Le furie

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LE FURIE

LE FURIE

Commedia in due tempi

di Massimo Binazzi

PERSONAGGI

IL GIUDICE WALTER RAABE

ERNA, sua moglie

ERICH

LtrDTKE

ANNI

GABRIELE

FRAULEIN KAPP

UN BAMBINO

UN GIOVINETTO

UN NEGRO

UN'EBREA

UN POETA

UN CAPORALE IN BORGHESE

LA RAGAZZA DEL CAPORALE

DUE UFFICIALI DELLE SS.

UN SERGENTE

UNA DONNA DELLA BIRRERIA

 Berlino, 1935 - Una sera d'inverno

PRIMO TEMPO

Berlino. Salotto in casa Raabe, nel Griinewald. Pa­reti e soffitto liberty. Arredamento eterogeneo: mobili tetri, ninnoli rococò; la stufa di maiolica, un tendag­gio violaceo; sulle pareti, morbidi paesaggi in cornici massicce; ai lati d'una specchiera, due candelabri in forma di serpi avviticchiate ad un albero. Fri. Kapp, immobile accanto alla finestra, lo sguardo fìsso nel buio del giardino sottostante. Si ode la voce di Erna che sta rispondendo al telefono, oltre il tendaggio semiaperto.

Voce di Erna                   - Chi parla?... Chi?... Sei tu, Klaus?... Già, è carnevale: e con questo?... Non sento bene. Da dove telefoni? Cosa?... Hai il demonio addosso?! Per­ché? Che significa?... (Ridendo) Ah, ho capito: è ma­schio o femmina?... Ma tu non sei Klaus! Chi è lei? Chi desidera?... Lei ha sbagliato numero. (Pausa) Pronto. Grete?... Walter non è ancora rientrato... No, no. Ho telefonato in Tribunale un'ora fa. Era occupa­to, in Camera di Consiglio... No: aveva, poi, un appun­tamento col Procuratore... Già, sarà stanco morto, sta­sera, immagino. Temo proprio che dovrete fare a me­no di noi... Dispiace anche a me!... Naturalmente. Scu­sami con la zia... (Seccata) Telefonerà lui, va bene. Arrivederci. (Entra in salotto, è in vestaglia, senza trucco: il viso unto di crema) Fraulein. Ma come. Lei è ancora in casa?

Frl. Kapp                         - (senza muoversi) Tarda molto a tor­nare.

Erna                                 - (va alla stufa. Ha in mano una lettera) Lei oggi fremeva d'andare all'opera, se non sbaglio. (Guar­da l'orologio al polso) Il primo atto è già cominciato. Cosa le succede, stasera?

Frl. Kapp                         - (piano) Non ha mai tardato tanto, suo marito.

Erna                                 - (guardandola) Ma cos'ha?

Frl. Kapp                         - Laggiù, dietro il cancello, sotto il lam­pione, i poliziotti. È più di un'ora che aspettano qual­cuno.

Erna                                 - (gettando distratta la lettera nel fuoco. La guarda bruciare) Fraulein, non faccia la bambina. La finisca, una buona volta. È esasperante. Ancora non le è entrato in testa...

Frl. Kapp                         - (troncando) Lei crede che quelli là stia­no tenendo d'occhio la signora ebrea del primo piano? Che timori possono nutrire nei riguardi di Frau Bernstein? È ridotta alla fame. Il marito gliel'han fatto morire di "insufficienza cardiaca"; i Magazzini requi­siti... Che vogliono, ancora, da lei?

Erna                                 - (la lettera è diventata cenere) Se la Bernstein trova qualche strozzino della sua razza disposto a pre­starle un solo pfennig, in ventiquattr'ore, glielo dico io, si ricompra mezza Berlino! Fanno benissimo a sor­vegliarla. (Pausa) La prego, vada in camera mia. Mi porti lo smalto per le unghie. (Pausa. Scattando) Frau­lein Kapp, si muova! Lei si comporta come un'insen­sata. Di che teme, si può sapere? Si rende conto che con il suo eterno malumore, lei ci infastidisce tutti, qua dentro? Insomma con chi ce l'ha?

Frl. Kapp                         - (spaventata) Mi scusi, sono vecchia. Non riesco ad abituarmi a certe cose... E sono ormai tre anni che il nazismo ci... (Si interrompe) Le porto subito lo smalto. (Esce)

Erna                                 - (gridando quasi) Cosa avremmo da temere? Se tutti rispettassero come noi gli ordini del Governo, non ci sarebbero certo poliziotti in giro! (Va alla fine­stra, apre il vetri, scruta fuori) Già. Eccoli là. Immo­bili... Si geleranno! Fa un freddo cane. Poveretti. (Chiu­de. Abbassa la saracinesca. Va a buttarsi sul divano accanto alla stufa, sbadiglia, si stira, si rannicchia tra i cuscini. Rientra Frl. Kapp con la boccetta dello smalto. Erna si alza a sedere. Prende la boccetta) Ho fame.

Frl. Kapp                         - Le porto un crostino?

Erna                                 - Con cosa?

Frl. Kapp                         - Burro e acciughe.

Erna                                 - No. Mi dia i cioccolatini.

Frl. Kapp                         - (debolmente) Signora, mi scusi, se ne mangia ancora, non mangerà più poi. Non è invitata a pranzo, stasera, dalla zia del signor giudice?

Erna                                 - Fraulein Kapp, le prediche le faccia a mio marito. Io non sono sotto la sua tutela. (Frl. Kapp le porge una scatola di cioccolatini. Erna si dipinge le unghie) Me ne scarti uno. (Frl. Kapp scarta un ciocco­latino, lo porge ad Erna, che apre la bocca addentan­dolo) Grazie, sieda qua. Perché dunque non è più an­data all'opera?

Frl. Kapp                         - Un'emicrania. Gli acciacchi dell'età.

Erna                                 - (delicatamente) Lo so, Fraulein Kapp, l'an­damento di questa casa è veramente faticoso. (Pausa) Lei ormai ha proprio bisogno di ritirarsi in un luogo tranquillo. (Pausa) Vede, io e Walter saremmo lieti di provvedere a tutto, qualora...

Frl. Kapp                         - No!... Signora, impazzirei in un ospizio. (Pausa) Ho visto nascere il signor giudice. Ho promes­so, alla sua povera mamma, che gli sarei rimasta vici­na, sempre! In punto di morte, Frau Elisabeth...

Erna                                 - (cauta) So che era un po' squilibrata, pove­retta.

Frl. Kapp                         - No, perché? Aveva solo una sensibilità diversa dalla nostra. Era viennese. E, in più, un'artista.

Erna                                 - (troncando) Mi dia un altro cioccolatino. Perché non si siede? Mio marito le aveva regalato un biglietto per l'opera. Si offenderà, temo, appena vedrà che non è più andata. ( Addenta il cioccolatino dalle dita di Fri. Kapp) Cosa rappresentano, questa sera?

Frl. Kapp                         - Le nozze di Figaro.

Erna                                 - L'ha già veduta, immagino. Quante volte l'ha veduta?

Frl. Kapp                         - Tutte quelle in cui la povera signora vi cantava. Credo proprio un centinaio di volte.

Erna                                 - Che personaggio è?

Frl. Kapp                         - Quello di un giovinetto: Cherubino. La parte del mezzosoprano, insomma.

Erna                                 - Una parte comica?

Frl. Kapp                         - Un po' triste e un po' comica.

Erna                                 - Era brava veramente? Era viva sulla scena?

Frl. Kapp                         - ( fiera) Eh!

Erna                                 - Strano!

Frl. Kapp                         - Perché?

Erna                                 - In casa, con suo marito, Frau Elisabeth, di­cevano fosse più gelida di una tomba; e non parlasse mai.

Frl. Kapp                         - ( piano) Oh, il povero signor giudice chiacchierava per tutti.

Erna                                 - Lo so, si... di che cosa chiacchierava, di so­lito?

Frl. Kapp                         - Di politica: e dell'immoralità della gente... Ce l'aveva sempre con qualcuno.

Erna                                 - E col teatro?...

Frl. Kapp                         - Dio mio, in un primo tempo, eccome! Poi, i successi della moglie, le lodi di tanta gente im­portante, lo ringalluzzirono, ma...

Erna                                 - Ma?...

Frl. Kapp                         - Col denaro della moglie, cominciò a be­re... e, fino alla fine, poveretto...

Erna                                 - Già... ( Pausa) Lei è pallida, stasera, Fràulein Kapp. Perché rimane in piedi? ( Pausa) Era veramente bella, eh?

Frl. Kapp                         - ( assorta) Se lei l'avesse veduta nel Ca­valiere della rosa. A Parigi, un critico scrisse: "È un giovane dio"... ( Declamando, tra sé) "Oh, dove vissi si beato, un giorno?"... Ottavio, già... Era un amore nelle parti di giovinetto: cosi snella... E poi Carmen, Bran-gania, Amneris, Orfeo... ( Pausa) Dov'è l'album? ( Si guarda intorno)

Erna                                 - Non so. Lo ha messo via mio marito, giorni fa.

Frl. Kapp                         - Oh, perché?...

Erna                                 - Si diceva che la povera signora fosse infeli­ce... per amore: a causa di un cantante, un bel ragaz­zo: fine, bello, ma senza cuore: e che lei avesse per­duto la testa...

Frl. Kapp                         - Menzogna. La mia signora...

Erna                                 - ( troncando dolcemente) So ch'essa le confi­dava tutto, Fràulein Kapp... La chiamava Susanna, vero? Perché?

Frl. Kapp                         - ( sorride) È il nome della cameriera del­la contessa, nelle Nozze di Figaro: cameriera ed ami­ca... ( Rumore esterno di una macchina che si avvici­na. Fri. Kapp sembra non udire) Quel giovane can­tava nel Fidelio. Lo rivedo ancora, in scena, la sera che la signora lo conobbe... Era incatenato, mi pare, in una prigione buia... Non ricordo più la trama dell'opera. La signora lo prese in simpatia: circolavano tali malignità sul conto di lui...

Erna                                 - Solo per questo?...

Frl. Kapp                         - La signora era cosiffatta, che si schie­rava sempre dalla parte degli umiliati, colpevoli o in­nocenti che fossero.

Erna                                 - ( pausa) Voglio sentirla cantare! ( Additan­do un grammofono posato su un tavolo accanto al divano) Apra là, metta un disco della signora.

Frl. Kapp                         - No!... Il signor giudice non vuole che si tocchi il grammofono.

Erna                                 - Adesso Walter non c'è. Non gli diremo nien­te. Cosa le prende?

Frl. Kapp                         - (indietreggia) Signora, la supplico!

Erna                                 - Fràulein Kapp. Non faccia la stupida.

Frl. Kapp                         - In nome del povero signorino Willy... Non apra il grammofono. Lei non...

Erna                                 - ( interrompendola, con ioga) Il signorino era figlio mio! Willy era felice quando io ascoltavo la "sua" musica!... Ma lei che c'entra?!... ( Si alza in piedi, di impeto. La boccetta dello smalto le si rovescia addosso, macchiandole mani e vestaglia) Apra il gram­mofono, le ripeto! ( Dal giardino giungono, improvvi­se, disperate grida di donna. Frl. Kapp rabbrividisce, indietreggia, vacilla. Rumore di una macchina in mo­to che si allontana rapida. Lungo silenzio. Si ode lo scatto di una serratura e il tonfo di una porta. Si in­travede, oltre la tenda semiaperta, Walter avanzarsi, lento. Walter entra in salotto, premendosi un fazzo­letto sulla bocca, il soprabito sporco di polvere. Strin­ge un pacchetto sotto il braccio)

Frl. Kapp                         - Signor giudice!

Erna                                 - ( a Frl. Kapp) Lei può andarsene. ( Corre ac­canto al marito) Walter! ( Vede il fazzoletto macchia­to di sangue) Sei ferito! Fai vedere, Walter.

Walter                              - È solo un graffio.

Erna                                 - ( a Frl. Kapp) Un disinfettante. Presto.

Walter                              - (a Erna) No. Vedi, il sangue non esce più. ( Siede. Frl. Kapp esce rapida)

Erna                                 - Chi gridava qua sotto?

Walter                              - Una pazza. La moglie di un delinquente politico condannato all'ergastolo, giorni fa.

Erna                                 - Era armata?

Walter                              - Si. Ho fatto appena in tempo ad evitare il colpo.

Erna                                 - Ho intravisto le S.S., giù, poco fa.

Walter                              - È stato il portiere ad avvertire la polizia. Aveva veduto la donna in giardino, nascosta, ad aspet­tare. Da due ore quell'esaltata stava in attesa.

Erna                                 - Ma perché non l'hanno arrestata subito?

Walter                              - Volevano vedere che intenzioni aveva: e contro chi. ( Rientra Frl. Kapp con boccetta e cotone. Walter si alza, si toglie il soprabito, muta di colpo espressione) No, Fràulein cara, non occorre. ( Apre un armadietto, prende una bottiglia, si versa da bere)

Erna                                 - ( afferra il pacchetto già buttato in una sedia) Cosa è? Cos'hai portato?

Walter                              - Una camicia.

Erna                                 - Ancora. Ma se ne hai comprate un paio, giorni fa! ( Non resiste a svolgere il pacchetto) Altre cravatte... ( In tono di rimprovero) Walter, solo per il tuo guardaroba dovremo cercare un altro apparta­mento! Qua dentro non c'è più posto.

Walter                              - (cercando nelle tasche del soprabito) L'ho perduto in giardino, certo.

Erna                                 - Cosa?

Walter                              - Un tubetto di dentifricio e uno di crema. ( A fri. Kapp immobile) Fràulein, scenda giù, per pia­cere... Un momento. Come mai non è andata a teatro?

Frl. Kapp                         - Avevo una forte emicrania.

Walter                              - Ed ora come sta?

Frl. Kapp                         - Meglio, grazie.

Walter                              - Allora vada a teatro.

Frl. Kapp                         - È tardi, ormai.

