Le metamorfosi di un suonatore ambulante

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Farsa all’antica (da un tema dell’arte)

in 1 Prologo, 2 Atti e 5 Quadri con musiche

di  Peppino De Filippo

3a edizione riveduta ed ampliata  1989

Tommaso Marotta Editore s.r.l. - Napoli

Durante la prima parte verranno eseguite tre antiche canzoni napoletane:

«Palummella»,  «Te voglio bene assaje»  e   « Levate  'a  cammesella»

Personaggi

Peppino Sarachino, ex attore di teatro, suonatore ambulante

Marilena e Fragoletta, sue sorelle, cantanti ambulanti

Giovanni Barbertoni, professore di disegno, fratello di

Don Guglielmo, antiquario veneto, zio di

Giulia, amorosa di

Conte Enrico De Frai, patrizio romano

Angelino, suo cameriere personale

Tata, governante di Giulia

Conte Sasà Cicci di Sopressata, giovane ganimede

Marchese Filippi, nobile galante, amico di

Dottar Bocci, medico

Gennaro, trattore

Oreste, cameriere di trattoria

Giuseppe, vecchio estimatore

Giovane corteggiatore, innamorato di Giulia

Julie, Igea, Clara, ballerinette

Casigliano, vecchio brontolone

Grasso cuoco

Sguattero

Facchino

Un ragazzo

Portiere

L'azione si svolge a Roma nel 1840

Rappresentata  per la prima  volta al Teatro Olimpia,   Milano   1956


Peppino De Filippo ha definito questo suo lavoro « Farsa all'antica in un prologo, due parti e cinque quadri » e a questa definizione ha aggiunto una postilla :   « da un  tema dell'arte ».

Le metamorfosi di un suonatore ambulante  si inquadra perfettamente — infatti — nella grande tradizione classica della Commedia dell'arte italiana; e come a questa si riallaccia nel testo, così esige che una eguale fedeltà ad essa si riscontri nella sua recitazione e nello scenario.

La trama è basata sulle comiche avventure di un suonatore ambulante, ex attore di origine napoletana, il quale — impegnato a favorire le nozze di un giovane con una ragazza tenuta quasi in schiavitù da un vecchio zio avaro — si  trasforma successivamente  in  filosofo,  in statua, in bambino e in mummia.

Intorno a lui si muovono personaggi che di volta in volta ne favoriscono o ne ostacolano le azioni; e ognuno di essi porta con sé, come il protagonista, il segno dell'antica maschera.

In apertura di spettacolo, lo scenario presenta un sipario-comodino con due aperture laterali, una a destra e l'altra a sinistra dalle quali gli attori entre­ranno a ringraziare il pubblico sia al finale della prima parte che a quello della seconda a chiusura dello spettacolo.

PARTE PRIMA

Scena prima

Sipario-comodino abbassato. Introduzione musicale e « pot-pourri ». Sulle ultime battute musicali, dall'apertura laterale, a sinistra del pubblico, appare Marilena in abito da commediante:

Marilena    Buonasera, Signore (grande inchino)

buonasera, Signori (altro inchino)

Eccomi qui, lieta, felice (al centro)

di presentarmi a voi su questa scena.

Io sono il personaggio Marilena.

Nella vicenda teatrale

che tra poco ascolterete,

e spero applaudirete,

ho un ruolo principale.

Niente di  eccezionale...

ma è un carattere vivace

... che mi piace.

Sono la cantante (passa a sinistra)

che accompagna Peppino

suonatore ambulante.

Siccome un distrattone

tra voi sempre ci sta,

che si reca a teatro

senza sapere cosa

si rappresenterà,

l'autore mi ha pregata

di presentarmi qua

per dirvi due parole

con gran sincerità.

Così che poi nessuno,

nel corso della recita,

alludendo al lavoro

ed agli attori, dica:

che stanno recitando?

che vogliono costoro?

Attenzione dunque!  (al centro)

Dimenticate i tristi pensieri

e gli altri mali:

il padrone di casa,

le tasse... le cambiali... la suocera, il dottore,

e pensate a godervi

il biglietto acquistato

oppure... di favore. (a sinistra)

Noi vi presenteremo

nient'altro che una farsa

recitata all'antica.

Un vecchio canovaccio

di cui non si conosce

l'autore originale,

e Peppino, autore,

rifacendolo di sua fantasia

spera di aver portato a compimento,

pel vostro gradimento,

un'ora di allegria.

Nulla di straordinario

vi toccherà ascoltare (passa a destra)

ma solo apprezzare

che tutto è stato fatto a precisione

perché possiate andare

indietro col pensiero.

Uguale  lo scenario,

trucchi, costumi: tutto

per farvi ritornare

con molta verità

a tanti anni fa.

Gusterete la forma e la maniera

dei nostri antichi attori,

come essi si esibivano

ai loro spettacoli.

Attori preoccupati (passa a sinistra)

d'esser sol rispettosi

dei canoni teatrali

di tal genere d'arte,

e il mondo li ammirò

e meritata gloria

ad essi decretò. (passa a destra)

Se riusciremo ad essere

bravi com'eran loro

lieti sarete voi

ma soprattutto noi.

Ed ora, miei signori,

dopo l'avvertimento

senza alcuna malizia,

voglio augurarvi buon divertimento:

la Commedia si inizia!

(Il sipario-comodino si leva su motivo musicale, mentre Marilena indie­treggia e sempre accennando col gesto del braccio levato esce per la prima quinta laterale a destra).

Scena seconda

Strada all'alba. Al levarsi del sipario due uomini, a ritmo di musica, stanno duellando accanitamente fra loro; essi sono il conte Enrico De Prai ed un giovane corteggiatore di Giulia; la musica cessa.

Enrico        (tirando una stoccata)  Prendi, scellerato!

Giovane corteggiatore  (scansandosi)   Ti passerò da parte a parte come un pollo allo spiedo!

Enrico        Ti taglierò a fettine, così imparerai come ci si comporta con le fanciulle oneste.

Giovane corteggiatore    (ridendo)  Ah!... Ah!... onesta?!  È una testolina, sve­glia, la signorina Giulia... e tu...

Enrico        Io sarò quello che ti ucciderà! (duellano su ritmo mu­sicale - quattro battute)

Giovane corteggiatore  Non sposerai  la  nipote dell'antiquario...  (indicando  la casa accanto)  e lì non ci entrerai.

Enrico        Sposerò Giulia perché mi ama, e tu pagherai cara la tua sfacciataggine. (lo incalza sul ritmo musicale)  Ecco... ci siamo... (lo riduce con le spalle al muro puntandogli la punta della spada sul petto)

Tata           (dall'uscio di destra, in camicia da notte e candela ac­cesa nel candeliere)  Mio Dio!... Per amor del cielo, non vi ammazzate! Signor conte De Frai, la signorina ha sentito il fragor delle armi e, più morta che viva, è ora dietro alla finestra della sua camera, vi ha scorto e vi supplica di non mettere in pericolo la vostra vita.

Giulia         (voce interna)  Per amor del cielo, Enrico, siate gene­roso, e non esponete ancora la vostra vita!

Enrico        Oh, mia adorata, so bene che tu non hai alcuna colpa; ma questo scellerato dovrà cessare di importunarti!

Tata            Risparmiatelo, signor conte:  egli non ha mai osato ac­costarsi alla signorina...

Enrico        Ma ha osato soffermarsi più volte sotto questa finestra dove poc'anzi l'ho sorpreso ancora.

Giovane corteggiatore     E lo farò ancora, se ciò mi aggrada!

Don Guglielmo   (dall'interno, chiama)  Tata! Tata! (segue suono di campanella)

Giulia         Tata?... Tata?... Lo zio s'è svegliato, chiama!

Tata            Vergine dei sette dolori! (rientra subito e chiude l'uscio)

Enrico        A noi due, allora! Raccomanda l'anima al diavolo, fel­lone!

(i due, sempre a ritmo musicale, si battono con maggior accanimento, poi, come a concerto, il giovane corteggiatore cade in terra battuto, il tutto dopo quat­tro battute musicali; poi la musica cessa ed irrompe in scena Angelino, il cameriere di Enrico)

Angelino    (dal fondo, si dirige verso Enrico)  Mio Dio! Padrone, per carità, smettetela! Non vorrete farmi assistere a un macello.

Enrico        (voltando appena il capo e tenendo la spada puntata contro il rivale a terra)  Angelino, ti avevo ordinato di restare a casa... (si gira, ma il suo avversario è scom­parso: approfittando del suo attimo di distrazione ha messo le ali al piede)  Vigliacco! È scappato! (è a sini­stra della scena)

Angelino    Meglio così, padrone, meglio così! Non vorrete finire in galera per un gaglioffo come quello. Perdonate, ma avete commesso un'imprudenza.

Enrico        Ero venuto qui, sotto queste finestre, come tutte le albe, tutte le mattine, tutti i pomeriggi, tutti i tramonti... (passa a destra)

Angelino    ...tutte le sere, tutte le notti... come tutto « tutto » in­somma...

Enrico        E vi ci trovo quel birbante ostinato. Lo avevo ben avvisato di non importunare la mia Giulia neanche con un semplice sguardo. (passa a sinistra)

Angelino    Voi siete troppo geloso, padrone, troppo. E senza che la signorina Giulia ve ne dia il motivo.

Enrico        Angelino, il mio amore per lei si è ingigantito nel mio cuore, e più non resisto all'idea che m'è impedito di parlarle;  e chiunque oserà sia pure soltanto guardarla con occhio irriverente avrà a che fare con la punta di questo stocco. (infatti si tratta di un bastone animato)

Angelino    È l'alba! II sole è ormai già alto. Non è prudente restare ancora qui; se lo zio della signorina vi scorge, la poverina passerà un brutto quarto d'ora.

Enrico        (enfatico)  Oh, oh, angelo mio, divina creatura! Io sono il tuo Prometeo, legato, incatenato alla roccia del mio granitico amore per te; ma saprò liberarti...

Angelino    Prima  liberate voi  dalle vostre catene,  Prometeo, poi potrete liberare gli altri.

Enrico        Ma non dire stupidaggini!  Sai cosa sei tu, Angelino? Uno sciocco, il classico cameriere sciocco! È mai pos­sibile che non  ti riesca di immaginare un espediente capace di togliere la mia Giulia dalle grinfie di quel vecchio tabaccoso, avaro e porco?

Angelino    E credete che sia una cosa facile? Volete convincervi che il vecchio ha deciso di  sposarla?  Lo sanno tutti. I vicini dicono che le nozze sono prossime.

Enrico        Ciò non accadrà. Piuttosto lo ammazzo! Qui finirà, sul­la punta di questo stocco. (lo sfodera)

Angelino    Accidenti  allo stocco!   E lasciatelo un po' tranquillo!

Enrico        (rinfodera a fatica lo stocco, quindi trae dalla tasca una lettera)   Senti,  senti  questa  lettera  che  mi   ha  scritto Giulia...

Duetto musicale Enrico e Angelino

Enrico        (dopo introduzione musicale, leggendo)

« Adorato amico mio,

infelice è questo cuore.

Quel vecchiaccio di mio zio

mi tormenta in tutte l'ore!

Una schiava, oso dire,

più di me lieta saria!

O mio bene, che soffrire!

Salva tu la vita mia!

Troppo presto fui lasciata

dai miei cari genitori...

Solo tu, adorato Enrico,

mi puoi dar la libertà!

Morirò...

morirò consumata!

Amore mio! »

Angelino    No signore! Qualche cosa faremo ne sono sicuro!

Enrico        Morirò per lei...

Angelino    No...

Enrico        Morirò per lei...

Angelino    No!

Enrico        Morirò...

Angelino    No...

Enrico        Morirò...

Angelino    No...

Enrico        Morirò per lei...

Angelino    No!

Enrico        Per lei!

Angelino    No!

Enrico        Per lei!... (i due continueranno a ripetere la stessa frase fino a quando dalla finestra si affaccerà, adirato, il casigliano)

Casigliano  (affacciandosi alla finestra a sinistra, gridando  e vuo­tando sui due un catino di immondizia)  Eh? Eh?! Ba­sta! Aquest'ora? Che maniera! Andate a morì am­mazzati tutt'e due!  (borbottando richiude la finestra)

Enrico        (dopo pausa)  Ma chi è quello? Come si è permesso?

Angelino    Ha ragione, signore. Si faceva troppo baccano.

Enrico        Ma io ho diritto di amare la mia Giulia.

Angelino    Ma la gente, scusi, ha il diritto di dormire.

Enrico        Maledetti, maledetti tutti (vuol riporre lo stocco che ha sfoderato alle grida del casigliano, ma come per le volte precedenti non ci riesce e si arrabbia)  Per Dio, aiutami a rimettere dentro lo stocco!

Angelino    (aiutandolo)  Siete troppo nervoso, padrone.

Enrico        (alludendo  alla lettera)  Trova  un  mezzo qualsiasi  per farmi sposare Giulia. Sai che quel vecchio maledetto ha minacciato di chiuderla in convento se qualcuno chie­derà la sua mano? Capisci? In convento!

Angelino    Lo credo bene, vuole sposarla lui... E l'ostacolo maggiore non sarebbe questo... Ho saputo qualcosa di più... (gli parla sottovoce)

Gennaro     (dal fondo, seguito da Oreste)  Su, su, presto. È già tardi.

(con cappello, sciarpa e cappotto)

Oreste        Sono appena le otto, non c'è fretta. (con cappello)

Gennaro     C'è molto da fare, lo sai no?  È carnevale.

Oreste        Un carnevale magro, questo.

Gennaro     (è arrivato alta porta del palazzetto di sinistra, introdu­ce la chiave nella toppa e apre)  Fa freddo, ecco tutto. La gente preferisce far banchetto in casa anziché andare al ristorante. (entra)

Oreste        (a Enrico)  I  miei rispetti, signor conte.

Enrico        Un Cinzano.

Oreste        Qui?

Enrico        Qui, qui, presto! 

(Oreste entra e poi ritorna a tempo)

Angelino    Dunque, come vi dicevo, il vecchio suo tutore, immi­grato qui anni fa dal Lombardo Veneto...

Enrico        Lo so...

Angelino    ...non  lo  sapevo.  Tutela  per  lei  una  somma conside­revole...

Enrico         Lo so.

Angelino    Non lo sapevo io!  Per quanto ho potuto sapere, circa cinquecento scudi.

Enrico        Lo so, lo so... ma cosa mi racconti? Cose che io già conosco? A me, il denaro non interessa.

Angelino    Ma potrebbe interessare al vecchio avaro. Comunque sarebbe un peccato perdere una somma simile. Se invece si fanno le cose a modo e senza fretta, a quel vecchio rimbambito toglieremo la ragazza e il denaro.

Oreste        (con bicchierino)  Ecco servito il signor conte. (dopo averlo osservato dice ad Angelino)  Che c'è? È nervoso. Che gli succede?

Angelino    Succede che ama una donna e non gli è permesso di sposarla.

Oreste        Possibile?  Un  bel  giovane, ricco e coraggioso come lui?!

Angelino    La ragazza ha uno zio che vuole sposarla lui.

Enrico        (sfoderando lo stocco)  Maledizione! Lo infilzerò come un pollo allo spiedo! (manda lo stocco in avanti verso il lato dove sta Oreste in modo da dare l'impressione di toccarlo nel basso ventre: Oreste si scosta all'indietro con scatto)  Scansati!  (rinfodera lo stocco)

Oreste        Per caso, signor conte, non si tratta di un certo Barbettoni, antiquario? La ragazza si chiama Giulia? Lo zio ha questa bottega di antiquariato veneziano, qui... (indica verso l'interno)  all'angolo di via Pontecorvo?

Angelino    Una grande galleria d'arte.

Oreste        Lo conosco. Ha un brutto carattere.

Angelino    Sfido, è un lombardo-veneto...

Oreste        ... severissimo. (da destra, dal portoncino della casa dell’antiquario, si sente aprire con scrocco interno)  Zitti.

(indica Giovanni che esce dal portoncino)  Il  fratello, l'altro zio della ragazza. (saluta)  Salute, professore.

Giovanni   Buongiorno, Oreste. Novità grosse. Venivo appunto da te.

Oreste        Quali novità?

Giovanni    A mio fratello Guglielmo è venuto il desiderio di pran­zare fuori casa.

(intanto gli altri due sono scomparsi in fondo)

Oreste        Al ristorante? Che miracolo!

Gennaro     Ecco qua. (a Oreste)  Tu te ne stai tranquillo qui? E io... devo fare tutto...

(ha in mano una ramazza e si accinge a spazzare le immondizie cadute dalla finestra, e le spaz­zerà verso la porta del ristorante)

Oreste        (sottovoce)  C'è una grossa novità... l'antiquario mangia fuori casa... qui da noi!

Gennaro     (a Giovanni)  Da quando conosco vostro fratello non mi risulta che abbia mai mangiato fuori casa. (finisce di ramazzare e torna in scena a concerto)

Giovanni    È un uomo di stampo antico. Oggi, finalmente, ha deci­so di svagarsi un po'... sono stato io a invogliarlo. Ma la vera ragione, sapete qual è? Ieri sera, Giulia — sua nipote — è diventata una furia.

Gennaro     Ha ragione, povera figliola. Voi però, professore, potreste prendere le sue difese.

Giovanni    In che modo? Io sono soggetto a mio fratello. Mi tiene in casa, mi aiuta a vivere. Sono senza occupazione...

Gennaro     Dicono che è molto ricco, vero?

Giovanni    Sì, ma avaro: avaro assai. Sai quanto pretende che si spenda al giorno per il vitto di quattro persone: io, lui, Giulia e Tata, la governante? Sedici baiocchi! Una vi­taccia. Devi credermi; ci mettiamo a tavola con appe­tito? Dopo pranzo siamo più affamati di prima. Io, poi, ho la pressione bassa; il medico mi ha ordinato di mangiare bene...

Gennaro     E mangiate...

Giovanni    Che mangio? Che mangio? Le suole delle scarpe? Ieri sera sono riuscito a convincerlo a trascorrere il carnevale da voi. Vi prego, dateci da mangiare bene e... non esa­gerate con i prezzi.

Gennaro     Ci penso io.

(esce di scena ed entra Oreste)

Giovanni    Arrivederci, allora. Preparaci un bel tavolo...

Oreste        Non dubitare, professore.

(Giovanni via)

Gennaro     (d. d.)  Oreste? Oreste?

Oreste         Vengo, padrone.  (ad Enrico che rientra con Angelino)  Ehilà!... Signor conte, non sapete niente?

Enrico        So tutto. Ho sentito tutto.

(Oreste esce)

La vedrò! La vedrò! Giorno felice, attimo sublime... sarò tuo, mia ado­rata, e deporrò ai tuoi piedi la mia eterna fede. Amici­zia per chi la rispetta, morte per chi la offende! An­diamo! (non riesce a rinfoderare lo stocco)

Don Guglielmo (voce interna)  Tata!  Tata!  Il cappello! Debbo andare in negozio!  (campanella interna suonata da Guglielmo)

Angelino    Il vecchio! Riponete lo stocco e andiamo.

Enrico        (sempre armeggiando col fodero dello stocco)  Accidenti, sono troppo nervoso...

Don Guglielmo  (voce interna)  Tata? Tata! Il cappello, il bastone!

Tata           (voce interna)  Subito, padrone, subito. (e mentre i due continuano a parlare forte dall'interno, e Angelino  e Enrico non riescono a riporre lo stocco facendosi, di tanto in tanto, male l'uno con l'altro, ma indietreggian­do fino a sparire a sinistra,

avviene il cambiamento della scena a vista,

su motivo musicale «polka». Il motivo musicale cesserà non appena sarà ultimato il cambia­mento di scena: questa mostrerà una sala di ristorante con cinque tavole apparecchiate, e in fondo la «cassa» presso la porta di centro che è la comune e che dà su una strada.  Dal soffitto  calerà un  lampadario  a gas)

Scena terza

Interno del ristorante.

