Le nozze

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PROLOGO II

Le nozze

di

Elias Canetti

Personaggi

Prologo

La Gilz, proprietaria dello stabile

Toni, suo nipote

Lori, un pappagallo

Thut, professore

Leni, sua moglie

Il poppante

Anita, una ragazza di classe

Peter Hell, giovanotto con mazzo di fiori

Gretchen, donna d’affari

Max, un uomo

Franz Josef Kokosch, portinaio

La moglie moribonda

La figlia deficiente Pepi

Le nozze

Il sovrintendente edile Segenreich, padre della sposa

Johanna, madre della sposa

Christa, la sposa

Karl, fratello della sposa, studente universitario iscritto al terzo semestre

Mariechen, la sorellina quattordicenne

Il direttore Schon, un amico

Horch, un idealista

La vedova Zart

Il dottor Boch, medico di famiglia, ottantenne

Gall, farmacista

Monika Gall, sua moglie

Rosig, fabbricante di bare

Anita

Pepi Kokosch

Toni Gilz

Michel, lo sposo

Prologo

In cinque quadri

QUADRO PRIMO

La Gilz, proprietaria dello stabile, sua nipote Toni, il pappagallo Lori.

Una donna dai capelli bianchi, curva ma non senza una certa grazia, siede a un tavolo in stile antico e lavora a maglia. Le finestre della stanza hanno vetri a piombi. Un gatto gioca col gomitolo. Un pappagallo sbuffa. Entra allegramente, di corsa, una ragazzina dalle trecce bionde e dagli occhi azzurri che si muove con grazia e femminilità, ma in maniera un tantino goffa.

Toni                 - Nonnina! Nonnina!

La Gilz            - Sei tu, figliola?

Toni                 - Sì che sono io. Ho fatto una corsa…. Per le scale c’è un uomo, ubriaco fradicio. Mi voleva baciare.

La Gilz            - Ah, ah, figliola!

Toni                 - E che colpa ce n’ho io! La bocca gli puzzava di vino. Me la sono filata subito.

La gilz             - Mica che ti sarai lasciata baciare, figliola?

Toni                 - Pussi si è rimesso a giocare con la lana! Ti decidi, eh! Giù! Giù!

La gilz             - Lascia in pace il gatto!

Toni                 - Va via, mi stai antipatico!

La gilz             - Si può sapere perché te la prendi sempre col gatto?

Toni                 - Sono bestiacce dalla pelle dura, sono. Hanno sette vite, hanno. Anche se casca, quello casca sempre in piedi. Ma che diavolo ci vorrà fare con la lana! Mica sai lavorare a maglia tu. Ormai sei vecchio, Pussi!

La gilz             - Lascia in pace il gatto!

Toni                 - E basta co’ ‘sto Pussi, sempre Pussi! Guardano tutti subito dall’altra parte. Certo gli faccio schifo a tutti quanti, io, basta che mi guardano! – Nonnina, come ti senti oggi?

La gilz             - Meglio.

Toni                 - Meglio?

La gilz             - Molto meglio.

Toni                 - E già, ieri però, nonnina, hai detto che stavi così male. Male da morire. E i dolori alla schiena che ci avevi. Hai detto che avevi i giorni contati, hai detto. Non ce la facevi a respirare e avevi male al cuore. Un cuore ci vuole, hai detto, se uno il cuore sano non ce l’ha, non può mica farcela, lo dice anche il dottore.

La gilz             - Oggi va meglio.

Toni                 - Nonnina, ti ricordi, ieri avevi i piedi gonfi che manco ce la facevi ad alzarti!

La gilz             - Oggi ce la faccio.

Toni                 - Nonnina, a me mi sa che dici le bugie. Perché mica ce la fai a camminare.

La gilz             - Ce la faccio.

Toni                 - Su, fa’ vedere!

La gilz             - Non mi va.

Toni                 - Lo vedi che parli sempre a vanvera!

La gilz             - A casa mia posso parlare come mi pare e piace.

Pappagallo       - Casa. Casa.casa.

Toni                 - Ehi, Loreto! Ricominci già, bestiaccia del malaugurio!

Papaggallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - Nonnina, la portinaia qui sotto sta morendo. Ci ho appena dato un’occhiata. Ha una faccia, ti dico, che la faccia te la fa voltare dall’altra parte, è peggio di un teschio.

La gilz             - Quella ormai è vecchia.

Toni                 - E’ una settimana che sta per morire e manco ce la fa. Il portinaio, che poi sarebbe suo marito, prega e urla, tanto è disperato, poveraccio.

La gilz             - Non tira fuori più nemmeno una parola. Quella si che ormai è proprio vecchia.

Toni                 - Quanti anni credi che ha, nonnina?

La gilz             - Deve averne quasi settantacinque, di anni!

Toni                 - Tu allora sei più giovane, nonnina?

La girl              - Io ne ho settantatre. Puoi fare il conto. Lei ne ha dodici più di me.

Toni                 - Due anni vorrai dire.

La gilz             - Dodici. Sentantacinque meno settantatre fa dodici.

Toni                 - Fa due. Sei tu che non sai fare i conti, nonnina.

La gilz             - Io si. Tu no. Fa dodici.

Toni                 - No, due.

La gilz             - Dodici! Dodici!

Toni                 - A te, nonnina, non te la direi mai una bugia.

La gilz             - Vorrei prorpio sapere chi ti ha insegnato a contare.

Toni                 - Sta’ a sentire, chiediamolo a qualcun altro! Al professore di liceo che abita alla porta accanto.

La gilz             - No.

Toni                 - Lo vedi?

La gilz             - A casa mia posso contare come mi pare e piace.

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - Nonnina, senti qualcosa? Eh già tu non senti mai niente.

La gilz             - Certo che sento.

Toni                 - Non ci credo manco per niente. Su, di un po: cosa senti?

La gilz             - Un tuono, ecco quello che sento.

Toni                 - Un tuono a dicembre! A dicembre un tuono! Eh già, nonnina, tu sei sorda come una campana. È la musica delle nozze al primo piano. Oggi si sposa Christa Segenreich.

La gilz             - Non si sposa nessuno. Io sento un tuono.

Toni                 - Vorrei una musica così quando mi sposo. Hanno sei suonatori tutti insieme.

La gilz             - Non è vero!

Toni                 - Senti?

La gilz             - Un tuono sento.

Toni                 - Sei proprio sorda come una campana.

La gilz             - A casa mia posso sentire quello che mi pare e piace.

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - La sai una cosa, nonnina, è proprio un peccato che tu non ci sarai quando mi sposo  io. In cambio mi piglio la casa, vero nonnina, e mio marito, chiunque sarà, ed io di te ci ricorderemo sempre.

La gilz             - Che hai detto figliola?

Toni                 - Vero che la casa me la piglio io, nonnina?

La gilz             - Non ti riesco proprio a capire. Non sento niente.

Toni                 - (più forte) una volta che non ci sarai più, la casa!

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

La gilz             - Lore sta strillando così forte. Non capisco niente.

Toni                 - La casa, ti dico, la casa.

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - E piantala, pappagallo rimbambito, pappagallo di mille colori!

La gilz             - Ma si può sapere perché te la prendi sempre col pappagallo, è così caro.

Toni                 - Non la posso soffrire, quella carogna, una volta che non ci sarai più, io lo strozzo! Non mi capisci, la casa! La casa!

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa

Toni                 - Io vengo semrpe a trovarti. Passo sempre a vaederti. La Resl, lei non viene mai! Insomma, vorrei perlomento la casa, che mi lasci la casa. Della casa la Resl non sa che farsene. La Resl il marito ce l’ha già lei.

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - Non capisci? (piangendo) la casa! Casa!casa!

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Toni                 - Tutti i giorni è la stessa storia con quel pappagallo. Casa! Casa! Casa!

Pappagallo       - Casa. Casa. Casa.

Alzano tutti e due la voce, facendo a chi strilla più forte, la ragazza scappa via singhizzando.

La girlz (da quando è cominciato il fracasso ha smesso di sferruzzare, si è portata la mano all’orecchio e ha guardato la nipote con l’aria di chi non capisce niente di niente. Appena la ragazza è uscita, il pappagallo, si azzitisce. La vecchia si alza, si trascina a fatica fino alla gabbia e ficca un dito nel becco dell’uccello) io mica sono ancora morta.

QUADRO SECONDO

Il professor Thut, un uomo sulla trentina, la moglie Leni, anche lei della stessa età, un poppante di proprietà comune.

Una camera da letto. In piedi davanti al lettino bianco del bimbo i genitori parlano bisbigliando ma non a bassa vocem e con vivacità. Il professore cerca di chinarsi ma non ci riesce molte bene. È piuttosto alto e rigido, malgrado la giovane età. Sua moglile che è piccolina, non la smette un istante di chinarsi e tirarsi su. Ha in comune con il bambino che sta vegliando un che di infantile; però è molto sveglia.

LENI                  – Scusa, scusa.

THUT                 – Tu mi starai a sentire finché non avrò finito!

LENI                  – Certo. Birichino mio!

THUT                 – Stai calma. Lo sveglierai. Io svegliarlo? Svegliare dal sonno il mio tesoruccio?

THUT                 – Insomma, mi stai ascoltando, Magdalena? Per prima cosa una domanda: che cosa pensi quando lo guardi?

LENI                  – Mentre dorme?

THUT                 – Esatto, mentre dorme, proprio come fa adesso. Allora, che pensi?

LENI                  – Veramente io penso sempre la stessa cosa.

THUT                 – E sarebbe?

LENI                  – Che ti somiglia terribilmente.

THUT                 – Sono anch'io della stessa opinione. Per esempio ha i miei stessi occhi.

LENI                  – Come dorme!

THUT                 – Non svegliarlo! Oggi sei di nuovo distratta, Magdalena.

LENI                  – Hai mai visto una manina così piccola?

THUT                 – No. Hai ragione. Ma per continuare il discorso: ha i miei stessi occhi.

LENI                  – Certo.

THUT                 – Quando lo guardo, penso a me, a com'ero trent'anni fa.

LENI                  – Te ne ricordi ancora?

THUT                 – Credo di ricordarmi qualcosa. Conosco più d'uno che avrebbe bisogno di una memoria come la mia.

LENI                  – Tu sei così intelligente. Ti riferisci a me?

THUT                 – Può darsi che mi stia riferendo a te. Ma stavamo parlando di nostro figlio.

LENI                  – Si, deve diventare ministro.

THUT                 – Una domanda: lo ritieni proprio indispensabile? Con tutti gli attentati di cui parla il libro della storia.

LENI                  – Allora proprietario di una casa.

THUT                 – Ti allontani sempre dal nostro tema, Magdalena. Quandolo guardo, l'ho detto all'inizio, penso a me, a me com'ero trent'anni fa.

LENI                  – Divertente.

THUT                 – Chi o che cosa sarebbe divertente?

LENI                  – Ma il bambino, si capisce.

THUT                 – Spero che tu mi stia prestando ascolto. Visto che il bambino mi somiglia tanto, dobbiamo fare qualcosa per il bambino. Tu puoi morire. A rigor di termini potrei morire anch'io. Il bambino non può restarsene qui a mani vuote

LENI                  – E perché mai dovremmo morire?

THUT                 - Non mi interrompere, Magdalena! Il bambino non può restarsene qui a mani vuote. Perché ciò non accada si aprono a mio modesto avviso, due prospettive: uno (in numeri romani) un'assicurazione; due (sempre in numeri romani)una casa. Io personalmente propendo per due (in numeri romani). Per quel che riguarda uno (in numeri romani), non è che non veda che una compagnia di assicurazione può sempre fallire. A favore di due (in numeri romani) c'è invece la circostanza che la casa ha solide fondamenta. Una casa è come la parola d onore di un uomo: è incrollabile. Forse anche tu saprai che gli Inglesi sono soliti chiamare castello la loro abitazione. Io domando, di e cosa intendono essi per abitazione? La risposta esatta è per abitazione essi intendono una casa di proprietà.

LENI                  – Non ti arrabbiare se ti interrompo. Ma di quale casa stai parlando?

THUT                 - Rifletti una volta tanto! Sforza un po' il tuo cervellino! Sarei pronto a scommettere che non lo indovini.

LENI                  – Aspetta un momentino, no. Davvero non lo so.

THUT                 – Sto parlando di questa casa.

LENI                  – Di questa?

THUT                 – Di questa e di nessun altra.

LENI                  - Vuoi comprare questa casa? Coi nostri risparmi? Divertente Troppi ce ne mancano di soldi.

THUT                 – È vero che tu mi chiami intelligente, ma a rigor di termini mi manchi di rispetto. Certo io sono professore di liceo e nonsono uso ad occuparmi di affari. Quando però è in gioco il benessere di mio figlio, mi costringo ad agire contro la mia stessa natura. Anche tu, come me, sei testimone ogni giorno dei litigi che avvengono qui accanto. La vecchia Gilz la sua casa non la molla. Tu lo senti. Tu vedi la nipote Toni che sale e scende le scale di soppiatto per amore dell’eredità. Nessuna espressione è troppo forte per definire la condotta indecorosa di questa consanguinea. Già, ma tu a tuo figlio non ci pensi.

LENI                  – II fatto si è che tu sei molto più intelligente di me.

THUT                 – Quasi quasi lo credo anch'io. Qui nel palazzo tutti sonoconvinti che sarà una delle due nipoti a ereditare la casa. Noi due siamo gli unici che non soltanto sentiamo i litigi ma ne afferriamo anche il senso. Forse a questo punto comincerai a comprendere perché ho spostato qui la nostra camera da letto, qui dove non ci può sfuggire una sola parola di quello che dicono nell’appartamento accanto. E ciò malgrado che il riposo notturno di mio figlio sia la cosa che più mi sta a cuore. Noi due sappiamo che la vecchia Gilz preferirebbe regalare la sua casa a un perfetto estraneo piuttosto che lasciarla a quelle due cacciatrici di eredità. E poi lei trema, e a ragione, per la sorte del suo pappagallo. A ragione, perché se c'è una cosa che posso avere l'ardire di affermare è proprio questa: nel momento stesso in cui la vecchia Gilz chiuderà gli occhi, sua nipote Toni, quella cacciatrice d'eredità, assassinerà lo sciagurato pappagallo, ri peto: lo assassinerà!

LENI                  – Non ti capisco. Che c'entra il pappagallo con la casa?

THUT                 – Non mi interrompere, lascia che tuo marito finisca di parlare e verrai a conoscenza di ogni cosa. Stasera stessa andrò dalla vecchia Gilz e le offrirò di contrarre una rendita vitalizia. Basta che intesti la casa a nome di nostro figlio. Finché sarà in vita riscuoterà regolarmente la pigione. Per di più noi ci impegniamo a provvedere nel migliore dei modi al suo pappagallo sino alla di lui dipartita.

LENI                  – Credi che ci starà?

THUT                 – Non lo credo, Magdalena, lo so. In tal modo lei prende - permettemi il paragone - due piccioni con una fava. Da un lato si vendica di quelle cacciatrici di eredità delle sue nipoti e dall'altro provvede all'avvenire del suo pappagallo.

LENI                  – Dovremo essere molto gentili con lei.

THUT                 – Siamo stati sempre molto buoni con lei. Hai forse dimenticato che un mese fa sono andato io stesso a telefonare per chiamarle il dottore?

LENI                  – Quando ha avuto l'ultima volta quel grave malore.

THUT                 – Erano le nove meno cinque minuti, il nostro unico figlio dormiva già da un bel po'.

LENI                  – Io non ne ero affatto entusiasta.

THUT                 – Neanch'io lo ero.

LENI                  – Tu pensi a tutto.

THUT                 – Debbo pensare a tutto, vale a dire, in questo caso, all'avvenire di nostro figlio. E adesso una domanda: quanti anni le dai ancora, alla vecchia Gilz?

LENI                  – A quella? Se è fortunata può vivere altri sei mesi.

THUT                 – Esatto. Mi associo senza riserve al tuo giudizio.

LENI                  – Questo però non devi dirglielo. Dille che ha ancora una dozzina di anni davanti a sé.

THUT                 – Preferirei non dire bugie. Detesto le bugie. Ma purtroppo è lei che lo vuole.

LENI                  – Ci vai davvero oggi?

THUT                 – A che cosa miri con questa domanda?

LENI                  – A niente. Dicevo per dire.

THUT                 – Tu stavi pensando che non ho il coraggio di fare il passo decisivo.

LENI                  – No, solo pensavo, visto che tu da...

THUT                 – E dillo! Da...

LENI                  – Da un mese lo dici ogni sera...

THUT                 – Ogni sera...

LENI                  – Lo sai pure tu.

THUT                 – Ogni sera...

LENI                  – Che andrai a parlare con la vecchia Gilz.