Walter                              - Arriverà in tempo per il secondo atto. ( Fri. Kapp fa un debole cenno di diniego) No. Mi da­rebbe un dispiacere se rinunciasse ailo spettacolo. ( Dolce, piano) Poi mi racconterà di Cherubino, come è stato interpretato. Su, vada. ( Fri. Kapp si ritira. Pausa)

Erna                                 - (si alza bruscamente dalla sedia) Per caso, dalla Fràulein, poco fa, ho saputo che tuo padre mori alcoolizzato. In diciannove anni di matrimonio non hai ancora reputato conveniente raccontarmi le fac­cende di casa tua. Io sono un'estranea qualsiasi, cui si racconta che "papà mori di polmonite": mentre quella ascolta dietro le tende e si diverte a vederti mentire con me.

Walter                              - Senti, falla finita, adesso. ( Appare Frl. Kapp in cappotto e cappellino)

Frl. Kapp                         - Signor giudice, pensavo che volesse fa­re il bagno, stasera.

Erna                                 - Ci penso io. Non si preoccupi.

Frl. Kapp                         - Buonanotte. ( Si ritira)

Walter                              - (seguendola) Fràulein, ha preso le chiavi di casa? Fa un freddo cane, stasera. S'è coperta bene?

Erna                                 - ( tra sé) Farò cambiare io le serrature, una volta o l'altra.

Walter                              - (rientra. Si toglie la giacca) È pronto il bagno?

Erna                                 - No. Erika è uscita. È la sua sera di permesso.

Walter                              - Ma come. Ci aspetta a pranzo la zia. È tardissimo. Devo farmi anche la barba!

Erna                                 - Ho fatto sapere alla zia che avevi un im­pegno col Procuratore. Andremo un'altra volta.

Walter                              - Un'altra volta?! Che stravaganza è que­sta?

Erna                                 - Sono le nove, ormai. Ci aspetta a casa l'I­spettore, a mezzanotte. Ha telefonato sua moglie an­che un'ora fa.

Walter                              - Ci tratterremo solo un'ora dalla zia.

Erna                                 - Io non vengo.

Walter                              - Fai i capricci come una ragazzina.

Erna                                 - Ma se muori dalla noia, in casa della zia! Chi ti costringe ad andarci?

Walter                              - Non ho mancato un carnevale, da loro; fin da quando ero bambino. Detesto le novità. De­testo d'apparire eccentrico... Non mi sembra siano molti i sacrifici che ti chiedo, di solito, no?... Se andas­si solo, penserebbero chissà che cosa. E i miei parenti voglio che non pensino niente, di noi due. Tutto va liscio, in casa nostra: per tutti, intesi?

Erna                                 - Io non vengo.

Walter                              - (lentamente le si avvicina. Viso contro viso. Piano) La zia ha invitato un tuo vecchio spasiman­te. Non ti annoierai.

Erna                                 - (provocante) Il capitano Stahl?

Walter                              - (annuisce. Ambiguo) Ti permetto di gio­carci, di tendergli le tue reti... Va bene?

Erna                                 - (bruscamente bacia le labbra di Walter) Va bene. Allora verrò. (Va verso il tendaggio) In bagno entro prima io.

Walter                              - La mia roba è pronta?

Erna                                 - Si. Sul tuo letto: smoking, camicia, scarpe e tutto. Se hai finito la tua crema, prendi la mia, sulla toilette.

Walter                              - I guanti bianchi di pelle, l'ha, poi, smac­chiati, la Fràulein?

Erna                                 - Non c'è stato tempo. Metti quelli nuovi avo­rio. Sono nel terzo cassetto. (Esce. Walter ascolta i passi della moglie che si allontanano. Va rapido al tendaggio, che tiene sollevato a metà. Si curva verso il telefono invisibile)

Walter                              - Parla il giudice Raabe. Anni, per piace­re... Anni? Puoi salire un momento?... Si, si, è urgente. Lascio la porta socchiusa... Entra. Sono in salotto. Fa' piano! (Si allontana oltre il tendaggio. Rientra d'im­peto, smarrito, porta le mani al viso, gira a caso su e giù; appoggia la fronte al muro, finché, lenta, piano, appare Anni)

Ann;                                - (dopo un lungo silenzio) Eccomi qua. Dica pure.

Walter                              - (faticosamente) È molto tempo che non ci si vede. Siedi, Anni.

Anni                                - No, grazie. Che c'è?

Walter                              - Cos'hai contro di me?

Anni                                - Mi scusi. Ho fretta. Abbiamo ospiti in casa.

Walter                              - Mi guardi male!

Anni                                - Lei sa bene quanto m'è penoso entrare qua. (Pausa) Dunque?

Walter                              - (secco) Tu hai venticinque anni; e io più di quaranta. Mi tratti con una degnazione, come se io fossi, che so, un mendicante...

Anni                                - (dura, tra sé) Già! Lei trattava Willy pro­prio cosi.

Walter                              - (piega il capo) Oh, Anni, perché?...

Anni                                - Willy... (Pausa. Si guarda attorno trasognata. Tra sé) Come lo ricordo, su questa soglia, a sei anni, i parenti schierati là, inchiodato dal suo sguardo, reci­tare la storiella di Hans, che dorme e ingoia un topo; e l'edificante poesia di Fritz, che impicca cento ne­mici al giorno. Gliele aveva insegnate lei, vero?...

Walter                              - Si, certo... come mio padre le aveva inse­gnate a me.

Anni                                - (accarezza un lembo del tendaggio) Poi, non gliela faceva più a finire la poesia: i parenti sgra­navano gli occhi, e lui rimaneva impalato qua a pian­gere; cosi bellino, quieto, gracile... e lei, da bravo prussiano, lo schiaffeggiava avanti a tutti, "per irro­bustirgli lo spirito"... (Pausa) In che cosa devo esser­le utile, dal momento che m'ha invitata a salire nel suo appartamento? (Silenzio) Le ripeto che ho fretta. (Fa per andarsene)

Walter                              - (trattenendola, con un grido soffocato) Anni!... Senti. Tu sai com'è morto Willy!... Dimmi come. Dimmi perché!

Anni                                - (si arresta, piano) Le ha detto qualcosa, quella poveretta, poco fa?

Walter                              - Hai veduto?

Anni                                - Si , l'ho sentita gridare. Sono scesa in giar­dino ; la stavano trascinando via: ma ho fatto in tem­po a riconoscerla.

Walter                              - Riconoscerla?! (Tra sé) È vero quello che essa ha detto, allora? Tu e Willy...

Anni                                - Il marito di quella donna era amico di Wil­ly, ed anche amico mio. Non mi guardi cosi, non sono pazza. Lei, dietro un consiglio "fraterno" di qualche inquisitore, ha condannato lui ed assolto i due S.A., con la scusa della legittima difesa... (Gesto sdegnoso di Walter) Per carità, non la giudico. Lei vuole fare carriera, come tutti; deve mantenere una moglie ol­tremodo decorativa... Però, tutti sanno che furono quei due S.A. ad aggredire il gruppo dei cosiddetti fuorilegge, nel Lustgarten ; quattro di loro furono mas­sacrati e il quinto... lui, appunto, il marito di quella, l'ha sistemato lei...

Walter                              - (d'impeto) Attenta. Puoi fare una brutta fine.

Anni                                - (tranquilla) La farò, certo.

Walter                              - (tormentato) Scusami, Anni!... Ma che c'entrava mio figlio con quella gente? Che razza di gente...

Anni                                - (troncando) Gente pulita. Gente mite: co­me lo era Willy.

Walter                              - E dove li conobbe?

Anni                                - Non so. Ci si conosce ovunque. In tram o al cinematografo.

Walter                              - (piano) Sai cos'ha detto, poco fa, quella pazza?

Anni                                - (fissandolo) Probabilmente, che la responsa­bilità della morte di Willy grava tutta su suo padre.

Walter                              - (sbalordito) Si, ha detto questo... E sai cos'ha aggiunto?

Anni                                - La verità, immagino. La stessa che Lei può rintracciare, se ha altissime aderenze, in uno dei mille e mille incartamenti del Polizeipràsidium... Anche se la stampa pubblicò una versione "onorevole" della morte di Willy: per un riguardo a Lei, forse; ma non ci giurerei...

Walter                              - (troncando) Come? Non fu in una birre­ria che...

Anni                                - Si, all'Augsburgerstrasse: fin qui la versione dei giornali è esatta. Lo è meno quando dice che Willy fu ucciso da un ebreo: Willy non scambiò mai una pa­rola con quello sventurato. (Pausa) Quel giorno, suo figlio sedeva ad un tavolo con me e i nostri amici. Quand'ecco, la porta si apri ed apparve l'ebreo inse­guito. Attraversò la stanza, sali a nascondersi in una camera da letto. Qualche momento dopo udimmo uno sparo, Willy, impietosito, gli era corso dietro... Entrò, vide il suicida in un lago di sangue; apri la finestra... e si gettò giù!... Mori sul colpo, prima che le S.S. lo toccassero. (Walter si abbandona su una sedia, sbigot­tito. Anni non riesce a trattenere le lacrime. Si volge per uscire. Walter la trattiene per un braccio, scivo­lando a terra, in ginocchio, addosso alla ragazza)

Walter                              - Aiutami! (Pausa) Dimmi perché, Anni! Non mi lasciare solo... Anni!

Anni                                - (piano) Oh, non so dire. È difficile. Bisogna essere poeti, per entrare nell'anima di un ragazzo co­me lui...

Walter                              - Ma cosa lo tormentava? Quale fatto Io sconvolse?

Anni                                - (tra sé) I fatti: raccontarne uno o tanti si­gnifica ben poco. Non siamo in Tribunale, ove conta solo il gesto compiuto, e non le cause astratte che l'han determinato.

Walter                              - Ma perché! perché si uccise?

Anni                                - (riluttante) Willy frequentava un circolo di studenti. Io lo seguivo. Ci si incontrava con gente di tutte le classi...

Walter                              - Riunioni di sinistra?

 37

 Anni                               - Non centrava nessun partito politico.

Walter                              - Ma avrete avuto un programma, no, se vi riunivate!

Anni                                - Conoscersi, aiutarci, confidarci le esperienze reciproche; e imparare l'uno dall'altro.

Walter                              - (pausa) Quante cose imparò, Willy? E da chi?

Anni                                - (pausa) Conobbe un giovane: disoccupato, solo al mondo. (Pausa, piano) L'immagine di quegli occhi tristi, assorti, di quel corpo umiliato, la tuta az­zurra a brandelli... colpirono vivamente la sua fantasia. A diciassette anni la pietà è cosi facile ed avventata che... decise, insomma, di aiutare il giovane a trovar lavoro. Lo incoraggiò a superare un esame che gli avrebbe fatto ottenere un impiego: gli trovò i libri, lo segui nello studio. L'altro sembrava rinascere. Or­fano, cresciuto fra asperità di ogni genere, era assetato d'affetto. (Pausa) Ma... disgraziatamente la pietà del povero Willy si logorò presto! L'altro che dapprima s'era dimostrato diffidente, ora nutriva un sentimento profondo, tenace: Willy, al contrario, quanto violento era stato il suo primo slancio, ora che teneva in mano quell'anima, ecco, ne sentiva un po' il peso, lo interes­sava meno, se ne stancò... Il giovane superò bene l'e­same, trovò lavoro; ma continuò a cercare Willy: lo seguiva, gli chiedeva consiglio, aiuto per mille cose, che so, problemi di tutti i giorni o inezie... Willy, ora, lo sfuggiva; escludeva l'altro dalle sue compagnie... (Pausa) Ed ecco, un giorno che passeggiava in una via del centro, l'altro gli capitò davanti e bruscamente, per un impulso affettuoso, gli piantò una mano sulla spalla... Willy portava un abito bianco, nuovo. Guardò quella mano. Vide che era sporca. Indietreggiò, scattò in un gesto repulsivo. L'amico si agghiacciò, fuggi via ; non si fece più vivo... (Pausa) Allora Willy a po­co a poco fu ossessionato da una paura, eccessiva, che l'amico si fosse buttato allo sbaraglio, per causa sua... Aveva anche motivo di crederlo: quel poverino era cresciuto in un ambiente di affamati, di disperati; gente rotta ad ogni avventura... Ossessionato dall'in-cubo che fosse stato ucciso: ovunque la polizia faceva retate di gente "sospetta"!... E da questo pensiero, so­prattutto: "io non riesco a liberarmi di me stesso, per darmi agli altri. Ho un'anima aristocratica. A che servo?"... (Pausa) Apparvero le S.S., sulla porta della birreria... Vidi Willy stravolto correre su... Non c'era nessun modo di poterlo aiutare, ormai, quell'ebreo inseguito. Ma Willy corse su lo stesso. Udimmo lo sparo. Willy apri la porta. Vide tutto quel sangue, perse la testa... Le S.S. stavano salendo. E, forse, an­che nel terrore di cadere nelle mani di quegli ener­gumeni, Willy apri la finestra e... (Pausa) Lei, suo padre, ha creduto alla versione ufficiale, eh?... Che l'ebreo invitò Willy "per turpi proposte"; che il ra­gazzo resistesse e l'altro, "indemoniato", lo gettasse giù... Oh, c'è un testimonio che dalla strada vide Willy compiere il gesto: quel testimonio si chiama Erich Ditzen.

Walter                              - (pausa, sbalordito) Chi?!...

Anni                                - Uno scrittore.

Walter                              - Ditzen?... (Pausa) Che età ha, costui?

Anni                                - Quarant'anni circa. Lo conosce? È muti­lato. Perse un braccio in un tafferuglio contro la po­lizia, durante l'ultima guerra.

Walter                              - (pausa) Costui conosceva Willy?...

Anni                                - Frequentava la stessa birreria. Erich abita appunto all'Augsburgerstrasse...

Walter                              - (tra sé) È pazzesco. Willy... Erich... come han potuto incontrarsi?... No, questo succede solo nei romanzi! Questo è pazzesco.

