Le mani del diavolo

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dramma in tre atti

di Werther Bellodi

Rappresentato il 30 maggio 1956

dalla Stabile del Teatro Pirandello di Roma

PERSONAGGI

Donald Calvert

Cinzia, sua moglie

Eva Calvert

Phil Vallier

Isadora Marrigate

Lewis Marrigate

Marta, governante

A Mallowhurst - Anno 1949


ATTO PRIMO

La villa dei Calvert e precisamente la stanza di sog­giorno. Ambiente elegante, semplice, moderno. Nel fondo una porta a vetri che dà su una ampia terrazza da cui, per una breve scalinata invisibile, si accede al giardino. A destra, una porta, che dà nel vestibolo e nelle stanze della servitù. A sinistra, una elegante scala in legno porta al primo piano. La porta che conduce nelle stanze, dà su di un breve ballatoio che permette di affacciarsi alla sala sottostante. Un pianoforte è situato nell'incavo della scala, vale a dire nell'angolo di destra. Vicino, alcune poltrone e un tavolino fumoir. A sinistra, quasi in angolo, il camino rustico, contornato da scaffali di libri. Poltrone, divanetti, paralumi, mobile-bar. Di mattina. All'aprirsi del velario la scena è vuota ma quasi subito la porta della camera si apre e ne esce Marta che richiude e discende. Dal fondo entra Cinzia con un mazzo di fiori.

Marta (la guarda poi alza le mani e gli occhi al cielo) - Signore Iddio, ti ringrazio!

Cinzia   -   Perché?

Marta -  Per questa bella giornata.

Cinzia - Oh sì, il tempo finalmente siè messo a fare giudizio.

Marta - Io non mi riferisco propriamente al tempo ma a lei, che stamane la vedo così splendente!... una visione veramente primaverile. Poi al signore...

Cinzia - Deve essere uscito da più di un'ora.

Marta - Gli ho servito  la  colazione  alle sette. E mi sembrava  di  umore allegro.

Cinzia -  Allegro?

Marta - Meno... strano del solito, Insomma molte cose diverse vedo stamani. Per cui, doverosamente, ringrazio  il  Signore.

Cinzia - Come lo ringrazierei volentieri anch'io, se fosse vero!

Marta - Scusi, ma una prova l'abbiamo. Ha visto ieri sera, quando ha letto il telegramma della signorina Eva? Gli si sono persino colorite le guancia. E sta­mattina, quando ha aperto il garage, fischiettava un orribile motivo popolare.

Cinzia - Non vorrei che si trattasse di un fenomeno pas­seggero. È già accaduto. E io ormai credo poco ai miracoli.

Marta - Non parli così, signora.

Cinzia - L'uomo che è tornato dal fronte sembra un altro, anche se ha i tratti fisici identici a quelli del mio Donald. A volte mi accorgo di guardarlo con curiosità,  come se lo  vedessi per la prima  volta.

Marta - Ma il dottore le ha assicurato...

Cinzia - Il suo male non si guarisce con le medicine... E un intervento chirurgico dovrebbe sostituirgli il cuore o il cervello.

Marta - Una bella mattina lo vedrà svegliarsi comple­tamente guarito. Lasci che dimentichi ciò che ha passato laggiù... in mezzo a quell'orrore.

Cinzia - Un orrore superiore ad ogni immaginazione.

Marta -  Non pensi sempre alle stesse cose.

Cinzia - Ha vissuto per circa due anni lontano. E in guerra non esistono scrupoli. Per l'esistenza si commette qualsiasi cosa. Tutto è lecito. E per l'amore... perché lui mi amava...

Marta - E l'ama ancora. (Squilla il telefono. Marta lo stacca).

Pronto?... Sì, Villa Calvert. Attenda un attimo, prego. (A Cinzia) E'la signora Marrigate... Chiede di lei.

Cinzia  -  A  quest'ora?

Marta -  Devo  rispondere  che  non  c'è?

Cinzia - No, no. Date qua. (Al telefono, con una genti­lezza fredda e sostenuta) Pronto? Buongiorno si­gnora... Affatto. Sono sempre alzata a quest'ora.. È passato da lei Donald? Che voleva? Ah, gliel'ha detto? Sarà di ritorno tra poco... Ma certo, quando vuole. Arrivederci. (Riattacca) Donald è passato da casa sua per avvertirla dell'arrivo di Eva e l'ha invitata nel pomeriggio a prendere il tè.

Marta   -   È   strano...

Cinzia - Mi è odiosa quella donna e non capisco queste attenzioni di Donald.

Marta - Potrebbe essere un segno buono per lui questo andare  contro le  abitudini  della  casa...

Cinzia - Non so, non riesco a capire. (Si avvia verso la scala)

Marta  -  Ha  altri ordini signora?

Cinzia (comincia a salire) - Bisognerà dire a Tom che rimetta la ghiaia nei vialetti del Belvedere. Ci si accumula il fango e diventa un problema camminare da quelle parti.

Marta -  Provvederò subito,  signora.

Cinzia - E avvertitemi quando  arrivano.   (Esce).

Marta (A sua volta si dirige verso la porta del fondo ed esce scendendo la gradinata. Pausa, Donald ed Eva entrano a sinistra).

Eva  -  La  casa  sembra  deserta.

Donald - Cinzia deve essere ancora in camera.

Eva - Certo che non avendo sentito il clacson! Chissà la sua faccia quando saprà dell'incidente alla macchina!

Donald - Non l'adoperava quasi mai. Ha contratto ormai  abitudini campagnole. Preferisce il calesse.

Eva (scherzosa) - Ad ogni modo la colpa è tua. Andavi ad una velocità pazzesca! Ma cosa ti è saltato in mente?

Donald - Non ti sei divertita? Volevi provare, il brivido dell'emozione, no?

Eva - Alla grazia. Per poco non andiamo a finire in acqua.

Donald - Mi sorprende che non si veda nemmeno l'onni­presente signora Marta.   (Chiama)  Cinzia! Cinzia!

Eva - Ma se per caso dormisse ancora?

Donald  -  È  mattiniera! Cinzia!

Eva - Cognatina!

Cinzia (si affaccia al ballatoio) - Già qui? Oh, cara, cara... (Scende in fretta ed abbraccia la ragazza).

Eva - Anch'io morivo dalla voglia di riabbracciarti, di vivere un po' con voi. Lasciate che vi guardi. (Li osserva in silenzio poi scuote la testa sorridendo) Niente paura. Avete ancora l'aria di persone per bene.

Cinzia - Nella tua ultima scrivevi che forse saresti andata con alcuni amici a Brighton.

Eva - Infatti era già un progetto concluso ma è arri­vata in tempo la lettera del fratellone a mandare tutto all'aria.

Donald - Ma il mio non era affatto un ordine.

Eva - Lo so, caro. Ma sono stata ben felice di lasciarlo credere alla compagnia.

Cinzia -  Sei  sempre  terribilmente viziata?

Eva - Per forza. Nessuna persona seria ama la mia com­pagnia. Non ci siete che voi due. Ma da quando avete abbandonato Londra per rifugiarvi qui, mi sono sentita un pezzo di sughero sballottato dalle onde.

Donald - Guarda che Eva ha una fame spasmodica.

Eva - E vero. Non ho mangiato da ieri sera.

Cinzia - Faccio subito preparare. (Va a suonare il campanello) Vuoi salire intanto a riassettarti? Ti faccio servire la colazione là.

Eva  - No,  no.  Salgo  solo  per pochi  minuti.

Cinzia - Non hai portato nemmeno una valigia?

Eva - Il mio bagaglio è a mezza via. È successo un piccolo incidente, ma niente paura.  Donald,  spie­gale quella noiosa faccenda. (Sale in fretta. Pausa).

Cinzia  -   Avete avuto un incidente?

Donald - Sì è bruciata una bronzina. Abbiamo dovuto lasciare la macchina in un garage e continuare con mezzi di fortuna. Prima di sera sarà tutto a posto. Dov'è Marta?

Cinzia  -   Stava dando alcuni ordini al giardiniere. Come è andato il tuo incontro con Eva?

Donald - Come vuoi che sia andato?  Benissimo.

Cinzia   -   Meglio così. E nessun accenno...

Donald - Ma niente. Niente. Del resto ti pare anormale un bisticcio fra fratello e sorella? Dopo tutto sono il maggiore e mi sembra doveroso intervenire ogni tanto per frenare le sue esuberanze.

Cinzia   (sospirando) - Le esuberanze dei vent'anni. Beate loro!

Donald - Mi sembrano eccessive. Tu, alla sua età, non le avevi.

Cinzia - Io ero già sposata all'uomo più delizioso di Londra.

Donald - Sciocchezze!

Cinzia - Veramente oggi è diverso. Ma c'è stata la guerra.

Donald - Cinzia!

Cinzia - Non è un rimprovero che voglio farti, ma devi convenire che non sei più lo stesso!

Donald - Non si può rimanere eternamente deliziosi. Diventeremmo  monotoni.  Infine se ti trovi  male vicino a  me...

Cinzia   -  Che   discorso!...

Donald -Mi rendo perfettamente conto che la vita a Mallowhurst non è delle più divertenti.

Cinzia - Ma io mi trovo benissimo qui, come in qualsiasi altro posto, purché anche tu sia soddisfatto.

Donald - E lo sono.

Cinzia  -   Davvero?   (Si appoggia,  alla  spalliera  della poltrona dove Donald è seduto e lo accarezza) Certe volte mi sembra proprio di essere io la causa dei tuoi malumori. Che non ti so capire, non so tollerare, non mi rendo conto delle tue sofferenze.

Donalo (l'abbraccia) - Zitta... zitta... stai dicendo delle cose assurde.

Cinzia - Ma vedi. Nonostante tutto sono rimasta come dieci anni fa. E ti amo nel modo di allora. Forse apparirò fuori moda,  ma non  è colpa mia.

Donald - Cara. Non devi cambiare. Guai se anche tu mi mostrassi un viso diverso da quello che ho sempre adorato. Se dovessi dubitare del tuo cuore. Se pensassi che la tua mente è popolata di ombre... (La stringe con più forza).

Cinzia - Credi che se tu mi illuminassi non avrei la forza di  fugare le tue?

Donald - Le mie... Già, forse... Però sono cose lon­tane. Nate nell'inferno dove ho vissuto, fra persone dannate. Sai? A volte penso di avere già ricevuto la mia condanna suprema e di essere in attesa della resurrezione. E cerco di dominare più che posso la mia impazienza, i miei nervi, per poter arrivare. a quel momento desiderato. Solo allora Donald Calvert potrà essere ancora, l'uomo più delizioso di Londra.

Cinzia (chinandosi su di lui) - Ho tanta fiducia che questo si avveri presto!

Marta (entra da sinistra spingendo il carrello della colazione) -  Buon giorno, signor Calvert.

Donald - Buongiorno. Che cosa avete preparato?

Marta - Un po' di tutto,

Donald - Sai Cinzia? Eva ha deciso di trascorrere con noi buona parte dell'estate. I Carrighan l'hanno invitata a Southampton, per la seconda quindicina di agosto, non prima.

Cinzia - Io ne sono felice. Ma resisterà la piccina, fra gente inselvatichita come noi?

Donald - Le procureremo delle distrazioni. Intanto ci sono i Marrigate.

Cinzia - Già!...

Donald - La signora Marrigate conosce tutto il paese. Troverà indubbiamente la compagnia adatta per Eva.

Cinzia - Guarda che ha telefonato poco fa. L'hai invitata tu per oggi?

Donald- Sono passato di là stamane. Le ho parlato di  Eva. La vuole salutare.

Eva (Si affaccia alla balaustra. È primaverile, fresca e leggiadra) - Chi è che mi vuole salutare con tanta impazienza?

Donald - La nuova aristocrazia del paese.

Marta - Buongiorno, signorina Eva. E bene arrivata.

Eva - Grazie, Marta.

Marta - La colazione è servita.

Eva (bambina, battendo le mani) - La nostra cara si­gnora Marta che mi alimenta i vizi. Ma io credo che gente simpatica come voi non si trovi in tutta Mallowhurst. Chi sono i fortunati ammessi in casa vostra? (Intanto si sarà servita e mangia).

Donald - I coniugi Marrigate. I soli sopportabili del paese. Sono molto diffidente nel contrarre nuove amicizie.

Eva - Non hai torto. S'incontrano certi tipi al giorno d'oggi. Non si sa di dove vengano e che cosa fac­ciano. Ma sopratutto ragionano con una logica così spietata che fanno impressione. Deliziose queste tartine.  Le fate sempre seguendo la stessa ricetta?

Marta - Ahimè, sì! Almeno fino al giorno che suo fratello non deciderà di cambiare abitudini gastronomiche.

Cinzia - Donald in questo è terribilmente conservatore.

Eva (tralasciando di mangiare) - Adesso sono pronta a  rispondere a tutte le vostre domande.

Cinzia - Non ho proprio niente da chiederti, cara. Aspetto che tu mi voglia confidare qualcosa di interessante.

Marta (ripone i resti della colazione sul carrello ed esce per dove è venuta).

Eva - In città, nonostante tutto, conduco una vita abbastanza monotona, E finisco per fare ogni giorno le medesime cose. Di interessante non ho che i miei sogni.

Donald - Allora, se vi pare divertente, vi lascio so­gnare ad occhi aperti. Salgo in studio.

Eva - Lavori sempre attorno al tuo libro? Sai che se ne parla in giro?

Donald - Naturalmente, con un gazzettino del tuo calibro! Ma non è detto che lo dia alle stampe.

Eva - Fai malissimo. A parte il fatto che le azioni dei Calvert salirebbero, con uno scrittore in famiglia, mi pare doveroso nei riguardi dei paese, raccontare ciò che veramente è successo laggiù. Se ne parla troppo in tono accademico o letterario, E quindi nessuno vi crede. Ma ho fiducia in te e sono ansiosa di leggere per la prima... (Guarda Cinzia) Cioè, per la seconda... le pagine del tuo diario.

Donald (rabbuiandosi) - Non so... C'è troppa parte di me in quei fogli perché lidia in pasto alla curiosità popolare. Molti fatti non sarebbero capiti o male interpretati.

Eva (scherzosa) - Li faremo precedere da una nota illustrativa.

Donald - A più tardi.  (Sale ed entra in camera).

(Le due donne rimangono un attimo in silenzio come per tentare di nascondersi l'un l'altra i pensieri più fastidiosi).

Eva - Eccomi qua, dunque, in mezzo a voi.

Cinzia - Sono stata  tanto felice della tua decisione.

