L’ebreo di Malta
Tragedia di Christopher Marlowe
Rappresentata per la prima volta a Londra secondo notizia certa nel 1592
Testo curato da
Guido d’Avino e Giuseppe Massara
DRAMATIS PERSONAE
FARNESE, governatore di Malta.
LODOVICO, suo figlio.
SELIM CALIMAT, figlio del Gran Turco.
MARTIN DEL BOSCO, viceammiraglio di Spagna.
MATTIA, gentiluomo.
GIACOMO, frate.
BARNARDINO, frate.
BARABBA, ricco ebreo.
ITAMORO, schiavo.
PILIA-BORZA, amico di BELLAMIRA.
Due mercanti.
Tre ebrei.
Cavalieri, pascià, ufficiali, guardie, schiavi, messaggeri e falegnami
CATERINA, madre di Mattia.
ABIGAIL, figlia di Barabba.
BELLAMIRA, cortigiana.
LA BADESSA.
UNA MONACA.
PROLOGO
MACHIAVELLI nelle vesti del Prologo.
Scena, Malta.
Entra MACHIAVELLI
MACHIAVELLI: [con lieve accento toscano]
Sebbene il mondo morto mi creda
L’anima mia s’è volata oltralpe
E or che ‘l Guisa è morto, dalla Francia vengo
a visitare queste terre e con gli amici a dilettarmi in compagnia.
Forse ad alcuni il mio nome ‘un garba punto,
Ma chi mi ama da tali lingue mi protegga
E sappian ch’io son Machiavelli
E che non stimo l’omo né dell’omo la parola.
Ammirazion mi viene dal mio peggior nemico
Diretti attacchi ricevono i miei libri,
Eppur si leggono e ivi si apprende com’attentar
Al trono di Pietro; ma chi mi respinge
Morte incontri per man de’ miei seguaci.
La religione considero un gran balocco
E l’unico peccato, l’ignoranza.
Rivelano gli uccelli i delitti del passato?
Mi vergogno di tali bischerate.
Si parla tanto di diritto alla corona.
Che titolo avea Cesare allora di prendersi l’Impero?
Quand’era la forza a fare i re, le leggi eran più secure,
Perché scritte col sangue a guisa di Dracone:
Ne vien ch’una ben munita cittadella
S’impone molto più della parola scritta.
Avesse tal principio Falaride osservato
Giammai nel bronzeo toro avrebbe muggito
Sull’invidia de’ grandi, ché è meglio da’ poveri sciocchi
L’essere invidiato — non compianto.
Ma dove vò a parare?
Non son venuto qui a tener discorsi
Ma a presentarvi la tragedia d’un Giudeo,
Che ghigna a veder le sacche sue ricolme di danari
Ammassàti grazie a’ trucchi e sotterfugi da me ispirati;
Da parte mia non chiedo altro – giudicatelo secondo i meriti,
E non trattatelo al peggio sol
Perché s’ispira a Machiavelli.
[Esce]
ATTO I
[BARABBA: lo si scopre nel suo ufficio, con montagne d’oro davanti]
BARABBA: Del mio denaro ecco il tornaconto;
E del terzo delle navi persiane
L’incasso ha ripagato l’azzardo.
E quanto a quelli di Samo e di Uz,
Che comprarono i miei olii spagnoli e vini greci,
Ecco che intasco le loro misere monetine.
Che seccatura contarle!
Ben vengano gli arabi che sì riccamente pagano
Le loro mercanzie a peso d’oro,
E così in un sol giorno si incassa
Quel che basta a una vita intera.
Il giovane bisognoso, che non ha mai un soldo,
Griderebbe al miracolo davanti a tanto denaro;
Ma chi invece ha sempre le casse piene,
E per tutta la vita
Si è consumato le dita a contarle,
Ora che è vecchio non ha più voglia di lavorare
Né di stancarsi a morte per questa miseria.
Meglio, quindi, i mercanti delle miniere indiane,
che sono abituati a commerciare con metalli di pura lega,
o il ricco Moro, che sui monti d’Oriente
raccoglie i suoi tesori indisturbato
e che in casa ammassa perle come sassolini:
lui li raccoglie, ma agli altri li fa pagare a peso d’oro!
Sacchi di opali infuocati, zaffiri, ametiste,
giacinti, topazi, verdi smeraldi,
i più bei rubini, diamanti lucenti
e gemme mai viste d’ un così gran valore
che solo una fra esse, a prezzo svalutato
e di sì picciol carato,
potrebbe servire, in caso di pericolo,
a riscattar grandi sovrani dalla prigionia.
Questo è ciò di cui m’occupo insomma;
e tutti gli uomini con un po’ di sale in zucca
dovrebbero distinguer questo giro d’affari dal commercio volgare,
per arricchirsi e mettere da parte
infinite ricchezze in poco spazio.