Anni                                - Cosa?

Walter                              - (pausa) Erich ed io fummo compagni di Liceo. (D'impeto) Ma perché Willy si confidava tanto con te?

Anni                                - Sua madre non aveva mai tempo d'ascol­tarlo!... Sento aprire una porta. C'è sua moglie in casa? Io vado.

Walter                              - (va al tendaggio, rimane un momento in ascolto) No. Erna è in bagno.

Anni                                - (impacciata) A proposito. Mi scusi... abbia­mo un parente italiano, in casa, da qualche settimana... Sua moglie gli ha messo gli occhi addosso... Lo tormenta... Le dica che...

Walter                              - (troncando) Gabriele?

Anni                                - Si. Le dica che Gabriele ha la stessa età di Willy, quando mori... Mi scusi se... (Walter ha un capogiro, s'aggrappa alla spalliera del divano, respira a fatica) Lei sta male! Un momento, prego: c'è il dottore Lùdtke in casa nostra. Glielo mando subito. (Esce. Silenzio)

Walter                              - Anni, fino a che punto, tu e Willy... eh? Ci si confida solo se ci sono rapporti di profonda intimità... quando l'acqua è già torbida, quando le forze ci tradiscono!... Io, a diciassette anni, ero cal­mo, ero una pietra, i sensi ancora sepolti: pensavo solo a studiare, a far ginnastica... E lui, pigro, invece, torvo... Tu me lo avevi turbato, smaliziato... (Tra sé) A quell'età certi turbamenti sembrano insopportabili, t'opprimono con un senso di tragedia, ti mozzano il fiato; non trovi scampo, troppo più grandi di noi!... Anni, gli stavi sempre addosso, tu! (D'impeto, si vol­ge) Anni! (Si passa febbrilmente una mano lungo il viso, come nel dubbio di delirare) Anni, non eri qua?!... (Fissa il tendaggio, indietreggia. Lentamente) Su, Wil­ly, da bravo, saluta gli zii! Non abbassare lo sguardo; nessuno ti mangia, qua! Sei un ometto, ormai, ed è ora che tu metta i calzoncini lunghi... Si, anche il cappellino tirolese, quello verde che ti piace tanto... (Fissando il grammofono) No, no, non ricomin­ciare adesso con i tuoi dischi. Willy la musica piega, rende vili, la musica è un serpente che ci spezza la spina dorsale. Quando sarai uomo fatto, potrai ascol­tarla, quando... (Di colpo si interrompe. Pausa) Co­razzarsi: dal cervello alla punta dei piedi ; se no entra l'acqua torbida e siamo infettati e affoghiamo. Dove vai, adesso? Mostrami la tua pagella, o non esci di qui! Willy, tu devi essere il primo della classe. Mio figlio è il mio orgoglio. Si, Willy! Si, gliel'ho dato io al tuo professore il permesso di batterti. Io, si. Sei carico d'odio, eh?... Quello che voglio. È l'odio che tiene in piedi l'uomo; è l'odio che lo trascina alla conquista... Vieni qua! Non fuggire. Tu vai sulle scale a confidarti con Anni. Ma cosa le racconti?... Willy, di' una parola; una parola, almeno! Non puoi andartene cosi: sono tuo padre, io! Willy, non avvi­cinarti alla finestra. Parla, parla! Cosa guardi?... Fer­mati! Ma chi ti chiama, là fuori? Willy! (Il tendaggio si schiude. Appare un bambino incerto, timoroso. Il bambino tossisce per annunciarsi e darsi un conte­gno: Walter lo guarda sbigottito. Silenzio)

Il bambino                       - Disturbo? (Pausa) Lei mi guarda male: ma io non ho colpa, se mi trovo qua. (Pausa) Non mi riconosce? Sono il fratello di Anni. La porta era aperta. Anni mi ha detto di non suonare il cam­panello. Dorme, Frau Erna?

Walter                              - Entra!...

Il bambino                       - (rincuorato) Facciamo festa, in casa nostra, stasera. Guardi la mia mascherina rossa. (Gliela mostra. Si fruga in tasca) Ho anche un pezzo di cioccolata. (La offre a Walter, che la prende deli­catamente. Il bambino gli volta le spalle, corre verso il tendaggio) Ho accompagnato su il dottore. (Avvici­nandosi ancora a Walter, in tono di intimità) Sa, è quello che fa i giochi di spiritismo al buio. Cura i matti, ma anche lui è un po' matto! E poi, indovina sempre dove nascondiamo la roba. Lui pensa una cosa: non te la dice, e tu chiudi gli occhi e fai quella cosa!... (Corre via) Si accomodi! (Scosta un lembo del tendaggio. Appare Ludtke. Il bambino si inchina, esce)

Lùdtke                             - (gentile, circospetto) Addio, Raabe.

Walter                              - (riluttante) Ludtke?! ... Come mai?... Cosa vuoi?

Lùdtke                             - Aiutarti, se permetti. (Walter gli indica una sedia) No, non è il caso di far cerimonie. Siamo vicini di casa da tanti anni! Ed io sono sempre quello di una volta, anche se tu non guardi più in fac­cia nessuno... Non guardarmi con diffidenza, giudice Raabe. Si, so bene quanto sia delicata la tua con­dizione sociale, e quanto "pericoloso" dar confidenza al prossimo... Io son qua perché Anni mi ha detto...

Walter                              - (duro) Cosa ha detto? Io sto bene. Non ho bisogno di niente.

Lùdtke                             - (calmo, fissandolo) Che brutta cera. Siedi. Ti reggi in piedi a malapena!

Walter                              - (fa due o tre passi a caso. Debolmente) Vattene, ti prego. (Alza un braccio additandogli l'u­scita. Il braccio ricade penzoloni)

Lùdtke                             - (delicatamente) Non affannarti a darti un contegno; lo conosco bene il tuo repertorio di at­teggiamenti. Guarda: pensa di essere solo, come po­c'anzi; e continua pure a parlare. Continua: ti farà bene.

Walter                              - Parlare? Che dici?

Lùdtke                             - Tu, poco fa, parlavi da solo: ti sdoppiavi, specchiandoti. È un'anomalia come un'altra. Non t'al­larmare: gli anormali di mente costituiscono la nor­malità, se si chiama normalità quella che fa numero. Sei nel numero dei più, coraggio. (Pausa) Tu, in questo momento, senti il bisogno di vomitarmi ad­dosso parole oscene. Non inibirti. Avanti!

Walter                              - Liidtke, sei ubriaco.

Lùdtke                             - (subito assecondandolo) Si. Ho bevuto più del solito, stasera. Puoi comportarti liberamente: domattina non ricorderò niente. (Pausa, lentamente, piano, sorridendo) Perché ti preoccupi tanto di me?,.. Non sai dove mettere le mani; come riuscire ad eri­gere il busto, come corrugare a dovere la fronte... La tua fronte mi ricorda la facciata di questo palazzo: rosa, con le cariatidi azzurre... (Pausa, circuendolo) Sei suggestionabile: mi guardi con eccessivo timore. Oh! t'assicuro, invece, che tu, tu sei più temibile di me! I tuoi modi cosi cortesi, discreti... Tu ti inchini a tutti, e tieni tutti a bada; offri l'aperitivo ai colle­ghi e buonasera: parli sempre sottovoce... Però ap­pena un'inezia ti contraria, urli e ti dimeni come una furia... Le tue mani sensitive: perché le tormenti cosi? Tu vivi soltanto in funzione dello sguardo degli altri, e parli da solo, come Narciso: non tremare, guar­dami. (Scandito) T'ordino di non tremare! guardami. (Walter stringe i pugni) Non c'è armonia naturale nei tuoi movimenti. Sei tutto truccato. (Walter rompe in un gesto di ripulsa) Goffo, il movimento del brac­cio. Però, vesti con eleganza. Che nuance, la tua cravatta con la tua camicia. Tu, certo, ami le divise, come le femmine i cosmetici. E tu e loro non avete pace, se non vi sentite addosso lo sguardo riverente del prossimo... (Walter avventa le mani al collo di Lùdtke, ma questi lo previene colpendolo allo stomaco. Walter si piega sopra un mobile appoggiato al muro. Liidtke è rimasto calmo) Lo so. È difficile sopportare la verità: solo gli uomini sani ci riescono. (Pausa) Scusami. Lo sapevo che avresti reagito. Ti no incoraggiato apposta. Ora, a poco a poco, ti senti­rai un altro. Bevi un cognac. (Gli addita la bottiglia. Walter alza d'impeto il capo, vede la sua immagine in uno specchio che gli sta di fronte. Afferra la sta­tuetta di bronzo, l'avventa contro lo specchio che si spezza. Silenzio) Le furie... Infantilismo e sadismo. Bene. Vieni a sederti qua. (Accompagna Walter, iner­te, verso il divano. Tra sé) I cosiddetti uomini seri son sempre i soggetti più facili. (Walter si abbandona sul divano) Ecco. Ora ti senti come dopo aver fatto all'amore. Stanco e pacificato. Stai riprendendo co­lore. No, non chiederti niente. Tutto è regolare; vo­luttà e crudeltà sono istinti gemelli: i loro lobi sono cosi vicini che l'eccitazione dell'uno comporta sempre l'eccitazione dell'altro. Si, cosi! chiudi gli occhi... Non recitare più. Sono solo il tuo confessore, che t'assol­verà. (Suadente) Siamo soli al mondo. La folla non esiste più. Tu sei tornato bambino. Anzi, sei un bam­bino; perché il tuo sviluppo si arrestò ad una tenera età. È qui il nodo: ritrovare quel punto d'arresto. E non pensare, per carità, d'avere avuto un figlio, d'a­vere una moglie. Figlio e moglie non ti riguardano: un falso matrimonio, un falso concepimento. Tuo fi­glio t'è servito per motivi affatto esteriori: la sua morte per mano di "un nemico del popolo" ha ag­giunto lustro alla tua carica di Alto Funzionario: nien-t'altro... (Gesto convulso di Walter) Lo so: siamo di­sabituati alla vita vera: non ne vogliamo sapere, ci fa terrore... perché non oseremmo comunicarla. Il prossimo è cosi "diverso" da noi!... Oh, quanto sei vero, in questo momento che mi stai stringendo la mano, come un bimbo in una camera buia... (Pausa) Poco fa, mentre ero dietro la tenda, tu stavi parlando con l'ombra di Willy, o meglio, con te stesso... Poi, lo choc causato dall'apparire del fratellino di Anni, che io stesso ho incoraggiato ad entrare, solo, qua... (Scan­dito) Non tremare! (Walter è immobile. Piano, fis­sandolo) Da quando... non sei più giovane? O me­glio, da quando tu distingui fra te e gli altri?... (S'ode trillare il telefono. Walter non fa un gesto. Liidtke rimane in ascolto; rapidamente corre verso il tendag­gio, esce. S'ode la sua voce) Si... Incolume. Grazie... Ah! Ma guarda!... Ditzen? Bene. Buonasera. (Rientra) Il tuo collega Kleiber. Ha saputo dell'attentato, poco fa, qua sotto. Voleva sapere come stai. Kleiber era appunto al Polizeiprasidium; ha veduto entrare la donna arrestata. Costei ha confessato che un gruppo di sabotatori si riunisce stasera in una birreria, all'Augsburgerstrasse. C'è un tale: Ditzen, già.

Walter                              - (macchinalmente) Erich.

Lùdtke                             - Continua.

Walter                              - Vent'anni che non lo vedo più. Maggio millenovecentoquattordici. Incontrai Erna, quel gior­no. Erna: il trabocchetto pronto. La rete tesa: Erna e la sua sporca pietà.

Lùdtke                             - (dolcemente) Sta' calmo.

Walter                              - Ero con Erich, in un bar. Sulla strada, un corteo di dimostranti: ebbri d'entusiasmo. Un tale si avvicinò: "Abbiamo affondato un piroscafo ne­mico, mille morti. Magnifico." Ci invitò a bere, a far baldoria. Erich lo insultò... (Pausa) L'altro chiamò gente. Gli tappai la bocca. Erich fuggi; un attimo di più e lo avrebbero linciato. Qualcuno mi colpi alle spalle. Caddi ai piedi di una ignota: Erna, figlia di un alto ufficiale. S'impietosì, rispose di me, disse che "non c'entravo", che ero amico di suo padre. Mi portò via, con sé. Erich lasciò la Germania. Non lo vidi più... Mi legai a Erna. (Pausa) Erich Ditzen, ha detto Kleiber. Mi tendono una trappola. Erich conosceva Willy. E loro lo sanno. Sanno tutto, sempre.

Lùdtke                             - Arresteranno Erich Ditzen. Daran la pra­tica a te. Sarai tu a decidere la condanna a morte del tuo amico. E cosi, spacciato lui, sarai giudicato idoneo', avrai un avanzamento. Entrerai nel "bel mondo". (Walter esce in un penoso mugolio, piegato in due sul divano) Tu condannerai Erich. Lo farai morire. È semplice, è facile; perché Erich tu non lo hai mai conosciuto!... Quando incontrasti Erich la prima volta, eri già morto...

Walter                              - (troncando, come in sogno) Morto?... No. Io sentivo: sentivo, allora!... Io non ero nelle mie mani; ero negli slanci del cuore. Sentivo con tutto l'essere. Non mi pesava il mio corpo; non lo posse­devo. Fiumi, alberi, uomini, donne, polvere, cieli, attraverso il mio corpo... Il mio corpo, come un'onda del mare... (Pausa)

Lùdtke                             - Però, da ragazzo, a scuola, i tuoi com­pagni li avevi torturati!...

Walter                              - Si: come mio padre torturava me. La voluttà dell'amor proprio. La voluttà dell'odio: > vo­levo schiacciarli i compagni e aizzarli a schiacciare me. La voluttà dall'umiliazione. Sono cattivo.

Lùdtke                             - No. Sei vendicativo: è una forma volgare d'isterismo.