Eva - Sei una cognata esemplare.

Cinzia - Ti confesso che c'è molto egoismo nella mia felicità.

Eva - Comunque te ne sono grata. Credo che non avrò tempo di annoiarmi.

Cinzia - Se Donald ti ha pregata di venire, è segno che anche lui vuol muoversi, uscire da questa specie di clausura in cui si è segregato da tanto tempo.

Eva - Povera Cinzia! Quanta pazienza dovrai avere al suo fianco.

Cinzia - Miè stato di conforto fino ad oggi, il pensiero che un giorno potremo ritornare a Londra e vivere come una volta. A te come è sembrato?

Eva - Al primo momento molto migliorato. In mac­china sembrava un ragazzo. Ha aperto la radio e ha seguito fischiettando il programma delle canzoni. Poi d'un colpo si è trasformato. Ha sterzato brusca­mente mentre si andava ad una velocità pazza... E per poco non ci scaraventiamo nel fiume. Allora mi son detta: attenzione, cara, tuo fratello non è ancora guarito.

Cinzia - Infatti, sa dominarsi di più e procura di tro­varsi solo, quando l'agitazione sta per esplodere. In quei momenti inforca il cavallo e se ne rimane fuori fino a sera.

Eva - Hai mai tentato d'indagare, per conto tuo, scri­vendo laggiù... O rovistando fra le sue carte?

Cinzia - Perché si ripetesse la scena di sei mesi fa, quando ti ha sorpresa nel suo studio? Ebbi l'impressione che ti volesse uccidere.

Eva - Non farmelo ricordare. Non ho mai visto una espressione stravolta come la sua in quel momento. Dovevo averla  fatta ben grossa.

Cinzia - Forse eri sul punto di scoprire qualche cosa.

Eva - Si è lasciato sfuggire qualche nome?

Cinzia - Mai, ma poche sere fa, appisolatosi sul divano lo intesi pronunciare frasi strane: parlava di mani, di musica, mi pare perfino del diavolo. Mi avvicinai per cercare di capire meglio, ma si drizzò in piedi di soprassalto. Sono però sicura che il pensiero è su qualche persona che ha conosciuto a Lillà o altrove.

Eva - Ma no, non può essere.

Cinzia - Se conoscessi il suo recapito andrei a trovarla. E la porterei qui. Anche con la forza. Per vedere di porre fine ad una situazione che a lungo andare ci farà impazzire tutti.

Eva - E non c'èniente che possa distrarlo? Non sta lavorando attorno a quel libro?

Cinzia - Ne so così poco. Non vuole che gliene parli. E mi pare, francamente, che non costituisca un gran diversivo per lui.

Eva - Nemmeno la musica? Donald è sempre stato un appassionato.

Cinzia - Nemmeno la musica. Se vuoi vederlo agitarsi, mettiti al pianoforte. Ho provato diverse volte cercando di ricordargli che la musica è un gran lenitivo per i nervi logori.

Eva - È pazzia bella e buona. Ma non si può assecon­darlo in tutto. Sono d'avviso che si debba tentare ancora per abituarlo poco allavolta a vivere come si conviene ad un essere umano. Le sofferenze patite non devono pesare eternamente anche sugli altri. Sei sua moglie, alla fine, e hai diritto di godere la tua parte di felicità.

Cinzia - Una volta, e non è molto tempo fa, mi ha chiesto se desideravo divorziare.

Eva - Te ne ha dato motivo?

Cinzia - Se fossi una donna suscettibile avrei avuto mille argomenti per chiedere la separazione. Ma io lo amo come il primo giorno e non riesco a persua­dermi che la guerra abbia distrutto lamia felicità.

Eva - No, no, cara. Qui bisogna tentare tutti i rimedi. Dove non arriva la medicina, può arrivare, che so, la magia, gli esorcismi. Tu ridi? Ti garantisco che ho assistito a degli esperimenti straordinari. Cerche­remo insieme e intanto, qua dentro, vedremo di cambiare, poco per volta, il sistema di vivere. In­tanto posso cominciare a fare degli inviti con il tuo consenso.

Cinzia - Hai  carta bianca,  mia cara.

Eva - Sai Cinzia? Potrei scrivere a un certo signore... Non a lui solo, s'intende. Ma che si unisse, per esempio, ai Carrighan, a Elsie, la minore: una ra­gazza indiavolata che metterebbe a soqquadro tutto il paese.

Cinzia - E chi sarebbe questo signore?

Eva - Credo un innamorato.

Cinzia - Ah, e tu vorresti...

Eva - Non c'è niente di male. Volevo parlarvene sta­sera a tavola. È un certo signor Phil Vallier...

Cinzia  (sospettosa)  -  Non inglese.

Eva - Francese. Un ragazzo incantevole. Mi fu presen­tato ad una festa in casa McGuire. È molto amico dei McGuire che lo tengono in grande considerazione.

Cinzia -  Equando lo hai conosciuto?

Eva - Un mese fa circa. No, forse di più.

Cinzia - Ti piace?

Eva - Cinzia, vuoi mettermi in imbarazzo.

Cinzia - Non ti chiedo una cosa dell'altro mondo. Mi pare naturale conoscere se almeno ti piace.

Eva - Beh, questo s'intende. Del resto ha tutto per piacere.

Cinzia - Ti lasci prendere dalla curiosità dell'esotismo.

Eva - Ti dispiace?

Cinzia - Ma no, cara. I conservatori hanno fatto il loro tempo. Non per niente è scoppiata questa catastrofe. Il mondo deve conoscersi meglio, e per dare il buon esempio, non c'è che da unire in matrimonio gente dei più disparati  paesi.

Eva - Ma Parigi non è una città di colore.

Cinzia - Forse vi è troppo colore. Ma non importa. L'essenziale è che i vostri caratteri concordino, che abbiate le stesse vedute.

Eva - Credo proprio di sì.  Ma guarda che non si  è deciso niente. Phil desidera parlarne prima a Donald. Come credi che la prenderà Don, la notizia? Cinzia - Come l'ho presa io. Con disinvoltura. Se viene in forma ufficiale però è opportuno che venga solo. A meno che tu non abbia già fatto circolare la voce. Eva - Beh, qualcosa gli amici intimi sanno.

Cinzia - Ah, gioventù impulsiva. Vieni, voglio mostrarti la scuderia. Abbiamo due puledri del Sussex che sono una meraviglia. E intanto mi darai maggiori ragguagli su questo signore... Hai detto che si chia­ma?

Eva - Phil Vallier.

Cinzia - Il nome suona bene. Quasi direi che mi è simpatico.

Eva - Cara, lo sapevo...

(Escono dal fondo abbracciate). (Pausa).

Donald (Si affaccia sulla porta. Appare in preda a un evidente nervosismo. Esita un istante poi discende, dopo essersi accertato di trovarsi solo. Si affaccia alla porta di mezzo e guarda fuori. Rientra. Va al telefono e forma un numero. Senza attendere, con un gesto di rabbia, depone il ricevitore. Cerca un mezzo qualsiasi par calmarsi. Siede eaccende una sigaretta, abbandonando  poi il capo sullo schienale).

Marta (silenziosamente appare da sinistra. Non si accorge della presenza di Donald. Attraversa la scena per salire ai piani superiori).

Donald (di soprassalto) - Chi è?

Marta   (fermandosi)  - Ah!

Donald - Marta?

Marta - Sì,  signor Calvert.

Donald  - Dov'è mia moglie?

Marta - Inscuderia con la signorina Eva. Ma lei non si sente bene.

Donald - Perché?

Marta - Ha un viso così strano!

Donald - Sto benissimo. In studio credevo di soffocare.

Marta - Vuole che avverta la signora?

Donald - Ci mancherebbe altro. Quando non sapete cosa dire nominate la signora.

Marta - Mah! Credo che la signora...

Donald (sogghigna) - ...possieda poteri taumaturgici e funzioni da calmante? No, povera Cinzia. In certi momenti, come adesso, non avrebbe che il potere di irritarmi  maggiormente.

Marta - Le preparo ima buona tazza di tè.

Donald (scoppia a ridere) - Che è un eccitante. E che, in fondo, andrebbe meglio di Cinzia.

Marta (che si sente a disagio e vorrebbe andarsene) - Allora  proprio   non  saprei...   (si  volta  per salire).

Donald - Dite la verità:  che impressione vi faccio?

Marta   -   Nessuna,  signore.

Donald - Non vi faccio un po' di compassione?

Marta   -   Non mi pare, signore.

Donald - Io me ne faccio tanta. E vorrei che qualcuno si accorgesse almeno di questo.

Marta - E chi,  meglio della  signora...

Donald (balza in piedi inviperito) - E basta col ripetermi le medesime cose... Perdio, ma non sapete dire altro? (Passeggia concitato) Anche lei è una donna come tutte le altre. Coi pregi e i difetti propri del suo sesso. Ed io purtroppo da qualche tempo non le vedo che i secondi. (Le si ferma davanti) Siate sincera una buona volta. Non mi direte che Cinzia è la medesima  di alcuni anni fa. Su, avanti, parlate.

Marta - Per me, la signora, non ha mutato.

Donald - Naturale. Siete solidali, voi donne. Non vi siete accorta, che è invecchiata?

Marta - Ha appena trent'anni.

Donald -  Ma è invecchiata lo stesso. Non è questione d'età. E'di dentro che bisogna guardare. Nello spirito. Ha perso molto. Vi garantisco che è molto più vivace e giovane la signora Marrigate...

Marta -  Signor Calvert,  questo paragone  proprio!...

Donald - Perché... Oh, storie! È finita l'epoca della distinzione di classe. I Marrigate valgono i Calvert, come qualsiasi altra famiglia. C'è stata una guerra anche per questo, sapete? Se voi foste meno schiava dei pregiudizi, comprendereste queste cose. Non si poteva ritornare da quell'inferno, immutati. Ciò che era vecchio, convenzionale, stupido, è stato spazzato via. Ci si è rinnovati a prova di sangue.

Marta - Abbiamo sofferto tutti, signor Calvert. E io ne porto ancora i segni. (Accenna al suo abito nero).

Donald - La vostra è una sofferenza diversa. Non vi ha colpito nell'intimo...

Marta - Signor Calvert ho avuto la famiglia distrutta...

Donald - Scusate, Marta. Quando mi lascio traspor­tare esagero sempre. Insomma io non posso essere più come prima, vivere, ragionare come prima. C'è qualcosa qui dentro... (Si tocca la fronte) che me lo impedisce, me lo impedirà sempre.

Marta - Ha i nervi logori, signor Calvert. Ma vedrà che tutto passerà. É solo questione di tempo.

Donale   -   Credete,  Marta?

Marta - Ha bisogno di distrazioni. Ora che è arrivata la signorina Eva...

Donalo - È quello che ho pensato anche io quando le ho telegrafato di venire. E' così moderna, così diversa da Cinzia. Si renderà conto dei miei scatti, di questa sofferenza angosciosa. E sono certo che farà qualcosa  per  me.

Marta - Perché non fa un po' di musica? Le sue mani erano così abili, una volta!

Domali» - Una volta!Ma ora! (Si guarda le mani) Una volta queste mani sapevano accarezzare, sapevano scrivere, disegnare. Erano laboriose. Adesso se le lasciassi seguire il loro istinto, voi vedreste con quale abilità saprebbero distruggere. Sono diventate le mani del diavolo. Pensate che io sia pazzo! Bi­sognerebbe che fosse così. Mi avrebbero dichiarato irresponsabile. E forse non sarei qui a torturarmi, a far soffrire chi ha stima di me. Ma io, che mi cono­sco a fondo ormai, mi faccio compassione. E qualche volta,  come  ora,  mi faccio  anche orrore.

Marta -  Signor Calvert.  si calmi, in nome di Dio.

Donald - Il demonio, il demonio dovete invocare. È stato vicino a me a Lillà, e mi ha insegnato molte cose. (Mostra le mani) Con queste... che mi ha so­stituito. Non sono più le mie mani, le mie buone mani. Me le ha sostituite. Le mani del diavolo. Ah!  Ah!  Ah!   (Sale al piano superiore)

Marta (spaventatissima) - Dio mio, abbiate pietà di lui. (Esce a sua volta da destra).

(Pausa. Dalla vetrata, preceduti da un mormorio sommesso entra Cinzia seguita da Eva e da Phil).

Eva - Vi assicuro che questa comparsa ha tutta l'aria di un miracolo o di uno straordinario fenomeno telepatico.

Cinzia - Effettivamente Eva pochi minuti fa mi par­lava di voi, e di una vostra probabile venuta.

Phil - E' stato il caso che mi ha fatto dirigere qui.

Eva - Dobbiamo ringraziare soltanto il caso?

Phil - Se non fosse stato per portare i vostri bagagli, avrei continuato alla volta di Maicamp, dove sono atteso.

Eva (con tono di dispetto) - Ah! Quando è così non spe­rate che vi ringrazi della vostra gentilezza. E siete liberissimo di continuare il vostro viaggio.

Piiil - Ma dal momento che la vostra graziosissima cognata mi ha pregato di fermarmi a colazione, non le farò l'offesa di rifiutare.       

Eva - Non insistere, Cinzia! Il signor Vallier è troppo prezioso altrove.

Cinzia (con un mezzo sorriso) - Via Eva, un po' di mo­derazione! Prego, signor Vallier, accomodatevi. E...scusatela. È una bambina, impetuosa come tutti i Calvert. Ma ha un cuore d'oro. Del resto immagino che la conosciate già.

Phil  -   Perfettamente.

Eva - Voi non mi conoscete affetto. E ve lo provo subito. I miei rispetti... e tanti saluti a Maicamp. (Esce da   sinistra)

Cinzia  -  Eva!...  Eva!...

Phil - Credo che non andrà tanto lontano.

Cinzia - Lo credo anch'io.

Phil - Non avevo manifestato apertamente a Eva il mio desiderio di accompagnarla, ma mi ero ripro­messo di seguirla a breve distanza.

Cinzia - E la distanza è stata brevissima.

Phil - Avrei fatto un lungo giro nei dintorni. Probabil­mente avrei pernottato a Maicamp, e domattina mi sarei presentato. Il caso ha voluto che mi im­battessi nei suoi bagagli. E mi sono incaricato di portarglieli.

Cinzia - Quando si dice l'ineluttabile!

Phil - Vivete in un vero paradiso. Aveva ragione Eva di descrivermelo come tale.

Cinzia - E'molto terrestre questo paradiso. Soggetto perciò a perturbamenti improvvisi. Ma procureremo di non farvi cambiare opinione.

Phil - Il signor Calvert è in casa?

