Le piccole volpi

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LE PICCOLE VOLPI

Titolo originale: The little foxes

Vicenda in tre atti

di LILLIAN HELLMAN

Versione italiana di Ada Salvatore

PERSONAGGI

(secondo l'ordine di entrata in scena):

ADDIE, vecchia serva negra

GAL, servo negro

BIRDIE(BRIGIDA)

HUBBABD

OSCAR HUBBABD

LEO HUBBABD

REGINA GID­DENS

WILLIAM MARSHALL

BENIAMINO HUBBARD

ALESSANDRA GIDDENS

ORAZIO GIDDENS

La scena è la stanza di soggiorno della casa dei Giddens, in una piccola città meridionale  (America del Nord).


ATTO PRIMO

La sala di soggiorno in casa Giddens, in una pic­cola città del mezzogiorno degli S. V. d'America. Pri­mavera del 1900. In fondo una scala che conduce al secondo piano. A destra, sempre in fondo, porta a due battenti che immette nella sala da pranzo. Quando la 'porta, è aperta, si scorge parte della sala e del suo arredamento. A sinistra, in fondo, parte del vestibolo con attaccapanni e portaombrelli. Alla parete sinistra grande finestra con tendaggi di trina. La stanza è illuminata da un lampadario centrale a gas e da lam­pade di porcellana a petrolio posate sui mobili. Contro la parete è un pianofortc. sul davanti, a destra, un altro divano, tavola, sedie. Contro la parete di sinistra un tavolino e diverse sedie; accanto alla finestra un divanetto e qualche tavolino e sgabello. La stanza ha aspetto signorile; mobili costosi ma che non rivelano alcun gusto personale. Tutto è di prima scelta; null’altro.

(Al levar del sipario, Addie - una negra alta, non brutta, sui 55 anni - sta chiudendo la finestra. La porta della sala da pranzo è chiusa; ma al di là di essa si odono voci. Dopo un momento entra dal vestibolo Col - negro di mezz'età - portando un vassoio con bic­chieri e una bottiglia di porto. Addie gli va incontro, prende il vassoio, va a posarlo sulla tavola, comincia a disporre i bicchieri).

Addie                            - (indicando la bottiglia) Tu avere perso la testa?

Cal                                - No, tu donna furba. Miss Regina avere ordinato di prendere questa bottiglia. (La indica) Proprio questa per l'illustre invitato. Quando miss Regina cambiare in questo modo suoi ordini, avere sue buone ragioni.

Addie                            - (indica la sala da pranzo) Va. Ci sarà bisogno di te.

Cal                                - Miss Sandra avere preso due volte crema di frutta gelata e avere detto all'invitato, sì, avere detto che tu fare la miglior crema di frutta gelata in tutto il Sud.

Addie                            - (sorride compiaciuta) Davvero? Bene, dire a Bella di metterne un poco da parte. La pren­derà volentieri prima di andare a letto. Mettere da parte anche un po' di pasticcini: le piacciono... (La porta della sala da pranzo si apre e viene rapidamente richiusa da Birdie Eubbard. Birdie ha circa 40 anni. Ha un viso grazioso, signorile, appassito. I suoi movi­menti sono abitualmente nervosi e timidi. Ma ora, mentre entra frettolosamente è gaia ed eccitata. Cal si volge a lei).

Birdie                            - Oh, Cal! (Chiude la porta) Devi mandare a casa mia uno dei ragazzi di cucina. Digli che guardi nel cassetto della mia scrivania e... (a Addie) Dio mio, Addie, che buona cena! Non avrebbe potuto essere migliore.

Addie                            - Siete -molto graziosa stasera, miss Birdie. E sembrare molto giovane!

Birdie                            - (ridendo) Io, giovine? (Volgendosi nuovamente a Cal) Forse è meglio che cerchi Simone e gli dica di andare lui stesso. Nella mia scrivania, il cassetto a sinistra: c'è il mio album di musica e me lo porterai subito. Il signor Marshall desidera tanto di vederlo, a causa di suo padre e del Teatro d'Opera di Chicago. (A Addie) Il signor Marshall è tanto gentile ed è una persona molto colta e gli ho raccontato di mio padre e mia madre che andavano sempre in Europa per la musica... (Ride. Ad Addie) Figurati: andare espressamente in Europa per asco-tare della musica! Non sarebbe una bella cosa, Addie? Starsene lì seduti ad ascoltare... (Si volge a raggiun­gere Cal) Il cassetto a sinistra, Cal. Diglielo due volte, perché non se ne dimentichi. E digli che non faccia cader niente di quello che c'è nell'album e che quando torna lo porti subito qui. (La porta della sala da pranzo viene rapidamente aperta e ri­chiusa da Oscar Hubbard. È un uomo vicino ai SO anni).

Cal                                - Sì, signora. Ma Simone non fare le cose bene. Ma io dire a lui lo stesso.

Biedie                           - Il cassetto a sinistra, Cal; digli di prendere il libro azzurro e...

Oscar                             - (aspramente) Birdie.

Biedie                           - (si volge nervosamente) Oh, Oscar! Stavo mandando Simone a prendere il mio album di musiche.

Oscar                             - (a Cal) Non te ne occupare. Miss Birdie ha cambiato idea.

Biedie                           - Ma no, Oscar. Davvero. Ho proprio promesso al signor Marshall.,. (Cai li guarda ed esce).

Oscar                             - Perché ti sei alzata da tavola e sei corsa via come una bambina?

Biedie                           - (cercando di essere allegra) Ma Oscar, il signor Marshall ha detto che proprio desiderava di vedere il mio album. Gli ho detto di quando mamma conobbe Wagner e la signora Wagner le diede il programma firmato e il ritratto grande. Il signor Marshall ha espresso il desiderio di vederli. Sul serio. Abbiamo avuto una conversazione tanto piacevole e...

Oscar                             - (facendo un passo verso di lei) Hai chiac­chierato con lui come una gazza. Non gli hai dato un attimo di respiro. Non credo che sia venuto qui per essere seccato da te.

Biedie                           - (in fretta, offesa) Non era seccato. Non credo che si annoiasse. È una persona colta, educata gentile. (Alza la voce) Non lo credo affatto. Dici sempre così quando ho un po' di distrazione.

Oscar                             - (aspro) Hai bevuto troppo. Ora rientra in te.

Biedie                           - (ritraendosi. Sul punto di piangere. Con voce stridula) Che cosa ho fatto! Niente di male. Cosa sto facendo!

Oscar                             - (muove un passo verso di lei. Con intensità) Ti ho detto di rientrare in te. Finiscila di fare la stupida

Biedie                           - (si volge a lui. Calma) Non credo che si sia annoiato. No, non lo credo. C'è della gente che ama la musica, e gli fa piacere parlarne. Ecco quello che ho fatto. (Leo Hubbard entra frettoloso dalla sala da pranzo. È un giovinotto di 20 anni, piut­tosto bel ragazzo ma privo di carattere).

Leo                                - Mamma! Papà! Stanno venendo.

Oscar                             - (dolcemente) Siediti, Birdie, siediti adesso. (Birdie siede chinando il capo come per nascondere il viso. La porta della sala da pranzo viene aperta da Cal. Si vedono i commensali che si alzano da tavola. Regina Giddens entra con William Marshall. È una bella donna sulla quarantina. Marshall ha 45 anni. È un bell'uomo, sicuro di sé. Dietro a loro viene Ales­sandra Giddens, una ragazza diciassettenne molto carina di aspetto piuttosto delicato. È seguita da Beniamino Hubbard, 55 anni, faccia larga e gioviale, e i gesti lievi e aggraziati che spesso si notano negli uomini grandi e grossi).

Regina                           - Credo che stiate cercando di conso­larmi, signor Marshall. . Può darsi benissimo che Chicago sia la città più rumorosa e più sudicia del mondo; ma io la preferirei sempre allo strepito dei nostri cavalli e al profumo dei nostri fiori. Mi piace la folla, mi piacciono i teatri, le belle donne... Donne molto belle, signor Marshall!

Marshall                        - (andando verso il divano) A Chicago! Credo. Ma debbo dirvi che là non ho mai pranzato con tre donne così belle. (Addie comincia a servire il porto).

Ben                               - Le nostre donne del mezzogiorno sono quasi sempre graziose.

Leo                                - (ride) Ma bisogna andare a Mobile per vederle. Vi sono delle mondane elegantissime.

Ben                               - (lo guarda deciso) Mondane! Hai detto mondane!

Oscar                             - (in fretta a Leo) Tuo zio Ben intende dire che la mondanità non è quella che fa la bel­lezza in una donna.

Leo                                - (in fretta) Certo, zio Ben, non volevo dire...

Maeshall                        - Il vostro vino di porto è eccellente, signora Giddens.

Regina                           - Grazie, signor Marshall. Abbiamo tenuto da parte questa bottiglia, nella speranza di aprirla per voi.

Alessandea                    - (quando Addie è davanti a lei col vassoio) Davvero, Addie, posso!...

Addie                            - Meglio domandare alla mamma.

Alessandea                    - Posso, mamma!

Regina                           - (annuisce sorridendo) In onore del signor Marshall.

Alessandea                    - (sorride) Signor Marshall, è la prima volta che assaggio il porto, in vita mia. (Addie serve Leo).

Maeshall                        - Nessuno ha mai avuto un porto migliore, per il suo primo assaggio. (Solleva il bic­chiere di lei, a guisa di brindisi. Alessandra fa altrettanto. Entrambi bevono) Davvero, signora Giddens, immagino che sia proprio la verità.

Regina                           - Che cosa!

Maeshall                        - Che voialtri meridionali occupate in America una posizione privilegiata. Vivete meglio di tutti noialtri, mangiate meglio, bevete meglio. Non so come troviate il tempo - o come abbiate voglia di trovarlo - di occuparvi di affari.

Ben                               - Molti meridionali non se ne occupano affatto.

Maeshall                        - E voi abitate qui tutti insieme!

Regina                           - Qui con me! (Ride) Oh no. Mio fratello Ben abita nella casa accanto. Mio fratello Oscar e la sua famiglia al di là della piazza.

Ben                               - Ma siamo una famiglia molto unita. Ab­biamo sempre voluto che fosse così.

Maeshall                        - È una cosa molto simpatica. Tenere la famiglia unita e condividere gli uni la vita degli altri... La mia famiglia va troppo in giro. I mie figli si può dire che non stiano mai in casa. D'inverno in collegio; d'estate in Europa con la madre...

Regina                           - (vivamente) Sicuro. Anche qui leggiamo il nome della signora Marshall nelle cronache mondane.

Maeshall                        - Non ne dubito. È sempre in movi­mento. E tutti voialtri fate parte della stessa ditta! « Hubbard Figli di Hubbard! ».

Ben                               - (accennando ad Oscar) Oscar ed io. (Indi­cando Regina) Il marito di mia sorella è banchiere.

Marshall                        - (guarda Regina sorpreso) Ah!

Regina                           - Mi dispiace che mio marito non sia presente e non abbia, così, il piacere di conoscervi. È stato molto ammalato. Ora è all'ospedale John Hopkins. Ma tornerà presto. Credo che stia assai meglio.

Leo                                - Io lavoro per zio Orazio. (Regina lo guarda) Voglio dire che lavoro nella banca di zio Orazio. Dò un'occhiata quando lui non c'è.

Regina                           - (sorride) Davvero, Leo!

Ben                               - (guarda lei e poi Marshall) La modestia in un giovine è tanto più preziosa in quanto è più rara. (Guarda di nuovo Leo).

Oscar                             - (a Leo) Tuo zio vuol dire che un giovine dovrebbe parlare più modestamente.

Leo                                - (in fretta. Con un passo verso Ben)  Oh, Dio, non volevo dire...

Marshall                        - Cara signora Hubbard, dov'è l'auto­grafo di Wagner che mi avete promesso di farmi vedere? Fra poco debbo andare alla stazione, perché il mio treno...

Birdie                            - L'autografo? Ah, già. Sicuro. Veramente, signor Marshall, non era il caso che io ne parlassi tanto. Ecco, io... (Nervosamente guardando Oscar) Dovete scusarmi. Non ho mandato a prenderlo perché... sì, perché avevo... ecco, avevo un po' di emicrania e...

Oscar                             - Mia moglie va tremendamente soggetta all'emicrania.

Regina                           - (in fretta) Il signor Marshall ha detto, mentre eravamo a tavola, che gli farebbe piacere se tu suonassi qualche cosa, Alessandra.

Alessandra                    - (che stava guardando Birdie) Non sono io quella che suona bene, signor Marshall. È mia zia. Suona divinamente. È lei che mi insegna. (Si alza, agitata) Possiamo suonare a quattro mani, mamma, non credi?

Bibbie                           - (prendendo la mano di Alessandra) Grazie, cara. Ma adesso ho mal di capo. E allora...

Oscar                             - (aspro) Non essere caparbia, Birdie. Il signor Marshall desidera sentirti suonare.

Birdie                            - (esita. Si alza compiaciuta) Ma farà piacere anche a me. Molto piacere. (Va al piano insieme ad Alessandra).

Marshall                        - È veramente interessante l'unione che è rimasta fra voialtri aristocratici del mezzo­giorno. Siete uniti fra voi e avete conservato quello che era cosa vostra.

Ben                               - Siete in errore, signor Marshall. Gli ari­stocratici meridionali non sono rimasti uniti e non hanno conservato quello che era cosa loro.

Marshall                        - (ride e indica la stanza) Questo non sì chiama conservare quello che vi appartiene?

Ben                               - Ma noi non siamo aristocratici. (Indica Birdie al piano) La moglie di mio fratello è la sola, in casa nostra, che appartenga all'aristocrazia meri­dionale. (Birdie guarda verso Ben).

Marshall                        - (sorride) Le mie informazioni dicono che siete impiantati qui, solidamente impiantati, da molto tempo.

Oscar                             - Difatti. Fin dal nostro bisnonno.

Ben                               - (sorride) Che non era aristocratico come quello di Birdie.

Marshall                        - (un po' aspro) Fate grandi distinzioni, mi pare.

Ben                               - Oh, le hanno fatte gli altri per noi. E forse sono distinzioni che hanno la loro importanza. (Si piega in avanti con intimità) Prendete per esempio la famiglia di Birdie. Quando il mio bisnonno venne a stabilirsi qui, loro erano i più grandi proprietari di piantagioni dello Stato.

Leo                                - (fa un passo verso Marshall, con orgoglio) Il nonno di mia madre era governatore dello Stato prima della guerra.

Oscar                             - Erano proprietari della piantagione Lionnet. Forse ne avete sentito parlare?

Marshall                        - (ride) No. Ho sentito parlare soltanto di fabbriche di mattoni su un lago e di stabilimenti per lavorare il cotone.

Ben                               - Ai suoi tempi, Lionnet era il migliore terreno per la piantagione del cotone, in tutto il mezzogiorno. Ci dà ancora oggi un bel raccolto. (Siede) Ah, erano bei tempi per quella famiglia; me ne ricordo ancora. Avevano tutto quanto c'è di meglio, in ogni campo. (Birdie si volta) Abiti di Parigi, viaggi in Europa, cavalli come non se ne vedono più, negri anche per raccogliere un fazzoletto...

Birdie                            - (improvvisamente) Eravamo buoni con i nostri schiavi. Tutti lo sapevano. Eravamo più buoni per loro di quanto...

Regina                           - Ma come, Birdie, non suoni?

Ben                               - Ma quando venne la guerra, quei gran signori partirono e lasciarono il cotone, e le donne, andarsene in malora.

Birdie                            - Mio padre fu ucciso in guerra. Era un bravo soldato, signor Marshall. E un bravissimo uomo.

Regina                           - Senza dubbio, Birdie. Un soldato famoso.

Ben                               - (a Birdie) Ma non è questo che sto raccon­tando al signor Marshall. (A Marshall) Insomma, la guerra finisce. (Birdie torna al piano) Lionnet è quasi rovinato e i figli finiscono di rovinarlo. E come loro, ve ne furono migliaia. Perché? (Si piega in avanti) Perché l'aristocrazia meridionale non è capace di adattamento. Troppo, troppo altolocata, per ten­tare di adattarsi a qualche cosa.

Marshall                        - A volte è difficile imparare a vivere diversamente. (Birdie e Alessandra cominciano a suonare. Marshall si china in avanti, ascoltando).

Ben                               - Forse. Può darsi. (Vede che Marshall accolta la musica. Irritato si volge a guardare Birdie e Alessandra al piano, Poi nuovamente verso Marshall) Avete, ragione, signor Marshall. È difficile imparare a vivere diversamente. Ma forse appunto per questo è cosa utile. Nostro nonno e nostro padre impararono; e impararono anche il modo di farsi pagare il lavoro. (Sorride con cattiveria) Sì misero in commercio. Ditta Hubbard, negozianti. Gli altri, per esempio la famiglia di Birdie, li guardarono dall'alto in basso. (Si appoggia alla spalliera con più comodità) Per farvela breve, oggi Lionnet appartiene a noi... (Birdie smette di suonare) Vent'anni fa ci prendemmo la loro terra, il loro cotone e la loro figlia. (Birdie si atea e rimane rigida accanto al piano. Marshall che la sta osservando si alza a sua volta).

Marshall                        - Posso portarvi un bicchiere di porto, signora Hubbard

Birdie                            - (dolcemente) No, grazic. siete molto gentile.

Regina                           - (aspra a Ben) Stai annoiando il signor Marshall con queste vecchie storie di famiglia.

Ben                               - Spero di no. Spero di no! Cerco di chiarire qualche cosa di importante - (inchinandosi a Marshall) per il nostro futuro socio.

Oscar                             - (a Marshall) Mio fratello dice sempre che è la gente come noi quella che ha lottato per portare alla nostra terra un po' della prosperità della vostra.

Ben                               - Alcuni, definiscono questo: patriottismo.

Regina                           - (ride gaiamente) Spero, signor Marshall, che non troverete troppo insistenti i miei fratelli. Credo che vogliano farci capire che è venuto il mo­mento che noi donne lasciamo gli uomini a parlar d'affari.

Marshall                        - (in fretta) Niente affatto. Abbiamo sistemato tutto oggi nel pomeriggio. (Guarda il suo orologio) Ho solo pochi minuti prima di andare alla stazione. (Le sorride) E insisto per avere il piacere di passarli in vostra compagnia.

Regina                           - E bevendo un altro bicchiere di porto.

Marshall                        - Grazie.

Ben                               - (a Regina) Mia sorella ha ragione. (A Marshall) Io sono un uomo semplice e sto cercando di dire una cosa semplice. Cioè che non si fanno affari solo per l'utile che se ne può ricavare. Bisogna anche avere qualcosa qui. (Si porta una mano al petto) Ed è tanto vero per il negro che raccoglie il cotone guadagnando il suo quarto di dollaro, quanto lo è per voi e per me. (Regina dà il porto a Mar­shall. Ben continua) Se non sente qualcosa qui dentro non raccoglie bene il cotone. Il denaro non è tutto. Proprio no.

Marshall                        - Davvero? Beh, io ho sempre creduto che avesse molta importanza.

Regina                           - Anch'io, signor Marshall.

Marshall                        - (curvandosi in avanti. Piacevolmente. Con intenzione) È inutile che cerchiate di con­vincermi che siete proprio le persone indicate per fare questo affare. Non sarei qui se non me ne aveste già convinto sei mesi fa. Voi desiderate avere qui la filanda; ed io desidero impiantarvela. Non mi interessa sapere perché lo desiderate.

Ben                               - Per portare la macchina al cotone e non il cotone alla macchina.

Marshall                        - (divertito) Avete la specialità delle belle frasi, Hubbard. Insomma, quali che siano i vostri motivi - grandi o no - i miei sono semplici: voglio far quattrini e credo che ne farò con voi. (Poiché Ben sta per parlare, sorride) Badate, non ho alcuna obiezione a motivi più elevati. Possono anche avere il loro valore, in affari. È bello avere dei soci che seguono con tanto fervore i precetti di Cristo. (Si alza) Ed ora, bisogna proprio che vada: il treno non aspetta.

Regina                           - Mi dispiace che non vi tratteniate più a lungo, signor Marshall; ma spero che tornerete. Ci farete sempre piacere.

Ben                               - (indica a Leo la bottiglia) Riempi i bicchieri, ragazzo mio, riempili. (Leo va attorno riempiendo i bicchieri mentre Ben continua) Qui, signor Marshall, abbiamo una strana abitudine. Facciamo il brindisi con l'ultimo bicchiere. Per dimostrare che il meri­dionale è sempre saldo in gambe per bere un ultimo bicchiere. (Prendendo il bicchiere) Henry Frick, il vostro Henry Frick, ha detto: «Le ferrovie sono il Rembrandt degli impieghi di capitale ». Ebbene, io vi dico che « le filande per il cotone nel mezzogiorno saranno il Rembrandt degli impieghi di capitale ». Perciò bevo alla ditta Hubbard & Marshall, filande di cotone, ed alla sua lunga e prospera vita! (Tutti levano i bicchieri. Marshall li guarda divertito. Poi leva egli pure il bicchiere, sorridendo).