Walter                              - Mi sentivo un verme, di fronte a Erich. Sempre il primo, io, ad abbassare lo sguardo. Lui era il primo della classe. Ammirato da tutti. Era for­te. Era bello. Era allegro.

Lùdtke                             - Lui forte e tu uno scarabocchio!...

Walter                              - Si! Sputavo sentenze. Lui pensava con la sua testa; io con quella di mio padre. Abituato a non pensare, io: impotente ero.

Lùdtke                             - Ed Erich, allegro.

Walter                              - Entrava in aula e subito l'aria diventava festosa. Tutti, d'improvviso bambini, volevano gio­care con Erich!... Gli buttai addosso una boccetta d'inchiostro; lo sporcai tutto... Lui non si mosse, non mi dette contro... Stupore! Mi guardò con tristezza... (Pausa) La notte, sognavo d'essere un arcangelo: ca­lavo giù, la spada sguainata su Erich tramutato in serpente: Erich demonio. Lo decapitavo. Liberavo il mondo dalla schiavitù. Risalivo in cielo... ( Pausa) Mi guardava e subito mi sentivo ridicolo! Era forte. Ap­posta non mi prese a pugni, quel giorno: perché era forte. E il mio gesto, cosi vile che si denunciava da sé.

Ludtke                             - Ma ora ce l'hai in mano. Stasera stessa, se vuoi, puoi spezzare la sua forza.

Walter                              - (scivola a terra in ginocchio) Non ucci­detemi!

Ludtke                             - Cosa?

Walter                              - Non sento più il mio cervello: è una pie­tra. Vedo e non sento. Io non conosco nessuno. Come li conosco gli altri?

Ludtke                             - Non li conosci affatto. Li giudichi sol­tanto attraverso il codice penale.

Walter                              - Mi guardò con tristezza: "Perché?... Cosa t'ho fatto di male?" Allora caddi malato. E fu buio, per lunghi giorni... Finché un mattino apparve lui... Taceva, ai piedi del letto... E, un altro giorno, tornò, e mi disse di sé, di suo padre malato: ricordava l'in­fanzia, gli stenti sofferti... E tornò ancora. E un giorno mi lesse una poesia: io ero convalescente; rinascevo, respiravo, adesso... Il mormorio del mare, l'alba, la umiltà, il dolore umano: sentivo, mi arrendevo, diven­tavo le immagini evocate dalla sua voce. Ero e non ero nel mio corpo delicato... Giovane, insomma, leg­gero, libero; non mi appartenevo più.

Ludtke                             - ( delicatamente) Quest'euforia quanto tem­po durò?

Walter                              - Quanto?... Cos'era il tempo, allora? ( Ludt­ke calmo, dà una spinta ad una sedia, che si rove­scia rumorosamente) Mio padre.

Ludtke                             - Già. Che disse tuo padre?

Walter                              - Erich era di bassa condizione sociale: mi allontanò da lui: io temevo ancora mio padre. Tor­nai quello di prima. Spaventosamente presto, quello di prima.

Ludtke                             - Si!...

Walter                              - (pausa) Una sera ero agitato: avevo vo­glia di fare all'amore. Fissai un appuntamento con una tale. Stavo andando da lei ; incontrai certi amici. Insultai uno di loro: per un motivo futilissimo. Lo scaraventai contro il muro. Lo strinsi alla gola. Chiese pietà. Allora mi sentii liberato. Dimenticai l'appun­tamento. Tornai a casa. M'addormentai subito. ( Pau­sa) Andavo raffinandomi: imparavo a non colpire più direttamente. Aizzavo gli altri tra di loro: sapevo buttare, a caso, la miccia di una parola. Il godimento sottile che mi procuravano le debolezze, le cadute del prossimo. Frequentavo persino i varietà: le allusioni oscene; le beffe, le caricature di gente in vista, m'ine­briavano. E un giorno che in una strada vidi due sco­nosciuti battersi a sangue, m'eccitai tanto che... M'in­grassavo, assumevo modi riguardosi. Imparavo a par­lare: locuzioni scelte, modellate con cura. La gente cominciava a considerarmi: io sapevo ben mostrare un alto concetto di me. Oh, in mezzo a tanta stupi­dità, mi erigo come un monumento. Anche mia mo­glie mi ammira. Io peso sul suo destino! E mi spec­chio in lei... ( Pausa) Alla Bùlowplatz ho visto uccidere un anarchico. Guardando quel corpo contorcersi nell’agonia, fui assalito da un tale spasimo di piacere, che mai, nemmeno con Erna...

Ludtke                             - (pausa, sorride. Pacatamente) Bene. Sei maturo. La Patria ti accoglie nelle Sue braccia: gui­derai anche tu le Sue schiere. In cammino, Walter, per quel gallo impotente che è il nostro degno capo. In cammino, a seppellirci tutti, sotto una pioggia di fuoco.

Walter                              - Un giorno entrai in salotto, ebbi terrore! Willy cantava un'aria del Fidelio. Somigliava tutto a mia madre. La camicia bianca, biondo: Cheru­bino, già! Anni lo accompagnava al piano. Fra lei e Willy, la musica, un legame indecifrabile. Erano liberi, senza peso, irraggiungibili. Impazzivo di rabbia... d'in­vidia! Willy, chi eri? Willy, dove sei?... Willy... Willy... ( Esausto si abbatte a terra)

Ludtke                             - (vede un volumetto su un tavolino al suo fianco. Lo prende, lo apre, sorride) La Bibbia, già, pei tuoi sonni tranquilli, Walter... (Si piega su Walter) Divertiti. Leggi qua: "Chiunque ucciderà Caino sarà punito sette volte tanto." È un indovinello. Scioglilo.

 ( Posa la Bibbia aperta sul tavolino. Prende una bot­tiglia, si versa da bere)

Voce di Erna                   - Walter. È pronto.

Ludtke                             - (rapido, posa la bottiglia vicino a Walter. Scuotendolo) Bevi. Bagnati la fronte. ( Va al ten­daggio, esce)

Walter                              - (lentamente muove le braccia, alza il capo, porta la bottiglia alle labbra. Sussulta, respira a fa­tica, lascia cadere la bottiglia in terra. Smanioso, puerilmente) Fràulein, sto male. Fràulein, mi porti a letto. ( Pausa. Afferra ancora la bottiglia, si versa il cognac sul palmo della mano, si bagna il viso. Rab­brividisce. Si ode Erna canticchiare. D'impeto si alza in piedi) Erna. ( Muove due o tre passi a caso, gri­dando) Erna!

Voce di Erna                   - Cosa c'è? Un momento. Non riesco a trovare il tuo accappatoio. Entra in bagno, intanto; fa' presto. ( Walter apre la finestra; l'aria gelida della notte sembra scuoterlo, fargli puntare i piedi in terra. Lungo silenzio. Sentendo suonare il campanello di ca­sa, serra i vetri. S'odono passi avvicinarsi al salotto)

Voce di Gabriele             - Signora... ( entra, incerto) C'è la Signora? ( Vede Walter) Scusi.

Walter                              - (subito aggressivo, senza controllo) Lei è Gabriele, il cugino di Anni?

Gabriele                           - ( ha un libro in mano. Riluttante) Sì.

Walter                              - Italiano, vero? ( Gabriele annuisce)

Walter                              - Si vede subito dalla disinvoltura con cui entra nelle case degli altri.

Gabriele                           - Mi scusi: la porta era spalancata. Io... vengo a restituire questo romanzo alla Signora e a ringraziarla...

Walter                              - Lei, a quel che si dice, è l'ultimo spasi­mante di mia moglie... (Godendo dell'impaccio del giovane, lentamente) Erna è in camera sua. Vada in fondo al corridoio. Attraversi due stanze: apra una porta azzurra: le apparirà mia moglie nuda, fragran­te. Ha appena finito di fare il bagno. Immagino che la troverà sul letto, a incipriarsi... (Gabriele china il capo) Lei arrossisce?... Avevo un altro concetto degli italiani: li credevo spavaldi. ( Pausa) Le piace Ber­lino?

Gabriele                           - (debolmente) Molto.

Walter                              - Cos'ha visitato?

Gabriele                           - Beh...

Walter                              - L'Unter den Linden, immagino.

Gabriele                           - Si.

Walter                              - Lei figurerebbe bene in una di quelle vetrine, tra mazzi di orchidee, gioielli e confetterie. Lei è carino. Ha lunghe ciglia da bamboletta; i ca­pelli ondulati, la pelle abbronzata; il sole di Roma, già! Farebbe strage di cuori, glielo assicuro.

Gabriele                           - Perché mi tormenta? Io...

Walter                              - Oh, via quella faccia buia! Non le si addice. Lei è infelice per amore? Già, per voi italiani la felicità è l'amore! quello dei romanzi a fumetti.

Gabriele                           - Lei crede che tra me e sua moglie... Come si sbaglia, signor giudice.

Walter                              - Puah! Mendicate l'amore in tutti i can­toni... Vuole che non sappia cosa c'è stato fra lei e mia moglie? Erna m'ha raccontato cose veramente divertenti sul suo conto.

Gabriele                           - (indietreggiando) No. Non può essere.

Walter                              - (euforicamente) Ancora non ha capito che Erna gioca con lei come il gatto col topo in trappola?

Voce di

Erna                                 - Ma, Walter, dove sei?!

Walter                              - Cara, entra.

Erna                                 - ( appare senza trucco, in accappatoio) È mezz'ora... (Vede Gabriele, volta rapida le spalle)

Walter                              - (la trattiene per un braccio) Amore, en­tra pure. Non importa se non sei truccata. Gabriele è un ragazzino, ancora. (Presentandola a Gabriele im­bambolato) Eccola, la beltà al naturale. (A Erna) Il signorino ti ha riportato un romanzo.

Erna                                 - (abbozza un sorriso) Caro Gabriele. T'è piaciuto?

Gabriele                           - Si... Ma sono un po' opprimenti queste vostre storie di inibiti, che appena cominciano a co­noscere se stessi, non trovano altro coraggio che quel­lo di morire.

 Walter                             - Cos'è?

Gabriele                           - "La morte a Venezia". (Pausa)

Walter                              - (secco) Non dica a nessuno d'aver letto questo libro in Germania. Gli scrittori malati qua non han diritto di cittadinanza.

Gabriele                           - (a Erna) Lei mi aveva dato un appun­tamento per oggi alle sei. L'ho aspettata un'ora... Però, nell'attesa, ho avuto agio di riflettere. A conti fatti, è meglio che non sia venuta più. Buonasera.

Erna                                 - A proposito: grazie della simpatica lettera e degli splendidi fiori. Telefonami domattina.

Gabriele                           - Domattina parto. Torno a casa mia. Auguri. (Esce. Silenzio. S'ode lo scatto della porta di casa che viene chiusa)

Walter                              - (afferra il romanzo, lo strappa, butta i fogli in terra: additandoli a Erna) Raccogli là. Getta nel fuoco.

Erna                                 - Ti sei comportato con una volgarità ripu­gnante.

Walter                              - Getta nel fuoco, ho detto.

Erna                                 - (si volge per uscire) Pazzo.

Walter                              - È inutile adesso che tu vada ad addob­barti. Probabilmente non andremo più a cena dall'I­spettore. Sarà lui, temo, che verrà qua: o chi per lui.

Erna                                 - Che significa?

Walter                              - S'è affacciata la possibilità che tuo ma­rito non faccia più carriera. E che tu rimanga in casa, per il resto dei tuoi giorni, a raccomandarti l'anima a Dio. (S'ode, esterno, un secco rumore) Cos'è? (Silenzio)

Erna                                 - Il cancello. Qualcuno è entrato o è uscito. (Pausa) Ma che succede?

Walter                              - Getta sul fuoco quella cartaccia. (Erna raccoglie i fogli, esegue. Tra sé) Quella ha parlato, ci giurerei.

Erna                                 - Chi?

Walter                              - La donna che m'ha aggredito, un'ora fa. Conosceva Willy. Anche suo marito conosceva Willy. Lo avrà riferito al Commissario. E stasera qualcuno sarà arrestato...

Erna                                 - Qualcuno. Che vuoi dire?

Walter                              - La prima volta che c'incontrammo, io e te. Ricordi?

Erna                                 - Si.

Walter                              - Quell'amico che aiutai a fuggire.

Erna                                 - (silenzio) Un anarchico, già... Ma loro come sanno? Il nazismo non era ancora al potere!

Walter                              - Quei patrioti che si scagliarono contro Erich oggi sono tutti nazisti. (Fissa Erna, lentamente) Avevo difeso un anarchico: dunque ero un "sospetto", io. E tu?... Fu l'unica volta che mi trattasti con amore.

Erna                                 - Perché ti comportasti come un uomo. Eri solo a batterti, contro tutti.

Walter                              - E il tuo "senso di patriottismo"?...

Erna                                 - (ricordando, sorride) Bah!... Ti guardai li in terra, e la Germania sprofondò.

Walter                              - (trasognato. Fissando la moglie che gli si è avvicinata) Solo. Contro tutti. (Attrae meccani­camente Erna a sé, le bacia le labbra) Non so più niente di lui.

Erna                                 - Erich Ditzen.

Walter                              - (sbalordito) Come sai il suo nome? Chi te ne ha parlato?

Erna                                 - Ma tu, tante volte! Oh! Anche il nostro Willy lo conosceva?

Walter                              - Si!

Erna                                 - Ma come? Dove?...

Walter                              - (bruscamente sciogliendosi dalla moglie) Willy non c'entra. Willy manteneva rapporti superfi­ciali con tutti.

Erna                                 - Willy era un ragazzino. Se ha incontrato Ditzen e gli altri...

Walter                              - (violento) Non parlare di Willy! Willy non centra! (s'ode dall'esterno il rumore di una au­tomobile che si avvicina. Silenzio)

Erna                                 - (in ascolto, piano) S'avanza... Vengono qua... Rallenta... Si ferma... Ma cosa avrà potuto rac­contare, quella, di te? Tu conosci il Commissario...