Cinzia - Credo di sì. In questi giorni sta lavorando molto attorno  ad  un libro.

Phil - So... so... E' in buona salute?

Cinzia   -   Perfetta.

Phil - Vi chiedo questo perché Eva mi ha accennato vagamente...

Cinzia - Mia cognata è piuttosto loquace. Ma se si è sentita in dovere di mettervi al corrente dell'inti­mità di casa Calver t avrà certamente avuto le sue buone   ragioni.

Phil - Dopo tutto sono noti i motivi che vi hanno indotto a vivere a Mallowhurst.

Cinzia - Vi prego, signor Vallier!...

Phil - Scusate, rna bisogna che sappia come mi riceverà il signor Calvert.

Cinzia (si alza in piedi) - E come dovrebbe ricevervi? Il signor Donald Calvert può avere tutte le preoc­cupazioni, i tormenti di questo mondo, ma non mancherà  certo ai suoi doveri d'ospitalità.

Phil - Forse, signora, mi sono espresso male. Desi­deravo sapere se Eva gli ha mai parlato di me.

Cinzia - Non vi preoccupate, signor Vallier. Voi siete un amico di Eva. Basterà questo per lui.

Eva (Entra dalla comune con l'occorrente per uno spun­tino. È evidente che è emozionata e fa sforzi per non lasciarlo capire) - Ecco qua: ho voluto io stessa preparare questa roba per vendicarmi delle scortesie del signore.

Phil - Mi spiace, signorina Eva, ma a quest'ora solitamente non prendo mai niente.

Eva - Voi mi farete il piacere di prendere qualcosa. Non fosse altro che per dimostrarmi il vostro pentimento.

Phil - Quando è così... accetto la punizione.

Cinzia  -  Non  c'è  Marta?

Eva - Sì, ma non so che cosa stia facendo. (Credendo di non essere vista da Phil, le fa un segno con la testa) Anzi credo che abbia bisogno di te.

Cinzia - Va bene. Vado subito. Scusate, signor Vallier, i miei doveri mi reclamano. Ma vi lascio in ottima compagnia.  (Esce da sinistra).

Phil (sìavvicina a Eva) - Che succede, Eva?

Eva - Che cosa deve succedere? Niente. La governante attende gli ordini per oggi.

Phil (trascina Eva al centro) - Avete un'aria spaurita.

Eva - Dite piuttosto imbronciata.  E siete voi solo il responsabile,

Phil - È proprio vero che mi volete uri po' di bene?

Eva - Se dicessi di sì,  direi  una solennissima  bugia.

Phil - Vi autorizzo ugualmente a dirla.

Eva - No, non ve ne voglio affatto.

Phil - Così mi piace. E sento dal vostro tono che è proprio la verità!

Eva  -   Odioso...   (Fa per allontanarsi)

Phil  (le prende un  braccio)  - Andiamo  via,  sedetevi vicino a me e ditemi che cosa vi tormenta.

Eva   -   Ma ve l'ho detto. Niente.

Phil - Allora perché avete mandato di là vostra cognata? Vi  ho  visto  fare unsegno...

Eva   -   Ma che segno...

Phil - Forse per causa di vostro fratello? Non sta bene? Vuol dire che verrò un'altra volta...

Eva (si alza) - Oh no, Phil, non mi lasciate sola... Se sapeste...    (si  ferma).

Phil - Su, continuate...

Eva - La vostra presenza qui è necessaria. Con voi al fianco mi sento  più  forte,  più coraggiosa..

Phil - Ha  avuto qualche crisi?

Eva - Pochi minuti fa, con Marta. E' stata una scena terribile.  Dovete aiutarmi, se mi amate un poco...

Phil - Più che volentieri cara.  Ma non vedo in che modo...

Eva - Rimanendo qui. Standogli vicino. Cercando di interessarlo   a   qualcosa.   Voi   sapete   convincere, sapete conquistare.

Phil - Via, Eva...!

Eva - Avete conquistato perfino me!   (allontanandosi verso il proscenio) E badate, non  è cosa facile.  Vi avranno detto di che razzasono i Calvert. Tutti di un pezzo e poco sensibili.  Simpatizzerete con  mio fratello e lo indurrete gradatamente a cambiare vita. Bisogna che dimentichi.

Phil - Occorre del tempo.

Eva - Già, iodivento egoista al punto di dimenticare che non potete dedicare il vostro tempo esclusivamente a  me.

Phil - Non è questo, Eva. Ma per fare ciò che desi­derate, dovrei essere sempre al suo fianco, vivere in mezzo a voi. E in quale veste?

Eva - Ma...  in veste di amico.

Phil   -   Voce troppo vaga.

Eva- Avete detto che mi amate!

Phil - Appunto per questo. Vi pare conveniente che io viva sotto il vostro tetto?

Eva - Come siete formalisti, voi latini!

Phil - Può darsi. Ma io lo dico unicamente per voi. Comunque vi prometto find'ora il mio appoggio per quanto questo possa valere. Soltanto lasciate che prima veda vostro fratello, gli parli. Da un collo­quio potrò intanto farmi un concetto del suo carat­tere. Successivamente cercherò di studiarlo, e di scoprire la radice del male.

Eva - Sì, sì, fatelo, Phil. Io e Cinzia, ve ne saremo tanto grate.

Phil  -   Vostra cognata deve amarlo molto.

Eva   -   Lo adora.

Phil  (pensieroso)   -  E'  un bel guaio...

Eva - E' preparata a tutto. Purché si esca da questa situazione.

Phil  -  Quando  è  così...

Eva - Che caro uomo siete. Sapevo che avreste finito per  accettare.   Sarete  così  adorabile  anche  dopo?

Phil -  Dipende  unicamente  da  voi.

Eva - Meritate un bacio.

Phil, - E quello che pensavo anch'io. (Eva gli si avvicina, e io bacia sulla guancia).

(Dal centro si affaccia Donald).

Donald - Domando scusa...  

(I due, si alzano).

Eva  -   Stavamo   appunto   parlando   di   te.

Dqnald - Veramente!...

Eva - Ti presento il signor Phil Vallier, un carissimo amico che si è preso la briga di portarmi i bagagli.

Donald - Sono già stato informato. (Stringe la mano di Phil)  E  dovrei  ringraziarvi  anch'io.  Ma  ho visto che mia sorella lo ha fatto a nome della famiglia.

Phil   -   Vorrei    spiegarvi...

Donald - Per carità! Eva non è più una bambina. Avrà avuto  le sue ragioni.

Eva - Che dicevo, Phil? Non è un fratello straordinario?

Donald - Certo. Fino al giorno in cui tenterò di mettere un freno alle tue bizzarrie. Ma prego signor...

Phil   -  Vallier.

Donald   -   Francese?

Phil - Di origine.

Donald  -  Sedetevi. Ho notato che i giorni dispari portano sempre delle sorprese.

Phil - Gradevoli?

Donald  - Non sempre. Ma oggi sì. L'arrivo di mia sorella ed il vostro.

Phil  -  Io  veramente  sono  appena   di   passaggio.

Donald - Non vorrete fare il torto ad Eva ed anche a noi di andarvene subito. Che ne dici tu, sorellina?

Eva - Lo stavo appunto pregando di rimanere nostro ospite. Dobbiamo pure in qualche modo sdebitarci.

Donald - Giustissimo. Ci sdebiteremo costringendolo a fermarsi...  almeno fino a  questa sera.

Phil -  Sono  atteso  a...  Maicamp.

Eva - Si telefona.

Donald - Abbiamo un apparecchio a portata di mano.

Phil - Se proprio...

Eva - Ma certo.  Vero Don?

Donald - Rimarrà. Ne ha desiderio quanto te.

Eva - Donald,  vuoi farmi arrossire?

Donald - Tu? Sarebbe la prima volta dacché ci conosciamo.

Phil - Il signor Calvert ha tutte le ragioni di mostrarsi meravigliato. Ed ha tutti i diritti di avere delle spiegazioni.

Donald - Non ho detto questo signor...

Phil - Vallier.

Donaid - Strano. Un nome facile e che mi riesce dif­ficile da ricordare. So credete che questa ragazzina mi dia conto del suo operato! Da voi invece, potrò ascoltare molte cose interessanti. Sistemate Maicamp   poi   parleremo.

Phil (va al telefono) - Datemi Maicamp 42/15 (Attende)

Donald (piano ad Eva) - Beh, non hai niente da dirmi tu?

Eva - Che cosa ti devo dire. Non hai capito? È quasi il mio fidanzato.

Phil (al telefono) - Pronto?... Sì, datemi il signor Handers.

Donald (drizza le orecchie mentre parla ad Eva) - Il tuo fidanzato?  E da quando?  Io non ne so nulla.

Eva - Ma nemmeno noi esattamente. La dichiarazione è avvenuta così, istintivamente. Ci siamo sentiti attratti l'uno verso l'altro.

Phil - Il signor Handers? Sì, parla Vallier... No, sta­sera no. Mi fermo a Mallowhurst, dai Calvert... Sì, naturalmente...

Eva - Volevo parlartene oggi, ma è capitato all'improvviso...

Donald   -   Già...

Eva   -   Ti dispiace...?

Donald   -   Taci, che disturbiamo.

Phil (al telefono) - Ho inteso. Va bene. Domani sarò lì e riferirò. Lo spero. Grazie. (Riattacca) Ecco fatto. Domando scusa, signor Calvert...

Donald - Ma di che. Almeno ora sarete più tranquillo. Guarda Eva che i bagagli sono in camera tua. Cinzia è di sopra.

Eva - Oh, grazie. Vado subito ad aprirli. Attento Phil. Donald sa già qualcosa. Sappiti regolare. (Sale le scale ed entra a destra).

Donald (la guarda salire) - Non c'è che dire. È una bella ragazza. In tutto degna della mia razza. Da piccola sembrava crescere gracile, ma sotto la mia. guida si è trasformata.

Phil - Siete stato un padre per lei.

Donald - Por forza. I nostri maggiori hanno creduto bene di andarsene alla svelta. Forse perché preve­devano il peggioramento del mondo. Per cui ho dovuto sobbarcarmi il compito di insegnare alla sorellina. Ma posso dire che non è stato un lavoro ingrato. Essa aveva le migliori disposizioni per imparare. Del resto credo che ve ne abbia dato delle prove.

Phil - Prove che si possono sempre ripetere sotto i vostri occhi.

Donald - Non ne dubito signor... Vallier. Insomma, stando a quanto ho potuto capire, sareste il fidanzato.

Phil- Ci conosciamo da circa un mese. In questo tempo ci siamo visti parecchie volte ed abbiamo parlato di molte cose. C'è qualcosa in lei di così deliziosamente ingenuo...

Donald - La piccola conosce le sue armi e sa adoperarle bene.

Phil - Le ho parlalo dei miei sentimenti, delle mie aspi­razioni, dei miei progetti. Lei mi ha risposto che li approva senza riserve. Da qui è nata la nostra amicizia.

Donald - Amicizia?

Phil - Prima di darle un altro nome desideravo parlare con voi, presentarmi alla famiglia ed avere il suo consenso.

Donald - Infatti, questa è la strada dei gentiluomini. Ma se non avete niente in contrario riprenderemo questo  discorso  più  tardi.

Phil   -   Come vi aggrada.

Donald - Desidero prima conoscervi.

Phil - Sono qui per questo.

Donald - Non crediate che mi formalizzi su certe idee che hanno ancora molti miei connazionali. Ho vissuto abbastanza per farmi un concetto del mondo, che se non è lusinghiero, credo sia il risultato preciso di un intimo mio convincimento. Da noi si nasce con la certezza di essere tanti missionari mandati su questa povera terra per civilizzare il resto del mondo, mentre personalmente mi sono reso conto che il rimanente del mondo ci guarda non propriamente con l'occhio del catecumeno.

Phil - Non vi  trovate  a vostro  agio qui?

Donald - Fra le quattro pareti sì, ma non sopporto che visi familiari. E non sempre. La loro ipocrisia è affettuosa, manifestata in buona fede. Non posso farne loro una colpa. Per gli estranei no, non ho alcuna tolleranza. Il loro egoismo e il loro falso puritanesimo mi disgustano.

Phil - Posso domandarvi come siete arrivato a queste conclusioni?

Donald - Alle prove dei fatti. Da noi si dice, tra l'altro, che il rimanente del mondo è una cloaca, un vespaio, un focolaio acceso perennemente, un abisso di corruzione. Però in mezzo a. queste brutture noial­tri ci sguazziamo.

Phil - Non ditemi che nel vostro paese l'individuo è schiavo dei pregiudizi! Ci vivo da tanti anni e credo di essere ciò che sono sempre stato; un libero pensatore.

Donald - Perché a voi straniero, molte cose sono per­messe e tollerate. Intendiamoci: non è che io mi senta legato dall'opinione pubblica. Ma inconsciamente la temo  e...   mi  domino.   Mi  domino  continuamente.

Phil - Perché non avete pensato di stabilirvi all'estero? In un ambiente consono al vostro temperamento?

Donald - Vi ho pensato e vi penso ancora. Ma c'è il problema della famiglia. Il mio egoismo creerebbe anche  altrove l'atmosfera falsa  che  mi soffoca.

Phil - Una volta sposata vostra sorella...

Donald - Rimane sempre mia moglie... Beh, come vi dicevo poc'anzi, scusate questa involontaria di­gressione, non mi formalizzo. E se i vostri caratteri vanno d'accordo... il resto è affare vostro.

Phil (sorridendo) - Vi basterà, per conoscermi studiarmi fino a stasera?

Donald - Volete proprio andarvene stasera? Ah, già. L'impegno di Maicamp. Ebbene credo di sì. Strano: più vi guardo, più il vostro viso mi ricorda qualcuno che devo avere incontrato. Avete detto che siete francese?

Phil - Originario di Dieppe. Ma ho vissuto lungamente a Parigi   ed  a  Bruxelles.

Donald - Conosco bene Parigi, Ci ho vissuto un anno.

Phil - Vostra sorella mi ha detto che avete soggiornato a Lillà in  qualità di ufficiale di  collegamento.

Donald (nervosamente) - Anche questo vi ha detto? Evidentemente deve avere una fiducia illimitata in voi. Vi ha parlato del nostro albero genealogico? E anche delle piccole manie dei  Calvert?

Phil  -  Se  ci  vedete  qualcosa  di  male...

Donald - No. Assolutamente. Ma è bene saperlo per non diventare noiosi nella conversazione parlandovi di cose che già conoscete. Non sapete, ad esempio, che possiedo una magnifica collezione di armi orientali? L'evoluzione documentata delle armi da fuoco? E inoltre che ho un completissimo campionario di veleni in parte preparati da me?

