Le virtuose ridicole

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Carlo Goldoni LE VIRTUOSE RIDICOLE

Carlo Goldoni

LE VIRTUOSE RIDICOLE

Dramma Giocoso per Musica da rappresentarsi nel Teatro posto in Contrada di San Samuele il

Carnovale dell'Anno 1752.

PERSONAGGI

AFFRODISIA filosofessa.

La Sig. Catterina Zipoli. ERIDENO

Il Sig. Salvador Consorti. MELIBEA poetessa e romanziera.

La Sig. Serafina Penni. PEGASINO poeta.

Il Sig. Gio. Filippo Delicati. GAZZETTA istorico romanziere.

Il Sig. Giovanni Leonardi. ARMONICA cantatrice.

La Sig. Cecilia Moblan. SER SACCENTE sa di tutto.

Il Sig. Bartolomeo Cherubini.

La Scena si rappresenta in un Palazzo da villeggiatura.

LI BALLI

sono d'invenzione e direzione di Monsieur Pietro Aubri,

eseguiti dalli seguenti:

La Sig. Margherita Fusi.                                         Monsieur Pietro Aubri.

La Sig. Lucrezia Berardi.                                        Il Sig. Gaspero Pieri.

La Sig. Teresa Morelli.                                            Il Sig. Vicenzo Magniani.

La Sig. Antonia Girelli.                                            Il Sig. Gaudenzio Berri.


MUTAZIONI DI SCENE

ATTO PRIMO

Giardino delizioso. Camera.

ATTO SECONDO

Cortile.

Appartamenti.

Sala magnifica rappresentante la Reggia di Parnaso colle nove Muse.

ATTO TERZO

Cortile. Torna la sopradetta Reggia di Parnaso.

Le Scene sono di vaga architettura del Sig. Francesco Zanchi. Il Vestiario è del Sig. Natal Canziani.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

Giardino delizioso in casa di Affrodisia.

Affrodisia, Erideno, Melibea, Pegasino, Armonica e Gazze

LE 3 DONNE

Sì, sì, sì.

LI 3 UOMINI

No, no, no.

LE 3 DONNE

Io sostengo l'opinione;

La ragione - vuol così.

LI 3 UOMINI

Accordarla non si può;

Il contrario sosterrò.

LE DONNE

Sì, sì, sì.

GLI UOMINI

No, no, no.

AFFR.

Eh via, signor scolaro,

Io son maestra di filosofia,

E sostengo che il vacuo non si dia.

ERID.

Io sostengo il contrario:

Dico che si dia il vacuo,

E la ragione è bella,

Perch'io la provo nella mia scarsella.

MEL.

Io vi dico che gli alberi del Sole,

Trovati dal Meschino,

Si trovan della Persia in un giardino.

GAZZ.

E questo non può stare,

Perché il Persiano aduna

Non gli alberi del Sol, ma della Luna.

ARM.

Io dico e sosterrò,

Coll'opinion di genti buone e brave,

Che si possa cantar senza la chiave.

ERID.

Ma confessar conviene

Che senza chiave non si canta bene.

MEL.

Sostengo e sosterrò

Che il Tasso è bergamasco

E non partenopeo,

Ed è parente di Bartolomeo.

PEG.

Io non vuò disputar delle nazioni,

Ma il Tasso sarà figlio del Tassoni.

LE DONNE

Sì, sì, sì.

GLI UOMINI

No, no, no.


LE DONNE GLI UOMINI


10sostengo l'opinione; La ragione - vuol così. Accordarla non si può;

11contrario sosterrò.


SCENA SECONDA

Ser Saccente e detti.

SACC.

Oh silete, silete.

Amici, cosa avete?

Per qual ragione siete calefacti?

Disputatio est ne juris, vel facti?

AFFR.

Udite se ho ragione.

ERID.

Eh, la ragione è mia.

AFFR.

Dico: non si dà vacuo.

ERID.

Io dico che si dia.

AFFR.

Voi che siete filosofo,

Cosa dite?

SACC.

Respondeo

Che variamente l'opinion si prova.

Ergo il vacuo si trova, o non si trova.

ERID.

Oh bravo, ser Saccente.

AFFR.

Voi non sapete niente.

MEL.

Voi che siete

Un famoso poeta,

Saprete il Tasso di qual patria sia. (a ser Saccente)

PEG.

E saprete la sua cronologia.

SACC.

D'ambe le due nazioni

Son forti le ragioni:

Il Tasso, cioè Torquato,

Nacque in Bergamo, altrove originato.

PEG.

Oh bravo, ser Saccente!

MEL.

Voi non sapete niente.

LE 3 DONNE

È un ignorante,

Che fa il pedante.

LI 3 UOMINI

È ser Saccente

Un uom prudente.

LE 3 DONNE

La mia ragione

Io sosterrò.

LI 3 UOMINI

La mia opinione

Non lascierò.

LE 3 DONNE

Sì, sì, sì.

LI 3 UOMINI

No, no, no.

(Tutti partono, fuor che ser Saccente)


SCENA TERZA

Ser Saccente solo.

Grazie, o madre natura,

Del don che mi facesti.

Tu il saper m'infondesti,

E senz'aver studiato

Son divenuto un uomo letterato.

Leggo libri e volumi a precipizio,

Ma solo il frontispizio;

E quando voglio ricavar più frutto,

Leggo l'indice ancora, e imparo tutto.

Io sono un libro aperto, Di tutto so parlar: Filosofo più esperto Non v'è nel disputar. So dir Nego maiorem, So dir Probo minorem, Retorqueo, distinguo, concedo; E a forza d'argomenti, Io voglio aver ragion. (parte)

SCENA QUARTA

Camera.

Melibea con un libro, poi Gazzetta

MEL.                     Oh! che amor sfortunato!

Oh che caso funesto e doloroso! Fra le istorie più belle Quest'avrà il primo luogo: Questa che in versi accenna L'amor per cui morì Paris e Vienna.

GAZZ.                   Melibea, mia diletta.

MEL.                     Mio grazioso Gazzetta.

GAZZ.                   V'è passata la bile?

MEL.                                                     Se mi amate,

Voi non avete a contradirmi. Io sono Una donna che mai non parla invano, Che parla ognor coll'istoria alla mano.

GAZZ.                   Che leggete di bello?

MEL.                                                          Oh se sapeste

Che dolor, che tormento, Sol per cagion di questo libro io sento!


GAZZ.

Per cagion di quel libro?

MEL.

Sì: qualora

Leggo di un fido amante

Qualche trista avventura,

Mi sento intenerir, piango a drittura.

GAZZ.

Dunque siete di cor tenero assai.

MEL.

Così non fossi.

GAZZ.

E se v'intenerite...

MEL.

(Oh Vienna sfortunata!)

GAZZ.

E se v'intenerite per i morti...

MEL.

(Non ti privar di vita).

GAZZ.

Sarete anco pei vivi intenerita.

MEL.

(Ferma il braccio, crudele).

GAZZ.

Cos'è stato?

MEL.

È morta Vienna, ed è Paris svenato.

GAZZ.

Eh, che favole son: sono romanzi.

MEL.

Che romanzi? che favole? Ignorante!

Questa è un'istoria vera

Scritta da man sincera;

E tanto più la verità si stima,

Quant'ella è scritta coll'ottava rima.

GAZZ.

Io dico...

MEL.

Olà, tacete:

Vi scaccerò se mi contradirete.

GAZZ.

Eh, non vi contradico.

È vero, anch'io lo dico:

La storia è scritta da sincera penna.

Sono due grandi eroi Paris e Vienna.

MEL.

Poveri sfortunati!