Oreste        (sistemando i tavoli)  Ecco fatto.

Gennaro     Sono circa le dodici e non si vede ancora nessuno. L'ho detto, io, stamattina: carnevale magro, questo. Troppo freddo. Tra l'altro mi sono buscato un raffreddore, ma un raffreddore... (starnuta)  Eccià! (più che di uno star­nuto si tratta di una sonora pernacchia)

Oreste        Salute! Io non capisco che strano raffreddore sia il vostro.

Gennaro     Ho il setto nasale stretto, così quando le mucose nasali mi si stringono...

Oreste        ... invece di starnuti fate pernacchie. Ecco il tavolo per l'antiquario... quattro persone.

Sasà Cicci (entrando)  Buongiorno!  Non è ancora venuta, ma tra poco sarà qui!

Oreste         Chi?

Sasà Cicci Parlo solo. (sedendosi a un tavolo)  Cameriere!

Oreste        Comandi.

Sasà Cicci Mi conosci? (si mette in posa come per lasciarsi foto­grafare)

Oreste        No!

Susà Cicci Perbacco! Mi conoscono tutti.

Oreste        E io non la conosco.

Sasà Cicci Sono Sasà Cicci. Sono figlio del conte Cicci di Sopressata. Papà è fuori città per affari;  io sono rimasto in casa della zia, la marchesa Cotechino.

Oreste        Mi fa piacere.

Sasà Cicci Ieri sera, Fragoletta mi disse che oggi sarebbe venuta a cantare in questo locale. Fragoletta è una bellezza rara; è quella gitanella che, assieme al fratello Peppino e alla sorella Marilena, canta nei caffè e nei ristoranti.

Oreste        Sì, sì, vengono sempre qui a cantare.

Gennaro    (intervenendo, seduto alla cassa)  Sono napoletani; sono suonatori ambulanti. (sta per starnutire, ma non vi riesce)

Sasà Cicci Si chiama Fragoletta ed ha proprio la bocca simile a una fragola di bosco: rossa, carnosa, profumata. Sono due mesi che le faccio la corte, ma senza che papà, il conte, ne sappia niente.

Oreste        Papà è conte?

Sasà Cicci E anche il nonno. I Sopressata sono una vecchia fami­glia nobile. Ma io sono deciso a tutto: o Fragoletta o la morte.

Gennaro     (starnutisce a suo modo)  Eccià!

Sasà Cicci (offeso)  Beh?

Gennaro     Scusate, uno starnuto.

Sasà Cicci Così starnutisci, tu?

Gennaro     Ho tutto chiuso qui, mi sento la testa nell'inferno.

Sasà Cicci (a Oreste)  Quello mi ha fatto uno sberleffo.

Oreste        No, no. Non si sarebbe permesso.

Sasà Cicci        Invece se lo è permesso e lo ha fatto. Cosa c'è da man­giare?

Oreste        Minestra in brodo, risotto, spaghetti, lasagne al forno.

Sasà Cicci Portate quello che vi pare. Non ho appetito:  mangio per giustificare la mia presenza qui.

Oreste        Allora, antipasto?

Sasà Cicci Approvo.

Oreste        Subito. (esce)

Sasà Cicci  (guardando l'orologio)  Non tarderà molto a venire. Quanto è bella, quanto è cara. Peccato che non sia nobile co­me me. Ma che m'importa se non è nobile: quando sarà mia moglie, sarà contessa.

Gennaro     (starnutisce)  Eccià!

Sasà Cicci (piccato)  Felicità!

Gennaro     Grazie.

Oreste        (rientrando con piatto)  Ecco l'antipasto.

Sasà Cicci (alludendo a Gennaro)  Quello mi  ha  fatto una per­nacchia.

Oreste        Non si sarebbe permesso!

Sasà Cicci Ti dico che mi ha fatto una pernacchia.

Oreste        Non sono pernacchie... sono starnuti...

Sasà Cicci No, sono pernacchie. Io le conosco. Me ne fanno tante.

Julie           (dal fondo, seguita da Igea e Clara)  Sediamo qui... (si avviano verso il tavolo di centro)

Oreste         Scusino, signorine, è riservato.

Julie           Meglio qui, siamo più riparate. (tavolo verso il fondo a destra)

Igea            Ho una fame da lupi!

Clara          Qui  staremo bene;  si  mangia bene qui, sapete. Oggi pago io!

(Dal fondo entrano Bocci e il marchese Filippi)

Bocci          Eccole qua. Ci hanno fatto camminare un'ora circa. Non ne potevo più. (appende il cappello all'attaccapanni)

Filippi         Che belle ragazze, però. (appende il cappello all'attac­capanni)

Bocci          Sono straniere. (Oreste va al tavolo delle ragazze)

Filippi        Sono all'Imperiale, nella operetta «Fra' Diavolo». (cerca di farsi notare dalle ballerine)

Bocci          Com'è l'operetta? (anch'egli cerca di farsi notare dalle ballerine)

Filippi        L'operetta non conta. Ci sono molte belle donne e que­sto è l'importante.

Oreste        (al tavolo delle ragazze, dove ha preso gli ordini)  D'accordo, signorine. (a Sasà Cicci)  A lei porto subito la lasagna.

Sasà Cicci  (alzandosi)   No,  aspettate, cameriere, avvicinatevi.  Sic­come Fragoletta non è ancora arrivata, sapete cosa fac­cio? Me ne vado e torno tra poco: allora, mangerò la lasagna. Se no, quando Fragoletta sarà qui, cosa mangio? Datemi il conto.

Oreste        Quale conto?

Sasà Cicci Quanto costa l'antipasto?

Oreste        Cinque centesimi.

(le tre ragazze ridono tra loro)

Sasà Cicci Così poco? (gli dà la moneta)  Non mi fate occupare il posto.

Oreste        Non dubiti.

Sasà Cicci (salutando)  Signori... signorine!... (le ragazze ridono for­te)  Io non so cosa ci sia da ridere. Francamente non lo so. (esce lasciando aperta la porta)

Gennaro     La porta! Accidenti! (va a chiuderla)

Igea            Avete visto quei due scorpioni? Sono entrati anche qua. (indicando Filippi)  Guarda il naso di quello!! (ri­dono tutt'e tre)

Filippi        (a Bocci)  Ridono! Buon segno!

Clara          (indicando Filippi)  Ieri sera, uno di loro era a teatro, in barcaccia... Non lo hai visto?

Julie           È un habitué di rutti gli spettacoli.  Ma non ha soldi, dicono...

Igea            Il più giovane è simpatico...

Clara          Scherzi?!  Sono due macchiette rincitrullite.

Filippi        (a Bocci)  Non ci vuol niente, proprio niente! Basta do­mandar loro quale sarà la nuova operetta.

Bocci           Ottima idea.

Oreste        (entrando con piatto di portata)  Ecco il prosciutto. (serve le ragazze, poi si rivolge a Filippi e Bocci)  I si­gnori hanno comandato? Cosa desiderano?

Bocci          Tutto come le signorine. (salutando le tre ragazze)

Filippi        Buongiorno.

(primo segnale per orchestra)

Bocci          Ieri sera c'era un teatrone, all'Imperiale. State facendo una bella stagione, qui a Roma.

Filippi        Io ero in barcaccia. Non mi avete visto?

Julie           Non capisco. Siamo straniere.

Filippi        Carina, carina tanto. La prossima operetta...

Bocci          ... mi hanno detto che sarà uno spettacolo comicissimo...

Filippi        Che titolo ha?

Clara          I due mandrilli.

Filippi        Che titolo strano. Deve essere un bello spettacolo.

Clara          Poi, daremo uno spettacolo ancora più comico.

Filippi        Che titolo ha?

Clara          Lasciateci in pace.

Bocci          Come?!

Julie

Igea            (insieme)  Lasciateci in pace!

Clara

Bocci          Ma senti che titolo! (ritornano a sedere al loro tavolo)

(Enrico De Frai entra seguito da Angelino e siede ad un tavolo)

Oreste        (porta un lungo vassoio con piatto)  Ecco l'antipasto!

(Inizia introduzione musicale)

Sasà Cicci (entra dal fondo eccitatissimo)  Arriva Fragoletta!! Ar­riva Fragoletta!!

(ritorna in fretta verso il fondo, guarda all'esterno, poi entra subito scontrandosi con Oreste e questi si lascia cadere il vassoio dalle mani. Sasà per nulla impressionato, in fretta, nel cercare dove andarsi a sedere, inciampa e fa cadere sedie e tavolino a destra. Passa a sinistra sempre inciampando e facendo cadere sedie e spostando tavoli che Oreste rimetterà a posto; finalmente va a sedere al suo tavolino a sinistra) 

Came­riere?

Oreste        (spazientito)  Comandi, signore!

Sasà Cicci  Voglio desinare.

Oreste P     orto subito la lasagna. (esce per la prima a destra, mentre Enrico e Angelino escono anche essi per la stessa uscita)

Peppino           dopo 32 battute dall'inizio della introduzione musicale, entrano a piccoli

Fragoletta         passi di danza, dal fondo, Peppino con chitarra, Marilena con  mandolino  

Marilena          e  borsa a tracolla. Preso posto, attaccano a cantare in coro:

Dateci ascolto, cari signor

Noi siamo i vostri buoni cantor.

Peppino      (canta solo)

Su perdonateci cari signori

siamo tre poveri suonatori...

(entra Oreste dalla prima quinta a destra portando un cestino di frutta, tre arance, e una bottiglia di vino, e poiché Filippi lo chiama, depo­ne tutto sul tavolo grande e si allontana, Fragoletta, ap­profittando,  mentre Peppino  canta gli passa, una per una, le arance che Peppino depone, a tempo musicale, furtivamente nella borsa che Marilena tiene a tracolla, poi anche la bottiglia di vino)

Or di qua, or di là, per mangiare

costretti noi siamo a suonare e a cantar.

Non v'è per noi né Pasqua e Natale,

non v'è Quaresima né Carnevale...

tutti i giorni, le notti e le sere

per noi suonatori son soliti e ugual.

(Oreste ritorna al tavolo per riprendere il cestino e la bottiglia che aveva posato sul tavolo precedentemente e non trova nulla; scena come a concerto, poi esce di scena)

Fragoletta  (canta)

Solo quando vediamo brillare

tra l'azzurro del ciel

il bel sole d'or,

qui nel cuore sentiamo calare

un benefico e dolce tepor...

Coro a tre   Che  sperare e cantar e suonare ci fa!

Fragoletta  Ma se nevica, allor

quanto freddo nel cuor.

Marilena     Volete sapere chi fummo, o signor?

Il nostro mestiere fu quel dell'attor...

                  (Oreste  entra dalla prima quinta a destra con un piatto di spaghetti, ma poiché Gennaro lo chiama, depone il piatto sul ta­volo a sinistra e va alla cassa a parlare con Gennaro)

Un grande trageda ci fu genitor...

(Fragoletta furtiva­mente prende il piatto di spaghetti e lo passa a Pep­pino il quale rapidamente lo lascia cadere nella borsa di Marilena)

Fragoletta  ... ma senza fortuna l'artista morì!

Coro a tre   E cosi ci lasciò, senza ancor la ragion!

E ci tocca cantar pur se in cuor v'è dolor!

(Oreste ritorna, cerca il piatto che non trova e come a concerto esce di scena)

Dateci ascolto cari signor

noi siamo i vostri buoni cantor!

Dateci ascolto cari signor

noi siamo i vostri buoni cantor!

Peppino      (su introduzione di nuovo motivo musicale)  Palummella...

Fragoletta  (canta sola)

Palummella, zompa e vola

addò sta nennella mia.

Nun fermarte, pe' la via

vola, zompa a chella là

(entra Oreste, porta il piatto con lasagna al tavolo di Sasà, esce e rientra con bottiglia di vino che porta al tavolo delle tre ballerinette)

Vancello a dicere

ca io me moro,

palomma mia, palomma mia

dincello tu!

Vancello a dicere

ca io me moro,

palomma mia, palomma mia

dincello tu!

Peppino      (sull'introduzione di nuovo motivo musicale)

Te voglio bene assaje!

(Sasà lascia il suo tavolo e siede a quello più al centro)

Fragoletta  (canta sola)

Chello ca tu mme dice

Signò nun pozzo fare.

Si vulimm'essere amice

nun m'aje da 'ncuità.

Li quarte d'ora sonano

a uno, a doje e a tre.

Io te voglio bene assaje...

(questa frase la canta quasi sul­le labbra di Sasà che emozionato sviene, cade a terra e come a concerto viene aiutato da Bocci, dal marchese Filippi che lo riportano al suo tavolo)

... si tu nun pienze a me!

Io te voglio bene assaje

si tu nun pienze a me!

Peppino      (sul nuovo motivo musicale, a voce molto alta)

Levate 'a cammesella!

(tutti applaudono e si avvicinano ai suonatori come per meglio vedere)

Peppino(cantando)

E levate lu mantesino...

Fragoletta  Lu mantesino, gnernò, gnernò.

Peppino      E levate lu mantesino...

Fragoletta  Lu  mantesino gnernò, gnernò.

Peppino      Si nun t' 'o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Si nun t' 'o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Fragoletta     (togliendosi il grembiulino)

E tè me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò.

(Peppino ha preso il  grembiulino che appoggia su una sedia vicino al tavolo di destra in prima)

E tè, me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò.

Marilena     Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Peppino     E levate lu scialletiello...

Fragoletta  Lu scialletiello gnernò, gnernò.

Peppino      E levate lu sculletiello...

Fragoletta  Lu scialletiello gnernò, gnernò.

Peppino      Si nun t' 'o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Si nun t' 'o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Fragoletta     (togliendosi lo scialle)

E tè, me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò. (Peppino c.p.)

E tè, me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò.

Marilena     Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Peppino      E levate chistu curzetto...

Fragoletta  Chistu curzetto gnernò, gnernò.

Peppino      E levate chistu curzetto...

Fragoletta  Chistu curzetto gnernò, gnernò.

Peppino      Si nun t' o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Si nun t' 'o vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Fragoletta  (togliendosi il bustino)

E tè, me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò. (Peppino c.p.)

E tè, me l'aggio levato

Ciccillo cuntento fa chello che vuò.

Marilena     Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Peppino      E levate la vesticciolla...

Fragoletta  La vesticciolla gnernò, gnernò.

Peppino      E levate la vesticciolla...

Fragoletta  La vesticciolla gnernò, gnernò.

Peppino      Si nun t' 'a vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Si nun t' 'a vuò levà me soso e me ne vaco da ccà.

Fragoletta  (si toglie la gonna)

E tè, me l'aggio levata

Ciccillo cuntento fa chello che vuò. (Peppino c.p.)

E tè, me l'aggio levata

Ciccillo cuntento fa chello che vuò.

Marilena     Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

Sia benedetta mammeta, quanno te maritò.

(ancora due volte in coro con tutti i presenti)

                  (Finito il coro dei tre, questi faranno un giro col piat­tino dirigendosi dagli avventori ognuno per conto pro­prio.  Quando Fragoletta si avvicinerà a Sasà Cicci, questi le conterà sul piattino varie monete di metallo lasciandole cadere una ad una)

Fragoletta Grazie. Tutti spiccioli?

Sasà Cicci  Ho aperto il salvadanaio.

Angelino    (che è rientrato dalla destra assieme ad Enrico)  Peppino, non mi riconosci?

Peppino      (intimorito)  Il guardiano del penitenziario di Procida?

Angelino    (mentre Enrico siede al tavolo di destra mettendosi a leggere un giornale  dell'epoca)   Ma no, sono il tuo amico Angelino. Non ti rammenti più di me?

Peppino      (con gioia)   Angelino? Il mio amico carissimo!   (Si abbracciano. Nell'abbraccio, Angelino fruga nelle tasche di Peppino e questi lo sorprende)  Angelino? Che cer­chi? Dio lo sa, io non ho un centesimo...

Angelino    (giustificandosi) Hai le tasche larghe... così, senza volere...

Peppino      (invitandolo all'abbraccio) Amico mio... (questa volta è Peppino che, nell'abbraccio, fruga nelle tasche di Angelino, che se ne accorge)

Angelino    Peppino, che fai?

Peppino      (palpando la stoffa della giacca di Angelino)  È una bella qualità di stoffa. Che gioia ritrovarti... Come sei cam­biato. Tutto rimesso a nuovo; ben vestito, ben pettinato... Angelino     Mi sono messo al servizio d'un gran signore. Tu, invece...

Peppino      Purtroppo, vedi come son ridotto...

Angelino    (indicando Marilena e Fragoletta)  Quelle, chi sono?

Peppino      Fragoletta e Marilena, le mie sorelle...

Angelino    Davvero?

Peppino      (chiamando le due sorelle che stanno parlottando in fondo con il dottor Bocci e il marchese Filippi)  Frago­letta? Marilena? (le due gli si avvicinano)  Guardate chi c'è? (indica Angelino)

Angelino    Vi ricordate di me? Va bene che quando ci siamo visti l'ultima volta Fragoletta era una bambina...

Peppino      (alle sorelle indicando Angelino)  È Angelino ... Angelino Camma... Camma... Camma...

Marilena     (come per indovinare il cognome che non rammenta)  De Pasquale?

Peppino      Ma no. Cammarata: Angelino Cammarata. (le due don­ne mostrano di ricordarsene e se ne rallegrano)  I nostri padri erano amici. (indicando Angelino)  Lui voleva fare l'attore, papà glielo sconsigliò...

Angelino    Già, e non me ne sono mai spiegata la ragione...

Peppino      Avevi la dizione difettosa... sai, per un attore in lingua, la dizione è la prima cosa... e papà ci teneva tanto.

Angelino    A proposito, come sta papà?

Peppino      Bene, bene. Grazie a Dio, è morto, papà.

Angelino    E dici:  grazie a Dio!?

Peppino      Sì, perché soffriva tanto...

Angelino    Poverino. Che malattia aveva?

Peppino      Tutte, le aveva. Era un emporio di malattie. Noi, poi, potevamo accudirlo fino ad un certo punto: avevamo la nostra professione e dovevamo badarci, così un gior­no, stanco, sfiduciato, riunii il consiglio di famiglia e stabilimmo di farla finita una volta per sempre. Entrai nella stanza di papà e...

Angelino    ... e l'uccidesti?

Peppino      Sei pazzo? Gli dissi:  «Papà, tu non credi a certe cose, noi sì e vogliamo chiedere la grazia per te...» (a Marilena) ... a chi?

Marilena     A San Bernardino dei morti...

Peppino      ...e San Bernardino, in verità, non se lo fece ripetere due volte. Alla sera chiedemmo la grazia, ventiquattro ore dopo...

Angelino    Guarì?

Peppino      No, entrò in coma e a mezzogiorno preciso morì. (si frega le mani)

Angelino    Aveva un fisico forte...

Peppino      Eh, ma San Bernardino disse: «No, tu devi morire. Ormai mi sono impegnato con un devoto...»  E lo fece morire!

Angelino    Mi dispiace, proprio mi dispiace.

Sasà Cicci (avvicinandosi alle spalle di Peppino)  Permesso? Per­messo? Vorrei presentarmi. (gli si inchina davanti quasi con passetti di danza)

Peppino      È una presentazione? Io credevo fosse una quadriglia.

Sasà Cicci No, no, è una presentazione. Io sono il conte Sasà Cicci...

Peppino      Salsiccia?

Sasà Cicci (correggendolo)  Sasà Cicci. Sono il figlio del conte Cicci di Sopressata...

Peppino      Sopressata?

Sasà Cicci  Mia zia è la marchesa Cotechino.

Peppino      Cotechino?

Sasà Cicci  Cugina in terzo grado del Principe Zampone.

Peppino      Una bella salumeria tutta la famiglia...