Phil (guardandolo fisso) - No. Ma so che sapete suonare molto  bene  il  pianoforte.

Donald - Ah.

Phil - E poiché lo vedo a portata di mano, gradirei sentire...

Donald - Ora no. Non ho lo spirito armonico in questo momento, ma può darsi che stasera vi accontenti. Perché... malgrado tutto vi trovo simpatico. Sì, non stupitevi.  Quanti anni avete, Vallier?

Phil   -   Trenta.

Donald - L'avevo intuito. Praticate lo sport?

Phil - Da giovanissimo. Ora mi limito a tenermi in esercizio.

Donald - Vi piace il bello?

Phil (quasi sobbalzando) - Il bello... ragionevole.

Donald - Giusto. Se vi invitassi ad una partita di tennis o ad una gita in barca, che ne direste?

Phil  -   Mi  sembra   che   accetterei.

Donald - Alla buon'ora. Questo si chiama un bello ragionevole.   Amate   anche   la   musica,   suppongo.

Phil   -   Moltissimo.

Donalo - Bene. Abbiamo qualcosa in comune. (Si è alzato e gli si pone, davanti). Credete che potremo andare d'accordo noi  due... come cognati?

Phil -  Lo  spero.

Donald - E se non fosse possibile, per un complesso di ragioni?

Phil - Ne sarei veramente addolorato. E farei di tutto per conoscerle  e superarle.

Donald - Usate una tattica che se anche non è completamente sincera,  è almeno garbata.

Phil - Vi accorgerete che penso tutto quello che dico.

Donald   -   Allora   che  si   fa?

Phil   -   Lascio   decidere   a   voi.

Donald - Andiamo a pescare. È uno sport che induce a riflettere. E tanto io quanto voi ne abbiamo bisogno. (Suona) Ho degli arnesi perfezionati da me che fun­zionano a meraviglia. (Marta appare da destra) Gli arnesi della pesca, Marta. Io e il signore prov-vederemo alla colazione. (Marta via) Per chi volesse cacciare abbiamo delle distese boscose ricchissime di   selvaggina.

Phil - Tutto questo in 24 ore? Mi pare un record.

Donald - Con il tempo. Domani l'altro sarete nuovamente   dei   nostri.

Phil - Dipende dal colloquio che avrò domani.

Donald - Fate il possibile per tornare perché tutta la famiglia Calvert vi aspetta.

(Cinzia ed Eva si affacciano al ballatoio).

Eva  -  Ebbene  Phil?

Phil - Andiamo a pescare, Eva.

Eva (scendendo seguita da Cinzia) - Ah bene, vengo con voi.

Donald - Se vuoi. Sai stare zitta?

Eva  -  Mi  sforzerò.

Cinzia - Questo è l'inizio di un programma divertente. Ed io che faro?

Donald - Tu penserai a tuo marito. Bisogna che egli sappia che c'è qualcuno che lo ha sempre presente.

Cinzia - È una occupazione che mi darà il mal di testa.

Donald - Vedi che succede a non  stare in  esercizio?

Cinzia - Il guaio è che vi penso sempre.

(Marta ritorna con  gli  arnesi).

Eva - Manca il mio amo.

Phil -Ci daremo il cambio.

Donald - Signori, non perdiamo altro tempo. A più tardi.

Cinzia - Buona pesca, signori.

(Li accompagna sulla porta centrale. La comitiva scende. Marta sta racco­gliendo le tazzine)  - Che  vi pare,  Marta?

Marta  -  Non  so  proprio  capire,  signora.

Cinzia - Stamane ringraziavate il cielo della bella giornata...

Marta   -   Già...   però...

Cinzia  -  Forse  un  ultimo  guizzo...

Donald  (appare improvvisamente dal fondo) - Cinzia!

Cinzia (si volta sorpresa) - Che cosa, c'è, Don?

Donald  (le va incontro, l'abbraccia)  - Mi vuoi bene?

Cinzia   -   Ma   Don?

Donald - Rispondimi: mi vuoi bene?

Cinzia   -   Tanto   caro.

Donali! - Anch'io, sai. Guai se dovessi perderti... (la bacia)   Guai...

Cinzia - Ma  che  vuol dire?

Donald - Niente... così... il bisogno di baciarti. Arrivederci.   (Esce).

Marta (sorride) - Aveva ragione. Credo anch'io che sia stato l'ultimo guizzo. (Si avvia verso la scala).

Sipario


ATTO SECONDO

La stessa scena dell'atto precedente. Qualche ora dopo. La stanza è vuota. Dopo un attimo entra Marta pre­cedendo i coniugi Marrigate. Contemporaneamente squilla il telefono.

Marta (all'apparecchio) - Pronto? Casa Calvert... No, il signor Vallier non è in casa, ma credo che fra mezz'ora sarà  di  ritorno...  Va  bene...   (Riattacca).

Isadora (che nel frattempo si sarà seduta) - Che tipo è questo  Vallier?

Marta - La signorina Evalo trova molto simpatico.

Isadora - E voi?

Marta - Le scimmie non mi sono mai piaciute. È un francese che ostenta le maniere della nostra società.

Isadora - L'essenziale è che le imiti bene. Ci sono tanti connazionali inabili anche a questo! E fisicamente com'è?

Marta - Ciò che si dice: un uomo interessante.

Isadora - Allora finirà per conquistarsi le simpatie di tutti.  Dove sono  adesso?

Marta - In casa c'è solo il signor Donald che ho già avvertito. Le signore sono in giro con l'ospite.

Isadora - Vedete di sollecitare Calvert.  È già tardi.

Marta - Vado subito (esce).

Isadora - L'ospitalità della casa è sempre la stessa. Arriviamo noi, la signora si eclissa.

Lewis  -  Non  siamo  ancora  entrati nelle  sue grazie.

Isadora - Eppure verrà il giorno in cui dovrà considerarmi la sua migliore amica. Sia pure suo malgrado.

Lewis - Mi meraviglia la tua insistenza. Con tanti nomi influenti in paese, vai proprio a sceglierti questi maledetti  Calvert.

Isadora - Ha saranno loro che mi apriranno i migliori salotti di Londra. Credi che voglia ammuffire in questo malinconico paese? Abbiamo pure il diritto di goderci la vita ora che ci siamo creato il nostro piedistallo!

Lewis - Ci sono tanti modi per godersi la vita! Ma ti sono  venute le  smanie  aristocratiche.

Isadora - Precisiamo: le ho sempre avute.

Lewis (sorridendo) - Anche quando lavoravi nel quartiere di Soho...

Isadora (troncando brusca) - Anche allora. E fu proprio per le mie maniere che mi sposasti.

Lewis -  E' vero, bisogna renderti giustizia.

Isadoka - Ero nata per vivere in una cornice dorata. Ed ora che ho trovato il modo, figurati se voglio ritirarmi. Calvert è nelle nostre mani e ci sarà utile.

Lewis - Queste persone per bene! Tu le vedi camminare per la strada e hai l'impressione di trovarti di fronte a delle divinità materializzate. Conoscendole da vicino ti accorgi che sono fatte come noi. Se fossi Donald Calvert mi vergognerei.

Isadora - Perché poveretto? (Abbozza un mezzo sorriso ironico) Dopo tutto, è un uomo che ha ancora degli scrupoli.

Lewis - Sei una donna meravigliosa. Ben poche possie­dono il tuo acume e la tua intelligenza. Una volta a Londra, arriverai dove vorrai, senza alcuna fatica.

Isadora - Se i salotti blasonati ospiteranno altrettanti Calvert, la nostra notorietà potrà arrivare fino a San Giacomo.

Lewis - Eri degna di vivere al fianco di un diplomatico.

Isadora - Mi basti tu per la mia ambizione.

Donald (si affaccia alla balaustra) - Scendo subito. (Scende in fretta e si precipita verso Isadora a cui bacia la mano) - Chiedo perdono,  amica mia dell'attesa,  ma Marta vi avrà detto...

Isadora - Ma sì, ma sì. Fra noi non si fanno cerimonie. Per la verità avremmo dovuto venire prima, ma all'ultimo  momento Marrigate è  stato trattenuto. Un uomo d'affari è di tutti meno che. della moglie.

Donald - Non lamentatevi, signora Marrigate? Quando gli  affari prosperano.

Lewis - Ma noi ci comprendiamo perfettamente. E ci vogliamo bene,  vero moglie mia?

Isadora - Certo caro. Dunque, Calvert, avete un ospite!

Donald - Sì,  è piombato in casa all'improvviso.

Isadora -   Un tipo interessante, pare.

Donald- Veramente... non ho ancora avuto il modo di accorgermene.

Isadora - Un... amico di vostra sorella.

Donald - Almeno mi è stato presentato come tale.

Isadora - Dopo la veloce apparizione di stamane, ho telefonato a vostra moglie, ma attendevo che vi faceste nuovamente vivo.

Donald - Poco fa, avevo già fatto il vostro numero, poi ho riflettuto...

Isadora - Ah! Evidentemente il vostro stato d'animo era ancora  controllabile.  Mi fa piacere, in fondo. Io credo che un bel giorno, verrete a trovarmi e mi direte: « Cara signora Marrigate, da oggi non ho più bisogno del vostro... aiuto. Sono guarito».

Donald (di colpo) - Se fosse così realmente... (si domina) del resto basterebbe uno sforzo di volontà.

Isadora - Perciò vi esorto a riflettere prima di compiere certi passi.  Ho anch'io un poco di responsabilità nei vostri riguardi. Per quanto il mio interessamento sia ispirato solo da un senso di umanità.

Lewis - Che non tutti intendono e apprezzano nel suo giusto valore.  La gente,  quando non è ingrata,   è velenosa.

Isadora - Non dovevi preparare quella bozza di lettera per la casa Marty e Shop?

Lewis - Sì era detto stasera, cara!

Isadora (con intenzione) - Sarebbe meglio adesso che hai la mente fresca. Sai che ti succede dopo il pranzo.

Lewis - Come vuoi.

Donald - Se volete passare di là. C'è tutto l'occorrente.

Lewis - Approfitto della vostra gentilezza. (Scivola via da sinistra).

Isadora - Con un uomo così servizievole al fianco, io non posso che benedire il matrimonio.

Donald (Dopo l'uscita di Lewis appare subito agitato) - Allora me l'avete portata?...

Isadora - Che cosa?

Donald - Sapete bene che non posso farne a meno... che in certi momenti senza quel surrogato... com­metterei delle pazzie. Tento di resistere ma è inu­tile. Nessuno... nessuno può trattenermi... nessuna forza.

Isadora (tappandogli la bocca) - Sssst. Non c'è bisogno che parliate tanto per dirmi delle cose che già mi sono note.

Donald - Ma io  ne  ho  assoluto  bisogno.

Isadora - Ma sì.  Non vi ho dimenticato.

Donald - L'avete con voi?

Isadora - Ho dovuto giocare d'astuzia con mio marito. Sapete quanto sia difficile e pericoloso impossessarsi di quella  roba.

Donald - Ma io sono pronto a fare qualunque cosa... Offrirvi qualunque cifra... Date, date qua...

Isadora (levando con lentezza studiata un involto dalla borsetta e dandolo a Donald) - Del denaro a me!... Oh, Donald non ragionate nemmeno più.

Donald - Perdonatemi.

Isadora - Mi basta la vostra amicizia. Peccato che vostra moglie non si sia  ancora persuasa  della mia.

Donald - Ma lo è. Vi assicuro che lo è. Soltanto credo che sia un poco gelosa.

Isadora (con una punta d'ironia) - Gelosa? Ma io ho un marito da cui non mi separerò mai. E poi, quando fosse... non lo tradirei mai con voi...

Donald - Vi   prego, signora Marrigate!...

Isadora - Non ho intenzione di offendervi. Ma io posso comprendervi e giustificarvi. Gli altri no. Nessuno potrebbe avere quella comprensione che ci ha avvicinato. Nemmeno la signora Calvert.

Donald - Guai, guai... se dovesse sospettare... non mi rimarrebbe che scomparire. Ma io ho la vostra parola, vero? La vostra amicizia. Esiste un patto fra di noi.

Isadora - Una specie di alleanza alla quale non verrò mai   meno.   E   che   alimento   con   prove   tangibili.

Donald - È vero. Ma anch'io quando sarà giunto il momento...

Isadora - Ne riparleremo prima del vostro rientro a Londra. Ora chiamatemi mio marito.

(Donald esce un attimo a sinistra poi torna seguito da Marrigate).

Lewis - Gli appunti sono presi. I signori Marty e Shop non saranno certo molto soddisfatti della risposta.

Isadora - Avrei avuto piacere di salutare vostra mo­glie e vostra sorella, ma vedo che si fa tardi.

Donald (suona) - Non dovrebbero tardare. Ora sentiamo da Marta.

Isadora - Giovedì prossimo do una festa. Un tratte­nimento a cui interverranno però solo gli amici intimi. Conto sulla vostra presenza.

Donald - Senz'altro. (A Marta che è apparsa) Non è rientrato ancora nessuno?

Marta - La signora, in questo momento.

Donald - Pregatela  di  venire  qui.  

(Marta via).

Lewis - È inteso che anche la vostra famiglia sarà dei nostri.

Donald - Vi ringrazio a. nome loro. Eva poi ne sarà felicissima..

(Cinzia compare da destra fredda ma cortesissima).

Isadora - Vi abbiamo disturbata, signora Calvert?

Cinzia - Dovete perdonarmi se non sono stata solle­cita. Rientro ora da una gita illustrativa.

Lewis - La campagna vi dona moltissimo. Ogni volta che vi vedo vi trovo sempre più bella e seducente. Il signor Calvert è da invidiare.

Isadora - Quello che poteva sembrare un sacrificio per una signora abituata al gran inondo, diventa invece per il vostro aspetto una cura efficacissima.

Cinzia - Non è stato un sacrificio per me trapiantare la mia vita a Mallowhurst. Adoro la campagna. Un po' meno i campagnoli, ma li vedo così raramente!

Isadora - Poveri campagnoli! Non trovano grazia presso di voi! E pensare che ero venuta, come media-trice, a supplicarvi di esaudire i loro desideri.

Cinzia - Di che si tratta?

Donald (intervenendo) - La signora dà una festa gio­vedì prossimo. È venuta gentilmente ad invitarci. Ho già dato la nostra adesione.

Cinzia (Cinzia trattieni un gesto d'impazienza, poi si rivolge a Isadora) - Mio marito vi avrà ringraziata anche per me, suppongo.