Erano innamorati,

Son di casa fuggiti, e mentre l'uno

L'altra al fonte aspettava,

Ecco viene una fiera...

E così quella fiera...

Ammazza uno di loro, e l'altro poi...

Lascia le spoglie sue...

Basta, alfin sono morti tutti due.

GAZZ.

Me ne dispiace assai.

MEL.

Non ho sentito mai

Una storia più bella a' giorni miei.

Sentite il lor lamento;

E se il core nel sen di carne avete,

Ascoltate il suo pianto, e poi piangete.

«Vienna bella, Vienna cara,»

Paris dice, il poverino:

«Vienna cara, Vienna bella,»

E la guarda un pocolino:

«Vienna mia»...; e poi sospira:

«Vienna mia»...: e poi delira;


Batte i piedi, e batte il petto; Chiama il diavolo, e trà un cospetto; E poi piange... E voi ridete? Via piangete, Gazzetta, con me; Ah, da ridere il caso non è. (parte)

SCENA QUINTA Gazzetta, poi Erideno

GAZZ.                   Oh questa è bella assai!

Io non ho pianto mai

Per alcuna disgrazia,

E or piangerò con questa bella grazia?
ERID.                    Caro Gazzetta amico,

Son in un grande intrico:

Amo Affrodisia mia,

Ed ella è piena di filosofia.
GAZZ.                   Ebben? filosofando

Si anderà innamorando:

Basta, se voi volete innamorarla,

Che sappiate con arte secondaria.

Amo anch'io Melibea,

Pazza per i romanzi; e per potere

Viver seco giocondo,

Sto zitto, e la secondo;

E dico che son vere,

E credere si denno,

Le istorie di Bertoldo e Cacasenno.
ERID.                    Ma io non ho studiato.

A scuola sono stato,

Ma sol, come far sogliono i scolari,

Ho imparato a giocar i miei denari.

Io di filosofia non ne so punto;

De' suoi termini ognor m'ho fatto beffe,

E dirò dei spropositi a bizzeffe.
GAZZ.                   Dite ciò che volete;

Spropositate pur senza riguardo;

Già la filosofessa

Con tutti i studi suoi

Non ne sa più di voi:

E i filosofi stessi,

Che per troppo studiar han fatto il callo,

Dicon spropositacci da cavallo.
ERID.                    Ma il mondo li rispetta;

Ma a lor si presta fede.
GAZZ.                   Sì, perché all'apparenza il mondo crede.

Ma quei filosofoni,


Quando qualche passion li porta via,

Mandan da parte la filosofia.

Corre al mondo un'opinione

Che fa rider chi ne sa:

Che i scolari di Platone

Fan l'amor con onestà.

Voi che dite?

Gli credete?

Se si trova un platoncino

Presso qualche bel visino,

Ah! che dite?

Come andrà?

Tutto foco

A poco a poco

Il filosofo sarà. (parte)

SCENA SESTA

Erideno, poi Affrodisia

ERID.

Basta, mi proverò.

Qualche cosa dirò... Ma qui s'appressa

La mia vaga e gentil filosofessa.

AFFR.

Siete ostinato ancora

Il vacuo a sostener?

ERID.

No, mia signora,

Non son sì temerario;

Sol per scherzar con voi dissi il contrario.

AFFR.

Avete voi studiata

Ben la filosofia?

ERID.

L'ho studiata. (Non so che cosa sia).

AFFR.

Parlando dell'amore

Filosoficamente,

Qual sistema tenete?

ERID.

Io sosterrò

Che amore è un certo foco

Che nasce a poco a poco in mezzo al core,

Ch'or ci reca diletto, ora dolore.

AFFR.

Bravissimo davvero!

Questa è la tesi mia.

Tanta filosofia

In voi, no, non credevo.

ERID.

(Son filosofo dunque, e nol sapevo).

AFFR.

Ma l'amorosa fiamma

Che poi si dice amore,

Come introdur si può nel nostro cuore?

ERID.

Da due pupille belle


Escono le fiammelle,
E penetran nel petto
Ad introdur l'affetto.
AFFR.                                                     Bravo assai.

10 non intesi mai

Filosofia più bella. In voi diffuse

11 cielo un sì bel dono.

ERID.                    (Senza studiar, filosofo già sono).

AFFR.                   A me per altro piace

Quella filosofia Chiamata naturale, Dimostrativa ed esperimentale.

ERID.                    E questo è il fondamento

Del mio sodo argomento: Dagli occhi vostri uscito è il dolce ardore Che nel mio seno è diventato amore.

Da quei vaghi amati rai Uscir vidi un dolce foco; Ei m'accese, e a poco a poco Fe' quest'alma innamorar.

Non avea provato mai Tanto affetto nel cor mio: Or filosofo son io, So d'amore disputar. (parte)

SCENA SETTIMA

Affrodisia sola.

Ahimè! nel cor io sento

Ch'or la filosofia mi dà tormento.

Aristotil, Platone,

Più dei vostri argomenti

Han forza nel mio seno

Le parole soavi d'Erideno.

Or in me provo

Amor che sia;

Pace non trovo

Nell'alma mia;

Smanio e deliro,

Peno e sospiro.

Ah, dunque amore

Del nostro core

Sarà tormento?

Piacer non è. Ma se Erideno


Ha per me affetto,

Spero nel seno

Provar diletto,

E al duol ch'io sento

Trovar mercé. (parte)

SCENA OTTAVA

Melibea e Pegasino

MEL.

Venite, Pegasino,

Siete il mio Petrarchino.

PEG.

Melibea graziosetta,

Siete la mia Lauretta.

MEL.

Ma se ben mi volete,

Non mi fate arrabbiar.

PEG.

No, non v'è dubbio.

MEL.

Non contradite a quello che dico io.

PEG.

Saran tutt'uno il vostro labbro e il mio.

MEL.

Voglio far un sonetto.

PEG.

Fatelo.

MEL.

All'improvviso

Adesso lo farò.

PEG.

Fatelo, che ancor io v'aiuterò.

MEL.

Oh, questo è un bel soggetto

Per formar un sonetto

Sugli uomini affamati

Che non han pane e fan gl'innamorati.

PEG.

E si potrebbe ancora

Trattar di certe femmine curiose,

Che sono brutte e fanno le graziose.

MEL.

Ma voi contro le donne

Non vi acchetate mai.

PEG.

E pur le donne a me piacciono assai.

MEL.

Dunque in lode cantate

Del femminino sesso.

PEG.

Sì, ma fate anche voi per noi lo stesso.

MEL.

Di farlo vi prometto:

Ecco in lode degli uomini un sonetto.

PEG.

In lode delle donne anch'io dirò,

E i miei versi coi vostri intreccierò.

MEL.

Uomo, tu sei un animal perfetto,

Bello, ben fatto, e non ti manca niente.

PEG.

Donna, tu sei di noi gioia e diletto,

Ed è senza di te l'uomo impotente.

MEL.

Per virtù, per saper, per intelletto,

La donna ti sta sotto riverente.


PEG.                              Ma colla grazia e col gentile aspetto,

L'uomo mena pel naso dolcemente.

MEL.                              Gli uomini delle donne son più forti.

PEG.                                  Sono i vezzi di donna più graditi.

MEL.                                 Voi ci sapete dar gioie e conforti.

PEG.                              Le donne fan contenti i lor mariti.

MEL.                                 Gli uomini fan gioire le consorti.

PEG.

MEL.        } adue        Tuttisonopiùbeisesonouniti.

PEG.                      Tutti sono più bei se sono uniti?

Adunque, Melibea,

Più belli noi saremo

Se in dolce matrimonio ci uniremo.
MEL.                     Sì, sì, tu dici il vero.

