LUCIO ANNEO SENECA
LE FENICIE
(o LA TEBAIDE)
Titolo originale PHOENISSAE
PERSONAGGI
Edipo
Antigone
Un messaggero
Giocasta
Un cortigiano
Polinice
Eteocle
La scena è a Tebe o nelle vicinanze di Tebe
Questo embrione di tragedia, per lo stato in cui ci è pervenuto, è irto di interrogativi. Già il titolo, a un lettore non iniziato, risulta inspiegabile, e si giustifica solo pensando che in questo caso il modello principale di Seneca sono le Fenicie di Euripide, cioè la tragedia che, come quest'abbozzo senecano, sceneggia i drammatici eventi accaduti a Tebe dopo la scoperta dell'inconscio sacrilegio di Edipo e la sua autopunizione : infatti nella tragedia euripidea il coro è formato da giovinette fenicie, cioè tebane discendenti dal fenicio Cadmo, e le da il nome. Evidentemente Seneca intendeva ormeggiare Euripide anche nel creare per la sua tragedia un analogo coro, ricavandone egualmente il titolo. Ma siccome la fondamentale traccia d'incompiutezza di questa tragedia è proprio l'assenza dei cori, che soli avrebbero potuto giustificare il titolo, io mi son permesso eccezionalmente di affiancare, al titolo Le Fenicie tramandatoci dalla tradizione migliore, anche il titolo che si trova nella cosiddetta tradizione volgata, cioè La Tebaide, che nel medesimo secolo fu poi adoperato da Stazio per il suo poema narrante il medesimo evento (la guerra fratricida fra Eteocle e Polinice, figli di Edipo), e poi sarà ripreso dal Racine per la sua prima tragedia, La Thébaide, sceneggiante anch'essa l'argomento delle Fenicie euripidee e senecane e del poema di Stazio.
Molto si è battagliato fra i critici per accertare se la tragedia sia da considerare passabilmente completa e unitaria, sì che la sua unica lacuna sia da ravvisare nell'assenza dei cori, o se invece essa sia da considerare l'accozzo di due tronconi provvisoriamente abbozzati. Al riguardo si va dall'uno all'altro estremo. C'è stato chi ha voluto considerare le Fenicie non come una tragedia vera e propria (neppure allo stato di abbozzo), ma come la giustapposizione di due suasoriae sceneggiate (una di Antigone che vuol persuadere Edipo a non uccidersi, a rassegnarsi al suo destino, ed una di Giocasta che vuol persuadere i due figli rivali a fare la pace). Ma è ipotesi insostenibile, perché di questo tipo di suasoriae a carattere drammatico non si hanno esempi nella letteratura latina; perché nella prima parte chi più a lungo parla e domina sulla scena non è Antigone, che dovrebbe persuadere, ma Edipo, che dovrebbe essere persuaso; perché tutto l'impianto dei due brani non ha nulla di diverso da quello delle altre tragedie, e quindi palesa che anche in questo caso il poeta intendeva scrivere un dramma vero e proprio; perché infine il legame fra le due parti è strettissimo, come dimostra la scena in cui il messaggero viene a supplicare Edipo d'intervenire presso i figli e Antigone si unisce alle sue preghiere. C'è stato invece chi ha voluto asserire che la tragedia è completa ad eccezione dei cori e che l'ultima scenaè la sua effettiva conclusione: Seneca, rivoluzionando il mito per i suoi intenti di predicatore moralista, avrebbe immaginato che le appassionate considerazioni di Giocala vincessero Polinicee questi acconsentisse a tornare in esilio, abbandonando il regno al fratello. E' facile rispondere che in tutto il teatro di Seneca a non è mai riscontrabile un tale ardimento nello scompaginare la canonica formulazione dei miti, e che interpretare l'ultima scena come la nascita dell'intervento di Giocasta presso i figli significa non intenderne la carica tragica, specie per quanto concerne le ultime paurose battute: il meglio del teatro di Seneca consiste appunto nel lumeggiare lo scatenamento rovinoso delle passioni giunte al color bianco, e gli interventi della saggezzanon valgono mai in esso a scongiurare le catastrofi. E poi in quest'abbozzo drammatico c'è, oltre alla mancanza dei cori, un altro evidente segno di provvisorietà: l'infedeltà alla regola dell'unità di luogo, lo spostamento della scena dalle balze del Citerone alla reggia di Tebe e poi alla spianata dinanzi alle mura della città. Anche le tragedie di Seneca che più si palesano scritte solo per la lettura (come l’'Ercole furioso) non mostrano mai di staccarsi dalla regola dell'unità di luogo.
Dunque la tragedia si sarebbe dovuta concludere con l'urto fatale e la reciproca uccisione di Eteocle e Polinice e forse anche (come avviene in Euripide) col suicidio di Giocasta sui cadaveri dei figli.
In altri termini, Seneca ha invertito i due episodi principali delle Fenicie euripidee: queste, a parte altri episodi, che forse Seneca non intendeva riprendere nella sua tragedia, si conchiudevano col disperato tentativo di riconciliare i figli, compiuto da Giocasta, col suicidio della misera madre dopo la morte di Eteocle e Polinice e con la partenza di Edipo per l'esilio insieme con la figlia Antigone. Quest'episodio Seneca ha preposto all'altro, immaginando che Edipo fosse andato volontariamente via da Tebe subito dopo l'accecamento (efr. infatti l’Edipo), e trovando modo di collegare la figura di Edipo con la situazione creata dai due fratelli rivali, mediante la scena in cui il nunzio viene a chiedere al re esule, per Tebe, l'aiuto del suo senno. Evidentemente l'episodio successivo doveva chiudersi col tragica urto fra i due fratelli e, forse, col suicidio di Giocasta: le ultime violente battute dell'abbozzo ci fanno chiaramente intendere che la tragedia avviava a questa cupa soluzione. Come nell'Ercole furioso e nelle Troiane Seneca mirava a rendere più organico l'impianto drammatico piuttosto dispersivo dei modelli euripidei.
I critici hanno ritenuto che per le prime due scene Seneca abbia contaminato le Fenicie di Euripide con l'Edipo a Colono di Sofocle, ispirandosi sia alla scena iniziale della tragedia sofoclea, in cui Edipo appare accompagnato da Antigone, sia soprattutto alle imprecazioni che in essa Edipo scaglia contro Polinice e al rifiuto da lui opposto anche lì a chi vuol ricondurlo a Tebe. Echi sofoclei sono innegabili; ma più che di contaminazione fra la tragedia di Euripide e quella di Sofocle si deve parlare, come per l’Ercole furioso e leTroiane, di una libera rielaborazione fatta da Seneca del modello euripideo. Per la scena centrale che si svolge nella reggia di Tebe taluni han ritenuto che non v'intervenga Antigone, ma la sorella Ismene.
Una tragedia che, a volerla decifrare secondo il criterio più ovvio, appare incompiuta, suggerisce l'ipotesi ch'essa sia stata composta da Seneca per ultima e che l'autore non abbia avuto il tempo di compierla, perché colto all'improvviso dall'ordine di morire inviatogli da Nerone.