Walter                              - (troncando) Tu l'hai detto a qualcuno. Tu hai fatto il nome di Erich.

 

Erna                                 - No!

Walter                              - Tu chiacchieri troppo; chiacchieri conti­nuamente.

Erna                                 - A nessuno, mai, l'ho detto.

Walter                              - Ti sarà uscito di bocca e non lo ricordi. La cameriera che licenziasti, pochi giorni fa. La trat­tavi duramente. Potrebbe essersi vendicata.

Erna                                 - Tu stesso hai detto che quella disgraziata e suo marito conoscevano Willy, che Willy conosceva Ditzen.

Walter                              - (esasperato) Ho mentito. Willy non co­nosceva nessuno. Finiscila! (si ode il rombo di una macchina in moto allontanarsi. Silenzio) Falso allarme.

Erna                                 - (fìssa Walter, lentamente) Che schifo.

Walter                              - Eh?

Erna                                 - Sei un vile... Tremavi come una foglia, un attimo fa.

Walter                              - Tremavi anche tu.

Erna                                 - Ti sbagli! Non ho tremato, io. Eppure so­no una donna. Che schifo. Non ti sapevo cosi vile.

Walter                              - Finiscila, sgualdrina.

Erna                                 - (ride, correndogli addosso) Sei forse ge­loso di Gabriele? È giovane, espansivo, Gabriele. È vivo. Mi piace, si. (Walter l'afferra, le torce un brac­cio, Erna è costretta a piegarsi verso terra) Fallo tornare su. Chiamalo. Battiti per me, come ti bat­tevi quel giorno per Erich Ditzen: sii un uomo! Bat­titi! Colpiscilo. Voglio questo da te. (Si scioglie vio­lenta dalla stretta di Walter)

Walter                              - Che c'è stato fra voi due?

Erna                                 - Fai il geloso sul serio? (Pausa) Buffone.

Walter                              - Guardami.

Erna                                 - Come se t'importasse se io ci sono stata a letto o no! Non mi lasci sempre libertà di azione, tu? A te importa solo che lui mi abbia deluso.

Walter                              - Che c'è stato, perdio?

Erna                                 - Che gli altri mi deludano e ch'io torni a te per adorarti! come si adora Iddio, sempre più! (Lo fissa. Ride) Be', ti dico qualcosa che ti seccherà a morte: fra me e Gabriele non è stato scambiato nemmeno un bacio; però, adesso, ammiro, stimo, de­sidero lui mille volte più di te.

Walter                              - Che me ne faccio della tua stima? (Ride) Piuttosto che farti una confidenza, mi taglierei la lingua.

Erna                                 - Come tremavi, poco fa!

Walter                              - T'ho mai chiesto aiuto, io? T'ho mai chiesto consigli?

Erna                                 - No. Ma hai seguito sempre i miei.

Walter                              - Ho soddisfatto solo i tuoi capricci. Co­me si porta a spasso un cane che si ferma ad an­nusare tutte le porcherie che incontra.

Erna                                 - Il padrone portato a spasso dal cane, si.

Walter                              - La tua stima! Saresti la prima, tu, a de­nunziarmi, se quelli sospettassero e venissero qua, adesso!

Erna                                 - Si. Ti denunzierei.

Walter                              - Paura d'andarci di mezzo, eh?... Paura!

Erna                                 - No. Solo perché ora mi ripugni.

Walter                              - Anche tu! Guardati allo specchio, con quel muso unto di crema.

Erna                                 - M'hai baciata, poco fa.^

Walter                              - Come il cane lecca il suo vomito.

Erna                                 - Ipocrita. Perfido. Anche tu mi denuncere­sti; se avessi parlato di Erich Ditzen, per esempio. Diresti subito che son tua complice!

Walter                              - Si. Te la farei finire: te e tutte le tue sudicerie.

Erna                                 - Tu mi credi sudicia perché è in te il su­diciume!

Walter                              - (lentamente) Sei vecchia, ormai. Non ho niente altro da dirti.

Erna                                 - (fuori di sé) No! (Erna affonda le unghie fra i capelli finti del marito, gli strappa dal capo la parrucca. Walter, il cranio nudo, disarmato, rimane a fissare vacuamente Erna che esplode in una risata) Adesso guardati tu allo specchio! (Getta in un an­golo la parrucca, additandola) Tu sei quello straccio là. (Walter si scaglia contro la moglie. Fulminea, af­ferra la bottiglia del cognac. La spacca sbattendola contro un tavolo. Minacciandolo col collo della botti­glia in pugno) Fatti avanti, eroe.

Walter                              - La rivoltella. Dov'è? (Va rapido alla por­ta, sparisce, esce. S'ode lo scatto della serratura. Erna corre contro la porta, tenta invano di aprire. Si­lenzio)

Erna                                 - Non fare il pazzo. Ragiona. Vieni qua. (For­te) Walter, obbedisci. Scusami, Walter! (Batte i pu­gni contro la porta) Apri. Apri. Apri. (Trilla il tele­fono, dietro il tendaggio) Walter, ascolta. Va' a rispondere. Chi può telefonare a quest'ora? Walter! Sa­rà l'Ispettore o il Commissario!... (Il telefono conti­nua a trillare. Si apre la porta. Walter rientra. Va al tendaggio, come ebbro, esce)

Voce di Walter                - Buonasera, signor Ispettore... Kleiber, appunto, ha telefonato, poco fa... Grazie: il­leso, sto bene, nemmeno un graffio... Avrebbe potuto, si: brandiva un'arma... Come?!... (Lungo silenzio) ...Sui giornali? No! Odio la pubblicità... Leboeff, si chiamava. Disoccupato... Si, grazie... D'accordo... Buo­nasera, signor Ispettore. (Rientra. Lungo silenzio)

Erna                                 - (piano) Ha parlato, quella? Cos'ha detto?

Walter                              - (quasi senza fiato) Ha solo confessato dove si riuniscono i suoi complici, stasera.

Erna                                 - Potrà dire qualcos'altro, ancora... Se cono­sceva Willy, potrebbe architettare qualche infame ca­lunnia.

Walter                              - No. Non parlerà più.

Erna                                 - Sei sicuro?

Walter                              - S'è uccisa. Tentava di fuggire. Le han­no sbarrato il passo. S'è gettata nella tromba delle scale.

Erna                                 - (sospira, liberata dall'incubo) Povera don­na. (Silenzio. Dolcemente) E stato gentile l'Ispettore?

Walter                              - (meccanicamente) Si. Dopo cena, ha det­to, andremo all'Hotel Kaiserhof: c'è una festa, là.

Erna                                 - Sei stanco. Rimarremo in piedi fino all'al­ba. Vado a farti un caffè. (Rimane immobile) E... t'ha chiesto se quella tale ti aveva ferito?

Walter                              - Si. Sembrava veramente ansioso di sa­permi scampato alla morte!... (Ride torvo)

Erna                                 - Bene.

Walter                              - (tra sé) S'è uccisa. (Pausa) Stanotte fa­ranno la retata.

Erna                                 - È molto gentile a preoccuparsi cosi. (Wal­ter siede sul divano. Erna gli si inginocchia ai piedi) Non mi piacciono i suoi capelli rossi. Però, ha una figura slanciata; e poi è un uomo di mondo. Ricor­dati sempre, caro mio, che al disopra di ogni bega politica è la parità del sangue che unisce. E tu e lui, bene o male, siete due gentiluomini. Ho un bell'abito nuovo. Vedrai. (Prende un bicchierino pieno a metà di cognac, beve)

Walter                              - (guarda Erna, assente) Che c'è stato fra te e Gabriele?

Erna                                 - Nient'altro che un gioco. Nemmeno un ba­cio, t'ho detto. Ma perché insisti? Sai, e come! che non posso tradirti; che sei l'unico con cui riesco a... Sai bene che è solo per aizzarti che provoco gli altri... E poi, avrei orrore di uno scandalo: sono di razza fiera, io. Con qualsiasi altro, mi ripugnerebbe. È più forte di me. (Gli porge il bicchierino) Bevi. Non mi va più.

Walter                              - (prende il bicchierino, sta per portarlo alle labbra; tronca il gesto) No. Non ho sete.

Erna                                 - Non hai mai bevuto nel mio bicchiere. Pau­ra d'infettarti? Bevi, per piacere.

Walter                              - (butta via il bicchierino. Imbarazzato, ba­cia Erna) Sono stanco.

Erna                                 - (viso contro viso) I tuoi duri baci. La tua bocca scontrosa. È forte la tua bocca. È cattiva. Dim­mi una parola dolce.

Walter                              - (sorride) Ti mentirei. (La bacia sul collo)

Erna                                 - Non importa. Più mi mentisci, più ti desi­dero. Ti desidero perché non ti conosco. Portami via. Fuggiamo. Un giorno parlavi di un lago, nel Meclemburgo. Portami là, in quel tuo lago! Con chi ci sei stato? Ne parlavi come del paradiso terrestre.

Walter                              - Taci! (La bacia sulle labbra)

Erna                                 - Sei bello: gli occhi verdi di un felino. (Ri­de) Mi piace il tuo cranio nudo: i grandi uomini sono tutti pelati. (Ride, gli pianta con ardore le unghie sul collo)

Walter                              - Ahi! Lasciami. (Le dà una spinta. Erna cade a terra, smaniosa. Schiaffeggiandola) # Eccola qua, la figlia del Colonnello di Stato Maggiore; la Virago Sassone discesa da Walhalla! Eccola qua! (Erna, come solleticata, grida dalle risate)

Erna                                 - (aggrappandosi a Walter) Ricordi la sera che c'incontrammo? Eravamo in guerra. La guerra ci ha uniti. Adoro la guerra. Baciami: ti pagherò. Quanto vuoi? Cinquanta, cento, mille marchi, ogni volta che sarai mio. (Walter ride. Scivolano sul tap­peto l'uno contro l'altra)

Walter                              - Eri furibonda, poco fa.

Erna                                 - Lo sono ancora. Vorrei morderti, farti a pezzi, divorarti. Come i ragni, quando si accoppiano. Stringimi. Sei il mio grande uomo tedesco. Uomo di razza. Sei tutti gli uomini.

Walter                              - (ebbro, declamando) "Sotto con la lussu­ria! accoppiatevi! C'è bisogno di soldati! ..." (Erna si scioglie agilmente dalla stretta di Walter, allunga il braccio verso il grammofono posato su un tavolino accanto. Apre il coperchio, fa girare il disco)

Walter                              - (riafferrandola) Che fai?

Erna                                 - Un po' di musica.

Walter                              - No!

Erna                                 - Ahi! Mi fai male.

Walter                              - Sono i dischi di Willy. Lascia! Povero me...

Erna                                 - (lamentosa) Per piacere, un po' di musica... Per piacere...

Walter                              - (il capo affondato sul collo della moglie) Amore. (Erna appoggia la puntina sul disco. Si ode, roco, il suono di un pianoforte: il IV preludio di Chopin, che esprime stupore, smarrimento, dolore. Erna rabbrividisce, abbraccia Walter, si abbandona in terra)

SECONDO TEMPO

Scantinato di un albergo-birreria ali'Augsburger-strasse. La camera è al buio: solo un riflesso di luce giunge dalla strada, da una alta finestrella con in­ferriata. Le pareti, nude, sporche: un letto sfatto, un comodino, un attaccapanni, due sedie, una bacinella, un secchio, un asciugamani, una poltrona logora. Giunge, dalla sala da pranzo, un brusio più o meno vivace, a seconda che una porta esterna venga aper­ta o chiusa. Peter, il negro, sul letto, la fronte pie­gata verso terra, tossisce rauco. Gertrud, al suo fian­co, gli copre le spalle con una coperta. Thomas, in piedi, presso la finestrella, punta lo sguardo sulla strada: accanto a lui, Ernst, è seduto in terra, la schiena contro il muro.

Ernst                                - (a Gertrud) Dovresti dargli un bicchiere di latte: disintossica.

Gertrud                            - (a Peter) Te lo ripeto per la millesima volta: smettila di fumare o andrai diritto al cimite­ro. Dio santo, che disgrazia, quando sono venuta al mondo! Mai un cane che m'abbia dato retta una volta.

Ernst                                - Lascia andare le smanie, adesso. Va' a prendergli il latte.

Gertrud                            - (tasta il polso di Peter) Ha la febbre, ci scommetto. Sfacchina tutto il giorno in mezzo alla polvere, dentro un buco lurido: mangia niente e si avvelena con quel puzzolente tabacco...

Ernst                                - Vado io?...

Gertrud                            - Ma che! (Scivola dal letto, esce. Si pla­ca la tosse di Peter)

Peter                                - Il latte no. Vino. Sono fiacco. Un po' di vino.

Ernst                                - Sii buono, Peter. Hai già bevuto abbastan­za.

Peter                                - Vino.

Ernst                                - Più tardi: dopo, ti porterò un bel bic­chiere di vino. Sta' buono, adesso.

Peter                                - Puah! La birra mi fa l'effetto della camomilla.

Thomas                            - (piano) Rieccolo. Viene avanti. Si fer­ma a pochi passi dal lampione.

Ernst                                - Ha un cappotto blu?

Thomas                            - Scuro, si.

Ernst                                - Un cappello nero?

Thomas                            - No, grigio. Paffutello com'è, non sembra un tipo da polizia segreta: sembra un venditore di giocattoli.

Peter                                - (ride) Bravo, Thomas. Mettilo nel libro che stai scrivendo.

Ernst                                - Guarda qua? Verso la porta della bir­reria?