Come sta girando il vento?
Da che parte punta il becco del mio alcione?
Verso est? E le banderuole?
Tra est e sud: allora spero che le navi
Che ho mandato in Egitto e nelle vicine isole
Siano giunte presso le sponde sinuose del Nilo
E che le mie ragusèe di Alessandria
Zeppe di spezie e sete, ora veleggino
A gonfie vele sul Mediterraneo
Davanti a Candia, sulla rotta di Malta.
Ma chi è là?
[Entra un MERCANTE]
Cosa c’è ora?
MERCANTE: Barabba, le tue navi sono salve
nel golfo di Malta, così come tutti i mercanti,
e le tue merci sono arrivate in porto:
mi hanno mandato a chiederti se andrai di persona lì
e se le sdoganerai tu stesso.
BARABBA: Hai detto che le navi sono salve e zeppe?
MERCANTE: Sicuro.
BARABBA: Vai allora e ordina loro di sbarcare,
E di portare con sé le polizze di sbarco:
Spero che le mie ricchezze facciano
Le mie veci alla dogana.
Manda loro sessanta cammelli, trenta muli
E venti carri per trasportar la merce.
Ma non stai tu a capo di una delle mie navi?
Non basta la tua presenza come garanzia?
MERCANTE: Solo d’ imposta chiedono di più
Di quanto possano permettersi in città molti mercanti
E quindi più di quanto possiedo nelle mie tasche.
BARABBA: Va’ e di’ loro che ti manda l’ebreo di Malta:
chi tra loro non conosce Barabba?
MERCANTE: Vado allora.
BARABBA: Insomma, comunque è arrivato qualcosa no?
Dimmi: di quale delle mie navi sei a capo?
MERCANTE: Della Speranza.
BARABBA: Possibile che non hai veduta
La mia ragusèa ad Alessandria?
Certo, non vieni dall’Egitto o dal Cairo,
ma nei pressi del delta del fiume,
dove il Nilo versa il suo tributo al mare,
devi aver veleggiato davanti ad Alessandria!
MERCANTE: Non l’ho né vista né ho avuto sue notizie:
ma ho sentito alcuni marinai stupirsi del fatto
di aver affidato tante ricchezze
ad una nave vecchia come quella.
BARABBA: Ma che uomini saggi! La conosco, so che è robusta.
Va’ via ora, scarica la tua nave
E ordina al mio agente di sdoganar la merce.
[Esce il MERCANTE]
Eppure quella nave mi preoccupa…
[Entra un secondo MERCANTE]
SECONDO MERCANTE: Barabba, la tua ragusèa da Alessandria
È giunta adesso nel porto di Malta,
piena di ricchezze e una gran quantità
di sete persiane, d’oro e di perle d’Oriente.
BARABBA: Perché non sei giunto con le altre navi
Provenienti dall’Egitto?
SECONDO MERCANTE: Ma non le abbiamo viste!
BARABBA: Forse avranno costeggiato la spiaggia di Candia
Per via degli olii o di qualche altro affare.
Ma hai rischiato a far tanta strada
Senza l’aiuto o la guida di quelle navi.
SECONDO MERCANTE: Barabba, ci precedeva una flotta spagnola,
a meno di una spanna di distanza.
Erano a caccia di galèe turche.
BARABBA: Allora eran diretti in Sicilia.
D’accordo, vai
E ordina ai mercanti e ai miei uomini di far in fretta,
Di attraccare in porto e di scaricare le navi.
SECONDO MERCANTE: Vado subito.
[Esce]
BARABBA: Vengo ricoperto di ricchezze da ogni parte,
dalla terra e dal mare:
stanno per esaudirsi le preghiere degli ebrei
e sta per giungere la felicità del vecchio Abramo:
cosa può fare di più il cielo per l’uomo
oltre a mettergli tra le braccia l’abbondanza,
aprire la terra in due al suo passaggio,
sottomettergli i mari e indirizzare,
grazie ai venti, i suoi beni al sicuro?
Chi è che mi odia solo per la mia felicità?
Solo chi è ricco viene rispettato?
Preferisco essere odiato, da ebreo
Piuttosto che compatito dalla povertà cristiana;
Perché nella fede loro non vedo nessun frutto,
Ma solo malizia, falsità e orgoglio,
Concetti che non vanno d’accordo col loro credo.
E se qualcuno avrà coscienza,
A causa sua vivrà nella miseria.
Dicono che siamo un popolo vagabondo:
Non posso dirlo con sicurezza, ma so che ci siamo arricchiti
Più di tutti quei falsi devoti.