Eppure a chi la legge attentamente con l'esperienza di tutto il teatro di Seneca, essa suggerisce invece altre conclusioni : in essa la tendenza ad approfondire le figure di personaggi ingigantiti e rosi dalla passione, che è la tendenza più feconda del teatro senecano, s'avverte già nella raffigurazione di Edipo e dei suoi figli, ma non riesce a prevalere sull'intento predicatorio, che ingombra fastidiosamente buona parte dei discorsi di Giocasta. Pertanto ci sembra che con questa tragedia Seneca abbia giri superato lo stadio delle esercitazioni letterarie (Edipo, Agamennone) e delle creazioni di prevalente interesse moralistico a sfondo edificatorio (Ercole sull’Eta); però lo scoperto interesse moralistico, pur atteggiandosi già in forme pessimistiche, non è ancora ristretto quasi esclusivamente agl'intermezzi corali, non e riassorbito da un prevalente interesse psicologico e artistico, me nelle Troiane, nella Medea, nella Fedra e nel Tieste: siamo su per ù al medesimo stadio rappresentato dall' Ercole furioso. Forse Scucia, insoddisfatto del primo abbozzo, deve aver abbandonato il progetto dì completare e rielaborare la tragedia; e le scene già composte, trovale frale sue carte, saranno state inserite nel corpus delle tragedie da chi, dopo la sua morte, avrà provveduto a raccoglierlo e pubblicarlo.
Alle Fenicie senecane si sono parzialmente ispirati il Racine nella già ricordata Thébaide, e l'Alfieri nel Polinice, dove olla fine Giocasta, crede di veder comparire l'ombra di Laio, così come in Seneca essa appare al delirante Edipo.
EDIPO — O sostegno del cieco genitore, o unico conforto dello stanco padre. figlia, che son tanto felice di aver generato, sia pure in quell'orrenda maniera, abbandona questo padre maledetto. Perché ti sforzi di ricondurre sul retto cammino il mio passo che si svia? Lascia ch'io incespichi e mi smarrisca; così, da solo, troverò meglio l'unica via che cerco, quella che mi strappi a questa vita e liberi il cielo e la terra dalla vista contaminatrice di quest'essere sacrilego! Com'è poco ciò che questa mia mano ha compiuto! Io non vedo più la luce, consapevole della mia colpa, ma gli altri vedono me! Perciò sciogli ormai dalla mia la tua mano che le è strettamente congiunta, lascia che il mio cieco piede anfani a capriccio. Andrò, andrò là dove il mio Citerone protende le sue cime scoscese; là dove dopo la sua corsa disperata fra i roccioni della montagna, Atteone giaque in pasto ai suoi cani stessi, preda inaudita; là dove una madre (1) condusse le sorelle, invasate dal dio, per selve oscure, fra le boscaglie che ombreggiavano la valle, e, godendo del male fatto, infisse sul tirso il capo di suo figlio, e lo andava agitando; oppure là dove il toro di Zeto si sfrenò alla corsa, trascinando l'odiato corpo (2), là dove il sangue stillante degl'irti: vi mostra ancora le tracce del galoppo feroce del toro; o là dove la rupe Ino preme, con la sua gigantesca vetta, sulla profondità del mare, là ve, fuggendo il suo delitto (3) ma commettendone uno nuovo, la madre spiccò un salto nelle onde per annegarvi il figlio e se stessa ...Felici coloro a cui una
1.Agaue.
2.Il corpo di Dirce, che, per aver imprigionato e maltrattato Antiope, la quale va generato Anfione e Zeto a Giove, fu dai due figli della sua vittima legata per punizione a un toro infuriato. Questi la trascinò dentro una fonte, che prese il nome da lei. La punizione di Dirce è raffigurata nel famoso gruppo del Toro Forense.
3.Ino, figlia di Cadmo e sorella di Agaue, aveva sposato il re tessalo Atamante. suo delitto » era stato molteplice : era incorsa nell'ira cfi Giunone per aver allevato Dioniso, figlio della sorella Semele; invasata da Dioniso, aveva partecipato o strazio di Penteo, figlio della sorella Agaue; aveva insidiato alla vita di Frisso ed Elle, figli del marito e della sua prima moglie Néfele (la nube). Quando Atamante, reso pazzo da Giunone, uccise Learco, figlio suo e di Ino, questa si buttò a mare con l'altro figlio Melicerte, e con lui fu trasmutata in divinità marina. Il suo tentato suicidio è quindi una conseguenza dei suoi delitti precedenti. Altri studiosi hanno tentato invece di emendare arbitrariamente il passo, riferendo ad Ramante il delirio che spinge Ino a precipitarsi in mare; essi non hanno inteso che Edipo insiste sui delitti della stirpe tebana.
sorte migliore assegnò così provvide madri (1)! Ma un altro luogo ancora in queste selve è fatto per me e mi richieda: voglio dirigermi là di gran corsa, e sta' pur sicura che il mio passo non vacillerà. Saprò giungervi senza guida. Perché indugio a recarmi nella mia sede fatale? Rendimi la morte, o Citerone, rendimi quella mia tana di un tempo, sì ch'io spiri da vecchio là dove avrei dovuto già spirare appena nato. Risuscita il supplizio che mi avevi preparato. Tu, che sei sempre sanguinario, spietato, crudele, feroce, sia quando uccidi sia quando rispiarmi, tu sai che questo cadavere è tuo, ti è dovuto da tanto tempo: assolvi il compito che t'affidò mio padre e che t'affidò e, ora più che mai, t'affida anche mia madre. Il mio cuore è ansioso di subire il martirio impostomi un giorno. Perché, o figlia, mi trattieni col legame del tuo nocivo affetto? Perché mi trattieni? Mio padre mi chiama. Ti seguo, ti seguo, non mi torturare più!...
Agitando l'insegna insanguinata della regalità sottrattagli, Laio imperversa; eccolo che con la nemica mano mi assale e mi scava le occhiaie vuote. Figlia, lo vedi mio padre? Io lo vedo! Sputalo via finalmente il tuo soffio funesto, o anima che hai disertato il cimento, che sei stata coraggiosa solo contro una parte del tuo corpo. Annulla gli accidiosi rinvii d'una pena che così ti sei resa più lunga, accogli completamente la morte! A che vado trascinando passivamente questo avanzo? A che vivo? Credi, sciagurato, di non poter più commettere delitti? Lo puoi ancora, te ne avverto... Perciò allontanati da tuo padre, tu che sei vergine, allontanati. Dopo l'incontro con mia madre, non c'è più nulla ch'io non deliba temere!
