­vania, si siede; apre il volume) « Capitolo terzo: Della serenità dello spirito ». Finalmente potremo studiar tranquilli, in casa nostra!

 

FINE