THUT                 – Esatto. E come mai è passato un mese e non l'ho ancora fatto? Si può sapere perché?

LENI                  – Non sarà perché è una cosa che non sta bene? Quando si tratta di nostro figlio non c'è niente che non sta bene.

THUT                 – Io non potrei mai fare una cosa che non sta bene. Sotto questo riguardo tu dovresti conoscermi. Ma io non mi lascio imporre da te il momento più indicato. Io credo nel libero arbitrio dell'uomo, che deve poter fare e disfare come ritiene più opportuno. Lo sai che non sono religioso. Non è nel mio stile andare ogni domenica a riverire il signor parroco nella sua parrocchia. Ma io ho certi principi. E tra essi c'è anche il ritenere che la vera morale è più importante di ogni bigotteria. E credo che questo dimostri a sufficienza quanto io ci tenga al libero arbitrio.

LENI                  – Ma no, è che hai paura.

THUT                 – A questo punto una domanda: di che?

LENI                  – Hai paura della vecchia Gilz. È un mese che mi prometti ogni sera che le parlerai della casa. Ma non ci vai mai! Non ci vai mai!

THUT                 – Ci andrò. Ma quando lo vorrà il mio libero arbitrio.

LENI                  – Ci andrai? Già, quando sarà morta ci andrai, quando sarà morta, e quella può morire da un momento all'altro. Non hai cuore. Tuo figlio dovrà diventare un misero impiegato come te, un professore di scuola media, e dovrà starsene seduto per trent’anni dietro una cattedra. E proprio ora che una volta tanto ci si presentava questa fortuna! Ah, perché ti ho sposato? Vorrei proprio sapere perché ti ho sposato!

THUT                 – Primo: non strillare; sveglierai il bambino. Secondo: avresti dovuto pensarci prima.

In quello stesso istante si sente il pappagallo che dall'apparta mento vicino gracchia «Casa, casa, casa». Il poppante si sveglia e comincia a urlare a squarciagola.

QUADRO TERZO

Anita, una ragazza di classe. Peter Hell, un giovanotto con un mazzo di fiori.

La stanza da signorina di Anita. Anita è in piedi davanti allo specchio e sta finendo di far toletta. Mentre si trucca, Peter Hell varca la soglia con un mazzo di fiori ridicolmente grande. Lei lo vede nello specchio ma non si volta.

ANITA              – Ti presenti a quest'ora?

PETER               – Dove sono i tuoi genitori? Non mi fraintendere, ti prego.

ANITA              – In casa non c'è nessuno. Ho un invito.

PETER               – Già da gran tempo nutrivo il desiderio di dirti quanto ti amo. Purtroppo non ho la parlantina sciolta. In cambio ti offro quella parte della mia persona che è meglio riuscita. (Le porge i fiori) Sto posando la mia mano appunto su tale parte. Mi riesce cosi difficile dire dei paroloni. Ma, credimi, sto parlando del mio cuore. Tu certo mi capisci. Sei l'unica persona che mi capisca. Ho la sensazione che mi capirai sempre. Anch'io ti capisco. Quando sono tre anni che si ammira una persona, si può ben dire che la si capisce.

ANITA              – Ma che ti prende oggi? Di solito di te ci si può fidare.

PETER               – Vedi, e io voglio che tu ti possa fidare di me per sempre. Avverto il bisogno di dichiararmi oggi stesso. Una volta o l'altra bisogna pure aprire il proprio cuore. Non ti arrabbiare, Anita, ma sono venuto per chiedere la tua mano. Mi capisci? Mi capisci del tutto?

ANITA              – E perché no?

PETER               – Lo sapevo. Tu - tu - tu. Io ti venero, credimi, venero la tua castità. Mi credi? Tu sei l'unica fanciulla tra le tue amiche. Tu mi fraintendi? No, tu non mi fraintendi, Anita. Io non voglio sporcarmi. I miei figli debbono essere figli miei. Lavoro, mi piace lavorare, ma voglio sapere per che cosa lavoro. Debbo poter credere che lavoro per il mio proprio sangue, pulizia, più pulizia e il mondo si salverebbe. Certo che sono stato proprio fortunato. Debbo riconoscerlo. La prima donna in cui mi sono imbattuto sei stata tu. La fortuna ha voluto che in te rovassi una fanciulla, una fanciulla casta, Anita.

ANITA              – Ma io sono così per natura.

PETER               – Si, si, ma perché sei così per natura? Per natura potresti anche essere diversa. Ma è proprio per questo che ti amo, per ché sei verginale per natura. Per esempio, che cosa avrei fatto se per natura fossi stata tutto il contrario? Mi sarei ammazzato oggi stesso. Mi capisci? Tu mi capisci. Vedi, io ringrazio Iddio che tu sia venuta al mondo così. Per fare un esempio, immagi na, ti prego, immagina - e certo non è difficile immaginarselo, basta soltanto che pensi a come sono le tue amiche che io, perdonami, giudico ragazze quanto mai scostumate - non arrabbiarti, immagina se anche tu fossi così. Parlando di te non mi piace usare queste parole, ma immaginati se tu fossi come le tue amiche.

ANITA              – Non riesco proprio a immaginarmelo.

PETER               – Lo vedi! Non te l'avevo detto? Tu appunto sei pura, la purezza non è una cosa che si acquisti. Puri si nasce. Questa purezza non ha niente a che fare con il sapone.

ANITA              – Io però ho anche il sapone.

PETER               – Scusa, mi hai interrotto. Non arrabbiarti. Stanotte sono rimasto sveglio a lungo. Non riuscivo a prendere sonno. Allora, come per magia, ho evocato la tua immagine davanti al mio spirito. E tutto a un tratto, io non so come, tu eri là, tu in persona. Posso assicurarti che nessun'altra donna potrebbe intromettersi fra te e me. Mi sei comparsa davanti ed eri la prima, la primissima — e per me tu sei davvero la primissima — e ci siamo messi a parlare.

ANITA              – E che ci siamo detti?

PETER               – Tu hai detto: sono cosi felice. Allora mi sono alzato, ti ho stretto fra le braccia e ho detto: io sono ancora molto più felice di te. Credimi. Tu hai detto: ti capisco. Io ti ho baciato e ti ho sussurrato piano piano all'orecchio:«Madre dei miei figli».

ANITA              – Ma io figli non ne ho.

PETER               – Scusami, mi hai interrotto. Ti ho baciato e ti ho sussurrato piano piano all'orecchio: «Madre dei miei figli». Allora ho visto che sei arrossita. Debbo confessarti la verità! Ti avevo messo alla prova. Volevo vedere se saresti arrossita. Se non fossi arrossita, pensavo fra me e me, allora avrei dovuto stare in guardia, …….pagina 17

QUADRO QUARTO

Gretchen, una donna d'affari, Max, un uomo. Un salotto. Due soci in affari, una signora e un signore, siedono uno di fronte all'altro su poltrone di cuoio, fumano e discutono con nervoso accanimento. Lei non è disposta a cedere.

GRETCHEN     – Non dimenticare il rischio che corro!

MAX                  – Rischio? Io non vedo nessun rischio.

GRETCHEN     – E che, secondo te non correrei nessun rischio?

MAX                  – No, questa è una delle tue solite frasi. Tu adoperi sempre di queste frasi.

GRETCHEN     – Sono pronta a dimostrartelo nero su bianco.

MAX                  – Li conosco bene questi trucchetti con i numeri. Li so fare anch'io. Non dimostrano un bel niente.

GRETCHEN     – Più che rifare qui davanti a te i conti del rischio che corro, io non posso fare.

MAX                  – Fa' i conti, fa' pure i conti!

GRETCHEN     – Ma se tu non vuoi starmi a sentire.

MAX                  – Ma sì che ti sto a sentire.

GRETCHEN     – Scusa, fa' la somma. Trentamila per l'auto, vale di più ma io la calcolo solo trentamila. Quello che mi deve dare Gresenfelder è ancora in sospeso, calcolo come minimo ventiquattromila, e fa tutto sommato cinquantaquattromila. I seimila e settecento, di cui abbiamo già parlato, per il momento li lascio completamente da parte, per quelli potremo metterci d'accordo in seguito. Ma non è ancora tutto. Io rischio che lo zio Berger si tiri indietro dall'affare, calcoliamo che in tal caso io ce ne rimetta quarantamila, il tutto fa la piccolezza di novantaquattromila, senza contare i seimila e settecento di cui s'è detto, aggiungici gli interessi di...

MAX                  – Va bene, va bene. E io che ne ricavo? Non capisco proprio perché dovrei farlo subito.

GRETCHEN     – Non occorre che sia subito. Sono disposta a farti credito, Max.

MAX                  – Bene, e poniamo il caso che io ci ripensi, posso ancora tirarmi indietro?

GRETCHEN     – Tirarti indietro? Come tirarti indietro? Questa sto ria non mi piace.

MAX                  – Allora vuoi che mi decida su due piedi.

GRETCHEN     – Su due piedi.

MAX                  – Se solo sapessi quanto chiede la Gilz per la casa.

GRETCHEN     – E tu chiediglielo.

MAX                  – Me ne guardo bene. Perché poi alzi il prezzo?

GRETCHEN     – A che le servono i soldi?

MAX                  – È quello che mi chiedo anch'io.

GRETCHEN     – A qualcosa le servono. Ci giuro sopra. Stalle appresso. Dille che lei è vecchia e sola, tutti vogliono imbrogliarla, tu le sei affezionato perché sono vent'anni che abitate nella stessa casa. Una volta che ti abbia raccontato i fatti suoi, puoi rigirartela come ti pare. Puoi schiacciarla con un dito. Che aspetto ha?

MAX                  – E che vuoi che ne sappia? Di sicuro non so un bel niente. Questo è il punto.

GRETCHEN     – Chiedilo al portinaio.

MAX                  – Sta morendo.

GRETCHEN     – Chiedilo a sua moglie!

MAX                  – A questo punto non so più se è lei o se è lui che sta mo rendo.

GRETCHEN     – II fatto è che vuoi squagliartela. Non staranno mica morendo tutti e due. Chiedilo a quello che è ancora vivo! Ma devi chiederglielo subito!

MAX                  – Sei proprio sfacciata, Gretchen.

GRETCHEN     – Come sarebbe?

MAX                  – Quando si tratta dei tuoi affari sei proprio sfacciata. Se il terreno non sale come dici tu, la tua audacia è davvero sfacciata, Gretchen.

GRETCHEN     – In questo caso sono io che ci perdo. Non dimenticare il rischio che corro. Pretendo forse troppo da te, Max?

MAX                  – Dipende.

GRETCHEN     – Ti ho spiegato perché questo terreno è sicuramente destinato a salire. Fino a che punto mi fido di te, puoi vederlo da solo. Potresti sfruttare il suggerimento per conto tuo.

MAX                  – Ma sono io che ti ho detto che la Gilz.vuole disfarsi della casa senza che nessuno lo sappia, io lo so già da un pezzo, da quando è diventata vecchia. Ero forse obbligato a dirtelo?

GRETCHEN     – Eccome se eri obbligato! Tu da solo dove li avresti presi i soldi?

MAX                  – Ma che percentuale pretendi?

GRETCHEN     – Da te il cinque.

MAX                  – È quella che fanno tutti.

GRETCHEN     – È speciale, si capisce.

MAX                  – Capisco, capisco.

GRETCHEN     – Vedi, eppure con la scarsità di soldi che c'è, potrei ottenere tre volte tanto. Quattro volte tanto, se dico tre volte è perché tu non creda che voglia darmi delle arie con te.

MAX                  – No, tre volte tanto.

GRETCHEN     – È quello che dico.

MAX                  – Hai detto tre volte tanto per non darti delle arie. Se non vuoi darti delle arie, di' due volte tanto.

GRETCHEN     – Bada, non voglio offenderti.

MAX                  – Ma dimmi, Gretchen, su due piedi, il cinque per cento?

GRETCHEN     – Si. Non cambio idea. D'accordo?

MAX                  – Un momento.

GRETCHEN     – Abbiamo già fatto tanti di quegli affari insieme, noi due.

MAX                  – Ma non andrà mica a finir male, Gretchen?

GRETCHEN     – Chi parla di finir male?

MAX                  – È solo che non ne ho voglia.

GRETCHEN     – La voglia non c'entra. Ti verrà dopo la voglia.

MAX                  – Non credo.

GRETCHEN     – C'è una cosa che voglio dirti, Max. Tu manchi d'iniziativa.

MAX                  – Quando ho a che fare con te, forse.

GRETCHEN     – No, in generale, lo sento dire da tutti.

MAX                  – A me non risulta.

GRETCHEN     – Sforzati!

MAX                  – Sforzarsi! Sforzarsi!

GRETCHEN     – Coraggio, mio caro! Un po' di coraggio!

MAX                  – Fai presto a parlare tu.

GRETCHEN     – Ci vuole davvero tanto coraggio?

MAX                  – Non lo so.

GRETCHEN     – Pensa che sia già passato!

MAX                  – Eh già, ma come faccio?

GRETCHEN     – Allora ti scorderai la tua paura. In fondo sei un uomo.

MAX                  – E va bene.

GRETCHEN     – Si?

MAX                  – Spogliati!

GRETCHEN     – Nei secoli dei secoli amen!

QUADRO QUINTO

Franz Josef Kokosch, portinaio, la moglie moribonda, la figlia deficiente Pepi. Uno stretto stanzino che serve contemporaneamente da cucina e da camera da letto. Su un letto traballante sta sdraiata una vecchia. La sua testa sembra un teschio. Rantola. Rade ciocche di capelli bianchi sono sparse sul cuscino, prive di vita. Accanto a lei, ma con il viso rivolto ai piedi del letto, siede il vecchio portinaio Kokosch. Ha una barba alla Francesco Giuseppe e prega leggendo ad alta voce la Bibbia. La figlia Pepi, una ragazza sulla trentina, con una faccia larga, rossa, da idiota, si aggira per lo stanzino ridendo in continuazione. Va a sbattere contro tutti gli oggetti, anche contro il letto e la sedia su cui siede il padre. Malgrado ciò non batte ciglio; la sua faccia è contratta in un'ininterrotta risata.

KOKOSCH       – Ma i filistei lo presero e gli cavarono gli occhi e lo con dussero giù verso Gaza e lo legarono con due catene di bronzo e dovette girare la macina in carcere. Ma i capelli sul suo capo cominciarono a ricrescere nei punti dove erano stati rasati. Quando però i principi filistei si radunarono per offrire un solenne sacrificio al loro dio Dagone e far festa, essi dissero: il nostro Dio ci ha dato in mano Sansone nostro nemico. E del pari quando il popolo lo vide, tutti lodarono il loro Dio e dissero: il nostro Dio ci ha dato in mano il nostro nemico, colui che devastava il nostro paese e uccideva tanti dei nostri. E poiché il loro cuore era pieno di gioia dissero:

LA VECCHIA  – Ehi tu!

KOKOSCH       – Fate venire Sansone perché faccia i suoi giochi davanti a noi. Allora trassero Sansone fuori della prigione ed egli fece i suoi giochi davanti a loro e lo fecero mettere tra due colonne. (Da sopra si sente un ballabile). Sansone però disse al ragazzo che lo conduceva per mano:

LA VECCHIA  – Ehi, marito mio!

KOKOSCH       – Mettimi in modo che possa toccare le colonne su cui si regge l'edificio, perché io mi ci possa appoggiare. Ora l'edificio era pieno di uomini e di donne.

LA VECCHIA  – Marito mio! Debbo…

KOKOSCH       – Vi erano anche tutti i principi dei filistei e sul tetto c'erano circa tremila persone, tra uomini e donne, che avevano assistito ai giochi di Sansone. Allora Sansone invocò il Signore e disse:. . .

LA VECCHIA  – Ehi, marito mio! Debbo dirti una cosa.

KOKOSCH       – Signore, Signore, ricordati di me e dammi forza, Dio, ancora per questa volta, perché possa infine vendicarmi dei filistei per la perdita dei miei due occhi!

LA VECCHIA  – Ti debbo dire ancora una cosa. Ehi tu.

Il ballabile si sente più forte.

KOKOSCH       – Ed egli afferrò le due colonne maestre su cui si reggeva l'edificio e vi si appoggiò.

LA VECCHIA  – Debbo... . .

KOKOSCH       – Una con la mano destra e l'altra con la sinistra. (Pepi va a sbattere contro il padre. La Bibbia cade per terra. Kokosch investe la figlia) Una con la mano destra e l'altra con la sinistra. Si può sapere che hai da ridere mentre la mamma muore? Una con la mano destra e l'altra con la sinistra. Non ridere, ti dico, una con la destra e l'altra. Non vedi che la mamma sta morendo? E l'altra con la mano sinistra. Ora piantala di ridere, ti dico una con la destra. Non lo trovo più.