Oscar                             - I ragazzi vi accompagneranno alla stazione. Leo, Alessandra! Andate ad accompagnare il signor Marshall.

Leo                                - (con agitazione dopo aver guardato Ben il quale accenna di sì) Sarò felice. (A Marshall) È raro che zio Ben mi lasci guidare i suoi cavalli. Ed è una gran bella pariglia. (Si avvia) Vieni, Sandra.

Alessandra                    - Posso guidare io stasera, zio Ben? Per favore! Mi piacerebbe tanto e...

Ben                               - (scuote la testa ridendo) Vestita così, da sera? No, mia cara.

Alessandra                    - Ma Leo ha l'abitudine... (Si in­terrompe ed esce in fretta).

Regina                           - Sono proprio dolente di dirvi addio, signor Marshall.

Marshall                        - Non dovete dirmelo. Mi avete promesso di venire a Chicago, dove vi farò da Cicerone. Debbo farvi ripetere questa promessa?

Regina                           - (lo guarda mentre gli stringe la mano) Sì, prometto di nuovo.

Marshall                        - (va verso Birdie) I miei omaggi, signora Hubbard.

Birdie                            - (timida, con dolcezza e dignità) Buon viaggio, signore.

Marshall                        - (passando davanti a Regina) Ricor­datevi.

Regina                           - Mi ricorderò.

Oscar                             - Vi accompagniamo alla carrozza. (Mar­shall esce seguito da Ben e da Oscar. Per un momento Regina e Birdie li seguono con lo sguardo. Poi Regina leva le braccia in alto ridendo felice).

Regina                           - Ed ecco, Birdie, l'uomo che ha aperto la porta al nostro avvenire.

Birdie                            - (sorpresa di questa insolita cordialità) Come?

Regina                           - Il nostro avvenire. Tuo e mio, di Oscar e di Ben e dei ragazzi... (Vede la espressione per­plessa di Birdie. Ride) Il nostro avvenire! (Gaia­mente) Sei stata molto carina a cena, Birdie. Certo questa è stata l'opinione del signor Marshall.

Birdie                            - (compiaciuta) Ma va, Regina! Credi davvero?

Regina                           - Non ti accorgi quando ti ammirano?

Birdie                            - Oscar ha detto che avevo annoiato il signor Marshall. (Poi con calma) Ma lui ha ammi­rato te. Me lo ha detto.

Regina                           - Che cosa ti ha detto?

Birdie                            - Mi ha detto : « Spero che vostra cognata verrà a Chicago. Chicago sarà ai suoi piedi ». Ha detto  che le signore ammireranno la tua educazione e i signori la tua bellezza.

Regina                           - Davvero! Mi pare che sia molto solo. Pensa, con tutti i quattrini che ha... Credo che non ami sua moglie.

Bibdie                           - Non amare sua moglie? Che idea! Se son cose da dire!

Regina                           - È sempre in viaggio. Lo ha detto pa­recchie volte. Ed ha anche scherzato sulla sua mon­danità e sulle grandi arie che si dà. Ma questo è un vantaggio. (Siede allargando le braccia sulla spalliera del divano. Stirandosi) Il fatto che vada tanto in società. Potrà presentarmi. Con una presentazione come la sua, non ci vorrà molto tempo per essere conosciuta e ricevuta dovunque.

Bibdie                           - (sbalordita) Presentarti? A Chicago? Ma hai veramente intenzione di andare? Oh, Regina, come fai a muoverti? E Orazio?

Regina                           - Non spaventarti in questo modo per ogni cosa, Birdie! Andrò a stare a Chicago. L'ho sempre desiderato. E ora ci saranno tanti quattrini che la cosa sarà possibile.

Birdie                            - Ma Orazio non sarà in grado di andare in giro. Sai bene quello che ha scritto il dottore.

Regina                           - Avremo dei milioni, Birdie. Milioni! Ti ricordi quello che ho sempre detto quando mi dicevano che eravamo ricchi? Che secondo me bi­sognerebbe essere o pezzenti o milionari. Una si­tuazione mediocre, come la nostra, a che serve? (Ride. Guarda Birdie) Ma non parto domani, Birdie; stai tranquilla. C'è tutto il tempo per preoccuparsi di Orazio quando verrà a casa. Se si deciderà a tor­nare...

Birdie                            - Verremo anche noi a Chicago? Leo, Oscar ed io?

Regina                           - Voialtri? Non credo? (Ride) Ah, ci ricorderemo questa serata! Troppo importante per dimenticarla! Bisogna pensare a tutto quello che desideriamo di avere; e lo avremo! Un desiderio, Birdie! Dì quello che desideri! Pensa che si realiz­zerà senza dubbio! (Rientrano Oscar e Ben).

Birdie                            - (ride) Mah. Non saprei. Forse. (Oscar vicino alla finestra fa cenni di saluto alla carrozza. Regina si volge a guardare Ben) Pensa: credevo di sapere quello che avrei desiderato e invece...

Regina                           - (guarda Ben, gli sorride. Ben ricambia il sorriso) Dunque, ci siamo, eh?

Ben                               - Parrebbe di si.

Regina                           - (balza in piedi. Ride) Parrebbe? Va là, non fingerc. sembri un gatto quando ha leccato la crema. (Va verso la bottiglia di vino) Ora dobbiamo bere tutti insieme per congratularci!

Oscar                             - Sono proprio una bella coppia Sandra e Leo. Lo ha osservato anche Marshall. Come stanno bene insieme!

Regina                           - (aspra) Ho capito. Lo hai già detto.

Ben                               - Sicuro. Comincio ad avere l'impressione che l'affare sia proprio concluso. Può darsi che io non sia un uomo molto distinto, ma... (si volge a guardarli. Dopo un attimo) Ora chiedetemi come faccio a sapere che « è » concluso.

Oscar                             - Come sarebbe a dire?

 Ben                              - Ti ricordi quando gli ho detto che qui usa fare il brindisi con l'ultimo bicchiere?

Oscar                             - (riflettendo) Già. Non lo avevo mai saputo.

Ben                               - Nessuno lo aveva mai saputo. Iddio per­dona a coloro che inventano quello di cui hanno bisogno. Avevo già la sua firma. Ma tutti noi abbiamo fatto affari con uomini la cui parola col bicchiere in mano aveva più valore di qualunque firma. Co­munque, non è male avere tutte e due le cose.

Oscar                             - (si volge a Regina) Hai capito quello che vuol dire Ben?

Regina                           - (sorride) Sì. L'avevo capito immedia­tamente.

Ben                               - (la guarda con ammirazione) Davvero, Regina? Beh, quando ha alzato il bicchiere per bere, ho chiuso gli occhi ed ho visto i mattoni collocarsi uno sull'altro.

Regina                           - Io ho visto molto di più.

Ben                               - Piano, piano! Per ora abbiamo solo la speranza!

Regina                           - Birdie ed io abbiamo già deciso tutto quello che vogliamo. Io so quello che desidero. Tu, Ben, che cosa vuoi?

Ben                               - Piano. Non contate i pulcini prima che le uova siano schiuse. (Siede appoggiandosi indietro. Ride) Beh, Dio ci permetterà di sognare un pochino ad occhi aperti! Fa bene all'anima quando si è lavo­rato tanto da meritarlo! (Pausa) Io desidero una bella scuderia. Da un pezzo ho messo gli occhi su quelli di Carter, a Savannah. È un divertimento da uomini ricchi; uno sport da re; perché non potrebbe essere lo sport degli Hubbard?

Regina                           - (sorride) Perché no, infatti? E tu, Oscar che cosa vuoi?

Oscar                             - Non lo so. (Riflette) Il piacere di vedere costruire la filanda mi basterà.

Ben                         - Ah, si capisce. Il nostro piacere più grande sarà vedere i mattoni che vengono collocati uno sull'altro. Ma abbiamo diritto a una piccola gioia supplementare.

Oscar                             - Lo credo anch'io. Allora... beh, potremo fare qualche viaggetto; che ne dici, Birdie?

Birdie                            - (stupita di essere consultata) Sicuro, Oscar, mi piacerebbe.

Oscar                             - Si potrebbero anche fare delle gite rego­larmente all'Isola Jekyll. Ho sentito che i Cornelly vendono la loro proprietà. Si potrebbe vedere di comprarla. Per cambiare un poco. Ti farebbe bene, Birdie, un cambiamento di clima. E a Jekyll c'è della magnifica cacciagione. La migliore che esista.

Birdie                            - Io vorrei...

Oscar                             - (con indulgenza) Che cosa?

Birdie                            - Due cose. Le due cose che desidererei di più...

Regina                           - Due! Io ne vorrei mille. sei modesta, Birdie.

Birdie                            - (con calore, felice dell'insolito trattamento) Vorrei riavere Lionnet. So che adesso è vostro; ma mi piacerebbe rimetterlo com'era ai tempi di babbo e mamma. Ogni anno facevamo ridipingere la casa, papà ci teneva molto; e il prato che arrivava fino al fiume era di erba folta e morbida, adorno di zinnie- di un bel rosso vellutato. E c'erano i fichi e le piccole susine violacee e l'uva moscatella... (Sorridc. si volge a Regina) L'organo c'è ancora e non dovrebbe costare molto rimetterlo a posto. Si potrebbero dare dei ricevimenti per Sandra, come mamma ne dava per me.

Ben                               - Un bel quadretto, Birdie. Doveva essere una vita molto piacevole. (Senza più badarle) E tu, Regina, che cosa vuoi?

Birdie                            - (gioiosa. Senza accorgersi che non le danno più retta) Potrei avere un giardino con tante aiuole. Dov'era quello della mamma. Oh, credo che saremmo più felici, in quella vecchia casa. Il babbo soleva dire che nessuno si era mai adirato seriamente a Lionnet; e nessuno si sarebbe adirato mai. Il babbo non permetteva che si dicessero cattiverie né vol­garità. No. Era una cosa che non gli piaceva.

Ben                               - Dunque, che cosa vuoi, Regina?

Regina                           - , Voglio andare a Chicago. E quando sarò stabilita là e conoscerò tanta gente e saprò quali sono le cose che bisognerà comprare - perché adesso non lo so davvero - andrò a Parigi a fare i miei acquisti. (Ride) Lascerò te e Oscar a contare i mattoni.

Birdie                            - Oscar... Ti prego, fammi riavere Lionnet!

Oscar                             - (o Regina) Vuoi trasferirti sul serio a Chicago?

Ben                               - Andrà a vedere il gran mondo lasciando noi nel piccolo. Verremo a trovarti e conosceremo anche noi tutti i grandi personaggi e saremo orgo­gliosi pensando che sei nostra sorella.

Regina                           - (gaiamente) Sicuro. E non dovrai neanche imparare a fare il signore, Ben. Rimani come sei. Sarai ricco; e i ricchi non hanno bisogno di essere distinti.

Oscar                             - E Alessandra? Ha 17 anni. È tempo di pensare a darle marito.

Birdie                            - Ed ho un altro desiderio, Oscar. Un altro solo.

Oscar                             - (si volta) Che c'è, Birdie? Che stai dicendo?

Birdie                            - Desidero che tu smetta di andare a caccia. Almeno, non spesso. Non mi piace vedere uccidere uccelli ed altri animali solo per il gusto di ucciderli. Dopo li butti via...

Ben                               - (a Regina) Ci vorrà molto tempo per vivere secondo i tuoi progetti.

Regina                           - Sicuro. Ma ve ne sarà molto. Hai cal­colato, mi pare, degli utili elevatissimi.

Ben                               - Io...

Birdie                            - (Oscar la guarda irritatissimo) E non permetti che nessun altro spari un colpo, mentre i negri avrebbero tanto bisogno di un po' di selvag­gina, per non morire di fame. È una cattiveria cac­ciare solo per tuo capriccio mentre i negri avrebbero tanto bisogno...

Ben                               - (ride) Ho calcolato gli utili elevati... per me.

Regina                           - Che hai detto?

Ben                               - Volevo sempre parlartene, Oscar.

Oscar                             - (lentamente. Cauto a Birdie) Che diamine stai dicendo?

Birdie                            - (nervosa) Dicevo di Lionnet e... della caccia...

Oscar                             - Ti stai eccitando.

 Regina                          - (a Ben) Non ti ho sentito. Si parlava tanto, tutti quanti...

Oscar                             - (a Birdie) Tutta la sera ti sei compor­tata come una bambina eccitata.

Birdie                            - Regina mi ha chiesto che cosa desideravo.

Regina                           - Che avevi detto, Ben?

Birdie                            - Tutti hanno manifestato quello che desiderano, ora che saremo tanto ricchi, perciò l'ho manifestato anch'io.

Ben                               - Ho detto... (È interrotto da Oscar).

Oscar                             - (a Birdie) Bene. Abbiamo sentito. Ora basta.

Ben                               - Sto aspettando. (Tutti tacciono) Sto aspet­tando che abbiate finito. Tu e Birdie. Quattro per­sone che parlano insieme... tre sono di troppo. (Birdie siede lentamente. Ben sorride a Regina) Ho detto che avevo, e che ho calcolato, degli utili molto elevati... per me e per Oscar, naturalmente.

Regina                           - (lentamente) Come sarebbe a dire? (Ben alea le spalle e guarda Oscar).

Oscar                             - (guarda Ben, si raschia la gola) Ecco, Regina: le cose stanno così. Marshall verserà, per la quota azionaria del 49 per cento, 400 mila dollari. Per il 51 per cento (sorride maliziosamente)... maggio­ranza che ci dà tutto il controllo dell'Azienda, noi verseremo 225 mila dollari, oltre ad offrire a Mar­shall quei vantaggi che la nostra (sguardo a Ben) posizione locale ci consente. Ben ritiene che 225 mila dollari rappresentino una somma cospicua.

Regina                           - Conosco gli accordi e so che è una bella somma.

Ben                               - (annuendo) Sicuro.

Oscar                             - Ben sa che lui ed io abbiamo il denaro pronto. Il tuo, cioè quello di Orazio, pare che non lo sia. (Alza la mano perché Regina sta per parlare) Ben ha scritto a Orazio; gli ho scritto io, gli hai scritto tu. Risponde, ma non parla mai di questo affare. Eppure glielo abbiamo spiegato con tutti i particolari e gli abbiamo detto che il denaro urge, Malgrado ciò, non ne parla affatto. Ben ha avuto molta pazienza, Regina. Naturalmente, siccome sei nostra sorella, noi desideriamo che tu abbia la tua parte di utile in quello che noi facciamo.

Regina                           - Ed oltre all'affetto che avete per me, non volete che il controllo dell'azienda passi in mano di estranei. (A Ben) È così, Ben?

Ben                               - Sei cinica. (Sorride) Il cinismo è un modo spiacevole di dire la verità.

Oscar                             - Non occorre essere cinici. Non ci sarà difficile mettere assieme quella terza parte per la quale tu avresti dovuto partecipare.

Regina                           - Oh, non ne dubito affatto! Troverete un altro azionista. Ma in tal modo avreste un socio estraneo. E gli estranei hanno a volte grandi pretese. (Sorride acida) Ma forse farete bene a trovarlo.

Oscar                             - Suvvia, nessuno dice che desideriamo far questo. Ci piacerebbe avere te come socia; ed a te farebbe piacere esserlo.

Regina                           - Certamente.

Ben                               - (ride. Alza la mano) Ma intanto, non ab­biamo avuto nessuna risposta da Orazio.

Regina                           - Ho dato la mia parola che Orazio verserà il denaro. Dovrebbe bastare.

Ben                               - Difatti, è bastato. Ma ora ci vuole qual­cosa di più di una parola. Il contratto deve essere firmato in questa settimana e Marshall desidera vedere il nostro denaro subito dopo. Ora, Regina, Orazio è a Baltimora da cinque mesi. So che gli hai scritto di tornare; e non è tornato.

Oscar                             - Pare quasi che non abbia più l'intenzione di reintegrare il domicilio.

Regina                           - Sì che vuol tornare! Ma quando si è malati di cuore non ci si può muovere tanto facil­mente, appena se ne ha il desiderio. Sapete bene come sono i medici quando hanno per le mani un caso come questo...

Oscar                             - Ma non possono impedirgli di rispondere alle lettere, no? (Regina si volge a Ben) E non pos­sono impedirgli di disporre del suo denaro, se volesse farlo...

Regina                           - Lo sapete che Orazio è un ottimo uomo d'affari!

Ben                               - Sicuro. È un commerciante di primo ordine. E lo è sempre stato. Ne è prova la sua banca.

Regina                           - Allora, può darsi che non risponda perché gli sembra di non ricavare un interesse ade­guato al denaro che dovrebbe mettere nell'impresa. (Guarda Oscar) Sono 75 mila dollari. Una bella cifra.

Oscak                            - Sciocchezze. Orazio capisce subito quando un affare è buono. Sa che possiamo avere dal cotone lavorato qui un utile doppio di quello che ricaviamo facendolo lavorare nel Nord.

Ben                               - Non è questo che vuol dire Regina. (Sor­ride) Posso spiegare la tua idea, Regina? (A Oscar) Regina dice che Orazio vuole più di un terzo degli utili.

Oscar                             - Ma se mette soltanto un terzo del denaro!  Chi contribuisce per un terzo, ha un terzo dei divi­dendi. Che altro può pretendere?

Regina                           - Mah, non so. Non mi intendo di queste cose. Logicamente, chi mette un terzo di capitale, deve avere un terzo di utili. Ma non c'è legge in pro­posito, vero? E credo che se tu sapessi che c'è gran bisogno del tuo denaro, tu diresti « io voglio qualcosa di più, voglio un interesse maggiore ». Voialtri lo avete già fatto altre volte. L'ho sentito raccontare.

Ben                               - (dopo una pausa. Ride) Credi dunque che lo abbia fatto apposta, a non rispondere? Per avere un interesse maggiore? (Si piega in avanti) Beh, io non lo credo. Ma credo che sia quello che tu vuoi. Ho ragione?

Regina                           - Oh, non vorrei essere troppo esplicita. Ma posso dire che non mi prenderei il disturbo di cercare di persuadere Orazio, se non gli fosse assi­curato un profitto maggiore. Tocca a me a curare i suoi interessi. È naturale che...

Oscar                             - E da dove dovrebbe essere detratto questo interesse maggiore?

Regina                           - Non lo so. Non è affar mio. (Ridacchia) Ma forse dalla tua parte, Oscar. (Regina e Ben ridono).

Oscar                             - (si alza e si volge furibondo dall'uno all'altro) Che razza di discorso è questo?

Ben                               - Io non ho detto neanche una parola.

Oscar                             - (a Regina) Parli con voce molto alta stasera.

Regina                           - (smette di ridere) Davvero? Beh, dovresti conoscermi abbastanza per sapere che non ho l'abitudine di chiedere una cosa se non sono sicura di poterla avere.

Oscar                             - Sfammi a sentire. Io non credo che tu possa persuadere Orazio a tornare a casa; e tanto meno che tu possa fargli tirar fuori del denaro, né dichiarare con tanta sicurezza quello che pretendi.

Regina                           - Oh, posso farlo tornare a casa quando voglio.

Oscar                             - E allora perché non lo hai fatto?

Regina                           - Perché ho creduto meglio combattere io per lui, prima di farlo tornare. Orazio è molto ammalato. E se a voi non importa nulla della sua salute, a me importa.

Ben                               - Finiamola con queste chiacchiere stupide. Quando pensi di poter far tornare Orazio?

Regina                           - Manderò Alessandra a Baltimora. Andrà a pregarlo di tornare, dicendogli che lei desi­dera averlo qui e che anch'io lo desidero.

Birdie                            - (improvvisamente) Sicuro che Alessandra desidera averlo qui; ma forse lui sta meglio dov'è adesso.

Regina                           - (senza badarle, a Ben) Converrai che Orazio non tarderà a venire se Alessandra lo prega, e se gli dice che io lo desidero perché sento la sua mancanza...

Ben                               - (la guarda. Sorride) Ti ammiro, Regina. E sono d'accordo con te. Dunque, questo è inteso e... (Si alza).

Regina                           - (in fretta) Ma prima che sia a casa, voglio sapere che cosa avrà come profitto.

Ben                               - Quanto vuoi?

Regina                           - Il doppio di quello che hai offerto.

Ben                               - Ah, questo poi no.

Oscar                             - (a Regina) Credo che tu sia impazzita.

Regina                           - Non ho voglia di discutere, Ben.

Ben                               - Neanch'io. Ma quello che chiedi è troppo. Non è possibile. (Con malizia) Ci tieni sospesi in questo modo, e non è una cosa carina; no, non è carina. (Alza la mano vedendo che sta per parlare) Ma abbiamo bisogno di te e non voglio discutere. Ecco quello che propongo: darò a Orazio il 40 per cento, invece del 33 e 33 che gli spetterebbe. Questo, purché egli sia a casa e versi il denaro entro due set­timane. Va bene?