Sasà Cicci  (a Fragoletta)  Avete cantato veramente bene. Canterete ancora?

Fragoletta  Certamente, signor Cotechino...

Sasà Cicci  (correggendola)  Sasà... Sasà Cicci... Intanto, sedete al mio tavolo, accettate qualche cosa... (a Peppino)  Permesso?

Peppino      Prego. Mi sembra una scimmia ammaestrata. (lo imita)

Sasà Cicci  (alle due sorelle)  Cosa prendete?

Marilena     Pasta e fagioli...

Fragoletta  ... baccalà...

Marilena     ... e alici fritte!  (a Peppino)  Peppino, cosa prendi tu?

Peppino      (rimproverandole)  Cosa fate? Maleducate! Vi siete se­dute al tavolo del signore... alzatevi, su...

Sasà Cicci  No, no, sono stato io a invitarle...

Peppino      Allora, restate.

Marilena     Cosa prendi?

Peppino      Che avete ordinato?

Marilena     Pasta e fagioli.

Fragoletta  ... baccalà...

Marilena     ... e alici fritte. (a Peppino)  Prendi qualche cosa anche tu...

Sasà Cicci  Sì, sì, perché no?

Peppino      No, grazie, il freddo mi ha bloccato lo stomaco, non ho il minimo appetito...

Marilena     ... ma una piccola cosa...

Peppino      Grazie... mi verrebbe la nausea...

Sasà Cicci  ... ma qualche cosetta, la prego...

Peppino      Beh... tanto per gradire, veh? Lasagna, polpettone e san­guinaccio... E un po' di frutta secca e un digestivo.

(si allontana verso Angelino al quale dice invitandolo ad abbracciarlo)

Angelino, amico mio...

(I due si abbracciano tenendo a protezione ognuno le mani sulle proprie tasche, così che si abbracciano dandosi solo un bacio per guancia)

Angelino    Vieni, ti presento al mio padrone. (indicando Enrico)  Il signor conte De Frai... (ad Enrico)  Permettete, padro­ne... un mio amico...

Enrico        (tenendogli la mano)  Piacere...

Peppino      Un conte? Un aristocratico? Ma io non mi permetto... sono un povero suonatore ambulante...

Enrico        Su, non fate lo sciocco... datemi la mano...

Peppino      (gliela dà e si stringono la mano)  Che gioia. Che onore... (portando il palmo della mano sotto il naso ed annu­sandolo)  Che profumo... si sente il profumo della ric­chezza, del benessere, dell'opulenza... (porta la mano sot­to il naso di Angelino)  Senti senti... (poi annusa la sua mano sinistra)  Senti, senti... la miseria... si sente...  (la fa annusare ad Angelino e questi ne mostra disgusto)

Enrico        Sono napoletano anch'io.

Peppino     Che onore!

Enrico         Sono qui rifugiato per ragioni politiche.

Angelino    (sottovoce)  Il signor conte è membro dei «carbonari»

Peppino     Carbonaio? Vende carboni?

Angelino    Che affastelli? Carbonaro... non carbonaio.

Peppino      (sottovoce) La «Giovine Italia»? (con tono misterioso)  Anch'io.

Enrico        Tralasciamo queste cose, non è prudente.

Angelino    Eccellenza, il mio amico era attore di teatro!

Peppino      Drammatico. Sono figlio d'arte. Mio padre, buon'anima, è stato uno degli attori più apprezzati del Regno delle Due Sicilie. Sarachino, Aristide Sarachino. Non Amilcare. Amilcare era suo padre, mio nonno, bravo attore ma privo di personalità. Mio padre, invece... lo avete mai sentito recitare?

Enrico        (un po' distratto) Chi?

Peppino      Sarachino:  Aristide Sarachino.

Enrico        Sarachino? Mai!

Peppino      Peccato. Non avete ascoltato uno dei più grandi attori del mondo. Ogni recita di mio padre, signor conte, se­gnava una data memorabile nella storia del teatro e me­morabile fu la sera del 2 di novembre 1838 a Napoli, al Teatro Sebèto: lo arrestarono. Perché quando papà recitava in sala si creava una grande atmosfera di entu­siasmo e Angelino lo sa, perché stava sempre in sala a cercare di sentire i commenti del pubblico. Alla fine della recita, quando gliela facevano terminare eh?, per­ché spesso accadeva che la rappresentazione doveva es­sere interrotta tanto era l'entusiasmo del pubblico, alla fine della recita, chi voleva portarlo in trionfo da una parte, chi dall'altra, e allora: tafferugli, sommosse, fe­riti... una volta ci scapparono due morti... così, le auto­rità decisero di non farlo recitare più. Signor conte, io ho avuto il piacere di vedere l'effigie di mio padre dise­gnata su manifesti affissi su tutti i muri della città e delle campagne. Di faccia (ne assume l'atteggiamento) e di profilo... (si mette di profilo), e sotto il prezzo della taglia per chi lo catturava. Un grande attore! Nell'«Otello», quando diceva: «Essa è là che dorme, non vorrei versare il suo sangue, pur deve morire ! Un bacio, un bacio ancora e sia l'ultimo!»...

Gennaro     (starnutisce a suo modo e cioè facendo la solita per­nacchia)

Peppino      (riferendosi alla pernacchia) Salute !!!

Gennaro     Sono raffreddato... scusate...

Angelino    Non badarci. Dimmi un po', Peppino... non t'ha lascia­to nulla, tuo padre, in eredità ?

Peppino      Cosa vuoi che m'abbia lasciato ? Qualche cosa... una cassa colma di oggetti teatrali... parrucche, nasi finti, costumi all'epoca : «Amleto» «Otello» «Oreste» «Il conte di Carmagnola»...

Angelino    Dimmi un po', l'hai venduta questa cassa di vestiario?

Peppino      Vuoi scherzare ?  Vendere la cassa di papà ?  Ma sono ricordi cari, sono reliquie... piuttosto mi sventro, così... (fa il gesto di sventrarsi)

Angelino    (allarmato) No... non lo fare...

Peppino      (rassicurandolo) No, non lo faccio. Dico per dire: piut­tosto mi tiro un colpo di pistola in bocca per farmi sfracellare il cranio... (c. s.)

Angelino    (c. s.) No... non lo fare...

Peppino      (c. s.) No... non lo farò... dico per dire, così piuttosto che vendere quei ricordi mi impicco con un filo di ferro spinato...

Angelino    (ancora più allarmato) No... non lo fare!

Peppino      (spazientito) Non lo farò ! Come sei sensibile...

Angelino    Sembra che tu dica sul serio...

Peppino      Si capisce: sono attore drammatico... (riprende il di­scorso interrotto) No, no... non la vendo la cassa di papà. (deciso) Non la vendo ! Perché, vi interessa la cassa di papà?

(Oreste porta le pietanze al tavolo di Sasà e poi rientra)

Angelino    Vorrei proporti un affare. Se il signor conte fosse di­sposto ad assumerti al suo servizio, non so, come segre­tario, uomo di fiducia, confidente... tu, accetteresti? Peppino Angelino?! Togliermi da questa vitaccia?! Io non sono nato per fare il suonatore ambulante. La mia ani­ma gemella è l'arte. Sono un artista, io.

Angelino    Peppino, la fortuna ti assiste. Permette, signor conte, che il mio amico segga, qui, con noi ?

Enrico        (fa cenno di sedere a Peppino)  Segga pure.  

Angelino    (ad Enrico)  Grazie. (a Peppino)  Siedi.

Peppino      Grazie.

(prende la sedia di Angelino, senza che questi se ne accorga, e siede. Angelino, credendo di aver dietro di sé la sedia, nel sedersi, cade e Peppino gli dice)

Cosa fai sciocco?

(nel vedere che Enrico dà ad Angelino la sua sedia per farlo sedere, Peppino offre la sua ad Enrico il quale la prende e siede. Nel frattempo, però, Peppino ha preso ad Angelino la sedia che gli aveva da­to Enrico e siede, mentre Angelino, credendo di aver dietro la sedia, cade a sedere in terra. Peppino gli dice:)

Cosa fai? Sciocco!

Enrico        Scioccone! (si alza per soccorrere Angelino, questi gli prende la sedia e siede, mentre Enrico, credendo di aver dietro la sua sedia, nel sedersi cade in terra)  Insomma? (si alza e si alza anche Peppino)

Angelino    (alzandosi)  Mi scusi signor conte... (prende una sedia che sta presso il tavolo alle sue spalle e la porta al suo tavolo e, preoccupato che nessuno più gliela tolga, con Peppino che mostra la stessa preoccupazione si crea, a soggetto, un po' di confusione)

Peppino      Un momento... non tocchiamo le sedie... fermi. (sono tutti e tre fermi, ognuno dando le spalle alla propria sedia in attesa dell'ordine di sedere)  Pronti?

Angelino    

                   Pronti.

Enrico

Peppino      Sedete. (seggono di scatto tutti e tre)

Angelino    Dunque, Peppino:  si tratta di riuscire a dipanare una matassa molto imbrogliata.

Peppino      Se si tratta di una matassa onesta...

Angelino    Peppino?!  Tu conosci la mia reputazione...

Peppino      (sottovoce gli dice)  Sei stato in galera tre anni.

Angelino    (temendo che il conte abbia sentito)  ... tre anni di col­legio... già, già...

Peppino      Già, in collegio... (di nascosto incrocia i polsi come per intendere che Angelino è stato ammanettato)  Tre anni... Insomma, non mi chiederai di fare la parte del sicario?!

Angelino    Niente affatto. In poche parole...

Enrico        ... si tratta di questo.

Peppino      Poche parole, signor conte, come dire: in sintesi. Sono stato attore di teatro: ho l'intuito sveglio... poi, sono abituato ai grandi testi: Shakespeare, Schiller, Alfieri, appena lo spunto, capisco subito.

Enrico        Si tratta di questo: io amo una graziosa ragazza...

Angelino    (ripetendo)  ... ama una graziosa ragazza...

Enrico        ...orfana di padre e di madre...

Angelino    (c. s.)  ... orfana di padre e di madre...

Peppino     (indicando Enrico)  Lui?

Angelino    Lui, cosa?

Peppino      È orfano?

Enrico        Non io, la ragazza...

Peppino      Quale ragazza?

Angelino    La sua fidanzata.

Peppino      Signor conte, poche parole. Sono stato attore di teatro e ho l'intuito sveglio. Poi sono abituato ai grandi testi: Shakespeare, Schiller, Alfieri... appena lo spunto.

Enrico        Si tratta di questo:  io amo una graziosa ragazza...

Angelino    (c. s.)  ...ama una graziosa ragazza...

Enrico        ... orfana di padre e di madre...

Angelino    ... orfana di padre e di madre...

Enrico        ... uno zio la tormenta...

Angelino    ... uno zio la tormenta...

Enrico        ... un vecchio fanatico...

Peppino      (che non ha capito)  Zio del conte...

Angelino    No, della ragazza...

Peppino      ... un'altra ragazza?

Angelino    ... ma è sempre quella...

Peppino      ... Signor conte, poche parole. Sono stato attore di teatro, abituato ai grandi testi, mi basta lo spunto...

Angelino    Peppino, questo è il terzo spunto... è la terza volta che ci fai ripetere le cose...

Peppino      Perché tu ripeti quello che dice il signor conte e si fa confusione. Sta zitto, tu! Allora?

Enrico        Dicevo: amo una graziosa ragazza, orfana di padre e di madre, uno zio la tormenta, un vecchio fanatico il quale ha deciso di sposarla, ne è gelosissimo... e la tiene sempre chiusa in casa.

Angelino    Figurati che non c'è una finestra senza grata.

Peppino      Possibile? Quante finestre sono?

Angelino    Una ventina...

Peppino      ... e ne ha messo una per finestra? E chi le ha messe?

Angelino    Il vecchio.

Peppino      E ci stanno?

Angelino    Sempre!

Peppino      Anche di notte?

Angelino    Naturale.

Peppino      Esposte alle intemperie?

Angelino    Si capisce...

Peppino      Ma le tiene legate?

Angelino    Legate? Infisse nel muro.

Peppino      Mamma mia. Infisse nel muro?

Angelino    Murate.

Peppino      No! Che atrocità! Ma la testina la tengono fuori?

Angelino    Quale testina?

Peppino      (dopo breve riflessione)  Tu cosa hai detto, prima?

Angelino    Ho detto: e figurati che non c'è una finestra senza grata.

Peppino      Tu hai detto «gatta!»

Angelino    Hai sentito male.

Peppino      Hai la dizione difettosa. Papà lo diceva sempre.

Enrico        Insomma, vogliamo concludere? Io avrei pensato...

Angelino    (ripetendo)  ...lui avrebbe pensato...

Enrico        ... di entrare in casa con uno stratagemma...

Angelino    ... con uno stratagemma...

Enrico        ... e nel mentre uno intrattiene il vecchio...

Angelino    ... intrattiene il vecchio...

Enrico        ... un altro porta via la ragazza.

Angelino    ...  un altro porta via la ragazza.

(Peppino dà evidenti segni di non capire a causa di Angelino che ripete le parole di Enrico, e mentre i due continuano, come a concerto, egli dice rivolto al pubblico:)

Peppino      Non posso capirci niente. Parlano a due. Si accavallano le parole... (ed altre cose a soggetto)

Enrico        (senza badare a Peppino, continua)  Quando il dado sarà tratto...

Angelino    ... sarà tratto...

Enrico        ... il  vecchio non  potrà che dare il permesso per le nozze...

Angelino    ... per le nozze...

Enrico        ... e sborsare i cinquecento scudi.

Angelino    ... i cinquecento scudi. Hai capito?

Peppino      No! Per forza, perché vi accavallate con le parole. Par­late in coro. E non è possibile capirvi. Ripetete. Tu stai zitto, Angelino.

(La scena si ripete tale e quale come quella prece­dente, battuta per battuta, azione per azione, fino a con­cludersi con la battuta di Angelino:)

Angelino    Hai capito?

Peppino      No. Ma per forza: vi accavallate con le parole. In tea­tro non si fa cosi.

Enrico        Ma qui non siamo in teatro...

Peppino      ... la vita è teatro, signor conte. È uguale. Due perso­naggi, in teatro, non possono, non debbono parlare con­temporaneamente: quando parla uno, l'altro tace. (ac­compagnandosi con la mimica delle mani, facendo assu­mere, prima all'una poi all'altra, il ruolo di ipotetica personaggio, spiega:)  Ecco: quando parla questo (rac­chiude le dita della mano destra e la fa funzionare a modo di marionetta)  ... l'altro tace... (indica la mano si­nistra immobile) , quando parla quest'altro... (muove la mano sinistra a modo di marionetta). .. questo tace... (tiene immobile la mano destra)   Tutte e due, insieme, (muove tutt'e due le mani)  ... non possono parlare, al­trimenti il pubblico non capisce niente.

Angelino    Quante storie.

Enrico        Io avrei pensato di entrate in casa con uno stratagemma, e nel mentre uno intrattiene il vecchio, l'altro porta via la ragazza. Quando il dado sarà tratto, il vecchio non potrà che dare il permesso per le nozze e sborsare i cinquecento scudi.

(Angelino, con le mani, a gesti, avrà accompagnato le frasi di Enrico)

Chiaro?

Peppino      (indicando Angelino)  Mi ha distratto lui. Perché non potendo parlare si è messo a far gesti con le mani. Co­munque, in sintesi, ho capito di che si tratta. Qui si tratta di un ratto.

Enrico        Di un rapimento.

Peppino      Capisco. Ma da solo non posso bastare: mi occorre un complice.

Angelino    Potrei essere io.

Peppino      Signor conte, come si chiama il vecchio?

Enrico        Don Guglielmo Barbettoni, antiquario.

Peppino      Dove abita?

Angelino    Via Pontecorvo, secondo piano. Vi ci abita con un fra­tello e una vecchia governante.

Peppino      C'è una governante? Allora... (porta la mano destra in avanti come per un qualsiasi gesto discorsivo, e Angelino gliela prende credendolo un gesto di congedo)

Angelino    Rinunzi? Te ne vai? (gli tiene la mano stretta nella sua) Peppino     Chi se ne va? Angelino     Tu:  mi hai dato la mano.

Peppino      Sei stato tu a prendermela. Lasciamela... (la ritira)

Angelino    Credevo che fosse un gesto di congedo...

Peppino      No, no... era un gesto discorsivo, solo che non me lo hai fatto completare; mi hai preso la mano e hai interrotto il gesto...

Angelino    ... ma quale gesto, scusa?

Peppino      Tu, come hai detto a proposito della governante?

Angelino    Ho detto: vi ci abita con un fratello e una vecchia go­vernante.

Peppino      Bene, ed io ho aggiunto:  «Ah? C'è una vecchia gover­nante? Allora...» (porta in avanti la mano destra aperta, poi  chiudendola,  con  movimento ampio, la porta sul fianco destro poggiandola col polso, mentre con l'indice della mano sinistra teso indica soddisfatto il gesto ormai compiuto della mano destra)  Ecco!

Angelino    Voleva essere questo, il gesto?

Peppino      Questo! Dunque, dicevamo: c'è una vecchia governan­te? Allora, signor conte, guardatemi negli occhi...

Enrico        (senza malizia)  Perché?

Peppino      Perché cosa?

Enrico        Avete detto:  guardatemi negli occhi...

Peppino      Sì, guardatemi negli occhi...

Enrico        ... ma perché vi devo guardare negli occhi?

Peppino      Perché si dice così..  «guardatemi negli occhi», come per intendere lealtà per lealtà, chiarezza per chiarezza... Enrico     Mi pare una cosa inutile, tra amici...

Peppino      ... ma ormai, l'ho detto...

Angelino    Quante storie, Peppino... ti guarderò io negli occhi...

Peppino      Bene. (riprende) Signor conte... (ad Angelino) ...sei pronto?

Angelino    Sì.

Peppino      (a Enrico)  Guardatemi  negli occhi...  (e fissa quelli di Angelino, poi si rivolge ad Enrico)  ... la ragazza, entro domani, sarà vostra.  (azione di soddisfazione di Enrico) Ma io ho bisogno di danaro.

Enrico        Dite:  quanto?

Peppino      Si tratta di un piano pericoloso... (a se stesso)  Peppino, Peppino, è arrivato il tuo momento. Tuo padre ti dice­va: «quando la fortuna ti capita tra i piedi afferrala per i capelli e non la mollare...» Ecco, la fortuna ti è capi­tata davanti, afferrala e non la lasciare... (ad Enrico)  Signor conte, meno di mille scudi non è possibile!

Angelino    (protestando)  Ma no...

Peppino      Cinquecento...

Angelino    no...

Peppino      Cento scudi...

Angelino    no...

Peppino      Novanta...

Angelino    No.

Peppino      Ottanta.

Angelino    No.

Peppino      Settanta...

Angelino    No.

Peppino      Sessanta...

Angelino    No.

Peppino      Cinquanta...

Angelino    (deciso)  Peppino, due scudi li vuoi? (glieli mostra)

Peppino      Sì!  (li intasca)

Angelino    D'accordo. (si alzano)

Peppino      (portando in avanti la mano destra come nella scena precedente)  Allora...

Angelino    (prendendogli la mano e stringendogliela)  Te ne vai? (al conte)  Se ne va!

Peppino      Non me ne vado...

Angelino    Mi hai dato la mano...

Peppino      Non sono io che te la do, sei tu che te la prendi...

Angelino    ... credevo fosse un gesto di congedo...

Peppino      Niente affatto; è un gesto discorsivo... lasciami la ma­no... (Angelino gliela lascia)  Non me la prendere più. Volevo dirti:  vieni a trovarmi a casa questa sera, alle otto.

Angelino    Dove abiti?

Peppino      Al Foro Traiano...

Angelino    Tra quei ruderi?

Peppino      Si sta bene:  benissimo. A me piace l'archeologia.

Angelino    ... ma è un luogo pieno di gatti, gattini...