Oh che gentil poetico pensiero!
PEG.                      Dammi, o cara, la mano.

MEL.                     Eccola, ma... pian piano.

10 non voglio sposarmi

Se non ho da poeti più valenti Una raccolta di componimenti.

PEG.                      Eh, cosa importa...

MEL.                                                     È l'uso inveterato;

Andar dobbiam noi stessi Questo e quello a pregar segretamente Che cantino di noi; Diran che siamo eroi, E che dal nostro talamo fecondo

11 terror nascerà di tutto il mondo.
PEG.                      Per un che si marita,

La più bella raccolta è pane e vino;

Un poco di denari;

Un poco di cervello;

Una moglie di genio, e andar bel bello.

Invece di sonetti Vuon essere panetti; Invece di canzoni Vuon esser ducatoni. Poeta sono anch'io, E con lo stile mio Farò un componimento Che non vi spiacerà.

Oh quante, quante volte Si vedon le raccolte Sui banchi del formaggio! Mia cara, vi prometto, Fra noi qualche sonetto Più bello si farà. (parte)


SCENA NONA Melibea, poi Ser Saccente

MEL.                     Io, che di poesia son invaghita,

Non voglio esser unita in matrimonio

Se Apollo non invoco in testimonio.

Ma ecco quel marmotta

Ch'io non posso vedere.
SACC.                   Oh mulier docta!

Semper optime vale.
MEL.                     Serva, signor Saccente senza sale.

SACC.                   Come! A voi non è nota

Dunque la virtù mia?
MEL.                     Eh, se la poesia non possedete,

Un virtuoso da dozzina siete.
SACC.                   Poësis non dat panem.

MEL.                     A parlarmi latin siete venuto?

A me piace il volgare, e vi saluto.
SACC.                   E come mai può darsi,

Che senza prosodia

Si sappia poesia?

Qui nescit declinationes,

Qui nescit coniugationes,

Qui nescit concordantias

Del numero, del genere, del caso,

I versi comporrà soltanto a caso.
MEL.                     Orsù, basta così;

Andate via di qui, signor Saccente:

Fate il pedante, e non sapete niente.

Io ne so più di voi. Che? Nol credete?

Ora mi sentirete

Qui, qui sul vostro viso,

Far versi all'improvviso.

Per Bacco, vi vuò far meravigliare;

Vi voglio in più linguaggi improvvisare.

A Bulogna an s'dà Un babbion cmod a sì vu. Tutt'al mond s'accordrà Che vu siadi un turlulù. Ed a Napoli, bene mio, Se ci vai, sarai frustato: E managgia chi t'ha figliato. Fosse acciso... fosse ampiso; E vattenne, vattenne deccà. Via, sier alocco, - via, sier baban. Via, che ve mando - in venezian.


Dove, no digo, perché el se sa:

Via, che ve mando de là de Stra. (parte)

SCENA DECIMA

Ser Saccente, poi Armonica

SACC.

Costei non fa per me;

È un'ignorante, e fa la poetessa.

No, no, non cambio la filosofessa.

ARM.

Signor Saccente mio,

Di voi andavo in traccia.

SACC.

(Anche questa non ha cattiva faccia).

Cosa mi comandate?

ARM.

Io so che voi cantate.

SACC.

Sì, signora,

So di musica ancora.

ARM.

Io sono virtuosa,

Ma per esser perfetta

Mi resta da imparar qualche cosetta.

Vorrei che mi diceste,

Per penetrar del canto in le midolle,

Che cosa sia il bequadro ed il bemolle.

SACC.

Cara la mia figliuola,

Siete voi stata a scuola?

ARM.

Oh, cosa dite?

Ho studiato, ho imparato:

Per sei o sette mesi ho solfeggiato.

SACC.

Brava! In sì poco tempo

Avete fatto del profitto assai.

ARM.

Subito virtuosa io diventai.

SACC.

Cantatemi un'arietta.

ARM.

Volentieri.

Non mi faccio pregar; la canterò.

SACC.

Io l'accompagnerò.

Avete qualche cosa?

ARM.

Ho due ariette:

Una allegra, allegrissima,

L'altra patetichissima.

SACC.

Datemi quell'allegra:

La proveremo un poco.

ARM.

Eccole tutte due.

SACC.

Basta l'allegra:

Quell'altra la potete metter via.

ARM.

Ma di queste, signor, non so qual sia.

SACC.

Non conoscete il tempo?

ARM.

Signor no.

SACC.

Ma le parole?...


ARM.

Leggere non so.

SACC.

Oh, questa è bella! E l'arie voi cantate?

ARM.

A memoria mi son state insegnate.

SACC.

Date qui, date qui. Che voce avete?

ARM.

Che voce? Io non v'intendo.

SACC.

Cosa siete? Contralta ovver soprana?

ARM.

Io son quella che sono,

E canto all'improvviso;

Ed ognun mi fa applauso, ognun mi loda.

SACC.

Virtuosa davvero a tutta moda.

Venite qui; cantate.

Capperi! Tre bemolli! (osserva l'aria)

A voi, figliuola mia.

ARM.

Il bemolle non so che cosa sia.

SACC.

(Suona il ritornello sulla spinetta)

ARM.

Quel caro amato ciglio...

SACC.

Quel caro amato ciglio...

ARM.

Quel caro amato ciglio...

SACC.

Ma quei son tre bemolli agli occhi miei.

ARM.

Che importa a me, se fossero anche sei?

SACC.

Ma voi non intonate.

ARM.

Eh signor, perdonate.

Intono a prima vista;

O voi non ci vedete,

O le regole buone non sapete.

SACC.

Ritorniamo da capo. (suona il ritornello)

ARM.

Quel caro amato ciglio,

Che m'ha ferito il cor.

SACC.

Oibò.

ARM.

Che cosa avete?

SACC.

Ma voi stonate maledettamente.

ARM.

Andate via, che non sapete niente. (gli leva le carte dal cembalo)

SACC.

Brava, figliuola mia,

Voi farete fortuna.

Per essere stimata

Una brava cantante,

Basta che siate ardita ed arrogante. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Armonica sola.

Ser Saccente grazioso!

È troppo scrupoloso;


Per acquistar di virtuosa il vanto,

Si sa che ai nostri dì non vi vuol tanto.

Un po' di bella voce; Un po' di buona grazia; Un po' di solfeggiar. Che importa saper tanto? Già, dove manca il canto, Qualcosa supplirà: Un personal che incontri, La grazia e la beltà.(parte)

SCENA DODICESIMA

Gazzetta, poi Pegasino

GAZZ.

Oh che pazze curiose

Abbiamo per le mani!

Questa villeggiatura

È piacevole assai.

Un piacere più bel non ebbi mai.

PEG.

E per godere in pace,

Ci convien secondarle.

GAZZ.

Ma vorrei

Che mi parlaste schietto:

Avete per nessuna amore in petto?

PEG.

Io vi confesso il vero:

Un po' per Melibea.

GAZZ.

Sappiate, amico mio,

Che per la stessa ho qualche amor anch'io.

PEG.

Dunque, come facciamo?

GAZZ.

Non vuò che ci scaldiamo.

Ognun tenti la sorte,

E lei scelga chi vuol per suo consorte.

PEG.

Io per me son contento.

GAZZ.

Per ottener l'intento,

Io la seconderò con tutto il cuore

Nel romanzesco umore.

PEG.

Ed io la parte mia

Farò con essa nella poesia.

GAZZ.

Vedrem chi più felice

Riuscir saprà di noi.

PEG.

Ma ci dobbiamo

Portar da buoni amici,

Aiutarci un coll'altro.

GAZZ.

Volentieri

Io con voi lo farò.

PEG.