Regina                           - Va bene.

Oscar                             - Ho chiesto prima: da dove sarà detratto questo interesse in più?

Ben                               - (scherzoso) Dalla tua parte.

Oscar                             - (furente) Dalla mia parte, eh? Questa sì che è bella! Proprio un'azione da gente onesta! Bella ricompensa! Da 35 anni lavoro come un cane per voialtri. Ho sempre fatto tutto quello che tu non volevi fare. Ed ecco quello che...

Ben                               - (si volge lentamente a guardarlo. Oscar si in­terrompe) Povero mc. stasera mi aggrediscono tutti quanti. Prima mia sorella, poi mio fratello. E a me non piace essere aggredito. Non credo che Dio voglia che il forte meni vanto della sua forza; ma lo farò, se sarà necessario. (Si appoggia indietro alla spalliera) Devi accettare le cose prendendole dal lato migliore, Oscar. In passato, ho guadagnato del denaro per te. E ne guadagnerò ancora adesso. Sarai molto ricco. Che cosa c'importa se un po' più di quattrini vanno da una parte o dall'altra! Bimane tutto in famiglia. E rimarrà ancora nella famiglia, perché non mi sposerò mai. (Entra Addie e comincia a radunare i bicchieri che sono sui tavolini. Oscar si volge a Ben) Perciò il mio denaro andrà ad Alessandra e a Leo. Un giorno o l'altro potrebbero anche sposarsi e... (Addie guarda Ben).

Birdie                            - (alzandosi) Sposarsi... Sandra e Leo...

Oscar                             - (attento) Questo porterebbe una grande differenza nei miei sentimenti. Se si sposassero.

Ben                               - Per l'appunto.

Oscar                             - (c. s.) Anche tu hai questa idea, Regina?

Regina                           - Oh, c'è tempo a pensarci. Ne parleremo fra qualche anno.

Oscar                             - Io vorrei parlarne subito.

Ben                               - (annuendo) Si capisce.

Regina                           - C'è tante cose da considerare  sono cugini in primo grado e...

Oscar                             - Non è un ostacolo. Anche il nonno e la nonna erano cugini.

Regina                           - (sogghigna) E guarda noi... (Ben sogghigna).

Oscar                             - (irritato) Siete molto allegri, trattandosi del mio denaro.

Regina                           - (sospira) Uff, queste dispute! Mi infa­stidiscono tanto!

Ben                               - (piegandosi verso Regina) Questo matrimonio sarebbe una saggia sistemazione per molte ragioni. Del resto, Oscar ha rinunciato a qualche cosa per te. Potresti anche tu cercare di accontentarlo in qualche modo.

Regina                           - Non ho detto che sono contraria. Ma Leo è un ragazzo sfrenato. Non c'è da fidarsi di lui. Mi ricordo quando si è appropriato di certe piccole somme in banca...

Oscar                             - Questa storia è vecchia!

Regina                           - Sì, lo so. E so che tutti i giovinotti sono sfrenati. L'ho ricordato soltanto per farti capire che bisogna fare delle considerazioni...

Ben                               - (irritato perette la sorella non capisce che lui sta cercando di rabbonire Oscar) Va bene, saranno fatte. Ma intanto ti prego di assicurare Oscar che ci penserai seriamente.

Regina                           - (annuisce sorridendo) Va bene. Assicuro Oscar che ci penserò molto seriamente.

Oscar                             - (aspro) Questa non è una risposta.

Regina                           - (si alza) Dio mio, sei di malumore e finirai col mettere di malumore anche me. Ho detto tutto quello che sono disposta a dire per il momento. In fin dei conti, anche Orazio deve dare il suo consenso

Oscar                             - Orazio farà quello che tu gli dirai di fare.

Regina                           - Lo credo anch'io.

Oscar                             - Ed ho la tua parola che cercherai di...

Regina                           - (paziente) Si, Oscar. Hai la mia parola che ci penserò. Ora lasciami in pace. (Si sente chiudere la porta esterna).

Birdie                            - Io... Alessandra ha solo 17 anni. E non...

Regina                           - (chiamando) Sei tu, Alessandra?

Alessandra                    - (di dentro) Sì, mamma. (Entra Leo).

Leo                                - Il signor Marshall è arrivato sano e salvo. Avete visto come è ben vestito? Si vede quando gli abiti sono di un buon sarto. Magari si vestirà in Inghilterra. Tanti uomini, nel Nord, si servono in Inghilterra per il loro vestiario.

Ben                               - (a Leo) Sei stato attento, guidando i cavalli!

Leo                                - Oh sì, sì, zio. Senza dubbio. (Alessandra è entrata mentre Ben rivolge la domanda a Leo. Ode la risposta. Guarda irritata Leo).

Alessandra                    - È una bella serata. Avresti potuto venire anche tu, zia Birdie.

Regina                           - Sei stata carina col signor Marshall!

Alessandra                    - Credo di sì, mamma. È tanto simpatico.

Regina                           - Bene. Ed ora, debbo comunicarti una novità. Domattina partirai per Baltimora per ricondurre il babbo a casa.

Alessandra                    - (sobbalza. Poi felice) Io? Babbo ha scritto che debbo andare? Vuol dire che... (si volge a Addie) Addie, deve stare molto meglio. Pensa, torna a casa! Lo riconduciamo a casa!

Regina                           - Parla al singolare, Alessandra. Andrai sola.

Addie                            - Sola? Un viaggio? Una bimba di quella età! Mister Orazio non essere contento che Sandra andare in giro da sola.

Regina                           - (aspra) Vai di sopra a tirar fuori la roba di Alessandra.

Addie                            - Certo immaginare che andare anch'io...

Regina                           - Verrò su a momenti a dirti che cosa devi mettere nella valigia. (Addie comincia a salire lentamente la scala. Ad Alessandra) Credo che ti farà piacere andar sola. Alla tua età ne sarei stata felice sei una ragazza strana, Alessandra. Addie ti ha sempre trattata troppo da bambina.

Alessandra                    - Pensavo soltanto che sarebbe stato più divertente se Addie fosse venuta con me.

Birdie                            - (timidamente) Potrei accompagnarla io, Regina. Andrei molto volentieri.

Regina                           - Non c'è bisogno. È abbastanza grande per cominciare ad avere qualche responsabilità.

Oscar                             - È bene che impari. Ha quasi l'età di prender marito. (Giovialmente a Leo, battendogli sulla spalla) Eh, figliolo?

Leo                                - Cosa?

Oscar                             - (seccato perché Leo non capisce) Ha l'età di prender marito, non ti pare?

Leo                                - Oh, sì. (Debolmente) Tante ragazze si spo­sano all'età di Sandra. Per esempio Mary Prester e Giovanna e...

Regina                           - Oh beh, non si sposa certo domani. Domani va a Baltimora; dunque parliamo di questo. (Ad Alessandra) Sarai contenta di riavere papà a casa.

Alessandra                    - Sarei voluta andare anche prima, mamma. Te ne ricordi? Ma allora dicesti che non era possibile e che non potevo andar sola.

Regina                           - Ho cambiato idea. (Con eccessiva in­differenza) Dirai a papà quanto hai sentito la sua mancanza e che deve venire a casa... per farti piacere. Digli che hai bisogno di lui qui.

Alessandra                    - Bisogno di lui? Non capisco.

Regina                           - Non c'è nulla da capire. Devi sem­plicemente ripetergli quello che ti ho detto.

Birdie                            - (alzandosi) Può darsi che non si senta. Non è possibile che Sandra lo costringa...

Alessandra                    - Sì. Può darsi che stia troppo male per viaggiare. Non potrei insistere a dirgli che venga a casa per me, se sta male...

Regina                           - (la guarda duramente. Con tono di sfida) Non potresti fare quello che io ti dico di fare?

Alessandra                    - (calma) No. Non potrei, se cre­dessi che può farlo peggiorare.

Regina                           - (dopo un attimo di silenzio sorride gra­ziosamente) Ma lo farai per il suo bene! (Le prende ima mano) Devi lasciare che giudichi io le sue con­dizioni. La cura migliore per lui è venirsene a casa sua; qui sarà assistito nel migliore dei modi. Non deve più rimanere laggiù a sentire quei medici cata­strofici. Fai questo assolutamente per il suo bene. Digli che anche io desidero averlo a casa, che sento tanto la sua mancanza.

Alessandra                    - (lentamente) Sì, mamma.

Regina                           - (agli altri. Alzandosi) Vado a prepa­rare la roba di Alessandra. Perché non ve ne andate a casa, voialtri!

Ben                               - (si alza) Penserò al biglietto ferroviario. Te lo porterà qui un commesso. Buona notte a tutti. Buon viaggio, Alessandra. In treno si mangia molto bene. Hanno dei sedani squisiti. Divertiti e compor­tati come una piccola signora. (Via).

Regina                           - Buona notte, Ben. Buona notte, Oscar... (Scherzosa) Non essere così nero, Oscar. Pare che tu abbia un'indigestione cronica.

Birdie                            - Buona notte, Regina.

Regina                           - Buona notte, Birdie. (Via per la scala).

Oscar                             - (avviandosi all'anticamera) Andiamo.

Leo                                - (ad Alessandra) Ma come fai a non aver voglia di partire! Che sciocca! Vorrei essere io al tuo posto! Come mi divertirei in una città come Baltimora!

Alessandra                    - (irritata. Guardando altrove) Pensa ai fatti tuoi. Me lo immagino, quello che faresti!

Leo                                - (ride) Oh no, non puoi immaginarlo! (Via).

Regina                           - (chiamando dall'alto) Vieni, Alessandra.

Birdie                            - (in fretta, piano) Sandra...

Alessandra                    - Non capisco perché mi mandino, zia Birdie. (Alza le spalle) Ad ogni modo, il babbo sarà nuovamente a casa. (Accarezza il braccio dì Birdie) Non stare in pena per me sono capace di badare a me stessa. Davvero, sai.

Birdie                            - (scuote la testa, dolcemente) Non è per questo che sono in pena. Senti, Sandra...

Alessandra                    - (avvicinandosi a lei) Che altro c'è?

Birdie                            - Si tratta di Leo...

Alessandra                    - (sottovoce) Ha picchiato i cavalli. Perciò abbiamo tardato a tornare. Abbiamo dovuto aspettare che finissero di ansimare e sudare. Li picchia sempre come se...

Birdie                            - (sottovoce, frenetica, tenendo le mani di Alessandra) ,È mio figlio. Mio figlio. Ma io tengo più a te; ti voglio più bene che al mio figliolo. Ti voglio più bene che a chiunque altro...

Alessandra                    - Non pensare ai cavalli. Mi dispiace di avertelo detto.

Birdie                            - (la sua voce si alza alquanto) Non penso ai cavalli. Sono in pena per te. Non devi sposare Leo. Non permetterò che ti facciano questo...

Alessandra                    - Sposare? Leo? (Ride) Non penso affatto a sposarmi, zia Birdie. Non mi è mai venuto in mente...

Birdie                            - Ma ci hanno pensato loro. (Violenta) Sandra, non posso pensare una cosa simile. Tu e... (Oscar è rientrato durante la battuta di Alessandra e si è fermato sulla soglia senza far rumore, ascoltando).

Alessandra                    - (ride) Ma non penso affatto a spo­sarmi, zia. E non sposerò certamente Leo!

Birdie                            - Non hai capito? Ti costringeranno. Te lo faranno...

Alessandra                    - (le prende la mano. Calma ma con decisione) Sciocchezze, zia. Non sono più una bambina. Nessuno può costringermi a fare qualsiasi cosa.

Birdie                            - Non potrei sopportare...

Oscar                             - (aspro) Birdie. (Birdie alza gli occhi. Si ritrae vivamente da Alessandra. Bimane irrigidita e piena di sgomento. Oscar calmo) Birdie, prendi il tuo cappello e il mantello.

Addie                            - (chiama dall'alto) Venire di sopra, bam­bina. Mamma aspetta e non piace aspettare.

Alessandra                    - Vengo. (Dolcemente, abbracciando Birdie) Buona notte, zia Birdie. (Passando da­vanti a Oscar) Buona notte, zio Oscar. (Birdie co­mincia ad avviarsi lentamente verso la porta mentre Alessandra sale la scala. Alessandra è quasi scomparsa quando Birdie giunge vicino ad Oscar. Mentre essa tenta di passargli davanti velocemente, Oscar la col­pisce con violenza con un ceffone. Birdie dà un grido. 8i porta la mano al viso. Al grido Alessandra si volta, ridiscende a precipizio) Zia Birdie! Che cos'è stato? Che è accaduto?

Birdie                            - (dolcemente, senza voltarsi) Niente, cara. Non è successo niente. (In fretta come se volesse impedire che Alessandra si avvicini) Va' a letto. (Oscar esce) Non è successo nulla. (Si volge ad Alessandra che è ora accanto a lei e le ha preso una mano) Mi sono... mi sono soltanto distorta una caviglia. (Esce. Ales­sandra è intanto tornata sulla scala di cui ha salito uno o due gradini e rimane a seguirli con lo sguardo come se fosse perplessa e spaventata).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

La stessa scena. Una settimana dopo, di mattina.

(La luce entra dalle imposte aperte della finestra di destra; le altre sono ancora chiuse ermeticamente. Addie è presso la finestra e guarda fuori. Vicino alla porta della sala da pranzo sono scope, piumino, stro­finacci, ecc. Dopo un momento Oscar entra dall'anti­camera, si guarda attorno, ha un brivido, decide di non togliersi cappello e soprabito, si avanza nella stanza. Al rumore della porta, Addie si volta per vedere chi è entrato).

Addie                            - (senza interesse) Ah, essere voi, mister Oscar.

Oscar                             - Che cos'è questa oscurità? Ormai è giorno. Che succede qui? (Rabbrividisce) Bell'idea, tener tutto chiuso a quest'ora. (Addie comincia ad aprire le imposte) Dov'è miss Regina? Qui fa freddo.

Addie                            - Miss Regina non essere ancora scesa.

Oscar                             - Ha avuto notizie?

Addie                            - (abbattuta) No, signore.

Oscar                             - Possibile che una ragazza di quell'età non sia capace di scendere da un treno a una stazione e salire su un altro?

Addie                            - Dev'essere successo qualche cosa. Se Sandra avere detto che arrivare ieri sera, lei arrivare ieri sera. A meno che non essere accaduto qualche cosa. Essere molto male aver mandato una bambina così tutta sola per riportare a casa un ammalato...

Oscar                             - Ti permetti di giudicare molte cose, Addie! Giudicare quello che fanno i tuoi padroni bianchi!

Addie                            - (lo guarda. Sospira) Io essere stanca. Essere rimasta alzata tutta notte per aspettarli.

Regina                           - (dall'alto) Chi c'è giù, Addie? (Appare in vestaglia e guarda giù dalla ringhiera. Addie ra­duna scope, ecc. ed esce) Ah, sei tu, Oscar. Che diamine sei venuto a fare a quest'ora? Io non sono ancora scesa. Devo finire di vestirmi.

Oscar                             - Non hai avuto nessuna notizia?

Regina                           - No;

Oscar                             - Allora dev'essere certamente successo qualche cosa. Annunciare l'arrivo , per il giovedì sera e non essere ancora qui il venerdì mattina!

Regina                           - Macché, non è successo niente. soltanto Alessandra non ha avuto il buon senso di avvertire.

Oscar                             - Se non è successo niente, perché non sono qui?

Regina                           - Me lo hai chiesto dieci volte ieri sera. Dio mio, come ti agiti! Può darsi che abbiano perso la coincidenza ad Atlanta, che il treno abbia fatto ritardo... tante cose possono averli trattenuti!

Oscar                             - Dov'è Ben?

Regina                           - (scomparendo dalla balaustra) Dove vuoi che sia? A casa sua, probabilmente. Ma per dirti la verità non sono andata a metterlo a letto né a farlo alzare. Prendi una tazza di caffè e non preoccuparti tanto.

Oscar                             - Caffè? Qui non ne vedo. (Guarda il suo orologio. Scuote la testa. Dopo un momento entra Cal con un grande vassoio di argento su cui sono la caffettiera, le tazze, i giornali).

Cal                                - (lo guarda stupito) Non essere andato a caccia stamattina, mister Oscar?

Oscar                             - È la prima volta che manco, da quando ebbi quel raffreddore. La prima volta, da otto anni.

Cal                                - Sicuro. Io dire sempre.  simone avere detto che ieri mattina mister Oscar avere fatto buonissima caccia. Avere detto Simone.

Oscar                             - Ah sì, buona davvero.

Cal                                - (ride timidamente) Scommetto che avere preso abbastanza conigli e scoiattoli da fare grosso festino a tutti i negri della città. Molti di loro non avere assaggiato carne da quando essere finito rac­colto di cotone. Darebbero qualunque cosa per un pezzetto di carne...

Oscar                             - (si volge a guardarlo) Cal, se trovo un negro di questa città che va a caccia, lo sai quello che succede, non è vero? (Entra Leo).

 Cal                               - (in fretta) Sissignore, mister Oscar. Io non avere detto niente. Essere stato Simone che avere detto... 'giorno, mister Leo. Fare tutti e due colazione qui da noi?

Leo                                - Alla banca non sanno nulla. Non hanno avuto nessuna notizia. (Cal aspetta che gli rispondano. Poi alza le spalle ed esce).

Oscar                             - (scrutando Leo) Come mai sei qui a questa ora, figliolo?

Leo                                - Mi avevi detto di informarmi se alla banca avevano avuto notizie di zio Orazio e di Sandra...

Oscar                             - Ti ho detto che se avevano ricevuto una comunicazione, dovevi portarla qui. E se non avevano ricevuto nulla, dovevi restare in banca a lavorare.

Leo                                - Si vede che non ho capito.

Oscar                             - Hai capito benissimo. Ma cerchi qua­lunque pretesto, per prenderti un'ora. (Leo si versa una tazza di caffè) Devi smettere questo modo di fare. Bisogna che tu metta la testa a posto. Un giorno o l'altro prenderai moglie e...

Leo                                - Sissignore.

Oscar                             - Devi anche smettere la relazione con quella donna di Mobile. (Leo fa per parlare) Sei gio­vine e capisco che devi prenderti qualche svago. Non ho obiezioni ad una relazione con una donna di quel genere, finché non intralcia le cose serie. Le donne di quel genere vanno bene in certi momenti; ma ora non è il momento adatto. Devi capirlo.

Leo                                - (annuisce) Glielo dirò. Si regolerà come le dirò io.

Oscar                             - Devi dunque metterti a lavorare con maggiore impegno, alla banca. Devi convincere zio Orazio che potrai essere un marito adatto per Alessandra.

Leo                                - Ma che cosa credi che sia successo? Dove­vano arrivare ieri sera... (Ride) Scommetto che zio Ben è preoccupatissimo: 75 mila dollari di preoc­cupazione.

Oscar                             - (ride contento) Sarà preoccupato si. E come! Quello là prima non risponde alle lettere; poi non viene a casa... (Sogghigna).

Leo                                - Che cosa accadrà se zio Orazio non torna o se...

Oscar                             - Se non tira fuori i quattrini? Oh, li troveremo altrove. Abbastanza facilmente.

Leo                                - (stupito) Ma se non volete avere estranei come soci...

Oscar                             - Cosa vuoi che m'importi a chi va una j parte del mio dividendo? Sono già stato pelato, io; ora è giusto che lo sia un pochino anche Ben!

Leo                                - Certo ti hanno fatto una porcheria.

Oscar                             - (alzando gli occhi alla balaustra) Non parlare tanto forte. E stai tranquillo. Quando morirò, avrai tanto quanto gli altri. Avrai la parte tua e quella di Alessandra. Non mi faccio mettere nel sacco tanto facilmente.

Leo                                - Non è a me che pensavo, babbo...

Oscar                             - Dovresti pensarci, invece. Lo dovresti. È dovere di ognuno, pensare a se stesso.

Leo                                - Credi che zio Orazio non voglia entrare nell'affare?

Oscar                             - (sogghigna) È una mia impressione. Certo non ha mostrato nessun entusiasmo, finora.

Leo                                - (ride) Ma non ha ancora parlato con zia Regina? Oh, accetterà. È una cosa troppo allettante. Perché non dovrebbe voler partecipare.? Non gli manca davvero il denaro da investire. Non ha neppur bisogno di vender nulla. Ha nella sua cassetta di sicurezza tante azioni dell'Unione del Pacifico per 88 mila dollari. Non deve fare altro che aprile" la

Oscar                             - (dopo una pausa guarda l'orologio) Fanno colazione tardi in questa strana casa. Sì, li ha da 15 anni quei titoli. Li comprò quando erano quotati bassi e li ha sempre conservati.