C’è Kirriah Jairim, il grande ebreo greco,
Obed a Bairseth, Nuñes in Portogallo,
Io a Malta, qualcun’altro in Italia,
Molti in Francia e tutti ricchi,
O almeno più ricchi di un qualsiasi cristiano.
Ammetto che non possiamo diventare dei re:
Ma non per una nostra colpa: siamo in pochi
E la corona si tramanda per eredità
O con la forza: ma qualunque cosa nasca
Dalla violenza, non può durare.
Dateci il ruolo di pacieri; fate re il cristiano
Perché lui sì che è assetato di regalità.
Non ho obblighi, né molti bambini,
Ma una sola figlia, che mi è cara
Come lo fu Ifigenia per Agamennone
E tutto ciò che possiedo è suo. Ma chi arriva?
[Entrano tre EBREI]
PRIMO EBREO: Ma non mi dite! È stata una loro trovata.
SECONDO EBREO: Andiamo da Barabba;
Lui sì che sa consigliarci in questi casi.
Anzi eccolo che arriva.
BARABBA: Come va compagni!
Perché venite a farmi visita così numerosi?
C’è qualcosa che interessa noi ebrei?
PRIMO EBREO: Barabba, una flotta di galee minacciose
È giunta dalla Turchia ed è nel nostro porto:
Il nostro consiglio si è riunito
Per ricevere i loro ambasciatori.
BARABBA: Che vengano pure, purché non portino guerra,
O che combattano, purché noi possiamo uscirne vincitori
[a parte]
Anzi che combattano, conquistino e uccidano tutti,
basta che risparmino me, mia figlia e la mia roba.
PRIMO EBREO: Ma allora, se vengono per un’alleanza,
Non dovrebbero essere sul piede di guerra!
SECONDO EBREO: Temo che il loro arrivo sarà una minaccia per noi.
BARABBA: Inetti, che ve ne importa di quanti sono?
Che bisogno hanno di trattare se siamo già alleati?
Tra turchi e maltesi c’è un accordo.
No, no, no…c’è dell’altro dietro.
PRIMO EBREO: Barabba, loro vogliono o la guerra o la pace.
BARABBA: Nessuna delle due, sono solo di passaggio
Verso Venezia per il mar Adriatico,
L’hanno fatto molte volte,
Ma non ne hanno guadagnato mai niente.
TERZO EBREO: Ben detto, può darsi che sia proprio così.
SECONDO EBREO: Comunque c’è questa riunione del Senato
E ogni ebreo deve presentarsi
BARABBA: Humm…dici tutti gli ebrei di Malta?
Sì, può essere: allora che ognuno di noi
Obbedisca, e per favore si presenti.
Se ci fosse qualcosa che riguarda il nostro benessere
Vi assicuro che ci penserò io [a parte]…alle mie ricchezze.
PRIMO EBREO: Siamo certi che lo farai; d’accordo amici, andiamo.
SECONDO EBREO: Sì, andiamo. Addio Barabba.
BARABBA: Andate pure, addio Zaareth, addio Temainte.
[Escono gli ebrei]
E ora Barabba, il tuo segreto puoi svelare
Convoca i sensi, richiama il tuo intelletto,
Quei poveracci non capiscono il problema.
A lungo Malta pagò un tributo al turco,
Che per un gioco politico,
Ha lasciato accumulare a tal punto
Che tutto l’oro di Malta non potrebbe ripagare.
Ed ora questo è un pretesto
Per conquistare la città: sì, questo vogliono.
Vada come vada, mi metterò ai ripari
E in tempo cercherò di sfuggire al peggio
Custodendo attentamente i miei tesori.
Ego mihimet sum semper proximus:
Che entrino e si prendano pure la città.
[Esce]
Entra Fernese, governatore di Malta, cavalieri e ufficiali; incontrano Calimat e i pascià turchi.
FERNESE: Dunque pascià, cosa volete da noi?
PRIMO PASCIÀ: Cavalieri di Malta, lo sapete bene
Che arriviamo da Rodi, da Cipro, Candia
E dalle altre isole mediterranee.
FERNESE: Cosa c’entriamo noi con Cipro,
Rodi e le altre isole? Allora cosa volete?
CALIMAT: Il saldo di dieci anni di tributi non pagati.
FERNESE: Signore, ma la somma è troppo grande!
Spero che la vostra bontà se ne renda conto.
CALIMAT: Alto Governatore, vorrei che fosse
In mio potere aiutarvi:
Ma questa è la causa di mio padre
Perciò né posso né voglio contrastarla.
FERNESE: Lasciaci almeno da soli un po’, grande Selim.
CALIMAT: Andiamo e lasciamo che i cavalieri parlino.
Preparate le galee, perché fortunatamente
Non rimarremo qui a lungo.