Ed io da buon amico opererò.


GAZZ.                   Eccola. Secondate

Una graziosa idea

Ch'ora mi vien in testa.
PEG.                      Sì, volentieri... E poi?

GAZZ.                   E poi farò lo stesso anch'io per voi. (si ritirano)

SCENA TREDICESIMA

Melibea sola.

Son due belle virtù, due bei diletti,

Ch'ho nella testa mia:

Istoria e poesia.

Son tutte due gustose in eccellenza:

Non so a quale di lor dar preminenza.

Mi piacciono per questo

Gazzetta e Pegasino:

L'uno istorico e l'altro buon poeta.

Onde per esser lieta,

Avendo ciaschedun le virtù sue,

Li sposerei, potendo, tutti due.

SCENA QUATTORDICESIMA Gazzetta, Pegasino e detta.

GAZZ.                   Mia bella Dulcinea,

Pria che giunga la notte,

Eccovi a' piedi vostri don Chisciotte.

MEL.                     Oh valoroso eroe,

Venite alle mie braccia!

E voi chi siete? (a Pegasino)

PEG.                      Io son, se nol sapete,

Ammirator di vostra padronanza, Compagno a don Chisciotte, Sancio Panza.

MEL.                     Oh, così mi piacete!

Ora investiti siete Del carattere vero degli eroi.

GAZZ.                   Son cavaliero errante, e son per voi.

Anderò fra monti e selve,
Con le belve, con gli armenti,
I cimenti ad incontrar.
PEG.                               Porterò lo scudo e l'asta...

Basta, basta... Lo vedrete... Mi potrete comandar.


MEL.

Valoroso cavaliero,

Buon scudiero, vi saluto;

Anderò col vostro aiuto

Colle Amazzoni a pugnar.

GAZZ.

La bella mano

A me porgete.

MEL.

Prima dovete

Per me pugnar.

GAZZ.

Pria vi dovete

Far sbudellar.

Dov'è un nemico?

Dov'è un rivale?

Dov'è chi dica

Che la sua bella

Sia ancor più bella

Della mia bella?

Con questa spada

L'ucciderò.

A' vostri piedi

Lo getterò.

MEL.

Allor la mano

Vi porgerò.

PEG.

Corpo di Bacco,

Padrone mio,

Sostengo io

Che la mia bella

Sia ancor più bella

Della tua bella:

Timor non ho.

GAZZ.

Con questa spada

T'ucciderò.

PEG.

Timor non ho.

GAZZ.

A' vostri piedi

Lo getterò.

MEL.

Allor la mano

Vi porgerò.

GAZZ.

Para, insolente,

Questo fendente.

PEG.

Io non son morto:

Paro, e rapporto.

GAZZ.

Ah, para questa.

PEG.

Guarda la testa.

MEL.

Oh che valore!

Oh che prodezza!

Oh che fortezza!

Questo resiste,

Quello sta saldo;

Questo è Tancredi,

Quello è Rinaldo.

GAZZ.

Prendi.


PEG.

Eh, eh.

GAZZ.

Parati.

PEG.

Oimè!

GAZZ.

Cedi.

PEG.

Son qua.

GAZZ.

Mori.

MEL.

Pietà.

GAZZ.

Mia bella Dulcinea,

M'arresto al tuo comando;

A te presento il brando,

E il braccio vincitor.

MEL.

Accetto il tuo bel dono:

Avrai la destra e il cor.

PEG.

Io me ne vado via:

Bondì a vussignoria.

Che caro don Chisciotte!

Che fortunato amor! (parte)

GAZZ.

Ho il cuor di gioia pieno,

Non posso star in freno.

MEL.

Che dolce matrimonio!

Che fortunato amor! (partono)


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Cortile.

Affrodisia e Ser Saccente

SACC.                   Sapientissima donna,

Onor del vostro sesso, Se la filosofia davvero amate, Dunque i precetti suoi cauta osservate.

AFFR.                   Io son della gran scienza

Rigorosa osservante. In che credete voi ch'io sia mancante?

SACC.                   Filosofia c'insegna

Che la natura, di se stessa amante,

Per sua conservazione

Vuol la propagazione.

L'uomo e la donna col connubio uniti

Della filosofia senton gl'inviti.

AFFR.                   Anche a ciò ho proveduto:

M'ho trovato uno sposo, Poiché filosofia mi scalda il seno.

SACC.                   E lo sposo chi fia?

AFFR.                                                   Egli è Erideno.

SACC.                   Male, male!

AFFR.                                       Perché?

SACC.                   Troppo giovine egli è.

AFFR.                                                        Ma cosa importa?

SACC.                   Aristotile nostro

Si vis nubere, disse, nube pari:

E convien ch'Erideno e studi, e impari.

AFFR.                   Dunque che far dovrei?

SACC.                   Affrodisia, direi...

Che sol per voi, dottissima madama, Arde il mio cor, che vi sospira ed ama.

AFFR.                   Sì, sì, sento inspirarmi

Filosofico ardore Che vi rende padron di questo core.

SCENA SECONDA


Erideno e detti.

ERID.                    Affrodisia diletta,

Per voi gioire aspetta

Quest'amante cor mio.
AFFR.                    Siete giovine ancor: studiate. Addio.

ERID.                    Come! Non siete voi

La mia tenera sposa?
AFFR.                    Femmina virtuosa

Mal si unirebbe a un tenero scolaro.

Aristotile stesso,

L'imparai non ha guari,

Si vis nubere, disse, nube pari.
ERID.                    Dunque mi discacciate?

Crudel, mi abbandonate?
AFFR.                    Compatite, Erideno,

Filosofico ardor m'infiamma il seno.

Più bell'ardore accende Amor nel seno mio. Amare sol vogl'io Chi è degno del mio cor. Funesto alfin si rende Un disuguale affetto. Vuò scegliere un oggetto Di scienza possessor. (parte)

SCENA TERZA

Erideno e Ser Saccente

SACC.                   (Dunque Affrodisia è mia.

Oh benedetta la filosofia!)

ERID.                    Ah femmina mendace!

Invano hai tu studiato, Se la fede a serbar non hai imparato.

SACC.                   Amico, per qual causa

D'Affrodisia tacciar vuoi l'incostanza? Già le femmine sono in abbondanza.

ERID.                    Ma se lei mi piaceva,

E se mi prometteva Amor nel di lei seno il mio diletto, Ora frenar non so l'ira nel petto.

SACC.                   Deh, lo sdegno calmate;

Allo studio applicate. Crediatel a me, che parlovi per pratica: La femmina non est bona grammatica. (parte)


SCENA QUARTA

Erideno solo.

Ah, purtroppo egli è vero, Ciascun ne' studi suoi trova ragione D'adular, di seguir la sua passione. La donna che di fede Suol mancar per natura, Allorch'apre coi studi l'intelletto, Cerca giustificar il suo difetto. Se la donna è ignorante, Vincer si può talora; Ma quando è letterata, Inflessibil diviene ed ostinata.

Donne vaghe, i studi vostri Son le grazie, sono i vezzi; Far che piaccia e che s'apprezzi Un bel labbro di rubin.

Acquistar gli affetti nostri È la scuola del bel sesso. Ah, costei procura adesso Di passare il suo confin. (parte)

SCENA QUINTA Pegasino, poi Melibea

PEG.                      Non vorrei che Gazzetta,

Con la bella invenzion del don Chisciotte,

Avesse fatto colpo

Nel cuor di Melibea.

Eccola. Ha un quadro in mano,

E mi pare un ritratto.

Vuò veder cosa sia:

Un ritratto mi pone in gelosia. (si ritira)
MEL.                     (Osservando il ritratto di Cleopatra)

Oh Cleopatra fortunata Col suo caro Marc'Antonio, Cui d'amore in testimonio Colle perle abbeverò.