LA VECCHIA  – Marito mio, ti debbo dire ancora una cosa.

KOKOSCH       – E l'altra con la destra e l'altra con la sinistra; di buttare tutto all'aria sei capace, di sbattere sei capace, ma non sei capace di ritrovare niente. L'altra con la sinistra e una con la mano destra. Se ti vedo ridere un'altra volta, guarda che tua madremuore.

LA VECCHIA  – Marito mio. Debbo... Ti dico.

KOKOSCH       – Ti sbatto fuori, ti sbatto. Il Signore ci ha punito mandandoci una figlia snaturata. L'altra con la sinistra. Adesso 1’horitrovato. Sempre questa musica. E disse:

LA VECCHIA  – Stammi a sentire, marito mio…

KOKOSCH       – E disse: Muoia la mia anima con i filistei! E si piegò con forza. Allora l'edificio crollò sui principi e su tutta la gentedel popolo che ci stava dentro, cosicché fece più morti morendodi quanti non ne avesse fatti in tutto il tempo della sua vita.(La musica cresce furiosamente). Pepi, va' su dal Segenreich edi' che chiedo ai signori un favore. Chiedo il favore che non suonino cosi forte. Non vorrei offendere nessuno di quelli che sono alle nozze. Hai sentito, Pepi? Ora vai su dai Segenteich e gli dici che io chiedo ai signori un favore, con questa musica io non riesco a pregare! La mamma sta morendo. Se non ci credono, vengano pure a vedere. Con questa musica io non riesco a pregare! Hai sentito, Pepi? La figlia esce, sbattendo da tutte le parti.

LA VECCHIA  – Ehi, marito mio, ti debbo dire una cosa.

KOKOSCH       – Allora vennero giù i suoi fratelli.

LA VECCHIA  – (piagnucolando, piagnucolando forte)Non mi lascia parlare. Non mi lascia parlare.

KOKOSCH       – E tutti quelli della casa di suo padre e lo sollevarono e lo portarono su e lo seppellirono

Dal soffitto del salone delle feste, che è più lungo che largo, pen-de un enorme lampadario. Tre ampie finestre, in fila, si supponeche diano sulla strada. Davanti ad esse, in evidente stato di ab-bandono, sta il tavolo, su cui sono rimasti solo pochi avanzi delrinfresco. A destra e a sinistra si aprono alcune porte. Da unadelle stanze accanto si sente venire una musica ora fragorosa oraamabile. Gli invitati alle nozze, sparsi in piccoli gruppi, si tro-vano ormai a loro agio. Il padre della sposa Segenreich, la madre della sposa Johanna, il direttore Schón, un amico.

SEGENREICH – Io sono il padre!

SCHÒN             – Davvero?

JOHANNA        – Posso giurarlo! Lui è il padre. Il padre felice.

SCHÒN             – Lo dicono tutte.

JOHANNA        – Padre, padre, il direttore

SCHÓN             – non ci crede.

SEGENREICH – Beati coloro che credono. Io sono il padre. Il padre rimango io, anche se i generi fossero cento. Io lo affermo: questo è sangue del mio sangue. Anche la casa l'ho costruita io. Venga qualcuno a contestare la mia paternità. Alla vigilia delle nozze sono più che mai il padre. Se non sono il padre alla vigilia delle nozze, quando mai dovrei essere il padre? Sono stato sempre il padre. Ne ho messi al mondo tre, io,

KARL                – Christian

SEGENREICH – in persona. Due femmine e un maschio, si facciano avanti! Christa! Christa! Mettiti sull'attenti quando tuo padre ti chiama! Christa! Christa! Sbrigati!

JOHANNA        – Lasciala stare! Nel suo giorno più bello! E’ pallida la mia pupattolina! Se solo non fosse cosi giovane! Non lo capirà. Gli piacerà tanto da aver voglia di divorarselo a furia di baci? Lui è cosi terribilmente fine, se li tira i baci con quell'aria che ha. Con quegli occhi tutti ricci e quei capelli ingenui. Gli voglio troppo bene, troppo. (SEGENREICH va in cerca della figlia). Adorabile lo trovo, dolce e adorabile, e come gli sta bene il frac, gli sta proprio a pennello, e quanto è intelligente poi, non parla mica tanto facilmente, non dice una parola di troppo, trovo che è ancora più intelligente di mio marito.

SCHÒN             – Ma bello non lo è di certo.

JOHANNA        – La bellezza non serve. Forse che Lei è bello, Schon?

SCHÒN             – In cambio mi chiamo Schon e sono bello almeno di nome.

JOHANNA        – Del nome non so che farmene. Che ci faccio io col nome?

SCHÒN             – Insomma, lo sposo Le piace più di me.

JOHANNA        – Ben Le sta, perché si comporta così con la Zart? Io la Zart non la posso soffrire. Non sono neanche due anni che suo marito è sottoterra e lei già se la spassa. Ha un amico suo e se ne viene qui, alla festa di nozze di mia figlia, a mettersi a civettare col mio.

SCHÒN             – E chi ha parlato di civettare?

JOHANNA        – Ah sì, meglio ancora! Sei già arrivato a questo punto con lei. Ma guardatela pure, quel manico di scopa!

SCHÒN             – Ma io la conosco a fondo. Una vera mimosa!

JOHANNA        – Una mimosa? Una mimosa? Eh già, perché cosi tutti la toccano! Sono capace anch'io. Guardatela pure, quel manico di scopa allampanato; io, se fossi come lei, mi vergognerei a farmi vedere in giro! Perché non si veste da uomo? Non ha petto, non ha fianchi, non ha polpacci, non ha niente di quello che deve avere una donna. A me non manca niente. Scusa, tu lo sai. Ti chiamo a testimonio! Forse che mi manca qualcosa di quello che deve avere una donna?

SCHÒN             – Sst, il tuo vecchio!

SEGENREICH – Non vengono. Chiamo: Marie! E lei non ha tempo. Karl! Lui non è più un ragazzo, dice quell'insolente, non è più un bambino e invece è proprio un bambino, vero mamma, e noi siamo il padre ed è il nostro gran giorno. Già domani bisogna che CHRISTAconcepisca dei nipotini, per noi due, la famiglia SEGENREICH prospera e sarà sempre cosi per tutta l'eternità. Vecchia, quanti nipoti scommetti che avremo? Io dico otto.

JOHANNA        – Meglio nove.

SCHÒN             – Non le basta mai.

SEGENREICH – Direttore mio bello, chiudi il becco. Della mia vecchia tu non ne capisci niente.

SCHÒN             – Sono dodici anni che vi conosco.

SEGENREICH – Conoscersi non basta. Di bello e cattivo tempo si che te ne intendi. Fiuti subito da che parte tira il vento. Que sto te lo riconosco.

SCHÒN             – Ho buon naso, io.

SEGENREICH – Questo te lo riconosco. La verità non la nego. Ho sempre avuto una predilezione per la verità e per la chiarezza, già da prima, faceva parte del mio mestiere. Le mie case le ho costruite sempre dritte. Guardarle per convincersi, prego. Que ste si che sono mura. Qui il naso non serve a niente, davanti a mura come queste il vento se la fa addosso e una tempesta, se non è stupida, si affretta a dire pardon. Cosi sono e così resto. Sono il padre della sposa. Ma di donne tu non ne capisci niente, amico caro, e te lo dimostrerò nero su bianco o bianco su nero, come preferisci, io coi colori non sono tanto pignolo.

SCHÒN             – E come pensi di dimostrarlo?

JOHANNA        – Quando c'è di mezzo Schòn, ho sempre l'impressione che una volta o l'altra verrà fuori qualcosa di molto sporco sul suo conto, qualcosa di schifosamente sporco, non so neanche immaginarmi quanto sporco, per esempio una relazione adulterina o qualcosa del genere.

SEGENREICH – La mia vecchia da i numeri.

SCHÒN             – Santo cielo, dopo tutti quegli anni di servizio...

SEGENREICH – E l'età avanzata e quella corporatura colossale.

JOHANNA        – Ah. Pensavo che ti piacesse.

SEGENREICH – Sarebbe troppo anche per un orientale. Tu e la vedova Zart potete andarvi a riporre tutte e due. Non valete niente. Un vero uomo manco vi sputerebbe addosso.

JOHANNA        – E Lei non mi aiuta, Schón?

SCHÒN             – Come me lo potrei permettere? Se lo facessi il signor consorte potrebbe pensare che io con Lei mi sia fatto le mie esperienze. Lo saprà lui perché parla così. In fondo siete sposati da non so neppure da quanto. ENTRAMBIVentisette anni.

SCHÒN             – Ah, da tanto. I miei complimenti a tutti e due, signori miei, io non avrei resistito.

SEGENREICH – Resisti a ben altro tu ! Di donne non ne capisci mente. E adesso te lo dimostro. Non ce la faccio più a resistere, mi sento addosso come un peso, con licenza parlando. Ti faccio una domanda, Schón!

SCHÒN             – Beh?

SEGENREICH – Sul tuo onore e in coscienza!

SCHÒN             – Sul mio onore e in coscienza? Bene, bene, ma si può sapere che vuoi?

SEGENREICH – Sul tuo onore e in coscienza. Guarda in fondo al tuo cuore! Giù in fondo, proprio nel fondo, nel punto più pro fondo, in cantina, dov'è buio pesto!

SCHÒN             – E va bene, ma piantala, ti dico quello che vuoi, ma parla, mi rendi nervoso.

SEGENREICH – Hai figli?

SCHÒN             – E come faccio ad avere figli? Non sono mica sposato.

SEGENREICH – (ride fragorosamente)Be', vecchia, adesso lo vedi da te. Non sa neppure che ci sono anche i figli illegittimi! Non lo sa! Non sa come si mettono al mondo i figli! Non lo sa, mamma, soffoco! Dammi un po' di colpi sulle spalle, Schón, soffoco, tu non lo sai, soffoco, ragazzo mio, soffoco, tu non lo sai!

SCHÓN             – (battendogli sulle spalle)E come faccio a saperlo? Johanna, Michel lo sposo.

JOHANNA        – Le vorrai sempre bene, ragazzo mio?

MICHEL           – Ma mamma!

JOHANNA        – Tu pensi che è ovvio. Hai ragione, ragazzo mio.

MICHEL           – Ma mamma!

JOHANNA        – Sai pure come si deve trattare una ragazzina, ragazzo mio? Bisogna stare molto molto attenti. Ho paura, ho paura che tu non sia abbastanza maturo per questo. Non devi far male al la mia bambina, Michel, non farle del male, è la mia prima figlia, sono io che l'ho concepita, io che l'ho messa al mondo, non voglio averla concepita per niente. Te ne intendi?

MICHEL           – Ma mamma!

JOHANNA        – Sei un cosi bel ragazzo con quegli occhi tutti ricci e quei capelli ingenui. Come genero mi piaci tanto che ti mangerei di baci. Ma lo sai a chi devi dire grazie per Christa?

MICHEL           – A te, mamma.

JOHANNA        – Oh, bel ragazzo mio, a me, a tua suocera, che ha un cuore giovane e le forme fiorenti. Quanto alle forme non mi mancano certo, devi ammetterlo, vero che non mi mancano?

MICHEL           – Ma mamma!

JOHANNA        – CHRISTA           ti giudica uno stupido, suo padre uno sbarbatello, ma a questo punto io ho detto: mi piace. Mi piace da morire e basta. Sono io che comando in casa. Non lo sapevi? Micino mio, ecco che fa gli occhi tutti ricci e i capelli ingenui! Conla bambina però devi davvero stare attento. Lo sai sul serio come devi fare? Vieni che te lo spiego! Ci sono tante di quellecose da spiegare! (Trascina Michel fuori da una delle porte sulla sinistra). Vicino a questa porta c'è in piedi Horch, un idealista, che di scorre con la vedova Zart.

ZART                 – Ma lui ha pensato a me, Horch.

HORCH             – Era il meno che potesse fare. Doveva per forza pensare a Lei. Crede davvero che sarebbe stato possibile che non pen sasse a Lei?

ZART                 – Questo no, ma...

HORCH             – Lei è stata sua moglie per sei anni, ha avuto cura di lui, ha sopportato senza protestare le scostumatezze proprie della sua età.

ZART                 – Era cosi geloso.

HORCH             – Gli ha sacrificato la Sua giovinezza. Lei ormai ha tren t'anni o li avrà tra poco. Quanti anni ancora Le rimangono per avere successo? Dieci o quindici. Non è molto.

ZART                 – Se lo sapesse, non avrebbe pace nella tomba. Non posso fa re a meno di pensarci. In fondo lui a me ci ha pensato.

HORCH             – Tanto meglio! Se persino lui, quel vecchio, ignobile spilorcio ed egoista, ha pensato a Lei, quanto più ci dovrebbe pensare Lei stessa! Ma Lei si chiama Zart1 ed è delicata come una mimosa. Lei però comincia a tremare addirittura prima che qual cuno La tocchi.

ZART                 – Pensa che io sia come una mimosa?

HORCH             – Si, lo penso. Una mimosa che fiorisce con particolare timidezza. Una mimosa di una specie rara.

ZART                 – Lo dicono tutti che sono una mimosa.

HORCH             – È una cosa che obbliga a lasciarLa in pace. No, deve acchiapparli Lei gli uomini. Non è facile acchiappare gli uomini. Ci vuole intelligenza e iniziativa. È sempre la donna che attacca.

ZART                 – Mi sta consigliando di farmi un amico?

HORCH             – Mi meraviglio che non ce l'abbia già. Sono due anni che è sola.

ZART                 – Ma forse un pochettino un amico ce l'ho già, Horch.

HORCH             – Se è così, naturalmente, cambia tutto. Non lo sapevo.

ZART                 – Forse, però, Lei lo sapeva.

HORCH             – Lo sospettavo. È simpatico?

ZART                 – Molto. Ed è intelligente. Con lui si può parlare di tutto, Le somiglia.

HORCH             – Ah, parlare. Quel pochettino dovrebbe diventare una co sa seria.

ZART                 – Trova? Trova davvero?

HORCH             – Si. Mi fa piacere se Lei si sceglie come amico uno che mi somiglia.

ZART                 – Lei mi fraintende sempre, Horch. Lei è un idealista.

HORCH             – E Lei una mimosa, gentile signora. Finché restiamo lon tani siamo fatti l'uno per l'altra, noi due. Christa, la sposa, l'ottantenne dottor Bock, medico di famiglia.

CHRISTA          – Mi viene proprio da ridere!

BOCK                – Perché mai, bambina mia?

CHRISTA          – Sotto c'è un cadavere e qui io che mi sposo!

BOCK                – Un cadavere? Quale cadavere?

CHRISTA          – C'è la portinaia che sta morendo proprio qui sotto.

BOCK                – Come, deve morire proprio ora?

CHRISTA          – È proprio questo che è buffo. Lo trovo buffo da matti.

BOCK                – Buffo non direi proprio.

CHRISTA          – E allora come diresti tu, zio Bock? Tu sai trovare delle frasi cosi belle.

BOCK                – Per me è arabo.

CHRISTA          – Arabo? Davvero?

BOCK                – Certo! Non si sa perché lei muore. Non si sa perché tu ti sposi.

CHRISTA          – Mi sposo perché voglio andarmene di casa. Non posso ricevere i miei amici come si deve. Tu conosci mia madre.

BOCK                – E a me non ci pensi affatto?

CHRISTA          – E perché mai, zio Bock? Tu verrai a trovarmi nella mia nuova casa.

BOCK                – Non va. La gente. Vedrai. Io so come vanno le cose.

CHRISTA          – Ma no, non c'è niente di impossibile. Per esempio puoi venire da me con Rosig, il fabbricante di bare, lo conosci no, sta qui di fronte.

BOCK                – E come se lo conosco! Sua moglie...

CHRISTA          – Dirò che ho dei dolori. Mentre Rosig parla d'affari con mio marito, tu approfitti dell'occasione e mi visiti, per vedere se il matrimonio mi ha fatto bene o male eccetera. In fondo sei il nostro vecchio medico di famiglia, zietto. Tocca a te. Mi piaci ancora più di Schon. Mi piacerebbe tanto avere anche Horch, ma è un tipo cosi difficile.

BOCK                – Vuoi Horch? Ti aiuterò. A quello gli si può far fare qual siasi cosa. Mettigli tranquillamente le mani addosso, ma nello stesso tempo digli che è un idealista. Si fa fare qualsiasi cosa. Solo, non bisogna parlarne. È di ideali che bisogna parlare^ È una persona così colta, è l'unica persona colta che abbia mai in contrato in vita mia, e questo vuoi dire qualcosa. L'orchestrina, che all'inizio della scena suonava musiche dolci e sommesse, ha cessato del tutto di suonare.