Antigone — Nessuna forza, o padre, potrà staccare la mia mano dal tuo corpo, nessuno potrà mai strapparti la mia compagnia. I miei fratelli si disputino pure col ferro l'insigne reggia di Labdaco, il suo florido regno, ...la parte più preziosa del gran regno di mio padre rimane a me: mio padre! Questo non riuscirà a portarmelo via né quel fratello che regge lo scettro dopo aver conquistato con la forza il regno di Tebe,né l'altro che sta sospingendo le schiere argive; neanche se Giovi; tuonasse, sconvolgendo il cielo, e la folgore piombasse proprio sull'intreccio delle nostre mani, io ritirerei la mia. Vietamelo pure, o padre: io ti sosterrò anche se non vuoi, ti guiderò i passi anche contro la
(1)Edipo vuol dire che Ino, provvedendo di persona ad uccidere il figlio Melicerte, è stata più benefica di Giocasta, la quale lasciò che altri le esponesse il figlio Edipo e perciò, facendo in modo ch'egli si salvasse, lo fece cadere successivamente nell'orrore dell'incesto.
tua volontà. Vuoi dirigerti al piano? vengo con te. Vuoi scalare le impervie pareti? Non ti sbarro il passo, anzi ti precedo. Dovunque tu voglia andare, serviti di mecome guida. Ogni via che scegli sarà scelta per tutti e due: non puoi morire senza di me, lo puoi solo con me. Qui un alto roccione si staglia sulla ripida vetta e domina da lungi la sottoposta distesa del mare: vuoi che ci dirigiamo lassù? Qui sta in bilico un nudo lastrone, qui la terra squarciata apre le sue gole in un baratro immenso: vuoi che ci dirigiamo laggiù? Qui precipita un rapinoso torrente e rotola con sé le scaglie cadute dal monte ch'esso ha corroso: vuoi che ci buttiamo nelle sue acque? Purché possa essere la prima, vado dovunque tu vuoi. Non ti distolgo, non ti incito. Vuoi sopprimerti, o padre, la morte è il tuo supremo desiderio? Se vuoi morire, ti precedo; se vuoi vivere, ti seguo. Ma cerca di piegare il tuo spirito, risuscita la magnanimità tua d'un tempo, vinci e soffoca le tue sciagure colla tua grande fermezza; sta' saldo: in tale abisso di sventure, morire è confessare la propria disfatta.
Edipo- Donde è venuto nella mia sacrilega casa questo modello d’eroica virtù? Donde è venuta codesta vergine così dissimile dalla sua schiatta? O Fortuna, vuoi proprio farmelo credere? può esser nata da me una pia creatura? Ma no, conosco bene il mio destino : questo non potrebbe mai essere, se non per produrre un male! La natura stessa capovolgerà le sue leggi: i fiumi torneranno indietro e volgeranno il rapido corso verso la sorgente, la fiaccola di Febo apporterà la notte, Espero susciterà il giorno; perché un altro malanno s'aggiunga alle mie sciagure, saremo anche pii! C'è una salvezza per Edipo: non trovare salvezza! Debbo vendicare mio padre ch'è ancora invendicato. Perché, o destra imbelle, indugi ad infliggermi il castigo? Tutto quello che hai compiuto finora lo hai offerto in espiazione a mia madre. Abbandona la mano di tuo padre, o vergine coraggiosa : tutto ciò che fai mi rende più lunga e lenta la morte; un interminabile funerale tu celebri a tuo padre, condannandolo a vivere. Cela finalmente sotterra questo corpo maledetto; ciò che fai, pur coi migliori sentimenti, è un peccato; credi che sia atto di pietà trascinare tuo padre insepolto? Chi vuol impedire la morte a uno che vi anela non è meno colpevole di chi costringe a morire uno che non vuole morire. Vietar di morire ad uno che brama la morte equivale a ucciderlo. Anzi i due delitti non sono uguali; io giudico più grave il primo: preterisco che la morte mi sia imposta anziché mi sia negata. Cessa dal tuo proposito, o vergine : il diritto di vita e di morte su me appartiene solo a me. Se ho abbandonato spontaneamente il regno, conservo ancora il regno su me stesso. Se sei una compagna fedele, da' una spada a tuo padre, ma proprio quella spada ch'io ho resa celebre uccidendo con essa il padre mio. Me la vuoi dare? O i miei figli posseggono anche quella insieme col regno? Farà il suo servizio dovunque si trovi. Stia pure li; gliela lascio. La possegga pure un figlio mio, anzi l'uno e l'altro. Tu ammonticchia piuttosto una grossa catasta da cui scaturiscano le fiamme; mi getterò da me sulla voragine del rogo, mi terrò avvinghiato al suo fuoco, scalerò quella funebre mole, e vi scioglierò dentro questo cuore di pietra, v'incenerirò tutto ciò ch'è rimasto vitale m me. Dov'è l'implacabile mare? Conducimi dove ci sia una cima slabbrata in precipiti dirupi, dove il rapido Ismeno snoda le sue onde vorticose, conducimi dove ci siano belve, dove ci siano flutti profondi, dove ci sia un precipizio, se veramente vuoi farmi da guida : anzi, poiché ho deciso di morire, vagheggio d'andare là, sulla cima di quella rupe dove s'appollaiò la Sfinge, formulando ingannevoli enigmi con la sua bocca semiferina. Indirizza là i miei passi, lì colloca tuo padre. Perché quel luogo fatale non resti vuoto, collocavi un mostro peggiore: seduto su quella cima, io vi formulerò le oscure parole della mia sorte! E quest'enigma nessuno sarà capace di risolverlo! O tu che ari i campi posseduti dal re venuto dall'Oriente (1) e veneri religiosamente il bosco consacrato dai serpente cadmeo (2), in cui s'asconde la sacra fonte di Dirce, e tu che t'abbeveri all'Eurota e abiti Sparta, illustre per i suoi gemelli (3), e tu che coltivi e mieti l'Elide e il Parnaso e i campi del pingue suolo di Boezia, prestatemi ascolto. L'atroce flagello di Tebe, che chiudeva in oscure "cadenze le sue parole mortifere, ha proposto enigmi uguali, enigmi così inestricabili? Genero del suo avo, rivale di suo padre, fratello dei suoi figli padre dei suoi fratelli! Con un solo parto l'ava ha generato figli a suo marito e nipoti a se stessa! Chi può spiegare simili enormità? Io stesso, cheho vinto la Sfinge e ne ho riportato le spoglie, rimarrei indeciso, esitando... nell’interpretare le ambagi del mio destino! Perché sprechi ancora le tueparole? (4) perché cerchi di piegare con le preghiere il mio cuore esacerbato?
([1]) Cadmo. **
(2) Cadmo stesso si trasmutò in serpente.
(3) Castore e Polluce.
(4) Molti critici hanno ritenuto che a questo punto sian cadute alcune parche di Antigone cui Edipo replicherebbe. Ma è ipotesi non necessaria
Nel mio spirito è ferma la decisione di esalare quest'anima, che lotta da tanto tempo con la morte, e di sprofondar nelle tenebre. Per il mio delitto la cupa notte in cui mi trovo è ancor poco : voglio appiattarmi nel Tartaro, anche più giù del Tartaro, se è possibile; finalmente desidero ciò che da tempo occorreva fare. Non mi si può impedir di morire. Mi negherai un ferro? mi sbarrerai i pericolosi sentieri da cui si può precipitare e m'impedirai di cacciare il collo entro un nodo scorsoio? mi porterai via le erbe che danno la morte? Ma a che cosa gioverà in conclusione tutta questa tua sollecitudine? La morte è dappertutto! Dio ha provveduto a meraviglia a queste necessità: tutti possono toglier la vita al proprio simile, ma nessuno può togliergli la morte; le vie per giungervi sono infinite.