Thomas                            - No, non guarda qua. Fa lo svagato, l'uo­mo di mondo che attende una dama... Oplà! Gesto ampio del braccio: esamina l'orologio al polso. Fa qualche passo a vanvera. Non c'è nessuno attorno a lui... eppure si guarda attorno con degnazione! Sem­bra che voglia giustificarsi: "Io non attendo più. Ho impegni ben più urgenti e delicati..."          - (Pausa) Pove­raccio, fa il mestiere della spia solo per sentirsi qualcuno: un uomo comune, cos'altro può fare, og­gi, se vuol brillare in qualche modo? (Pausa) Oh! Gli si avvicina una bella ragazza: ha una sigaretta in mano. Lui la fissa, è impacciatissimo... cerca in tutte le tasche... È basso, le arriva alle spalle. Le porge un fiammifero... La ragazza prosegue per i fatti suoi... La segue con gli occhi, imbambolato: il fiammifero gli brucia le dita... Demolito dalla statura e dall'in­differenza di una donna!... Si scuote, riallaccia il so­prabito, affonda le mani in tasca, batte i piedi con forza: deciso a calpestare il suo cuore... (ride, pausa) Eccolo, il silenzio nero: l'orgasmo sotterraneo della città. Lo sento nella pelle: attrazione e repulsione, due piovre allacciate, a straziarsi implacabili... (Pau­sa) La strada si illumina... Dio! s'è rotto il velo del cielo... Questa è una luce da miracoli!... il plenilunio?! (Il riflesso del lume di luna entra nella stanza) Luna bianca. Madre. Maschio, Sfinge, cuore pazzo, fronte pura: sotto l'incantesimo della tua luce gli amanti tuoi, ecco! diventano bambini; e i tuoi nemici, lupi... (Pausa) C'è nell'aria l'eco di uno stridio di cornac­chie che spiccano il volo. Si. Un presagio d'orgia... (Pausa)

Peter                                - Quante parole. Invece di calmarlo, il tuo amico, gli fai crescere l'agitazione. Voi scrittori, non c'è santo che tenga, fareste letteratura anche sopra il cadavere caldo di vostra madre!

Thomas                            - Sta entrando qualcuno nella birreria.

Ernst                                - Entra qua? È quel tale?

Thomas                            - No. Quel tale se ne sta andando. Solo. Ma guarda!

Ernst                                - Si. Tom?

Thomas                            - È già lontano... volta all'angolo. Non c'è più.

Peter                                - Ernst, ti sei montata la testa. Perché quel­lo dovrebbe pedinare te?

Ernst                                - Son tre settimane che esco di casa: e sul marciapiede opposto c'è un tale in cappotto blu.

Peter                                - Ti segue?

Ernst                                - Pochi passi: io vado in fretta. Mi fa gran­di scappellate. Fingo di non vederlo.

Peter                                - (ride) Non te la prendere. Sarà un tuo ammiratore.

Ernst                                - (a Peter) Dormi, tu!

Thomas                            - (a Ernst) Me l'hai riportato il racconto?

Ernst                                - Si. L'ho battuto a macchina. Sai? cono­sco una ragazza svizzera: al suo paese lo pubbliche­rebbero, ha detto. Le sto facendo la corte per te.

Peter                                - (curioso) Un racconto? Di che parla? Do­ve si svolge?

Ernst                                - Qua, a Berlino. In un manicomio giudi­ziario.

Peter                                - Dio buono, Thomas. Quando ti deciderai a scrivere una fiaba?

Thomas                            - Quando gli angeli si decideranno a ca­lare in terra.

Peter                                - Be', raccontami la trama, Ernst.

Ernst                                - Il reparto maschile del manicomio è un'ex caserma; quello femminile un ex convento.

Gertrud                            - (rientra con una bottiglia di latte e un bicchiere. Accende la luce. A Peter) Ti saluta Grete.

Peter                                - Perbacco. S'è rifatta viva? È guarita? E il bimbo?

Gertrud                            - Le è morto, dopo due giorni che era nato. Tanto meglio. Con che l'avrebbe sfamato, po­vera Grete? (Siede accanto a Peter) Bisogna darle un po' di soldi. Ricordati. (Versa il latte nel bicchiere)

Peter                                - Non lo voglio, il latte.

Gertrud                            - Muoviti.

Peter                                - Dai. Bevilo tu.

Gertrud                            - Puah!

Peter                                - Vedi: non piace nemmeno a te!

Gertrud                            - Tu vuoi farmi crepare. Io non ne posso più.

Ernst                                - (si avvicina a Gertrud, le toglie il bicchie­re di mano, beve. In tono minaccioso a Peter) È squisito, ti dico. È il nettare degli dei. (Afferra la bottiglia, versa altro latte nel bicchiere, lo porge a Peter, gli siede accanto. Vezzosamente ironico) Su, nutriti, bamboccino di mamma; non fare i capricci. Bevi qua, dove ha bevuto il tuo fratellino. (Peter, ac­cigliato, prende dalle mani di Ernst il bicchiere, beve adagio) Bravo. (A Gertrud) Che succede di là? Per­ché l'orchestra non suona più?

Gertrud                            - È l'intervallo.

Thomas                            - Chi c'è degli amici?

Gertrud                            - Ci sono tutti: è festa, domani. Ceniamo nella saletta gialla. Hanno apparecchiato una bella ta­vola lunga.

Thomas                            - Grete è venuta sola?

Gertrud                            - Non so. Io l'ho veduta con Erich, un momento fa. (Il silenzio è rotto dal rumore dell'orche­stra, che esplode in un ritmo balordamente euforico. Dal corridoio, una risata acuta. Di botto, la porta, socchiusa, si spalanca, spinta dai corpi allacciati di un giovane e di una ragazza. I due guardano, imbam­bolati, Peter e gli altri)

Hermann                          - (fissa Gertrud; la indica alla sua ragazza; con un tono di cicerone di museo) Quella è una prostituta ebrea. La vedi? Ha la tua età, su per giù.

La ragazza                       - Oh, dove m'hai portato? Andiamo via.

Gertrud                            - Tu ti chiami Hermann, se non sbaglio.

La ragazza                       - (a Hermann) Dio mio, ti conosce?!

Hermann                          - Batte il marciapiede alla Friedrich-strasse. Sere fa ero là, al Luna Park, e lei m'ha ade­scato.

La ragazza                       - E tu?!

Hermann                          - Pupetta, sono un maschio, io!

La ragazza                       - Ma che dici? proprio con un'ebrea?...

Gertrud                            - (calma, alla ragazza) Fu lui a farmi la proposta, Pupetta: io non volevo, perché mi spaven­tava il suo muso da cinghiale.

Hermann                          - (alla ragazza) Non ci far caso. (Addi­tandole Gertrud e gli altri) Sono anormali. Non par­lano come la gente civile: "abbaiano", dice Goering.

La ragazza                       - Ma ci sei proprio stato con quella? (A Gertrud) È vero?

Gertrud                            - Si. Era in divisa. Era armato, il signor caporale. Mi minacciò.

La ragazza                       - (quasi in lacrime) Hermann!

Hermann                          - (ride) Via, non fare la ragazzina. (Fis­sa Ernst) Io credo di conoscerti di vista, bimba mia. Tu frequentavi la "Troika", eh?... (Alla ragazza) È un locale notturno malfamato. Adesso è stato ripulito. Ci han fatto una palestra. (La ragazza lo guarda va­cuamente) Palestra: dove si fa la ginnastica per ir­robustire i muscoli.

Ernst                                - Alla "Troika"? Sei fisionomista, perbacco. Ci scambiammo qualche parola?

Hermann                          - Ti dissi di levarti dai piedi, probabil­mente. (Walter appare sul limitare della porta; tra­sognato, rimane immobile ad osservare la scena. Nes­suno gli fa caso)

Ernst                                - (guardando Hermann) Si, hai una faccia porcina: ma il disegno della tua bocca è delicato... Povera bocca costretta a grugnire. Oh, ti ricorderei, se t'avessi già visto.

Hermann                          - Proprio due giorni fa, un tipetto lan­guido come te s'è avvelenato, nei pressi di casa mia. Eppure, i suoi genitori son gente rispettabile. L'hai letto sul giornale? Per "torbidi motivi", hanno scritto. Non spiegano altro. L'hai letto? Si chiamava Schroeder.

Ernst                                - Può essermi sfuggito: per quei "torbidi motivi", il dileggio vostro spinge al suicidio tanti giovani!

Hermann                          - Beh, vi trattano con riguardo, mi sem­bra. Sarebbe peggio se la rivelassero la ragione per cui vi ammazzate. (Movimento cieco di Walter)

La ragazza                       - Sei andato con un'ebrea. E io che dovrò essere la madre dei tuoi figli!...

Hermann                          - Sciocchina. Con quel tipo di donne uso le mie brave precauzioni. (Gertrud, ferita, siede sul letto)

Peter                                - (drizzandosi a sedere, a Hermann) Vatte­ne. Appesti la stanza.

Thomas                            - Buono, Peter. Fallo parlare: è un bam­boccio divertente. (Hermann estrae dalla tasca un re­volver e lo punta contro Thomas)

Hermann                          - Sei ebreo anche tu?

Thomas                            - Sono peggio di un ebreo.

Hermann                          - Un degenerato?

Thomas                            - Eh! Peggio ancora.

Hermann                          - Di che razza sei, perdio?

Thomas                            - Della razza più fastidiosa, caro capora­le: sono un artista che ti sta a guardare. (Hermann ride. Ripone in tasca il revolver)

La ragazza                       - Come guardano gli artisti? Che tipi sono?

Hermann                          - Di solito, dipingono: un tramonto, una fogliolina... Odiano la guerra; è naturale: svengono, soltanto a odorare una rosa! (Serio, a Thomas) Glie­lo fa un ritratto, alla mia fidanzata? Quanto vuole? (La ragazza gli dà di gomito offesa) Su, non fare quel muso. Dobbiamo essere allegri: era nel nostro pro­gramma, no? Guarda: adesso ti spiego. Questa gen­te qua vive per un solo scopo: rovesciare il gover­no; e non solo il nostro, ma qualunque governo sal­ga al potere, capisci? Sono fatti per mettere confu­sione. Anarchici. In gergo si dice: sradicati, inabili alla vita, senza patria: se li mandi a combattere, fan­no subito comunella col nemico; vanno a porgergli la guancia, come i pargoletti alla mammina. Mi stai a sentire? (La ragazza, assorta, fissa Gertrud)

La ragazza                       - (seria a Gertrud) Ma perché fai quel brutto mestiere? Ce ne sono mille altri!

Gertrud                            - Me lo trovi lei un mestiere più decente. Dica che è per aiutare un'amica ebrea: vedrà quante feste le faranno. (A Hermann) Non ti pare ora di levarti dai piedi?

Hermann                          - Sto qui quanto mi pare, sgualdrina.

Thomas                            - (a Hermann) Tonto.

Hermann                          - (fuori di sé) A chi? Sai a chi parli? Chiedi scusa!

Thomas                            - (compunto) Si, scusa!... Oh! tu muori dalla voglia di schiaffeggiarmi, per fare lo spaccone davanti alla tua ragazza. T'accontento. Non mi costa niente. Avanti, comportati come deve comportarsi il sesso forte. (Gli si avvicina, gli porge la guancia. Hermann lo schiaffeggia. Sorride. Alla ragazza) Il suo caporale è veramente un maschio! Vede come sa di­fendere l'onore del popolo tedesco?

Hermann                          - (alla ragazza) Te l'avevo detto: sono esseri completamente privi di dignità.

La ragazza                       - (additando Gertrud) Io al suo posto mi sarei uccisa, piuttosto che...

Hermann                          - No, lasciala stare, quella. Lei fa schi­fo meno di tutti. Gli ebrei hanno il cervello fino, al­meno. Non fai in tempo ad accopparli che rispun­tano su moltiplicati, più avidi e più arrabbiati di prima. Se non altro, è una ragazza che ha un orgoglio. (Indica Ernst sdraiato sulla poltrona) Quello là, vedi, è la carogna più carogna di tutte. Se il governo fosse nelle sue mani, l'umanità si estinguerebbe in quattro e quattr'otto!

La ragazza                       - Ma perché?

Hermann                          - Stupida: perché vive contro natura.

Ernst                                - (a Hermann con il solito tono assente) Che vuol dire, questo? Mi interessa che me lo spieghi proprio tu, che giustifichi la guerra.

Thomas                            - (divertito) In un dizionario c'è scritto: "Sodoma è un omicidio che impedisce la generazione." (Addita Ernst) Lui la impedisce per incapacità congenita. (A Hermann) E voi, in compenso, distrug­gete quello che generate.

Gertrud                            - (a Hermann) Se non hai capito, ti fac­cio un altro esempio, ingenuo mio: Contro natura furono i rapporti fra me e te, quella sera. Come mi guardi? Perché?! T'aspetti un figlio da me?

Hermann                          - Ma tu sei una prostituta!

Gertrud                            - (ride) Già, scusami! Soltanto con le mogli si fanno figli. Con la moglie nessuno usa mai le sue "brave precauzioni"... eh?!

La ragazza                       - (ha posato lo sguardo su Peter. A Her­mann) Guarda quel negro là, come ride.

Hermann                          - I negri ridono sempre. Be', loro fanno pena.

La ragazza                       - Anche lui è un "senza patria"?

Thomas                            - Si, gira il mondo; fa il pascià: tanto ci sono i bianchi a casa sua che gli difendono gli in­teressi!

La ragazza                       - (a Hermann) Sono forti, i negri; guarda che corpo grande, lungo, ha! (A Peter) Quan­to mi piacerebbe sentire una di quelle canzoni nostal­giche che cantate!

Thomas                            - Su, Peter, fagliela spremere la lacrimuc-cia a un tenero cuor di donna.

Peter                                - (si alza dal letto, s'avvicina a Hermann, che gli punta contro il revolver) Va bene. Il povero buf­fo negro canterà una canzoncina. La più nostalgica di tutte. (Cala il pugno sul braccio di Hermann che la­scia cadere il revolver: lo colpisce in faccia: Her­mann, rinculando, batte la schiena contro la parete) Tremi?... poveraccio. Senza divisa non riesci a reg­gerti in piedi, eh? (Dà un calcio al revolver che sci­vola sotto il letto. La ragazza si avvicina a Peter, gli sputa addosso. Peter le dà uno spintone. La ragazza cade ai piedi di Walter. Hermann afferra il secchio, vicino alla bacinella, lo scaglia contro Peter, che schi­va il colpo. Peter si piega sul letto, assalito da uno scoppio di tosse. Hermann si inginocchia a sollevare la ragazza stordita. Incontra lo sguardo di Walter, scatta in piedi, batte i tacchi; indietreggia, esce, tra­scinando via la ragazza. Entra una cameriera)

Cameriera                        - (terrorizzata) Ma che succede, qui?! Il padrone si raccomanda di non far baccano. Vole­te attirare qua dentro la Polizia?