CHRISTA          – Ho una voglia pazza di sapere qualcosa sul suo conto.

MONIKA          – e la Zart gli stanno sempre attorno scodinzolando. Si sentono venire dal piano di sopra le urla del poppante.

BOCK                – II tuo bebé strilla di già.

CHRISTA          – Grazie tante, zio Bock.

BOCK                – Oppure è la piccola che ne ha già uno, tua sorella?

CHRISTA          – Ma se è quello sgorbio dei Thut, qui sopra.

BOCK                – Lo so. Ci sono stato ieri. Quel bambino non camperà per molto, questo è poco ma sicuro.

CHRISTA          – Speriamo. Strilla cosi giorno e notte. Io tanto cambio casa. Ma la povera mamma non riesce a chiudere occhio.

BOCK                – È proprio questo il punto. Quel bambino dorme troppo poco. Io glielo dico alla moglie del professore, si chiama Leni, non vale niente, lui la chiama Magdalena, se avesse i capelli co me la Maddalena almeno servirebbe a qualcosa, glielo dico alla Magdalena che lei fa penitenza, bella forza, se io fossi una donnae fossi come lei anch'io farei penitenza, solo un professore se lapoteva sposare una come lei, le dico: spostate di nuovo la ca mera da letto dov'era prima, quello straccetto dorme troppopoco, perché li vicino c'è un pappagallo.

CHRISTA          – Sì, il pappagallo della vecchia Gilz.

BOCK                – Un pappagallo completamente pazzo, ogni volta che vengo strilla attraverso la parete: ca-sa, ca-sa, ca-sa. Uno potrebbe, pensare che dica: ca-ro, ca-ro, ca-ro e si riferisca a me, ma non è cosi, Magdalena, la penitente, dice che di notte strilla un sacco di volte, svegliando il suo unico figlio dal suo unico sonno. Spostate la camera da letto, dico io, mio marito non lo permette, dice lei. Lo avveleni, dico io. A questo punto quel rospo si fa verde come il pappagallo, avresti dovuto vedere la faccia che ha fatto, tanto era spaventata, si è messa un dito davanti alla bocca, si è guardata attorno per vedere se qualcuno la sentiva, ha fatto una smorfia supplichevole, sst, sst, s'immaginava forse di dover avvelenare il marito. S'immaginava forse che io avessi delle mire su di lei, non sono poi cosi vecchio, ne ho altre di donne, che cosa non si deve sopportare quando uno è così giovane e fa ancora visite a questa tarda età!

CHRISTA          – Adesso almeno lo so perché quello sgorbio sta sempre a strillare. Io un bambino non me lo faccio fare, intesi zio Bock?

BOCK                – Di me ti puoi fidare. La mia mano è sicura come gli strilli del pappagallo.

CHRISTA          – Quella bestia è buffa da matti, davvero, anni fa, quando la vecchia Gilz usciva ancora, se lo portava sempre appresso, le stava accoccolato sulla spalla. Ogni quattro passi lei si ferma, gli mette un dito nel becco, lo tira fuori e aspetta finché lui si mette a strillare, E che ti strilla? Casa, casa, casa, si capisce. Adesso strilla per conto suo. Lo ha addestrato bene. Lei ci tiene alla sua casa, non puoi immaginarti quanto. Be', adesso però dovrà lasciarla alla nipote.

BOCK                – Quale nipote? Da sotto si sente pregare ad alta voce.

CHRISTA          – Ne ha due. Toni viene sempre a trovarla, la casa la vuole tutta per sé. Crede di riuscire a infinocchiare la vecchia venendo tutte le sere. L'altra, la Resi, lo fa apposta a non venire mai. Lei pensa che avrà la casa tutta per sé perché non cerca di infinocchiare la vecchia. Sono proprio curiosa di sapere chi l'avrà. Tu che ne pensi?

BOCK                – Io la darei alla più giovane. Ma che sta succedendo? For se non ci sento bene? Sento pregare in continuazione. Sento davvero pregare.

CHRISTA          – Ma è il portinaio qui sotto. È una settimana che prega vicino al letto della sua vecchia. È superstizioso. Crede che finché lui prega lei resterà in vita.

BOCK                – A questo punto deve essere rauco.

CHRISTA          – Per questo strilla tanto.

BOCK                – Vorrei sapere di che muore.

CHRISTA          – Puoi pure andare a curarla!

BOCK                – Nemmeno per sogno. Per guastarmi l'umore. Ho grandi progetti per oggi.

CHRISTA          – Ha il medico della mutua. Ma non lo fa venire. Ieri faccio un salto dalla vecchia, ha una faccia buffa da matti, sem bra un teschio che abbia voglia di parlare, lei vuoi dire qualco sa, ma lui non la lascia mai parlare. Anche quando era viva non l'ha mai lasciata parlare, perché mai dovrebbe lasciarla parlare proprio ora che è più di là che di qua. Tutti i giovani del palaz zo vanno ad assistere alla scena. È diventato il nostro nuovo luo go di ritrovo. Diamo fastidio a Kokosch dicendogli: deve asso lutamente chiamare il medico. Si comporta da irresponsabile, noi andiamo a denunciarLa! A questo punto lui si infuria e ogni volta alla fine sbotta: «Pregare costa di meno, signori miei, pre gare costa di meno! » E intanto si impappina per la paura che, se smette di pregare, la moglie gli muoia sotto il naso. Infatti le vuole un bene da matti.

BOCK                – Che scemenza. Perché non la lascia morire?

CHRISTA          – Ma scusa, permetti! Con quello che costano i funerali! Lei gli costa meno di un funerale. Per questo la tira per le lun ghe più che può.

BOCK                – Quello è ancora più avaro di me. Per Giove!

CHRISTA          – No, davvero, zio Bock, è ancora molto più avaro di te. Sua figlia, Pepi, è deficiente. Avrebbe dovuto studiacchiare da qualche parte, in un istituto per ritardati mentali, forse là avrebbe imparato persino a parlare, ma lui avrebbe dovuto pagare per questo una piccolezza, un contributo alla pubblica amministrazione, una vera sciocchezza anche per un portinaio. Ma che fa quel brav'uomo? Non le fa imparare niente. Meglio che si sposi, va dicendo lui, già da anni e anni. Perché è cosi stupida che non si acchiappa neanche un marito? Eppure nel palazzo se la sono fatta tutti. Con gli uomini ha una fortuna incredibile, non rimane mai incinta e non può spiattellare niente. Gli uomini sarebbero proprio stupidi, se non... Sai, l'ho invidiata tante di quelle volte, anche se non è altro che la figlia del portinaio.

BOCK                – Ma è proprio cosi ben fatta?

CHRISTA          – Io trovo che sono meglio io.

BOCK                – Trovi! Trovi! Ognuna pensa di essere meglio di tutte le altre.

KARL                – Si. Non parli cosi forte. Sennò La sente qualcun altro e cerca di afferrare l'occasione.

ANITA              – Si, e allora?

KARL                – Lei preferisce che La baci io, no?

ANITA              – (strillando')Si prende delle libertà! Si prende delle li bertà!

KARL                – (balza in piedi)Ma chi? Non è vero! Non ho fatto niente! (Dall'altra parte compare il vecchio Bock). Ah, è cosi, il vecchio Bock! Monika, moglie del farmacista Gall, Horch.

MONIKA          – Lei è un idealista, Horch.

HORCH             – E me ne vanto, gentile signora.

MONIKA          – È proprio questo che mi piace in Lei. Ma sarà difficile che trovi una donna capace di capire il Suo idealismo.

HORCH             – Lei però dice che Le piace.

MONIKA          – Potrei essere l'unica. Ne ho passate tante in vita mia. Non sono una donna come le altre. Per questo La capisco.

HORCH             – Però tutto sommato non se l'è mai passata male.

MONIKA          – Finanziariamente no. Ma questo non conta.

HORCH             – Io invece penso che conti.

MONIKA          – Al contrario. Non dovrebbe esserci bisogno di dimo strarlo proprio a un idealista.

HORCH             – La buona opinione che Lei ha di me ostacola la mia liber tà di discussione.

MONIKA          – A Lei quest'ostacolo non dovrebbe dispiacere.

HORCH             – E perché mai?

MONIKA          – Perché Lei è abbastanza intelligente per combattere an che se la Sua libertà è limitata.

HORCH             – Lei mi sopravvaluta. Ma mi scusi.

MONIKA          – Dia un'occhiata a mio marito. È là. Sta appunto parlan do col padrone di casa.

HORCH             – Lo trovo buffo. Se almeno non facesse il farmacista. È l'uomo più magro che mi sia mai capitato di incontrare. Di soli to i farmacisti hanno un aspetto sano che consola. Probabilmen te ha la tisi.

MONIKA          – Indovinato. Sono anni che ce l'ha. Ma non muore, non morirà mai. Non può morire. Morirò sicuramente prima io.

HORCH             – Ma gentile signora! Ha almeno vent'anni più di Lei.

MONIKA          – Non vuoi dire. Dipende dalla resistenza fisica. Se è so pravvissuto a questa malattia, sopravviverà anche a me.

HORCH             – Forse non è affatto malato. Forse si affatica troppo.

MONIKA          – Al contrario. Noi assieme non facciamo un bei niente.

HORCH             – Sul serio, gentile signora?

MONIKA          – Non scherzo affatto.

HORCH             – Si potrebbe credere tutto il contrario. Ho una certa cono scenza dell'animo umano. Ma confesso che in questo caso ha funzionato male.

MONIKA          – Lei quindi ha di molto sopravvalutato la mia felicità co niugale. Ho diritto di fare quel che voglio. Le risulta chiaro?

HORCH             – Sf. Resta solo da chiedersi cos'è che Lei vuole.

MONIKA          – Non lo sa che cosa può volere una donna?

HORCH             – Mi piacerebbe sentirlo dire da Lei.

MONIKA          – Ecco quello che vuole una donna : una donna vuole un uomo che sia grande, forte e soprattutto il più potente possi bile.

HORCH             – Lei è molto intelligente, gentile signora. Basta che cer chi! Di uomini simili ne incontrerà di certo.

MONIKA          – Lo pensa davvero? Lei è un grande idealista, Horch, un grande idealista! Christa, Anita.

ANITA              – Dov'è il bei Max?

CHRISTA          – Io l'ho invitato.

ANITA              – Dov'è?

CHRISTA          – Non è venuto.

ANITA              – È a casa sua, lì di fronte? Vado a chiamarlo.

CHRISTA          – Ha mandato a dire che non viene. Ha un colloquio im portantissimo.

ANITA              – E con chi?

CHRISTA          – Con quella Gretchen. È piena di soldi.

ANITA              – Ma è in gamba?

CHRISTA          – In gamba da matti. Riuscirà senz'altro a convincerlo. E ho paura che sarà oggi stesso.

ANITA              – Bella forza. Con tutti quei soldi io ci sarei riuscita già da un pezzo.

CHRISTA          – Credi?

ANITA              – Ah, che roba, mi sono fidanzata.

CHRISTA          – Mi congratulo, e quando?

ANITA              – Venti minuti fa.

CHRISTA          – E con chi?

ANITA              – Beh, con Peter Hell.

CHRISTA          – Con quel somaro. Non ce n'era bisogno.

ANITA              – Mi piace più del tuo Michel.

CHRISTA          – II mio Michel non vale niente. Però ti saresti potuta prendere Karl.

ANITA              – Quello è troppo giovincello per me.

CHRISTA          – Sei tu che te lo devi tirar su.

ANITA              – Ma lo sai, parla di baciarsi!

CHRISTA          – Oggi abbiamo troppo pochi uomini.

ANITA              – È quello che penso anch'io.

CHRISTA          – Perché non ti sei portata Peter?

ANITA              – Meglio che non me lo chiedi.

CHRISTA          – A causa di mia madre?

ANITA              – E anche di tua sorella.

CHRISTA          – Ti sbagli, si sono incapricciate tutte e due di mio marito. Il farmacista Gall, il fabbricante di bare Rosig.

GALL                – Dove l'hai messa oggi la tua vecchia?

ROSIG               – L'ho lasciata a casa. Sotto chiave. Basta che dorma, quella vecchia troia.

GALL                – La mia è di là.

ROSIG               – Col ragazzetto? Complimenti! E tu lo sopporti?

GALL                – La rende felice.

ROSIG               – Quante ne dice, tua moglie. Se fosse la mia, le darei un paio di sculaccioni e chiuso il becco, capito?

GALL                – Per il resto mi lascia in pace.

ROSIG               – Ma allora tu con lei - non devi? Proprio per niente? Non devi adempiere i tuoi doveri?

GALL                – Lei ci rinuncia.

ROSIG               – Formidabile, perbacco! Questa si che sarebbe una troia adatta a me! La mia è una puttana. Il mestiere non lo fa più, ma continua a essere puttana. A sessant'anni non le basterà an cora. Non le basterà, sono pronto a scommetterci qualsiasi cosa, ci scommetto manco fossi un negro fresco di bucato'. Adesso ha cinquantaquattro anni e basta che per tre settimane non me la faccio con lei che me ne fa vedere di tutti i colori, a furia di piangere. Non piangere, vecchia troia, le dico, tempi passati2, non va più, che altro vuoi? Sono ventitre anni che me la faccio con te, con zelo e fedeltà, che altro vuoi? Non posso mica starti appresso come un vecchio vetturino di piazza. Oggi ha ricominciato. Non sono passati nemmeno diciannove giorni e ha già ri cominciato un'altra volta. Quella vecchia troia me lo dice in faccia che non l'amo, non l'amo, io. Ah, dico io, ecco le ultime notizie. Al mattino, quando esco, ti becchi 1 bacio, per 19 giorni fa 19 baci; la sera, dopo cena, 1 pacca sul didietro, per 19 giorni fa 19 pacche sul didietro, quindi, fatte le somme, 19 baci e 19 pacche sul didietro, il resto sono affari miei e chi troppo vuole nulla stringe, questo è bolscevismo, quella ti scortica vivo, dovunque la tocchi è una pappamolla. Che schifo. Per punizione oggi l'ho chiusa in casa sotto chiave.

GALL                – Puah! Non fa proprio per me.

ROSIG               – La tua è formidabile.

GALL                – Non c'è male.

ROSIG               – Ma scusa, permetti, nemmeno trentacinque anni. Nemmeno trentacinque anni e non devi adempiere nessun dovere. Mi fa impressione. Ma come mai è fatta cosi?

GALL                – E chi se lo ricorda.

ROSIG               – È soda?

GALL                – Dalle un pizzico e lo saprai.

ROSIG               – Lasciami provare una volta con lei.

GALL                – Ma certo.

ROSIG               – Me lo permetti, questa si che è una proposta lavata e stirata.

GALL                – Però oggi stesso.

ROSIG               – Hurrà, hurrà, hurrà, e cosi gliela freghiamo al giovanotto

GALL                – Provaci.

ROSIG               – Se la fanno assieme?

GALL                – Si sono conosciuti oggi. Si avvicina il vecchio Bock.

BOCK                – Niente di strano, se lui non ci sta mai.

ROSIG               – Ecco che arriva quello che origlia.

BOCK                – Ma cosa ascolta? La vergogna di quello là! (indicando Gall) .

GALL                – Mica tutti sono caproni. Mica tutti possono essere caproni come Bock. Ci debbono pur essere uomini onesti.

BOCK                – Io preferisco essere disonesto.

ROSIG               – Allungate troppo il tiro, signori. Il più caprone è il più onesto. Il seme dell'uomo deve venir fuori fino all'ultima goc cia, l'hanno già detto quei barbogi dei greci.

BOCK                – Aprire il rubinetto. Ho un bei da fare.

GALL                – Ma c'è la galera.

ROSIG               – Tutmemscios, signori, aprire il rubinetto! Aprire il rubinetto, venir fuori o sparare. Io mi metto al lavoro.

GALL                – Prego, prego!

ROSIG               – Orsù, camerati, a cavallo, a cavallo! (Si allontana).

BOCK                – Riesce a combinare qualcosa?

GALL                – Più di noi.

BOCK                – Noi? Noi? Parla per te.

GALL                – Ma se hai già settantanove anni.

BOCK                – Sono vecchio, ma sono ancora giovane.

GALL                – Si fa presto a dirlo.

BOCK                – Quel che è sicuro è che mi sento più giovane di te, su que sto non ci sono dubbi.

GALL                – Se sei tanto sicuro.

BOCK                – Tu mi offendi. Te ne darò la prova!

GALL                – Allora puoi tentare la fortuna.

BOCK                – Immediatamente. Ma con chi?

GALL                – Con mia moglie.

BOCK                – Posso? Una volta che ho preso fuoco c'è poco da scherzare con me. La mia è la foga di un giovane. Le mie pazienti ne sono entusiaste. Non ho bisogno d'alcool, io. Mi sento come un quarantenne. Sedurrò tua moglie! Sedurrò tua moglie!