Io non ti chiedo nulla : il mio coraggio sa bene usare anche le nude mani... E ora, o mia mano, vieni con tutto il tuo slancio, con tutta la tua rabbia, con tutte le tue forze! Non designo un posto solo per la ferita mortale: tutto il mio corpo è impuro! Piantami addosso la morte da qualunque parte vuoi, lacerami il corpo, strappami il cuore zeppo di tanti delitti, ponimi a nudo tutte le pieghe delle viscere! Spaccata dagl'iterati colpi strida la gola, e le vene, squarciate dalle unghie che dentro vi avrai confitte, facciano zampillare il sangue! Oppure dirigi la tua rabbia verso il punto che già conosci : riapri queste piaghe e irrorale abbondantemente di sangue e di marcia. Strappa per di qua quest'anima così tenace e indomabile. E tu, padre, quale che sia il luogo da cui assisti implacabile al mio castigo, ascoltami : io non ho mai creduto che questo mio mostruoso delitto potesse essere sufficientemente espiato da una qualsiasi pena, non mi sono contentato affatto di questa morte del senso, non ho inteso pagare il mio debito con una parte sola di me stesso: per placarti ho voluto morire brano a brano... Ora riscuoti finalmente il totale del tuo credito. Ora pago veramente il fio, prima non t'ho offerto se non un sacrificio funebre. Sorgimi da presso, spingi nelle mie carni questa mano che esita e immergila più a fondo: nella sua fiacchezza, allora essa mi ha spruzzato il capo solo d'una piccola libagione ed ha saputo solo sradicare a mala pena gli occhi che pur bramavano di seguirla. Anche ora il coraggio vacilla sulle mie dita, vacilla, come allora che gli occhi s'infilzarono sulla mano mentre essa si traeva indietro. Potrei sentir definire così il vero Edipo: le tue mani sono state meno pronte e coraggiose a scavare le tue orbite che queste ad andar loro incontro. Ora affonda la mano nel cervello: perfeziona la tua morte attraverso il varco da cui ho cominciato a morire.
Antigone— O magnanimo padre, ascolta, ti scongiuro, poche parole della sventurata figlia tua, ascoltale con animo placato! Non ti chiedo di poterti ricondurre al fulgore dell'antica reggia, alla maestà del regno traboccante della sua florida possanza, né ti chiedo di sopportare con calma e mansuetudine il gorgo del furioso orrore, che neppure il volgere del tempo ha saputo placare; ma questo dovrebbe convenire a un uomo della tua tempra : non sottostare al dolore, non volgere le spalle ai mali, confessandoti vinto: Non è segno di valore, come tu credi, aver paura della vita, o padre, ma fare argine alla valanga delle sciagure, senza fuggire o ripiegare. Chi ha calpestato il destino, chi ha strappato e gettato via da se 1 beni della vita e ha aggravato con le sue mani stesse le proprie sciagure, chi non ha più bisogno degli dei, perché dovrebbe desiderare la morte, perché dovrebbe cercarla? L'una e l'altra cosa sono da vili: non è vero che chi brama la morte non la tema. Chi è giunto al limite estremo dei mah è ormai al sicuro. Ormai chi degli dei, anche ammettendo che lovoglia, potrebbe aggiungere qualcosa ai tuoi mali? Tu stesso ormai non puoi aggiungervi nulla, tranne che reputarti degno della morte... Ma tu non lo sei; nessuna colpa ha sfiorato il tuo cuore. E questo, o padre, proclama ancora di più la tua innocenza: che tu sei incolpevole persino contro la volontà degli dei. Che cosa può averti inasprito, che cosa può aver piantato nuovi aculei nel tuo cuore dolente? Che cosa ti spinge verso l'inferna sede e ti discaccia da questa? Vuoi privarti della luce del giorno? Ma ne sei già privo! Vuoi fuggire la tua reggia insigne per le sue alte mura, vuoi fuggire la tua patria? Ma la patria è già morta per te, mentre eri vivo! Vuoi fuggire i figli e la madre? Ma la fortuna ti ha già allontanato dalla vista di tutti loro: tutto ciò che la morte può togliere a un uomo, te l'ha già tolto la vita! La moltitudine che si prostra acclamando al re? Ma la folla che s'accalcava intorno alla tua fortuna, tu stesso le hai ordinato d'allontanarsi! E allora chi vuoi fuggire, o padre?
Edipo — Me voglio fuggire, voglio fuggire il mio cuore che è consapevole di tutti i miei delitti, voglio fuggire questa mano e questo cielo e gli dei, voglio fuggire gli atroci delitti che ho commessi, pur essendo innocente! Io calpestare questo suolo su cui s'innalza la messe di Cerere? Io respirare quest'aria con la mia bocca che la appesta? Io dissetarmi con sorsi d'acqua e godere dei doni dell'alma madre terra? Io sacrilego, incestuoso, esecrabile, toccare questa casta mano? Io sentir vibrare ai miei orecchi i suoni che mi facciano udire il nome di padre o di figlio? Oh, potessi spezzare questi canali, potessi sradicarmi a forza di mani tutti i passaggi attraverso i quali i suoni filtrano dentro di me e le parole s'aprono un angusto varco! Allora, o figlia, già sarei riuscito, io padre sciagurato, a perdere il senso della tua presenza, che è una testimonianza delle mie colpe! Per questa via la mia empietà mi rimane impressa e s'inacerbisce, gli orecchi mi insinuano tutto ciò con cui voi, o miei occhi, non potete più tormentarmi. Perché non ho gettato fra le ombre dell'eterno Dite questo capo che è già gravato di tenebre? Perché trattengo ancora qui i miei Mani? Perché peso ancora sulla terra e vado errando frammisto alle creature della luce? Ho ancora qualche altra sciagura da subire? Il regno, i genitori, i figli, persino l'onore e la gloria rara d'un acuto ingegno sono svaniti per me, la fortuna avversa m'ha tolto tutto. Mi rimanevano le lagrime: m'ha tolto anche queste. Desisti, il mio cuore è sordo ad ogni preghiera e va cercando un nuovo genere di supplizio, che pareggi i mici delitti. Ma ve n'è uno che potrebbe pareggiarli? Se già quand'ero appena nato sono stato condannato a morte!... Chi mai ha avuto in sorte un così maligno destino? Non ero ancora venuto alla luce, non avevo ancora infranto le barriere dell'utero materno, e già ero oggetto di timore! Alcuni bimbi, appena nati, sono stati ghermiti dal buio della morte e strappati alla luce della lorotenera esistenza. Su me la morte ha volteggiato prima ancora ch'io nascessi. Qualcuno fra le stesse viscere materne ha subito precocemente la morte per volontà del fato: ma essa veniva forse a castigare un peccato commesso là dentro? E così, mentre io ero nascosto, racchiuso nell'alvo materno, mentre ancora non si sapeva se sarei riuscito a vedere la luce o no, un dio mi proclamò reo di un delitto esecrando; e in base alla sua testimonianza mio padre mi condannò, trapassò con un filo di ferro in candescente i miei teneri piedi e mi gettò nella profondità d'un bosco, in pasto alle belve e agli uccelli da preda, che il maledetto Citerone nutre, irrorandoli spesso di sangue regale. Ma il bimbo che un dio condannò e il padre gettò alla ventura, anche la morte lo rinnegò. E così dovetti testimoniare la veridicità dell'oracolo di Delfi: assalii mio padre e lo abbattei, commettendo un sacrilego assassinio! Ma quest'empietà sarà riscattata da un'azione veramente pia : se ho ucciso mio padre, d'altro canto ho amato mia madre! Mi vergogno di parlare del mio imeneo, delle nostre fiaccole nuziali! Ma pure costringiti a soffrire quest'altro tormento, anche se ti ripugna, proclama il tuo misfatto inaudito, disumano, mostruoso, che farà raccapricciare il mondo, che parrà incredibile ai secoli venturi, che farebbe orrore a un parricida! Nel talamo di mio padre ho recato le mani cosparse del sangue di mio padre, e come ricompensa al mio delitto ho ricevuto un dono ch'è stato causa d'un delitto anche peggiore! Lieve è stato al confronto il delitto commesso contro mio padre : nel mio talamo è stata condotta mia madre e, perché il nuovo delitto non rimanesse a mezzo, vi è stata fecondata! La natura non può escogitare un misfatto più nefando. E se invece è possibile che ce ne sia ancora uno peggiore, io ho generato chi ne sarebbe capace! Ho gettato via lo scettro che m'ero guadagnato assassinando mio padre, ed esso ha già armato altre mani le une contro le altre! Conosco bene il destino del mio regno: nessuno riuscirà a conquistarlo senza versare un sangue consacrato! Il mio cuore di padre presagisce terribili sciagure. E' già sparso il seme delle future calamità : i patti giurati sono infranti; l'uno, dopo esser salito al trono, rifiuta di cederlo, l'altro s'appella al suo buon diritto e agli dei testimoni de' giuramento, e dal suo esilio solleva in armi Argo e le greche città. Sulla stremata Tebe incombe una tremenda rovina; le stanno sul capo dardi, incendi, stragi e altre sciagure, se ve n'è di peggiori; così tutti sapranno ch'essi sono miei figli!