Leo                                - Già. Non ha da fare altro che aprire la cassetta e tirarli fuori. Nient'altro. (Ride) La roba che c'è in quella cassetta! Prima di tutto, quei titoli: una gran bella cosa. (Oscar lentamente posa il giornale e si volge a Leo) Poi, vicino a quelli, c'è una scarpina di Sandra quando era bambina e un cammeo da poco prezzo attaccato a un cordoncino; è poi - no, nes­suno lo crederebbe! - un pezzo di un vecchio violino. Neanche un violino intero. Un pezzo, un rottame di violino.

Oscar                             - (molto piano, come se cercasse di padroneg­giare la sua voce) Un rottame di violino! Che cosa strana, vero?

Leo                                - Sicuro. E altre cose buffe. Una poesia, credo, firmata col nome di sua madre; e due vècchi quaderni di scuola con appunti e... (Si accorge dello sguardo di Oscar. Oli muore la voce in gola. Volge la testa altrove).

Oscar                             - (molto piano) Come fai a sapere quello che c'è nella cassetta?

Leo                                - (fa un passo indietro, spaventato, accorgendosi di quello che ha detto) Ma... Dio mio... hm.. È stato uno dei miei colleghi, in banca. Un giorno ha preso le chiavi del vecchio Manders. È stato Joe Horns. Prese le chiavi del vecchio Manders e... sì, tirò fuori la cassetta. (In fretta) Poi mi chiesero se volevo vedere anch'io. E così guardai un momento; ma poi feci chiudere subito la cassetta e dissi ai miei colleghi che non dovevano mai più...

Oscar                             - (lo guarda) Joe Horns, hai detto? È stato lui ad aprirla?

Leo                                - Sì, sì, proprio lui. Parola d'onore. (Guarda altrove, motto nervosamente) Certo questo non giu­stifica che io abbia guardato... (guarda Oscar) ... ma gli dissi di richiudere subito e gli feci rimettere le chiavi nel cassetto di Manders...

Oscar                             - (chinandosi in avanti. Molto dolcemente) Dimmi la verità, Leo, non voglio rimproverarti. Sei stato tu che hai aperto la cassetta?

Leo                                - No, non sono stato io. Ti ho detto che non sono stato io. No, io non...

Oscar                             - (irritato ma paziente) Non intendo rim­proverarti. (Lo osserva attentamente) A volte un giovinotto fa bene a guardarsi attorno per vedere quello che succede. A volte è un buon segno, in un ragazzo della tua età. (Si alza) Molti grandi uomini hanno fortuna perché hanno avuto buoni occhi. Hai aperto tu la cassetta?

Leo                                - (Molto perplesso) No. Io...

 Oscar                            - (gli si avvicina) L'hai aperta? Potresti... sì, potresti aver fatto bene.

Leo                                - (dopo una lunga pausa) L'ho aperta io.

Oscar                             - (in fretta) È la verità? (Leo accenna di sì) Nessun altro sa che l'hai aperta? Su, Leo, non aver paura di dirmi la verità.

Leo                                - No. Nessuno lo sa. Non c'era nessuno in banca. Ma...

Oscar                             - E tuo zio Orazio sa che l'hai aperta?

Leo                                - (scuote la testa) Lo zio la apre soltanto ogni sei mesi, quando deve tagliare, le cedole; e qualche volta non lo fa neanche lui, ma lo fa fare da Manders. Zio Orazio non ne tiene neanche le chiavi. Le tiene sempre Manders. Pensa un po', non guarda mai quella roba. Se li avessi io, quei titoli, ci farei la guardia come...

Oscar                             - Se li avessi tu. (Leo lo guarda) Se lì avessi tu, potresti diventare socio della filanda; tu ed io. Ed avremmo la parte più grossa... (Una pausa. Poi alza le spalle) Beh, non si può dare torto a un uomo se desidera che suo figlio si faccia una posi­zione nel mondo, non è vero?

Leo                                - (lo guarda. Comincia a capire) No davvero. È una cosa naturalissima. (Ride) Ma i titoli non sono miei e sono di zio Orazio. Il quale ora non ha altro da fare che starsene lì tranquillamente ad aspettare di diventar milionario.

Oscar                             - (innocentemente) Credi che zio Orazio ti voglia abbastanza bene da prestarti quelle azioni, nel caso che non si decidesse a servirsene lui?

Leo                                - Papà, si vede che non hai ancora fatto colazione! (Ride forte) Prestare a me i titoli! Dio mio...!

Oscar                             - (deluso) Già, lo credo anch'io. Un'idea stramba che mi era venuta... Un prestito di tre mesi, al massimo quattro; il tempo sarebbe più che sufficiente per noi, per la restituzione siamo in aprile... (conta lentamente sulle dita) e se lui non se ne cura fino all'autunno, non si accorgerebbe neppure che mancano dalla cassetta.

Leo                                - Oh, verissimo! Non se ne renderebbe neanche conto. Proprio così...

Oscar                             - Proprio. Non se ne renderebbe neanche conto. Come potrebbe accorgersene, dal momento che non li guarda mai? (Sospira. Leo lo guarda) E noi stiamo qui ad aspettare che lui torni a casa per investire il suo danaro in un affare per il quale non ha mosso neanche un dito. Ma non posso fare a meno di pensare che agisce in modo strano. Ti sei messo a ridere quando ti ho chiesto se non ti pre­sterebbe quelle azioni, non servendosene lui. Ma che male gli farebbe?

Leo                                - (lentamente guardandolo) Nessuno. As­solutamente.

Oscar                             - Bisognerebbe aiutarsi a vicenda. Ma non tutti lo fanno. (Ben entra. Appende cappello e so­prabito in anticamera) E così, accade che a volte uno deve pensarci da sé. (Mentre Leo continua a fissarlo Ben appare sulla soglia) 'giorno, Ben.

Ben                               - (entrando col giornale in mano) È una bella mattinata di sole. Notizie dei viaggiatori? (Si siede).

Regina                           - (sulla scala) Nessuna, altrimenti sare­sti stato informato. (Scende) Un vero congresso, stamattina; vi siete dati appuntamento, così di buon ora? (Va verso la caffettiera).

Oscar                             - Sei tu che ti alzi tardi, da un po' di tempo in qua. Forse usa così, la buona società di Chicago?

Ben                               - (scorrendo il giornale) È morto il vecchio Carter, a Senateville. Ottantuno è una bella età per tutti, no? Che cosa credi che sia accaduto a Orazio, Regina?

Regina                           - Niente.

Ben                               - (con troppa indifferenza) Non pensi che forse non sia mai partito da Baltimora ed abbia l'intenzione di non partire mai?

Regina                           - (irritata) Sono partiti di certo. Non ho ricevuto una lettera da Alessandra? Che c'è di strano nel fatto che la gente arrivi in ritardo? A Savannah c'è quel suo cugino al quale è tanto af­fezionato. Può essersi fermato per salutarlo. Arri­veranno in giornata, e saranno molto lusingati che tu e Oscar siate stati tanto in pensiero per loro.

Ben                               - È nel mio carattere specialmente quando sto per concludere un affare e uno dei miei soci rimane silenzioso e invisibile.

Regina                           - (ride) Ah, è per questo? Credevo che fosse in pena per la salute di Orazio.

Oscar                             - Anche per quella, si capisce. Chi non sarebbe in pena? Io lo sono. È II primo giorno che non sono andato a caccia, da quando ebbi quel raffreddore.

Regina                           - (si avvia alla sala da pranzo) Allora non hai neanche fatto colazione. Vieni. (Oscar e Leo la seguono. Cal entra e serve in tavola).

Ben                               - Senti, Regina. (Regina si volta) Il cugino di Orazio è morto da parecchi anni; e comunque, il treno non passa per Savannah.

Regina                           - (ride. Continua ad andare nella sala da pranzo dove siede) È morto? Come fai a ricordarti sempre delle persone che muoiono? (Ben si alza) Adesso voglio far colazione tranquillamente e leg­gere il giornale.

Ben                               - (va verso la sala da pranzo mentre parla) Per me, questa è la seconda colazione. La prima era cattiva. Celia non sa più cucinare come una volta. È troppo vecchia per sentire ancora i sapori. Se non fosse appartenuta alla mamma, la manderei in campagna. (Oscar e Leo cominciano a mangiare. Ben siede).

Leo                                - Scommetto che zio Orazio avrà molte cose da raccontare. Baltimora è una città animatis-sima.

Regina                           - (a Cai) La zuppa d'avena non è ab­bastanza calda. Riportala in cucina.

Cal                                - Sissignora. (Grida verso la cucina nell’uscire) Avena essere diventata fredda. Avena essere diventata fredda.

Leo                                - Quand'ero in collegio, una volta io e tre compagni prendemmo il treno e andammo a Bal­timora. Ci parve talmente grande che credemmo di essere addirittura in Europa. Ero un bimbo...

Regina                           - Mi piace molto far colazione da sola. (Intanto è entrata Addie) Detesto discorrere prima di aver preso qualche cosa di caldo. Sta un po' zitto, Leo. (Gal chiude la porta della sala da pranzo. Addie comincia a radunare le tazze del caffè. Va a metterle sul vassoio. Fuori si sentono voci. Addie corre in fretta in anticamera. Pochi secondi dopo riappare sulla soglia dell'anticamera. Ha un braccio attorno alla f spalle di Orazio Giddens per sorreggerlo. Orazio è un uomo alto, di circa 43 anni. Si vede che era un bello l uomo ma ora ha il viso stanco e malato. Cammina rigido come se facesse uno sforzo enorme, e con cautela E come se non fosse sicuro del proprio equilibrio. Addie E gli toglie il soprabito e lo appende all'attaccapanni. Poi lo accompagna ad una poltrona).

Orazio                           - Come stai, Addie? Come sei stata I tutto questo tempo?

Addie                            - Benissimo, mister Orazio. Essere soltanto in pena per voi. (Entra Alessandra. È rossa f e eccitata. Ha il cappello di traverso e il viso sudicio. Ha le braccia piene di pacchi e pacchetti ma viene rapidamente verso Addie).

Alessandra                    - Va là, non dirmi quanto sei stata I in pena! Non abbiamo potuto fare diversamente I e non c'è stato modo di farvelo sapere.

Addie                            - (comincia a liberarla dai pacchi) Sissignore, io essere stata molto in pena.

Alessandra                    - Ci siamo dovuti fermare a pernottare a Mobile. Papà... (lo guarda) ... papà non si è sentito bene. Il viaggio è stato uno strapazzo troppo grande per lui; perciò ho voluto che si fermasse a I riposarsi... (Mentre Addie sta per prendere l'ultimo pacchetto) No, questo non prenderlo. È la medicina del babbo. La tengo io. Bisogna stare attenti a non rompere la boccetta. Ora, dobbiamo pensare al bagaglio che è rimasto fuori. Ci sono le valige e la poltrona a rotelle del babbo. Vado a prenderla, perché lui ne ha bisogno...

Addie                            - (felice, trattenendo Alessandra) Da quando in qua tu portare tue valige? Da quando in qua io non essere capace di tenere boccetta medicina! (Orazio tossisce) Stare bene, mister Orazio?

Orazio                           - (accenna di sì) Sono contento di potermi f sedere.

Alessandra                    - (aprendo il pacchetto della medicina) Non si sente molto in gamba. (Addie guarda Ale e- E 'Sandra e poi Orazio) Non lo dice ma... il viaggio è  stato faticoso per lui; ed ora deve andare subito a letto.

Addie                            - (lo guarda attentamente) Ma tutti quei I dottori, non avervi aiutato?

Orazio                           - Hanno fatto del loro meglio.

Alessandra                    - (si è accorta delle voci provenienti dalla sala da pranzo) Scommetto che anche mamma è stata in pena. Sarà meglio che vada a dirle che siamo qui. (Si avvia).

Orazio                           - Sandra... (Sandra si ferma) Aspetta ancora un momento, cara.

Alessandra                    - Oh papà, ecco che ti senti di nuovo male. Lo sapevo. Vuoi la medicina?

Orazio                           - No, non ne ho bisogno adesso. Sono solamente stanco, tesoro. Lasciami riposare un pochino.

Alessandra                    - Sì, ma la mamma si arrabbierà  se non le dico che siamo arrivati.

Addie                            - Stanno facendo colazione tutti insieme.

Alessandra                    - Ah, ci sono tutti? Ma perché sono sempre qui! Speravo che papà non dovesse vedere nessuno; sarebbe stato meglio per lui, un po' di quiete.

Addie                            - Allora lasciare lui riposare un minuto.

Orazio                           - Addie, scommetto che il tuo caffè è sempre buono come, una volta. Nel Nord non lo fanno così bene. (Guarda la caffettiera) È sempre così buono, Addie? (Addie va verso la caffettiera).

Alessandra                    - No. Il dottor Reeves ha detto che non deve prendere tanto caffè. Solo ogni tanto. Ora sono io l'infermiera, Addie.

Addie                            - Essere meglio se infermiera non essere tanto sudicia. Andare a fare un bagno, signorina gran - donna. Cambiare biancheria, mettere un abito pulito, spazzolare capelli... su, andare...

Alessandra                    - E tu resti solo, papà!

Addie                            - Non pensare; andare a fare toilette.

Alessandra                    - (sulla scala) Le pillole deve pren­derle ogni quattro ore. E la medicina della boccetta soltanto... soltanto se si sente molto male. Ora la­scialo tranquillo finché torno io, e non stancarlo con le chiacchiere, Addie; e ricordati la medicina...

Addie                            - Suonare per chiamare Bella che ti aiutare e poi io preparare colazione.

Alessandra                    - (mentre scompare) Come sta zia Birdie? È qui?

Addie                            - (a Orazio) Non dovere prendere caffè? Fa male!

Orazio                           - (lentamente) Oramai... non ha più molto importanza. Dammene una tazza, Addie.

Addie                            - (lo guarda, poi va a versare il caffè).

Orazio                           - Strano. Non sanno fare il caffè, nel settentrione. (Addie gli porta la tazza) Non usano neanche il peperoncino. (Prende la tazza e beve avi­damente) Dio, com'è buono! Ti ricordi quanto ne bevevo? 10, 12 tazze al giorno. Così forte che do­veva macchiare la tazza. (Poi lentamente) Addie, prima che io veda chiunque altro, voglio sapere perché Sandra è venuta a prendermi. Ha cercato di spiegarmelo, ma pare che non lo sappia bene neanche lei.

Addie                            - (si volge altrove) Io non sapere.  sapere solo che stanno succedendo grandi cose. Tutti di­venteranno ricchissimi. Molto, molto ricchi. Anche voi. Tutto perché fumo uscirà da una fabbrica che non essere ancora costruita.

Orazio                           - Questo l'ho sentito.

Addie                            - E poi... (Esita) E... hm... Sandra dovrà sposare mister Leo.

Orazio                           - (la guarda. Poi molto lentamente) Che diamine dici?

Addie                            - Proprio così. Questo è quello che si dice, che Dio vi aiuti

Orazio                           - (irritato) Che cosa si dice?

Addie                            - L'ho detto adesso. Che ci saranno nozze... (Incollerita, voltandosi altrove) Sulla mia anima, proprio così.

Orazio                           - (dopo un attimo, calmo) Va' a dire che sono arrivato.

Addie                            - (esita) Voi non dovervi eccitare adesso. Dovere andare a letto.

Orazio                           - Va, Addie. Vai a dire che sono arrivato. (Addie apre la porta della sala da pranzo. Orazio si leva in piedi con difficoltà. Bimane rigido, come se soffrisse, di faccia alla sala).

Addie                            - Miss Regina. Essere arrivati. Essere qui...

Regina                           - Orazio! (Si alza in fretta. Viene nel salotto. Con calore) Orazio! Finalmente sei arrivato! (Mentre lo bacia entrano gli altri parlando tutti insieme).

Ben                               - (sulla soglia, col tovagliolo in mano) Ah, beh, ci avete fatto stare in pensiero! (Viene avanti. Si stringono la mano. Addie esce).

Oscak                            - È un vero piacere vedervi.

Orazio                           - Salve, Ben. (Entra Leo mangiando un biscotto).

Oscak                            - E come vi sentite? Benone, immagino, a giudicare dal vostro aspetto.

Orazio                           - (freddamente, irritato per la falsità di Oscar) Salve, Oscar. Salve Leo, come stai?

Leo                                - (stretta di mano) Benissimo. Meglio ancora che siete tornato.

Regina                           - Siediti. Che cos'è successo e dov'è Alessandra? Sono così contenta di vederti che a momenti mi dimenticavo di lei!

Orazio                           - Mi sono sentito poco bene; forse un po' di debolezza, e ci siamo fermati per riposare la notte.  Sandra è disopra a ripulirsi dal fumo della ferrovia.

Regina ;                         - Mi dispiace che il viaggio sia stato uno strapazzo per te. Non avevo pensato che...

Orazio                           - Beh, è come se non fossi mai andato via. Vi rivedo tutti qui...

Ben                               - Ad aspettarvi per darvi il benvenuto. (Birdie irrompe. Indossa un chimono di flanella ed è rossa e agitata).

Birdie                            - (corre a Orazio. Lo bacia) Orazio!

Orazio                           - (con calore stringendole un braccio) Stavo appunto per chiedere dove eravate, Birdie.

Birdie                            - (eccitata) Oh, avrei voluto essere qui. Non sapevo che eravate arrivato; è stato Simone che mi ha detto di aver visto il calessino. (Si tira indietro e lo guarda. Il suo viso diventa serio) Oh, non avete una bella cera, Orazio. Proprio per nulla.

Regina                           - (ride) Ma Birdie, non si dice...

Orazio                           - (guardando Oscar) Oscar crede che io abbia ottimo aspetto.

Oscar                             - (seccato, si volge a Leo) Non stare lì con quel biscotto in mano.

Leo                                - Allora vado a finire di far colazione, zio Orazio; poi vi darò tutte le notizie della banca... (Via in sala da pranzo).

Oscar                             - (a Birdie) Che razza di costume hai?

Birdie                            - (guardando Orazio) Ora che siete a casa, starete meglio. Molto riposo e tutti vi assi­steranno. (Si interrompe) Ma dov'è Sandra? Mi è mancata tanto in questi giorni...

Oscar                             - Ti ho chiesto che cos'è questo strano costume col quale vai in giro.

Birdie                            - (nervosamente, indietreggiando verso la scala) Io? Ah, la mia vestaglia. Ero così ansiosa di vedere Orazio che sono corsa fuori...

Oscar                             - Ed hai attraversato la piazza vestita in quel modo? Cara Birdie, io non so...

Orazio                           - (a Regina, stancamente) Sì, è proprio tutto come una volta.

Regina                           - (in fretta. A Oscar) Suvvia, non litigate. Oggi è festa.

Birdie                            - (corre in fretta su per la scala) Sandra! Sandrina!

Oscar                             - Birdie!

Birdie                            - Oh! Dì a Sandra che torno fra poco (Mormora) Scusami, Oscar. (Via).

Regina                           - (ai fratelli) Perché non andate a finir di mangiare? Così Orazio può riposare qualche minuto.

Ben                               - (andando con Oscar verso la sala da pranzo) Non bisogna mai lasciare un pasto senza termi­narlo. C'è troppa povera gente che ha fame. sono veramente contento di rivedervi a casa, Orazio. È bello riavervi qui. Bello.

Oscar                             - (a Leo mentre Ben richiude la porta) Tua madre è impazzita. Andare correndo per le strade come una donna... (Nel momento in cui rimangono soli Regina e Orazio diventano goffi e impacciati).

Regina                           - (ride imbarazzata) Beh. Eccoci qui. È stata un'assenza lunga. (Orazio ride) Cinque mesi. Sai bene, Orazio, che sarei voluta venire a stare con te in clinica, ma non sapevo quale fosse il mio dovere. stare qui o stare con te. Ma sai quanto desi­deravo di venire.

Orazio                           - È gentile da parte tua. Ma non era necessario.

Regina                           - Oh sì, lo sarebbe stato. Cinque mesi solo, senza parenti né amici. Non dirmi che non ,ne hai sofferto! Che non è stato un periodo triste per te!

Orazio                           - Non è stato un periodo triste. (Poiché Regina crolla il capo incredula egli insiste) No dav­vero, Regina. Dio mio, da principio, quando... quando ho saputo quali erano le mie condizioni... Ma poi, quando mi sono abituato a quest'idea sono rimasto volentieri in ospedale. Mi piaceva.

Regina                           - Ti piaceva? (Freddamente) Strano. Ti piaceva tanto che non desideravi di venire a casa1?

Orazio                           - Non precisamente così... (Poi, con bontà, visto che Regina volge il capo altrove) Oramai c'ero e ho preferito abituarmi; e trovar piacevole lo stare a letto e pensare. (Sorride) Non ho mai avuto molto tempo per pensare prima. E il tempo ha acquistato molto valore per me.

Regina                           - Pare quasi che tu sia stato in vil­leggiatura.

Orazio                           - (ride) Una specie, sì. Le prime vacanze che ho avuto da quando ero bambino.