GALL                – Si, ma quando, quando?

BOCK                – Oggi stesso! Oggi stesso!

GALL                – Immediatamente.

BOCK                – Oggi. Qui. In questo stesso posto. Un momento, prego. (Un terribile accesso di tosse squassa quel che resta della sua perdona). Segenreich, Rosig.

SEGENREICH – Quante volte ci siamo sbronzati questa settimana, Rosig?

ROSIG               – Una volta sola. Che vita: peggio di una risciacquatura di piatti. Bisogna che sotterri la mia vecchia.

SEGENREICH – Non fai altro che parlare della tua vecchia. Oggi è una giornata fatta per i giovani. Oggi non devi offendermi. Devi bere. Ecco quello che devi fare. E solo una volta che sarai completamente sbronzo te ne potrai andare a casa dalla tua vec chia. Prima non te lo permetto. Voglio dirti una cosa. Devi be re, perché non mi devi offendere. E perché non mi devi offen dere? Non mi devi offendere perché sono io che ho costruito questa casa. Sono il padre della sposa. Bevi alla felicità della sposa, cin cin alla sposa, salute alla sposa, evviva la sposa, un evviva tre volte tonante! Alla sposa, mia figlia, e il padre sono io. Quei tre li ho messi al mondo io. Beh, hanno fatto una buo na riuscita! Ci si provi qualcuno ad imitarmi! Marchio di fab brica Segenreich! Diffidare delle imitazioni. Protezione legale, brevetto depositato. E sarà sempre così per tutta l'eternità. Io nutro un amore sviscerato per i miei figli, un amore grande e sviscerato. Il giorno delle nozze la figlia diventa maggiorenne.

ROSIG               – Ma tu parli come ti gira, manco fossi una banderuola ver niciata di rosso. È un pezzo che tua figlia è maggiorenne. Sei pieno di alcool che ti barcolla su e giù come un ubriaco. Oggi ti sei lavato col vino rosso. Che cosa sembri? Sembri un padre della sposa tuffato nel Mar Rosso, e infatti hai proprio la fac cia di un babbeo verniciato di rosso. Non ho tempo, sto troppo appresso alla  MONIKA Gall.

SEGENREICH – Certo, smamma, fatti una bara e mettitici dentro con lei e tattici pure seppellire assieme a lei. La tua vecchia, la sciala a casa, quella. Per conto mio fa' pure quel che vuoi. Però devi bere, bere, hai capito? Io sono il padre della sposa!

ROSIG               – Tu non mi capisci, fratello. Non sai che cosa significa es sere un uomo.

SEGENREICH – Si che lo So.

ROSIG               – No che non lo sai.

SEGENREICH – Si che lo So.

ROSIG               – No che non lo sai.

SEGENREICH – E chi è che ha costruito la casa?

ROSIG               – Tu!

SEGENREICH – E chi è che è il padre della sposa?

ROSIG               – Tu!

SEGENREICH – Questo lo riconosci, fratello del mio cuore, bara delle rose, rosa delle bare.

ROSIG               – Questo lo riconosco e ti ci faccio il segno della croce per giunta.

SEGENREICH – A questo punto sei fregato. Ti sei fregato con le tue stesse mani. Sono io che ho costruito questa casa, quindi sonoun uomo.

ROSIG               – Però non uno come me.

SEGENREICH – Che cosa intendi dire?

ROSIG               – Meglio che stai un po' attento alla tua troia.

SEGENREICH – Rosa del mio cuore, rosa piena di virtù, sei proprio un bei cretino. Sono ventisette anni che siamo sposati e non è mai successo niente. Assolutamente niente. E dovrei comincia re adesso a starci attento? Io ho fiducia, io ho fede, perché bea ti coloro che hanno fede. Cosi sono e cosi resto. Crollerà il mon do prima che la mia vecchia mi tradisca.

ROSIG               – Per conto mio. Io con lei non ci sono ancora stato. In compenso ora sto appresso alla Gall.

SEGENREICH – E smamma, tanto ti sei fregato! Nella bara tutti e due! Io non ho bisogno di nessuna Gall. Ho i miei figli, io. Lo ro per me si butterebbero nel fuoco, Christa! Marie! Karl! Sul l'attenti quando vostro padre vi chiama! Christa! Marie! Karl!

CHRISTA          – (da fuori)Che vuole quel vecchio somaro?

MARIE              – (da dentro)E lasciami in pace.

KARL                – E il bello è che neanche mi pigliano sul serio. Rosig, Monika, Bock.

MONIKA          – Mi state assediando, signori miei!

ROSIG               – II Suo signor marito non ha niente in contrario. Niente in contrario.

BOCK                – Questo non lo direi. Dipende.

MONIKA          – Mio marito non può mettersi a darmi ordini. Sono mag giorenne.

BOCK                – C'è chi mette in dubbio che Lei sia maggiorenne, bam bina.

ROSIG               – Non ce l'ha più il bisnonno? Eccone qua uno.

MONIKA          – Io apprezzo i signori anziani perché hanno esperienza.

ROSIG               – Non sono mica più tanto giovane. Non sono mica più tan to giovane.

BOCK                – In tutto lui di anni ne ha cinquantacinque. Io ne ho ven tiquattro più di lui.

MONIKA          – Vi siete conservati bene tutti e due.

BOCK                – Rispetto al Suo signor marito, certo.

ROSIG               – Vede, sta offendendo il nostro amico Gall, noi questo non siamo disposti a sopportarlo.

MONIKA          – Lei dice di essere amico di mio marito? E non se ne ver gogna?

ROSIG               – Me ne ha dato lui il permesso.

BOCK                – Quanto a me mi ci ha spinto lui.

MONIKA          – E voi dite di essere amici di quello spilungone odioso e buono a nulla? Mi sarei aspettata qualcosa di meglio da voi, si gnori!

BOCK                – Io non ci vado mai d'accordo. È un egoista.

ROSIG               – Di cretini lavati e sputati come Gall non ne trovi un altro al mondo. Nessuno lo può vedere.

MONIKA          – È quello che penso anch'io.

ROSIG               – Suo marito non La capisce proprio. Una moglie soda co me Lei.

BOCK                – II fatto è che è troppo vecchio.

MONIKA          – Questo lo crede Lei. Sembra vecchio, ma non muore mai.

BOCK                – Morirà prima di me, glielo dico io. Sono medico.

ROSIG               – E io Le fornirò gratis la bara.

MONIKA          – Grazie, grazie, signori. Siete bravi a promettere.

ROSIG               – Lei rileverà la farmacia e la manderà avanti al posto del nostro defunto amico Gall.

BOCK                – Noi tre infatti abbiamo sempre lavorato in società. Per pri ma cosa la gente andava da Gall. E in farmacia lui gli dava una polverina, in modo che si ammalassero per bene, e poi li man dava da me, e, se non bastava, allora io glieli rimandavo, per ché gli desse un'altra polverina, così la malattia si aggravava sem pre più e io ci guadagnavo, lui ci guadagnava e, una volta che con quella gente non c'era più niente da fare, non gli restava che morire e Rosig gli poteva fare la bara. Infatti la fabbrica di bare di Rosig non va mica tanto bene come Lei potrebbe credere. Ho sempre dovuto mandargli dei cadaveri.

ROSIG               – Questa è una bugia fresca di bucato da parte sua. Non gli creda una parola. Da quando ho cominciato la mia attività, di cadaveri me ne avrà mandati tutto sommato cinquecento, e con quelli non sarei mica diventato quello che sono, non mi ci sarei certo ingrassato, con quelli mi sarei ridotto sul lastrico, ci sarei morto di sete, oltre che di fame. Ho ben altri fornitori e ben altre aderenze, io. Già Gall me ne ha procurati da solo molti di più. Coi suoi settantanove anni non può fare a meno di fare lo spaccone e di spararle grosse, ma io di lui non so che far mene!

BOCK                – Dica Lei stessa a chi crede, bambina. Per conto mio trovo indecente speculare sui cadaveri.

ROSIG               – Questa è una volgarità che grida vendetta! Il bisnonno, lui specula sulle porcherie. Ingravida le donne, poi loro vanno da lui, lui gli fa il raschiamento, raschia via dalle donne i suoi propri figli e si fa pure pagare. Specula sui suoi propri figli.

MONIKA          – Ah si, ma ce la fa ancora ad avere figli?

ROSIG               – Lui? In un giorno solo riesce a farne tanti quante sono le pazienti che aspettano in anticamera. Non per niente è caprone di nome e di fatto.

BOCK                – E come faccio a sapere se sono proprio figli miei?

MONIKA          – Ma Lei davvero ha già settantanove anni?

BOCK                – Settantanove e mezzo. In cambio lui ha cominciato lavando cadaveri. Per otto anni Rosig ha fatto il lavatore di cadaveri.

ROSIG               – È una menzogna! Non ho mai fatto il lavatore di cadaveri!

BOCK                – Lo giuro, posso giurarlo su qualsiasi cosa: Rosig ha fatto per otto anni il lavatore di cadaveri.

ROSIG               – Questo alla signora non interessa! Stia zitto!

MONIKA          – Credete davvero, signori, che la farmacia potrei man darla avanti io?

ROSIG               – Può farlo altrettanto bene quanto Gall.

BOCK                – Ci mette dentro un laureato in farmacia, e noi l'aiuteremo.

MONIKA          – È vero che mio marito ha poco più di cinquant'anni, ma è straordinariamente cagionevole. Può sempre morire all'im provviso per un colpo apoplettico.

BOCK                – Non sarebbe male. Con quella farmacia cosi ben fornita.

ROSIG               – Si lasci consigliare da noi.

BOCK                – Se dovesse sentirsi male, mi mandi subito a chiamare. Io conosco la sua costituzione fisica. A me basta un'occhiata per capire di che malattia è morto.

ROSIG               – Altrimenti potrebbero sospettarla di qualcosa di poco pulito. Mariechen, Michel.

MARIECHEN   – Michel, tu sei mio cognato, vero?

MICHEL           – Si, sorellina.

MARIECHEN   – Perché mi chiami sorellina?

MICHEL           – Sei la sorella di Christa.

MARIECHEN   – Questo non c'entra. Sei arrabbiato con me perché sono la sorella di Christa?

MICHEL           – Ma Mariechen!

MARIECHEN   – Invece io credo che tu sia arrabbiato. Non devi essere arrabbiato. Di', la sai una cosa, se

CHRISTA          – non fosse mia sorella, noi non ci conosceremmo affatto.

MICHEL           – Adesso ci conosciamo.

MARIECHEN   – Però sarebbe buffo, vero? Ci saremmo appena co nosciuti, come se fossimo a un ballo, e tu mi dici: «Gentile si gnorina, posso accompagnarla a casa?» E io dico: «Certo, su bito, mi dia il braccio, signore. Però potrà baciarmi solo dove è buio, altrimenti qualcuno ci vede».

MICHEL           – Ma sorellina!

MARIECHEN   – Che male c'è? Tu puoi baciarmi perché adesso sia mo parenti. E i parenti debbono baciarsi. Altrimenti vuoi dire che sono arrabbiati. Io non gli dico niente a Christa.

MICHEL           – Dire? Che cosa?

MARIECHEN   – Che hai baciato la mamma. Io non le dico niente. Tu eri di là, in camera da letto. Ti sei buttato addosso alla mam ma, io vi sono venuta dietro. L'ho visto. A CHRISTA non dico niente. Però devi darmi un bacio bello lungo e forte. No, tre, no, dieci, adesso, subito, e allora non gli dico niente a Christa. Di, perché la mamma ti tirava in quel modo per i capelli? An ch'io voglio tirarti per i capelli. Io l'ho visto come ti ha morso. Anch'io voglio morderti. Di', perché non dici niente?

MICHEL           – Sono cosi stanco. Non dici altro che sciocchezze.

MARIECHEN   – Ti ha fatto male? Ti ha fatto male, vero? Fa male a tutti lei, solo a papà no. A lui lo lascia in pace perché non lo può soffrire. Ora mi devi baciare! Ma come, te ne vai? Io glielo dico a Christa!

MICHEL           – Non posso baciarti. Se tua madre se ne accorge.

MARIECHEN   – Lei però ti può baciare, sei un mascalzone!

MICHEL           –

CHRISTA          – mi sta chiamando.

MARIECHEN   – Hai sentito male. Resta, Michel!

MICHEL           – CHRISTA mi sta chiamando.

MARIECHEN   – Lo vedi come sei, dici le bugie! Se lo vuoi sapere, CHRISTA  è nell'ingresso con quel signor HORCH che parla tanto bene. Gli sono andata dietro. Ho sentito tutto. Lui andrà a tro varla nella casa nuova, quando tu non ci sei. Lei è un grande idealista, gli ha detto lei, e lui ha detto: sì, lo sono. Poi si sono messi a baciarsi e io sono venuta qui di corsa per vedere se eri già uscito dal bagno. CHRISTA non viene mica, ha detto al signor Horch: Lei bacia troppo in fretta, baci più adagio, grande idea lista; CHRISTA non viene di sicuro, io lo so. Il fatto è che hai paura della mamma. Vieni dietro la tenda! Lì la mamma non ci vede! Devi venire! Devi baciarmi! Sbrigati!

MICHEL           – No, no.

Lei se lo trascina dietro la tenda. Dopo pochi attimi lui sguscia fuori con aria imbarazzata.

MARIECHEN   – (gli corre appresso, su tutte le furie)Erano solo quattro! Erano solo quattro! Sei un imbroglione! (Serra i pic coli pugni e corre piangendo dall'uno all'altro. Gira attorno ad alcuni, va a sbattere contro altri fino a che a poco a poco attira su di sé l'attenzione di tutti) Zìo Bock! Zio Bock!

BOCK                – Ma che cos'ha la bambina? Che cos'ha la bambina?

MONIKA          – (stizzita)La piccola vuole qualcosa.

ROSIG               – Naturalmente sarà andata a sbattere. E ora piange come una fontana. Se c'è una cosa che non sopporto è che uno vada a sbattere. Per lo spavento uno diventa pallido come un panno lavato.

MARIECHEN   – continua a correre piangendo.

KARL                – Eccola che ricomincia a sbraitare, quella stupida marmocchia.

ANITA              – Che cosa sta dicendo, Karl?

KARL                – Mia sorella ha ricominciato a sbraitare. Ma Lei guarda sempre dalla parte sbagliata.

ANITA              – Che cosa sta facendo il signor

BOCK                – da tutto questo tempo?

KARL                – II dottar Bock. Ce ne vuole di tempo per strappare quel titolo. Io ora sono iscritto al terzo semestre.

MARIECHEN   – (alzando la voce)Lo dico a mio padre! Che sfac ciato!

SCHÒN             – Lascia un po' in pace tuo padre, ti darò degli altri zuc cherini, si può sapere che cosa vuoi da tuo padre, semmai sono cose che riguardano la mamma. Su, fai la brava. Tuo padre non. c'entra per niente. Pensi che io abbia fatto qualcosa a tua ma dre? Non le ha fatto proprio niente. (Alla vedova Zart) La bam bina è fatta cosi, non sopporta che le si tocchi la madre nem meno con un dito!

ZART                 – Che simpatica. Lei lo sa che cos'è che sta bene.

SCHÒN             – Però che cosa non mi è costata in tutti questi anni! Zuccherini, bambole, cioccolata, ce n'è da pagare perché stia zitta.

ZART                 – Queste spese potresti risparmiartele.

SCHÒN             – E lo farò.

MARIECHEN si ficca un fazzoletto in bocca e piange in maniera straziante. Si apre la porta che da sull'anticamera. Entra HORCH che si guarda attorno con aria sospettosa e armeggia con la cra vatta. Cerca di capire l'origine delle grida, si rende conto che si tratta di Manechen e, tutto contento perché può darsi subito da tare, si dirige a passo svelto verso la piccola con l'intento di consolarla.

HORCH             – Si può sapere perché stiamo piangendo, bambinona?

MARIECHEN   – Lo dico a papà! Che sfacciato!

HORCH             – Chi è che è stato sfacciato? Sta' attenta, lo troveremo subito! Gliela faremo vedere noi a quello! Basta che mi dici chi è stato.

MARIECHEN   – (cambiando voce tutto a un tratto, in tono calmo e asciutto) Se Lei mi da un'altra volta del tu, si becca uno schiaffo!

HORCH             – Ehi, ehi, non volevo mica offenderLa, signorinella volevo soltanto aiutarLa.

MARIECHEN   – Vada piuttosto ad aiutare CHRISTA coi Suoi baci! Ma più adagio, Lei bacia troppo in fretta, grande idealista'

CHRISTA          (che è sopraggiunta nel frattempo) Hai fatto fiasco con Michel? Vero? E ha quattordici anni quel tipetto! Buffo da matti, no?