Peppino      Appunto per questo. Sapessi come sono trattati bene! Chi gli porta spine di pesce, chi ossi di pollo... di tanto in tanto ne approfitto... si sta bene! (ad Enrico)  Se avremo bisogno di una donna o di una ragazza, ci ser­viremo di Marilena o di Fragoletta...

Enrico        Hanno spirito, le ragazze?

Peppino      Quelle, sono due distillerie. (le chiama)  Fragolette, Ma­rilena?   Venite qui.   (a Sasà)  Scusi, signor Salamino... (alle due donne che si sono avvicinate)  il signor conte De Frai... (lo indica e le due donne fanno un inchino ri­spettoso)  ...mi assume al suo servizio come segretario particolare...

Angelino    No...

Peppino      ... come tutore...

Angelino    Peppino:  come sicario.

Peppino      (deluso)  Questo sicariato non me lo sarei aspettato. (sot­tovoce)  Facciamo mezzo sicario... va bene? (azione affer­mativa di Angelino)  Grazie.

Marilena     Ti assume! Che fortuna! Ma davvero?

Enrico        (avvicinandosi alle due donne, e prendendo la mano di Fragoletta)  Sì, mie care e buone ragazze... (le schiocca un forte bacio sul dorso della mano)

Sasà Cicci  (dal suo posto, allarmato e ingelosito)  Gué?

Enrico        (c. s.)  ... credo sia arrivato il momento in cui cambierete condizione... (due baci)

Sasà Cicci (c. s.)  Gué?!  Gué?!

Enrico        (c. s.)  Mettetevi fiduciose nelle mie mani. (tre forti baci e ritorna al suo posto)

Sasà Cicci (c. s.)  Gué?!  Gué?!  Gué?!

Peppino      (scambiando le esclamazioni di Sasà per l'abbaiare di un cane, sale spaventato su di una sedia e chiede)  C'è un cane?

Angelino    Ma no...

Peppino      M'èparso di aver sentito abbaiare... (scende dalla sedia)

Angelino    A proposito, Peppino:  ho saputo che il vecchio, oggi, viene qui a mangiare assieme alla ragazza, a suo fratello e alla vecchia governante, che si chiama Tata.

Peppino      Viene qui?  Allora... (porta la mano destra in avanti, Angelino gliela prende subito)  Accidenti... (ad Enrico)  Signor conte, mi ha preso la mano un'altra volta...

Enrico        Ma insomma, Angelino, lasciagli la mano...

Angelino    (lasciando la mano di Peppino)  Signor conte, credevo che volesse andar via... che mi volesse salutare...

Peppino      Ma come puoi credere ch'io voglia andar via se stiamo tramando una congiura? (dopo breve pausa)  Non mi prendere più la mano, sai, perché t'ammazzo. Lasciami parlare liberamente. Si potrebbe tentare di fare qualche cosa oggi stesso...

Enrico        (entusiasta)  Sì... diamo subito fuoco alla miccia...

Peppino      (alludendo ad Enrico)  Mi piace il vostro entusiasmo... la vostra temerarietà... allora, signor come... (porta come al solito la mano in avanti ed Enrico gliela prende)

Enrico        Ve ne andate? (gli tiene la mano stretta nella sua)

Peppino      (trattenendo a stento la sua ira)  No... no... non me ne vado.

Enrico        Mi avete porto la mano...

Peppino      (al colmo dell'esasperazione)  No, signor conte, me l’avete presa voi... (implorante)  ...lasciatemi la mano, per favore! (Enrico gliela lascia)  Non mi prendete la ma­no... io sono napoletano, mi piace di accompagnare coi gesti le parole... ho bisogno di tenere le mani libere... (ai due, che gli stanno intorno)  ...scansatevi, lasciatemi muovere la mani...

(si sfoga a muovere le mani e le braccia in avanti e indietro, in alto e in basso più volte come la caricatura di un vigile urbano addetto al traf­fico al centro di una strada. Questa azione — e tutte le altre che riguardano tale argomento — va, natural­mente, recitata a «soggetto», e cioè a gusto e intuito artistico dell'attore che interpreta la parte. Qui, l'autore ha voluto solamente stabilire la base essenziale di tutta la scena, fin dall'inizio, che riguarda «il giuoco delle mani).

Dunque, signor conte... 

(continua la discussione cercando di evitare di farsi prendere le mani, mostrando di non sapere dove tenerle al riparo da ogni sorpresa e cioè, soprattutto, perché sia Angelino che Enrico sem­bra che stiano attenti proprio a non lasciarsele sfuggire)

Voi restate qua, io andrò via. Quando il vecchio sarà qui con la ragazza, voi andate a prendere un coupè che farete aspettare all'angolo e ritornerete qui. Quando io ritornerò qui, truccato... ora andrò a casa, aprirò la cassa di papà e sceglierò il trucco... tu, Angelino, mi dirai: «Caro Venanzio filosofo... donde vieni?» Ripeti...

Angelino    (sottovoce)  Caro Venanzio filosofo... donde vieni?

Peppino      (ad Enrico)  Al chiasso che ne seguirà, nella confusione, prendete la ragazza e portatela via; al resto penserò io...

Enrico        Sarebbe mai possibile? È così vicina la mia felicità?

Peppino      Un momento!... Avete detto che c'è una vecchia governante?

Angelino    Una certa Tata...

Peppino      Allora... (solito gesto della mano in avanti e Angelino, pronto, gliela prende e gliela stringe. Peppino, imbe­stialito, gli morde la mano)

Angelino    Ahi... ahi!... (si divincola)

Peppino      Sei tremendo! Dunque: occorre distrarre la vecchia. Falle l'occhiolino...

Angelino    È brutta, Peppino... brutta assai...

Peppino      Corteggiala...

Angelino    È una gallina spennata, la conosco...

Peppino      Farai finta di esserne innamorato...

Angelino    lo vorrei sapere la ragione...

Peppino      Non devi sapere niente...

Enrico        (deciso)  Angelino,  non devi sapere niente. Ci  siamo affidati a lui e basta. Vuoi farmi perdere Giulia?

Angelino    No...ma...

Peppino      (alla sorella)  Tu, Marilena... (le si avvicina portando la mano in avanti e Marilena gliela stringe)  ... Accidenti...

Marilena     ... credevo tu volessi andar via...

Peppino      Non sono io a dover andai via, ma voi! Presto, al Foro Traiano. (le due donne salutano in fretta e escono per il fondo)  Signor conte, siamo intesi? Quando il vecchio sarà qui con la ragazza, voi andate a prendere un coupè che farete aspettare all'angolo della strada, e tornate qui; quando io ritornerò,  truccato,  Angelino dirà: «Ciao Venanzio filosofo, donde vieni?» Al chiasso che ne se­guirà, nella confusione, prendete la ragazza e filate. Al resto penserò io... (gli offre la mano in segno di con­gedo)  D'accordo?

Enrico        (senza prendere la mano)  Bene, bene...  (e continua a parlare sottovoce con Angelino)

Peppino      (insiste nel gesto)  Arrivederci, signor conte... signor con­te? (notando che Enrico non gli dà retta, lo lascia con un gesto di sgarbo, come per dire «va al diavolo», ed esce rapido per il fondo)

Sasà Cicci  (si avvicina minaccioso ad Enrico)  Buongiorno. Voi vo­lete portarmi via Fragoletta.

Angelino    Fragoletta?!

Sasà Cicci Ho sentito bene. Avete detto:   «Mia cara, mia bella Fragoletta».

Angelino    Capisco. Si tratta di un equivoco. Voi volete sposare Fragoletta? Ebbene, io sono in ottimi rapporti con Pep­pino, il fratello. Mettetevi d'accordo con me, aiutateci, e sposerete Fragoletta.

Sasà Cicci Grazie, amico mio. Cosa dovrei fare?

Angelino    Ci rivedremo questa sera e ci metteremo d'accordo. (ad Enrico)  Eccellenza, guardo fuori se arriva l'antiquario. (esce per il fondo)

Sasà Cicci  Capisco. Ecco, signore, perché le parlavate con  tanta confidenza...

Enrico        Ecco perché?

Sasà Cicci È la verità?

Enrico        Tutta la verità.

Sasà Cicci Se non fosse vero, badate signore, sarei capace di com­mettere uno sproposito!

Gennaro     (alla cassa, starnutisce al solito modo)

Filippi        Che tempista!

Sasà Cicci (a Filippi)  Tempista un corno! Sa? (a Gennaro)  Tu, cassiere, mi hai rotto le scatole con questi starnuti! Questi starnuti, da persone ineducate, si chiamano per­nacchie. (alle ragazze che stanno ridendo)  E voi non ridete, capito?

Julie           Non capisco! Siamo straniere.

Gennaro     Io chiedo scusa, ma sono raffreddato e...

Sasà Cicci  E vattene a letto a casa tua, se non vuoi finire in quello di un ospedale!  (Gennaro starnutisce come a concerto)  Ancora?!  (alle ragazze che ridono a più non posso) E voi  finitela, pettegole, scostumate, fallofore!   (conti­nua a soggetto)

Igea            (alzandosi irritatissima, dice con accento dialettale)  Ahó! Lo sai che mi hai scocciato? Lo sai che se non la pianti ti do un piatto sulla testa? Vuoi vedere che ti mando all'ospedale? Fallofora sarà tua sorella!

Clara          Fila, fila! Fila a casa, vai a ciucciare il biberon!

A tre           Fila!  Fila!  Fila!

Sasà Cicci Vado. Accidenti, che straniere! Però, io non sono uno sciocco. E se mi ci metto, sono capace di vedermela con tutti. Sono un nobile, capite?!

Gennaro     (starnutisce come a concerto)  Scusate!

Sasà Cicci Va' al diavolo!  (esce lasciando la porta aperta)

Gennaro     La porta, la porta!

Angelino    (entrando dal fondo e dirigendosi verso Enrico)  Arri­vano. (si ode dall'interno vocio popolaresco e schiamazzi)

Enrico        Meglio che il vecchio non mi veda, adesso. (esce a de­stra con Angelino, mentre il dottor Bocci e il marchese Filippi si avvicinano al tavolo delle ragazze e siedono, dopo convenevoli)

Don Guglielmo   (entra dal fondo seguito da Giovanni, Giulia e Tata)  Mascalzoni!   Farabutti! Fannulloni!

Giovanni    Ben detto: fannulloni!

Giulia         In fondo non hanno fatto nulla di male.

Tata           È Carnevale. Di Carnevale ogni scherzo vale.

Don Guglielmo   C'è un limite. Il fatto è che quando vedono una ragazza, si  mettono fare gli stupidi.  (indicando Tata)  Questa, poi, si è conciata in questo modo! Sembra una banca­rella. Mi hanno gettato dei coriandoli in faccia, proprio mentre  scavo gridando.  Mi  ha  sorpreso con  la bocca aperta, quel cretino.

Tata           Si divertono: sono ragazzi.

Don Guglielmo   Tata, il vostro spirito giovanile mi dà ai nervi. Avrei fatto bene a lasciarvi a casa.

Giovanni    Calmati, Guglielmo. Perché vuoi rovinarci la giornata? Siamo usciti di casa lieti, felici...

Giulia         Dopo tre mesi di clausura...

(Oreste entra come a concerto ed esce)

Giovanni    Siamo qui in procinto di fare un bel pranzetto e passare allegramente una giornata di Carnevale, non vorremmo privarci di tanta gioia. Sediamo. (seggono)

Don Guglielmo  (a Giulia)  Mi parli di clausura, bella mia?

Giulia         Sì, clausura.

Don Guglielmo  Sei stata ai giardini pubblici due volte.

Giulia         Quando?! Tre mesi  fa!

Tata           Tre mesi fa! Da allora non si usciva di casa... Poi, mi chiamate rimbambita. Si capisce: a furia di star chiuse in casa ci si rimbambisce sul serio.

(Oreste entra e porta al tavolo delle ragazze una bottiglia di liquore con bic­chieri, poi esce di scena)

Don Guglielmo     Voi state zitta. (a Giulia)  Da oggi in poi, ti ci manderò più spesso. Il fatto è che sono tanto occupato in negozio.

Giulia         Ai giardini pubblici posso andarci anche da sola.

Tata           Ci possiamo andare anche da sole.

Don Guglielmo Tata, se non la smettete di parlare quando nessuno vi interroga, vi mando a casa. (a Giulia)  Se tengo ad ac­compagnarti ai giardini pubblici...

Giulia         (scoppia a piangere, si alza, poi torna a sedere)

Don Guglielmo     Ebbene! Di nuovo piangi!...

Giulia         E che volete, che rida? Come può stare allegra una sventurata come me... anzi una stupida, una cretina come me.

Tata           Giulia!

Giulia         Sì,  cretina,  perché  dovrei  farmi  rispettare  per quella che sono, cioè un essere umano e non un oggetto da museo.

Giovanni    (allarmato per la piega degli avvenimenti)  Santo Dio!! (chiamando forte)  Cameriere!

Don Guglielmo  (a Giulia)  Perché queste lacrime?  Hai voluto uscire: ti ho accontentata. Cos'è che non va?

Giovanni    È la gioia. Piange di gioia. (chiama forte)  Cameriere!!

Gennaro     (dalla cassa, chiamando il cameriere)  Oreste? Oreste?! (suona un campanello a timbro, poi: )  Vado io, signore.

(esce lentamente per la porta di destra, poi ritornerà a concerto, al suo posto)

Giulia          Altro che gioia; qui, se non si cambia sistema, finisce male.

Don Guglielmo   Giulia!  Basta con questi piagnistei. Ti si rovinano gli occhi. Vuoi smetterla, adesso?

Oreste        (apparendo da destra)  Tutto è pronto: porto l'antipasto. (Oreste, dopo l'annunzio, è uscito di nuovo per la destra)

Bocci          (avvicinandosi a don Guglielmo)  Buongiorno, don Gu­glielmo!

(Rientra Enrico, seguito da Angelino, vede Giulia e le parla a gesti)

Don Guglielmo   Carissimo dottore!  Scusate, non vi avevo visto.

Bocci          Sono sorpreso. Incontrarvi in un ristorante! Voi, sem­pre in casa, come una lumaca. Avete perduto il guscio?

Don Guglielmo    Ho pensato di seguire il vostro consiglio. Non mi dite sempre di uscire per divagarmi un po'?

Bocci          È quello che dovete fare. Uscire, bisogna; conoscere, osservare, guardare...

Don Guglielmo     Voi non vi fate mancare i divertimenti, dottore!

Bocci          Sono solo, sono scapolo, e la vita mi piace godermela.

(Filippi si avvicina e Bocci lo presenta a don Guglielmo:  solo mimica)

Angelino    (a parte, sottovoce ad Enrico)  Quel  medico potrebbe aiutarci; mi pare uno di quei tipi ai quali non dispiace qualche regalino in moneta.

(durante le battute di Angelino, il dottor Bocci — come a concerto —  avrà presentato a Filippi anche Giovanni, Tata e Giulia)

Filippi        (a don Guglielmo)  E dove ha la bottega?

Don Guglielmo   Non ho una bottega, ma una galleria d'arte.

Bocci          Galleria del Corso, via Pontecorvo, 333. (a Guglielmo)  Gli acquisti vanno bene?

Don Guglielmo  Bene, dottore. La settimana scorsa ho acquistato un pez­zo antico veramente eccezionale. Un cane mobile... (ve­dendo Giulia che fa gesti con le mani — questi avrà continuato a fare segni muti a Enrico —)  ... Che hai?

Giulia          Un po' d'oppressione... Niente, è passato.

Oreste        (entrando da destra con piatto di antipasti)  Ecco serviti i signori!

(Giovanni, famelico, si serve per primo)

Don Guglielmo (a Giovanni)  Un momento! Sembri un lupo affamato... Giulia, vuoi del prosciutto crudo? So che ti piace.

Giulia         Grazie, non ho appetito.

Don Guglielmo   Come mai? Eri tanto allegra, stamattina.

(Bocci e Filippi si sono già allontanati per tornare al loro tavolo)

Hai voluto pranzare fuori casa e io ti ho accontentata; eccoci qui, ma a vederti così triste, in verità... Che hai? Ti senti male, forse? Vogliamo tornare a casa? Came­riere! (si accinge a versare il vino dai bicchieri nella bottiglia)

Giovanni    (terrorizzato)  No, no! Giulia si sente bene. È un malore passeggero, non hai sentito? Mangiamo! (e mangia avidamente)

Giulia         Vorrei lavarmi le mani.

Don Guglielmo  (a Oreste che si è avvicinato)  Cameriere, dov'è la toilette?

Oreste        (indica la porta a destra)  Di là, signore.

Don Guglielmo   Tata, accompagnatela.

Giulia         (che si era alzata, si risiede nervosa)  Non ci vado più! Anche lì, devo andare accompagnata? Anche lì!

Don Guglielmo   E va bene, vacci sola.

Giulia         (si alza ed esce per la destra, seguita quasi subito da Enrico al quale è passata davanti)

Tata           Per farla arrabbiare sembra che lo facciate apposta. (os­serva che Angelino la fissa con sguardo languido)

Don Guglielmo    Intanto, voi le date sempre ragione. Sono stato giovane anch'io e so come vanno certe cose. Una ragazza, di questi tempi, sola nella toilette di un ristorante! (Angelino con posa romantica getta baci a Tata)

Tata           Una toilette di ristorante non sarà una caserma... (osser­va Angelino sempre incredula)  E poi, anche in una ca­serma, se una donna si sa guardare... (sospira a parte e dice)  Mio Dio!...

Giovanni    Che avete, Tata, che vi sentite?

Tata           Non so, sarà l'ambiente chiuso, ma mi sento i bollori alla testa... (e fissa più di prima Angelino che continua a mandarle baci)

Don Guglielmo    Fatevi un bagno di acqua calda ai piedi. (a Giovanni) Hai mangiato tutto il prosciutto! Accidenti! Sei peggio di un lupo.

Giovanni   (chiamando Oreste)  Altro prosciutto, cameriere!  Si fa presto.

Don Guglielmo     Già, si fa presto perché sono io che pago. Ma Giulia, che fa? Tata, andate a vedere.

Tata           Subito. (si alza e si dirige verso la porta di destra pas­sando davanti ad Angelino) Angelino   (a Tata, sottovoce,  con  esagerata galanteria)  Desidera qualche cosa, la signora?

Tata           (emozionata)  Non sono signora, sono signorina.

Angelino    (insinuante)  Vergine?

Tata           (con passione)  Senza macula.

Angelino    Pèsca!

Tata           Temerario!

Don Guglielmo    (dal posto, molto forte)  Tata!

Tata           (sussultando)  Mio Dio!

Don Guglielmo    Che avete da perder tempo?

Tata           (tra sé)  Tiranno! (esce per la porta di destra subito se­guita da Angelino)  Giulia!  Giulia!

Giulia         (subito dopo entra sconvolta)  Eccomi! (si riordina i ca­pelli)

Don Guglielmo     Giulia?! Quanto tempo!

Giulia         (andando verso il tavolo)  Mi si era scucito l'orlo dell'abito...

Enrico        (rientra riordinandosi i capelli) Giovanni     Adesso porteranno dell'altro prosciutto. Don Guglielmo     Siedi qui, vicino allo zio tuo che ti vuole tanto bene. E Tata? Adesso è sparita lei. (si alza e si avvicina alla porta di destra chiamando)  Tata! Tata! (tra sé)  Quella vecchia rimbambita cosa va a farci nella toilette. Tata!

Tata           (entra. Ma è sconvolta, ha la pettinatura in disordine ed il cappello le casca indietro)  Eccomi... (cammina trabal­lando) Don Guglielmo     A tavola. (siede)

Tata           (andando verso il tavolo)  Mio Dio!...

Angelino    (rientra e va a parlottare con Enrico) Giovanni     (a Tata)  Che avete, Tata?