Antigone — Ma, padre, se per te non c'è altra ragione di vivere, proprio questa ti rimane, e ce n'è d'avanzo: colla tua autorità paterna devi tenere a freno il furore scatenato dei figli. Solo tu puoi scongiurare la minaccia di un'empia guerra, solo tu puoi moderare quei giovani dissennati, dare la pace ai tuoi concittadini, assicurare la tranquillità alla tuapatria, ridare autorità ai patti violati. Se ti togli la vita, la togli anche a molti altri.
Edipo— Ma nutrono affetto verso il padre o amore per la giustizia quei due, avidi come sono di sangue, di dominio, di guerra, d'inganni, pieni di nequizia e di scelleratezza, insomma degni figli miei? Fanno a gara nel commettere ogni sorta di delitti, calpestano ogni legge quando l'ira li trascina nel suo vortice; sono nati da un sacrilegio, e perciò non rifuggono da nessun sacrilegio. Non li piega il rispetto verso un padre così sciagurato, non li commuove il pensiero della patria : il loro cuore è in preda all'ossessione del trono. So già dove sono capaci d'arrivare, so che enormità stanno macchinando, e per questo cerco un mezzo morire in tempo; ho fretta di scomparire prima che nella mia casa spunti uno più colpevole di me. Figlia, perché ti sei avviticchiata alle mie ginocchia e piangi? Perché vuoi domare con le preghiere chi è indomabile? La fortuna ha questo solo mezzo per piegarmi, dopo che tutti gli altri han dovuto cedere: tu sola sei capace di raddolcire i miei disperati propositi, tu che in una casa come la nostra sei la sola che può insegnare la pietà. Nulla può riuscirmi sgradito o penoso se so che lo vuoi tu. Su, comanda: questo Edipo sarà capace di traversare a nuoto il mare Egeo se glielo ordinerai tu, sarà capace di aspirare le fiamme che la terra sprigiona dalla sicula montagna agitando lingue di fuoco, sarà capace di offrirsi al drago, che orribilmente infuria per il furto operato da Ercole nel suo bosco; se glielo ordinerai tu sarà capace di dare il proprio fegato in pasto agli uccelli rapaci, se glielo ordinerai tu sarà capace di vivere (1)!
Un messaggero - Edipo - Antigone
Il messaggero — O tu che da una stirpe regale sei nato per fornire un terribile esempio, Tebe t'invoca, nel terrore della guerra fratricida, e ti chiede d'allontanare le fiaccole incendiarie dai tetti della patria. Non si tratta solo di minacce : la catastrofe ormai è imminente. Quello dei due fratelli che reclama il trono, secondo l'avvicendamento pattuito, ora muove alla guerra le stirpi della Grecia tutta; sette accampamenti insidiano le mura di Tebe. Soccorrici, allontana la guerra insieme e il delitto che vi è connesso.
Edipo— Ed io sarei l'uomo adatto ad impedire che si commetta un delitto, l'uomo capace d'insegnare ad astenersi dal sangue dei congiunti?
Io, proprio io, posso essere maestro di giustizia e di affetti familiari? Ma essi ora bramano di seguire l'esempio dei miei delitti, ardono d'imitarmi! Lo riconosco volentieri e gliene do lode, anzi li esorto a compiere qualche azione degna di un simile padre! Su, miadiletta prole, provate coi fatti la vostra nobile discendenzae l'eredità che ne è
rimasta impressa sul vostro carattere, offuscate la gloria delle mie onorevoli imprese, fate quali ma susciti in vostro padre la soddisfazione per essere rimasto in vita! E lo farete, lo so, perché so bene da chi siete
(1) Poiché la scena termina con un verso dimezzato, la maggioranza dei critici ritiene chefra questa e la scena successiva sia da porre una lacuna più o me io considerevole. Ma anche nelle Troiane la descrizione della morte di Astianatte termina con un verso dimezzato e nessuno ha pensato ad una lacuna.
nati! Una così nobile schiatta deve trascorrere a delitti mostruosi, inauditi! Impugnate le armi, gettate, le fiaccole incendiarie sui templi della patria, mietete col fuoco le spighe del suolo natale, ponete tutto a soqquadro, travolgete ogni cosa nella rovina, sradicate d'ogni parte le mura, spianatele, seppellite gli dei sotto le macerie dei templi, insozzate e fondete nel fuoco i Lari, diroccate dalle fondamenta tutta la reggia! Arda tutta la città... e il fuoco prenda l’avvio dal mio talamo!
Antigone— Placa la furia selvaggia del tuo rancore, lasciati commuovere dalle comuni sciagure, vieni ad instillare nei tuoi figli il gusto per la tranquillità e la pace.
Edipo — E il vecchio a cui ti rivolgi ti sembra animato da propositi di mansuetudine? Ti sembra ch'egli ami la pace al punto da collaborare a ristabilirla? Ma il mio cuore è gonfio d'ira, il mio rancore ribolle in un gorgo smisurato; io bramo un disastro più immane di quello che si sforzano di provocare il caso e la demenza di quei giovani. La guerra civile non è ancora abbastanza per me: il fratello deve avventarsisul fratello.E anche questo non è abbastanza: perché il sacrilegio si compia secondo il mio stile, come deve compiersi, e faccia onore al mio talamo, date armi anche alla madre... Nessuno pensi di snidarmi da questi boschi: mi appiatterò nell’incavo di una roccia corrosa o mi nasconderò coprendomi sotto un folto intrico di rami. Di lì cercherò di cogliere a volotutti gliechi più confusi delle notizie, cercherò di sentire, perché l'udito mi è rimasto, il fragore dell'orrenda guerra fratricida!