Regina                           - Ed io, qui, credevo che tu soffrissi e...

Orazio                           - (calmo) Infatti soffrivo.

Regina                           - E invece ti prendevi le vacanze! Va­canze dedicate a pensare. Non avresti potuto farlo anche qui?

Orazio                           - Avrei voluto farlo prima di venire ad abitare qui. Ho pensato a noi.

Regina                           - A noi? A te ed a me? Dopo tanti anni? (Con tono sgradevole) Un giorno o l'altro mi dirai tutto quello che hai pensato. (Un intervallo di silenzio).

Orazio                           - Regina. (Regina si volta) Perché hai mandato Sandra a Baltimora?

Regina                           - Perché? Perché desideravo che tu tornassi. Credo che non potrai vedere in questo niente di sospetto, no?

Orazio                           - Non dico di aver sospettato... (Con esitazione prendendole la mano) Sandra ha detto che tu desideravi il mio ritorno. Ne sono stato così contento e commosso che mi sono sentito subito

Regina                           - (ritraendo la mano. Si volta) Commosso perché desideravo il tuo ritorno?

Orazio                           - (sospira) Mi esprimo male, come sempre. Cerchiamo di spiegarci meglio. Tanto più che non c'è molto tempo. Che cos'è, Regina, questa diceria che mi è pervenuta, a proposito di Sandra e di Leo? Sandra e Leo che dovrebbero sposarsi?

Regina                           - (volgendosi di scatto. Aspra) Chi è che fa tante chiacchiere, qui?

Orazio                           - (urtato) Regina!

Regina                           - (seccata, ma ansiosa di tranquillizzarlo) È una stupidaggine che si è messa in mente Oscar. Te lo spiegherò più tardi. Non ho nessuna intenzione di permettere questo accordo. È stato soltanto per tenere Oscar tranquillo durante le trattative per l'affare di cui ti ho scritto...

Orazio                           - (attento) E che c'entra Sandra con gli affari di Oscar? In ogni caso, avresti dovuto levare immediatamente quest'idea dalla testa di Oscar. Tu sai quello che penso di Leo.

Regina                           - Ma non c'è bisogno di parlarne adesso.

Orazio                           - Non c'è bisogno di parlarne mai. No, finché vivo. (Si interrompe, si volge lentamente a guardarla) Finché vivo. Sono stato cinque mesi in ospedale. E da quando sono arrivato non mi hai chiesto neanche una volta di... della mia salute. (Più dolcemente) Del resto immagino che te lo abbiano scritto. Non ho molto tempo da vivere.

Regina                           - (freddamente) Non ho mai capito perché la gente deve parlare di queste cose.

Orazio                           - (un silenzio. Poi la guarda con viso gelido) Mi fraintendi. Non ho voglia di discorrere della mia malattia. Soltanto, mi è sembrato onesto dirtelo. Non chiedevo la tua simpatia.

Regina                           - (aspra, voltandosi a guardarlo) Secondo i dottori, qual è la causa del tuo mal di cuore?

Orazio                           - Che vuoi dire?

Regina                           - Non credono possibile che le tue don­nacce abbiano contribuito...

Orazio                           - (sorride amaro) ... a farmi ammalare! Non credo che sia una teoria scientifica, questa. Non si prende il mal di cuore, a letto.

Regina                           - (in collera) Non ho detto questo. Credo piuttosto che... a letto, come dici tu, si acquisti una cattiva coscienza...

Orazio                           - Non ho parlato ai dottori della mia cattiva coscienza. Né delle mie donne. E anche che mia moglie non mi ha voluto nel suo letto da... (Aspro) Da quanto tempo, Regina? Da dieci anni? Mi hai fatto tornare a casa per rimproverarmi di nuovo e farmi nuovamente sentire colpevole? Vuol dire che desideri qualche cosa. Ma non riuscirai più a farmi sentire colpevole. Il mio « pensare » ha avuto questo risultato.

Regina                           - Lo vedo. (Guarda verso la porta della sala da pranzo. Poi si avvicina a lui, con modi cor­diali e affettuosi) È stupido litigare in questo modo. Non volevo dirti delle cose spiacevoli. Sono stata una sciocca.

Orazio                           - (stancamente) Dio sa che neanch'io volevo litigare. Sono tornato col desiderio di non bisticciare, ed eccoci subito alle solite. Mi sono of­feso e...

Regina                           - (in fretta) È stata colpa mia. Non ti ho chiesto di... della tua malattia per non fartene ricordare. E poi, non credo ai medici quando parlano di... (vivacemente) quando parlano a quel modo.

Orazio                           - (senza guardarla) Beh, cercheremo di fare del nostro meglio per non avere dispute. (Si alza).

Regina                           - (in fretta) Tenterò. Te lo assicuro, Orazio; con tutta sincerità. Senti, Orazio... so che sei stanco, ma... non potresti trattenerti qui in salotto ancora qualche minuto? Desidero che Ben ti dica una cosa.

Orazio                           - Domani.

Regina                           - Vorrei che fosse adesso. È molto im­portante per me. È importante per tutti noi. (Gaia­mente mentre va verso la sala) Importante per la tua diletta figlia. Sarà una grande ereditiera...

Orazio                           - Davvero? Questa è una bella cosa.

Regina                           - (apre la porta) Hai finito di mangiare, Ben?

Orazio                           - Si tratta della filanda di cui mi è stato scritto tante volte?

Regina                           - (a Ben) Orazio vorrebbe parlarti adesso.

Orazio                           - Orazio non vorrebbe affatto parlarvi adesso. Sono tanto stanco, Regina...

Regina                           - (andando a lui) Ti prego. Abbiamo detto che avremmo cercato di fare del nostro meglio... Ed io ti assicuro che farò il possibile. Ma ora ti prego: fai questo per me. Vedrai quello che abbiamo com­binato mentre tu non c'eri. Come ho curato i tuoi interessi. (Ride gaiamente) E credo di aver fatto le cose molto bene. Ma ora non si può più dilazionare. Tutto dev'essere definito in questa settimana... (Orazio siede. Ben entra. Oscar è rimasto nella sala da pranzo ma col capo voltato a guardarli. Leo finge di leggere il giornale) Devi spiegare tutto a Orazio, Ben. Ma presto, perché è stanchissimo e deve andare a letto. (Orazio la sta a guardare e mentre lei parla il suo volto si indurisce) Ma credo che le notizie che gli darai gli gioveranno più di tutte le medicine di questo mondo.

Ben                               - (guardando Orazio) Si può anche aspettare. Porse Orazio non si sente di parlare oggi.

Regina                           - Vecchio imbroglione! Sai benissimo che non si può aspettare. Che bisogna definire in settimana. Eri ansioso quanto me per il ritorno di Orazio.

Ben                               - (molto gioviale) Forse sì. E perché no? Orazio ha agevolato molte volte la ditta Hubbard. Perché non dovrei considerare, ora, di giovare io a lui?

Regina                           - (ride) Giovargli! Giovargli mentre hai bisogno di lui, vorrai dire!

Ben                               - Che specie di donna è vostra moglie, Orazio! (Ride goffamente perché Orazio non gli risponde) Beh, mi sbrigherò. Sapete quello che vi ho sempre detto. Ho sempre sostenuto che tutti noi uomini d'affari del mezzogiorno avevamo grandi possibilità (fa un gesto largo) a portata di mano. È sempre stato il mio sogno: poter arrivare a mete più alte. sono un uomo fortunato, Orazio, un uomo fortunato. Sognare e vivere tanto da veder realizzato il proprio sogno... Questa, secondo me, è la vera fortuna per un uomo. Da trent'anni dico che bisogna portare le filande dov'è il cotone. (Orazio apre la boccetta della medicina) E finalmente ho avuto il coraggio di rivolgermi alla Marshall Company di Chicago.

Orazio                           - Tutto questo lo so. (Prende la medicina. Regina si alza. Oli si avvicina).

Ben                               - Vi occorre qualche cosa?

Orazio                           - Un po' d'acqua, per favore.

Regina                           - (si volta in fretta) Oh, scusa, vado io. (Oli porta il bicchiere con l'acqua. Orazio beve e tutti aspettano in silenzio) Ti senti meglio adesso?

Orazio                           - Sì. Dunque tutto questo lo so. Me lo avete scritto. (Oscar entra dalla sala da pranzo).

Regina                           - (trionfante) Ma non sai che in questi ultimi giorni Ben ha acconsentito a darci - a dare a te, voglio dire - un profitto molto più alto.

Orazio                           - Davvero? Molto generoso da parte sua.

Ben                               - (ride) Non c'entra la mia generosità. È la furberia di Regina.

Regina                           - (come se volesse farsi capire da Orazio) Ho spiegato a Ben che forse tu non avevi risposto alle sue lettere perché ti sembrava che non ti offris­sero abbastanza; e siccome il tempo stringeva e tu avevi capito quanto Ben aveva bisogno di te...

Orazio                           - (le sorride. Annuisce) E avevo capito che Ben desidera che la maggioranza - e quindi il controllo dell'azienda - rimanga in famiglia...

Regina                           - (a Ben trionfante) Precisamente. (A Orazio) Così ho mercanteggiato un poco per conto tuo ed ho convinto i miei fratelli che loro non sono i soli Hubbard che abbiano il senso degli affari.

Orazio                           - È stato necessario convincerli di questo? Come le persone si conoscono poco fra loro! (Ride) Ma la prossima volta, Ben, saprete con chi avete da fare, trattando con Regina, non è vero? (Ben, Orazio e Regina ridono insieme. Oscar ha la faccia scura) Dunque, vediamo. Noi abbiamo un utile maggiore. A danno di chi? (Guarda Oscar).

Ben                               - Di Oscar.

Orazio                           - Ma bravo, Oscar! Siete diventato al­truista! Che vi è successo? (Leo rientra).

Ben                               - (in fretta, prima che Oscar possa rispondere) Non gliene importa, a Oscar. Non vale la pena di discuterne adesso, vero, Oscar?

Oscar                             - (irritato) Alla fine, avrò quello che mi spetta. Potrete esserne certi. Devo pensare all'av­venire di mio figlio.

Orazio                           - (con durezza) Di Leo? Ah, capisco. (Getta la testa indietro. Ride. Regina lo guarda nervo­samente) Comincio a capire. Ognuno avrà la sua parte.

Ben                               - Lo sapevo che avreste capito: 75 mila dollari che diventeranno per voi un milione.

Regina                           - (va ad appoggiarsi alla tavola fissandolo) Questo è sicuro, Orazio. Sicurissimo.

Orazio                           - Non ne dubito. (Dopo un momento) Ora capisco l'altruismo di Oscar... Ma a Marshall che cosa avete promesso, oltre al denaro che verserete?

Ben                               - Niente promesse. Garanzie.

Orazio                           - Di che genere?

Ben                               - Abbiamo assicurato la forza elettrica. Gratis e quanta ne occorre.

Orazio                           - E naturalmente, l'avete ottenuta?

Ben                               - A buon mercato. Il Governatore di un grande stato è sempre disposto ad abbassare i prezzi; magari per orgoglio. (Orazio sorride, anche Ben sorride) E poi, i salari non saranno elevati. Ho chiesto a Mar­shall che cosa intendeva con questa espressione. « Circa otto dollari settimanali », ha risposto. Figuria­moci! Per otto dollari andrei a lavorare anch'io! Qui, bianchi e negri saranno anche troppo felici di prendere tre dollari d'argento, non vi pare!

Orazio                           - Senza dubbio. E verranno anche per meno, se li mettete in concorrenza. In questo modo, Ben, potrete risparmiare parecchio. (Iroso) E farete in modo che si detestino reciprocamente anche più di quanto si detestano oggi.

Regina                           - A che servono questi discorsi?

Ben                               - (ride) Non vi saranno fastidi per nessuno, bianco o nero che sia. Marshall mi disse: « E gli scioperi? Ne abbiamo avuti tanti in questi ultimi tre anni...». Ed io gli ho risposto: «Che cosa sono gli scioperi? Qui non se n'è mai sentito parlare. Venite nel mezzogiorno, Marshall. Abbiamo buoni operai e non permettiamo capricci ».

Orazio                           - Avete detto bene. (Lentamente) Insomma, mi pare che abbiate concluso un ottimo affare per voialtri e anche per Marshall. (A Ben) Vostro padre diceva che lui aveva fatto le migliaia e che i suoi figli avrebbero fatto i milioni. Credo che avesse ragione. (Si alza. Tutti lo guardano).

Regina                           - (ride nervosamente) Milioni anche per noi.

Obazio                          - Per noi? Per te e per me? Non credo. Noi abbiamo abbastanza denaro, Regina. Staremo a guardare i tuoi fratelli che diverranno milionari. (Tutti guardano intenti Orazio mentre egli si avvicina alla scala. Nel passare davanti a Leo lo fissa per un attimo) Come vanno le cose in banca, Leo?

Leo                                - Benissimo, zio. Tutto va bene.

Orazio                           - E come stanno tutte le signore dì Mobile? (Si volge a Regina con asprezza) Che cosa ha mai potuto farti pensare che avrei permesso che Sandra sposasse...

Regina                           -Vorresti dire che non vuoi partecipare all'affare? Possibile che tu abbia quest'idea?

Ben                               - No, non può essere. Rinunciare a una for­tuna! Orazio è stanco. Ne riparleremo domani...

Regina                           - Non possiamo rimandare. Oscar deve trovarsi a Chicago per la fine della settimana coi quattrini e il contratto.

Oscar                             - (sogghigna contento) Sicuro. Debbo tro­varmi là alla fine della settimana. Inutile andare senza i quattrini.

Regina                           - (con tensione) Ho aspettato abbastanza la tua risposta. Non aspetterò di più.

Oeazio                           - (con decisione) Ora sono stanchissimo, Regina.

Ben                               - (in fretta) Suvvia, probabilmente Orazio ha le sue ragioni. Bisognerà spiegargli bene le cose. Domani. Potremo...

Regina                           - (duramente) Voglio conoscerle adesso, le sue ragioni! (Si volge nuovamente verso Orazio).

Oeazio                           - (mentre sale) Non le so tutte neanch'io. Lasciamo andare.

Regina                           - Non lasciamo andare affatto! Ti abbiamo aspettato come dei bambini aspettano Dio sa che cosa. Abbiamo aspettato il tuo ritorno...

Orazio                           - Per poter mettere il mio denaro nella nuova azienda. Dunque è per questo che hai voluto che tornassi a casa? Ed io che avevo sperato... (Calmo) Mi dispiace di darti una delusione, Regina. Ma devo fare quello che ritengo sia meglio. Ne parleremo un altro giorno. (La guarda dal gradino su cui si è fermato. La sua voce è forzata) Ti prego, Regina. Il viaggio è stato faticoso. Non mi sento bene. Ti prego di lasciarmi tranquillo adesso.

Regina                           - (calma) Voglio parlare con te, Orazio. Vengo di sopra. (Orazio la guarda un momento. Poi finisce di salire e scompare. Regina comincia a salire).

Ben                               - (piano. Regina si volge a sentire) A volte è meglio aspettare un giorno. (Regina non risponde) E a volte, come ti diceva la mamma (Regina riprende a salire) non è bene, per una bella donna, aggrondare la fronte. (Si alza, va verso la scala) La dolcezza e il sorriso hanno maggior potere sul cuore degli uomini... (Regina scompare. Un lungo silenzio. Poi, improvvi­samente, Oscar sogghigna).

Oscar                             - Speriamo che Regina gli faccia cambiare idea. Speriamo. (Dopo un momento Ben va alla tavola, prende il suo giornale. Oscar lo guarda. Leo si sente a disagio in quel silenzio).

Leo                                - Il giornale dice che vi sono stati 27 casi di febbre gialla a Nuova Orleans. Scommetto che è a causa dell'inondazione. (Nessuno gli bada) Credevano di aver costruito gli argini abbastanza alti. Hanno ragione i negri quando dicono: un uomo nato di donna non potrà mai costruire niente di abbastanza alto per il Mississipì. (Nessuna risposta. Dall'alto giunge suono di voci. Non forti, ma i tre uomini le sentono. Leo va verso la scala, guarda in alto e tende le orecchie).

Oscar                             - (indicando in alto) E se Regina non riesce a fargli cambiare idea? Se lui continua a rifiutare?

Ben                               - (senza convinzione) È stanco. È stato un errore parlargli oggi. È un malato ma non un imbecille.

Oscar                             - (sogghigna) Ma supponiamo che sia un imbecille. Che si fa, allora?

Ben                               - (posa il giornale, guarda Oscar) Cercheremo il denaro altrove. C'è una quantità di persone che sarebbero disposte...

Oscar                             - E che pretendono forti interessi per quello che danno. Quelli che sono abbastanza ricchi per dare, sono altrettanto avidi e furbi per chiedere. E noi dovremmo lavorare per loro; non ti pare?

Ben                               - È inutile che tu mi ripeta quello che ti ho detto io sei mesi fa..

Oscar                             - Forse hai ragione a non preoccuparti. Regina gli farà cambiare idea. C'è sempre riuscita. ( Un silenzio. Ad un tratto la voce di Regina si sente più forte e più aspra. Tutti e tre ora ascoltano. Lentamente Ben si alza e va vicino alla scala per ascoltare. Oscar sorride osservandolo. La voce di Regina diventa sempre più forte. Quella di Orazio non si sente più) Forse. Ma non lo credo. Non ho mai creduto che sarebbe entrato nella combinazione.

Ben                               - (volgendosi a lui) E che diavolo pensi che io possa fare?

Oscar                             - (dolcemente) Niente. Hai fatto tutto quello che potevi. Nessuno può farti una colpa se l'affare ci sfugge dalle mani. Non puoi fare altro. Ma io potrei forse fare qualche cosa per noi. (Si alza) 0 meglio, potrebbe farla Leo. (Ben si volta a guardare Oscar. Anche Leo lo fissa) Non è vero, figliolo? Non è vero che potresti aiutare i tuoi?

Leo                                - (nervosamente facendo un passo verso di lui) Ma io, papà...

Ben                               - (lentamente) In che modo potrebbe aiutarci?

Oscar                             - Leo ha un amico. L'amico di Leo ha 88 mila dollari in azioni della Pacific Union. (Ben si volge a guardare Leo) L'amico di Leo non guarda mai questi titoli; cioè, li guarda ogni cinque o sei mesi.

Ben                               - (dopo una pausa) Union Pacific. Uh, uh, Fammi capire. L'amico di Leo gli... gli presterebbe questi titoli e lui...

Oscar                             - (annuisce) ...sarebbe tanto buono da prestarli a noi.

Ben                               - Leo!

Leo                                - (eccitato, gli si avvicina) Eccomi, zio.

Ben                               - Quando bisognerebbe restituire i titoli al tuo amico?

Leo                                - (nervosissimo) Non saprei... Io... insomma...

Oscar                             - (lo interrompe con asprezza) Mi hai detto che fino all'autunno non li guarda di sicuro.

Leo                                - Questo è vero. Ma io... no, non prima dell'autunno. Lo zio Orazio non apre...

Ben                               - (duro) Taci.

Oscar                             - (sorridendo a Leo) Tuo zio non tiene a sapere il nome del tuo amico.

Leo                                - (comincia a ridere) Questa è bella! Non vuol sapere...

Oscar                             - Smettila, Leo. (Leo si volge altrove len­tamente. Va verso la tavola. Ben si volge a Oscar) Dunque: non si occuperà dei suoi titoli fino al set­tembre. Vuol dire che abbiamo cinque mesi. Leo potrà restituirli fra tre mesi. E non ci sarà difficile trovare il denaro una volta che la filanda sia in azione. Credi che Marshall accetterà dei titoli? (Ben smette di ascoltare le voci che ora sono forti e aspre).

Ben                               - (sorridendo) Perché no? (Ride) Bene. siamo fortunati. Accetteremo il prestito dell'amico di Leo... credo che sarà un socio preferibile a nostra sorella. (Accenna col capo verso la scala. Si volge a Leo) Quando puoi avere le azioni?

Leo                                - Oggi stesso. Fra poco. Sono nella cassetta di sicurezza e...

Ben                               - (aspro) Non voglio sapere dove sono.

Oscar                             - (ride) Te lo terremo segreto. (Accarezza il braccio di Ben).

Ben                               - (sorride) Bene. Per la nostra parte riempirai un assegno. Puoi prendere il treno di questa sera per Chicago. Ebbene, Oscar... (gli porge la mano) buona fortuna a noi!

Oscar                             - Si penserà anche a Leo?

Leo                                - Ho diritto alla parte di zio Orazio. Sarò felice di essere socio...

Ben                               - (si volta a guardarlo) Davvero? (Con ira) Puoi andare all'inferno, piccolo... (Fa per lanciarsi contro Leo).

Oscar                             - (nervoso) Via, via! Non voleva dir questo. Voglio soltanto essere sicuro che avrà qualche van­taggio da tutto questo.