Peter                                - (a Gertrud) Andiamo di là. Ho voglia di ballare.

Gertrud                            - Se non hai più fiato! Andiamo a man­giare, piuttosto.

Peter                                - Vorrei proprio ballare.

Cameriera                        - I vostri amici vi aspettano nella sa­letta gialla.

Gertrud                            - (si avvia verso la porta con Peter. Alla ca­meriera) Ma tu lavori sempre dì notte?

Cameriera                        - Si.

Gertrud                            - E tuo marito quando lo vedi?

Cameriera                        - Mai. Lui lavora di giorno.

Gertrud                            - (a Walter) Scusi, si sente male? Perché non si sdraia? (Indica il letto)

Cameriera                        - (a Walter) Lei aspetta qua il Signor Erich? Il signor Erich la stava cercando, poco fa, in sala. Ora vado a chiamarlo. (Esce)

Gertrud                            - Si accomodi. Qua entra e esce chi vuole. Ognuno fa quel che crede. (Esce con Peter)

Ernst                                - (si avvia verso la porta) Tom, andiamo?

Thomas                            - (seguendolo) Si. Ho una gran voglia di mangiare.

Ernst                                - (accigliato, scherzosamente) Che pena, un poeta che ha fame! Tom, anche un generale ha fame!

Thomas                            - Be', almeno in questo, un generale può vantarsi di somigliare a un poeta. (Ernst esce. Wal­ter, ciecamente, sbarra il passo a Thomas) Ma lei chi è? cos'ha?

Walter                              - (penando a trovar parole) Raabe... Wil­ly Raabe. Conosce questo nome? Willy è un ragazzo. Be', non più un ragazzo, ormai... È un amico di mio figlio. Lei sa dove potrei cercare Willy Raabe? È bion­do e di statura...

Thomas                            - (lo scruta con pietà. Troncando) Ma si. Povero Willy. Eravamo amici.

Walter                              - Frequentava proprio questo ambiente? Conosceva il vostro gruppo? (controllandosi) Io non lo vedo da qualche anno. Lei potrebbe indirizzarmi...

Thomas                            - Caro signore, Willy è morto.

Walter                              - (pausa) Morto come?...

Thomas                            - Piombò giù da una finestra. Pare... vo­lontariamente.

Walter                              - "Volontariamente"... E lei lo crede?

Thomas                            - (pausa) Si.

Walter                              - Ma perché?

Thomas                            - Willy, quei giorni, era afflitto da un forte esaurimento nervoso. Ricordo che piangeva per un nonnulla. E non parlava quasi più.

Walter                              - Ma, di solito, insieme a voi, era un ra­gazzo gaio, vivace?...

Thomas                            - Vivacissimo: e cosi espansivo. Fu un grande dolore, la sua perdita, per tutti noi.

Walter                              - (assorto) Apri la finestra e... Ma forse la finestra era già aperta... Dov'è questa finestra?

Thomas                            - (additando il soffitto) Due piani su. Que­sta birreria è anche albergo. La finestra dà in un cor­tile, nel retro.

Walter                              - Ma la polizia indagò?

Thomas                            - No. I giornali dettero una versione fal­sa della morte di Willy. Accusarono un ebreo di aver­lo ucciso. Assurdo. Quel tale s'era già sparato, prima che Willy entrasse in camera sua.

Walter                              - Ma perché voleva entrarci?

Thomas                            - Per aiutarlo, in qualche modo. Quel ta­le era inseguito dalle S.S.

Walter                              - Aiutarlo! Lo conosceva?

Thomas                            - No!

Walter                              - E allora?

Thomas                            - Dio santo, per umanità!

Walter                              - (debolmente) Immischiarsi cosi! Per uno sconosciuto. È pazzesco.

Thomas                            - (sorride) Si sa. È sempre "pazzesco" il comportamento di un'anima cristiana.

Walter                              - Aveva molti amici? Aveva una ragazza?

Thomas                            - Aveva amici: ragazzi e ragazze.

Walter                              - (d'impeto) Ma avrà provato un senti­mento più violento per qualcuno! Una cosa è lo spi­rito è una cosa è...

Thomas                            - (troncando) Si calmi. Lei mi sta quasi aggredendo. Che c'entrano, adesso, queste grossola­ne distinzioni? Spirito, carne; amicizia, passione. Già! Come se l'amore non fosse tutte queste cose in­sieme.

Walter                              - Un'amicizia è un'amicizia e basta, non crede?

Thomas                            - (ironico) Ossia, una commedia, un gio­co dì interessi? Quanti amici ha, lei, da cui non pre­tende niente; nemmeno la loro stima?... (Pausa) Mi scusi: ma lei chi è? Deve essere legato in qualche modo a quel ragazzo. (Pausa) Un mese fa venne qua un'altra persona a chiedere di Willy. Era molto di­versa da lei.

Walter                              - Un altro? E chi?!

Thomas                            - Un giovane uscito appena di prigione.

Walter                              - Amico di Willy?...

Thomas                            - Si. So che Willy lo aveva aiutato a tro­var lavoro.

Walter                              - (pausa) Sa qualcos'altro sul conto di costui?...

Thomas                            - No. So soltanto che Anni...

Walter                              - (troncando) Anni? Chi?

Thomas                            - Un'amica di Willy. La conosce?

Walter                              - Credo di si.

Thomas                            - Anni lo credeva morto. Saputo, invece, che s'era fatto vivo, qua, s'è messa subito a cercar­lo. Ma inutilmente. Quel giovane non ha casa, non ha famiglia.

Walter                              - (pausa) Cosa disse... appena seppe di Willy?

Thomas                            - (assorto) Rimase muto; immobile, i pie­di inchiodati a terra. Poi sembrò vacillare. Mi voltò le spalle e si allontanò lentamente.

Walter                              - (sconvolto, porta le mani al viso a nascon­dere le lacrime) No!...

Thomas                            - Mi perdoni se le ho fatto del male in qualche modo.

Walter                              - No!... E per lui, s'è ucciso! Per lui!

 

Thomas                            - Io non so! Anni non mi ha detto niente.

Walter                              - Era vivo! È vivo!

Thomas                            - (ricostruendo) Willy credeva morto l'a­mico? E per questo... Ma come? Si sentiva responsa­bile della morte dell'altro? (Walter annuisce) Non può essere. Willy non poteva far male a nessuno... al­meno, volontariamente. Forse avrà creduto di essere la causa indiretta di... Già! Si sentiva sempre colpe­vole, nei riguardi del prossimo...

Walter                              - Colpevole?

Thomas                            - Si reputava... malato d'orgoglio. (Sorri­de con pena) Proprio lui, povero Willy!... Quante vol­te si accusò con noi! E noi ne ridevamo perché era puerile, buffo, patetico... (Di colpo si ode crescere di intensità il ritmo convulso della musica da ballo. Tho­mas rapidamente va alla porta) Lei sta aspettando qualcuno. Eccolo, è in fondo al corridoio. (La musi­ca cala improvvisamente di tono, per una porta ester­na, che si è richiusa. Thomas va alla finestrella) È be­ne chiudere. (Guarda un attimo fuori) Eccolo di nuo­vo là, lo sbirro... Chi starà aspettando? C'è un'auto a pochi metri da lui. L'auto della polizia segreta... (Chiude le imposte) Poveri diavoli. Finché non avran­no scannato tutti, e non sì saranno scannati fra di loro, vivranno sempre nel terrore d'essere traditi dal proprio fratello. (Va alla porta) Non c'è posto oggi per le creature come Willy. Si dia pace, caro signore! Prima o poi quel tenero ragazzo avrebbe fatto una brutta fine. (Esce. Walter, curvo, vacillante, fa qual­che passo; è in mezzo alla stanza. Dietro di lui, sulla soglia della porta, appare Erich, che è mutilato del braccio destro. Walter si arresta di colpo. Silenzio)

Walter                              - (quasi avesse un fantasma alle spalle) Erich!

Erich                                - Si, Walter.

Walter                              - Per quanto tempo... (Pausa) Non ricordo più la tua voce.

Erich                                - T'ho cercato, anni fa.

Walter                              - (meccanicamente) Cercato: quando?

Erich                                - Quando tornai in Germania. E tu m'hai sempre evitato. Mi sei sfuggito sempre... Che ti suc­cede, ora? Perché non mi guardi in viso?

Walter                              - (pausa) Anche tu eri amico dì Willy? (Tra sé) Tutti erano amici di Willy. Perché?

Erich                                - Ti somigliava: com'eri tu, ventidue anni fa, dopo la malattia.

Walter                              - Io non ricordo più!

Erich                                - (pausa) Non puoi ricordartene: non ti appartenevi! Non eri il giudice Raabe: eri Walter... senza orgoglio e senza paura.

Walter                              - (tra sé) Paura?... Tu hai visto morire Willy, non è vero?

Erich                                - Sì-

Walter                              - Si uccise?

Erich                                - Si uccise, Walter. (Pausa) Lo amavi?

Walter                              - (tra sé) Lo amavo?... Se non avevo fede che in lui! E tutte le ambizioni che nutrivo a suo riguardo..

Erich                                - (troncando) So che le tue ambizioni non coincidevano con le sue. Gliele rispettavi, almeno?

Walter                              - Non le capivo. Tutta roba campata in aria. A che cosa ambiva? Alla musica? A che?!

Erich                                - Ambiva a non far parte di questa socie­tà. A lottare per non farne parte.

Walter                              - (violento) Chiacchiere: dobbiamo accet­tarla com'è, se vogliamo vivere: per la semplice dan­nata ragione che vogliamo vivere, a tutti i costi.

Erich                                - Vivere come?... Mangiare, fornicare, ucci­dere, strisciare... Ti credi vivo, tu?

Walter                              - (tra sé) No... Ma non capisco.

Erich                                - Willy, non ha voluto capirlo: per questo s'è ucciso.

Walter                              - (d'impeto, infuriato) No! Voi! Voi siete stati! Me lo avete ucciso voi! Questo ambiente di di­sperati è stato! Nel vostro caos, nel vostro torbidu­me, s'è impigliata la sua anima. Gliela avete fiaccata voi la volontà! Io non c'entro. Io lo volevo felice, senza problemi: lo volevo forte!

Erich                                - Lo volevi insensibile: volevi solo che te­nesse alla sua pelle. È un istinto animale che capisco. Ma l'ha cercato lui il nostro ambiente. Non sarebbe venuto qua, se non ne avesse sentito violento il bi­sogno. (Pausa) Perché continui a volgermi le spalle?... Perché sei venuto? (S'odono passi sulla strada) Pare che ci sia nelle vicinanze l'auto della polizia segreta. Aspettano me? I miei amici? Ci hai denunciato tu, giudice Raabe? Ti vendichi di noi che ti abbiamo rubato tuo figlio? Ma voltati! (Walter affonda una mano nella tasca) Tu sei armato. (Pausa) Se vuoi uccidermi dovrai pure guardarmi in faccia. (Pausa) Hai paura di non odiarmi più, se mi vedrai?... Tutto dipende dalla simpatia o dalla ripulsa che t'ispirerò, vero?... È cosi facile uccidere, oggi: basta solo che un corpo ci sembri ridicolo; lo si schiaccia come una mosca.

Walter                              - Willy lottava contro la società: "lottava", hai detto.

Erich                                - Ho aggiunto: "per non farne parte".

Walter                              - Partecipò a qualche complotto?

Erich                                - Finora i miei amici han complottato solo per trovare il modo di andarsene dalla Germania.

Walter                              - No. Voi state sabotando ogni...

Erich                                - (troncando) Finiscila. Non possono esserci prove: non esistono prove. Né contro Willy, né contro di noi.

Walter                              - Willy era un ragazzino. Poteva essere un reazionario cosciente? Poteva essere un politico, lui?!

Erich                                - (sorridendo) Il contrario di "politico" è "mistico": credo che questa "tenera, vaga, astratta" parola possa attribuirsi a Willy e a tutti i pazzi come me.

Walter                              - Pazzi, si; e, fuori della Germania, cre­dete di trovare comprensione? Cos'hanno fatto di po­sitivo, finora, i grand'uomini delle cosiddette nazioni democratiche, per ostacolare l'ascesa del nazismo? Hanno mosso un dito?... Di'! (Pausa)

Erich                                - Io rimango a morire qua, infatti: sono solo. Ma chi ha dei legami vuol salvare se stesso e le creature cui è legato. Oh, nessuno di loro si illude molto: sanno bene che tutti i governi sono nazisti, in un modo più o meno esasperato.

Walter                              - (bruscamente si volta: guarda Erich. Silen­zio) Fuggi presto di qui. Vattene subito.

Erich                                - (fissandolo) Sei cambiato e non sei cam­biato. Le guance cosi scavate... Altri occhi. Ma il bion­do dei capelli è rimasto quello di...

Walter                              - (troncando) Salvati. Corri. Cercano voi.

Erich                                - Perché? C'è stato qualche attentato, in giro? E l'accusa specifica? Di cosa dobbiamo rispon­dere?

Walter                              - D'essere diversi da loro; diversi dalla massa. "Inassimilabili". È più grave questo che con­giurare contro il governo.

Erich                                - E come puoi salvarmi tu? Se la polizia è là fuori?!

Walter                              - Ti precedo. So io il modo perché non ti prendano.

Erich                                - Me solo?...

Walter                              - Cosa?

Erich                                - E i miei amici?

Walter                              - Pensa a te. Presto.