MARIECHEN    ricomincia a piangere forte e si dirige verso il padre.

GALL                – (se ne sta impalato e tutto solo in un angolo)E piantala con le lacrime!

MARIECHEN   – Ah si, e Michel mi può offendere, Michel!

GALL                – Se c'è una cosa che non sopporto sono le lacrime

SEGENREICH – (completamente ubriaco)Io sono il padre di famiglia! Il padre di famiglia e padre della sposa. Perché MARIE ride tanto? Così sono e cosi resto! Non ridere, Marie, ti dico Tu perdi una fedele sorella!

MARIECHEN   – Papà! Papà!

SEGENREICH – Beh, ridi, ridi pure, è sempre meglio che piangere

MARIECHEN   – Ma io sto piangendo, papà.

SEGENREICH – Piangere? Non se ne parla nemmeno. Oggi nessuno deve offendermi- E chi piange nella mia gran giornata mi offendete. Marie, tu stai offendendo tuo padre nei suoi tardi anni II mio nome onorato! E sarà sempre cosi per tutta l'eternità A lei otto nipotini non bastano! Ne vuole subito nove Perché la casa l'ho costruita io, Marie, tu mi metterai al mondo tre nipotini, ne uno di più ne uno di meno, altrimenti ti mando al diavolo, ti diseredo, io voglio da te tre nipotini, ne uno di più ne uno di meno!

MARIECHEN   – Papà, papà, Michel mi ha baciata, Michel mi vuole sempre baciare, Michel non mi lascia mai in pace, io da MICHEL non mi lascio baciare!

SEGENREICH – Che ha fatto? Che cosa? È già sbronzo anche lui! Non regge niente quel ragazzetto. Si sbronza subito. Quello sbarbatello. Su, vieni.

SEGENREICH 9abbraccia teneramente Marie, l'accarezza, l'accom pagna con galanteria al tavolo, le mette davanti dei pasticcini e da quando sta attorno alla figlia appare meno ubriaco. Dall'uni ca porta che finora non era stata mai aperta (e che conduce alla stanza da bagno), viene fuori barcollando Johanna. Vede il padre con la figlia.

JOHANNA        – (severamente)Che altro le è successo?

SEGENREICH – Niente. Niente. È tutto passato. Il mio topolino! Qua c'è una cosa per il mio topolino. Un divertimento da pazzi, un divertimento coi fiocchi, un divertimento coi controfiocchi! Signori, mi permetto di scatenarvi dentro un putiferio! Ci stia mo isolando troppo. Ognuno di noi se ne sta per conto suo mentre dovremmo stare tutti assieme, perché cosi è giusto che sia nella mia gran giornata.

In conseguenza delle urla di poco prima tutti gli invitati alle nozze si sono avvicinati. La musica suona più forte. Tutti si accostano al tavolo.

ROSIG               – Quello oggi non si è sciacquato la bocca! Domani gli compriamo uno spazzolino da denti.

GALL                – Non interrompere.

ROSIG               – Non agitarti tanto, che ti va la bile ' di traverso. Una volta o l'altra bisognerebbe darti una lavata.

SEGENREICH – Allora, signori, che cosa suggerite per sollazzare il popolo? Chi ha qualcosa da suggerire, si faccia avanti e parli! Bussano alla porta.

CHRISTA          – Ma che vuole quel vecchio somaro? Bussano più forte. Tutte le teste si girano stupite verso la porta. Entra, con un ghigno che le prende tutta la faccia, Pepi Kokosch.

BOCK                – Chi è?

MARIECHEN   – È la Pepi del portinaio, zio Bock.

BOCK                – Ah! Ah!

CHRISTA          – Hai più culo di tutti noi messi assieme, zio Bock.

BOCK                – Questa è sempre stata una mia caratteristica. E fra poco arrivo a cent'anni.

SCHÒN             – A dirlo sono buoni tutti.

BOCK                – Per me, facciamo pure ottanta. Ehi, Christa, è proprio ben fatta. Me la debbo guardare. L'orchestra faccia silenzio! L'orchestra nella stanza accanto smette di suonare.

CHRISTA          – Non ho affatto detto che è fatta male. Trovo soltanto che sono meglio io.

BOCK                – Mi importa assai di come ti trovi. (Fa un cenno con l’indice) Vieni qui, bambina!

Pepi emette suoni inarticolati e indica verso il basso.

ROSIG               – BOCK se la ripulisce con le dita quella ragazza.

GALL                – Ma se ha le dita sporche.

SCHÒN             – Quando

BOCK                – afferra una donna, lei si mette subito a ridere.

ZART                 – E ha ragione.

CHRISTA          – Le donne magre gli stanno antipatiche.

MONIKA          – Se la fa con chiunque. Il fatto è che è troppo vecchio.

JOHANNA        – Che ci fa quell'idiota qui?

MARIECHEN   – (corre da Pepi)Mia mamma dice che te ne devi an dare! (Le da uno spintone),

HORCH             – Sovrintendente Segenreich, dovremmo almeno chiedere a quella poveraccia che cosa vuole.

JOHANNA        – Lo sappiamo da soli, caro Horch, che cosa vuole, ha messo gli occhi sul dolce Michel. Pepi a sua volta da uno spintone a Marie.

SEGENREICH – Ha messo gli occhi sui miei figli, quella disgraziata! I miei figli appartengono a me!

BOCK                – Su, siediti da brava sulle mie ginocchia. Pepi si siede sulle ginocchia di

BOCK                – e continua a indicare in basso. Tenta di far capire a gesti che la madre sta morendo, ma continua a sghignazzare.

BOCK                – Questa rimane qui. Questa rimane qui. Mi piace, quando una non la smette mai di ridere. Cosi va bene, bambina. Tarata. Putupù! Ahi! Ben ti sta!

ROSIG               – L'orchestra dovrebbe vergognarsi, con i suoi guanti bian chi: ma se non sta suonando!

GALL                – Lascia in pace l'orchestra.

SEGENREICH – L'orchestra deve suonare! L'orchestra deve suo nare! Fragorosa fanfara.

JOHANNA        – Non deve entrarci più nessuno in casa mia.

CHRISTA          – Ci viene tutta la marmaglia.

KARL                – Tanto la Pepi non può dire niente.

ANITA              – Lei lo dice soltanto perché uno ci creda.

KARL                – Oh, io ho avuto una relazione con lei. Ha carattere la pic cola.

ANITA              – Si è mai fatta baciare per le scale?

CHRISTA          – Nemmeno una volta.

HORCH             – Temo che Suo padre abbia dimenticato il progetto di poco fa.

CHRISTA          – In vita sua di progetti non ne ha mai avuti.

HORCH             – Lei lo disprezza perché è Suo padre.

CHRISTA          – Spero che non lo sia.

GALL                – Questa è la gioventù moderna.

ROSIG               – Faresti meglio a star zitto, quando uno non c'entra per niente è meglio che stia zitto.

GALL                – Zitto! Sedersi sulle ginocchia di Bock! Monika!

MONIKA          – Tu non puoi metterti a darmi ordini. Ho vent'anni me no di te.

JOHANNA        – (strillando)Io ho una dolce proposta! Michel, lo spo so, si fa dare un dolce bacio da tutte le signore!

SEGENREICH – Proposta respinta! A casa mia proposta respinta!

SCHÒN             – Me lo immaginavo. A casa sua lui certe cose non le per mette.

ZART                 – Tu non mi dici più mimosa. quanto deve essere contenta Sua nonna ad avere una nipotina come Lei. E quand'è che si sposa?

TONI GILZ       - Ho sentito la musica e mi sono detta, va' un po' a vedere come vanno le cose. Ma non lo sapevo mica che c'era quella deficiente della Pepi del portinaio, io insieme a quella li mica ci sto, chi è quel vecchio signore che fa sempre cosi con il dito?

CHRISTA          – È il nostro medico di famiglia, il dottor Bock.

TONI                 – Quello è vecchio bacucco come mia nonna.

CHRISTA          – Più vecchio. Fra poco avrà ottant'anni.

TONI                 – Ma no! E non ce l'ha una moglie?

CHRISTA          – Già, cercare la cerca sempre, ma non l'ha ancora trovata.

TONI                 – Ah sì, e quella deficiente della Pepi che ci fa seduta sulle sue ginocchia?

CHRISTA          – Ci sta solo come tappabuchi! È a Lei che accenna col dito.

TONI                 – Magari mi vuole sposare. È tanto che desidero un marito vecchio e ricco.

CHRISTA          – E perché poi vecchio?

TONI                 – A stare con la nonna ci ho fatto il callo ai vecchi. Coi gio vani ci vuole troppo tempo, per i miei gusti. Che ne pensa, ci avrà ancora molto da vivere quello li?

CHRISTA          – Questo deve chiederglielo a lui.

TONI                 - (va dal vecchio Bock)Ehi, si può sapere che cosa vuole da me, vecchio signore? Già prima per le scale mi ha dato un ba cetto.

BOCK                – E adesso tu me ne darai un secondo.

TONI                 – Non so manco dove mettermi.

BOCK                – Di ginocchia ne ho due. Siediti qui.

TONI                 – No. Vicino a quella deficiente della Pepi io non mi ci siedo mica. Mica perché è deficiente, ma perché è la Pepi del porti naio.

BOCK                – Bambina, hai ragione, ma sua madre sta morendo e quindi oggi bisogna essere gentili con lei. Su, siediti.

TONI                 – Ah, cosi, perché quella sta morendo? (Si siede) Anche mia nonna morirà tra poco.

BOCK                – E allora te la prendi tu la casa?

TONI                 – Penso di si. Che è ricco, Lei?

BOCK                – Beh, se ci metti anche la tua casa, allora si che sono ricco!

TONI                 – No, quella me la tengo io. Lei ha l'aria di uno ricco.

BOCK                – Quanto a questo ti sbagli.

TONI                 – No che non mi sbaglio.

BOCK                – Ma si può sapere perché pensi che sono tanto ricco, bambina?

TONI                 – Perché è vecchio bacucco.

BOCK                – Perché sono vecchio bacucco?

TONI                 – Non so com'è, ma coi vecchi, quando muoiono, c'è sempre da ereditare qualcosa.

BOCK                – E va bene, allora sposiamoci! Io mi prendo la casa - ah, adesso ci sono - sta da voi quel pappagallo indiavolato?

TONI                 – Da mia nonna. Tanto quello io lo strozzo, quando lei è morta, appena è morta io lo strozzo, quel pappagallo!

BOCK                – E brava la piccola, ha temperamento! Bene, fatti solo visitare un pochettino. In fondo, io sono dottore. Bene! Molto bene!

CHRISTA          – È proprio uno schifo. Non gli basta mai, bisognerebbe togliergli il bicchiere di mano. Se almeno se la facesse con una donna! Lo vedete, con nessuna. E secondo Lei un tipo simile sarebbe mio padre!

HORCH             – Adesso metto io in moto un bel gioco di società. Per farLa divertire. O ne ha abbastanza di tutta la compagnia? Lo capirei benissimo.

CHRISTA          – Oggi Lei è la mia unica consolazione.

HORCH             – (si alza in piedi)Avrei da fare una splendida proposta. Prestatemi ascolto, signori! Ognuno deve dire che cosa sarebbe disposto a fare per l'altro. Immaginatevi che sia minacciato l'es^ sere a voi più caro, la persona, fra tutte quelle qui presenti, cui siete più affezionati. Noi siamo qui riuniti, l'uno di fianco all'altro, buoni buoni, tonti tonti, come si conviene a persone allegre, non pensiamo a niente, non desideriamo niente, siamo tutti presi dal momento del matrimonio, quand'ecco tutto a un tratto una saetta attraversa il tetto e provoca un incendio, una saetta appuntita, ardente, abbagliante, - anzi no, una saetta non è abbastanza perfida, perfida, più perfida sarebbe una scossa, si, un terremoto. La via della Bontà, qui davanti, si spalanca, come se io l'avessi spaccata con un coltello grande come una casa, per favore, può dirmi dov'è la via della Bontà? La via della Bontà è scomparsa, dov'era prima non c'è più, c'è solo un'enorme voragine ingorda e noi, noi vi precipitiamo dentro, nel bei mezzo, alla rinfusa, giù giù fino in fondo, in due secondi, invitati e casa, banchetto e beveraggi!

MONIKA          – i

CHRISTA          – Lei è un idealista, Horch! ZART

SEGENREICH – La casa l'ho costruita io, la casa non crolla! Che volgarità! Crollasse il mondo la mia casa non crolla.

HORCH             – Lei non deve cominciare subito a interrompermi, caro sovrintendente Segenreich, deve lasciare che sviluppi il mio pensiero.

SCHÒN             – Lascia che sviluppi! Caro amico, lascia che sviluppi!

JOHANNA        – E l'adorabile Michel che ne pensa?

MARIECHEN   – Mamma, mi vuole baciare un'altra volta.

JOHANNA        – Vuoi smetterla con queste bugie, bricconcella! Credi che voglia baciare proprio tei

MARIECHEN   – Ma si! Ma si!

BOCK                – (respirando affannosamente)Girati cosi, bambina, è così che devi star seduta. Se no non mi riesce di afferrarti.

TONI                 – Hmm, Lei è già stanco morto. Le peso troppo. Lei è vec chio bacucco! Dobbiamo sposarci! Sposiamoci!

BOCK                – Domani. Domani. Ha temperamento, la piccola. Quasi co me me.

ROSIG               – Questo

HORCH             – ha un'immaginazione sudicia. Una volta o l'altra a quella immaginazione bisogna dargli una bella lava...

GALL                – Sta' zitto. Che ci restino tutti scottati.

SEGENREICH – Quel tipo ne ha di idee! Ne ha di idee quel tipo! Io posso bere quanto voglio, ma a me di idee cosi non me ne ven gono.

SCHÒN             – Ma su, amico caro, rimettiti a lui!

SEGENREICH – E va bene, visto che è uno scherzo. Mi dichiaro so lennemente d'accordo e rigetto - ah, pardon - (risate fragorose) rimetto la presidenza di questo illustre consesso nuziale al no stro egregio amico Horch.

HORCH             – Assumo la presidenza e chiedo a tutti lor signori un po' di silenzio. Debbo rivelarvi un segreto. È da quando siamo qui riuniti che lo tengo celato. Lo sento e lo avverto e lo assaporo a ogni parola che dico. Non posso più tenermelo dentro. È trop po grande e io sono troppo debole, quello cresce e io no, da so lo sono troppo piccolo, ho paura, aiutatemi a sopportarlo!

BOCK                – Mah, mah.

HORCH             – Ascoltatemi! Ascoltatemi! Ma non vi spaventate! Fra quattordici minuti verrà la fine del mondo. All'inizio avvertirete una lieve scossa. Penserete che si tratti di un automezzo pesante che sta passando con fracasso per la strada. L'autocarro si ferma davanti alla casa e fa fracasso e non riesce ad andare avanti. Voi sorridete e guardate il lampadario che oscilla avanti e indietro, oscilla avanti e indietro, dal solaio rotolano giù per le scale del le botti, grandi, massicce botti, botti pesanti e massicce...

BOCK                – Botti di Heidelberg.

MONIKA          – Stia zitto, lei, cinico che non è altro!

HORCH             – Aspettate a ridere, state ridendo troppo presto! Quando il lampadario - patatrac - precipiterà sopra il tavolo e le scheg ge vi entreranno nelle carni, quando comincerete a barcollare e in quel baccano si spegneranno tutte le luci, quando nessuno di voi potrà più guardare l'altro negli occhi, non un barlume, non un'ombra, buio pesto fuori, buio pesto dentro e la strada buia come la casa e la casa buia come voi, e voi vi sbagnerete a toc care, vi sbaglierete a chiamare, ma non vi sbaglierete a strilla re - allora saprete, allora sapremo a che punto siamo e staremo tremanti davanti alla terra come la terra starà tremante davan ti a noi e il terrore ci terrà stretti in pugno - stop! Chi avrà al lora tempo per se stesso, chi si soffermerà a pensare a sé, chi avrà ancora coscienza di se stesso, quando la persona da lui ama ta starà per cadere nelle fauci della morte? In fondo siamo es seri umani, non è vero, questo me lo concederete e, visto che siamo immersi nelle bugie fino al collo e dato che è piacevole e divertente dire bugie in occasione di nozze come queste, fauste di nome e di fatto ', vi regalo un'altra bugia grassa e tonda. Mi crederete anche questa volta?

ROSIG               – Deciso. Ci crediamo. Tanto non costa niente.

GALL                – Tu pensi sempre ai soldi.

ROSIG               – Questa è una bugia mal lavata da parte tua. Sei fuori di te perché sto dietro a tua moglie, con lei ci vado a letto subito, appena sei morto, gliel'ho promesso, non ho bisogno di chie derti il permesso e se alzi la cresta ti do una bella ripulita, oggi in figura e domani in sepoltura.