Ben                               - Si capisce. Penseremo a lui. Non avrà nessun fastidio. Ci vediamo più tardi, al negozio.

Oscar                             - (annuisce) Allora siamo d'accordo. Vieni, figliolo. (Si avvia alla porta).

Leo                                - (tende la mano a Ben) Davvero, non volevo dir quello. Intendevo solo dire che questa è una gran giornata per me e... (Ben finge di non vedere la mano tesa).

Ben                               - Vai, sbrigati. (Leo lo guarda, si volta, segue Oscar che esce. Ben rimane immobile riflettendo. Si odono nuovamente le voci provenienti dal piano supe­riore. La voce dì Regina è alta e irritatissima. Ben guarda in alto, sorride. È infastidito dal rumore).

Alessandra                    - (internamente dal piano di sopra) Mamma... Mamma, non... (Si ode rumore di passi precipitosi. Poi Alessandra scende di corsa la scala, chiamando) Zio Ben! Zio Ben! Per favore, vieni su. Pai tacere la mamma! Zio Ben, il babbo si sente male. È tanto ammalato. Come fa la mamma a parlargli così... Ti prego, falla tacere. Altrimenti...

Ben                               - Hai un cuoricino tenero, Alessandra.

Alessandra                    - (piangendo) Vai su, zio Ben, ti supplico... (Improvvisamente le voci tacciono. Un attimo dopo si sente sbattere una porta).

Ben                               - Lo vedi? È,tutto finito. Non ti preoccupare. (Si avvia per uscire) Fammi il favore di dire alla mamma che mi dispiace di non potermi trattenere. E non essere in pena, mia cara. Marito e moglie alzano spesso la voce, disgraziatamente. (Si sta mettendo cappello e soprabito quando Regina appare sulla scala).

Alessandra                    - (violenta) Come puoi trattare papà in quel modo? È ammalato. Molto ammalato. Non lo sai? Non ti permetto di trattarlo così.

Regina                           - Pensa ai casi tuoi, Alessandra. (A Ben. La sua voce è calma e glaciale) Quanto altro tempo puoi aspettare per il denaro?

Ben                               - (mettendosi il soprabito) Ha rifiutato? Peccato.

Regina                           - Cambierà idea. Troverò il modo di fargliela cambiare. Fino a quando puoi ancora aspettare?

Ben                               - Potrei aspettare fino alla settimana pros­sima. Ma non posso aspettare. (Sogghigna. Divertito dello scherzo) Potrei ma non posso. Potere e non potere. Ma ora bisogna che vada. Sono in ritardo...

Regina                           - (scendendo e andando verso di lui) Non andare. Debbo parlarti.

Ben                               - Stavo appunto lasciando ad Alessandra un'ambasciata per te. Volevo avvertirti che Oscar parte stasera per Chicago; sicché non potremo venire venerdì per la solita cena.

Regina                           - (con intensità) Oscar va a Chi... (piano) Che significa?

Ben                               - Questo. È tutto combinato. Va a con­segnare a Marshall...

Regina                           - (fa un passo verso di lui) Chiedo di sapere che cosa... Mentisci. Stai cercando di spaven­tarmi. Non hai trovato il denaro. Come avresti fatto? Non puoi avere... (Ben ride) Aspetterai finché io... (Orazio appare sul pianerottolo).

Ben                               - Mi sfuggì dalle mani, cara. Da quando in qua ricevo ordini da te?

Regina                           - Aspetta... razza di... (Ben si ferma) Come può essere che vada a Chicago? È venuto il demonio a portare i quattrini? (Ben va verso l’anticamera) Non ti credo. Vieni qui (Lo segue,) Ti dico di venire qui, razza di... (La porta d'uscita sbatte. Regina rimane immobile- coi pugni stretti. Dopo un momento si volta lentamente).

Orazio                           - (molto tranquillo) È venuto Analmente la gran giornata in cui tu e Ben incrociate le spade. La aspettavo da anni.

Alessandra                    - Ti prego, papà, torna in camera tua. Ti fa male...

Orazio                           - Dunque non hanno bisogno di te; e in fin dei conti, tu non avrai i milioni.

Regina                           - (si volge lentamente) Adesso odii quelli che vivono, tu, non è vero? Ti fa rabbia pensare che io rimarrò viva ed avrò quello che desidero.

Orazio                           - Dovevo immaginarlo che tu avresti creduto che questo era il motivo.

Regina                           - Perche stai per morire e lo sai che hai tanto poco da vivere.

Alessandra                    - (con un grido) No, mamma! Non ascoltarla, papà! Non ascoltarla! Vattene a letto...

Orazio                           - Non è per impedirti di avere quello che desideri. Proprio no. (Appoggiandosi alla bala­ustra) Sono stufo di te, di questa casa, stufo della mia vita qui. Mi fanno schifo i tuoi fratelli e i loro sudici maneggi per far quattrini. Ci possono essere mezzi migliori per guadagnare che non siano il truf­fare i negri che comprano una libbra di lardo. Perché dovrei darti il denaro! (Molto incollerito) Spolpare fino all'osso questa città per avere dei dividendi che tu possa spendere? Tu e i tuoi fratelli rovinate la città; la rovinate e vivete di questo. Ma io no. Forse è facile per un moribondo essere onesto. Ma non è colpa mia se sono moribondo. (Entra Addie e rimane silenziosa sulla soglia) Ora non farò più male a nessuno; ne ho fatto abbastanza. Morirò a modo mio. E morirò senza far nulla di peggio nel mondo. È cosa che lascio fare a te.

Regina                           - (lo guarda. Lentamente. Calma) Spero che tu muoia. E che tu muoia presto. (Sorride) Aspetto solo la tua morte.

Alessandra                    - (urlando) Papà! Non ascoltarla! No, papà! Non...

Addie                            - Venire qui, Sandra. Venire via da questa camera. (Alessandra corre verso Addie. Questa la abbraccia, la tiene stretta a sé. Orazio si volta e risale lentamente verso la sua camera)

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena. Due settimane dopo. Tardo pome­riggio. Piove.

(Al levar del sipario Orazio è seduto accanto alla finestra su una poltrona a rotelle. Sulla tavola accanto a lui è una cassetta di sicurezza e una boccetta di medicinale. Birdie e Alessandra suonano il piano. 8u una sedia è un grande cestello da lavoro).

Birdie                            - (conta per Alessandra) Uno, due, tre, quattro. Uno, due, tre, quattro. (Si volge a Orazio) Una volta abbiamo suonato insieme, Orazio: vi ricordate?

Orazio                           - (stava guardando fuori dalla finestra) Che cosa, Birdie? Che avete detto?

Birdie                            - Che abbiamo suonato insieme, voi ed io.  

Alessandra                    - Papà suonava?

Birdie                            - Sicuro. (Sulla soglia appare Addie con un grande grembiule da cucina. Si asciuga le mani con un asciugatoio) E suonava anche molto bene.

Alessandra                    - (si volge sorridendo a Orazio) Non ho mai saputo...

Addie                            - Dov'è la mamma?

Alessandra                    - È andata da miss Sofronia per farsi aggiustare un vestito. (Addie accenna che ha capito. Fa per uscire).

Orazio                           - Addie.

Addie                            - Eccomi, mister Orazio.

Orazio                           - (parla come se avesse preso improvvisamente una decisione) Dì a Cal di vestirsi. Debbo mandarlo  per una commissione. (Addie accenna di sì ed esce. a Orazio si agita nervosamente sulla poltrona e guarda fuori dalla finestra).

Alessandra                    - (che lo osserva) È un peccato che oggi piova in questo modo. .Ma potrai uscire un poco E domani, papà. Non essere tanto irrequieto.

Orazio                           - Non sono irrequieto, tesoro.

Birdie                            - Mi ricordo così bene quando abbiamo suonato insieme, tuo padre ed io. Fu la prima volta che Oscar mi condusse qui a cena. Non avevo mai I visto tutti gli Hubbard insieme, prima di allora; e sai come sono sempre stata timida. (Si volge a guardare Orazio) Diceste che sapevate suonare il violino e che mi sareste stato grato se avessi voluto accompagnarvi al piano. Fui io grata a voi; e molto. ( perché egli non le risponde) Orazio, non avete sentito una parola di quello che ho detto.

Orazio                           - Ditemi, Birdie: quando è tornato Oscar da Chicago?

Birdie                            - Ieri. Non è ancora stato qui?

Alessandra                    - (smette di suonare) No. E neanche zio Ben è più venuto, da... da quel giorno.

Birdie                            - Ah, non sapevo che fosse così grave. Oscar non mi dice mai nulla...

Orazio                           - (sorride) Gli Hubbard hanno avuto il loro grande litigio. Sapevo che questo sarebbe acca­duto un giorno o l'altro. (Ride) E così è stato.

Alessandra                    - Oh, sì. E proprio in grande stile!

Birdie                            - (sbalordita) Ma Oscar era così di buon umore quando tornò a casa che non immaginai...

Orazio                           - Sì, lo capisco benissimo. (Addie entra portando un grande vassoio con bicchieri, una caraffa di vino di sambuco e un piatto di frittelle. Posa il vassoio sulla tavola).

Alessandra                    - Che lusso di trattamento, Addie! A che proposito!

Addie                            - Nessun proposito. Avere avuto burro fresco, perciò avere fatto frittelle; e vino di sambuco fare bene allo stomaco quando piove.

Bikdie                           - Che bello! Tutto per noi! Ci vuole una musica allegra, Sandra. (Alessandra comincia a suo­nare una musica gaia).

Addie                            - (a Orazio, spingendo la sua poltrona verso il centro) Venire qui, mister Orazio; non stare tanto-a pensare. Essere molto meglio bere un bic­chiere di vino di sambuco. (Alessandra prende una frittella. Birdie si versa un bicchiere di vino).

Alessandra                    - Ottime le frittelle, Addie. Come si sta bene qui, noialtri soli... sarebbe bello se si potesse stare sempre così!

Birdie                            - (annuisce contenta) Sereni e tranquilli.

Addie                            - Oh, non durare molto. Fra poco, anche senza muoversi, cominciare a sentire rumore dì costruzione. E poi fumo uscire dai fumaioli; e poi tutte le domeniche tutti quanti mangiare pollo. Così avere detto mister Ben.

Orazio                           - (guardandola) E gli hanno creduto?

Addie                            - Credere? Loro credere tutto quello che­misier Ben comanda. Non erano più state fatte tante chiacchiere, qui, dai tempi dell'esercito di Sherman.

Orazio                           - (piano) Sono pazzi.

Addie                            - (annuisce. Siede col cestino di lavoro) Non potere essere nati nel Sud senza essere pazzi.

Birdie                            - (ha bevuto un altro bicchiere di vino) Ma dopo quella sera, non abbiamo mai più suonato insieme. Oscar diceva che non gli piaceva che io suonassi il pianoforte. (Si volge ad Alessandra) Sai che cosa disse quella sera?

Alessandra                    - Chi?

Birdie                            - Oscar. Disse che la musica lo rendeva nervoso. Che gli pareva di dover sempre aspettare la nota successiva. (Alessandra ride) E non scherzava, sai? Diceva sul serio. Insomma... (Finisce il bicchiere. Orazio la guarda e sorride) Tuo padre non vuole ammetterlo; ma è stato tanto buono con me in quel tempo! (Passa il dorso della mano sulla manica di lui) Spesso interveniva quando mi dicevano qualche cosa e una volta... (Si interrompe. Si volge altrove col viso rigido) Una volta impedì a Oscar di... (Si in­terrompe ancora. Si volta. In fretta) Mi dispiace di averlo detto. Sono così felice quando sono qui, eppure continuo a pensare alle cose brutte. (Ride nervosa­mente) Non è giusto, vero? (Si versa ancora da bere. Cal appare sulla soglia. Indossa un vecchio soprabito ed ha in mano un ombrello sdrucito).

Alessandra                    - Prendi una frittella, Cal.

Cal                                - (entra. Prende la frittella) Sì, grazie. Mister Orazio avere bisogno di me?

Orazio                           - Che ora è, Cal?

Cal                                - Le cinque meno dieci, circa.

Orazio                           - Bene. Allora devi andare alla banca.

Cal                                - Sarà chiusa. A quest'ora rimanere soltanto mister Manderà, mister Joe Horns, mister Leo...

Orazio                           - Passa dalla porta di dietro. Staranno verificando le operazioni fatte nella giornata. (Indica la cassetta) Vedi questa cassetta?

Cal                                - Sissignore.

Orazio                           - Dirai al signor Manders che il signor Orazio lo ringrazia molto perché gli ha portato la cassetta che è arrivata in perfetto ordine.

Cal                                - (stupefatto) Ma lui sapere che padrone avere ricevuto cassetta. Avere portato lui stesso mercoledì. Avere aperto io la porta.

Orazio                           - Dirai quello che ti ho detto. Hai capito? (Birdie si è versato un altro bicchiere. È accanto alla tavola).

Cal                                - Nossignore. Non avere capito. Io andare a dire a un uomo che avere dato una cosa quando lui avere già data; e padrone dire «capito»?

Orazio                           - Dammi retta, Cal...

Cal                                - Sissignore. Io dire che padrone ringrazia perché cassetta essere arrivata in ordine. Io non capire, ma dire ugualmente.

Orazio                           - E digli che mi faccia il favore di venire da me dopo cena. E di condurre con sé il signor Sol Folwer.

Cal                                - (accenna di sì) Lui venire dopo cena e con­durre con sé signor Sol Folwer, l'avvocato.

Orazio                           - (sorride) Precisamente. Non devi far altro che entrare nella stanza dove stanno lavorando e ripetere quanto ti ho detto. (Lentamente) Davanti a tutti.

Cal                                - Sissignore. (Mormora fra sé nell’uscire).

Alessandra                    - (che frattanto ha osservato Orazio) C'è qualche cosa, papà?

Orazio                           - No, no. Niente.

Addie                            - Miss Birdie, vino di sambuco farvi venire mal di capo.

Birdie                            - (comincia ad essere brilla. Gaiamente) Oh, non credo. Non credo che mi faccia male.

Alessandra                    - (vedendo che Orazio si porta una mano alla gola) Vuoi la medicina, babbo?

Orazio                           - No, no. Sto benissimo, cara.

Birdie                            - Mamma mi dava il vino di sambuco quando ero piccola. Contro il singulto. (Ride) Mi pare che al giorno d'oggi la gente non abbia più il singulto. Non è curioso? (Ride; anche Alessandra e Orazio ridono) A me veniva il singulto quando non avrei dovuto averlo.

Addie                            - Essere vero. Anche dolori di crescenza non avere più nessuno. Curioso. Come se malattie venire secondo la moda. Un anno usare una malattia e l'anno dopo non usare più,.

Birdie                            - (si volta) Mi ricordo. Il mio primo grande ricevimento a Lionnet; ed ero tanto eccitata e con­tinuavo ad avere un tremendo singulto e mamma rideva. (Piano guardando la caraffa) Mamma rideva sempre. (Solleva la caraffa) Un gran ricevimento, un bel vestito di Yorth, venuto da Parigi, e il sin­gulto. (Si versa da bere) Mio fratello che mi dava dei gran colpi nella schiena e mamma che rideva di me. Tutti stavano per arrivare ed io ero così infantile con quel singulto continuo! (Beve) Sai, fu la prima volta che vidi Oscar Hubbard. I Ballong volevano vendere i loro cavalli e lui si era messo in cammino per andare a vederli. Passando - lo vedevamo dalla finestra - si tolse il cappello; e mio fratello, per scher­zare con la mamma, le disse che forse avremmo po­tuto invitare gli Hubbard al nostro ricevimento. Disse che mamma non voleva frequentarli perché erano bottegai e disse che era un'idea antiquata. (Il suo volto si illumina) E allora, sì, allora, per la prima volta in vita mia, vidi la mamma arrabbiarsi. Disse che non era quello il motivo. Sì, lei era antiquata; ma non da quel punto di vista. Era tanto antiquata da non aver simpatia per le persone che uccidevano degli animali inutilmente e per quelli che guada­gnavano denaro facendo pagare forti interessi ai poveri negri ignoranti e imbrogliandoli in quello che compravano. Si adirò molto, mamma. Non la avevo mai vista così. E poi tutto ad un tratto si mise a ridere dicendo: «Guarda, ho fatto prendere un tale spavento a Birdie che il singulto le è passato ». (Lascia cadere la testa. Piano) Ed era vero. Mi era passato. (Va verso il divano. Siede).

Addie                            - Sicuro, avere fatto molti quattrini imbrogliando negri. C'è gente che divorerebbe il mondo con quello che esservi sopra, come dice nella Bibbia che fanno le cavallette. E altra gente stare attorno a guardare loro mangiano. (Piano) A volte io pensare che non essere bene starli a guardare.

Birdie                            - (pensierosa) Come ho già detto, vorrei poter tornare a Lionnet. Tutto andrebbe meglio. La gente è buona e gentile. Mi piacciono le persone gentili. (Si versa da bere) A voi no, Orazio? Non vi piacciono le persone gentili?

Orazio                           - Sì, Birdie.

Bircie                            - (ora è molto brilla) Sì, fu la prima volta che vidi Oscar. Chi avrebbe pensato... (In fretta) Volete sapere una cosa? Beh, non mi piace Leo. È mio figlio e non gli voglio bene. (Ride allegramente) Dio mio, neanche Oscar mi piace più.

Alessandra                    - Perché hai sposato lo zio Oscar?

Addie                            - (aspra) Queste non essere domande da fare.

Orazio                           - (duro) Perché no? Ne hai sentite abba­stanza, qui, per potere ormai chiedere qualunque cosa.

Alessandra                    - Zia Birdie, perché sposasti lo zio Oscar?

Birdie                            - Non lo so. Mi pareva di volergli bene. Era gentile con me ed io credetti che fosse perché anche lui mi voleva bene. Ma non era questo il motivo... (Si volge ad Alessandra) Domanda piuttosto perché lui ha sposato me. Ti dico una cosa sola: che me lo ha ripetuto tanto di quelle volte...

Addie                            - (curvandosi in avanti) Miss Birdie, non...

Birdie                            - (molto rapidamente con intensità) Era un'ottima famiglia, la mia; e i campi di cotone di Lionnet erano anche meglio. Ben Hubbard voleva il cotone e... (si alza) Oscar Hubbard sposò il cotone per lui. Allora era gentile con me. Mi sorrideva. Dopo di allora, non mi ha mai più rivolto un sorriso. Tutti sapevano che mi sposava per quello. (Addie si alza) Tutti quanti, meno io. Stupida, stupida, che non ero altro!

Alessandra                    - (a Orazio, prendendogli la mano, dolcemente) Capisco. (Esitando) Papà... quando ti sentirai meglio... non potremmo andare via? A stare per conto nostro... Non si potrebbe trovare il modo...

Orazio                           - Sì, capisco quello che vuoi dire. Cer­cheremo il mezzo. Te lo prometto, tesoro.

Addie                            - (va verso Birdie) Dovere riposare un poco, miss Birdie… se continuare a parlare così, venire mal di capo...

Birdie                            - (volgendosi a lei, tagliente) Non ho mai avuto mal di capo in vita mia. (Comincia a piangere istericamente) Lo sai benissimo anche tu. (Volgendosi ad Alessandra) Non ho mai avuto emicrania, Sandra. È una bugia che dicono loro. Bevo, questa è la verità. Tutta sola, in camera mia: mi chiudo e bevo. E loro, quando vogliono nascondere la cosa, dicono: « Birdie ha nuovamente l'emicrania ».

Alessandra                    - (le si avvicina in fretta) Zìa Birdie!

Birdie                            - (scansandosi) Neanche tu mi vorrai t più bene adesso.

Alessandra                    - Ti voglio bene e te ne vorrò sempre,

Birdie                            - (furibonda) È meglio di no. Non devi! volermi bene. Perché fra vent'anni sarai come me. (Comincia a ridere istericamente) Sai una cosa? Lui 22 anni non ho mai avuto un giorno intero di felicità. Un pochino, come oggi, con voialtri. Ma mai un giorno intero. E dico fra me; se avessi avuto solo! una volta l'intera giornata, allora... (Smette di ridere) e così sarà anche per te. E ti trascinerai dietro al loro, come me, sperando che quel giorno non siano! tanto volgari e non dicano quelle cose che fanno I tanto male... Ma per te sarà anche peggio perché | non avrai il ricordo che ho io della mia mamma..,! (Si volge altrove lasciando cadere la testa. Bimane tranquilla barcollando un poco e appoggiandosi al sofà).

Alessandra                    - (si piega un poco, strofina la propria guancia sul braccio di Birdie) Lo vedi, zia Birdie: stavamo cercando tutti di avere una buona giornata, Tentiamo di fingere che non sia accaduto niente. Di fingere che non siamo qui. Cerchiamo di illuderei di essere altrove, noi soli; ma pare che la nostra! finzione non riesca. (Le bacia la mano) Vieni ora,zia Birdie. Ti accompagno a casa. (La prende peri un braccio ed esce lentamente con lei) Andiamo noi due sole.