Tata           Un colpo di sangue alla testa. Non ho appetito.

Angelino    (ad Enrico)  La vecchia è crollata. (con profondo disgu­sto)  L'ho baciata.

Enrico        (felice)  Bravo, bravo! Vado a prendere il coupè. Cura la vecchia. (esce per il fondo)

Don Guglielmo  (a Tata che guarda Angelino)  Perché guardate insisten­temente da quella parte? Tata?

Tata           Ero distratta. (tra sé)  Come mi guarda! Che vulcano! (quasi forte, senza accorgersene)  Stromboli!

Giovanni    Che avete detto?

Tata           Nulla! (chiamando)  Cameriere, un po' di acqua di seltz.

Angelino    (porgendole una bottiglia con premura)  Prego, signorina.

Tata           Voi non siete il cameriere.

Angelino    Sono un cliente di questo locale, ho sentito che avete chiesto dell'acqua di seltz, e mi sono fatto un pregio a servirvela.

Don Guglielmo     Grazie. Date qui. Un'altra volta non vi incomodate.

Angelino    Pardon!  (piano, a Tata)  Manderotti lettera.

Tata           Aspetterolla.

Enrico        (rientra dal fondo e chiama Angelino che gli si avvi­cina)  Il coupè è all'angolo.

Oreste        (entrando da destra con la zuppiera colma di spa­ghetti)  Ecco gli spaghetti!

Giovanni    Meno male! Sono al dente?

Oreste        Non dubitate, professore.

(Giovanni si serve per primo, abbondantemente, e cominciano a mangiare)

Bocci          (levando il bicchiere)  Signor Barbettoni, un brindisi, prego:  questo vino ci dà gioia ed allegria, alla salute vostra e alla mia! 

(applausi di tutti i presenti)

Don Guglielmo  Grazie, dottore.

Giovanni    (alzandosi e brindando con il piatto di spaghetti)  Giulia, fior di grazia pieno, con te l'amor nell'oblio ci mena! (mangia una grossa forchettata di spaghetti)

Enrico        (levando il bicchiere)  Bevo all'amore puro e nulla più. Bevo alla vita, bevo alla gioventù.

(applausi)

Clara          (levando il bicchiere)  Viva il vino, noi e il Carnevale. Tutto il resto, all'ospedale! 

(si ride, si beve)

Don Guglielmo   Bel modo di esprimersi.

Peppino      (appare dal fondo: lungo cappotto nero e cappello a cilindro nero a larghe falde. Ha una lunga barba nera, occhiali neri e basettoni)  Mio Dio! Mio Dio che tra­gedia! Che sciagura! Che jattura! Che sinistro! (ad Enrico, sottovoce)  Sono Peppino! (forte)  Amico mio caris­simo. Come te la passi?

Enrico        Mica male, mio caro, e tu?

Peppino      Si campicchia! Sto lavorando intorno a un trattato di filosofia scientifica. Talete, Aristotele, Leucippo, sono i miei maestri. (piano ad Angelino)  Caro Venanzio filo­sofo, donde vieni?

Angelino    (dopo ripetizione come a concerto)  Caro Venanzio filosofo, donde vieni? Perché hai detto che sciagura, che sinistro?

Peppino      Oh, amico mio. Sono ancora sotto l'impressione di un tremendo sinistro. Passeggiavo tranquillamente lungo il Corso e mi dirigevo verso casa:   all'improvviso il cielo mi è parso come squarciato dallo scampanio di assor­danti campane di allarme. Il traffico, come per incanto, si è fermato e sono apparsi i pompieri... pompe, scale, e poi una folla di gente e di monelli...

Angelino    Un incendio?

Peppino      Un terribile incendio.

Enrico        Dove? (attenti per orchestra)

Peppino      Al Corso. La curiosità mi ha spinto a seguire la folla. Arrivati all'angolo di via Pontecorvo...

Don Guglielmo

Giovanni                Eh?!

Tata

Peppino     (a loro)  Eh? (poi ad Angelino)  Arrivato all'angolo di via Pontecorvo...

Don Guglielmo

Giovanni                Eh?!

Tata

Peppino     (a loro)  Eh? (poi ad Angelino)  Arrivato all'angolo di via Pontecorvo...

Don Guglielmo

Giovanni               (più forte)  Eh?!

Tata

Peppino      (a loro)  Ma non mi fate parlare! (ad Angelino)  Dicevo: arrivato all'angolo di via Pontecorvo, un'altra ondata di gente e di monelli. «Aiuto!»  si gridava; «Aiuto».

Angelino    E cosa bruciava?

Peppino      Un palazzo intero. Tutta la gente che vi abitava gri­dava al soccorso, e dalle finestre di un appartamento del secondo piano cadevano oggetti di ogni genere: statue, mobili antichi, candelabri bellissimi...

Enrico        Di chi era questo appartamento?

Peppino      Di un ceno don Guglielmo Barbettoni, antiquario.

Don Guglielmo     La mia casa!  Sono rovinato!

Giovanni    Il palazzo segnato con n. 333 secondo piano?

Peppino      Sicuro!  (inizia musica finale) canto

Don Guglielmo     Mio Dio, quale sciagura!

Sono bello e rovinato.

È stata una jattura

venire tutti qua.

È colpa vostra, Tata

ve la farò pagare!

Tata           Sono meravigliata,

chi mai potea pensar?

Peppino      Su, presto, decidetevi

mio caro Barbetton

ci  potreste  rimettere

la casa... e il bottegon!

Don Guglielmo   Andiam, presto seguitemi...

mi sento venir mal.

Giovanni     Ma come lasciar perdere

tutto questo mangiar?

(a soggetto escono di scena, per il fondo, don Guglielmo, Giovanni, il dottor Bocci e Tata per ultima)

Filippi        (a Giulia, cantando)

Amabile bambina,

non si spaventi, veh...

Peppino      No, no... la signorina

dovrà venir con me.

Filippi         Verrà con me, le dico.

Peppino      Ma scusi: lei chi è?

Filippi        Io sono un caro amico.

Peppino      E anch'io, per lei, lo son.

Filippi        Corpo di una pallottola

la bimba vien con me.

Peppino      Sangue di una gallottola

la porterò con me.

Filippi        Con me... (prende per mano Giulia e la tira a sé)

Peppino      Con me... (prende per mano Giulia e la tira a sé)

Filippi        Con me... (prende per mano Giulia e la tira a sé)

(durante la precedente scena sono entrati, dalla destra, il cuoco e lo sguattero)

Igea            (interviene tra i due, prendendo la mano di Giulia)

Insomma quante storie...

ve ne potete andar...

la signorina, caspita,

solo con noi verrà...

Peppino      Ma signorina...

Igea            ... è inutile...

Filippi        Ma vorrei dire...

Igea            Silenzio!

Mi fate uscir dai gangheri

lasciatemi passar! (esce con Giulia e le sue amiche)

Peppino      (parlando a Filippi)  Cretino!

Filippi        Mandrillo!

Peppino      Rimbambito!

Filippi        Cafone!    

Peppino      Mummia.

Filippi        Mascalzone.

Peppino      (prende una pila di piatti dal tavolo di servizio e li lancia, uno allo volta, contro Filippi, e mentre questi scappa saltellando, e Gennaro, Oreste, il cuoco e lo sguattero protestano, come a concerto, cala il sipario-comodino)


PARTE SECONDA

Sull'introduzione musicale si leva il sipario-comodino e, mentre continua la musica ad libitum, la scena mostra lo stesso scenario del primo quadro. Intanto entrano in scena Enrico e Angelino. Questi porta una chitarra. E pomeriggio.

Scena prima

Enrico        Eccola, la finestra della mia donna amata. Eccola lì, quella grata maledetta che tarpa le ali del mio amore puro e senza macula. (ad Angelino)  Intona, Angelino, voglio far parlare il mio cuore.

Angelino    Peppino ci ha raccomandato di non commettere im­prudenze. L'altra volta il vecchio ci minacciò seria­mente. Poi, mi permetto di rammentarvi che, più tardi, dobbiamo recarci da Peppino. Dobbiamo accor­darci su quello che dobbiamo fare.

Enrico        Voglio solo cercare di vederla un attimo, un attimo solo... attacca...

(Angelino attacca a suonare la chitarra e Enrico canta)

Quanno luntana me staje,

io nun te scordo maje,

te voglio bene assaje...

chi te pò maje scurdà?

Si te voglio cu mme

vicino cu'o penziero a te me sento...

si te voglio vedé

me basta guarda 'ncielo sulamente

quanno è ventiquattr'ore, appena sponta

p' 'o cielo 'a primma stella veco a te!

(la musica continua ad libitum)

Angelino    (smettendo di suonare)  Andiamo, signor conte? Peppino ci attende.

Enrico        Sì,  andiamo. (parlando  verso  la finestra)   Addio,  mio amore, angelo mio, mio paradiso, mio tesoro...

Angelino    Affrettatevi, è tardi.

Enrico        (c. s.)  Amore mio, ci rivedremo. (invia baci verso la fi­nestra)

Angelino    Andiamo, eccellenza, non è prudente restare qui.

Enrico        Il mio amore per Giulia non teme nessuno. Seguimi. (attacca a cantare con l'orchestra solo vocalizzando il motivo dell'introduzione della canzone precedente)  Là, là, là, là, là...

Angelino    (a ritmo musicale)  Sssst...

Enrico        La, la, la, la, la, la...

Angelino    (c.s.)  Sssst...

Enrico        (passando a sinistra)  La, la, la, la, la...

Angelino    (c. s.) Stss...

Enrico        La, la, la, la, la, la... (mentre la musica continua ed Enrico e Angelino scompaiono a sinistra, la scena cambia a vista e scopre) :

Casa Barbettoni, una sala

(Giulia è in scena nei pressi della finestra e guarda giù, mentre Tata mette in ordine le sedie e il tavolino, unico arredamento. Sul tavolino:  calamaio con penna, un can­deliere con candela, e della carta per scrivere. Al centro dal soffitto  pende un lampadario da salotto. Cambia­mento di scena a vista)

Enrico        (dall'interno continua a cantare) Ma tu sola a questo cuor

sai ben parlar d'amor                                                    

e solo te vo' amar.

Giulia         (canta)  Tu, tu solo sai portar

nel mio pover

cuor tanta felicità!

Enrico        (c. s. mentre Giulia, ebbra, balla da sola in giro per la scena)

E se pur mi sei lontana,

ti sento a me vicina...

stretta vicina a me!

Enrico        (a due)  E giammai potrò scordar

                  l'ardente sua passion

Giulia         che infiamma questo cuor!

Enrico        (sempre dall'interno, allontanandosi) La, la, la, la, la, la, la...

(la musica cessa)

Giulia         (scoppiando a piangere)  Come sono sfortunata.

Tata           Via, non ve la prendete cosi. Siete giovane. Non sarà questo, sarà un altro... avete tempo davanti a voi.

Giulia No! No e no! Voglio andarmene! Non voglio restare più in questa casa. Mi dia la mia dote e mi lasci in pace. Se no, la serva mi metterò a fare, la sguattera, ma qui non voglio più restarci. Poi, non è il caso di temere per il mio avvenire: Enrico è molto ricco ed ha intenzioni serie. Ieri al ristorante, quando ci siamo visti nella toilette...

Tata           (rapita)  Nella toilette?!...

Giulia         ... mi ha fatto mille promesse, come sempre. Ed io sento nel mio cuore che mi ama come io lo amo. Pretendere­sti che restassi in questa prigione come una Pia de' Tolomei di questo secolo? No! Perfino le grate alle fine­stre, ha fatto mettere: perfino quelle. Mi mancano le catene ai polsi e ai piedi, e legata al ceppo.

Tata I         o dico che non bisogna aver fretta. Ascoltate le mie raccomandazioni; io vi ho allevata come una vera madre. Ci vuole un po' di pazienza; alle volte, le cose che sem­brano le più impossibili ad avverarsi, così, d'un tratto, si realizzano. È un uomo che ha le sue idee, le sue fissazioni, ma vi vuol bene. Anche io, questa notte, non ho potuto dormire. Appena chiudevo gli occhi... vedevo quel giovanotto che mi offri l'acqua di seltz... e che mi... (come scacciando un pensiero pericoloso). .. Via... non voglio pensarci. Da ieri sera ho un mal di testa che non vi dico.

Giulia     Tata, ti pare il caso, alla tua età, di metterti a pensare a certe cose? Hai preso esempio da mio zio, forse?

Tata           Cara mia, l'amore non ha età! Il cuore è sempre gio­vane. Chissà!  Non ho affatto intenzione di perdere le speranze!

Angelino    (dal camino, con le mani e la faccia sporche di fulig­gine)  Eccomi qua!

Tata           (spaventata)  Lo spettro! I ladri!

Angelino    Zitta, per carità! Sono Angelino, il cameriere del conte Enrico.

Giulia         Ah, bene.

Tata           Il giovanotto dell'acqua di seltz... quello della toilette!

Angelino    La porta che dà sulle scale d'ingresso si può aprire!

Giulia         Impossibile, la chiave l'ha tolta lo zio. Tata, stai attenta. (Tata va a guardare verso l'interno)  Come avete potuto calarvi dal camino?

Angelino    Nel palazzo vicino abita un mio collega, al quinto pia­no, così, rasentando il muro sul cornicione, sono passato sul tetto di questo palazzo. Quando sono riuscito a indi­viduare il comignolo del vostro camino, mi ci sono calato dentro... ed eccomi qua. Entrare in questa casa è più difficile che entrare in un convento di clausura. Non c'è una finestra senza grata. Comunque, niente pau­ra. Dovete solo sapere che, in accordo con il mio pa­drone e un mio amico, stiamo studiando il mezzo mi­gliore per togliervi dalle grinfie di vostro zio. L'incendio di ieri, l'intervento di quel signor Venanzio filosofo — che era il mio amico Peppino — fu una nostra trovata per creare confusione nel locale e portar via la signorina. Purtroppo non ci è riuscito.

Giulia         E ora, Enrico cosa intende fare? Vi giuro, Angelino, che se resto ancora qui mi uccido.

Angelino    Una carrozza è sempre pronta giù al portone...

Tata           Una carrozza? E dove mi vuoi portare?

Angelino    Al Museo! Lasciami continuare. (a Giulia)  Voi tenetevi sempre pronta per fuggire, e non fate caso alle persone che verranno qui. Abbiamo la complicità del vostro me­dico... Bocci. Gli ho parlato... e siamo d'accordo. In un primo tempo non voleva... poi ha detto:   «Lo farò a fin di bene»... Si è convinto.

Tata           E chi dovrebbe venire a casa?

Angelino    Si tratta di persone che cercheranno di allentare la vigi­lanza sulla signorina Giulia, per poterla portare via al momento giusto. In altro modo, sapete bene, è impossi­bile entrare qui. Intanto, fra poco, ci presenteremo qui travestiti da francesi.

Tata           Da soldati?

Angelino   No, da borghesi.

Tata           Ma sapete parlare francese?

Angelino   No. Ma che fa? Mi sono informato: il vecchio non conosce la lingua francese.

Giulia         E dove andremo?

Angelino    Col mio padrone, a casa di sua madre che è pronta ad accogliervi tra le sue braccia come una vera figlia.

Tata           (che ogni tanto è andata a origliare alla porta di sini­stra)  Dorme ancora, ma se si sveglia...

Angelino    Dunque: quello che dovevo dire alla signorina gliel'ho detto... che altro dovevo fare? (come ricordando)  Ah... (a Tata)  ... voi mi amate?

Tata           Mio Dio... io... io.. Angelino     (subito)  Basta, ho capito. Per ora, aiutate la signorina, e saremo felici. (rientra nel camino)

Tata           State attento!

Angelino    C'è la corda! (sparisce nel camino)

Tata           Che giovane intraprendente! (sospirando)  Somiglia a Chopin... Ma a voi, che vorranno fare? Non penserete certo a scappare?

Giulia         So io quello che dovremo fare. E tu, tu farai ciò che vuole il destino. Se quel giovanotto ti ama, glielo vor­resti proibire? Sarai una donna celebre anche tu: una Pompadour, una Poppea, una Lecouvreur.

(campanello interno) 

È lui! Lo zio!

Tata           È inutile, l'amore ti bussa al cuore quando meno te lo aspetti... (campanello interno)  Vengo!... Non so se devo piangere o ridere... Sapete che voglio fare?

Don Guglielmo   (entrando a tempo)  Tata! Siete diventata sorda?.

Tata           Stavo per rispondere.

Don Guglielmo   Andate a mettere in ordine il letto.

(Tata esce)

Non sono riuscito a dormire tranquillo. Ogni tanto sognavo fiamme, pompieri, soldati. Che scherzi da idiota! Far correre il rischiò di rimetterci la pelle. Feci male ad uscire: avremmo dovuto restarcene in casa come rutti gli altri giorni. Meno spavento e meno soldi spesi. Meno male che quelle buone signorine ti accompagnarono qui; io, che vuoi, fu tale lo sgomento, che mi uscisti di mente totalmente. Chi erano?

Giulia         Erano anche loro al ristorante e... non so altro.

Don Guglielmo  Sempre sgarbata sei con me: perché? (siede)  Vieni, avvi­cinati e siedi accanto a me.

Giulia         (con inchino)  Grazie, preferisco restare in piedi, zio.

Don Guglielmo   Bene, resta in piedi. Ti sei spaventata molto, ieri, povera bamboletta mia? Che vuoi farci! Nella vita c'è sempre il pericolo di imbattersi in un pazzo o in un idiota, come quel  tale signor Venanzio filosofo. Non disse il falso, però... l'incendio c'era... ma non nel nostro palazzo...

Giulia         E... dove, zio?

Don Guglielmo    Nel mio petto. (la rincorre per la scena)

Giulia         (evitandolo)  Non capisco.

Don Guglielmo   Mi piace la tua ingenuità, bamboletta mia. Ho fatto be­ne a farti crescere lontano dalla corruzione della vita moderna. Ora voglio dirti una cosa che, finora, per tante circostanze non ti ho potuto dire con chiarezza. Tu sai che dopo la morte di tuo padre, mio carissimo cugino, ti accolsi in casa e a poco a poco, piano piano, presi a considerarti «padrona» di questa casa... ora... io sono ricco, lo sai... e se fino ad oggi non ho voluto prender moglie, è stato perché mai mi è capitato di tro­vare la donna ideale... ma ora, che l'ho trovata — mia cara  —  indovina chi penso di sposare? Te, mia bella nipotina!

Giulia         Me?!

Don Guglielmo   Conosci bene il mio carattere: diventerai la padrona di tutto, sarai invidiata da tutti. Quando sarò morto, sai che somma ti lascerò? Cinquemila scudi!

Giulia         Ma io ho una dote considerevole che mi lasciò mio padre.

Don Guglielmo   E non ti piacerebbe che aumentasse? Se avremmo dei bambini?...

Giulia         Noi... dei bambini?

Don Guglielmo   Naturalmente. E tanti, ne avremo. Pensaci bene. Non voglio che tu prenda delle decisioni affrettate. Il matri­monio è una cosa seria.

Giulia         Va bene, zio, ci penserò... e vi darò una risposta defini­tiva. (campanello interno)

Don Guglielmo    Viene gente. Vai di là, bella mia.

Giulia         Non potrei restare?

Don Guglielmo  Tesoro mio, è certamente gente che viene per parlare di affari. Non mi piace di trattare gli affari te presente.

Tata           (entra da destra)  Ci sono degli stranieri. Sono dei fran­cesi... due signori e una signorina. Hanno portato una sta­tua! (a Giulia, con intenzione)  Una statua. (a Guglielmo) L'ho fatta sistemare dietro la tenda... (indica l'alcova in fondo al centro, con tenda spiegata)  ...come usate fare con i quadri per osservarli bene da lontano. Don Guglielmo   Bene. Fai passare questi francesi...

Tata           Li faccio passare?