HORCH             – Calma! Supponete che sia qui, qui tra noi, tra gli invitati alle nozze, la persona a voi più cara. Vi riesce troppo difficile supporlo? L'avete forse dimenticata a casa? Allora lasciatela pure li dove è sepolta e sceglietevene un'altra qui! E quando avrete scelto, appena avrete scelto, ecco che sentite l'autocarro che passa con fracasso qui davanti, ecco che il lampadario lassù oscilla, le botti rotolano, il soffitto si apre, si apre il pavimento, irrompe la tenebra. E voi, voi, cosa farete per la persona amata?voci (alla rinfusa)Io? Sta parlando di me? Voglio essere io il primo. Io ho scelto. Per favore. Idealista. Io lo so già.

HORCH             – Calma! Vedo con gioia e con grande soddisfazione che vi accalcate tutti per correre incontro alla rovina. Nessuno resta indietro. Ci stanno tutti e ciascuno ha in tasca già bella e pton ta la persona amata. Non esitate, mettetela pure in mostra! Vi interrogherò l'uno dopo l'altro, adesso faccio l'appello. Chi è che è il più vicino alla morte? Bock!

BOCK                – A me piacciono le donne fresche.

HORCH             – Più di tutti! Più di tutti!

BOCK                – Oggi la Gall.

HORCH             – Chi è che con le bare ci si ingrassa? Rosig!

ROSIG               – Vorrei sotterrare la mia vecchia che sta a casa.

HORCH             – Più di tutti! Più di tutti! Più di tutti fra coloro che so no qui!

ROSIG               – La

MONIKA          – Gall mi fa venire l'acquolina in bocca.

HORCH             – Chi è onestamente incanutito con la sua tisi? Gall.

GALL                – Io sono una persona per bene. Mica tutti possono essere dei rosei caproni!

HORCH             – Si sta parlando di te. Chi ti piace più di tutti?

GALL                – Nessuno.

HORCH             – Non vale.

GALL                – Io.

HORCH             – Chi è ricco di figli suoi?

SEGENREICH – Io sono il padre della sposa. La casa l'ho costruita io. Sono il padre di tutti e tre! Io!

HORCH             – Più di tutti! Più di tutti!

SEGENREICH – Christa,

KARL                – e Marie. Punto e basta, la risposta e valida!

HORCH             – Questa rispettabilissima signora...

JOHANNA        – Non lo sono, non lo sono.

HORCH             – Lei ama?

JOHANNA        – Mio genero Michel, me lo mangerei.

HORCH             – Chi è che porta il suo nome come un cappello non suo? Schon!

SCHÒN             – Ormai ho fatto l'abitudine alla padrona di casa.

HORCH             – A quale? La vecchia, la giovane, la giovanissima?

SCHÒN             – La vecchia. Non posso farne a meno. Che posso farci?

HORCH             – Quale giovane viene oggi ardentemente desiderata da due vecchi?

MONIKA          – Gall!

MONIKA          – Io amo Horch. Io ripongo le mie speranze in Horch.

HORCH             – Chi è che sa trarre profitto dalle parole, chi è che ci conosce a fondo? Horch! Interrogo me stesso e dico: Christa.

MONIKA          – Mascalzone! «

ZART                 – Che chiacchierone!

HORCH             – A chi ha pensato il marito morendo? Alla vedova Zart!

ZART                 – Adesso sto con Schòn.

HORCH             – Chi è che non ne può più della madre moribonda? Pepi Kokosch!

TONI                 – Quella là mica che la facciamo giocare assieme a noi.

JOHANNA        – Tanto quell'idiota non può parlare.

CHRISTA          – Le orecchie però le drizza.

MARIECHEN   – da uno spintone a Pepi. Pepi da a

BOCK                – un bacio con lo schiocco. La dentiera del dottore cade a terra. Risate.

HORCH             – Mi si dice che qui c'è uno sposo. Michel!

MICHEL           – Ma signor Horch!

HORCH             – Più di tutti!

MICHEL           – Non lo so.

HORCH             – Devi saperlo!

MICHEL           – Non posso.

HORCH             – Si che puoi!

MICHEL           - (a bassa voce)Mariechen.

MARIECHEN   – Mamma, ora ci crederai che mi vuole sempre ba ciare.

JOHANNA        – Ora

MARIECHEN   – se ne va a letto. I bambini debbono an dare a letto.

HORCH             – Chi è troppo bella per essere la sposa di un solo marito? Christa!

CHRISTA          – Lei proprio no! Il più sicuro è sempre stato il vecchio Bock.

HORCH             – Strilla perché qualcuno si prende delle libertà e poi muo re dalla voglia che se ne prenda ancora di più? Anita!

ANITA              – (strillando)Bock! Bock!

HORCH             – Chi è l'iscritto al terzo semestre, che nessuno prende sul serio? Karl!

KARL                –

ANITA              – mi ha promesso un bacio.

HORCH             – Tientelo per te. Più di tutti! Più di tutti!

KARL                – Anita. Anche se...

HORCH             – Chi è fissata coi vecchi? Toni Gilz!

TONI                 – A me quello che mi piace è Bock! Gesummio che vecchio bacucco che è quel Bock!

HORCH             – Chi è che deve andare a letto e non ci vuole andare da sola? Marie!

MARIECHEN   – Michel vuole me. Io voglio lo zio Bock.

HORCH             – Stop! Sento il fracasso dell'autocarro. Il lampadario oscilla già, le botti rotolano. Ascoltate, guardate, il lampadario oscilla, le botti rotolano e fuori l'autocarro fa fracasso. Ho proprio paura che sia la fine del mondo. Tutti voi avete paura, avete molta paura, che cosa farete? Dovete fare qualche cosa. Qual è l'ultima cosa che farete, la casa sta crollando, qual è l'ultima cosa che farete per la persona amata? Bock!

BOCK                – Io coprirò la Gall. Così morirà piacevolmente.

HORCH             – Rosig!

ROSIG               – Io alla

MONIKA          – le laverò via di dosso quel Bock.

HORCH             – Gall!

GALL                – Io metterò in salvo i miei polmoni.

HORCH             – Segenreich!

SEGENREICH – Io mi metterò

CHRISTA          – sul groppone, afferrerò con la sinistra

KARL                – e con la destra afferrerò Marie.

HORCH             – Johanna, la madre!

JOHANNA        – Io svelta svelta metterò in salvo Michel dentro il mio letto. Li è al sicuro.

HORCH             – Schon!

SCHÒN             – Io mostrerò a JOHANNA la via per uscir di casa!

HORCH             – MONIKA            Gall!

MONIKA          – Io chiederò a HORCH l'ultimo favore!

HORCH             – Horch! Sono io. Io bacerò in fretta CHRISTA prima di mettermi in salvo! Vedova Zart!

ZART                 – Io mi aggrapperò a Schòn, lui mi terrà stretta.

HORCH             – Pepi Kokosch! (Pepi, eccitata al massimo, emette suoni inarticolati). Vuoi vedere che per lo spavento le si scioglie la lingua. (Tutti gli uomini cominciano ad agitarsi). Michel!

MICHEL           – Io prenderò per mano la piccola Marie.

HORCH             – Christa!

CHRISTA          – Io mi conserverò bene bene BOCK per dopo.

HORCH             – Anita!

ANITA              – Forse allora il signor BOCKavrà più tempo per me!

HORCH             – Karl!

KARL                – Io darò un bacio al buio ad Anita.

HORCH             – Toni Gilz!

TONI                 – Io mi sposerò BOCK prima che se lo prenda quella.

HORCH             – Marie!

MARIECHEN   – Io salterò fuori dal letto. Afferrerò lo zio Bo….

Mentre HORCH        sta ancora parlando si sente fuori, per strada, un veicolo. Si avvicina con fracasso, dapprima leggero. Si ferma da vanti alla casa e il fracasso si fa sempre più forte. La luce si abbassa ma non si spegne subito. HORCH ammutolisce. Il ritmo sempre più rapido della sua enumerazione trapassa in un lento stupore. Tende l'orecchio. Tutti tendono l'orecchio. Alza gli occhi al lampadario. Gli occhi di tutti si alzano verso il lampadario. Il lampadario oscilla. La sua oscillazione si trasmette alle teste. Fuori delle finestre guizzano larghe ombre. Delle botti rotolano pesantemente giù per le scale che scricchiolano. Le teste si sottraggono alle oscillazioni del lampadario e si irrigidiscono, un orecchio teso verso la strada, l'altro verso l'interno della ca sa. Tutte le marionette ridiventano marionette e tacciono, esse sono di legno. La casa comincia lentamente a oscillare. Tutto a un tratto Toni Gilz balza su dalle ginocchia di BOCK e grida come una forsennata.

TONI                 – La mia casa! La mia casa! (Attraversa di corsa la lunga sala precipitandosi verso Segenreich) Ma si può sapere come l'ha co struita? La mia casa! La mia casa trema! La mia casa!

SEGENREICH – (con dignità)Alla casa non succede niente.

TONI                 – Ma io lo sento che trema! La mia casa sta crollando! Non sono nemmeno vent'anni che sta in piedi e già crolla!

SEGENREICH – Io sono sovrintendente edile.

TONI                 – Sovrintendente? Sovrintendente? Sottointendente! Uno che se ne intende di imbrogli!

SEGENREICH – Alla casa non può succedere niente.

TONI                 – I soldi se li è messi in tasca! E la casa che fine farà? Voglio la mia casa! Io La denuncio, a Lei!

SEGENREICH – Adesso finisce che monto su tutte le furie. Alla ca sa non succede niente!

TONI                 – Polizia! Debbo andare alla polizia! Lasciatemi uscire! Po lizia! Io La denuncio, a Lei! Io La faccio arrestare! Polizia!

SEGENREICH – (si colloca grande e grosso com'è davanti alla porta) Nessuno lascerà il mio appartamento. Io non permetto che mi si offenda. Sono sovrintendente edile, io. Questa casa l'ho co struita io. Una casa che ho costruito io non crolla. I signori si vorranno tranquillizzare. Io ho invitato i signori, qui da me i signori si vorranno tranquillizzare. Alla casa non succede nien te! Perché questa casa l'ho costruita io!

Toni lotta con Segenreich.

HORCH             – Guardate! Ascoltate! Che cosa farete per la persona amata? Gall si alza. È diventato ancora più alto. Allarga le braccia, af ferra Rosig con la sinistra e Dock con la destra.

GALL                – Ecco che li ho acchiappati i criminali.

ROSIG               – Mia moglie è a casa, sotto chiave. Debbo andare a vederla. Non posso lasciarla sola. Ha paura.

GALL                – Ecco che li ho acchiappati, i criminali.

ROSIG               – Lei dorme sola sola. La casa comincia a tremare. Che cre di, che tremi solo qui? Trema anche li. Non sa cavarsi d'impac cio, lei. Come potrebbe fare a cavarsi d'impaccio? È sotto chiave.

GALL                – Tu sei sotto chiave. Anche tu sei sotto chiave.

BOCK                – Non ho più denti. Dov'è la mia dentiera? Si china e cerca sotto il tavolo. Il braccio di Gall lo segue dappertutto.

ROSIG               – Lei sta a letto. Si è svestita. È rimasta in camicia da notte. Non può mica andare per strada cosi, in camicia da notte. Ha il sonno pesante. Non sente niente. Dall'orecchio sinistro e sorda e sta sempre sdraiata sul destro. Sono già ventitre anni che sto con lei.

GALL                – Venti. ..

ROSIG               – Vivevamo come tortorelle. Tutte le mattine un bacio. Non cucinava mai due volte la stessa cosa, mai, cucinava sempre cose nuove, cucinava sempre con le sue mani, era per me che cucinava, era proprio una cuoca coi fiocchi, non era mica una di quelle, non fiatava, tempi passati, ventitre anni.

GALL                – Venti.

ROSIG               - (piagnucolando)Dovrò pure seppellirla. Queste sono nozze di merda. Qui si sposano e a casa mia c'è mia moglie che muore. Se fossi restato a casa ti saresti potuto salvare. Mia moglie. Mi sta morendo la moglie. La moglie. Mi sta morendo la moglie. Io la salverò. Debbo salvarla. Ventitre anni.

GALL                – Venti.

ROSIG               – Ventitre! Ti dico che sono ventitre. Non permetto che si tocchi il mio matrimonio. È la migliore delle mogli. Tutti la vogliono. Tutti la amano. Io la tengo a casa sotto chiave perché sennò me la rubano. Non è una sgualdrina. La salverò. Debbo salvarmi. Lasciala!

GALL                – Ti taglieranno la testa! Anche a te taglieranno la testa!

ROSIG               – Non mi riconosci più? Che ti è successo? Tu sei sbronzo. Tu sei pazzo. Lasciami!

BOCK                – Dov'è la mia dentiera? Mi aiuti a cercarla! Io a Sua mo glie non le faccio niente. Che cosa dovrei farle senza denti?

GALL                – (salfa alla gola di Rosig) Ora ti ammazzo.

ROSIG               – Lasciami! Ti rivelerò una cosa! Lasciami!

GALL                – Ti ammazzo.

ROSIG               – Accidenti, è in gioco la tua vita! Lei ti vuole avvelenare! Sta' in guardia!

GALL                – Ecco che li ho acchiappati, i criminali.

ROSIG               - (in tono supplichevole) La Monika ti ammazza!

BOCK                – (si alza come se avesse ritrovato i suoi denti)Mi voleva per constatare la causa del decesso.

MONIKA          – Aiutatemi a uscire, signori, aiutatemi a uscire! Mio ma rito è morto! Debbo salvare la farmacia!

BOCK                – E che faccio senza denti?

MONIKA          – Statemi un po' a sentire. Mio marito è morto. La farma cia è abbandonata.

ROSIG               – Lasciami. (Piagnucolando) Eccola. Eccola là.

MONIKA          – La stanno svaligiando. Che faccio senza farmacia? Mi stanno derubando.

GALL                – Lui non è morto.

MONIKA          – È morto. Ha finito di soffrire.

GALL                – È vivo.

MONIKA          – Era il suo ultimo desiderio. Debbo occuparmi della farmacia. Aiutatemi a uscire.

ROSIG               – Adesso devi afferrarla come si deve. Una mano sola non basta. Con tutte e due.

GALL                – Voglio sapere: di che è morto?

MONIKA          – Non lo so. Come posso saperlo? L'ha ucciso lo spavento.

GALL                – Quando?

MONIKA          – Quella volta, alle nozze. Quando è successa quella gran disgrazia. Aiutatemi ad uscire!

GALL                – Per andare dove?

MONIKA          – In farmacia. Davanti alla porta c'è un tipaccio e non lascia uscire nessuno.

GALL                – A me mi lascia uscire, a me.

MONIKA          – Si. Sì. Mi porti con sé.

ROSIG               – Eccola, eccola, eccola, eccola! Strozzala!

MONIKA          – Io sono vedova. La sposerò. Le darò metà della far macia. Gall strozza la moglie.

ROSIG               – Aiuto! Aiuto! Ho mia moglie a casa! Aiuto!

BOCK                – Avevo pensato: ecco la mia dentiera, la prendo in mano e non è la mia dentiera.

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata?

KARL                – Adesso è buio.

ANITA              – Che Le salta in mente?

KARL                – Adesso non ci vede nessuno.

ANITA              – Sono fidanzata.

KARL                – Da quanti semestri è fidanzata?

ANITA              – Da adesso.

KARL                – Lei è fidanzata con me.

ANITA              – II mio fidanzato mi sta aspettando. (Si stacca da lui e corre verso Segenreicb, rovesciando alcune sedie e spostando il tavolo) ArrivederLa, signor sovrintendente. È stato molto bello. Era tanto che non c'era una festa cosi bella. Purtroppo il mio fidanzato mi sta aspettando.

SEGENREICH – Di qui non passa nessuno.

ANITA              – Temo che sia già preoccupato. Mi aspetta di sotto. Quasi quasi non mi faceva venire.

SEGENREICH – Qui lasciapassare non se ne rilasciano.

ANITA              – Almeno permetterà che lo vada a prendere e lo porti su. Non posso farlo aspettare ancora. Non La disturberà di certo.

SEGENREICH – Di qui non passa nessuno.

ANITA              – Ha un modo di fare cosi pieno di riguardi. È capace che per tutta una serata non dice nemmeno una parola. Non posso fare a meno di pensare sempre a lui. Noi ci amiamo.

SEGENREICH – Resterà al suo posto e morirà come un eroe.

ANITA              – Sa, lui ha un che di rassicurante, basterà che entri e Le farà stare calmi tutti quanti.