Birdie                            - (piano, nell’uscire) Noi due sole. (Escono).

Addie                            - (dopo un momento) Mah! Essere prima volta che aver sentito miss Birdie dire qualcosa.(Orazio la guarda) Forse sfogo averle fatto bene.  Ma mi dispiace che Sandra avere sentito... (Orazio muove le testa come se si sentisse a disagio) Stare poco bene?

Orazio                           - (alza le spalle) Non avresti voluto che Sandra sentisse? Lasciarla nell'innocenza, com'era Birdie alla sua età? Meglio che ascolti tutto! Che veda tutto! Altrimenti come potrebbe comprendere che è meglio che se ne vada da qui? Io cerco di far­glielo capire. Cerco, ma ormai mi è rimasto poco tempo. Potrà anche odiarmi dopo morto; ma mi basta che impari a odiare e temere questo ambiente,

Addie                            - Mister Orazio...

Orazio                           - Fra poco non vi sarai più che te pel aiutarla.

Addie                            - (andando a lui) Che cosa posso farei

Orazio                           - Portarla via.

Addie                            - Come essere possibile! Credere che mi lasceranno andar via con lei?

Orazio                           - Parò in modo che non possano trat­tenerti quando sarai pronta per andare. Andrai via con lei, Addie?

Addie                            - (dopo un attimo, piano) Sissignore. Prometto. (Orazio le tocca un braccio. Fa un cenno di assenso).

Orazio                           - Faccio venire Sol Folwer per rifare il mio testamento. Faranno delle storie, ma tu aiuterai Sandra a resistere; Folwer farà il resto. Vorrei lasciare qualche cosa anche a te, Addie; proprio per te. Ne ho sempre avuto l'intenzione.

Addie                            - (ride) Non fare questo, mister Orazio. Una negra nel testamento di un bianco! Non essere possibile.

Orazio                           - Lo so. Ma nel cassetto del mio armadio vi sono 17 biglietti da 100 dollari. È il denaro che mi è avanzato dal viaggio. È in una busta col tuo nome. Quello è per te.

Addie                            - Diciassette biglietti da cento dollari! Dio mio, mister Orazio! Io non saperli neanche con­tare... (Timidamente) Essere molto buono. Io non sapere come ringraziare...

Cal                                - (appare sulla soglia ) Son tornato. (Nessuno risponde) Sono tornato.

Addie                            - Lo vediamo.

Orazio                           - Ebbene?

Cal                                - Mente. Io andato dentro e detto quello che dover dire. Avere detto: «Mister Orazio ringrazia per la cassetta arrivata sana e salva e prega di venire dopo cena e condurre avvocato Sol Folwer ». E poi essermi asciugato le mani sul soprabito. Sempre che dire bugia, dovermi asciugare le mani. E mentre io asciugare, mister Leo saltare in piedi e dire: « Quale cassetta? Che stai dicendo? ».

Orazio                           - (sorride) Ah, sì?

Cal                                - E mister Leo dire che dovere andar via un po' più presto perché avere qualcosa da fare. E allora mister Manders dire a mister Leo che dover terminare suo lavoro e smettere di fare come se fosse diventato presidente. E lui essersi rimesso a sedere. E mister Manders essere molto stupito perché lui già sapere di aver portato cassetta... (Indica la cas­setta, sospira) Ma non avere fatto osservazioni. Alcuni prendono cose tranquillamente, altri no.

Orazio                           - (getta indietro la testa ridendo) Mister Leo ha detto la verità: ha qualche cosa da fare. spero che Manders non lo trattenga troppo. (Fuori si sentono voci. Gal esce. Addie va in fretta verso Orazio. Posa il cestino sulla tavola. Comincia a spingere la sua poltrona verso la scala. Con durezza) No. Lasciami dove sono.

Addie                            - Ma essere miss Regina che torna.

Orazio                           - (accenna di sì, guarda la porta) Lo so. Vai di là, Addie.

Addie                            - (esita) Mister Orazio, non parlare più, per oggi. Non sentire bene e se parlare agitare troppo...

Orazio                           - (sentendo passi in anticamera) Vai. (Addie lo guarda un momento, poi prende il suo lavoro dalla tavola ed esce mentre Regina entra dall'anticamera. La poltrona di Orazio è ora collocata in modo che egli è davanti alla tavola su cui è posata la medicina. Regina si sofferma in anticamera, scuote l'ombrello, lo mette in un angolo, si toglie il soprabito e lo getta sulla balaustra. Guarda Orazio.)

Regina                           - (togliendosi i guanti) Eravamo intesi che tu saresti rimasto nella tua parte della casa ed io nella mia. Questa stanza è nella mia parte della casa. Ti prego di non venirci più.

Orazio                           - Non ci tornerò.

Regina                           - (va verso il cordone del campanello) Chiamo Cal perché ti riporti di sopra.

Orazio                           - (sorride) Voglio prima dirti che dopo tutto, abbiamo investito il nostro denaro nella azienda Hubbard e Marshall.

Regina                           - (si ferma. Si volge a guardarlo) Che stai dicendo? Non hai visto Ben... Quando hai cam­biato idea?

Orazio                           - Non l'ho cambiata. Il denaro non l'ho investito io. (Sorride) È stato investito da altri per me.

Regina                           - (in collera) Che cosa...?

Okazio                          - Avevo azioni dell'Union Pacific per un valore di 88 mila dollari, custoditi in questa cassetta di sicurezza. Non ci sono più. Guarda pure. (Poiché Regina lo fissa. Le indica la cassetta) Vai. Guarda. (Regina si avvicina in fretta alla cassetta e la apre) Sono titoli che si possono adoperare come denaro contante.

Regina                           - (si volge a lui) Che razza di scherzo è questo? È per mio uso e consumo?

Orazio                           - Non apro spesso questa cassetta; ma tre giorni fa, cioè mercoledì, siccome avevo preso una decisione...

Regina                           - Voglio sapere di che cosa stai parlando.

Orazio                           - (tagliente) Non mi interrompere. Avendo preso una decisione, ho mandato a prendere la cas­setta. I titoli erano scomparsi. 88 mila dollari scom­parsi. (Le sorride).

Regina                           - (dopo un momento di silenzio, calma) Immagini che sia tanto imbecille da credere quello che stai dicendo?

Orazio                           - (alza le spalle) Credi quello che ti pare.

Regina                           - (lo fissa lentamente) Dove sono andati a finire?

Orazio                           - (la fissa. Lentamente) A Chicago, in mano del signor Marshall, suppongo.

Regina                           - Com'è possibile? Sono andati da sé a Chicago? Sei proprio scimunito.

Orazio                           - Li ha preso Leo.

Regina                           - (si volta di scatto. Poi parla piano. Senza convinzione) Non lo credo.

Orazio                           - Non ero presente, ma indovino come sono andate le cose. Quel bel gentiluomo che vor­resti dare per marito a tua figlia, ha preso le chiavi ed ha aperto la cassetta. Ti ricordi che il giorno del litigio Oscar partì per Chicago? Beh, portò con sé i titoli che suo figlio Leo aveva rubati per lui. (Con amenità) E naturalmente anche per Ben.

Regina                           - (lentamente, fa cenno di aver compreso) Quando ti sei accorto che i titoli mancavano?

Orazio                           - Mercoledì sera. t

Regina                           - Mi pareva che avessi detto così. E perché hai aspettato tre giorni a fare qualche cosa? (A un tratto ride) Sarà una bella storia!

Orazio                           - (annuisce) Non ti pare?

Regina                           - (sempre ridendo) Una bella minaccia da tener sospesa sulle loro teste. Come hanno fatto ad essere tanto cretini?

Orazio                           - Ma io non conto di tenerla sospesa...

Regina                           - (smette di ridere) Come?

Orazio                           - (volta la poltrona in modo di trovarsi di fronte a lei) Gli lascerò tenere i titoli... come un tuo prestito. Un prestito di 88 mila dollari; avranno di che esserti riconoscenti. E immagino che lo saranno.

Regina                           - (lentamente, sorridendo) Capisco. È per punirmi. Ma non mi lascerò punire. se tu non vuoi far nulla, lo farò io. E subito. (Si avvia verso la porta).

Orazio                           - Non farai nulla. Perché non puoi. (Regina si ferma) Non potrai creare delle difficoltà perché dirò che ho prestato io stesso i titoli.

Regina                           - (lentamente) Saresti disposto a far questo?

Orazio                           - Sì. Per una volta tanto, ti lego le mani. Non puoi fare assolutamente nulla. (Un silenzio. Regina siede).

Regina                           - Capisco. Presti i titoli e lasci che tutto l'interesse che ne ricaveranno rimanga a loro. Ed io non posso far niente. È così?

Orazio                           - Sì.

Regina                           - (dolcemente) E perché hai detto che dovrei fare questo regalo?

Orazio                           - Stavo per spiegartelo. Rifaccio il mio testamento, Regina; e ti lascerò 88 mila dollari in azioni dell'Union Pacific. Il resto andrà tutto a Sandra. I tuoi fratelli hanno avuto in prestito per qualche tempo la tua parte. Ti consiglio di parlare con loro dopo la mia morte. Non ammetteranno nulla e credo che Ben sia abbastanza furbo da capire che non ha nulla da temere. Perché io ero al corrente del furto e non ho detto nulla. Né parlerò finché sarò vivo. È chiaro?

Regina                           - (accenna di sì, piano, senza guardarlo) Non dirai nulla finché vivi.

Orazio                           - Precisamente. Probabilmente faranno in tempo a rimettere a posto i titoli; allora saranno tuoi e nessuno, all'infuori di noi due, saprà quello che è accaduto. (Si interrompe, sorride) Fra poco saranno qui per vedere che cosa penso di fare. Ho fatto in modo che Leo sapesse che io so. Proveranno un enorme sollievo quando sapranno che non farò nulla e Ben penserà che è un magnifico scherzo fatto a te. E sarà un affar finito. Non puoi far nulla contro di loro né contro di me.

Regina                           - Mi odii molto.

Orazio                           - No.

Regina                           - Oh, credo di sì. (Getta indietro la testa, sospira) Beh, non ci siamo fatti molto buona compa­gnia. Ma io non ti odio neppure. Ho per te soltanto del disprezzo. L'ho avuto sempre.

Orazio                           - Fin dal principio?

Regina                           - Credo di sì.

Orazio                           - Io ero innamorato di te. Ma tu, perché mi hai sposato?

Regina                           - Ero molto sola, quando ero giovane.

Orazio                           - Tu? Eri sola?

Regina                           - Non nel senso abituale della parola. Sola per tutto quello che non riuscivo ad avere. Tutti, qui in casa, si davano tanto da fare e non c'era possibilità per quello che io desideravo. Desi­deravo il mondo, io. E poi... (sorride) papà morì e lasciò il capitale a Ben e ad Oscar.

Orazio                           - E allora mi sposasti?

Regina                           - Sì. Credevo... Ma mi sbagliai. Eri un impiegatuccio provinciale, allora. E non sei cambiato.

Orazio                           - (fa un cenno di assenso sorridendo) E non era quello che tu volevi.

Regina                           - No. Non era quello che volevo. (Pausa. Si appoggia indietro alta spalliera della sedia. Con amenità) Mi ci volle un po' di tempo per accorgermi che avevo commesso un errore. Quanto a te... non lo so. Mi pareva di non poter sopportare il tipo di uomo che tu eri... (Sorride, piano) La notte, mentre ero coricata, pregavo perché tu non ti avvicinassi...

Orazio                           - Davvero? Così insopportabile?

Regina                           - (annuisce) Ti ricordi quando andai dal dottor Sloan e ti dissi che aveva trovato non so che malanno per me e che non dovevi più toccarmi?

Orazio                           - Mi ricordo.

Regina                           - Lo credesti. Non riuscii a capire come si potesse essere così stupidi. Cominciai allora a disprezzarti.

Orazio                           - (si porta la mano alla gola. Guarda la boc­cetta di medicina) Perché non mi lasciasti?

Regina                           - Ti ho detto che ti avevo sposato per qualche cosa. E il risultato fu che quello rimase l'unico motivo. (Cauta) Non era precisamente quello che avevo voluto; ma era sempre qualche cosa. Non ci avevo mai pensato molto ma se ci avessi pensato (Orazio si porta ancora la mano alla gola) avrei capito che saresti morto prima di me. Ma non potevo immaginare che saresti stato colpito da una malattia di cuore così presto; ed in forma così grave. Io sono fortunata, Orazio. Sono sempre stata fortu­nata. (Orazio si volta lentamente verso la medicina) E sarò fortunata ancora. (Orazio la guarda. Poi si porta la mano alla gola. Siccome non arriva a prendere la boccetta si Sospinge più vicino con la poltrona. Prende la boccetta. Toglie il turacciolo e prende il cucchiaio. La boccetta gli sfugge di mano e va ad in­frangersi sulla tavola. Orazio cerca di respirare. Ansima).

Orazio                           - Per favore. Dì a Addie... L'altra boc­cetta è disopra. (Regina non si è mossa, e non si muove neanche adesso. Egli la fissa. Poi come se comprendesse, alza la voce. È un sussurro rauco, pieno di spavento, troppo tenue per essere udito da un'altra stanza) Addie! Addie! Vieni... (Si interrompe rendendosi conto del tono della voce. Fa un balzo improvviso, furioso, dalla poltrona alla scala, salendo i primi gradini come un corridore disperato. Al quarto gradino scivola, boccheggia, afferra la ringhiera, fa uno sforzo enorme per giungere al pianerottolo. Vi arriva cadendo in ginocchio. Ma anche così non riesce a reggersi e cade in avanti, scomparendo dalla vista degli spettatori. Regina non si è neppur voltata mentre egli cerca di salire per la scala. Ora aspetta ancora un momento poi va sotto al pianerottolo e parla verso l’alto).

Regina                           - Orazio! Orazio! (Quando vede che nes­suno risponde si volta e chiama) Addie! Cal! Venite qui! (Comincia a salire. Addie e Cal compaiono. Entrambi corrono verso la scala) Ha avuto un attacco. Venite su, presto. (Tutti salgono in fretta).

Cal                                - (nel salone) Mio Dìo, mister Orazio... (Spa­riscono).

Regina                           - (da sopra) Taci, Cai. Portalo qui. (Prima che i passi e le voci siano completamente ces­sati, Alessandra appare nell'anticamera. È in imper­meabile e cappuccio. Entra, comincia a sbottonarsi l'impermeabile. A un tratto si guarda attorno e vede la poltrona vuota. 'Rimane un attimo sospesa. Poi fa per andare in fretta a guardare nella sala da pranzo. Nello stesso momento Addie ridiscende di corsa. Ales­sandra si volta. La guarda.)

Alessandra                    - Addie! Che cosa?

Addie                            - (la prende per le spalle) Vado a chiamare il dottore. Tu andare disopra. (Alessandra la fissa. Poi si scosta e sale a precipizio. Addie esce. La scena rimane vuota un momento. Poi il campanello della porta comincia a suonare. Poiché nessuno va ad aprire, il suono si ripete. Un attimo dopo appare in anticamera Leo, il quale parla nell'entrare).

Leo                                - (nervosissimo) Salve. (Con irritazione) Inutile suonare il campanello quando la porta è aperta. Se si suona, dovrebbe esserci qualcuno per rispondere! (Entra, si guarda attorno perplesso. Ascolta, non sente nessun rumore) Zia Regina! (Gira attorno, inquieto) Addie! (Aspetta) Dove diavolo... (Va al cordone del campanello. Suona con impazienza. Aspetta. Nessuna risposta. Chiama) Cal! Cal!

Cal                                - (appare sul pianerottolo. Parla con voce som­messa. Botta) Mister Leo, miss Regina dice di smettere di gridare.

Leo                                - (incollerito) Ma dove sono tutti quanti?

Cal                                - Mister Orazio avere avuto un attacco. Stare male. Miss Regina dice di smettere fare chiasso.

Leo                                - Zio Orazio... Cosa... Che è successo? (Cal scuote la testa. Fa per uscire in fretta) Ma quando... Hai visto il signor Oscar o il signor Ben? (Cal non risponde limitandosi a crollare la testa. Leo lo afferra per un braccio mentre il negro vuol continuare a cam­minare) Vuoi rispondermi, sì o no?

Cal                                - No, non avere visto nessuno. Io non avere tempo di rispondere. Dovere andare a prendere roba. (Corre via).

Leo                                - Che diavolo sarà successo? E quando... (Grida a Cal) Vedi se trovi mio padre in qualche posto... (In questo momento entrano Ben e Oscar parlando editati).

Oscar                             - Spero che non sia una cosa grave.

Ben                               - È il primo attacco, da quando è tornato.

Leo                                - Papà, ho cercato dappertutto te e lo zio Ben..

Ben                               - Dov'è adesso?

Oscar                             - Addie ha détto che è stata una cosa improvvisa.

Ben                               - (a Leo) Dov'è? Quando è successo?

Leo                                - Di sopra. Volete darmi retta un momento, per favore? Vi ho cercati dovunque per...

Oscar                             - (a Ben) Credi che dovremmo salire? (Ben guarda in atto e crolla il capo).

Ben                               - Non saprei. Proprio non saprei.

Oscar                             - (scuotendo il capo) Ma stava così bene...

Leo                                - (gridando) Volete darmi retta?

Oscar                             - (duro) Che diamine hai?

 Leo                               - Sto cercando di dirtelo. Da un'ora ti cereo dappertutto...

Oscar                             - Dirmi che cosa.?

Leo                                - Che zio Orazio sa dei titoli. Lo sa. Ha qui la cassetta fin da mercoledì...

Ben                               - (tagliente) Finiscila di gridare! Che diavolo stai dicendo?

Leo                                - (furente) Vi sto dicendo che sa della man­canza dei titoli. Non è abbastanza chiaro?

Oscar                             - (afferrandolo per un braccio) Maledetto imbecille! Non urlare così!

Ben                               - Che cosa è successo? Parla con calma.

Leo                                - Ve l'ho detto. Zio Orazio sa dei titoli. Fin da mercoledì.

Ben                               - (dopo un attimo) Come lo sai?

Leo                                - Perché Cal è venuto a dire a Manders che la cassetta era arrivata in perfetto ordine. E...

Oscar                             - (tremando) Questo non vorrebbe dire...

Leo                                - (in collera) Ah no, eh? Non vorrebbe dire? E poi ha pregato Manders di venire qui stasera e di condurre con sé Folwer. Neanche questo vuol dire nulla?

Oscar                             - (a Ben) Ben... Che cosa... Credi che abbia visto?

Ben                               - (indica la cassetta) Ecco la cassetta. (Oscar e Leo si voltano di scatto. Leo fa un balzo verso la cassetta) Asino. Lasciala stare. Che vorresti fare, mangiarla?

Leo                                - Volevo... (Fa per aprirla).

Ben                               - (furente) Posala subito. E non toccarla più. Ora siediti e taci per un momento.

Oscar                             - Da mercoledì. (A Leo) Hai detto che fin da mercoledì... Perché, allora, non ha detto niente? (A Ben) Non capisco.

Leo                                - (facendo un passo) Posso riportarla. Rimet­terla a posto prima che chiunque sappia.

Ben                               - (che è accanto alla tavola. Calmo) Da mer­coledì. Eppure non ci ha detto una parola.

Oscar                             - Ma perché? Perché?

Leo                                - Che importa il perché? Era disposto a dirne Dio sa quante. Avrebbe informato Folwer stasera...

Oscar                             - (irritato) Ma taci! (Si volge a Ben. Lo guarda. Aspetta).

Ben                               - (dopo un momento) Non lo credo.

Leo                                - (violento) Non lo credi? Che m'importa che tu non lo creda? Ho commesso questa sporca azione per voialtri e poi...

Ben                               - (volgendosi duramente a Leo) Me ne ricordo. Me ne ricordo benissimo, Leo.

Oscar                             - Che vorresti dire?

Leo                                - Io...

Ben                               - (a Oscar) Se non fai tacere quel piccolo idiota, ti farò vedere quello che voglio dire. Dunque, avrà qualche suo motivo, ma non parlerà.

Oscar                             - Forse non sapeva che noi...

Ben                               - (in fretta) Cioè, che Leo... Non è uno stupido. Manders sa che i titoli mancano?

Leo                                - E chi lo sa? Ho creduto di impazzire... Ma non credo. Mi è parso piuttosto perplesso e...

Oscar                             - Ma dobbiamo saperlo... (Si interrompe vedendo entrare Cal con una pentola di acqua calda).

Ben                               - Come sta, Cal?

Cal                                - Io non sapere, mister Ben. Poco fa stare male. (Va verso la scala).

Oscar                             - Ma quando è successo?

Cal                                - (alea le spalle) Prima non stare male. (Addie entra frettolosa dall'anticamera) Dopo un momento essere sul pianerottolo, caduto a terra con occhi chiusi...