Giocasta - Un cortigiano
La scena ora si è spostata a Tebe.
Giocasta — Felice Agaue! Con la stessa mano con cuiaveva compiuto l'orrendo delitto, ne agitò le spoglie e, divenuta sanguinaria Menade, brandì gli avanzi del figlio che aveva sbranato. Quel delitto lo commise, ma nella sua disgrazia non trascorse oltre i limiti di quel solo delitto. Quanto a me, invece, dire che sono delinquente è poco: ho reso delinquenti gli altri. E anche questo è poco: ho partorito altri delinquenti! E oraanche questo mancava alle mie sciagure,di dover amare un nemico!
Già tre volte il gelo invernale ha fatto cadere la neve e già tre volte la messe è stata recisa dalla falce, da che mio figlio va errando in esilio, e profugo, senza patria, implora soccorso ai re dei Greci. Ora è divenuto genero d'Adrasto, sotto il cui scettro è il mare che l'Istmo solca; questi va guidando le sue genti e insieme altri sette regni in aiuto al genero... E io non so che cosa desiderare, che decisione prendere! Egli reclama il regno : il motivo del suo reclamo è giusto, ma ingiusto è il modo con cuiavanza. Ed io, che sono la madre, quali preghiere posso formulare? Dall'una e dall'altra parte scorgo un figlio: non posso manifestare il mio affetto senza rinnegarlo; qualunque cosa mi augurassi per uno dei miei figli non potrebbe avverarsi che a danno dell'altro. Ma, per quanto io li ami tutti e due con uguale affetto, il mio cuore, che parteggia sempre per più debole, propende per la causa più giusta, tanto più ch'è perseguitata dalla sfortuna : i capricci della fortuna fanno aumentare l'affetto dei familiari per uno sventurato.
Il cortigiano — Regina, mentre tu consumi il tuo tempo in pianti e in gemiti, l'esercito nemico è alle porte, con le armi in pugno, in tutta la sua spaventosa imponenza; già le trombe suonano l'appello e l'alfiere, agitando l'insegna, chiama alla pugna. I re, disponendo in ordine le loro truppe, preparano sette assalti coordinati, che la progenie di Cadmo muove ad affrontare con uguale slancio; i soldati si corrono incontro d'ambo le parti con impeto selvaggio. Lo vedi? Una fosca nube di polvere ricopre il giorno, dal campo si sollevano fino al cielo cortine come di fumo, sprigionate dalla terra che gli zoccoli dei cavalli calpestano; se non è il terrore a turbarci lo sguardo, vedo brillare le insegne nemiche. Le prime file s'avanzano brandendo le lance, i vessilli recano i nomi dei condottieri tracciati solennemente in lettere d'oro. Corri, risuscita nei due fratelli l'affetto reciproco, ridà la pace a noi tutti, impedisci l'empio cozzo delle armi gettandovi in mezzo il tuo corpo di madre.
Antigone - Giocasta - Il cortigiano
Antigone — Affrettati, madre, affrettati, accelera il passo, ferma i dardi, strappa il ferro di mano ai fratelli, poni il tuo nudo petto fra le spade
nemiche : devi soffocare la guerra, o madre, o esser la prima a subirne i colpi.
Giocasta — Vado, vado : offrirò la mia testa alle armi, in mezzo alle armi mi ergerò; chi vorrà assalire il proprio fratello, dovrà assalire prima sua madre. Chi è ancora capace d'affetto deporrà la spada appena sua madre glielo chiederà; chi non lo è dovrà cominciare con l'uccidere me. Io, vecchia come sono, riuscirò a trattenere quei giovani ardenti. In mia presenza non sarà commesso nessun sacrilegio; o se saranno capaci di commetterne uno in mia presenza, non sarà il solo!
Antigone— Già le insegne lampeggiano addossate le une alle altre, risuona l'urlo delle schiere nemiche; il delitto s'approssima: madre, previenilo con le tue preghiere. Ma che è mai? Sembrerebbe che i miei pianti li avessero commossi, tanto pigramente le schiere avanzano, con le armi abbassate! Ma se i soldati avanzano adagio, i due capi s'affrettano!
Giocasta — Qual turbine, nel suo furibondo gorgo procelloso, ratto mi trascinerà attraverso lo spiro delle altezze supreme? quale Sfinge o quale uccello di Stinfàlo, che oscura il giorno con la fosca nube del suo stormo, mi porterà in volo sulle sue ali ingorde? o quale fra le Arpie, che montano la guardia al re crudele, per esasperarne la fame, mi ghermirà in corsa per le alte vie del cielo e presami mi lascerà cadere fra i due eserciti ? (esce a precipizio).
Il cortigiano — E' uscita come in delirio, e forse è proprio in preda al delirio! Come vola una saetta scagliata dalla mano di un Parto, come fende veloce i flutti una chiglia in preda alle furie d'un vento rabbioso, o come ratta cade dal cielo, trascorrendo, una stella, quando solcando l'oscura volta traccia una linea retta con la sua fulminea scia luminosa, così essa, con sguardo da allucinata, è fuggita di corsa; ha separato i subito due eserciti! L'ardore guerriero, vinto da quelle preghiere di madre, s'è raffreddato; quelli che un momento prima bramavano, d'ambo le parti, di menar le mani per uccidersi a vicenda, ora tengono sospesi i dardi bilanciati dalla destra. L'idea della pace prevale, tutti gettano il ferro o lo ripongono nella guaina; solo in mano ai fratelli esso s'agita ancora! Ma intanto la madre, lacerandosi il seno, mostra loro i
suoi capelli bianchi, li supplica mentre essi fan le viste d'irrigidirsi, s'inonda il volto di lacrime. Chi esita a lungo se accogliere o no le preghiere di sua madre, è capace di respingerle.
Giocasta - Polinice - Eteocle
Anche adesso la scena muta, trasportandosi sotto le mura di Tebe.
Giocasta — Volgete contro di me le armi e il fuoco, contro me sola si avventi tutta la gioventù guerriera, sia quella ch'è giunta impetuosamente dalle mura d'Inaco, sia quella che scende di slancio dalla rocca di Tebe! Concittadini e nemici, colpite insieme questo ventre, che ha dato fratelli mio sposo! Sbranate e sparpagliate ovunque queste membra! Io li hogenerati entrambi!... V'affrettate a deporre la spada? o debbo dire anche da chi vi ho generati? Porgete la destra a vostra madre, porgetela finché non s'è ancora macchiata di sacrilegio. Finora è stato un errore a farci cadere in peccato contro la nostra volontà, tutta la colpa è stata della Fortuna che s'è accanita contro di noi: ma questo sarebbe il primo sacrilegio commesso consapevolmente nell'ambito della nostra famiglia. E' in vostro potere commetterlo o no: se la santità degli affetti familiari parla ancora al vostro cuore, fate a vostra madre il dono della pace; se vi ha sedotti il gusto del delitto, badate che un altro peggiore se ne prepara : vostra madre si frappone fra le vostre spade. Perciò o eliminate la guerra o colei che la ritarda. Ma a chi dei due dovrò ora rivolgere la parola, io madre disperata, che fra l'uno e l'altro debbo alternare le mie suppliche? Chi, sciagurata, dovrò abbracciare per primo? Verso tutti e due un uguale affetto mi spinge. Questi finora è stato assente; ma se il patto tra i due fratelli ha ancora valore, ora toccherà all'altro andar via. Ed io perciò non potrò Vederli mai insieme se non a tal prezzo? Abbracciami tu per primo, tu che, dopo aver sofferto tante angustie e tante pene, ora puoi rivedere tua madre, ma stremato dal lungo esilio. Avvicinati, chiudi nel fodero quell'empia spada, pianta in terra quella lancia che vibra e brama scagliata. Lo scudo impedisce al materno petto di stringersi al tuo : posa anche questo. Sciogli la fronte dal laccio dell'elmo, solleva l'orrenda visiera che ti copre la bellicosa testa e restituisci il tuo volto a tua madre. Perché volgi indietro lo sguardo e osservi con occhi diffidenti la mano di tuo fratello? Avviticchiata a te, ti coprirò tutto col mio amplesso; non ti si potrà ferire se non passando attraverso il mio corpo. Perché esiti, perché rimani irresoluto? Temi che tua madre t'inganni?