Se il cor di Cleopatra

Per il gran Marc'Antonio si perdeo,


Abbi pazienza, caro Tolomeo.

Semiramide ancora,

Come scrive un istorico vetusto,

Ha fatto un non so che su questo gusto.

PEG.

(Parla di Cleopatra. Non vi è male).

Mia bella, a voi m'inchino.

MEL.

Ecco qui, Pegasino,

Una raccolta di composizioni.

PEG.

Io pure in queste carte

Ne tengo la mia parte.

Ho dei componimenti

Di poeti eccellenti,

Fatti sul stil del Tasso e dell'Ariosto,

Del Petrarca, di Dante e del Marini,

Con parole da Testi e d'Achillini.

MEL.

Sentiamo: Madrigale (legge)

Di Smorfia Celidonio,

Arcadico Pastore...

PEG.

Smorfia pastor? Oh, sarà un bravo autore!

MEL.

Graziosa Melibea,

Non so se ninfa o dea...

Oh bellissimo!

PEG.

Oh caro!

MEL.

Non so se ninfa o dea,

Spòsati in sì bel giorno.

Che bella cosa!

PEG.

Oh bella!

MEL.

Spòsati in sì bel giorno;

Se non lo fai, non me n'importa... un corno.

PEG.

Oh vita mia!

MEL.

Che dite? (malinconica)

PEG.

Eh, non vi è male.

MEL.

Questo per nozze è un brutto Madrigale.

PEG.

Io ne leggerò dunque uno de' miei,

Che dei vostri saran forse più bei.

Eccolo: Madrigale (legge)

Di Mummia Culinfronio,

Pastor delle campagne immaginarie

Dell'Arcadia dell'Isole Canarie.

MEL.

Oh, questo sarà bello!

PEG.

Oh Pegasin gentile,

Del caval Pegaseo figlio diletto...

MEL.

Oh bravo!

PEG.

Oh benedetto!

Sposa la pastorella,

Vaga, gentile e bella.

MEL.

Oh che versi!

PEG.

Oh che gusto

Nel leggerli mi viene!

MEL.

Oh, quel bella e gentil ci sta pur bene!


PEG.

Sposa la pastorella,

Vaga, gentile e bella,

Che ti possa venir la caccarella.

MEL.

Oibò!

PEG.

Puzza un pochino.

MEL.

Oh diavol malandrino!

PEG.

I nostri amici, ognun coi versi suoi,

Si burlano di noi.

MEL.

Dunque che far dobbiamo?

PEG.

Fra di noi concludiamo;

E senza la raccolta

Sposiamoci una volta.

MEL.

Ma... vogl'io,

Per meglio soddisfarmi,

Con qualche idea poetica sposarmi. (parte)

SCENA SESTA

Pegasino solo.

Via, la contenterò:

Qualche idea troverò che buona sia

Per spiegar la poetica pazzia.

Fra cetre e cembali

La sposerò.

Fra pive e gnaccare

L'abbraccierò.

La cornamusa

Non so se s'usa:

M'informerò.

Fra verdi platani,

Sull'erbe tenere,

Fra i cigni amabili

La condurrò;

Fra cetre e cembali

La sposerò. (parte)

SCENA SETTIMA

Armonica e Ser Saccente

SACC.

Oh, perché mai volete

Esporvi sulle scene? Non sapete

Quante cose vi vogliono,


Per aver lode o almen compatimento?

Pensate, pria d'esporvi a un tal cimento.
ARM.                    Io ci ho bell'e pensato;

Non vuò la virtù mia resti sepolta.

Vuò produrmi una volta,

E far vedere al mondo

Che, se poco ne so, non mi confondo.
SACC.                   Io non so più che dire:

Fate quel che volete.

Ma almen, se v'esponete,

Fatelo con modestia e con giudizio,

Se non volete andare in precipizio.
ARM.                    Insegnatemi voi

Com'ho da regolarmi.
SACC.                   Ma poi vi stancherete di abbadarmi.

Circa il saper, pazienza!

Basta andar in cadenza qualche volta.

Già, per lo più, meno ne sa chi ascolta.
ARM.                    Sin qui siamo d'accordo.

SACC.                                                            Nell'azione

Vi vorrei regolata.

Non molto caricata,

Ma natural, composta e disinvolta,

E movere le mani una alla volta.
ARM.                    Me ne ricorderò.

SACC.                                                Ma sopratutto

Non siate presontuosa;

Non siate schizzinosa:

Riportatevi a quei che più ne sanno,

Perché il troppo voler fa poi del danno.
ARM.                    Basta, signor Saccente,

Io mi riporterò;

Di voi mi fiderò, che siete onesto.

A me preme cantar, non bado al resto.
SACC.                   All'occasion, figliuola,

Io mi ricorderò

Di proporvi al teatro certamente,

Giacché senza di me non si fa niente.

Ma ditemi chi siete:

Ditemi il nome vostro,

La vostra condizione,

Quella dei genitori,

E tutto quel che vi può far del bene

Se occasion di recitar vi viene.
ARM.                    Armonica è il mio nome,

Ma circa i genitori,

Circa allo stato mio,

Tutto quel vi dirò che dir poss'io.

Son figlia di mio padre,


Ma non si sa di chi. Mi raccontò mia madre, Ch'egli era un gran signor. Io poi son virtuosa; Un tantinin graziosa. Direi che bella sono, Ma mi vergogno un po'. Non sono maliziosa, Ma il fatto mio lo so. (parte)

SCENA OTTAVA

Ser Saccente solo.

Ecco all'itale scene

Una nuova eroina

Che farà da matrona e da regina;

E dopo d'aver fatto

Tai caratteri in scena,

Sarà poi persuasa

Di poter sostenerli ancora in casa.

È cosa che fa ridere i capponi,

Sentir le pretensioni,

Veder le smorfie ed il pavoneggiarsi

Con cui crede la bella immortalarsi.

Finché suona il ritornello, Passeggiando se ne va. E poi canta il viso bello La la la lara la la la. Si bisbiglia nell'udienza, Non s'abbada alla cadenza. Poi si batte da chi ascolta, E si grida: «Un'altra volta». Sia per spasso, sia per chiasso, Vien fastosa a replicar. (parte)

SCENA NONA Melibea, vestita alla guerriera, incontra Ser Saccente, e lo ferma.

MEL.                     All'armi, all'armi!

Anch'io voglio provarmi

Entro d'un elmo imprigionar il crine,

Come un tempo faceano l'eroine.
SACC.                   Altro peso per voi


Amor destina con gli strali suoi.

MEL.

Quest'abito mi piace;

Questa spada m'alletta.

Presto all'armi, alle stragi, alla vendetta.

SACC.

(Ella impazzisce affatto).

MEL.

Chi è colui

Vestito da guerriero?

Esser Gazzetta

Certamente dovrebbe.

All'armi, all'armi!

Voglio seco provarmi. (tira fuori la spada)

SACC.

Con licenza. (osservando la spada)

Via, via, vi do licenza;

Pugnate pure col furor conjuncta,

Perché la vostra spada est sine puncta.

SCENA DECIMA

Gazzetta da guerriero, e detti.

MEL.

All'armi! (correndo verso la scena)

GAZZ.

O tu, che porte,

Che corri sì?

SACC.

(Tancredi). (da sé)

MEL.

E guerra e morte.

SACC.

(Da Clorinda risponde).

GAZZ.

Guerra e morte averai; io non rifiuto

Darlati, se la cerchi. (si battono)

SACC.

Aiuto, aiuto. (parte)

GAZZ.