Don Guglielmo    Vuoi lasciarli fuori?

Tata           Ma sono francesi...

Don Guglielmo  Ebbene? Non si tratterà di una invasione francese...

(Tata esce per la destra)

Giulia, lasciami solo. È Giuseppe che, quando si tratta di un buon affare, mi manda i clienti in casa.

Giulia         Vorrei rimanere, zio... non ho mai visto dei francesi da vicino...

Don Guglielmo  No, cara... lasciami solo con loro.

(Giulia esce per la sinistra indispettita)

Tata           (entrando e parlando verso destra)  Si accomodino! (musica)

(Entrano Angelino, Marilena e Sasà Cicci. Angelino e Sasà sono in abito nero, cravatta nera, guanti e cap­pello a cilindro nero in testa. Marilena è in veste nera, con largo cappello e ampio velo nero che le copre il volto, guanti neri e fazzoletto listato a lutto tra le mani. Entrano a ritmo musicale come a concerto, l'uno dietro l'altro con passo uguale, fermandosi, poi ognuno davanti a una sedia che Tata avrà pensato a sistemare loro dietro. I tre cantano, tutti e tre con le mani unite sul ventre, sinistra sotto e destra sopra)

Angelino    Da Parigi siamo arrivati...

A tre           (muovendo la testa verso la loro destra)  Eccoci qua! Eccoci qua!

Sasà Cicci Tristi siamo, mon Dieu, addolorati...

A tre           (c.s.)  O che dolor! O che dolor!

Angelino    Ma gli affari però sono affari...

Marilena     (braccia in  giù)  Sont les affairs...

A tre           (braccia in giù)  Sont les affairs... Som les affairs...

Cosicché nel cuor c'è un dolor... 

(portando la sinistra sul cuore e la destra poggiata sulla sinistra)

Non ci devi pensar!

(rimettono le mani sul ventre come prima)

Sasà Cicci Però nôtre pére.

(Tata esce in scena a ritmo musicale)

Angelino    Giammai non scordar...

Marilena     Evviva la France... (alza la mano destra)

I due uomini    Evviva papà!  (alzando la mano destra, poi tutti e tre riportano le mani sul ventre come prima)

Sasà Cicci Però nôtre pére... (c.s.)

Angelino    Giammai non scordar... (c.s.)

Marilena     Evviva la France... (c.s.)

A tre           E le frère Bignè!

(mano destra in alto, poi giù a tempo musicale e siedono tutti e tre insieme. La musica cessa, mentre i tre piagnucolano)

Don Guglielmo   (anch'egli piagnucolando)  Con chi, signori, ho il piacere di piangere? (si corregge)  Di parlare?

Angelino    Messié, voi siete messié Barbettoni antiquario?

Don Guglielmo   Sicuro!

Angelino           Vu nespà parlé fransé?

Don Guglielmo   No, signore. Io parlo italiano, un po' di bergamasco e veneto.

Sasà Cicci (quasi tra sé)  Meno mal... meno mal...

(Marilena gli dà di gomito per farlo tacere)

Angelino    (indicando Marilena e Sasà, oltre se stesso)  Noi siamo i fratelli Bignè di Paris. Signorina qui presente essere mia sorell, nostra sorell...

Don Guglielmo   Ah? È una signorina? (al pubblico)  Mi era parsa un carro funebre...

Angelino    Lei non parlare italian, perché esser premier fuà che essere venuta in Italì... Siamo venuti per un grande affar, messié. Nostro padre Jack, morto da un mese, era un grande artista celebre. Grande scultor e scienzia­to. Avere fatto cento invension e cinquanta scopert.

Marilena     (scoppia a piangere)  Ih! Ih! Ih! Ih!

Sasà Cicci (per consolare Marilena)  Sorel!

Marilena     Fratel! (piangono tutti e tre)  Ih! Ih! Ih! Ih!

Don Guglielmo   (tra sé)  Non saranno mica jettatori?

Marilena     (solleva il velo e scopre il viso pallidissimo)

Don Guglielmo  (tra sé)  Finalmente, un po' d'aria.  (al pubblico)  Mio Dio com'è pallida... fa paura!

Marilena     (con tono lamentoso)  Messié, mon pèr avet a Paris iun reputasion mondial. Sé nombrose decouvert liui on donné la mort. Il le disé suvan: Ma ffie, ma ffie bienemé, ma ffie malrose, je sé che me fors von me manché e che l'eur fatai s'approshie! Il ascevà son dernicr uvra-ge, e aprè uits jur iun fievre terrible lapportà! Tut la press s'acchiupà de liui apre sa mort, me sepandant il na lessé che son dernier uvrage pur l'Esposision de Parig: la statiu de Juliò Cesar amperor de Rom. Messié, je desir la vandre et avec l'argian che j'anoré, je ve fer clevé an tombò...

A tre           (ripetono)  An tombò!

Marilena     ... pour nôtre  povre père!

A tre           (ripetono)  An tombò!

Angelino    Adesso tocca a voi rispondere, signore.

Don Guglielmo   Io non ho capito una parola. Ho capito: Bombò, bombò!

Angelino    (alzandosi)  Si tratta di una statua rappresentante Giulio Cesare. Questa statua essere di composizione gomma-metallic da confondersi avec le marmò. Mediant un meccanism interno et una manivell esterna, girando da due a dieci volte la statua può cambiar tutte le posizion. Ora, noi vogliamo vendere statua in Italì per far conoscere estero grande scienziato frances nostro padre. Ci hanno det di venire da voi, grande antiquario. Eccoci qua.

Don Guglielmo   Cari amici, la cosa mi interessa. Io sono amante dell'ar­te. Vorrei vederla, questa statua:  dove l'avete?

Angelino    Attandé. Assié vu...

Don Guglielmo   Come?

Angelino    Assié vu.

Don Guglielmo   Non capisco...

Angelino    (scandendo le parole e facendo il gesto)  Assettateve.

Don Guglielmo     Capisco. Però...

Angelino    Fé silans.

Don Guglielmo     Volevo dire...

Angelino    Fé silans...

Don Guglielmo     Ma...

Angelino    (imperioso)  Fé silans.

Don Guglielmo     (al pubblico)  Fessi là, ho capito. (va a sedersi al tavo­lino di sinistra)

Angelino    Ecco, regardé. (apre la tenda)

(Sotto l'arco si vedrà Peppino vestito di bianco, ad imitazione di una statua. Indossa un abito da guerriero romano. Rappresenta Giulio Cesare. Nella mano destra tiene il brando e ha la mano sinistra appoggiata sul fianco. In testa ha l'elmo. È situato su di un piedistallo bianco, a sinistra del quale c'è una manovella con forte scatto a molla)

Don Guglielmo  (compiaciuto)  Bellissima davvero. E non è marmo?

Angelino    No! Essere composizione gomma metallo. Se toccare, dito  affondare sul corpo come  fosse carne di uomo vero...

Don Guglielmo   (va a toccare la statua)  Vorreste farla muovere, per fa­vore?

Angelino    Assié vu e fé silans.

Don Guglielmo     Sì, ma...

Angelino    Fé silans.

Don Guglielmo  (andando al suo posto)  I fessi qua, va bene. (siede)

Angelino    Due scatti:  abbassa il braccio sinistro, alza il destro e guarda a sinistra. (esegue gli scatti, e Peppino comica­mente e meccanicamente, a piccoli scatti, esegue il mo­vimento)

Don Guglielmo    (ammirando)  Magnifico.

Angelino    Tre scarti: alza il braccio sinistro e mostra il nemico, abbassa il braccio destro e guarda in alto. (esegue a ritmo e il movimento avviene come a concerto)

Don Guglielmo   Bella.  Bella davvero.  Potrei osservare un altro movi­mento?

Angelino     (un po' impacciato)  Un altro?! Beh, sì... Quattro scatti: dopo la battaglia...

Marilena     Aprè la bataije... (piange smoderatamente)

Don Guglielmo   Quanto è brutta.

Angelino    Aprè la bataije: abbassa il braccio sinistro, lo unisce col destro, china la testa sul petto! (Peppino esegue i movimenti descritti come a concerto)

Don Guglielmo   Che magnificenza! Amici, la statua mi piace e la compero. Qual è il suo prezzo?

Angelino    Trecento scudi.

Don Guglielmo   Credo che potremo intenderci. Intanto avrei l'intenzione di mostrarla al mio stimatore di oggetti antichi, Giuseppe. Lasciatemela tutta la giornata e la notte, e doma­ni a quest'ora vi darò la risposta definitiva.

(qui avviene un gioco scenico con sole azioni di movimento da parte di Peppino il quale, impressionato di dover rimanere in quella casa tutta la notte, si gira verso Angelino quasi a voler commentare la cosa; Angelino lo rassicura e tra i due si intreccia una discussione a gesti mentre Angelino parla anche con Guglielmo, ma poi questi, insospettito, fissa la statua e Peppino si rimette immobile nella posi­zione iniziale. La scena si ripete una seconda volta, avendo cura di non eccedere di misura nella durata) 

Intanto vi rilascerò una regolare ricevuta, accollandomi tutte le responsabilità. Va bene?

Angelino    Ebbene, sia così. Fateci la dichiarazione, prego.

Don Guglielmo    Immediatamente. Abbiate la bontà di aspettare cinque minuti, prego. (esce per la sinistra)

Angelino    (a Peppino)  Scendi.

Peppino      (scende dal piedistallo e viene avanti togliendosi la ma­schera)  Sono in un bagno di sudore. La carrozza è giù: dov'è la ragazza? Chiamatela! (esce di scena, poi ritor­nerà)

Angelino    (chiamando)  Signorina Giulia!

Sasà Cicci  (a Marilena)  Come state bene vestita di nero... Anche Fragoletta sarebbe stata bellissima. Perché non l'avete portata con voi?

Marilena     State zitto! Vi pare il momento di fare il cretino pensando a Fragoletta?

Giulia         (entrando insieme a Tata)  Siamo qui, e allora?

Angelino    (mettendosi tra Giulia — che ha alla sua destra Tata — e Marilena — che ha alla sua sinistra Sasà)  Bisogna scap­pare, presto. Il mio padrone ci aspetta nel caffè all'an­golo.

(rientra Peppino e si pone a ministra di Sasà. I sei formano quindi una fila quasi alla ribalta, viso al pub­blico)

Giulia         Scappare? Così, da un momento all'altro?

Marilena     Non c'è tempo da perdere, signorina.

Tata           Io, cosa debbo fare?

Angelino    Scappare con noi.

Tata           La chiave dell'ingresso l'ho ancora io.

Peppino      Presto, o saremo rovinati. Andiamo.

(si avviano quasi di corsa, l'uno dietro l'altro, voltandosi tutti sulla propria sinistra, verso l'uscita a destra, ma si sente un campa­nello suonare a lungo. È l'ingresso)

Tata           L'ingresso!  

(tutti si sono fermati, l'uno dietro l'altro chinati nel movimento della corsa, poggiando le mani sui fianchi del personaggio che precede, e con la testa voltata sulla loro destra, quindi verso il pubblico)

Peppino      Chi sarà?

Giulia         Non so!

Marilena     Come si fa?

Don Guglielmo (d. d.)  Tata! Tata!

(tutti si girano di scatto sulla loro destra e prendendo la medesima posizione chinata e con le mani sui fianchi del personaggio che sta davanti e questa volta guardando verso la parte di dove è venuta la voce di Don Guglielmo)

Tata           Il padrone mi chiama!   (il campanello suona ancora) L'ingresso! Mio Dio!

Giulia         Io scappo in camera mia!  (esce di corsa verso destra)

Marilena     (a Peppino)  Vorrei scappare anch'io!

Sasà Cicci E io?

Peppino     Non  facciamo confusione, (a Marilena)  Tu vattene e aspettami a casa.

(Marilena via)

Angelino    Che diremo al vecchio se cerca Marilena?

Don Guglielmo (entrando)  Tata!

(sorprende Peppino che è salito sul piedistallo solo a metà, lasciando un piede a terra, e ha la testa nascosta dietro il braccio sinistro e la destra, con la spada in pugno, spinta in avanti in modo scomodo)

Beh? La statua ha cambiato posizione, messié?

Angelino    Ho fatto cambiare io posizione. Adesso subito la ri­metto a posto. (gira la manovella e, a scatti, Peppino si rimette nella posizione iniziale)  Ecco fatto.

Don Guglielmo  (a Tata)  Tata, hanno suonato. Non fate entrare nessuno: vi chiamerò io.

(Tata esce per la destra)

Adesso vi completerò la ricevuta. (siede al tavolino e scrive)

Angelino    (piano a Peppino)  Aspettaci nascosto nell'ingresso. Quan­do usciremo noi, uscirai anche tu. C'è la porticina, qui a lato. (tira la tenda e nasconde Peppino)

Don Guglielmo   Eccovi la ricevuta. E vostra sorella, dov'è andata?

Angelino    Ha lasciato i suoi saluti. I le sallé.

Don Guglielmo     Come?

Angelino    Non avete capito?   

Don Guglielmo   No.

Angelino    E allor non fa nient.

Don Guglielmo   Bene. Intanto, per il prezzo della statua ci metteremo d'accordo. Eccovi la ricevuta.

Tata           (entrando)  C'è il dottor Bocci.

Don Guglielmo     Avanti.

Bocci          (entrando su invito di Tata)  È una meraviglia, quel cane mobile... fa impressione, tanto è naturale.

(Tata porta via le sedie dalla scena)

Don Guglielmo     Dottore, vi presento i Signori Bignè di Paris.

(saluti e strette di mano)

Bocci          Piacere. (piano ad Angelino)  Sono stato avvertito. Poco fa, Fragoletta mi ha detto di venire subito qui, di prece­derla,  e  poi assecondare gli avvenimenti. Si  tratta di un bebè... Angelino     Un bebè?

Bocci          Un bebè, un bebè... (don Guglielmo si sta avvicinando e allora cambia argomento)  Bene, bene... Io essere stato a Parigi, molto bella città.  Il Louvre, la Operà, Campi Elisi... che città. Che grande città.

Angelino    Arrivederci, messié.

Don Guglielmo   A domani, signori.

Angelino    Dottore!  (piano a Bocci)  Attenzione, mi raccomando.

Bocci          (piano)  D'accordo. Ci vedremo stasera, e speriamo.

Don Guglielmo     Tata, accompagnate i signori, presto.

Tata           Subito. (ai due)  Prego.

Angelino   (mentre esce, le dice piano)  Stella d'oro!

Tata           Mio Romeo!

Angelino    Amore mio!

Tata           Tesoro mio. (escono)

Don Guglielmo    Come mai qui, dottore? Sto bene, sapete?

Bocci          Una visitina fa sempre bene. Capisco che non sono il vostro medico curante ufficiale... non mi è dato questo onore.

Don Guglielmo   Dottore, speriamo che non l'abbiate mai: ci tengo a star bene!

Bocci          Scherzo. In verità sono venuto per ammirare il pezzo raro che è quel cane mobile. Che intaglio, che espressio­ne. È del Settecento?

Don Guglielmo   Sì, è di marca francese. L'ho acquistato per poco, sa­pete?

Bocci          Avete intuito voi per i pezzi di valore.

Don Guglielmo   Faccio questo mestiere da quarant'anni.

(campanello interno)

E adesso, dottore, preparatevi a trasecolare. Ve­drete la meraviglia delle meraviglie. La statua di Giulio Cesare imperatore de Rom. Non parlo molto bene il francese.

(internamente gran vocio)

Che accade?

Tata           (d.d.)  Non posso farvi passare.

Fragoletta (d.d.)  Ho bisogno di parlare a sua eccellenza. Ho biso­gno della udienza.

(si precipita in scena, vestita da don­na del popolo, e parla con accento smodato e frasi sgram­maticate)

Don Guglielmo  Come vi permettete?

Fragoletta (gli si inginocchia davanti)  Signore! Sono una donna ignorante e senza istruzione: mi scuserete come mi il­lustro! Tutto il quartiere conosce il vostro buon cuore e tutti sanno che non ha il pelo sopra. Aiutatemi: son una povera derelitta abbandonata!

Don Guglielmo   Che volete da me?

Bocci          Via, via, buona donna... (prende per un braccio Fragoletta e la invita ad uscire)  Su... su... andate...

Fragoletta  (sottovoce a Bocci)  Dottore, assecondatemi!  Sono Fragoletta, la sorella di Peppino. (ad alta voce)  Aiutatemi! Aiutatemi!

Giulia         (entrando)  Che succede?

Fragoletta (andandole incontro)  Signorina, cara,  quanto siete bella. Anche voi mi dovete soccorrere. Soccorrete questo cen­cio di straccio umano. Sono napolitana, sono la sorella di Filomena, quella donna anco lei napolitana, che ha il negozio di verdure sull'altra strada all'angolo del canto­ne della cantonata. Per un voto fatto alla Madonna dei sette dolori, mi sposiedi a Napoli tre anni fa con un er­gastolano graziato e ci comportammo a Roma con la famiglia. Dal matrimonio, scaturì alla luce del sole Ce­lestino, un amore di rampollo nionato! Ebbene, stamat­tina mio marito mi aveva malamente malmenata; Cele­stino ha detto: «Papà, mo te sputo in faccia» Non lo avesse fatto maio! Mio marito ha detto: «Se quando rincaso a casa mi fai trovare questo fetente, io gli spacco il capoccione». Tra poco mio marito rincasa a casa... per carità, tenetevi per questa sera mio figlio qui, domani me lo riprendo! Salvatelo! Sanno tutti quanto siete ospedale! (passeggia agitata per la scena)

Tata           Povera donna!

Bocci          Povera madre!

Giulia         Non piangete, buona donna! Zio...

Don Guglielmo  Mia cara, io devo badare ai miei affari...

Giulia         ... Ci baderanno gli altri:  avete tanti impiegati a vostra disposizione. Staremo attente noi, al piccolo bebè!

Bocci          Già... starebbero attente le donne, al bebè!

Fragoletta Si tratta di un giorno solamente; poi, me lo riprendo e vi sarò irriconoscente per tutta la vita! (battendo il pie­de a terra con forza, pesta il piede di Guglielmo)  Giuro! Giuro che se mi spaccano il capoccione a Celestino mi suicido con le mie stesse mani!   (passeggia  agitata)

Giulia         No, no, mia cara. (a Guglielmo)  Zio! Vi prego! Ma non avete proprio cuore? Dottore! Diteglielo voi.

Bocci          In fondo si tratta di una mezza giornata.

Don Guglielmo   Bene, ti accontento. Proteggeremo questo bebè.

Bocci          Dov'è il bebè?

Fragoletta  Giù al portone con una mia compagna.

Don Guglielmo     Portalo su, purché si tratti di mezza giornata e che stia tranquillo.

Fragoletta Tranquillissimo! Quello sa conferire poco perché è sta­to sempre un po' deficiente di salute. Vado a rivelarlo e lo comporto qui. Grazie, grazie. (a Giulia, piano)  State in guardia... (forte a Bocci)  Grazie anche a voi! (piano) Vado ad avvisare Peppino... (a Guglielmo, forte)  Grazie, grazie! Che Dio vi faccia vivere cento anni... ma che cento, voi a cento già ci siete... Mille anni dovete cam­pare, mille anni! Grazie, grazie! (esce gridando): La Madonna m'ha fatto la grazia! Grazie Madonna!... (e continuerà a gridare all'interno, fino a disperdere la voce come in lontananza)

Don Guglielmo  Oh! Finalmente è andata via! Che chiacchierona. (a Giulia)  Bamboletta mia, sei contenta? Ho accondisceso al tuo desiderio. Daremo ospitalità a questo bebè. An­diamo dunque a vedere questo piccolo ergastolano in­nocente... Tata, fate portare il bambino in sala da pran­zo. (Tata esce)  Dottore, andate anche voi, per piacere: date una occhiata a questo bebè... non si sa mai, non voglio mettermi malati in casa. (Guglielmo a Giulia)  Tu, vieni con me. (Bocci esce)

Giulia          Volevo andare a vedere il bambino...