Polinice— Lo temo; ormai le leggi della natura non valgono più nulla. Dopo questo bell'esempio d'affetto fraterno non si può aver fiducia neanche della propria madre.
Giocasta— E allora rimetti la mano sull'elsa, riallacciati l'elmo, introduci di nuovo la sinistra nell'impugnatura dello scudo; mentre tuo fratello si spoglia delle armi, tu rimani armato. (a Eteocle) E allora sii tu a deporre il ferro, tu che hai la prima responsabilità d'averlo fatto snudare. Se odii la pace, se brami di gavazzare nella guerra, tua madre non ti chiede altro che una piccola tregua, il tempo di dare a questo figlio tornato dall'esilio i primi o... gli ultimi baci! Almeno, mentre vi imploro la pace, cercate di ascoltarmi senza impugnare le armi. Egli ha paura di te, tu di lui? Ebbene io ho paura di tutti e due, ma solo per voi due! Perché ti rifiuti di rimettere nel fodero la spada che hai sguainata? Cerca di capire quant'è dolce una tregua, perché, nella guerra che volete fare, la cosa più desiderabile è l'esser vinto. Temi le insidie d'un fratello che ti odia? Ma ogni volta che non si può sfuggire al destino di ingannare i propri familiari o di esserne ingannati, è meglio subire la malvagità anziché commetterla. E poi non temere : vostra madre eliminerà ogni insidia d'ambo le parti. Le mie preghiere vi hanno convinti? o debbo invidiare vostro padre? Seno venuta per scongiurare un sacrilegio o per contemplarlo più da vicino? Ah, questi ha rinfoderato la spada, la sua lancia s'è abbassata, le sue armi sono distese per terra, immote. (a Polinice) Ora, o figlio, rivolgo a te le mie suppliche di madre, ma prima di tutto le mie lagrime. Finalmente posso stringere la tua faccia che da tempo invocavo nelle mie preghiere"! Esule dal natio suolo, i Penati d'un re straniero ti proteggono! Quanti mari in ogni angolo del mondo hai dovuto traversare, quante avventure ti hanno sballottato qua e là! La sera delle nozze non è stata tua madre a condurti al talamo, non è stata la sua mano a parare a festa la casa, ad avvolgere in sacre bende le fiaccole nuziali! Tuo suocero non t'ha regalato tesori d'oro massiccio, campi, città : la dote che hai ricevuta è stata la guerra! Sei divenuto il genero dei nostri nemici, bandito dalla patria, ospite di una casa straniera; hai dovuto mendicare beni altrui, mentre eri privato dei tuoi, tu, esule senza colpa! E perché non ti mancasse nulla del destino di tuo padre, anche questo ti è toccato in comune con lui, che il tuo matrimonio è frutto d'un errore! O figlio restituitomi dopo tanti giorni, o figlio che sei il terrore e la speranza della madre tua angosciata, o figlio, che ho sempre pregato gli dei di farmi rivedere, il tuo ritorno mi ha tolto altrettanta tranquillità quant'è stata la gioia che m'ha data!
« Quando potrò cessar di temere per te?», avevo detto; e Dio, irridendo alle mie ansie, rispose: «Dovrai temere proprio lui! ». Perché, se non ci fosse la guerra, io non vedrei te, ma se non ci fossi tu, io non vedrei la guerra! Ah, che prezzo funesto e terribile ho dovuto pagare per la gioia di rivederti! Ma per tua madre è sempre una gioia. Purché però si abbassino le armi, prima che lo spietato Marte non trascenda a qualche sacrilegio: anzi è stato già un grave sacrilegio essere stati così vicini a commetterlo! Mi si ghiaccia il sangue, rabbrividisco, vedendo i due fratelli ritti l'uno di fronte all'altro, già fra gli artigli della colpa! Il terrore mi squassa le membra: quanto è mancato poco che io. La madre, dovessi assistere ad un'enormità peggiore di quella che io sciagurato padre non ha avuto il coraggio di contemplare! Anche se riuscirò a togliermi l'incubo di un simile misfatto, anche se non dovrò contemplare un orrore di questo genere, mi rimarrà sempre il raccapriccio desiare giunta quasi a contemplarlo! In nome dei fieri travagli che per nove mesi il mio seno ha dovuto patire per darti alla luce, in nome dello straordinario amore filiale di tua sorella, in nome delle occhiaie di tuopadre che, immune di qualsiasi colpa, per trarre un efferato castigo del suo errore, se le scavò, io ti scongiuro: allontana dalle mura della tua patria le sacrileghe fiaccole incendiarie, volgi indietro le insegne dell'esercito nemico... Anche se ti ritiri, già gran parte del vostro delitto è compiuta : la patria ha già visto i suoi campi sommersi dalle orde nemiche, ha visto da lungi scintillare le loro armi, ha visto i prati cadmei calpestati dalia cavalleria leggera e i comandanti guizzare qua e là dritti sui loro carri, ha visto fumare i tizzoni infuocati pronti ad incenerire le nostre case, e (delitto nuovo anche per Tebe) i fratelli che si avventavano l'uno contro l'altro! Questo l'ha veduto tutto il tuo esercito, tutto il nostro popolo, questo l'han veduto tutt'e due le sorelle, l'ha veduto la madre! Il padre dev'esser grato a se stesso se non ha potuto vederlo! Pensa ad Edipo, a quel giudice che punisce anche l'errore! Non sradicare col ferro, ti supplico, la patria tua, i tuoi Penati, non diroccare quella Tebe, su cui desideri regnare! Che delirio t'invade? Brami la patria e vuoi distruggerla? Perché sia tua vuoi che non esista più? Anzi nuoce ai tuoi disegni anche il fatto che con le anni nemiche tu ne devasti il suolo e calpesti le messi mature e costringi alla fuga tutti gli abitanti delle campagne : nessuno ha mai ridotto in questo stato la sua proprietà; se la fai mettere a ferro e a fuoco, allora vuol dire che non la ritieni tua, ma di altri. Vedete chi di voi due debba essere il re, ma lasciate intatto il regno. Queste case vuoi assalire con le armi e con le fiamme? Avrai l'animo di scrollare le mura di Anfione? Quelle mura che nessuna mano umana edificò con l'aiuto di un meccanismo che cigolando sollevasse lentamente i blocchi di pietra, ma che sorsero perché i sassi, attratti dal suono della voce e della cetra, vennero da sé a compaginarsi nelle alte torri, queste mura vorrai diroccare? Vorrai trarre di qui le spoglie come un nemico vittorioso, e i tuoi soldati trascineranno spietatamente dietro di sé, in ceppi, i comandanti tebani coetanei di tuo padre, le madri strappate alle braccia dei loro mariti e cariche di catene? Le vergini tebane mature per le nozze, confuse nel branco dei prigionieri, saranno recate in dono alle nuore argive? Ed io stessa, con le mani legate dietro le terga, sarò trascinata, io, tua madre, come ornamento del trionfo su tuo fratello? E avrai il coraggio di vedere i tuoi concittadini votati per ogni dove alla morte, allo sterminio? Avrai il coraggio di accostare il nemico alle mura che ami, di riempire di sangue e d'incendi la tua Tebe? Sei così spietato da chiudere nel petto un cuore così feroce, prono così ciecamente al furore? E non sei ancora re,... e che farai quando impugnerai lo scettro? Lascia sbollire, ti scongiuro, la pazza furia che ti gonfia il cuore, ritorna agli affetti usati.