PETER HELL   - (da fuori)Non riesco a entrare. Mi lasci entrare. Prego, non mi fraintenda.

JOHANNA        – Non deve entrarci nessuno, a casa mia. Alla gentaglia non è permesso entrare.

PETER               – Io non sono gentaglia! Non mi fraintenda, prego.

ANITA              – Peter? Si! Vede, è proprio lui. È il mio fidanzato. Si preoccupa subito.

JOHANNA        – Già ci sono venti mendicanti che ogni giorno suonano alla porta. Guai se quella gentaglia varca la mia soglia! Non ne posso più di questi mendicanti! Non ne posso più di questi mendicanti!

PETER               – Anita, dove sei? Mi capisci?

ANITA              – Su, apra la porta, signor sovrintendente, soltanto un pochettino, in modo che quel povero giovane possa sgusciare dentro.

JOHANNA        – Povero? Povero? I mendicanti fuori!

SEGENREICH – La porta resta chiusa!

ANITA              – È già da tanto che vorrebbe fare la Sua conoscenza.

SEGENREICH – La porta resta chiusa!

PETER               – Anita! Anita!

ANITA              – Peter, non mi lasciano venire da te! Peter mio.

PETER               – Siamo separati.

ANITA              – Non possiamo riunirci.

PETER               – Noi ci amiamo.

ANITA              – Noi abbiamo nostalgia.

PETER               – Tu sei come una rosa.

ANITA              – Tu sei li.

PETER               – Che ci faccio con i fiori? Non mi fraintendere, prego!

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata? Una parte del soffitto crolla. Mentre dura ancora il fracasso, e attraverso la nuvola di polvere provocata dalle pareti che pre cipitano, si sente, da sopra:

THUT                 – E adesso una domanda: di che cosa hai paura, Magdalena?

LENI                  – II bambino sta crollando.

THUT                 – Vuoi dire la casa. Come ti ho detto poco fa: una casa è incrollabile come la parola di un uomo.

LENI                  – Dobbiamo scappare, vieni.

THUT                 – Sei di nuovo troppo precipitosa, Magdalena.

LENI                  – Prima che crolli la scala, vieni.

THUT                 – Io appartengo a coloro che non sanno cosa sia la paura.

LENI                  – Prima che crolli la casa, vieni.

THUT                 – Sei quasi puerile.

LENI                  – Dorme così bene. Ce lo dobbiamo portare appresso?

THUT                 – Si è appena addormentato.

LENI                  – Mi si sveglierebbe.

THUT                 – Si prenderebbe un raffreddore.

LENI                  – Se ne andrebbe all'altro mondo.

THUT                 – Coprilo bene!

LENI                  – Lo farò cadere.

THUT                 – Tienilo stretto!

LENI                  – Sono troppo debole.

THUT                 – Sii forte, Magdalena.

LENI                  – Prendilo tu!

THUT                 – Io sono troppo forte. Lo schiaccerei.

LENI                  – Fa' attenzione.,

THUT                 – Non è nel mio stile.

LENI                  – Lo reggi?

THUT                 – Prendilo tu!

LENI                  – Tu sei il padre.

THUT                 – Tu sei la madre.

LENI                  – Tu sei intelligente.

THUT                 – Tu sai come si fa.

LENI                  – Ma non correndo.

THUT                 – Prendi la metà.

LENI                  – Ce l'ho.

THUT                 – Ora prendi l'altra metà!

LENI                  – Quella la porti tu.

THUT                 – No, ti dico, no chiaro e tondo.

LENI                  – Allora io lascio cadere la mia metà.

THUT                 – Che brava madre!

LENI                  – Tu non sei mai stato un padre!

THUT                 – E la trovata della casa?

LENI                  – Cade! Cade!

THUT                 – Non puoi stare attenta?

LENI                  – Nel buco! Nel buco! Ora è morto!

THUT                 – Che cosa ti dicevo ieri l'altro!

LENI                  – Ora è morto!

THUT                 – Un segno del destino.

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata?

KARL                – (afferra Pepi Kokosch con entrambe le braccio)Mi sposi?

Pepi si mette a tubare.

KARL                – ANITA non mi vuole. Non so perché non mi vuole. Eppure non le ho fatto niente. Non mi può soffrire. Eppure sono iscrit to al terzo semestre. Ce ne sono tanti che sono iscritti appena al secondo semestre. Adesso si è fidanzata. Sono forse cosi im maturo? Anche tu sei un essere umano. Mi sposi? Pepi? Pepi continua a tubare e si da dei gran colpi sulle gambe. Pesta i piedi per terra. Le braccia si sollevano allo stesso ritmo.

KARL                – Mi sposi? Davvero? Pepi scuote la testa con violenza. La sua faccia, su cui è sempre stampato un ghigno, si spiana un poco.

KARL                – Mi sposi? Pepi si dirige verso di lui a passo di danza, ondeggiando come fa la casa. Tutto il suo corpo dice: si, si.

KARL                – (l'afferra, la lascia andare, l'afferra, di nuovo e urla) Ho una donna! Ho una donna! Lei mi vuole! Ho una donna! Lei mi vuole! Ho una donna! Al terzo semestre! Ho una donna! Procedono assieme barcollando, un pesante groviglio di ombre, avanti e indietro, indietro e avanti. Il pavimento si spalanca sotto di loro e sprofondano sotto terra.

HORCH             – (a bassa voce) Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata?

CHRISTA          – Michel!

MICHEL           – Si.

CHRISTA          – Tu sei mio marito.

MICHEL           – Ma mamma!

CHRISTA          – Tu sei mio marito. Tu mi devi aiutare. Tu mi ami.

MICHEL           – Ma mamma!

CHRISTA          – Io non sono la mamma. Mio dolce Michel. Ha proprio gli occhi tutti ricci e i capelli ingenui. Tu mi ami. Io ti ho spo sato.

MICHEL           – Ma mamma!

CHRISTA          – Lui non lascia uscire nessuno. E diventato pazzo, iumi devi salvare. Lui è forte. Spingilo via! Spingilo da un lato! Lui è forte. Ti ucciderà. Mio dolce Michel. Non ti deve uccidere. Tu mi devi salvare. Uccidilo! Uccidilo!

MICHEL           – Ma mamma!

CHRISTA          – Tu sei cosi furbo. Di' soltanto mamma. Non si accor gerà di niente. Vieni, di lato, pian piano, ti aiuto io. Vieni. Mi vuole uccidere. Tu mi ami. Vieni!

MICHEL           – Ma mamma.

CHRISTA          – Bene. Dammi la mano. Non ti fare trascinare. Che stai facendo? Mi tiri indietro. Insemina vieni!

MARIECHEN   – Ho paura! Ho paura!

CHRISTA          – Non starla a sentire! Devi salvare me. Me. Me. Tu mi ami.

MICHEL           – Ma mamma.

MARIECHEN   – Ho paura! Ho paura!

CHRISTA          – Lasciala stare! Non vale niente. Lui ti prenderà a calci, io lo afferrerò per una gamba. Vieni da dietro! Dolcezza mia. Picchierò anch'io.

MICHEL           – Ma mamma!

MARIECHEN   – Ho paura! Ho paura!

CHRISTA          – Quella li deve stare zitta! Chi è lei? Una marmocchia! Una marmocchia! Io sono madre. Io aspetto un figlio tuo. Dol ce Michel. Sono madre. Avrò un figlio da te.

MICHEL           – Ma mamma!

MARIECHEN   – Ho paura! Ho paura!

CHRISTA          – Ascoltami! Io sono madre. Michel. Tu ami tuo figlio. Vieni! Vieni da dietro! Io lo tengo per la gamba. Tu gli sbatti la poltrona sul cranio. A mio padre. Mi senti? A mio padre. Prendi la poltrona, quella pesante, questa qui! Io vado avanti quatta quatta. Ti reggo, vieni, tu la sbatti sul cranio di mio pa dre! Dammi la mano, dolce Michel, io ti amo, dammi la mano!

MICHEL           – Ma mamma!

MARIECHEN   – Ho paura! Ho paura!

CHRISTA          – Tu gli sbatti la poltrona sul cranio!

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata? Una parte della parete di destra crolla con grande frastuono. Dalla stanza accanto si sente:

GRETCHEN     – Max, il terreno sale, Max, il terreno sale!

MAX                  – Puoi essere contenta.

GRETCHEN     – E lo sono. Max, il terreno sale!

MAX                  – Ma sarà vero?

GRETCHEN     – È vero. Max, il terreno sale!

MAX                  – Speriamo bene.

GRETCHEN     – La parete è già crollata, il soffitto è appeso a un filo, le finestre sono in pezzi e il pavimento trema. Questo non è un terremoto da poco prezzo, questo è un signor terremoto, questo è un terremoto di prima qualità, sta crollando mezza città. Do mani saranno morti di paura, dopodomani si metteranno a ricostruire. Ma io ti dico che costruiranno in maniera diversa, costruiranno in maniera funzionale, costruiranno in linea retta e da quella parte verrà a trovarsi esattamente la stazione. Sto cal colando quanto potremo chiedere: tre volte tanto!

MAX                  – Quattro volte tanto!

GRETCHEN     – Diciamo cinque volte tanto!

MAX                  – Sei volte tanto! Affermo sei volte tanto. Ho un motivo per affermarlo. La società risparmierà un sacco di soldi. La casa crolla da sola. Lo senti - io lo sento - ancora tre minuti e la ca sa crolla!

GRETCHEN     – Lo sento. Che fortuna!

MAX                  – Noi facciamo sgombrare i calcinacci.

GRETCHEN     – A nostre spese.

MAX                  – A nostre spese. Tutto intorno non ci sono altro che mace rie, un deserto che non ha prezzo, le persone serie scuotono il capo, ma il nostro terreno è lucido come uno specchio, lucido come uno specchio e rasato di fresco. Come, ci vuole costruire? La Sua stazione sul nostro terreno? Proprio sul nostro terre no? Prego, costruisca pure, ma quanto è disposto a pagare, quanto è disposto a pagare per il terreno?

GRETCHEN     – Sei volte tanto!

MAX                  – Sei volte tanto! Solo la morte non costa niente.

GRETCHEN     – Senti la parete? La parete trema.

MAX                  – Da capo a piedi.

GRETCHEN     – Conosco una ditta che prende poco. In tre giorni ci sgombra tutte le macerie.

MAX                  – Ditta? Non abbiamo bisogno di nessuna ditta. Assumeremo dei giovinastri.

GRETCHEN     – Per un pezzo di pane.

MAX                  – E ci ringrazieranno pure. Chi trova da mangiare sotto le macerie? Noi pagheremo in natura.

GRETCHEN     – II pavimento! Il pavimento traballa! Sto perdendo la testa!

MAX                  – Per la gioia

GRETCHEN     – Accaparreremo tutti i viveri,

MAX                  – Potrebbero avanzarne troppi.

GRETCHEN     – Tutto quello che c'è lo accaparreremo. Per sfamare i nostri operai ne useremo -

MAX                  – una parte. La maggior parte la rivenderemo. II soffitto!

GRETCHEN     – È appeso a un filo.

MAX                  – Prima sprofonda il pavimento.

GRETCHEN     – Dove?

MAX                  – Sotto i nostri piedi.

GRETCHEN     – Che fortuna! Che fortuna!

MAX                  – Sai, il bello è

GRETCHEN     – che noi due ci capiamo a volo.

MAX                  – Siamo un cuore

GRETCHEN     – e un'anima sola!

Terribile fracasso. La parete di destra crolla.

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata?

ZART                 – Io sono la tua mimosa, Schòn.

SCHÒN             – Che me ne faccio?

ZART                 – Sono io la tua mimosa, Schòn.

SCHÒN             – Come faccio a saperlo? Come faccio saperlo?

ZART                 – Tremo come una mimosa, Schòn.

SCHÒN             – E piantala di tremare, mi fai venire i nervi.

ZART                 – Hai pensato a me, Schon?

SCHÒN             – Io penso a me stesso.

ZART                 – Schon, non dimenticartelo, sono ancora giovane.

SCHÒN             – Anch'io lo sono.

ZART                 – Tu devi pensare a me, Schòn.

SCHÒN             – Guarda, amico caro. No.

ZART                 – Schòn, hai fatto testamento?

SCHÒN             – Non è cosa tua, amico caro. No.

ZART                 – Non hai pensato alla tua mimosa, Schòn?

SCHÒN             – Guarda, vado a comprarti gli zuccherini. Va' da tuo pa dre e chiedigli che ti faccia uscire! No.

ZART                 – Schòn, non avrai pace nella tomba.

SCHÒN             – Papà, nessuno apprezza che sono iscritto al terzo semestre. Devi lasciarmi passare. Lascialo passare subito, amico ca ro! No.

ZART                 – Pensa a me, Schòn, sennò non avrai pace nella tomba.

SCHÒN             – Babbo, ho un nipotino per te. Lo sento già. No.

ZART                 – Hai pensato alla tua mimosa, Schon?

Schon la sbatte per terra come uno sputo. Si avvicina a Segen reich che, a gambe larghe, se ne sta come una grande statua di pietra davanti alla porta che non c'è più.

JOHANNA        – (sbarra il passo a Schon e gli si stringe addosso)Ehi tu, le forme non mi mancano.

SCHÒN             – A dirlo son buoni tutti.

JOHANNA        – Ehi tu, tu sei testimone.

SCHÒN             – Che me ne faccio.

JOHANNA        – Ehi tu, c'è un mendicante li fuori.

SCHÒN             – Io ho fame.

JOHANNA        – Ehi tu, voglio dare qualcosa al mendicante.

SCHÒN             – Dallo a me.

JOHANNA        – Ehi tu, io ti tradisco con il dolce Michel.

SCHÒN             – Prego.

JOHANNA        – Ehi tu, lo dico a mio marito.

SCHÒN             – Glielo dico io stesso. Amico caro, ho tradito tua moglie.

JOHANNA        – Con chi? Con chi?

SCHÒN             – Beh e chi vuoi che sia? Con la sposa. Guarda, amico caro, ho tradito tua moglie con tua figlia.

SEGENREICH – Chi sta sparlando di mia figlia?

CHRISTA          – Sbattigli la poltrona sul cranio!

SCHÒN             – Sono andato a letto con tua figlia. Sono andato a letto con una delle tue figlie. Sono andato a letto anche con l'altra. E anche con tua moglie ci sono andato a letto. Tua moglie, non ti fa impressione. Bene, ma la figlia. La piccola ha solo quattordici anni. L'altra si è sposata oggi. Amico caro, devi riconoscere che è una mala azione da parte mia. Una cosa simile non puoi sopportarla. Cacciami fuori! Devi cacciarmi fuori! Amico caro, una cosa del genere tu non puoi sopportarla in casa tua. Non puoi. Non sta bene.

CHRISTA          – Sbattigli la poltrona sul cranio!

SEGENREICH – Ora se continui a parlare - ti spacco il cranio!

SCHÒN             – Guarda, questo è troppo onore, amico caro! Un cane rognoso come me si caccia fuori.

SEGENREICH – A cuccia!

SCHÒN             – Vedi, cosi va meglio. Uno dice a cuccia, da un calcio allabestia e quella vola fuori di casa. La bestia non si difende. Perstare in casa, un cane dev'essere pulito. Se non è pulito, lo sisbatte fuori. Bau! Bau! Bau!

SEGENREICH – A cuccia! A cuccia!

La pesante poltrona che Michel e CHRISTA sollevano assieme cade con tutto il suo peso sulla testa di Segenreich. Egli crolla gemendo. Davanti al vuoto che si spalanca stanno:

JOHANNA        – Dov'è la porta? Qui non c'è nessuna porta!

CHRISTA          – Michel, dov'è la porta?

SCHÒN             – Bau! Bau! Bau!

MICHEL           – Ma mamma!

CHRISTA          – La porta! La porta!

HORCH             – Guardate, ascoltate, che cosa farete per la persona amata? TI pavimento crolla completamente. Alle grida terribili e piene di odio subentra un amaro silenzio.

LA VECCHIA  –

KOKOSCH       – Ehi, marito mio, debbo dirti una cosa. (Silenzio). Mi lascia parlare. Mi lascia parlare. Ehi, marito mio, la scopa è in soffitta. La scopa l'ho dimenticata in soffitta. Non mi devi sgridare. La scopa è in soffitta. Gemiti.

KARL                – (abbracciando LA VECCHIA morente sul cui letto è caduto) Ho una donna! Ho una donna!

LA VECCHIA  – KOKOSCH E mi ha portato all'altare e mi ha baciato ed era cosi affettuoso. Silenzio.

IL PAPPAG.     – Casa. Casa. Casa.

LA VECCHIA GILZ Io mica sono ancora morta. Io mi... Gemiti.

IL PAPPAG.     – Casa. Casa. Casa.

FINE