Erich                                - (pausa) Oh, no. Io seguirò la sorte degli altri. Mi arrestino pure.

Walter                              - Non arresteranno nessuno. Agli "inassi­milabili" non si fanno processi. Si aboliscono e basta.

Erich                                - (pausa) Allora... è la fine!

Walter                              - Rimani, tu?

Erich                                - (pausa) Si, Walter.

Walter                              - "Abolire", ho detto.

Erich                                - Si.

Walter                              - (pausa, sconvolto, tra sé) Abolire. E i ricordi?!... (Fissa Erich) Tu sei come ti ricordavo; ti ricordavo cosi, come ti vedo, come parli: insosti­tuibile. Sei Erich! Dovranno eliminare anche me, se vogliono abolirti. (Additando la finestrella) Stanno aspettando, là fuori, ch'io mi liberi di te. Son loro che m'han mandato qua. Mi mettono alla prova... e ogni minuto che passa...

Erich                                - Tu! Per me? (Pausa) Rischi ancora la vita per la mia... Ricordi l'ultimo nostro giorno? Oh, Wal­ter, cosa sei diventato, in tutto questo tempo? Walter! Se salvi me, per te è finita.

Walter                              - No. Non è finita. Vattene, t'ho detto.

Erich                                - (pausa) Di là, nel mio gruppo, c'è una bimba di pochi anni: salva lei, se puoi, ti prego.

Walter                              - È impossibile.

Erich                                - Allora vattene tu; è inutile che rischi an­cora.

Walter                              - (istintivamente) No. Resto. Non mi muo­vo. (Pausa)

Erich                                - Sei venuto a morire.

Walter                              - Non morirò per ora, non c'è pericolo. Faccio troppo comodo. Solo appena non servirò più, salterà fuori l'oscuro caso della morte di Willy; le sue "oscure" compagnie; e quelle di suo padre... A-spetto calmo, ormai, quel momento. (Bruscamente si piega sul letto, respirando con fatica)

Erich                                - (gli si avvicina) Stai male. Non parlare, adesso.

Walter                              - Calmo come un morto.

Erich                                - Non parlare. È peggio.

Walter                              - (tra sé come vaneggiando) Anche Hitler, in questo momento, è calmo come un morto: pensa a me nel buio della sua camera vuota; ha paura dei miei segreti. È avido dei miei ricordi. Geloso d'ogni mio pensiero che non lo riguardi... Geloso: com'ero io geloso della musica, dei silenzi di Willy... Com'ero io. E la notte non finisce mai, e gli altri dormono quie­ti e appartengono a qualcuno che non sei tu, alla fe­de, alla carità di qualcuno che non sarai mai tu; tu non ci sei per nessuno; te non ti si vede, perché sei murato vivo, o ogni fruscio è un agguato, le palpe­bre non si chiudono, il sonno interdetto... Oh, la ri­valsa dell'orgoglio, la libidine ritorta su se stessi, la smania di violentare gli altri: penetrare in loro, in­vaderli di te, e trascinarli dove il tuo cuore impazzi­to trascina te... E poi, Dio! Dio che te li strappa dalle mani. È atroce lottare con Dio! Questo è l'inferno: sentire che non riuscirai mai a spezzarlo quel lega­me inviolabile che li unisce a Lui. Stritoli un corpo, lo bruci, lo incenerisci e non la sfiori nemmeno: in­tatta, vergine sempre la libertà dell'uomo col suo Dio!... (D'improvviso si ode crescere di intensità il suono della musica da ballo. Passi nel corridoio. Erna, in ricco mantello e abito da sera, appare sulla porta, trafelata)

Erna                                 - Walter!

Walter                              - (sobbalza) Eccoti. Naturalmente. Arrivi sempre a tempo, tu.

Erna                                 - Walter! Cos'hai?! Walter! Che ti succede?

Walter                              - (pausa) Tu qua?... Come? Perché?

Erna                                 - (circospetta) Eri appena uscito di casa: ha telefonato Kleiber. M'ha suggerito lui di cercarti in questa bettola. (Si guarda attorno) Qua fu attirato, nostro figlio; qua fu ucciso. Che ambiente sordido: io non posso, non riesco a capire come Willy, delicato com'era... Che orrore, qua. E tu, perché ci sei venu­to? C'è la polizia, sulla strada. Sei venuto con loro? Come mi guardi? M'è sembrato che Kleiber nascon­desse qualcosa, che mi tendesse un tranello! ...Que­sto è un covo di rinnegati, e tu...

Walter                              - (troncando) T'ha veduta entrare, la Po­lizia?

Erna                                 - Ma si.

Walter                              - Ritornatene via. Presto. (A Erich) Esci anche tu. Ti precedo fino in fondo alla strada, fino all'angolo. Nessuno ti darà noia. (Violento) Salvati!

Erna                                 - (guarda Erich) Chi è quello?

Walter                              - (a Erna) Levati di mezzo!

Erna                                 - (intuendo, allibita) Quello è un traditore del governo! E tu?!... Allora Kleiber... Io sono qua: mi crederanno tua complice!... Tu aiuti a fuggire un traditore?!

Walter                              - Si. Aiuto chi pare a me. Decido da me se lui è un traditore o un martire.

Erna                                 - E tu, tu... rischi cosi la tua carriera?

Walter                              - Si.

Erna                                 - Sei impazzito!

Walter                              - Si.

Erna                                 - Ma rischi anche la tua vita, Walter!

Walter                              - Sono libero o no di crepare come pare a me?!...

Erna                                 - Per un rinnegato? Per un delinquente po­litico?

Walter                              - Erich, salvati!

Erna                                 - (gli corre vicino) Ma chi è costui? Che ob­blighi hai...

Walter                              - (troncando, a Erna) Obblighi?! Tutta qui la fogna dei tuoi sentimenti.

Erna                                 - Erich, hai detto? Erich Ditzen? Ancora lui?!

Walter                              - No! Tu non c'entri!

Erna                                 - (frustata, con sdegno) Non c'entro! Cos'è costui, per te? Devo saperlo! Ne ho il diritto! Sto rischiando anch'io la vita!

Walter                              - Tu, già! (Le ride in faccia)

Erna                                 - (aggrappandoglisi, torva) Ma che c'è di am­biguo, tra voi...

Walter                              - (respingendola violento) Ambiguo?! Che ribrezzo. Vattene, m'hai sporcato abbastanza!

Erna                                 - Ammazzami: non mi muovo di qui. Chi è costui? (S'ode dalla strada, il fischio stridulo, acuto di un segnale) Li senti? Eccoli. Non mi muovo. Con­fessati: siamo in punto di morte, Walter. Chi è co­stui?

Walter                              - (cedendo, lo sguardo basso, quasi fosse sul banco degli imputati) Io non so...

Erna                                 - Come nacque?... Perché?...

Walter                              - Come nacque?... Io lo odiavo. Io fui cru­dele con lui...

Erna                                 - (sarcastica) E lui ti perdonò.

Walter                              - No. Io fui crudele con lui, e lui non si offese. È diverso. Tremendamente diverso.

Erna                                 - Quando fu?

Walter                              - Avevo l'età di Willy.

Erna                                 - Poi?

Walter                              - M'ammalai. Erich m'aiutò a guarire...

Erna                                 - T'aiutò? In che modo? Che malattia ave­vi?... Ma che cosa t'ha dato la sua amicizia, perché le rimanessi cosi legato?...

Walter                              - Quello che non m'hai dato tu... invischia­ta come sei nelle smanie del tuo sesso.

Erna                                 - Cosa?...

Walter                              - L'amicizia, appunto: il disinteresse...

Erna                                 - (troncando) Disinteresse! (Esplode in una risata di scherno)

Walter                              - (silenzio. Estremamente smarrito) Dio... (Tra sé, guardando Erich) Cos'è questo istinto di vo­lere il suo bene, a danno del mio?... Perché sono ve­nuto qua?... (A Erna) Mi guardi come se dovessi ver­gognarmene!... (Si appoggia al muro, estenuato) Il tuo disinteresse, Erich... il calore della tua compas­sione... Ero malato. Sono malato. Compassione. Di cos'altro ho avuto mai bisogno, io? E cos'altro pos­siamo pretendere? Siamo soli, col nostro basso, goffo, orgoglio. Soli e malati; e fa freddo, la compassione è morta: e tutto è squallore, buio, violenza... (Di col­po, netta, acutissima, s'ode la voce di qualcuno che intima un ditola. Strepito confuso di passi che scen­dono correndo una scala di legno. Simultaneo levar­si di grida e tonfi di tavoli rovesciati, il suono dell'orchestra interrotto. La voce scandisce una seconda intimazione. Silenzio assoluto. Erich rimane immo­bile, Erna corre addosso a Walter, avvinghiandoglisi)

Erna                                 - Eccoli. Ci ammazzeranno. Salvami, Wal­ter. Io non c'entro. Non farmi morire. Io sono venu­ta qua per amor tuo. Per amor tuo: e Kleiber m'ave­va messa in guardia. Io non sono tua complice. Io sono venuta solo a difenderti. Salvami, Walter! Non guardare lui. Non guardarlo! È qua dentro, qua, in questo postribolo che ci hanno ucciso Willy! Nostro figlio, Walter, la nostra creatura. Il nostro bambino innocente. Guardami. Chiama aiuto. Denuncia lui. Di' che ti ha aggredito, che t'ha attirato qua per ucci­derti. In nome di Willy. Vendica tuo figlio! Salvati. Fallo per lui... E per noi! Amore. Io sono giovane ancora. T'amo. Sono tua. E tu sei il mio dio! (Lo bacia in bocca) No! No, amore. Non può finire cosi. Tu non puoi morire! Questo tuo corpo non può mo­rire. Io lo difendo col mio. Che nessuno lo tocchi! È mio, e palpita per me! Il tuo respiro. E le tue brac­cia, i tuoi occhi, la tua bocca, no! Non possono mo­rire. Walter, noi due siamo giovani ancora, giovani, giovani!... (S'ode ancora la voce esplodere in una intimazione) No! (Il silenzio è squarciato dalle sca­riche dei mitra. Segue un silenzio totale. S'odono passi avvicinarsi. Erna preme le labbra sulle labbra di Walter. Walter, come un automa, toglie di tasca un revolver, lo punta contro Erich, spara un colpo, due. Erich lentamente, guardando Walter, si abbatte a ter­ra. Sulla porta appaiono due Ufficiali delle S.S. Er­na si scioglie dall'abbraccio, scivola sul letto, come tramortita)

1° Ufficiale                      - (ha un foglio in mano, legge, guarda Erich. Additandolo a Walter) Erich Ditzen? (Walter annuisce. I due ufficiali fanno un passo verso il corpo di Erich. Walter spara un terzo, un quarto colpo sull'agonizzante. Gli ufficiali si avvicinano a Walter che vacilla. li revolver piomba a terra. I due aiutano Walter, assalito da un capogiro, a sedere sulla pol­trona. Il primo ufficiale si avvicina a Erna) Signora Raabe, si sente male?... Desidera bere qualcosa? (A un sergente, che appare sulla porta) La bottiglia del co­gnac, prego. (Il sergente guarda il cadavere, lo co­pre con una coperta, esce) Coraggio, signora Raabe.

Erna                                 - (sollevandosi adagio) Un agguato... Che spa­vento... Mio marito è stato attirato qua, da quel ta­le... L'ho saputo appena in tempo. Sono corsa a sal­varlo... per miracolo...

1° Ufficiale                      - Miracolo, si. (A Walter) Due attentati in una sera, signor giudice. Lei è perseguitato dalla fortuna! (A Erna) E con quale pretesto quell'uomo ha costretto suo marito a venire qua?

Erna                                 - S'era spacciato per amico di nostro figlio ...Nostro figlio fu assassinato, qua dentro... Sono due anni, ormai.

1° Ufficiale                      - Ricordo: una delle tante gloriose vittime dei giudei, traditori del popolo.

Un eroe                            - (guarda fisso Walter) Come sta, signor giudice?... L'Ispet­tore Capo è impaziente di avere Sue notizie. Lo at­tende a cena con la sua signora.

Erna                                 - (a Walter) Come ti senti, caro? (Lo ba­cia in fronte) Sarebbe scortese non andare più, non credi?... (Pausa) Che ne dici? (Walter annuisce)

1° Ufficiale                      - (al collega) Chiudi a chiave la porta della saletta gialla. Quanti ce n'erano dentro?

2° Ufficiale                      - Ventisei; e con quello là, ventisette. Abbiamo fatto fuori tutta la banda. Di attentati, in giro, non ce ne saranno più per un pezzo, ho idea.

1° Ufficiale                      - Gli altri clienti, al Polizeipràsidium. (il 2° ufficiale va alla porta) Telefona al signor Ispet­tore, per piacere. Era in ansia, un'ora fa. Annuncia che il giudice Raabe sta bene e verrà a cena, come stabilito.

2° Ufficiale                      - Vado. (Esce. Si odono colpi di gran­cassa. Entra il sergente con una bottiglia e due bic­chierini)

1° Ufficiale                      - Che succede, di là?

Sergente                          - È il signor tenente. Ha la passione del­la musica. Suonava in un'orchestrina, una volta. Ha suonato anche nelle operette! (Walter si alza in pie­di: un automa. L'ufficiale gli porge un bicchierino di cognac. Walter beve)

1° Ufficiale                      - Prego? (Riempie ancora il bicchierino. Walter, tetro, alza il bicchierino alla salute dell'ufficiale. Erna batte il suo con quello del marito, beve) Ha ripreso colore, signor giudice. Si sente meglio, ora, vero? (Walter annuisce, spento. Erna gli porge il braccio. L'ufficiale ed il sergente scattano in un saluto. Walter ed Erna si avviano verso la porta, escono. Il primo ufficiale al sergente) Quell'uomo ha un domani. (Si butta sul letto. Solleva in aria la bot­tiglia, beve a tonfo. Il tenente, di là, come ammattito di euforia, seguita a menar colpi sul suo strumento)

 

FINE

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