Polinice— E che, per andar errando in un eterno esilio? per rimanere sempre bandito dalla patria e dover cercare l'ospitalità e il soccorso d'un
padre straniero? E che dovrei soffrire di peggio, se avessi tradito la fede, se fossi stato spergiuro? Dovrò pagare il fio di una perfidia altrui, e chi l'ha commessa dovrà ricevere il premio del suo delitto? Tu mi ordini di andarmene : va bene, obbedisco all'ordine di mia madre, ... ma indicami dove posso rifugiarmi. Mio fratello resti pure ad abitare nello splendore della reggia, e, quanto a me, lasciate ch'io mi rintani in una povera capanna. Ma almeno datemela, concedetemi un'umile dimora in cambio del trono. Abbandonato in proprietà alla mia sposa, dovrò subire i crudeli capricci di una consorte d'alto lignaggio, dovrò andar dietro, come un umile valletto, a un suocero insignito dello scettro? Precipitare dal trono alla schiavitù è insopportabile.
Giocasta — Se brami un regno, se la tua mano non può rimaner priva del superbo scettro, ce ne sono terre nel mondo che possono offrirti molti troni da conquistare! Di qui il Tmolo innalza le sue cime care a Bacco, ed ai suoi piedi si stendono immense pianure di fertile terra, e il Pattolo, sospingendo le sue preziose acque, inonda d'oro i campi (1); e il Meandro rigira il suo corso capriccioso attraverso campi non meno rigogliosi, e fertili son quelli che rapidamente solca l'Ermo; di lì sorge il Gargaro caro a Cerere e il suolo fecondo ricinto dallo Xanto, gonfio delle nevi dell'Ida; » e dalla parte in cui il mare abbandona il nome di Ionico " (2) e Sesto, fronteggiando Abido, ne preme l'imboccatura o là dove esso s'insinua più vicino all'Oriente e rispecchia il litorale della Licia sicuro per i suoi — numerosi porti, là tu puoi procacciarti con la spada un nuovo regno, contro quei popoli tuo suocero può condurre il suo esercito con la certezza della vittoria, domandoli- e consegnandoli al tuo scettro. Questo trono, invece, pensa che lo occupi ancora tuo padre. E allora per te è meglio l'esilio che un ritorno come questo : se rimani in esilio, la colpa sarà di altri; se torni, sarà tua. Con le forze a tua disposizione è meglio che tu faccia la mira a nuovi regni, senza macchiarti d'un delitto. In quel caso anche tuo fratello unirà le sue armi alle tue e combatterà per te. Va', conduci una guerra per cui tuo padre e tua madre possano invocare il successo delle tue anni. Un regno acquistato col delitto è più funesto di tutti gli esili. E poi pensa ai rischi d'una guerra, alle sue vicende imprevedibili e ambigue : anche se trascinassi ai tuoi ordini tutta la potenza militare della Grecia, anche se le tue schiere armate si stendessero per lungo e per largo, l'esito d'una guerra è sempre incerto. E' sempre Marte l'arbitro di ogni contesa; la spada pareggia anche due nemici diforza diseguale; la Fortuna cieca rivolge a suo capriccio le speranze e i timori. E’ incerto il guadagno cui aspiri, ma certo è invece il delitto cui esso ti spinge. Ammetti pure che gli dei coronino tutti i tuoi voti : ma intanto i tuoi concittadini dovranno sgombrare e prendere la fuga, i soldati, vittime di una strage crudele, copriranno il terreno, ... anche se tu, esultando, trarrai vittorioso le spoglie del fratello prostrato, poi dovrai fare a pezzi la palma della tua vittoria. Che cosa devi pensare d'una guerra, in cui il vincitore, se gode
della sua vittoria, commette un sacrilegio esecrabile? Quello che tu,
(1) Il Pattolo, fiume della Lidia, era ricco di sabbie aurifere.
(2) Quel lato del mare Egeo che fronteggia le coste della Ionia, nell'Asia minore brami di
sciagurato,brami di vincere, quando l’avrai vinto lo piangerai. Su sospendi questa guerra maledetta, libera la tua patria dal terrore, e i tuoi genitoridall'angoscia.
Polinice— Perché quello scellerato di mio fratello non soffre nessun castigo del suo delitto, della sua perfidia?
Giocasta— Non temere, soffrirà il suo castigo, e un castigo tremendo: dovrà regnare! Questo è il castigo. Se ne dubiti, pensa al tuo avo e a tuo padre: te l'assicurerà Cadmo e tutta la stirpe di Cadmo. Nessun re di Tebe ha potuto impugnare lo scettro senza pagarne lo scotto, tanto meno chi lo brandirà a prezzo di uno spergiuro : puoi già cominciar ad annoverare tuo fratello fra questi sciagurati.
Eteocle — Mi ci annoveri pure, non me n'importa, tanto è il desiderio che ho di giacere coi re (volgendosi a Polinice) e di vedere te annoverato nel branco degli esuli!
Giocasta— Regna pure; ma regnerai in odio ai tuoi.
Eteocle— Chi teme d'esser odiato non ha volontà di regnare: Dio fondatore del mondo ha associato sin da principio queste due cose, l'odio e il regno. Questo io credo sia il segno della grandezza d'un re: saper calpestare anche l'odio! Quando un re è amato dai suoi sudditi, da troppe cose si deve astenere; invece contro chi ti odia puoi fare tutto quello che vuoi. Chi aspira ad essere amato deve avere la mano leggera.
Giocasta — Ma il potere che suscita odio non lo si può conservare mai a lungo.
Eteocle— L'arte di regnare lasciala formulare ai re; tu pensa a prescrivere l'esilio agli altri. Io per regnare vorrei...
Giocasta— Incenerire la patria, la casa, la sposa?
Eteocle — Quale che ne sia il prezzo, il potere non lo si paga mai abbastanza.