Isadora - Non era il caso. Siamo noi che dobbiamo ringraziarvi per la vostra condiscendenza. E'un gesto che Mallowhurst non dimenticherà. (Le tende la mano).

Cinzia - Vi accompagno. (Precede i coniugi Marrigate verso il fondo).

(Donald ha salutato in fretta. Rimasto solo toglie di tasca l'involto e lo palpeggia con evidente soddisfazione. Lo ripone in tasca e si avvia verso le scale.   Cinzia rientra dal fondo).

Donald (soffermandosi sui primi gradini) - Li hai lasciati  soli?

Cinzia - Ho   capito   che   avevano   da   dirsi  qualcosa.

Dqnald - Io salgo nello studio. Voglio... desidero non essere disturbato fino all'ora di pranzo. A più tardi.

Cinzia (guardandolo salire) - Non ti sei ancora espresso nei riguardi di questo signor Vallier.

Donald (fermandosi) - Perché? E' con noi da così poco tempo! Mi pare simpatico.

Cinzia - A me pare misterioso. E ha uno sguardo sfuggente.

Donald - Io non ho notato niente di particolare. Sei troppo analizzatrice. Del resto avremo modo più avanti...

Cinzia - Domattina parte per Maicamp, Me lo ha confermato anche poco fa.

Donald (violento) - Bisogna che non parta. (Domi­nandosi) E' necessario per Eva. Dobbiamo sapere se veramente tra loro due... Ma adesso lasciami andare. Voglio lavorare.

Cinzia - Capita così di rado di trovarci a quattrocchi. Sembra quasi che tu voglia evitarmi di proposito.

Donald - Ma non dire assurdità.

Cinzia - Le visite diquella donna sono sempre nefaste per te.

Donald - Nefaste?  (Ridiscende)  Cosa vuoi dire?

Cinzia - Ti mettono in agitazione. Alterano persino il tuo aspetto.

Donald  (tentando di ridere) - Sei una sciocca.

Cinzia - Gli occhi ti brillano e assumi un'espressione strana. Come adesso. Prova a guardarti allo specchio.

Donald  (Siguarda) - Io non vedo nulla di particolare.

Cinzia - Io sì. Un'espressione che impaura. Vorrei tanto sapere fino dove arriva il potere di quella donna sn di te. È un essere abominevole.

Donald - Cinzia!

Cinzia - Non tanto per il commercio che esercita il suo degno marito,  quanto per il suo passato.

Donald - Sei troppo severa, mia cara. Non tutti hanno avuto la fortuna di nascere in un ambiente privilegiato, Lei... è stata una disgraziata che ha condotto una vita equivoca per necessità. Poi ha sposato Marrigate...

Cinzia - Che  contrabbanda  in  stupefacenti.

Donald - Sottilizzare oggi su certe professioni è per lo meno ridicolo.

Cinzia - Parli così solo oggi. Alcuni anni fa sarebbe stato  molto  diverso.

Donald - Ma tutti... tutti coloro che hanno sofferto non hanno più l'animo di prima. Te l'ho già detto altre volte. Anche tu sei cambiata. Sì, anche tu. Non ti appaghi più del mio affetto, non sei più la moglie devota e calma. Vuoi conoscere, scavare dentro di me, frugare nell'anima, Mi tormenti per sapere cose che non puoi capire. In me c'è qualcosa sì, di cambiato. Ma riguarda me solo. È un segreto che non deve appartenere a nessun altro.

Cinzia - Nemmeno alla signora Marrigate.

Donald (studiandosi di mantenere la calma) - Che cosa ti fa supporre che tra me e lei ci sia della confidenza?

Cinzia - Tutto. La sua padronanza quando viene qui, quando ti parla. Quando mi lancia i suoi strali ve­lenosi a cui tu assisti imperterrito senza nemmeno intervenire.

Donald - Punzecchiature di donna senza importanza. È gelosa di te. Della tua bellezza, della tua eleganza. Dovresti anzi andare orgogliosa di questo senti­mento che susciti in una donna ricchissima e potente.

Cinzia - Come se io considerassi la signora Marrigate meritevole di un qualsiasi sentimento. Ed è questo tuo attaccamento a lei, a suo marito, che mi sbalor­disce, mi convince maggiormente del tuo male. Perché tu sei malato. Mi sei ritornato malato o vor­rei conoscere la causa, per guarirti.

Donald  (con un ghigno) - Guarirmi?

Cinzia - Ne ho il dovere e il diritto. Sono tua moglie e ti amo ancora.

Donald - Vuoi farmi credere di essere buona fino al sa­crificio? E allora se sei buona, perché insisti, perché non ti appaghi di ciò che giornalmente la vita ti offre. Hai tutto per godertela!

Cinzia - Voglio mio marito.

Donald - Mihai giornalmente al tuo fianco.

Cinzia - Voglio l'uomo che ho conosciuto la prima volta. E guarda che sono disposta a tutto pur di riaverlo. Anche ad affrontare un viaggio a Lillà.

Donalo (minaccioso) - Che cosa hai detto?Guardatene bene.

Cinzia - Sono decisa, decisa per sapere.

Donald (l'afferra per le braccia) - Se tu pronunci an­cora quel nome, io non rispondo più di me. Oserei qualunque cosa. Anche contro di te.

Cinzia - Donald!...

Donald - Dimentica  quel nome...

Cinzia - Laggiù c'è il mio amore...

Donald - È morto. Giacché lo vuoi sapere, È morto per sempre. Laggiù non troveresti che ricordi di miserie, infamie, obbrobrii. Tutto ciò che di più terribile porta con se la guerra. Chiederesti invano notizie del maggiore Calvert. Il buono, l'onesto, l'integerrimo. Ti riderebbero in faccia...

Cinzia - Donald  lasciami.   Mi  fai  paura...

Donald - Ecco la prima parola sensata che sento dalla tua bocca. Faccio paura! Specialmente nei momenti in cui i ricordi più tormentosi mi assal­gono. Allora cerco di isolarmi, come tentavo di fare poc'anzi quando mi hai costretto a rimanere. Per non dare a nessuno, e tanto meno a te, spettacolo della mia miseria. I pazzi parlano, dicono sempre quello che gli esseri normali tacciono. E io farei al­trettanto. Capisci perché ho cercato l'amicizia della Marrigate. Essa mi procura il balsamo, l'ora di annullamento per superare le crisi... Mi dà questo... (leva l'involto) che vale più di tutti i tuoi baci... di tutte le gioie. Mi dà la dimenticanza della vita, di ciò che ero, di ciò che sono adesso. (Nella foga del dire ha lasciato le braccia di Cinzia che sì è abbando­nata su di una poltrona) Se non fossi tanto vigliaccamente egoista, avrei già risolto il mio problema. (Cinzia manda un'esclamazione soffocata) Dici di amarmi ancora? Può darsi. Ma il giorno in cui comincerai a riflettere seriamente sulla mia disgrazia e ti sarai convinta che ogni speranza di guarigione è perduta, i tuoi occhi si incupiranno ogni qualvolta si poseranno su di me. Ed io leggerò l'odio, il disprezzo, la nausea di vivere al mio fianco. Un uomo che non è più che l'immagine smorta di se stesso. Che non ha più niente di vivo se non un ricordo atroce. Da quando sono ritornato mi sta fissa nella mente questa certezza. E anche tu da oggi ci penserai  perché sai  che  dico  la  verità               (Il telefono squilla. I due rimangono immobili poi Donald len­tamente stacca il ricevitore) Pronto? Ah... sì, ma certo... c'è... Bene. (Riattacca. È ritornato improvvi-samente calmo) Che dicevamo? Sì, che da oggi co­mincerai a odiarmi, ma forse... non sarà per molto. (Pausa) (Cinzia tiene la testa fra le mani) Permetti adesso che salga? È necessario che l'atmosfera sia alleggerita quando tornano i ragazzi. Io vado a ricom­pormi un viso da grandi occasioni. (Sale).

(Pausa. Cinzia è rimasta, al suo posto. Marta entra da sinistra. Si accorge della presenza di Cinzia ma crede che ri­posi. Attraversa la scena cautamente con l'intenzione di uscire dal fondo).

Cinzia (sollevando la testa) - Siete voi Marta?

Marta - Chiedo scusa signora.

Cinzia - Che ore sono?

Marta - Quasi le  sei.

Cinzia - Non sono ancora rientrati?

Marta - Non ancora.

Cinzia (si alza con fatica) - Il silenzio e la solitudine mi terrorizzano adesso. Io non saprò mai come riempire la tetraggine di questa  casa.

Marta - Perché non si decide a fare ritorno in città? Avrebbe modo di svagarsi.

Cinzia - La nostra casa, sarebbe ugualmente vuota. Quando i cuori sono muti che cosa puoi sperare più? E' finita, mia buona Marta.

Marta - Che è successo?

Cinzia - Donald è perduto. Anche per me. L'amore è già combattuto dalla paura. Non posso più rima­nergli vicina senza che il tremito mi assalga.

Marta - Non deve lasciarsi dominare da questi pensieri.

Cinzia - Non sono pensieri. La constatazione è già avvenuta. Terribile. Quel Donald che anche tu hai conosciuto è morto. Il suo posto è stato occupato da un essere nuovo, del tutto estraneo e pericoloso. Bisogna guardarsi da lui.

Marta - Ma che sta dicendo, signora Calvert?

Cinzia - Abbiamo il torto di lasciarci convincere, a volte, dalle apparenze. Senza riflettere, senza sor­vegliare, senza chiedere delle prove. Ci siamo tra­scinati in casa un individuo che ci odia.

Marta - Ma parla di suo marito.

Cinzia - Non lo è, non lo è. L'uomo che da quasi un anno vive con noi è uno sconosciuto.

Marta - Si calmi signora Calvert.

Cinzia - Siamo tutti prigionieri suoi. Bisogna che lo sappia anche Eva. Lei almeno può ancora salvarsi. E anche tu, anche tu se vuoi. Ma io... io, legata da un giuramento...  come posso...

Marta - Non dica così. Deve reagire ed essere forte come ha sempre saputo essere. Maggiormente quando lui non lo è...

Cinzia - Non mi lasciare, Marta.

Marta - Neanche per sogno, perché vuole che la lasci?

Cinzia - Non devo mai essere sola, mai. Anche quando c'è lui. Non posso nemmeno più guardarlo.

Marta - Su, su. Adesso verrà con me. Mi aiuterà a preparare il pranzo. Poi andremo nell'orto. Sono momenti che devono essere superati ad ogni costo... Venga!  (La trascina verso il fondo).

Cinzia (con voce afona) - È finita Marta...

(Escono. Entra Eva dal fondo seguita da Phil).

Eva - Io mi domando che cosa c'è di più suggestivo e di più salutare di una passeggiata simile. Si rien­tra forse un po' stanchi, ma con una soddisfazione interna così viva, come se si fosse compiuta una buona azione.

Phil - Sono d'accordo con voi.

Eva - Eppure siete stato per tutto il tempo taciturno e distratto.

Phil - Eva perdonate... Ma vi ho già detto...

Eva - Delle sciocchezze. Tutta questa storia di Maicamp  è  così  poco  verosimile.

Phil - Non mi piace che dubitiate delle mie parole.

Eva - Da  certi  uomini  dubito  sempre  di tutto.

Phil- Vi  prometto che a tavola sarò brillantissimo.

Eva - Non amo le alterazioni forzate.

Phil - Non so  proprio  come  prendervi,  mia. rara.

Eva - Semplicissimo. Lasciandomi andare.

Phil - Suvvia Eva. Non è il momento di fare capricci. Non ricordate che ci siamo assunti un grave compito?

Eva - Non sono io quella che lo ha dimenticato.

Phil - Nemmeno io. Ed ora mi sto domandando se non ho commesso una leggerezza accettandolo.

Eva - Di bene in meglio.

Phil - No, non cherzate più. Sono piuttosto gravi le considerazioni che mi inducono a parlare così.

Eva (smettendo il broncio)  - Che  c'è,  Phil?

Phil  (lentamente, scandendo quasi le sillabe e guardandola fissa negli occhi) - E'probabile che prima di partire io vi faccia una confessione.

Eva - Una confessione?

Phil - Sì, Eva.

Eva - Che riguarda noi due?

Phil - Anche. Ho cercato sempre di rimandarla per­ché m'illudevo di poterla evitare. E Dio sa se lo desideravo. Adesso mi rendo conto che non è più possibile... Purtroppo non sarà una confessione piacevole... Ma io faccio appello fin d'ora al vostro spirito, alla vostra forza di carattere per superare una prova difficile.

Eva - Volete spaventarmi?

Phil - Non è nella mie intenzioni, credetelo. Ma quanto sarò costretto a dirvi... influirà notevolmente sul vostro animo.

Eva - Perché non mi volete dire subito?... Mi tenete in un'alternativa angosciosa.

Phil - Non ora. Ho bisogno di parlare prima con vostro fratello.

Eva - Sì tratta di lui?

Phil - Sì.

Eva - Cose gravi?

Phil - Lo temo,

Eva - Vi ha già fatto delle confidenze?

Phil - Non ce ne sarebbe stato neppure il tempo materiale. Sono state le mie... indagini che mi hanno condotto  alla scoperta.

Eva - Ah!... E dite che è molto grave?

Phil - Molto.

Eva - Sì può... si può rimediare... per lui?

Phil - Sarà molto difficile.

Eva - E allora ditemi subito...

Phil - Non ora. Ve l'ho detto. Ma a voi prima che ad ogni  altro.

Eva - Ogni altro? Alludete a Cinzia. La cosa deve rimanere fra di noi?

Phil - Questo  fa  appunto parte  della confessione.

Eva - Phil,  che cosa intendete dire?

Phil - Che i miei sentimenti per voi, sono stati sinceri fin dal primo momento... e che ho provato per voi una simpatia, trasformatasi poi in affetto... Mi trovo adesso in una situazione dolorosa. Combattuto tra il dovere  e il  sentimento.

Eva - Se ho ben capito, l'amore in tutto questo non c'entra, non c'è mai entrato.

Phil - Non è questo che volevo dire.

Eva - Comunque nei nostri riguardi, è subordinato alle reazioni che provocherà la vostra confessione. E' così?

Phil - L'amore, se necessario, dovrà tacere.

Eva - Ah! Scusate, ma non avrete confuso, per caso, l'amore con la compassione?

Phil - Eva!