Nostra sventura è ben che qui s'impieghi

Tanto valor, dove silenzio il copra.

Ma poiché sorte rea vien che ci neghi

E lode e testimon degno dell'opra,

Pregoti (se fra l'armi han luogo i preghi)

Che il tuo nome, il tuo stato a me tu scopra,

Acciocch'io sappia, o vinto, o vincitore,

Chi la mia morte o la vittoria onore.

MEL.

Indarno chiedi

Quel ch'ho per uso di non far palese.

Ma, chiunque mi sia, tu innanzi vedi

Un di que' duo che la gran torre accese.

GAZZ.

Il tuo dir e il tacer al par mi alletta,

Barbaro discortese, alla vendetta. (Si battono, e Melibea cade)

MEL.

Amico, hai vinto; io ti perdon, perdona...

GAZZ.

In questa forma

Passa la bella donna, e par che dorma.

Via, datemi la mano.

MEL.

Oimè! non posso più.


GAZZ.                   Via, levatevi su.

MEL.                     Non voglio più imitare

Le donne guerreggianti,

Ma l'eroine placide ed amanti.
GAZZ.                   Sì, mi è passato il caldo:

Più Tancredi non son, ma son Rinaldo.
MEL.                     Finita è la disfida:

Più Clorinda non son, ma son Armida.
GAZZ.                   Volgi, mia cara, volgi

A me quegli occhi, onde beata bei;

Ché son, se tu nol sai, ritratto vero

Delle bellezze tue gl'incendi miei.
MEL.                     Sarò, qual più vorrai, scudiero, o scudo.

GAZZ.                   Sarò tuo cavalier.

MEL.                                                     Non più battaglia:

Vattene, passa il mar, pugna e travaglia.
GAZZ.                   Armida mi discaccia?

MEL.                                                         Ah, ch'io mi sento

Invasa da furor di gelosia!

Non so dove mi sia.

Povero Orlando!

Ha perduto il cervello,

E l'ho perduto anch'io; ma mi consola

Che, se pazza son io, non sarò sola.

Il cervel m'è andato via: Vuò cercarlo qua e là. Chi l'avesse, me lo dia; Me lo dia per carità. Ehi, signor, il mio cervello. Non lo voglio, non è quello; Siete pazzo più di me. Voi l'avete? Signor sì. Zitto, zitto, eccolo lì. Eh, cercarlo non mi giova; Chi lo perde, non lo trova. Vola, vola, e se ne va; La la la lara la la. (parte)

SCENA UNDICESIMA

Gazzetta solo.

In verità, la cosa

Sempre divien più bella. È questa casa,

In cui venuti siam per allegria,

Il maggior arsenal della pazzia.

Ma questo è un male in uso,


Che per tutto è diffuso:

Chi è pazzo criminoso, e chi giocondo,

E di pazzi diversi è pieno il mondo.

Han tutti i mariti Qualcosa a soffrir; Per tutto le liti Si fanno sentir. La moglie gelosa: Briccone, sfacciato. La donna orgogliosa: Villano spiantato. La savia: imprudente. La pazza: insolente. E tutti i mariti Tormentan così. (parte)

SCENA DODICESIMA

Sala magnifica con scalinata, rappresentante la Reggia di Parnaso colle nove Muse.

Affrodisia, Erideno, Armonica, Pegasino e Gazzetta

CORO                             Discenda il biondo Nume,

Venga d'Apollo il lume Di questi suoi pastori Gli ardori - a consolar. E finché viene Apollo

PARCTOERODEL        {    CDoisncelandsauaMceeltirbaeaal,collo,

Febea - di Febo al par.
CORO                             Venga, venga Melibea,

Del buon gusto amica dea, Cui le nove allegre Muse Son già use - a venerar.

(A suono d'allegri strumenti scende Melibea)
MEL.                     Grazie, signori miei,

Grazie dei vostri generosi inviti.

Eccomi qui disposta a secondarvi

Nell'amor e nell'armi,

Coll'istorico stile e i dolci carmi.
ERID.                    Voi che istorica siete,

Dite se letto avete

Che vi sia stata un'alma più infedele

D'Affrodisia crudele.

Mi deride l'ingrata,

E fa di me strapazzo;


Mi tratta da ignorante e da ragazzo.
MEL.                     Caro Erideno mio, la compatisco:

Ella ha molto saper e molta dote.

Se dico il ver, sdegnarvi non vorrei:

Non siete, figliuol mio, buono per lei.
AFFR.                   Oh cara Melibea,

Lodo la vostra idea.

Voi ben mi conoscete,

E ciò che mi bisogna voi sapete.
ERID.                    Oimè! Voi mi scacciate? (ad Affrodisia)

AFFR.                   Non vi dispero ancor. (ad Erideno)

ERID.                    Mio bene, oh Dio! mi amate?

AFFR.                   Non vi prometto amor.

a due                      Un certo non so che

Parmi sentire in me, Che mi tormenta il cor. (partono)

SCENA TREDICESIMA Melibea, Armonica, Pegasino, Gazzetta, poi Ser Saccente

ARM.

Graziosa Melibea,

Arcadica, Febea,

A voi mi raccomando.

MEL.

E che bramate?

ARM.

Vorrei, se vi degnate,

Esser ammessa anch'io,

Siccome ser Saccente mi propose

Nell'Accademia delle Virtuose.

MEL.

Sì, sì, vi ammetteremo,

E la nostra patente vi daremo.

PEG.

Orsù, donna vezzosa

E mia futura sposa,

Vi ricordate voi di avermi detto:

«Voglio, per soddisfarmi,

Con qualche idea poetica sposarmi»?

MEL.

È ver, me lo ricordo.

PEG.

Ora vedrete

Cosa per voi farò...

GAZZ.

Pazzo voi siete. (a Pegasino)

Il cor di Melibea

Solo prova per me d'amore il caldo:

Ella è Armida amorosa, ed io Rinaldo.

PEG.

A voi punto non bado:

Vedrete, Melibea,

Se ho poetica idea,

S'io son fra' vati un inventor valente.

(Spero farà da uomo ser Saccente). (da sé)


GAZZ.

MEL.

ARM. PEG.

GAZZ.

a quattro

SACC.

MEL.

PEG.

GAZZ.

ARM.

SACC.

MEL. ARM. PEG.

GAZZ.


}

}


Ma io che so la storia

Tutta, tutta a memoria,

Saprò favoleggiar meglio di te.

(Ser Saccente gentil farà per me). (da sé)

Bravi, bravi, bravissimi!

Mi siete ambi carissimi.

Farò con l'uno e l'altro il matrimonio.

Ed io vi servirò di testimonio.

Vieni, vieni, biondo Apollo,

Con l'aurata cetra al collo.

La tua Dea

Melibea

Vieni, vieni a consolar. Vieni, vieni, Dio del giorno,

Coi bei raggi il viso adorno.

Fra i strumenti,

Fra i concenti,

Vieni, vieni a giubilar. Vieni, vieni, biondo Nume,

Col tuo lume, e non tardar. A suono di sinfonia scende Ser Saccente, vestito da Apollo, colla cetra, e con seguito  di Poeti inghirlandati,  ognuno dei  quali porta un  istrumento musicale in mano, e due corone

Fidi amanti Che costanti Implorate il mio favor, Già discendo, E v'accendo

Di febeo possente ardor. L'alma ho ripiena

D'alto contento;

a quattro

Ah! che mi sento

Brillare il cor.

Io tocco la cetra;

V'ispiro lo stile.

Del sesso gentile

V'invito a cantar. Dov'è un istrumento? Dov'è un chitarrone? Violino, violone,

Spinetta, violetta,

a quattro

Trombone, trombetta?