Don Guglielmo   Non voglio che tu veda nessuno.   (escono)

(Musica polketta)

(quando saranno usciti si leverà il fondale e dietro vi sarà Peppino camuffato da bambino di due anni. Egli è nel vuoto di un grande seggiolone, e tiene la testa ap­poggiata sul finto corpo di un piccolo bebè seduto sull’alto seggiolone. Mediante fili interni, fa muovere le gambe e le braccia del piccino. Piange. Poco dopo ab­bandonerà il seggiolone e verrà avanti. La musica cessa)

Scena seconda

Tata           (a Peppino)  Mio Dio, come siete brutto! Ma chi crederà che siete un bambino?  Siete impazziti  tutti?

Peppino      Il dottore,  dov'è  andato?

Tata           È andato a chiamare don Guglielmo.

Peppino      Vi giuro che, se  fossi ricco, farei testamento. Ho un brutto  presentimento:   oggi finirò all'ospedale.

Tata           Lo credo anch'io,  

(Sentendo parlare dall'interno, Peppino ritorna in fretta dietro il seggiolone, fingendosi bambino e piange)

Don Guglielmo   (entrando  con  Bocci)  Dunque, dunque:   vediamo que­sto Celestino. Avete detto che il ragazzo sta bene  in salute, vero, dottore?

Bocci          Abbastanza, abbastanza.

Don Guglielmo  (guardando Peppino)  Quello è il bebè? Non mi piace, in verità. (fa per andare verso Peppino, ma Bocci lo trattiene)

Bocci          Guardatelo da qui.  (si mette a lato della scena, a si­nistra, con don Guglielmo)

Don Guglielmo    Da qualsiasi parte lo si guardi, è sempre brutto.

Bocci          Povero innocente.

Tata           È molto carino, vero?

Don Guglielmo  (fa per avvicinarsi a Peppino)  Dimmi una cosa, pic­colo...

Bocci          (trattiene don Guglielmo)  Non vi avvicinate. Vedendo delle facce nuove potrebbe mettersi a fare i capricci, o spaventarsi.  (Peppino piange)  Lo sentite?  (si avvicina a Peppino)  Zitto, piccolino, zitto.

Tata           Zitto. (Peppino continua a piangere)

Don Guglielmo Però se piange troppo non sono il tipo che può sop­portarlo... (Peppino piange meno e imita il raglio dell'asino)  Dottore, ma quello è un asino?

Bocci          Sarà forse affetto da tosse asinina.

(Peppino si calma)

Don Guglielmo  (a Peppino)  Bravo, così. Devi essere buono.

Peppino     Tì, tì, tì, tì, tì...

Don Guglielmo     Si dice  «sì», con la esse;  ripeti!

Peppino     Tì, tì!

Don Guglielmo    (rimproverandolo)  Con la esse! 

(Peppino piange forte)

Tata           Non lo fate piangere, povero bambino... (a Peppino) ...zitto cocco bello, zitto cocco bello..

Don Guglielmo     Zitto cocco bello...

Bocci          Zitto cocco bello...

(tutti e tre battendo le mani come per giuoco cercano di calmare Peppino che infatti si calma)

Giulia         (entrando da sinistra)  È questo il piccolo Celestino?

Don Guglielmo     Sicuro. Non è molto bello.

Giulia         No... è simpatico. 

(Peppino agita la testa)

Don Guglielmo   (prendendo  a parte il dottor Bocci)   Dottore,  non vi pare che abbia la testa un po' troppo grossa?

Bocci          Si tratta di un mongoloide! Sono i caratteristici aspetti somatici di bambini affetti da rachitismo costituzionale.

Don Guglielmo   Fa impressione a guardarlo. (fa per avvicinarsi a Pep­pino)

Bocci          Non vi avvicinate!

Don Guglielmo     È infettivo, il mostro?

Bocci          No, ma sono sensibili e per niente si mettono a pian­gere. (Peppino piange)

Tata           (come nella scena precedente)  Zitto cocco bello...

Don Guglielmo     (anch'egli battendo le mani)  Zitto cocco bello...

Bocci          (battendo le mani come per gioco)  Zitto cocco bello.

Giulia         (come gli altri)  Zitto cocco bello...

(Peppino si calma e a Guglielmo, che gli si è avvicinato troppo, manda sul viso grandi boccate di alito)

Don Guglielmo  (scansandosi disgustato)  Dottore, ma questo ragazzo ha l'alito che puzza di tabacco!

Bocci          Non si tratta di tabacco. Sono le ghiandole salivali che in questa malattia trasudano umori cosiddetti «tabacustrittico ».

Don Guglielmo     Che stranezza.  (si avvicina a Peppino)  Dimmi, Celestino, dov'è la mamma?

Peppino      Non lo tò. (muove la testa da sinistra a destra)

Don Guglielmo   Che testa enorme...   (a  Celestino)   Dimmi, Celestino, perché il papà ti ha picchiato?

Peppino      Perché è un fetente!

Don Guglielmo     No!  Non si dice!

Peppino      Tì! Tì!  Ti dice!

Don Guglielmo     Non si dice!

Peppino      Tì! Tì!  (piange)

Tata           (come precedentemente)  Zitto cocco bello... zitto cocco bello... (batte le mani ritmicamente)

Giulia         (c.s.)  Zitto cocco bello...

Don Guglielmo     (c.s.)  Zitto cocco bello...

Bocci          (c.s.)  Zitto cocco bello...

(queste esclamazioni diverran­no, naturalmente, un coro cadenzato. Peppino si calma)

Don Guglielmo     Bravo, così.

Peppino      Vollo la pappa!

Tata            Sì, coccobello, te la porto subito. (esce)

Peppino      Vollo la pappa! Vollo la pappa!

Bocci          Non piangere: ora te la porteranno, la pappa. (si avvi­cina a Peppino e questi gli morde un dito)

Peppino      (guardando minaccioso Guglielmo)  Vai via!  Vai via!

Don Guglielmo  Sì, sì... adesso me ne vado... Io esco, Giulia, forse tor­nerò subito, ma se dovessi tardare ti raccomando il pic­colo. Finché la madre non lo riprenderà, ne siamo noi responsabili.

Giulia          Va bene, zio.

Don Guglielmo   Scendete, dottore?

Bocci           Veramente... non so... (scambia segni di intesa con Peppino)

Don Guglielmo     Come, non sapete? Vorreste restare qui? E che ci fate?

Bocci          Scendo con voi.

Don Guglielmo   (a Peppino)  Se stai buono, lo zio ti porterà le caramelle.

Giulia         E la zia ti darà tutto quello che vuoi.

Peppino      Bella, la zia!... Bella! Bella! Bella!   (a Guglielmo)  Brutto, lo zio: brutto, lo zio! Cap' 'e vacca! (tira fuori la lingua e gli fa pernacchie e fischi)

Don Guglielmo    Che lingua grossa che hai! (si avvicina)

Peppino      (minaccioso a Guglielmo)  Vai via!   (gli manda grandi boccate di alito sul viso)

Don Guglielmo    (si allontana disgustato)   Mamma  mia,  che  fiato  puz­zolente.

Bocci          Non digerisce il latte, povero cocco.

Don Guglielmo     Che latte?! Quello mangia cavoli, cipolle, immondizia. (fa per andare)

Giulia         Zio... chiudete la porta d'ingresso a chiave?

Don Guglielmo     Certo. Perché?

Giulia         ... se viene lo zio Giovanni!

Peppino      (ripete)  Se viene lo zio Giovanni?

Don Guglielmo   Zitto tu!  (a Giulia)  Aspetterà in negozio. (chiamando forte)  Tata! Tata     (entrando)  Eccomi!

Don Guglielmo     Datemi  la  chiave.   (la prende)   Per  carità,  non fatelo piangere.

Tata           Andate tranquillo.

(Peppino piange forte)

Don Guglielmo   (a Bocci) Andiamo via: mi duole la testa.  (esce con Bocci)

Tata           (a Peppino  che viene avanti)  Che avete combinato?

Giulia         Siete pazzi, pazzi tutti. Enrico dov'è?

Peppino      All'angolo della strada. Ci sta aspettando in coupè. An­diamo via subito.

Giulia         Non è possibile scappare: lo zio ha portato via la chiave.

Peppino      Forziamo la porta. (si avviano)

Giovanni    (parla dall'interno)  Meno male che t'ho trovato ancora qui, Guglielmo, altrimenti mi toccava aspettarti giù in negozio.

Giulia         (spaventata)  Lo zio Giovanni! 

(Peppino ritorna al suo posto e Giulia esce rapida)

Giovanni    (entrando, a Tata)  Chi è questo bebè?

Tata           È il piccino di una brava donna che lo ha portato qui per salvarlo dalle percosse del padre che è un cattivo uomo. Don Guglielmo le ha permesso di portarlo in casa.

Giovanni    Com'è brutto. Ha pure i baffi.

Peppino      Vollo la pappa! Vollo la pappa! Vollo bere! Vollo bere!

Tata           Adesso vado a prendertela. (esce)

Giovanni    Come ti chiami?

Peppino      (piange)  Vollo la pappa... vollo bere...

Giovanni    Non fare i capricci. Se no, chiamo le guardie e ti faccio arrestare.

Peppino      (con voce falsa)  Tu fai arrestare me?

Giovanni   Sì, ti faccio mettere nella cella buia buia...

Peppino      (c.s.)  Vieni  qua,  avvicinati.   (Giovanni gli si accosta)  Più vicino... (non appena Giovanni gli sarà vicino, gli sputa sul viso)

Giovanni    Mascalzone!  

(Peppino ripete il gesto e, a soggetto, Giovanni esce per la destra, seconda quinta)

Peppino      (uscendo dal seggiolone e facendosi avanti)  Accidenti a lui. Uno se ne va e l'altro arriva. Voglio assicurarmi se la porta d'ingresso è davvero chiusa a chiave. (esce a destra)

Giovanni    (entrando con un piatto di pappa)  Eccomi qui, signo­rino... (osservando il seggiolone che presenta un bam­bino senza testa)  Dio mio! Hanno tagliato la testa al bebè! (nota che il seggiolone è vuoto dietro)  Acci­denti! È vuoto! Che significa ciò? È un imbroglio, e Tata e Giulia saranno al corrente della cosa... Aspetta! (si mette dietro al seggiolone, si finge bambino e piange)

Tata           (entrando da sinistra)  Ho portato un uovo di gallina, fresco fresco...  (vede Giovanni)   Il signor Giovanni?!

Giovanni    (piangendo)  Vollo la pappa...

Peppino      (entrando e vedendo Giovanni)  È fatta!

Giovanni    (piangendo)  La pappa... La pappa...

Peppino      Bene! Vuoi  la pappa?... To'... mangiala!   (prende la scodella con la pappa — che Giovanni aveva posato su una sedia vicino al seggiolone — e gliela butta in faccia a cucchiaiate, mentre cala il sipario-comodino, e finisce il quadro. Musica polketta fino al levarsi del sipario-co­modino)

(La musica cessa. Sono in scena Giovanni, Tata e Giulia. Sala grande)

Giovanni    Non credo niente di tutto quello che mi avete raccon­tato. Voglio sapere la verità: chi era quel mascalzone che si è finto bebè e poi è scappato?

Tata           Non sappiamo niente, ve lo giuro; certamente doveva essere un ladro, ed è stato un miracolo che siate arrivato voi, altrimenti cosa avremmo potuto fare noi donne, rimaste sole in  casa?

Giovanni    Un ladro?

Giulia         Sì, zio Giovanni, mi ha tanto spaventata. L'ho sorpreso in questa camera e m'ha detto con tono minaccioso: «Non gridare, altrimenti passerai un brutto quarto d'ora».

Giovanni    Cosa mi racconti? Sarà opportuno avvisare la gendar­meria qui vicino. Mi avete detto che quel bebè è stato portato qua dalla sorella della proprietaria del negozio di verdura qui all'angolo?

Giulia         Sì, zio!

Giovanni   Bene. Le faccio arrestare tutt'e due.

Giulia         Bravo, zio.

Giovanni    Per il momento è meglio che mio fratello non sappia nulla. Oltre che arrabbiarsi, potrebbe spaventarsi.

Tata           Che diremo, quando saprà che il bebè non è più qui?

Giovanni    Che si è sentito male, e la madre, avvisata da me, è venuta a prenderlo. (campanello interno)  Ecco mio fra­tello. Tata, andate ad aprirgli: non ha la chiave per­ché l'ha data a me prima di uscire. Eccovela. (le dà la chiave)  Tu, Giulia, vattene:   sei  sconvolta, non voglio che Guglielmo ti veda così.

(Tata è uscita)

Giulia         Sì, zio. (esce)

Giovanni    Che tempi! Che delinquenza c'è in giro!

Tata           (entrando)  Ci sono due forestieri: due turchi. Cercano don Guglielmo; ho detto loro che non c'è, ma hanno risposto che aspetteranno.

Giovanni    (sospettoso)  Che gente è? E perché non sono entrati in negozio prima di salire qua?

Tata           In negozio hanno detto loro che don Guglielmo era in casa. Li accompagna Giuseppe.

Giovanni    Allora falli entrare.

Tata           (alla porta di destra)  Favorite, signori. 

(musica)

Giuseppe    (entra seguito da Angelino ed Enrico, entrambi vestiti da turchi, con occhiali scuri)  Egregio signor Giovanni, Sua  Eccellenza non c'è?

Giovanni    No! Chi sono i signori?

Giuseppe    Due turchi; mi hanno detto che, secondo quanto af­fermano, hanno da proporre un ottimo affare.

Giovanni    (avvicinandosi ai due)  I signori scuseranno. Mio fra­tello non c'è, ma credo che tra poco tornerà. Se volete aspettarlo, sedete pure, intanto...

Angelino    Non capire. Voi andare: andare! (i due travestiti muo­vono i piedi a ritmo musicale)

Giovanni    Va bene... vado; Giuseppe, tieni compagnia ai signori turchi. Permesso...

I due          Andare...

Giovanni    Volevo dire...

I due          (con sgarbo)  Andare via!

Giovanni    Sì, ma...

I due          (sgarbatissimi)  Andare via:  via!

Giovanni    Vado, vado! Che scostumati. (al pubblico, uscendo per la destra)  A me la Turchia mi è stata sempre antipa­tica. (esce).

(La musica cessa)

Giuseppe    (ai due)  Vi prego di non servirvi di me.

Enrico        Si ricomincia? Avete accettato e basta! Volete rovinare tutto?

Angelino    Vi siete preso cinque scudi.

Giuseppe    È vero...  lo sapete, ho mia moglie ammalata e sono padre di cinque bambini... Solo per questo ho accettato il denaro.

Angelino    Il vecchio ha fiducia in voi e crederà ogni cosa. Siete o non siete il suo esperto di fiducia?

Giuseppe    Appunto per questo... Dopo?

Enrico        Dopo, tutto si aggiusterà.

Angelino    Vi ho già detto che a cose fatte ci saranno per voi altri cinque scudi.

Don Guglielmo  (entrando, e parlando verso l'interno a Tata)  Come, co­me? Il piccino è stato portato via? Perché, Tata?

Tata           (a voce alta, di dentro)  La madre è venuta a prenderlo.

Don Guglielmo   Meglio così. (vedendo Giuseppe)  Tu, cosa fai qui, Giuseppe? Perché non sei in magazzino?

Giuseppe    Questi due signori forestieri sono venuti in negozio a cercarvi:  si tratta di un ottimo affare...

Don Guglielmo    (inchinandosi ai due)  Gentilissimi...

I due          (si inchinano tre volte nel saluto, dicendo)  Salam!  

Don Guglielmo  (si inchina come loro ripetendo)  Salam!Mi dovete parlare  di salami, signori? (si corregge)  Di affari?

Angelino    Sicuro. (a Giuseppe)  Ballare voi.

Giuseppe    Vorrei, però...

Angelino    (c. s.)  Ballare voi.

Giuseppe    D'accordo, però...

Angelino

                          (minacciosi)  Ballare voi.

Enrico

Don Guglielmo     (a Giuseppe)  Balla, su. Se ti dicono di ballare...

Angelino    (a Guglielmo)  Non ballare con piedi, ballare con bocca.

Giuseppe    Vogliono dire: parlare.

Don Guglielmo     Parla, allora.

Giuseppe    Si tratta di questo: i signori sono proprietari di un mu­seo di antichità di tutte le specie...

(durante questa battuta, i due — Angelino ed Enrico — si gratteranno prima a una spalla, poi alla schiena, poi al ginocchio destro, provocando l'attenzione di Guglielmo che, suggestionato, si allontanerà dai due grattandosi per tutto il corpo) 

... Per ragioni economiche stanno vendendo una buona pane degli oggetti esistenti nel loro museo. Gli ultimi due pezzi veramente importanti sono: un tavo­lino consolle di ebano con rifiniture in bronzo e oro; il piano, spesso e solido, è sostenuto da un negretto di grandezza naturale finemente scolpito, con occhi incastonati di opalina bianca e corallo bruno delle Antille: una meraviglia, vi dico, una meraviglia di fattura.

Don Guglielmo  Bene. E il secondo pezzo?

Giuseppe    Oh, è un pezzo davvero eccezionale. Si tratta dello scheletro  mummia  del  generale  Alì 'O Bò!

Angelino 

                      (a due, con forza e tono alto)  Alì 'O Bò!

Enrico

Don Guglielmo   (spaventato)   Mio Dio! Cos'è?

(i due continuano a gridare: «Alì 'O Bò! Alì 'O Bò»)

Che paura!

Giuseppe    È il loro grido di guerra!

Don Guglielmo  Si tratta, hai detto, di una mummia?

Giuseppe    Del grande condottiero morto qualche secolo fa in terra di Egitto. Credo che non vi siano al mondo due pezzi di altrettanta rarità e interesse artistico.

Don Guglielmo  Bene, bene... vediamo pure questi pezzi... (ai due)  Ve­diamo, allora.

Angelino    (con la mano sinistra tenuta a pugno e il pollice teso, indica un punto dietro la sua spalla sinistra, ma poiché gli sta dietro Enrico, questi riceve il dito nell'occhio)  Qui... sul ballatoio!

Enrico        (portando una mano sull'occhio colpito  — il destro) Ahi!  (passa sul lato destro di Angelino)

Giuseppe    Li faccio subito portare.

Angelino    (con lo stesso gesto di prima, ma questa volta con la mano destra)  Potere chiedere aiuto vostro portiere?

Enrico        (ricevendo il dito nell'occhio sinistro)  Ahi!  (ritorna a sinistra dietro la spalla di Angelino)

Don Guglielmo   Sicuro, fate pure ciò che meglio vi pare.

Angelino    Allora noi andare. (fa con la mano sinistra ti solito ge­sto ed Enrico riceve il dito nell'occhio)

Enrico        Accidenti... stai attento!  (porta tutt'e due le mani sugli occhi ed esce a tentoni precedendo Angelino)

Angelino    (nell'uscire con Enrico si volta verso Guglielmo e sa­luta)  Salam... salam... salam... (i due escono dicendo cadenzatamente)  Alì  'O  Bò...  Alì  'O Bò...

Don Guglielmo  (a Giuseppe)  Non ti hanno parlato di prezzo?

Giuseppe    No, ma voi cercate di fare il vostro interesse... se gli oggetti vi piacciono, bene, se  no: no! Non vorrei avere rimorsi di coscienza.

(Angelino ed Enrico entrano dalla destra, portando in scena Sasà che si finge tavolino. È in maglione mar­rone, in capo il turbante, sul viso una maschera di maglia marrone con occhi e bocca dipinti, le mani coperte di guanti, calza scarpe di foggia turca, anelli alle orecchie ed al naso. Sostiene con le braccia un piano ovale di legno lucido nero intarsiato in oro e lacca rossa, appoggiato sulla testa. Appena in scena, a posto convenuto, dirà con filo di voce)

Sasà Cicci Ho le braccia e le gambe spezzate... la schiena mi fa male. Tutto per la mia cara Fragoletta...