Eva - E'facile equivocare. Specialmente per un tem­peramento passionale. Si vede una ragazza dall' aspetto piacente; che vive sola, con una certa indi­pendenza. Si viene a conoscere che nonostante la sua apparente spregiudicatezza, porta con sé una piccola nota dolorosa. E allora ci si appassiona al caso. La si stringe d'assedio. Ci si accaparra la sua simpatia, la si induce a parlare, a sfogarsi. Poi... La si accarezza, come si fa con un bambino mortifi­cato per un castigo, soddisfatti di essersi acquistati con poco spesa la sua benevolenza...

Phil - Non è così, Eva, credetemi...

Eva - Lasciate che io creda a questa versione. Diver­samente dovrei pensare che i vostri sentimenti, sono cambiati, dopo che avete scoperto non so che cosa!...

Phil Eva, siete ingiusta e cattiva!

Eva - Sono logica. A voi conviene questa seconda ver­sione perché vi giustifica anche di fronte alla co­scienza. Che io mi senta a disagio, umiliata e un poco ridicola,  per la  situazione  che  io  stessa  mi  sono creata, non ha importanza! Può capitare nella vita di sbagliarsi, no? Ricordatevi però che sono una Calvert e rimarrò al fianco di mio fratello per so­stenerlo e per difenderlo qualunque siano lesue colpe.

Phil - Vi ho lasciato sfogare perché mi sembrava giu-sto, ma vi accorgerete ben presto che non merito questo risentimento.

Eva - Signor Vallier, attendo una spiegazione. E quando riterrete che sia giunto il momento mi farete avvertire. (Si  avvia).

Phil (per trattenerla) - Eva, vi prego di restare...

Eva - Pretendete troppo dalle mie forze. (Si avvia ed esce, a sinistra rapidamente).

(Phil rimane un attimo perplesso, guarda in alio in direzione del ballatoio poi rapidamente, sale, e mette la testa nel vano della porta. Ridiscende veloce e si dirige verso il piano­forte attaccando il Preludio di Rachmaninoff. Donald spettinato, sconvolto, con gli abiti in disordine, si affaccia al ballatoio).

Donald (urlando) - No, no... Basta, per Dio, basta... Chi è che suona...   (Scende).

Phil (Conservando la calma, e freddamente) - Mi spiace di avervi disturbato.

Donald  (tentando di dominarsi)  -  Eravate voi!...

Phil - Mi hanno lasciato solo e ho tentato di farmi compagnia. Conoscere il brano?    (Accenna ai tasti).

Donald - No....   vi  prego...

Phil - È Rachmaninoff, vero?

Donald - Una musica che mi opprime.

Phil - Si tratta di un classico di un certo valore,

Donald - Se volete suonare qualsiasi altra cosa...

Phil - Non c'è più bisogno. Rachmaninoff vi ha condotto qui.

Donald - Guardate che hanno chiesto di voi da Maicamp. Sono sicuro che si tratta della medesima persona .

Phil - Grazie.

Donald - Devono attendere delle notizie interessanti a quanto pare.

Phil - Sono amici che mi vedono sempre con piacere.

Donald - Immagino che saprete farvi ben volere dai vostri amici, per lo zelo e la scrupolosità che mettete nei servizi richiestivi.

Phil - Fino  ad oggi, sì.

Donald - Conosco anch'io di vista il signor Handers. Un eccellente uomo e un eccellente tiratore. Credo ricopra la carica di maggiore di polizia di questo dipartimento. Sbaglio?

Phil - Affatto.

Donald - Avete pronunciato il suo nome poco fa al telefono e sono rimasto sorpreso. Mi ha fatto pia­cere la coincidenza. Indirettamente ho la prova che dal punto di vista morale siete un uomo irreprensibile.

Phil - Grazie.

Donald - Ha un'importanza grandissima per me co­noscere a fondo le persone che dovranno un giorno entrare nella mia famiglia. Ciò premesso posso assicurarvi che la stima e la simpatia che ho per voi sono ben radicate e non c'è ormai nessuna circo­stanza che potrebbe farmi mutare opinione,

Phil - Ne sono lusingato.

Donald - Voi amate realmente mia sorella?

Phil - Sì,  signor Calvert.

Donald - Scusate la domanda: l'amate disinteressata­mente, per lei stessa. Per le sue doti fisiche e morali...

Phil - Evidentemente...

Donald - Comprenderete che non ho voluto alludere al fattore finanziario. Siccome mi pare che posse­diate in forte misura dell'orgoglio e dell'amor pro­prio, non vorrei che l'incontro e l'accostamento a Eva fossero stati soltanto un pretesto per arrivare alla conclusione di un servizio chiestovi, che so... da qualche amico sul tipo del signor Handers. Sa­rebbe terribile essersi baloccati con i sentimenti di quella poveretta.

Phil - Dal momento che la pensate così, signor Calvert...

Donald - Non ho detto che io la penso così. Ho for­mulato semplicemente un'ipotesi. Riconosco di avere una fantasia che a volte mi nuoce. Ma non dovete offendervi.  So perfettamente chi siete.

Phil - Sapete chi sono?

Donald (sorridendo) - Ma certo. Un giovane simpati­cissimo col quale avrei conversato tanto volentieri per molti anni - come accade fra cognati che sim­patizzano - dei più svariati argomenti. Ma ahimè, credo che fra non molto noi due non ci vedremo più. (Phil lo guarda senza parlare) Ho deciso d'intraprendere un lungo viaggio...

Phil - Ah!...

Donald - Questo dipenderà da come riuscirò a siste­mare certe  mie faccende private...

Phil - Se ne possono conoscere i motivi?

Donald - Ma li conoscete già! Devo ad ogni costo ri­trovare la mia serenità. Restando così come sono adesso finisco per rovinare lo spirito di quanti mi stanno vicino. Mia moglie stessa mi ha più volte consigliato di partire. Ho deciso di ascoltarla. Ma andandomene sarei lieto di sapere che qualcuno avrà cura di queste due donne fino al giorno in cui le­galmente potrà entrare nella casa con un grado di parentela.

Phil - Contate di rimanere lontano molto tempo?

Donald - Temo di sì, Phil.

Phil - Mi dispiace.

Donald - Sul serio?

Phil - Sì. Devo riconoscere che la curiosità del primo momento ha mutato... Forse perché mi ero fatto un concetto errato di voi. Quel tormento interiore che vi rode e quella preoccupazione continua di soffocarlo, vi rendono meritevole d'interesse e di protezione...

Donald - Protezione?

Phil - Contro la vostra stessa debolezza. E vorrei potervi dire: Donald, perché sciupate il vostro in­telletto oltre che il fisico, abusando di stupefacenti?

Donald - Signor   Vallier,    come   vi   permettete?...

Phil - Vi denunziano i segni visibili della faccia: gli occhi spenti, il pallore caratteristico della pelle, le mani  tremolanti...   Non  c'è  da sbagliare.

Donald - Vi sbagliate... io non mi sono mai...

Phil (autoritario) - Sedete. Siete ancora sotto l'azione di qualche veleno.

Donald (lo guarda poi ubbidisce macchinalmente) -Ma che volete insomma da me? Mi pare che siate venuto in casa mia con un proposito solo: occuparvi degli affari miei.

Phil - Potrebbe essere. Del resto ne sono stato pregato da vostra sorella.

Donald - Eva è una sciocca.

Phil - Vi vuol bene ed è pronta a rompere qualsiasi legame affettivo per difendervi.

Donald - Difendermi da che cosa?

Phil - Da chi ha interesse a conoscere tutta la verità sul vostro passato.

Donald - Il mio passato non riguarda nessuno all'infuori di me.

Phil - Siete in errore. Bisogna che io sappia se esso può gettare delle ombre sulla donna che dovrà diventare un giorno mia moglie.

Donald - Ma se appunto per questo ho deciso di andarmene.

Phil - E credete che basti? Che l'opinione pubblica si placherebbe per il fatto di sapervi lontano? Essa non scinde le questioni vostre da quelle della vostra famiglia. Il nome dei Calvert rimarrebbe co­munque contaminato. E ciò che di irreparabile voi poteste avere commesso, ricadrebbe inesorabilmen­te anche su vostra sorella.

Donald - Questo no, questo non deve essere. Lei e anche mia moglie non avrebbero alcuna colpa.

Phil - Vedo che ve ne  rendete conto.

Donald - Così,  non  avrei  pace nemmeno  altrove?

Phil - Un viaggio intrapreso in queste condizioni non gioverebbe a nessuno.

Donald (lo afferra per un braccio) - Phil, che cosa sapete di me?

Phil - Nulla o quasi. Aspetto perciò una chiara espo­sizione dei fatti. Soltanto in questo modo posso tentare di fare qualcosa per aiutarvi.

Donald - Che cosa credete che io abbia commesso? Pensate forse a un delitto... (Phil rimane impena-trabile) Un delitto! Eh sì, dal modo come mi com­porto avete tutto il diritto di crederlo. Per quanto ci sarebbe da distinguere se la persona che viene soppressa è un essere assolutamente inoffensivo o se invece è un mostro che è necessario fare scom­parire per il bene della società.

Phil - Nessuno ha il diritto di uccidere di proprio arbitrio. Ci sono le leggi per giudicare e condannare.

Donald - Certo. Ci sono le leggi. Ma non credete che alle volte, in buona fede, uno possa fare giustizia...

Phil - Donald, mi sembrate un topo in trappola...

Donald (con un ultimo sforzo) - Per dichiararmi vinto bisognerebbe che conoscessi di che mi si accusa.

Phil - Siete voi stesso che vi accusate. Anche il poliziotto meno abile potrebbe insospettirsi.

Donald (tentando di scherzare) - Mentre voi che siete soltanto un ospite che cosa deducete?

Phil - Che siete un disgraziato.

Donald  -  Phil!!!

Phil - Ma non per questo meno colpevole.

Donald - Phil!...

Phil - Prima o poi si arriva sempre alla conclusione di un discorso. L'abbiamo strizzato da ogni parte. Ora non si può più tornare indietro, Calvert. Biso­gna confessare... confessare apertamente.

Donald - Phil, che cosa sei venuto a fare in casa mia?

Phil - Il mio dovere, Calvert. Il più penoso dei doveri. Non credere che mi sia servito di Eva. Fu solo il caso che me la fece conoscere, quando avevo già ricevuto l'ordine di portarmi a Mallowhurst.

Donald - Ma chi sei?... Chi sei?

Phil - Un collega di Handers, incaricato di appurare le cause che hanno determinato la morte di Silvio Lafarge.

Donald - No, no, no... (Con un balzo si alza e tenia di fuggire, ma Phil pronto lo afferra e lo ributta a sedere).

Phil -  Dove volete  andare,  disgraziato?

Donald - Lasciatemi, io non so nulla... Non c'entro in quella faccenda...

Phil - E' quello che desidero chiarire. Ma per il momento sono io che vidico di stare quieto e di preparare in silenzio una esposizione chiara e circostanziata dei fatti che ascolterò più tardi.

Donald - Ma io...

Piiil - Non è certo per un riguardo a voi. Desidero preparare vostra sorella e vostra moglie che sono completamente all'oscuro.

Donald - C'è un equivoco. Ci sono tanti Calvert in Inghilterra!

Phil - A Lillà c'eravate soltanto voi.

Donald - Non ho conosciuto questo...  Lafarge.

Phil - Può darsi, come Lafarge. Ma dagli amici si faceva chiamare Silvio Gaudens. (Donald si copre il viso con le mani) E sapeva suonare meravigliosa­mente. Due mani d'oro dicono gli intenditori...

Donald   (Cupo)  -  Due  mani  diaboliche...

Phil  -  In  determinati  momenti  sì.   Mi  fu  detto...

Donald - Ma io non c'entro... Non so nulla...

Phil - Quando interpretava Rachmaninoff sbalordiva, no? E la sua influenza era formidabile. Sapeva imporsi. Bisognava obbedirgli.

Donald  - Sì...  È vero...

Phil - Si dilettava anche di spiritismo... E teneva delle sedute a quanto si dice, assai interessanti...

Donald  -  Sì...

Phil - La sua casa era molto frequentata. Una piccola folla eterogenea...

Donald  - Non so.  Io non  la frequentavo...

Phil   -   Non con gli altri.

Donald - Mi ripugnava il suo ambiente...

Phil - In principio. Poi lo subiste. Qualcuno aveva paralizzato la vostra volontà.

Donald - Fu lui.

Phil - E vi obbligava a fare ciò che gli garbava.

Donald  -  Mi  sono  sempre  ribellato.

Phil - Non sempre, Donald, non sempre... Anzi ad un certo momento, quando sembrò che vi avesse vol­tato le spalle, lo cercaste.

Donald - Possedeva degli oggetti miei.

Phil   -   Delle  lettere compromettenti...

Donald (smaniando) - Questo è uno stillicidio. Io non resisto più.

Phil - Solo in questo modo la verità si fa strada.

Donald  -  Ma io non sono colpevole.

Phil - Sarebbe già una colpa averlo frequentato. Egli era anche una spia.

Donald - Una spia, lui?

Phil - Si sono trovate le testimonianze. Questo è molto importante. La sua fine potrebbe apparire co­me un episodio di guerra. Un movente militare. E l'assassinio apparirebbe sotto una luce diversa.

Donald  - Credete?

Phil - Fermamente. Ma bisogna che mi si aiuti. Ho bisogno di conoscere molti particolari della sua vita per ricostruire i fatti. E l'aiuto non posso averlo che da una persona che l'abbia conosciuto, abbia conosciuto le sue abitudini, l'ambiente in cui viveva. Da voi.

Donald - Ma io non so nulla... cioè, quello che già conoscete...  Non posso dirvi altro.

Phil - Ascoltate bene, Calvert. In questo momento ho la certezza che siete perfettamente cosciente. Io vi parlo ancora da amico, tenetevelo bene in mente. Ho dovuto manifestarvi la mia vera identità perché ormai il colloquio lo esigeva. Ma le mie intenzioni erano semplicemente di farvi parlare come se si fosse trattato di una confidenza fatta ad un amico.

Donald  (sarcastico) - Al fidanzato di mia sorella.

Phil - A questo potremo venire dopo. Non confondiamo gli argomenti. In me non esiste alcuna intenzione di danneggiarvi più di quanto non lo siate già. Ho un dovere da compiere e lo compirò a costo di qualsiasi rinuncia, ma voglio nel medesimo tempo aiutarvi, diminuire la vostra colpa davanti al tribunale...

Donald - Volete trascinarmi davanti ai giudici? Non potete. Sono nel mio paese. Le faccende di laggiù...

Phil - Disilludetevi. Il tribunale di Lillà ha trasmesso l'incartamento Lafarge a Londra e Scotland Yard mi ha dato carta bianca per agire.