Io voglio cantar;

Io voglio suonar.

Non posso più star. Quelli del seguito di Ser Saccente distribuiscono a tutti un istrumento musicale, col quale cantando si accompagnano



SACC. PEG.

GAZZ. TUTTI.

PEG.

MEL.

ARM.

PEG.

GAZZ.

SACC.

PEG.

GAZZ.

MEL.

ARM.

SACC.

GAZZ. PEG.

SACC.

PEG.

GAZZ.

SACC.

MEL.

ARM.

PEG.

GAZZ.

MEL.

ARM.

SACC.

PEG.

GAZZ.

a cinque


}

a tre

} adue } adue

} adue } adue

}

a due

} adue

} adue } adue

} atre

} adue


Vivan le donne, Viva il bel sesso Per cui professo Tutto l'amor! Pera chi dice Che non han fede, Chi in lor non crede Sincero il cor.

Vivano i suoni,

Vivano i canti;

Vivan gli amanti,

Viva l'amor. Via, signore,

Per favore

Le corone disponete

Con giustizia, con bontà.

(La corona chi l'avrà?) (ognuna da sé)

(Melibea ne averà una;

E quell'altra mia sarà). (ognuno da sé) Ecco qui doppia corona:

La più bella a te si dona,

Che ben degna è sol di te.

(E quell'altra fia per me).

E quell'altra a chi la date?

Non lo so, - ci penserò.

Eh, signor, non ci pensate;

Lo sapete,

M'intendete:

A chi tocca già si sa. A chi tocca si darà.

Son qua io,

Febo mio.

Ed Armonica l'avrà. (dà la corona ad Armonica)

Mi piace, mi diletta,

Mi dà contento al cor. (accompagnandosi coi loro strumenti)

Flon, flon, la Girometta

M'ha fatto un bell'onor.

Su, su, che cosa avete? Siete di mal umor.

(Convien dissimulare Per ora il batticor). Torniamo in allegria,

Diciamo in compagnia:

Vivano i suoni,

Vivano i canti,



Vivan gli amanti, Viva l'amor. (partono)


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Cortile.

Affrodisia e Ser Saccente

AFFR.                    Ebben, messer Saccente,

Quando volete voi

Segua l'union filosofal fra noi?
SACC.                   Prima che si concluda,

Fa duopo che mi dite a chiare note

Come voi state di pecunia in dote.
AFFR.                    Eh, la filosofia

Deride l'uomo avaro:

Il filosofo vero odia il denaro.
SACC.                   Per sostener soltanto

Del matrimonio i pesi,

Dal filosofo ancor pecunia amatur;

Sine pecunia nihil manducatur.
AFFR.                    Ma io ricca non son che di scienza,

E parmi a sufficienza

Esser la dote mia,

Se piena sono di filosofia.
SACC.                   Bastar può tal ricchezza

Per bene disputare,

Ma non per manducare.

Se dote non avete,

Filosofessa mia, salve, salvete.
AFFR.                    Così mi corbellate?

SACC.                   Ad amar ritornate

Il povero scolaro.

Da voi medesma l'incostanza imparo.

La femmina incostante È un brutto indicativo. Se l'uom si mostra amante, Vuol far l'imperativo; E se coll'ottativo Si sente supplicar, Procura il subiuntivo All'infinito andar. (parte)


SCENA SECONDA Affrodisia, poi Erideno

AFFR.                    Ah, mi son ingannata!

Quest'è un filosofastro Che non sa che i principî, e fa da mastro. Ecco Erideno: a lui Torneran le mie fiamme per ragione Di magnetica forza e d'attrazione.

ERID.                    Ah barbara! ah crudele!...

AFFR.                                                               Eccomi a voi;

È passato il fenomeno funesto Che mi fe' delirar. Mi rese cieca Un cristallo convesso di catoptrica; Ora ritorno a voi mediante l'optica.

ERID.                    Io non vuò esaminar per qual ragione

Siate da me partita; Bastami che ad amarmi ritorniate E che del vostro amor m'assicuriate.

AFFR.                    Ecco la destra in pegno.

ERID.                                                           Ed io l'accetto.

AFFR.                    Vi giuro eterna fé.

ERID.                                                 Fé vi prometto.

AFFR.                               Provido il sole ancora

Scalda la terra e l'onde, Ma se vapor l'asconde, Più non risplende ancor. Sciolta la densa nube, Scopre il suo vago aspetto; Tale di donna in petto Parte e ritorna amor. (parte)

SCENA TERZA Erideno solo.

Spiacemi il paragone, e non vorrei,

Siccome il sol cambia sovente aspetto,

Affrodisia nel sen cambiasse affetto.

Basta, comunque sia

Il destin che sovrasta all'amor mio,

Affrodisia mi piace,

E soffrirò qualunque pena in pace.


Non s'innamori

Chi non vuol pene:

Un po' di bene

Costa tormenti.

Brevi contenti

Suol dare amor. Io lo comprendo,

Ma però invano:

Vuol da sovrano

Il dio Cupido

Formarsi il nido

Nel nostro cor. (parte)

SCENA QUARTA

Pegasino e Gazzetta

PEG.                      Ma noi non stiamo ai patti. (irritato)

GAZZ.                   Ma noi siamo due matti:

Contendiamo fra noi per una donna Che, fra i romanzi e fra le poesie, Ha il cervello ripieno di pazzie.

PEG.                      Eh, se sarà mia moglie,

Risanarla saprò.

GAZZ.                   Io sì la guarirò,

Quando sarà mia sposa.

PEG.                                                             Poverino!

M'impegno io in due parole Correggerla, ammonirla, Farla lasciare i versi, e convertirla.

GAZZ.                   Tu non hai tanta forza.

Io solo, io sol potrei Farla aderire alli consigli miei.

PEG.                      Eccola. In questo punto

Facciam prova di noi chi ha più potere.

GAZZ.                   A me, per ottener, basta volere.

SCENA QUINTA

Melibea e detti.

MEL.                                 Istorie voglio leggere,

Istorie voglio scrivere, Istorie voglio vendere. Ridete? Signor sì. Istorie voglio vendere,


E voglio dir così:

«L'istoria di Liombruno

E quella di Fiorino,

Bertoldo e Bertoldino»,

E voglio gridar forte:

«Eh, l'istorie di tutte le sorte».

PEG.

(Sentite?) (a Gazzetta)

GAZZ.

(Di sanarla

L'impegno sarà mio). (a Pegasino)

PEG.

(No; questa volta vuò principiar io). (a Gazzetta)

MEL.

(Parlano tra di loro. Io giocherei

Che qualche poesia

Van fra loro tessendo in lode mia).

PEG.

(State a veder. Invano

Io non opero mai). (a Gazzetta)

MEL.

Pastor, dove ten vai? (a Pegasino)

PEG.

Zitto, non voglio

Mi chiamate pastor. Son Pegasino:

Se volete esser mia,

Avete da lasciar ogni pazzia.

MEL.

Farò come volete. (mortificata)

PEG.

(Eh, cosa dite? (piano a Gazzetta)

Colle donne parlar così conviene).

GAZZ.

(Un tantinin di gelosia mi viene).

PEG.

Dite, siete disposta

A fare a modo mio? (a Melibea, alterato)

MEL.

Quel che vorrete voi, vorrò ancor io.

PEG.

Sentite? (a Gazzetta)

GAZZ.

Mi consolo. (con ironia)

PEG.

Voi dovrete a me solo

Obbedire, gradire, e tralasciare

I poeti, i pastori,

Che non hanno a che far niente con noi.

MEL.

Io farò quel che comandate voi.

PEG.

Va bene? (a Gazzetta)

GAZZ.