Addie                            - (a Cal) Dottor Sloan essere andato da Ballong. Attacca calessino e vallo prendere. (Gli toglie di mano la pentola e gli asciugamani e lo spinge. sale le scale in fretta) Va, presto. (Scompare. Gal esce).

Ben                               - Sloan non si trova mai quando si ha bi­sogno di lui.

Oscar                             - (piano) Mi pare che vada piuttosto male.

Leo                                - Lo avrà detto a lei. A zia Regina. Lo avrà detto a sua moglie.

Ben                               - (volgendosi a Leo) Sì, potrebbe averglielo detto. Ma non erano molto in buoni rapporti e forse non gliene ha parlato. Forse non le ha detto nulla. (Si avvicina in fretta a Leo) Ascoltami. Se lei non sa, tutto si può aggiustare. se lo sa, dirai che ti aveva prestato lui i titoli.

Leo                                - Prestarmeli! E chi potrà mai crederlo1?

Ben                               - Nessuno.

Oscar                             - (a Leo) Non capisci1? Non c'è nessun male a dirlo...

Leo                                - Perché dovrei dire che me li ha prestati1? Perché non a te? (Cauto) Perché non a zio Ben?

Ben                               - (sorride) Semplicemente perché non me li ha prestati. Ricordatelo.

Leo                                - Ma se lui dice di non avermeli prestati...

Ben                               - (violento) Pare che, che per qualche motivo, non stia parlando, non è vero? (Si sente scalpiccio al sommo della scala. Tutti guardano).

Regina                           - (comincia a scendere lentamente).

Ben                               - Che è successo?

Regina                           - Ha avuto un attacco gravissimo.

Oscar                             - Peccato. Mi dispiace di non essere stato qui quando... quando Orazio aveva bisogno di noi.

Ben                               - Quando tu avevi bisogno di noi.

Regina                           - (guardandolo) Sì.

Ben                               - Come sta ora? Possiamo... possiamo salire?

Regina                           - (crollando il capo) Non è cosciente.

Oscar                             - (camminando per la stanza) Non è una vera disdetta, che Sloan non si trovi mai una volta, una volta sola?

Regina                           - Non credo che possa far molto.

Ben                               - Oh, non dir così. Ha superato altri attacchi, prima di questo. Se la caverà anche questa volta.

Regina                           - (siede. Dopo un momento parla con voce sommessa) Beh. Non ci siamo più visti dal giorno del nostro litigio.

Ben                               - (teneramente) Cosa da nulla. Abbiamo liti­gato tante volte, Oscar tu ed io, quando eravamo ragazzi!

Oscar                             - (in fretta) Non credi che faremmo bene a salire? Se potessimo fare qualcosa per Orazio....

Ben                               - Tu non ti senti bene. E noi...

Regina                           - (senza guardarli) No, non mi sento bene. (Breve pausa) Orazio mi ha detto oggi la faccenda dei titoli. (Immediatamente vi è un silenzio nervoso).

Leo                                - Titoli? Che titoli? Che vuoi dire? Che cosa...!

Ben                               - ( lo guarda furente. Poi a Regina) Le azioni dell'Union Pacific? Quelle appartenenti ad Orazio?

Regina                           - Sì.

Oscar                             - (va verso di lei, nervosissimo) Beh... e che ti ha detto? Che cosa... può averti detto?

Regina                           - Che Leo le ha rubate e le ha date a voialtri.

Oscar                             - (atterrito, a voce molto alta) È ridicolo. Regina, assolutamente...

Leo                                - Non so di che cosa parli. Che cosa avrei...? Perché?

Regina                           - (con fatica, a Ben ) Non basta che mi abbia derubata? Debbo anche ascoltare queste storie, per soprammercato?

Oscar                             - Stai dicendo...

Leo                                - Io non ho rubato niente. Non so perché...

Regina                           - (a Ben) Vuoi pregarli di smettere, per favore? (Un momento di silenzio. Ben guarda torvo Oscar e Leo).

Ben                               - Non ti pare, Regina, che sia meglio in­cominciare dal principio? Che cosa ti ha detto pre­cisamente Orazio?

Regina                           - (gli sorride) Che Leo aveva rubate le azioni.

Leo                                - Io non ho rubato...

Regina                           - Vi prego. Lasciatemi finire. Poi mi ha detto che avrebbe finto di avervele prestate... (Lenì si volge di scatto a guardarla poi guarda Oscar, quindi guarda nuovamente Regina) ....come un dono fatto da me... ai miei fratelli. E mi ha detto che non potevo far nulla. E che il resto del suo denaro sarebbe an­dato ad Alessandra. Ecco tutto. (Un silenzio. Oscar tossisce. Leo sorride timidamente).

Leo                                - (con un passo verso di lei) Te lo avevo detto che li aveva prestati... Avrei potuto dirtelo...

Regina                           - (senza badargli, sorride tristemente a Ben) Così, come vedi, sono a mal partito. (Guardinga) Ma Orazio ha detto che non avrei potuto far nulla finché egli era vivo per poter affermare di aver fatto questo prestito.

Ben                               - Non devi crucciarti, Regina. Tutto si può spiegare; tutto si può aggiustare. La situazione non è così grave...

. Regina                         - Sicché almeno siete disposti ad am­mettere che i titoli sono stati rubati? (Oscar ride nervosamente).

Ben                               - Non ammetto nulla di simile. Può essere che Orazio abbia inventato questa parte della storia per tormentarti... (la guarda) ...o forse per punirti. Per punirti.

Regina                           - (con tristezza) Non è una storia piacevole, naturalmente Ben, mi sento male. Non avevo creduto...

Ben                               - Riavrai indietro i titoli, stai tranquilla, Questo era l'accordo, non è vero, Oscar?

Oscar                             - Sì.

Regina                           - Sono lieta di saperlo. (Sorride) Ah, avevo delle speranze maggiori...

Ben                               - Non parlare così. È sciocco. (Guarda l'orologio) Credo che sarebbe meglio che andassimo noi stessi in cerca di Sloan. Se non lo troviamo, andremo a Senatville a prendere il dottor Morris. E non credere che io trascuri quest'altro affare. Neppure per ombra. Sistemeremo tutto un altro giorno, in un momento più opportuno.

Regina                           - (guarda in alto, calma) Non credo che facciate bene ad andar via. Mi pare che sia meglio che restiate qui, tranquilli.

Ben                               - Torneremo con Sloan.

Regina                           - È già andato Cal a cercarlo. Desidero che rimaniate qui.

Ben                               - Beh, ma non essere in pena, adesso!

Regina                           - Voglio che restiate qui e vi mettiate a sedere. Ho ancora qualche cosa da dire.

Ben                               - (si volge, va verso di lei) Da quando in qua accetto ordini da te?

Regina                           - (sorride) Non ne hai mai accettati... finora. (Aspra) Torna qui, Oscar. Anche tu, Leo.

Oscar                             - (sicuro di sé, ride) Cara Regina...

Ben                               - (le accarezza una mano, dolcemente) Orazio ti ha già tagliato le ali, con molta abilità. Occorre che te le tagli anch'io? (Le sorride) Otterresti di più con un sorriso, Regina. Io sono sensibile al sorriso delle donne.

Regina                           - Sto sorridendo, Ben. Sorrido perché sei al sicuro, finché Orazio vive. Ma non credo che vivrà. E se muore pretenderò il 75 per cento come interesse delle azioni.

Ben                               - (fa un passo indietro. Emette un fischio, ride) Perbacco! Come sei avida! Pretendi molto!

Regina                           - Sì. E se non ho quello che chiedo, vi manderò in galera tutti e tre.

Oscar                             - (furibondo) Sei pazza. Ammettere che...

Ben                               - E che prove hai per mandare in galera Oscar e Leo?

Regina                           - (ride gaiamente) Ascoltalo, Oscar! È pronto a giurare che siete stati tu e Leo! Che ne dici? (Oscar si volge incollerito verso Ben) No, Oscar, non ti adirare. Parò in modo che sia coinvolto anche lui con te!

Ben                               - Pai quello che ti pare, Regina. (Duro) Ed ora credo che possiamo farla finita con questa storia e salutarti. (Alessandra scende lentamente la scala) Il denaro è suo ed è evidente che ce lo ha pre­stato volontariamente. (Meno aspro) Devi imparare a minacciare solo quando puoi mettere in esecuzione le tue minacce. Da quanti anni ti dico che una bella donna ottiene molto di più con la dolcezza ed eser­citando il suo fascino? Anche la mamma te lo diceva sempre. (Guarda l'orologio) Dove diavolo è Sloan? (A Oscar) Prendi il calessino e... (Nel volgersi verso Oscar vede Sandra. Alessandra cammina rigida. Va lentamente verso la finestra, in fondo col capo chino. Tutti si voltano a guardarla).

Oscar                             - (dopo un momento va verso di lei) Che c'è, Alessandra?... (Alessandra non risponde. Dopo un momento Addie scende lentamente come se fosse stan­chissima. Giunta in fondo alla scala si ferma a guardare Alessandra poi si volta. Va lentamente verso la porta ed esce. Regina si alza).

Ben                               - (si alza e guarda nervosamente Alessandra e poi Regina).

Oscar                             - (mentre Addie gli passa davanti, parla irri­tato con Alessandra) Ma che diamine...? (Si volge, vede Addie) Che c'è? (Ben alza la mano, crolla il capo) Dio mio, non sapevo... Chi poteva immaginare... Non sapevo che stesse male a questo punto. Io... (Regina è immobile, tranquilla e volge le spalle ad entrambi).

Ben                               - (piano, sinceramente) Pare ieri, la prima volta che è venuto qui...

Oscar                             - (sinceramente, nervoso) È vero. (Si volge a Ben) Tutti in città lo amavano e lo rispettavano.

Alessandra                    - (si volta) Tu lo amavi, zio Oscar?

Oscar                             - Senza dubbio, lo... Che strana domanda! Io...

Alessandra                    - E tu, zio Ben, lo amavi?

Ben                               - (semplicemente) Era un uomo che...

Alessandra                    - (improvvisamente si mette a ridere forte) E tu, mamma, lo amavi anche tu?

Regina                           - Capisco quello che provi, Alessandra, ma cerea di dominarti.

Alessandra                    - (ancora ridendo) È quello che faccio, mamma. Faccio ogni sforzo per riuscirvi.

Ben                               - Alcune persone piangono, quando sono addolorate, altre ridono. È meglio piangere, Alessandra.

Alessandra                    - (smette di ridere. Va verso Regina, con intensità) Che cosa stava facendo papà sulla scala? (Ben si volge a guardarla).

Regina                           - Vatti a coricare, mia cara. Te ne prego. Tutti noi abbiamo bisogno di un certo tempo per rimetterci da un colpo come questo. (Alessandra non si muove. La voce di Regina diventa più sommessa, più insistente) Ti prego, Alessandra, va'.

Alessandra                    - No, mamma. Non ancora. Debbo parlare con te....

Regina                           - Più tardi. Ora vatti a coricare.

Alessandra                    - (calma) C'è tempo, mamma.

Regina                           - (esita, la fissa. Alza lievemente le spalle e si volge a Ben) Come ti stavo dicendo, domattina andrò dal giudice Simmes. Lo informerò di quanto concerne Leo.

Ben                               - (con moto verso Alessandra) Non davanti alla bambina, Regina. Credo che...

Regina                           - (con asprezza) Non le ho detto io di rimanere. Domattina andrò dal giudice Simmes...

Oscar                             - Con quali prove? Come puoi provare che...

Regina                           - (sempre tagliente) Nessuna. Non ne ho bisogno. I titoli mancano e sono nelle mani di Mar­shall. Basterà. E se non bastasse, aggiungerò quello che occorre.

Ben                               - Non ne dubito.

Regina                           - (a Ben) Puoi star tranquillo.

Oscar                             - Negheremo.

Regina                           - Nega quanto ti pare. Non troverai un giurato che non sia pronto a difendere una donna derubata dai propri fratelli. E non troverete in questo stato dodici uomini che non siano stati im­brogliati da voi e non vi serbino rancore per questo.

Oscar                             - Che razza di discorso è questo? Non puoi fare una cosa simile. siamo tuoi fratelli. (Indica il piano di sopra) Come puoi parlare in questo modo quando cinque minuti fa...

Regina                           - (lentamente) Vi sono delle persone che non possono indietreggiare: quando hanno comin­ciato una cosa, debbono portarla a termine. Io sono di queste, Oscar. (Breve pausa) Che stavo dicendo? (Sorride a Ben) Ah, questo: che vi dichiareranno colpevoli. Ma se anche non lo dichiarassero, me ne importerebbe poco. (Si curva in avanti, con amenità) Perché quando si arriverà a quel momento, sarete già bell'e rovinati. Racconterò la storia anche al signor Marshall, il quale ha della simpatia per me, credo, e che non vorrà essere coinvolto in uno scandalo. Una ditta rispettabile come la Società Marshall! In meno di un'ora il contratto sarà disdetto. (Con ira) E voialtri lo sapete. Ora non voglio più sentire una parola. Basta mercanteggiare. Mi darete il mio 75 per cento e dimenticheremo questa storia per sempre. Questa è la conclusione che preferisco. Mi conoscete abbastanza per essere certi che non avrò nessun ritegno a seguire l'altra via.

Ben                               - (dopo un momento, lentamente) Nessuno di noi ti ha mai conosciuta abbastanza bene, Regina.

Regina                           - Invecchi, Ben. Le tue gherminelle non sono più quelle di una volta. (Nessuna risposta. Regina attende poi sorride) Benissimo. Immagino che siamo intesi e che avrò quello che ho chiesto.

Oscab                            - (furente, al fratello) Le lascerai fare questo?

Ben                               - (si volta a guardarlo, lentamente) Puoi suggerire qualche scappatoia?

Regina                           - (alza le braccia in alto, si stira, ride) No, non può. Dunque, siamo d'accordo. Ora, Leo, io ho dimenticato che tu hai visto, sia pure una volta, quei titoli. (Maliziosamente ai fratelli) E finché voi due vi comporterete come si deve, dimenticherò che ne abbiamo parlato. Potete preparare il con­tratto per domani mattina. (Ben ride. Leo lo guarda, si avvia alla porta, esce. Oscar si avvia egli pure, irritato. Regina guarda Ben, fa un cenno di assenso, ride con lui. Per un momento Oscar rimane sulla soglia a guardarli, poi esce) Sei di quei giocatori che sanno perdere, Ben. Mi piace.

Ben                               - (prende il suo soprabito. Poi si volge a lei) Dico a me stesso: a che scopo! Tu ed io non siamo come Oscar. Non siamo acidi. Credo che questo dipenda dalla buona digestione. Poi c'è anche questo : che oggi si perde, domani si vince. si fanno dei progetti per degli anni e si spera di arrivare ad avere quello che si desidera. Poi accade il contrario. Ma io non mi perdo di coraggio. Il tempo passa, il mondo è aperto. Aperto per la gente come me e come te. È lì ad aspettarci. In fin dei conti, questo non è che il principio. Vi sono centinaia di Hubbard, in tutto il paese, che aspettano, entro stanze come questa. Non si chiamano tutti Hubbard; ma sono ugualmente degli Hubbard; e un giorno o l'altro saranno padroni di queste paese. Progrediamo, mia cara.

Regina                           - (sorride) Lo credo anch'io.

Ben                               - E poi, dico anche fra me che le cose possono cambiare. (Guarda Alessandra) Sono d'accordo coni Alessandra. Che cosa fa su per una scala un uomo che sta in una poltrona a rotelle? Questo è quello che chiedo a me stesso.

Regina                           - (lo guarda) E qual è la risposta?

Ben                               - Nessuna. Ma forse un giorno la risposta vi sarà. 0 forse mai... (Sorride, le accarezza un braccio)! Se vi sarà, ti terrò informata. (Va verso l’anticamera).!

Regina                           - Me lo scriverai. Sarò a Chicago allora. (Gaiamente) Ah, Ben, se papà avesse lasciato a me i suoi quattrini!

Ben                               - Ci vediamo domani.

Regina                           - Senza dubbio. Ora lavorerai anche per me.

Ben                               - (passando davanti ad Alessandra, sorride)  Alessandra, finirai con l'essere una ragazza veramente  interessante. (Guarda Regina) Beh, buona notte! a tutti. (Via).

Regina                           - (rimane immobile un attimo. Si stira, poi si volge ad Alessandra) Di che volevi parlarmi, Alessandra?

Alessandra                    - (lentamente) Ho cambiato idea. Non ho voglia di parlare. Non c'è nulla da dire adesso.

Regina                           - Ti comporti in modo molto strano.Non sembri più la stessa, Certo hai avuto un colpo molto doloroso, oggi. Lo so. Volevi bene a papà; mal dovevi pure aspettartelo, un giorno o l'altro. Sapevi! che era molto ammalato.

Alessandra                    - Lo sapevo. Lo sapevamo tutti.

Regina                           - Ti farà bene andar via per un po' di tempo. Farà bene anche a me. Il tempo guarisce molte ferite, Alessandra. Sei giovane, ed avrai tutto I quello che io ho desiderato senza poterlo avere. Spero che il mondo sia per te quello che avrei voluto che fosse per me. (A disagio) Non guardarmi in quel I modo. Sei stata tanto tempo con Birdie che stai diventando come lei.

Alessandra                    - (assentendo) Curioso. È la stessa cosa che ha detto oggi zia Birdie.

Regina                           - (annuisce) Meglio per te allontanarti da tutto questo. (Entra Addie).

Addie                            - Cal è tornato, miss Regina. Dire che dottor Sloan viene fra pochi minuti.

Regina                           - Partiremo fra qualche settimana. Qualche settimana vuol dire due o tre sabati, due o tre domeniche. (Sospira) Come sono stanca! Andrò  a letto. Non ho voglia di cenare. spegni le luci e chiudi. (Addie va a spegnere la lampada che è sul piano) Vai in camera tua, Alessandra. Addie ti porterà qualcosa di caldo. Hai anche tu l'aria molto stanca. (Si alza. Ad Addie) Chiamami quando viene il dottor Sloan. Non voglio vedere nessun altro. Niente visite di condoglianza stasera. Tutta la città sarà in agi­tazione.

Alessandra                    - Mamma, non verrò con te. Non intendo venire a Chicago.

Regina                           - (si volge a guardarla) Sei molto scon­volta, Alessandra.

Alessandra                    - (calma) Sono decisa a fare quello che ho detto. Assolutamente.

Regina                           - Ne parleremo domani. La notte porta consiglio.

Alessandra                    - Sarà lo stesso. E non c'è altro da dire. Ti lascio. Perché lo desidero. E so che anche papà lo desiderava.

Regina                           - (perplessa, guardinga, gentile) Tu sai che tuo padre desiderava che tu fossi lontana da me?

Alessandra                    - Sì.

Regina                           - (dolce) E se io dicessi di no?

Alessandra                    - (la guarda) Dillo, mamma. Dillo. E poi vedrai quello che succede.

Regina                           - (dolce, dopo una pausa) E se ti costrin­gessi a restare!

Alessandra                    - Sarebbe una sciocchezza. E non riusciresti.

Regina                           - Parli molto seriamente, non è vero? (Va verso la scala) Beh, fra qualche giorno, cambierai idea.

Alessandra                    - Si cambia idea solo quando si vuole cambiarla. Ed io non lo desidero affatto.

Regina                           - (salendo) Alessandra, sono arrivata all'estremità della corda. In qualche luogo deve esservi quello che desidero anch'io. La vita passa troppo in fretta. Fa quello che vuoi, pensa quello che ti pare, va dove credi. Vorrei tenerti con me, ma non ti costringerò a rimanere. Troppa gente mi ha sempre costretta a fare tante cose. No, non ti obbligherò a rimanere.

Alessandra                    - Non potresti, mamma, perché io desidero andarmene. Lo desidero come non ho mai desiderato altro, in vita mia. Perché adesso capisco quello che papà aveva cercato di farmi intendere. (Pausa) Oggi stesso, Addie ha detto che vi sono delle persone che divorano il mondo ed altre che le stanno a guardare. E zio Ben ha detto or ora la stessa cosa. Sì, proprio la stessa cosa. (Con intensità) Digli da parte mia, mamma, che io non rimarrò qui a guardarvi mentre fate questo. Digli che lotterò come lotterà lui (si alza) in qualche luogo dove non vi sono persone che stanno a guardare.

Regina                           - Beh, dopo tutto hai abbastanza spirito. Ho sempre creduto che tu fossi acqua e zucchero. Ma non dobbiamo essere nemiche. Non voglio che siamo nemiche, Alessandra. (Si avvia. Si ferma, si volge ad Alessandra) Non vorresti venire a discorrere un poco con me, Alessandra? Vorresti... non vorresti dormire in camera mia stasera!

Alessandra                    - (fa un passo verso di lei) Hai paura, mamma? (Regina non risponde. Lentamente scompare. Addie si avvicina ad Alessandra e le stringe il braccio).

FINE