Donald - Allora mi potete arrestare da un momento all'altro.. No, non subito... ve ne scongiuro. Bisogna che prima riordini i fatti. Come avete detto voi. Le circostanze. Che mi consulti con un avvocato... Devo preparare la mia difesa, perché sono innocente. Io non ho ucciso...

Phìl -  Ne  siete  ben sicuro?

Donald - Avete le prove anche di questo?...

Phil - Le prove, me le fornirete voi stasera...

Donald  -   Io?

Phil - Lascio il compito della confessione alla vostra dignità.  Ma sarete voi che ad un certo momento, fissandomi negli occhi, mi direte: « Sì, ho ucciso Silvio Gaudens ».

(Donald sta per replicare, ma da sinistra entra Marta).

Marta - Le signore avvertono che il pranzo è servito.

Donald - Che cosa? Il... (scoppia a ridere) La forza d'animo  delle  donne!

Phil - Donald calmatevi e venite di là. (Fa un cenno a Marta di andarsene).

Donald - Parlate sul serio?

Phil - È l'unica cosa che ci resta da fare per il momento.

Donald - Voi lo potete... perché in fondo di tutta questa storia non ve ne importa niente. Io no... io dovrei sedere, di fronte a mia moglie, a fianco di mia sorella e dovrei guardarle, sorridere, essere un delizioso marito, mentre qua dentro... (con un singulto) Non posso, capite, non posso. Andate voi, io rimango.

Phil -  Rimango anch'io.

Donald - Devo considerarmi già a vostra disposizione? Bene. Allora vi offrirò al posto del pranzo uno straor­dinario trattenimento musicale. (Siede al piano e attacca il preludio di Rachmaninoff. Phil è rimasto in piedi come per sorvegliarlo. Poco dopo da sinistra, si affacciano Cinzia ed Eva stupite. Donald sembra non accorgersi della presenza delle donne) Eh? Che vi sembra. Non sono abili le mie mani? E questo passaggio, non è migliore di... Più sentito, no? Più sofferto. Io interpreto Rachmaninoff, non il vostro Lafarge... Io, io soltanto... (Continua a marti­rizzare i tasti mentre le due donne, che non comprendono guardano ora Donald ora Phil sempre immobile, appoggiato  ad una poltrona).

Sipario



ATTO TERZO

La medesima scena. Pochi minuti dopo. Cinzia è seduta su una poltrona, intenta a seguire i movimenti di Donald che, in piedi, passeggia nervosamente per la stanza, passandosi ogni tanto una mano sui capelli.

Donald - E adesso che siamo soli non mi riesce di cominciare.

Cinzia - Puoi cominciare dalla fine, così abbrevieremo questo colloquio che è terribilmente penoso.

Donald - Lo so. Ma l'ho sollecitato io. Ho pregato io Vallier di lasciarmi solo con te.

Cinzia - E io che non avevo alcun desiderio ho aderito. Ora parla. Ti ascolto.

Donald - Cominci ad odiarmi, adesso, è vero?

Cinzia - Non ancora Donald. Ho solo paura.

Donald - E' un passo avanti.

Cinzia - Ma vorrei non averla. Mi sforzo di apparire tranquilla come sempre. Sento che una catastrofe mi pende sul capo e devo raccogliere tutte le mie forze per parare il colpo.

Donald - Povera Cinzia! A questo ti hanno condotta dieci anni di fedeltà!

Cinzia - Non so chi dei due sia più da compiangere.

Donald - Tutti e due, Cinzia, tutti e due.

Cinzia - Almeno io non ho niente da rimproverarmi.

Donald - È una accusa per me ed hai perfettamente ragione.

Cinzia - A che tende allora questo colloquio? Ti sei spiegato benissimo poco fa e io ho rinunciato a sperare.

Donald - Cinzia!... Sei più forte di me. Lo vedo. Tu affronti  qualsiasi situazione e la superi.

Cinzia - Non sai però a quale prezzo.

Donald - Qualunque esso sia, le emozioni ti rimangono dentro. Sai dominarle. Sei forte. Io invece da lungo tempo non lo sono più. Ma appunto per questa sopravvenuta disparità di forze, vorrei pregarti di essere buona con me. Almeno per questa sera. Sarà un altro superamento di difficoltà, ma ti prego di farlo. Tanto più che sarà l'ultimo.

Cinzia  -  Veramente l'ultimo?

Donald   -   Fra poco sarò lontano, molto lontano...

Cinzia  -  Hai  deciso di partire?...

Donald - Sì, per il bene di tutti.

Cinzia - Credi che sarà veramente un bene?

Donald  - Lo sarà. È la sola certezza che mi resta.

Cinzia - Ed è l'unica soluzione che hai trovato con Vallier, dopo tutto il parlare che avete fatto?

Donald - Se non l'unica, la migliore.

Cinzia (con uno scatto che subito reprime) - Ah, Donald!...

Donald - Capisco che cosa vuoi dire, ma non posso. Anche se avessi il desiderio, e quello l'avrei sai, di tentare un'altra soluzione, sarebbe troppo tardi. Prima di andarmene ho voluto rimanere solo con te, per tentare di spiegarti la causa del mio patimento. Una confessione che avrei voluto risparmiarti. Un po' per pietà, un po' per egoismo.

Cinzia - Cosa vuoi che conti? Esaminando freddamente la nostra situazione, forse finirei per trovare la tua decisione logica. E di conseguenza sarei d'accordo con te. D'accordo sulla nostra separazione. Dieci anni di sogno dileguati in un baleno. Dieci anni di amore, di dedizione che non hanno valso a niente.

Donald - Potesse almeno sopravvivere il ricordo di quel periodo felice!

Cinzia - Quello sopravvivrà in me. È la mia unica ri­compensa. Nessuno potrà togliermelo. E ogni volta che mi sentirò sola e troppo triste, mi rifugerò in lui.

Donald - Non potrò lasciarti nemmeno quello, Cinzia. Tutto dovrà scomparire con me. Tutto quello che ti ha allietato al mio fianco. Ma vorrei, vedi, che non rimanesse nella memoria nemmeno il lato negativo della nostra esistenza.

Cinzia - Ma quale perversa influenza ha potuto trasformarti in questo modo?

Donald - Se riuscissi a calmarmi, a sedermi, a vincere questa paura che mi mozza perfino il respiro, ti spiegherei...  E bisogna che vi riesca...

Cinzia - Non temere di farmi maggior male più di quanto non me ne abbia già fatto. Sono preparata al peggio.

Donald - La tua immaginazione non arriverebbe mai a concepire... (Con uno sforzo siede) Ecco sono riuscito a sedermi. Per distendere un poco i miei nervi dovrei prenderti una mano. (Cinzia gliela porge silenziosamente) Non ne ho più il diritto e non ne sono degno.

Cinzia - Disgraziato, ma a quale gradino di abiezione sei sceso?  Toglimi almeno da questa angoscia.

Donald (si raccoglie un momento) - Ti ha detto Vallier cosa è venuto effettivamente a fare in casa nostra?

Cinzia  -  Non  ancora.   Ma  dubito...

Donald - E venuto per me. E' un agente.

Cinzia  (dopo un attimo)  - Povera Eva!

Donald - E vero, povera Eva! La piccola non ha capito l'importanza di essere mia sorella. Si è lasciata prendere dal sentimento.

Cinzia   -   E tu?

Donald   (lentamente) -   Io... ho  ucciso.

Cinzia (ha appena un sussulto) - Ecco...

Donald - Ho ucciso un uomo, Cinzia!

Cinzia (come parlando a se stessa) - Tante volte mi sono domandata: che sia per questo?

Donald   -   Avevi  intuito?...

Cinzia - Tutte le supposizioni avevo fatte. E c'era anche questa. Terribile ma inevitabile. Mi hai parlato di cose orribili, di inferno. Dunque vi era inclusa anche questa probabilità. Ma anche il pen­siero di abbracciare un assassino non avrebbe mai potuto frenare i miei slanci, se tu mi avessi voluta ancora. Avrei pianto con te... sapendo. Avrei titu­bato ad ogni rumore. Avrei tenuto in pugno la mia felicità, giorno per giorno, per nasconderla all'avvi­cinarsi di un pericolo. Ma sarei stata ancora per te la moglie che avevi scelto. E di più, di più avrei fatto, sapendo. A tua insaputa, magari, mi sarei data d'attorno per stabilire fino a quale punto tu eri colpevole. E se vi fosse stata una qualsiasi via d'usci­ta, anche tortuosa, pur di non perderti, l'avrei per­corsa. Tutto avrei fatto per continuare a viverti vicino.

Donald - Sono un assassino, Cinzia.

Cinzia - Credi di essere stato il solo... laggiù? E se lo hai fatto, io che ti conosco, vi sarai stato costretto. In guerra la vita perde ogni consistenza, ogni valore. Qualche volta, guardandoti furtivamente le mani, cercavo di indovinare come avessero potuto ad un dato momento manovrare un'arma e seminare una strage. Tu davi l'esempio ai tuoi uomini. Li incitavi, eri  alla testa.

Donald - Niente armi, niente eroismi. Fu una necessità quella che mi spinse. Ma una necessità tutta perso­nale, egoistica. Non fu per salvare la mia pelle.

Cinzia - Un delitto... così, per istinto criminoso?

Donald - Per liberarmi da una schiavitù obbrobriosa.

Cinzia - Non capisco.

Donald (si alza) - Devo fare ancora un ultimo sforzo ed è il più terribile. Pensavo di riuscire a quattr'occhi con te... ma sento che devo ricorrere all'aiuto di Vallier.

Cinzia - E lui sa?

Donald - Ha recitato la sua parte da grande attore. È un ragazzo  abilissimo!

Cinzia (dopo un istante di silenzio) - Se ti conduce a Londra, io ed Eva ti seguiremo.

Donald   -   Non voglio.

Cinzia - Bisogna. Se Eva è intenzionata a difenderti, io devo fare altrettanto. Non fosse altro per il mio dovere di moglie. Interpelleremo l'avvocato Matthew. È bravissimo ed è amico nostro.

Donald - Non sarà necessario disturbarlo. Io non andrò a Londra.

Cinzia - Come puoi eludere la vigilanza di Vallier. E quando anche... dovresti peregrinare per il mondo con l'incubo di essere arrestato da un momento all'altro. Se vuoi ascoltare un mio consiglio, in questo momento ti parlo solo da buona amica, affronta la situazione.

Donald - Non posso sottostare al dibattito di un processo. Anche se a porte chiuse.

Cinzia - A porte chiuse? Ma perché?

Donald - Perché... è necessario.

Cinzia (lo guarda) - Ma allora... No, è assurdo!... (si alza).

Donald  -  Te ne vai?

Cinzia - Sono stanca. D'altra parte a che ti serve la mia presenza?

Donald - Ma tu che farai, dopo?...

Cinzia - Non lo so, Donald. Sarebbe troppo se ti esponessi il progetto del mio avvenire. Ora ho il vuoto davanti a me.

Donald  -  Rimarrai  con  Eva.

Cinzia   -   È   difficile,

Donald - Mia sorella ti vuole bene. Non potrebbe restare lontana da te. Siete sole. Dovrete rimanere unite.

Cinzia (ritrovando per un momento le sue energie lo afferra per le braccia) - Ma è possibile che sia vero quanto succede? Tu, che in tutta la tua vita sei stato così buono, così leale. Avevi una volontà e una intelligenza così vive... È un incubo. Un sogno terribile... Svegliamoci, Donald, svegliamoci per l'amor di Dio, prima che sia troppo tardi.

Donald (l'accarezza leggermente) - Buona, buona... Immensamente buona. E io che ti ho fatto tanto male.

Cinzia - Io non ti lascio. Ti sarò al fianco. E ti difenderò con ogni mezzo. Anche se mi riveleranno le cose più atroci sul conto suo. Non sei responsabile di ciò che puoi aver commesso. Se si dovessero istituire processi per quello che di illecito un individuo può aver commesso in questi tempi, credo che quasi tutta l'umanità sarebbe colpevole. I giudici queste cose le sanno, le capiscono. Tu poi sei stato un bravo soldato, hai avuto dei riconoscimenti. Godi tante simpatie. Saremo tutti uniti a te. E vedrai... Ho fede che si chiarirà ogni cosa. Poi non so, vorrei fabbricare un bel sogno con te... Un bel sogno per noi due... Come prima, come prima... (Si abbandona senza forza nelle braccia di Donald).

Donald - Cinzia!... Cinzia!... Su, su... Cerca di reagire!... (Chiama) Eva! Marta!  Oh,  cara, non fare così!...

Phil  (si affaccia da sinistra)   -  Che  succede?

Donald - Ha avuto un capogiro. Non c'è nessuno di là?

Phil - Che vi occorre?

Donald - I sali. Li ho nello studio. Se voi permettete, Vallier...

Phil (lo guarda un attimo) - Andate, presto... (Donald si precipita su per la scala mentre Vallier sì china su Cinzia per portarle soccorso) Signora Calvert, corag­gio. Sono il meno indicato per dirvi questo, tuttavia dovete credere al mio sentimento. Alla mia simpatia...

Donald (ritorna e fa annusare i sali alla donna) - Grazie, Vallier...  Cinzia, cara!   ...

Cinzia (si agita) - Donald! dove sei?

Donald - Qui,  cara.  Vicino a te.

Cinzia - Non lasciarmi,

Donald - No, non ti lascio. Ma sarebbe bene che ti riposassi.

Phil - Seguite il suo consiglio, signora.

Cinzia - Ma come potrei...

Phil   -   Non partiremo che domattina...

Cinzia - Signor Vallier...

Phil  -  Ve lo  prometto.

Cinzia - Verrò anch'io con voi. Devo parlare al nostro avvocato e preparare con lui la difesa. Ci sarà molto da fare. Ho bisogno di forza. E l'avrò. Vedrete Val­lier  che  sarò  un'avversaria  formidabile.

Donald - Non parlare più. Ti affatichi inutilmente. Vai a letto. Io e Vallier rimarremo qui ancora un poco. Poi andremo a dormire anche voi. Volete chiamare mia sorella e Marta? (Phil suona e Marta compare da sinistra) - Dov'è Eva?

Marta - In salotto.  Sta scrivendo alcune lettere.

Donald - Ditele che venga qua.

Cinzia - Ma no, lasciatela. Posso benissimo andare da sola.

Donald - Fate quanto vi ho detto. (Marta via, A Vallier) Permettete che l'accompagni? (Phil fa un cenno con la lesta) Ricordi Cinzia i nostri bei giorni? Ca­pitava spesso che dovessi trascinarti per forza a letto. Eri stanca e ti sforzavi di rimanere in piedi.