Angelino    (sottovoce)  Silenzio!

(dietro i tre sono entrati, come a concerto, due facchini che portano un sarcofago, chiuso con chiave evidente e a questi Angelino dice) 

Piano, piano, mettete qui...

(indica un lato della scena di fronte al tavolo dove poi Guglielmo siederà e quasi di pro­spetto al pubblico) 

Ecco, bene. A voi, facchino.

(finge di dare una moneta a uno dei facchini [che è Marilena truccata con naso finto — evidente — baffi, sopracciglia molto grandi, pantaloni e giubbotto]  e le dice sottovoce) 

Attenta, Marilena...

Marilena     (sottovoce)  State tranquillo... (con voce alterata, rivol­gendosi quasi a don Guglielmo)  Adesso vado a bermi un bel litro di vino... (sputa in terra)  ...perché io sono facchino... (sputa in terra, andando verso l'uscita)  ... io sono facchino... (altro sputo in terra e via con l'altro facchino)

Don Guglielmo   Ma non è una buona ragione per bagnarmi il pavi­mento!

Angelino    Ecco, signore, il grande, l'eroico generale Alì 'O Bò... (apre il sarcofago)  Alì 'O Bò... Alìi 'O Bò...

(nel sarco­fago vi è Peppino camuffato da scheletro. Ha il viso coperto da maschera-teschio. Immobile, con le braccia lungo il corpo e la testa un po' chinata verso la sua spalla destra)

Don Guglielmo  (osservando da lontano la mummia con una lente)  In­tatto! Guarda, Giuseppe.

Giuseppe    Impressionante.

Angelino    Noi non volere perdere tempo, torneremo tra un'ora per accordarci sul prezzo. (indicando Giuseppe)  Il signore deve venire con noi.

Giuseppe    Perché?

Angelino    Il signore deve venire con noi!

Don Guglielmo    Ma il signore...

Angelino                                     

                      (imperiosi)  Il signore deve venire con noi!

Enrico 

Giuseppe    Forse mi vorranno parlare del prezzo...

Don Guglielmo     Vai, allora, e fammi sapere.

(Giuseppe si avvicina ad Angelino)

Angelino    (piano a Giuseppe)  Noi  aspettiamo nel ballatoio. La signorina Giulia è già avvisata. Peppino sa quello che deve fare. (a Guglielmo)  Salam...

Enrico        (salutando   col  gesto)   Salam...

Angelino    

                      (uscendo)  Salam...                                                                            

Enrico)

(escono con Giuseppe per la destra)

Don Guglielmo  (è rimasto solo, con il sarcofago e il tavolino. Guarda Lo scheletro  nel sarcofago) 

Si è conservato bene. An­che questo tavolino, in verità...  (col fazzoletto pulisce il  piano del tavolino)  Bello...

(osservando la faccia di Sasà)  Ha gli occhietti un po' sporchi...

(sputa sul faz­zoletto e cosi bagnato lo  passa sugli occhi di Sasà che mostra di fremere ma resta immobile) 

Mi viene un'idea! (al  pubblico)    ...voglio ritrarre uno schizzo sia dello scheletro che del tavolino, così, se non ci metteremo d'accordo sul prezzo, mi resteranno i disegni originali.

                  (va a sedere al tavolo della sala, mentre inizia in sor­dina la musica «Turchi») 

Ecco fatto.

(ha preso un foglio di carta e con la penna, guardando lo scheletro, traccia sul foglio alcune linee, poi riguarda lo schele­tro. Peppino, a questo punto, lo saluta con la mano destra. Guglielmo si gira verso il pubblico, spaventato, e dice) 

Lo scheletro mi ha salutato!

(guarda nuovamente lo scheletro: Peppino non si muove. Guglielmo, rassicurato, esclama) 

Non si muove. Che scherzi ti fa a volte, la fantasia alterata! Su, lavoriamo.

(fissa lo scheletro, poi traccia sul foglio alcune linee, guarda di nuovo lo scheletro e Peppino, salutandolo di nuovo, si mette a fare col corpo movimenti femminei e, in accompagnamento col motivo musicale, si mette a dan­zare sul posto. Guglielmo, spaventato, si gira verso il pubblico e dice) 

Lo scheletro si è messo a fare la fem­minuccia e poi si è messo a ballare!

(lo riguarda e Peppino balla ancora con ritmo più svelto. Guglielmo, girandosi verso il pubblico esclama col cuore in gola dalla paura) 

Mio Dio... balla, balla!...

(Sasà si mette piano piano a ballare anche lui sul posto, girando su se stesso con piccoli saltelli. Guglielmo grida) 

Anche il tavolino balla... aiuto... aiuto...

(dalla destra entra un ragazzo camuffato da scheletro, tale e quale a Peppino, prende il posto di Peppino nel sarcofago e si mette a ballare sul posto mentre Peppino si è nascosto dietro il sarcofago) 

Mio Dio... lo scheletro s'è accor­ciato...

(si nasconde gli occhi con le mani per non vedere. Peppino prende il posto del ragazzo e questi quello di Peppino. Guglielmo togliendosi le mani da­vanti agli occhi) 

Cielo aiutami... lo scheletro è cresciuto...

(i due scheletri ballano insieme e insieme ad essi il tavolino gira sul posto saltellando) 

Io muoio... muoio... mi si spezza il cuore...

(lo scheletro piccolo esce di scena) 

Aiuto...

(girerà intorno al suo scrittoio, trabal­lando sulle ginocchia e implorando «aiuto» fino a quando griderà «Tata!» e si fermerà ansimando e grondando sudore. Peppino e Sasà si fermano e restano immobili. La musica cessa di colpo. Guglielmo, calmatosi, guarda di nuovo lo scheletro, poi il tavolino e ve­dendoli fermi,  esclama rassicurato)  

Ma  guarda  questa fantasia eccitata... sono fermi...  immobili...  e lo scheletrino dov'è? Sparito!  Rimettiamoci al lavoro.

(osserva lo scheletro poi si mette a disegnare).

(Peppino esce dal sarcofago e vi si nasconde dietro. Guglielmo guarda e non vedendo più lo scheletro nel sarcofago esclama rivolto verso il pubblico) 

Lo scheletro è sparito?! 

(nell'attimo in cui Guglielmo  è girato  verso il pubblico, Peppino ritorna nel sarcofago rimettendosi nella posi­zione iniziale. Guglielmo guarda verso il sarcofago  e rivedendo lo scheletro dice verso il pubblico) 

Lo scheletro è tornato?!...  

(approfittando che Guglielmo è girato verso il pubblico, Peppino è uscito di  nuovo dal sarcofago e vi si è nascosto dietro come la prima volta. Guglielmo guarda di nuovo il sarcofago e non vede lo scheletro) 

È sparito di nuovo?!  Eh... no... qui ci dev'essere qualche cosa sotto... voglio vedere da vicino!

(si avvicina al sarcofago, ma nel passare datanti al tavolino, Sasà si lascia scappare: «Fragoletta mia ca­ra». Guglielmo si spaventa ed esclama) 

Mio Dio... ho sentito  parlare!  

(si avvicina al sarcofago e Peppino, alle sue spalle, gli sferra un poderoso calcio nel sedere, poi si nasconde. Guglielmo nel ricevere il calcio tra­balla e accelera il passo. Gira intorno al sarcofago se­guito da Peppino, poi si ferma tra il sarcofago e il ta­volino e dice al pubblico) 

Non c'è... è sparito! Che responsabilità! Adesso, sapete che faccio? Metto da parte il tavolino, lo metterò in cantina!  

(nel girarsi, si accorge che il tavolino si è spostato sulla sinistra, e, spaventato dice) 

Povero me, chi ha mosso il tavolino?

(Perfino si è rimesso nel sarcofago: Guglielmo si volta e lo vede) 

Lo scheletro è tornato...

(si gira verso il tavolino e questo, nel frattempo, si è più allontanato. Guglielmo grida)  

Il tavolino scappa!... 

(si gira verso il sarcofago e si accorge che lo scheletro è di nuovo spa­rito. Si spaventa e grida)

Lo scheletro è sparito di nuo­vo!  Aiuto!  

(scappa verso la sinistra e il tavolino gli corre dietro, si dirige verso il sarcofago e Peppino gli si presenta davanti ballando grottescamente. Ritorna il ragazzo scheletro e anche lui salta e danza. Guglielmo, più morto che vivo, fa un giro intorno al sarcofago: infine Peppino gli si para davanti e Guglielmo spinto da Sasà non trovando altra via di scampo, entra nel sar­cofago. Peppino chiude il sarcofago a chiave ed esclama)

Peppino      Ce n'è voluto per metterlo in trappola!  (si è tolta la maschera)

Don Guglielmo   (dalla cassa)  Aiuto!  Aiuto!

Peppino      (chiamando verso destra)  Ehi!  Venite tutti qui.

Enrico        (entrando da destra)  È fatta?

Peppino      Èin trappola!

(entrano Marilena, Angelino, Bocci, Giuseppe, Giovanni e Fragoletta da destra, Giulia e Tata da sinistra. Peppino esce di scena)

Marilena     (prendendo le mani di Enrico e Giulia)  Signorina Giulia, ecco il vostro sposo!   Siete contenta di sposarlo?

Giulia         Tanto, tanto! Ne sono infinitamente felice!

(i due gio­vani si abbracciano, in centro palcoscenico, mentre gli altri si dispongono a semicerchio. Poi anche Giulia ed Enrico prenderanno i loro posti, già stabiliti, nel semi­cerchio)

Giovanni     Che vuol dire dire ciò? Dottor Bocci!

(segnale musica)

Bocci          Non saprei...

Don Guglielmo   (dalla cassa)  Aiuto! Aiuto! Soccorso...

Bocci          (fa per aprire la cassa)  Lasciatelo uscire, per carità!

Marilena     (fermandolo)  Un momento!   (rivolta a Guglielmo)  Si­gnor Barbettoni, abbiamo combinato tutti questi scherzi perché vostra nipote possa sposare l'uomo che ama. Voi le date il consenso?

Don Guglielmo   (dalla cassa)  Mai, darò il mio consenso!

Marilena     (c.s.)  Bene. Allora noi ce ne andremo e vi lasceremo chiuso in questo sarcofago. Non passerà mezz'ora, e mo­rirete asfissiato!

Don Guglielmo   (dalla cassa)  No!  No!  Per carità, io soffro d'asma! Fatemi uscire!

Marilena     (c.s.)  Vi faremo uscire se darete a Giulia il permesso di sposarsi.

Don Guglielmo   (dalla cassa)  Sì... sì... sì...

Marilena     (c. s.)  Proprio sì?

Don Guglielmo  (dalla cassa)  Proprio sì.

Marilena     E le darete la dote che le spetta?

Don Guglielmo   (dalla cassa)  Sì... sì... ma fatemi uscire, per carità. Sof­foco!

Marilena     (aprendo la cassa)  Bene!  Eccovi la libertà!

Don Guglielmo   (uscendo traballando e quasi soffocato)  Aiutatemi. As­sassini!

(viene aiutato da Bocci e Giovanni ad andare a sedersi su una sedia quasi al centro del palcoscenico verso sinistra. Seduto, dirà) 

Disonorata! Parenti e servi infedeli!  Impiccarvi tutti, vi si dovrebbe: tutti.

Giovanni    Povero Guglielmo... io ignoravo tutto.

Don Guglielmo   (scostandolo)  Non ho più fratello. Ti diseredo. Diseredo tutti!  (a Tata)  Nemica pagata!

Tata           Io non ho fatto niente, eccellenza. Sono stata costretta.

Marilena     Eccellenza, tutta questa gente non ha nessuna colpa. Le finzioni siamo stati noi a provocarle affinché la signorina Giulia potesse  sposare l'uomo del suo cuore.

Don Guglielmo   (furioso)  Non sento ragioni! Giulia deve sposare me! (tutti ridono)  Giulia deve sposare me!   (tutti ridono) Giulia deve sposare me!   (tutti ridono)  Che avete da ridere, non sono un uomo, forse?

Giulia         Siete un uomo, ma io non vi voglio sposare. Non vi voglio, non vi voglio, non vi voglio!  (presentando Enrico)  Ecco l'uomo che voglio sposare e che sposerò!

Enrico        (presentandosi)  Conte Enrico De Frai.

Giovanni    Un aristocratico?  Bene!

Don Guglielmo  Aristocratico dei miei stivali!  Ricorrerò in Tribunale. In un convento di clausura, finirà. Chiamerò i gendarmi.

Enrico        Non lo permetterò mai. Avrebbero a che fare con la punta del mio stocco!

Giovanni    (sottovoce a Guglielmo)  Lasciali stare, Guglielmo: sono giovani e si amano; che figura ci fai? Sei un uomo serio.

Don Guglielmo  (come preso da improvvisa idea)  Un momento... E la statua di Giulio Cesare... 

(Peppino sta rientrando, col suo abito da suonatore ambulante)

Peppino      Ero io. E anche il bebè ero io. E prima, il filosofo Venanzio; e poi la mummia.

Ragazzo     Io lo scheletrino.

Angelino    (venendo avanti e inchinandosi quasi al pubblico)   Io sono stato uno dei fratelli Bignè, e un turco!!

Marilena     (c. s.)  Io, la signorina Bignè e poi... un facchino!

Fragoletta E io la madre di Celestino, il bebè!

Sasà Cicci Io il fratello di monsieur Bignè e il tavolino!

Enrico        E io un turco... Salam!

Don Guglielmo  E io il salame che ha creduto a tutte queste finzioni. (a Bocci)  Voi, dottor Bocci...

Bocci          Sono stato obbligato... e poi, m'è parsa una cosa logica: Giulia è una ragazza, e voi...

Don Guglielmo    Vi credevo un uomo più serio. (a Giuseppe)  E anche tu?  Bravo!  L'uomo di fiducia... faremo i conti... con tutti!  Con tutti!  Andate via immediatamente!

Marilena     Eccellenza! È stato uno scherzo...

Tutti           ... di Carnevale!

Don Guglielmo  Un corno! Via tutti! Via tutti! Che sposi chi vuole. Le darò la sua dote, ma non voglio più vederla. Sposi chi vuole! Sposi chi vuole! Mi sento male!!!

(esce seguito da Giovanni e Bocci)

Tata           (ad Angelino)  E noi, mio Romeo, quando ci sposeremo?

Angelino    Tata!? Non l'avete capito? È stato uno scherzo...

Tutti           ... di Carnevale!

Angelino    Io sono già sposato con otto figli.

Tata           Oh!  Che canaglia!

Sasà Cicci E io, signor Peppino, potrò sposare Fragoletta?

Peppino      Ma sì, sposatela.

Enrico        Caro Peppino, manterrò la mia promessa. Non vi mancherà più nulla.

(rientrano Bocci e Giovanni)

Giulia         E grazie di cuore per tutto quello che avete fatto per noi.

(Introduzione musicale. Tutti sono in semicerchio)

Canto

Marilena     E qui la commedia è finita comincia il sipario a calar, se la storia non vi ha divertiti... miei signori vorrete scusar...

Tata           Scuserete la Tata vezzosa...

Angelino    E il furbo servitor!

Giulia         Scuserete la giovane sposa...

Enrico        ... il suo amante...

Giovanni    e suo zio professor!

Peppino      Il vecchio antiquario gabbato...

Fragoletta (inchino di Fragoletta)

Sasà Cicci  (inchino di Sasà) 

e Marilena... (inchino di  Marilena)

Tutti           Tutti insieme siam qui sulla scena... per farci da voi perdonar.

Peppino      Se un applauso sincero vorrete far

felici saremo, signor.

Fragoletta (che subito dopo il suo inchino si è allontanata, rientra trascinando Don Guglielmo, fino al centro della scena)

Quanno ammore non ce sta...

bello mio nun c'è che ffa!

Tutti           Quanno ammore nun ce sta...

bello mio nun c'è che ffa!

Fragoletta  (a Guglielmo - coreografia come a concerto)

Tu si' nu vecchio scuffiato e strutto,

quanto si' bruno,

quanto si' brutto (indica Giulia e Enrico)

Chesta è na coppia ca tene tutto:

ammore tiennero e felicità!  (rivolgendosi a Giulia)

Cu st'uocchie curvine e sta vocca

pare 'e curalle

pare 'e curalle.

So' d'oro filato 'e capille

quanto so' belle,

quanto so' belle.

Tutti           Sposatevi e felici

siate con prosperità!

Fragoletta  Alla faccia 'e stu viecchio rattuso

ca sta palummella

vuleva 'mpalmà!

Tutti           Alla faccia 'e stu viecchio rattuso

ca sta palummella

vuleva 'mpalmà!

Finale come a concerto con tarantella

La tarantella inizierà nel seguente modo: sull'introduzione ognuno andrà a raggiungere il suo posto a tempo di musica. Entreranno dalle quinte le tre ragazze della prima parte e Filippi. Contemporaneamente entreranno anche Don Guglielmo, Oreste, Giovanni, Gennaro, il cuoco, lo sguattero e il ragazzo prendendo posto in fondo affiancati, gomito a gomito di faccia al pubblico, e con le mani batteranno il tempo della tarantella. Le coppie saranno così combinate:

A sinistra

Tata e Angelino in primo piano; Fragoletta e Sasà in secondo piano; Clara e Bocci in  terzo piano.                                                       

A destra

Giulia ed Enrico in primo piano; Julie e Filippi in secondo piano; Igea e Giuseppe in terzo piano.

Al centro avanti:   Marilena e Peppino.

Le figurazioni sanno le seguenti:

1.      Passaggio sulla destra e saltello uno e due;  braccia incrociate dietro la schiena per gli uomini, mani sui fianchi per le donne.

2.      Uomo in ginocchio,  il sinistro  in terra;  la donna gli gira intorno guar­dandolo, passo a saltello laterale  (sinistro - destro fino a giro completo).

3.      L'uomo si rialza, passo di can-can; uomo e donna.

4.      Gesto di morra:  uomo e donna.

5.      Schiena a schiena, braccia allargate, l'uomo su un piede solo, la donna a piccoli passi, compiono un giro intero su se stessi.

6.   Marcia  in  colonna, capofila Marilena e Peppino, a  risalire la scena,  con spalle al pubblico.  A tempo di musica le due file, degli  uomini  e  delle donne, si dividono:  uomini a sinistra, donne a destra, per

7.      rendere dalla quinta ognuno la propria tamburella e  formare un cerchio a destra e uno a sinistra.

8.      olpo di tamburella che dà inizio al giro contrario.

9.      itorno al posto iniziale:  tre coppie a destra, tre a sinistra, una al centro.

10.   Colpi di fianchi.

11.   Giro su se stessi  (otto battute).

12.    omini ginocchio sinistro a terra e braccio alto con tamburella. Le donne in piedi, braccio sinistro sul fianco, destro in alto con tamburella. Ferrai sul posto fanno trillare le tamburelle, tutti rivolti verso il pubblico.

Cala il sipario-comodino

A tempo musicale gli attori ringrazieranno il pubblico entrando dalla por­ticina laterale, a destra, del sipario e sfileranno davanti al pubblico: le donne con braccio destro alzato con tamburella e il sinistro al fianco, gli uomini mano sinistra dietro la schiena, braccio destro alzato con tambu­rella e rientreranno per la porticina di sinistra. Come a concerto, quando si leverà il sipario — su apposita frase musicale — gli attori ringrazie­ranno il pubblico schierati in semicerchio nello spazio della scena, levando in alto la propria tamburella facendola trillare. Questo ad ogni levar di sipario. Sulla calata definitiva del sipario, attacca il pezzo musicale di chiusura.