(Va malissimo). (da sé, arrabbiato)

PEG.

(Vi par che sia cangiata?)

GAZZ.

(L'avete bravamente superata).

MEL.

Sì, Pegasino mio,

D'obbedirvi prometto,

E vel confermerò con un sonetto.

GAZZ.

Ah? (verso Pegasino)

PEG.

Non voglio sonetti,

Non voglio poesie.

MEL.

Come? che dite?

PEG.

A monte le pazzie.

MEL.

Oh Muse bestemmiate!

Oh Elicona schernito! oh Apollo offeso!

GAZZ.

Amico, come va? (a Pegasino)

9


PEG.

M'avete inteso? (a Melibea)

Se avete ad esser mia,

Voglio essere obbedito, e lo protesto.

MEL.

In altro, signor sì, ma non in questo.

GAZZ.

(Saldi, amico). (a Pegasino)

PEG.

Cospetto!

L'intendo a modo mio.

MEL.

Sapete chi son io?

Io sono Melibea,

Figlia di Melibeo

Discendente da Orfeo

Che anco le bestie dilettar solea;

E se dei versi miei

Piacer voi non avete,

Delle bestie d'allor più bestia siete.

GAZZ.

(Oh, come è rassegnata!) (a Pegasino)

PEG.

Orsù, già vedo

Che rimedio non c'è. Vi lascio. Addio.

Se siete pazza voi, non lo son io.

Per poco ho secondato

Il vostro umor bizzarro;

Ma quando poi mi deggio maritare,

Ci voglio pensare,

Non voglio impazzir.

L'intendo così,

Non fate per me;

Il male sta qui,

Rimedio non c'è.

(fa cenno a Gazzetta che Melibea ha il capo offeso)

Per spasso si può,

Ma sempre poi no.

Cantar qualche volta

Si puole, gnor sì.

Ma sempre così?

Andate,

Non fate,

Signora, per me. (parte)

SCENA SESTA

Melibea e Gazzetta

GAZZ.

(Anch'io mi proverò.

Spero che qualche cosa ottenerò).

MEL.

Che dite di quel pazzo?

Io non curo gli amori o i sdegni suoi, Perché solo, Gazzetta, ardo per voi.


GAZZ.

Ed io vostro sarò, ma con un patto...

MEL.

Sentite: allora quando

Sarem moglie e marito,

Pensar dovremo a proveder la casa.

GAZZ.

(Parmi che di far ben sia persuasa).

Cosa credete voi

Che sia più necessario?

MEL.

Ecco la nota

Di quel che indispensabile mi pare.

GAZZ.

(Meglio non si può fare).

Vi sarà biancheria, vestiti, argenti,

Tutto quel che volete.

MEL.

Io non vi cerco ciò.

GAZZ.

Dunque?

MEL.

Leggete. (gli dà un foglio)

GAZZ.

Leggiamo questa carta:

Nota di cose varie,

Utili, decorose e necessarie.

I Reali di Francia,

Don Amadis de Gaula,

Cleopatra, il Caloandro,

Semiramide, Ciro ed Ernelinda,

Gare de' disperati e Rosalinda...

Oh che donna economica e prudente!

MEL.

Leggete il rimanente.

Gilblas e Robinson,

Il Rosselli, Marianna, e a mano a mano

Tutte le istorie inglesi

E spagnole e francesi ed italiane,

E ogni Tasso stampato

Nel secolo presente e nel passato.

GAZZ.

Oh che moglie di garbo! Ed io vi dico

Che non vuò più romanzi;

Che dovrete curar l'economia

E lasciar dei romanzi la pazzia.

MEL.

Possibile, Gazzetta,

Che voi siate cangiato?

GAZZ.

Io sono illuminato.

MEL.

L'istorie abbandonate?

GAZZ.

D'istorie non mi curo.

MEL.

Gazzetta, dite il ver?

GAZZ.

Certo, sicuro.

MEL.

Ed io...

GAZZ.

Se voi seguite

A far quel che faceste sin ad ora,

Voi non fate per me, bella signora.

MEL.

Ma voi pur vi fingeste don Chisciotte

E Rinaldo e Tancredi...

GAZZ.

È vero, è vero;

Ma fu un divertimento.


Altre cure, altre voglie

Conviene aver quando si prende moglie.

MEL.

Quand'è così, Gazzetta,

Di fare a modo vostro ognor m'impegno.

GAZZ.

(D'averla ora mi par tirata a segno).

Amabile e vezzosa,

Dolce mia cara sposa,

Che bel goder contenti!

Che fortunato amor!

MEL.

Bell'amorin grazioso

Amabile e vezzoso,

Che bell'amar contenti!

Che fortunato ardor!

GAZZ.

Sarai mia dolce sposa?

MEL.

Per te sarò amorosa.

a due

Lieto sarà il mio cor.

GAZZ.

Quando sposa tu sarai,

Mio tesoro, che farai?

MEL.

Lo vedrai, sentirai

Che bei versi ti farò.

GAZZ.

Come! versi? Oh questo no.

MEL.

Senti, senti un'istoriella.

GAZZ.

Non l'ascolto.

MEL.

Bella, bella...

GAZZ.

Non m'importa...

MEL.

Corta, corta.

GAZZ.

Che pazienza! Dilla su.

MEL.

Una sola, e poi non più.

Vi era un re e una regina,

Che faceva in una tina

Una cosa da non dir.

E così quella regina...

GAZZ.

Ma via, presto...

MEL.

Nella tina

Era tanto bella, bella,

Che pareva chiara stella.

E così...

GAZZ.

E così, quand'è finita?

MEL.

La regina s'è invaghita...

D'un villan s'è innamorata.

E così...

GAZZ.

E così?

MEL.

Fu trasformata

Da una strega in un gattino.

GAZZ.

Basta, basta...

MEL.

Or viene il buono.

E così...

GAZZ.

Già stanco sono,

Non ne voglio sentir più.


MEL.

Anco questa, e poi non più.

La gattina se n'andò...

E così...

GAZZ.

E così?

MEL.

Il villano ritrovò.

Il villano e la regina,

E la strega e la gattina,

E così...

GAZZ.

Non posso più.

MEL.

Anco questa, e poi non più. (partono)

SCENA ULTIMA

Ritorna la sala rappresentante la Reggia di Parnaso.

Tutti compariscono successivamente.

Affrodisia ed Erideno

Allegri, contenti, Già sposi noi siamo. Lo studio lasciamo In grazia d'amor.

SACC.                              Io mi rallegro,

Sposi garbati, Lieti e beati Vi renda amor.

ARM.                                Do, re, mi, fa.

Evviva gli sposi! Fa, mi, re, do. Evviva l'amor!

Melibea, Pegasino e Gazzetta

All'andar, all'andar, all'andar, Non mi voglio maritar. Libertà, libertà, libertà, Più contento al cor mi dà.

Affrodisia ed Erideno

Col mio bene me n'andrò, E godrò Tutto il ben che amor mi dà.

Armonica e Ser Saccente


Col maestro la scolara S'unirà, partirà, Canterà La, do, re, mi, fa, sol, la.

Melibea, Pegasino e Gazzetta

Libertà, libertà.
Me ne vado alla città.
Chi vuol studio, studierà;
Chi vuol gioco, giocherà;
Chi vuol rider, riderà.
Questo mondo
Tondo tondo
Ciaschedun si goderà.
MEL.                               Ancor io mi sposerei,

Ma son due gli amanti miei. Se nessuno sposerò, Tutti due contenterò.

TUTTI

Tutti dunque in compagnia, In allegria, Diciamo su: Che ridicole pretese, Che ridicola virtù!

Fine del Dramma.