Cinzia - Per perdere il meno possibile della tua compagnia.

Donald - E qualche volta dovevo raccontarti perfino delle favole.

Cinzia - Mi piaceva tanto la tua voce! (Salgono lentamente. Eva appare da sinistra. Phil che segue con lo sguardo  la coppia le fa cenno di  tacere).

Donald - Se vuoi, mi proverò anche stasera.

Cinzia - Saresti capace? Forse vi sentirei delle lacrime. No, non dobbiamo intenerirci. Almeno fino a che tutto non sarà passato.

(Sono saliti. Entrano in camera).

Eva  -  Mi  avete  chiamata?

Phil - Che facevate di là?

Eva  -  Scrivevo  delle  lettere.

Phil - A chi?

Eva - Non certo a voi, signor Vallier.

Phil - Non commetterete l'imprudenza di avvertire i vostri  amici?

Eva - Avvertirli di che?

Phil - Mi avete fatto capire che siete disposta a mettere a soqquadro tutta l'Inghilterra se occorre. Sarebbe molto pericoloso e credo che non rendereste un buon servizio a vostro fratello. Non vi parlo professional­mente, in questo momento.

Eva - Naturalmente da amico.

Phil - Amico, amico, sì. Credete che molti miei colleghi al mio posto avrebbero assunto il mio atteggiamento? A quest'ora vostro fratello ammanettato dovrebbe già trovarsi sulla strada di Londra. Invece è ancora in famiglia, passerà la notte sotto il suo tetto. È libero di muoversi e domani partiremo in compagnia, magari  per  fermarci  prima  dal  vostro  avvocato.

Eva - Quanta magnanimità!

Phil - Ma perché ostinarvi a non capire. Non rendete il mio compito ancora più difficile e penoso. Sarei pronto a rassegnare le mie dimissioni se questo potesse giovare a vostro fratello. La mia posizione è già fortemente scossa. Poco fa ho avuto al telefono una lunga comunicazione col maggiore Handers. L'ho scongiurato di attendere ancora e ho potuto ottenere  di  rimandare la  partenza  per  Londra  a domani. Ma la casa è già piantonata. Non si ha più fiducia nemmeno di me.

Eva   (con  slancio)   -  Oh,   Phil!...

Phil - Se credete che questo mi addolori! Ma mi sa­rebbe di conforto constatare che almeno voi ve ne rendete conto. E non mi considerate un nemico. Dirvi in questo momento che vi voglio bene, po­trebbe apparire fuori posto...

Eva - Ditelo, ditelo, ve ne prego. Ne ho tanto bisogno!

Phil (la stringe fra la braccia) - Mia piccola Eva, proprio io dovevo farti del male.

Eva - Non è stata colpa tua. Tu stai facendo il tuo do­vere. Ma io devo fare qualcosa per Donald. Stavo infatti scrivendo ad alcuni amici. Ma hai ragione: non bisogna fare troppa pubblicità intorno alla disgrazia. Che  cosa pensa  di  fare?

Phil (un foco titubante) - Credo che abbia già il suo progetto. Vuole andarsene.

Eva - Ma come può, se la casa è già piantonata?

Phil - Se vuole... credo che riuscirà...

Eva   -   E tu?

Phil - Mio malgrado... non potrò impedirglielo.

Eva - Come sei buono,  Phil!...

Phil (allontanandosi da lei) - Non si tratta di essere buoni. Ma questa partenza potrebbe concludere bruscamente il dramma ed evitare il processo. Si eviterebbe anch  lo scandalo.

Eva  -  Saprei  all'occorrenza  fronteggiarlo.

Phil - Forse, ma dovresti allontanarti da Londra, abbandonare  il  tuo  ambiente, ogni cosa...

Eva - Sono pronta a farlo e senza alcun rammarico...

Phil - Ma tu non sai ancora tutto. E non ho il coraggio di dirtelo.

Eva - Ma che cosa ha combinato, alla fine quel disgraziato?

Phil - Zitta, mi pare che stia venendo.

Donald   (Appare   sul   pianerottolo.   Ha   i   lineamenti alterati. Con uno sforzo enorme cerca di mantenere la calma e quasi l'indifferenza, ma il suo sforzo andrà sempre più affievolendosi, fino al momento in cui l'accesso lo travolgerà) Si è assopita. Pare una bam­bina. E fino al momento di chiudere gli occhi, mi ha sorriso. Non è commovente, Phil, questa prova di devozione?  (E' sceso e si è appoggiato al piano).

Eva  -   Donald!

Donald - Vorresti negarlo? Lo hai notato anche tu e più d'una volta me lo hai detto: eserciti un vero fascino su tua moglie.

Eva - Ti prego,  Donald!...

Donald - Ti preoccupi per la presenza di Vallier? Ma è ormai di casa e sa molte cose sulle mie abitudini, vero Phil? Anche quello che né tu, né Cinzia ancora conoscete.

Phil - Adesso sono io, Donald, che vi prego di tacere.

Donald - Perché tacere adesso quando domani tutti sapranno. Un funzionario della polizia che possiede del pudore. È straordinario!

Eva - Ma che discorsi vai facendo. Sembra che tu abbia dimenticato ciò che ti attende,

Donald (brusco ad Eva) - Non sarebbe ora che tu andassi a riposare?  Cinzia è stata più ragionevole.

Eva - Ma come vuoi che possa dormire...

Donald - Vuoi un sonnifero? Di quelli che so prepa­rare io? Che ti dia un sonno popolato di dolci visioni?

Phil - Smettetela Donald! (Si avvicina ad Eva.) Ti prego, lasciaci soli.

Eva - Oh,  Phil!...

Phil - Non aver paura,

Donald - Sai perché vuol rimanere solo? Per vedere se possiedo quell'influenza che altri hanno esercitato  su di me.

Phil - Vi ordino di tacere. Vai Eva.

          (La conduce ai piedi della scala. Eva sale e scompare).

Donald - Non hai ancora capito, Phil, che voglio scherzare fino all'ultimo momento. Voglio che in loro il disgusto di me sia tale da cancellare qualsiasi buon ricordo.

Phil - Mi fate pena.

Donald - No, non ti lasciare prendere da questo sentimento. Io ne so qualche cosa.

Phil - La pietà è un sentimento che non si può dominare. Nasce dal cuore.

Donald - Appunto, dal cuore. E dato che tu dimostri di possederne, servitene bene. Va, raggiungi le donne, consolale e preparale un poco alla volta.

Phil - Donald!...

Donald - Avevo bisogno di salire, tu lo hai capito. E se anche lo hai permesso per egoismo, te ne sono grato ugualmente. È difficile però, sai? Non tanto per il gesto in sé...fquanto per dopo... (Appoggia la testa stille braccia e rimane così immobile).

Phil (vincendo il disagio e la ripugnanza che prova alla presenza di Donald lo tocca leggermente) - Perché, se temi tanto... non affronti il processo? Ci saranno le attenuanti...  era una spia politica.

Donald (solleva la testa) - Sarei sempre un escluso e non potrei più tornare qui...

Phil - Questo no!...

Donald - E allora?... Per vivere ho bisogno di essere nella mia casa tra la mia gente.

Phil - Oh, basta. Fa ciò che ti pare. (Siavvia deciso ad uscire da sinistra).

Donald - Non vuoi conoscere i particolari? La curio­sità professionale deve fermarti. Non è una rivela­zione, di ogni giorno quella che sto per farti. Vuoi degnarti di sedere?

(Phil siede a distanza senza parlare. Donald con balzo va verso il piano e spezza il  filo della luce, ha stanza si immerge nel buio).

Phil - Sei una canaglia schifosa. Ma bada che se ti avvicini...

Donald (con una voce strana) - Non mi avvicinerò. Ma bisogna che ci sia tanto buio attorno a me perché io possa parlare... Parlandoti di Silvio Lafarge l'orizzonte ti si rischiarerà e tu potrai vedere chiaramente. (Un attimo di silenzio) Come l'ho conosciuto? In una notte d'inferno. In una notte che credetti l'ultima della mia vita. In un ri­fugio, schiena contro schiena, addossati ad una travatura che sosteneva la volta. Sentivo la sua voce che si ripercuoteva dentro la mia cassa tora-cica e mi faceva l'effetto di una pompa aspiran­te. Mi toglieva l'ossigeno. Non so se tu l'abbia conosciuto...

Phil - No.

Donald - Te lo avranno descritto. Ma non si saranno soffermati al dettaglio delle mani. Per me il segreto del suo fascino era tutto lì... Due mani straordina­rie, mobilissime. In certi momenti si allungavano a dismisura; in altri diventavano inverosimilmente pic­cole. Quando il proiettile squarciò il rifugio e i rot­tami ci seppellirono, io ero ancora fisso sullo spetta­colo di quelle due estremità prodigiose...

(Fin dalle prime battute della sua confessione una tenue luce incornicia il suo viso, che in tal modo spicca nell'an­golo buio dove si è rifugiato. Contemporanea­mente il motivo del Preludio di Rachmaninoff, suonato in sordina, commenta la sua mor­bosa esposizione).

Furono le sue mani a risve­gliarmi. Mi trovavo in una barella, e vedevo sopra di me, al chiarore dei lampi, due occhi enormi fis­sarmi immobili. Ebbi paura e provai a chiamare, a muovermi. Nuovamente le mani si mossero e mi parlarono. La vita poi riprese. Tornai al mio lavoro dimenticando completamente l'episodio. Ora ascolta bene quanto sto per dirti. Fino a quel momento io ero un essere come te, come tutti. Normale, logico, metodico. La  mia  mente  non  accarezzava  sogni stravaganti. Una notte, uno o due mesi dopo lo strano incontro, non ricordo esattamente, il suono di un pianoforte che mi sembrava provenisse al di là della parete di fronte a me, mi svegliò brusca­mente. Mi sollevai mettendomi in ascolto e d'improv­viso vidi sulla parete due mani percorrere nervosa­mente una tastiera. Due mani bianchissime, lun­ghe, strane... Erano le mani dello sconosciuto. Mi ascolti,  Phil?

Phil - Sì. Ma ti prego, facciamo un po' di luce!

Donald - No, restiamo così. Pazienta ancora un poco. Quelle mani ad un dato momento si fermarono. Rimasero immobili come indecise poi si rivolsero verso di me e si inoltrarono nell'ombra, lo le fissavo come ipnotizzato e pur sentendo che avrei dovuto fare qualche cosa, magari gridare perché l'incubo dileguasse, me ne rimasi seduto in attesa. Sentii subito un brivido percorrermi la schiena, poi ri­caddi  all'indietro  estenuato.   (Si arresta).

Phil - Ho sete!  Fai luce!

Donald - Sul tavolino c'è tutto. (Si ode il tramestio di Phil che cerca la bottiglia e riempie il bicchiere) Da quel momento io fui dominato da una volontà che non era più la mia! (Pausa, si sente il suo respiro che si fa affannoso) Lo cercai. Lo trovai. Non mi fece alcuna domanda ma sapeva che poteva ormai di­sporre di me come di un oggetto di sua proprietà. Imparai a barare, ad usare ogni sorta di sostanze eccitanti. Hai detto che era una spia? Questo mi fa ricordare che gli feci delle confidenze sul mio la­voro, sull'attività che esplicavo come ufficiale di collegamento. Ad un certo momento preso dal disgusto volli allontanarmi da lui... Mi disse che ormai il mio male era inguaribile e che non me ne sarei liberato mai più. Non rimaneva che una sola soluzione: sopprimerlo. E scelsi una sera calma. Una sera in cui la musica riusciva a gettare un velo di calma sui nostri spiriti avvelenati. Sedeva al piano, io al suo fianco mi divertivo allo spettacolo delle sue mani. Portai l'occhio sul suo collo scoperto e mi parve che sarebbe stato un gioco; un collo esile, quasi di bimbo. Senza quasi rendermene conto, lo afferrai e strinsi... strinsi... Mi aspettavo un urlo, un gemito che mi avrebbe fatto allentare la presa; non vidi che le sue mani battere nell'aria e nello spasimo della morte, perdere il loro potere, per di­ ventare   quello  che  veramente  erano:   due artigli diabolici... Venni a casa. Pensavo che l'amore, lecure di Cinzia avrebbero compiuto il  miracolo. (Sogghigna) Niente. Niente da fare.   (Phil si è al­ zato silenziosamente ma inciampa in una poltrona) Che fai? Siamo all'epilogo. Credevo che mi avresti interrotto per domandarmi  ancora di più.  Invece te  ne resti muto e tenti di fuggire. Ti assumi  ungran compito per quando me ne sarò andato. Sto infatti chiudendo la valigia. Voglile bene sai? Tanto bene anche se disgraziatamente porta il mio nome. Ma te ne andrai con lei, lontano,  molto lontano. Con lei... Addio Phil...

Phil (a tentoni, inciampando) - No, Donald, fermati, aspetta.

Donald (il cui viso ha avuto una smorfia, suggendo il veleno) - Troppo tardi, Phil. Mi appresso al gran passo; ma vorrei avere almeno una speranza; vedere nuovamente quelle mani per maledirle. Phil... hai promesso... Voglile bene... Ti raccomando, Cinzia... Dio, Dio... come è terribile morire...

(Si ode il tonfo di un corpo che cade. La scena è compietamente buia. Eva si affaccia al ballatoio).

Eva - Phil?... Donald??? Dove siete? Perché questo buio?

(Rientra e poco dopo la luce illumina la stanza. Il        corpo di Donald è riverso a lato del piano. Phil in piedi vicino al tavolino, tiene lo sguardo fisso sul cadavere. Eva si riaffaccia)

Phil, che cosa è successo? Phil?... (Vede il corpo di Donald e lancia un urlo) Donald!... (Cinzia si affaccia a sua volta) Guarda là, Donald!

Cinzia - Donald! Donald!

(Scendono precipitosamente).

Phil (si scuote e le ferma sull'ultimo gradino) - Non vi avvicinate. Egli desiderava partire in questo modo. Non bisogna volergliene signora Calvert. Ha molto sofferto. (Cinzia piange silenziosamente. Phil a Eva) Riportala su erestale vicino. Quaggiù ormai non c'èpiù nulla da fare.

(Le due donne risalgono lentamente. Phil guarda ancora per un attimo il cadavere, poi va al telefono e stacca il ricevitore).

 42/15 Maicamp, per favore. (Attende) Maggiore Handers? Sì, potete venire quando volete. Il mio compito è terminato.

Sipario