Dunque governatore, come risolviamo?
FERNESE: Poiché ci richiedete una
Condizione tanto dura per il saldo
Di un tributo decennale,
Accordateci almeno il tempo
Di organizzare una questua per Malta.
PRIMO PASCIÀ: Questo non era previsto.
CALIMAT: Suvvia Calapino!Sii gentile!
Vediamo quanti giorni ci chiedono, forse non troppo.
È più regale ottenere qualcosa con le buone maniere
Che estorcere con la forza.
Quanto tempo chiedete Governatore?
FERNESE: Solo un mese.
CALIMAT: E sia, ma mantenete la promessa.
E ora variamo verso il mar con le nostre galee
Dove aspetteremo il dovuto tributo
E per la riscossione invieremo un nostro messaggero.
Addio alto Governatore e coraggiosi cavalieri maltesi!
FERNESE: Che Dio ti protegga Calimat!
[Esce Calimat e i pascià].
Che uno di voi raduni quegli ebrei:
Non erano chiamati a comparire oggi?
PRIMO UFFICIALE: Si signore, ed infatti arrivano.
[Entrano Barabba e tre ebrei]
PRIMO CAVALIERE: Avete già in mente il discorso?
FERNESE: Sì, lasciateci soli. E voi, ebrei, avvicinatevi.
Del grande imperatore turco, suo figlio,
Il grande Calimat, è venuto
Ad esigere il saldo di dieci anni non pagati.
Questo è quello che ci preoccupa.
BARABBA: Ma allora, signore, per rimanere tranquillo
Dovrebbe consegnare loro quello che vogliono.
FERNESE: Calma Barabba, c’è di più.
La somma calcolata pel riscatto
È assai maggiore alle risorse nostre
Esaurite per le guerre combattute
E dunque a noi serve il vostro aiuto.
BARABBA: Ma noi non siamo soldati!
Come combattiamo un principe così potente?
PRIMO CAVALIERE: Smettila ebreo! Lo sappiamo bene
Che non sei un soldato.
Un mercante sei, e zeppo di soldi,
E noi, Barabba, proprio quelli vogliamo.
BARABBA: Cosa? Il mio denaro?
FERNESE: Il tuo e degli altri.
Insomma dovete darci quello che avete.
PRIMO EBREO: La prego signore, noi siamo quasi tutti poveri!
FERNESE: Allora che i ricchi paghino di più!
BARABBA: E gli stranieri devono essere vessati dal vostro tributo?
SECONDO CAVALIERE: Gli stranieri non si arricchiscono
Con la nostra economia?
Che paghino anch’essi dunque!
BARABBA: Equamente?
FERNESE: No ebreo, come infedeli,
Giacché noi sopportiamo le vostre vite odiose,
Maledette agli occhi di Dio
E siamo puniti con tasse e dolori:
Perciò è deciso.
Leggi gli articoli del nostro decreto.
UFFICIALE: [legge] In primo loco, la summa postulata dai Turchi sarà raccolta inter Iudais et ogni uno avrà a versare metà del proprio patrimonio.
BARABBA: Ma come, metà patrimonio? [a parte] Spero non del mio.
FERNESE: Continua a leggere.
UFFICIALE: [legge] In segundo loco, colui che si rifiuti di pagare, dovrà convertirsi repentinamente.
BARABBA: Convertirmi? [a parte] Cosa mi conviene fare?
UFFICIALE: Postremo, colui che rifiuti etiam hoc, perderà immediatamente omnia.
TRE EBREI: Signore, noi consegniamo la metà.
BARABBA: Disgraziati, voi non siete della stirpe di Abramo!
Così vilmente vi sottomettete
A lasciar i vostri beni all’arbitrio altrui?
FERNESE: Perché Barabba, tu vuoi diventare cristiano?
BARABBA: No, non mi convertirò di certo.
FERNESE: Allora versa la tua metà.
BARABBA: Sapete cosa significa questo per me?
Metà dei miei averi sono il benessere di una città.
Governatore, non è così semplice
Altrimenti pagherei tranquillamente.
FERNESE: Il nostro decreto prevede la metà:
O la versate o vi confischiamo tutto.
BARABBA: Maledizione! Aspettate: la metà vi cedo,
Che venga però trattato come i miei amici.
FERNESE: No ebreo, ormai hai rifiutato i nostri articoli
E indietro non si può più tornare.
[Escono gli ufficiali a un cenno di Fernese]
BARABBA: Ruberete dunque tutti i miei beni?
È il ladrocinio la filosofia del vostro Dio?
FERNESE: No ebreo: roviniamo te in particolare,
Per risparmiare la rovina di un popolo intero:
Meglio a uno che a tanti no?
Ma non verrai esiliato, no,
Continuerai a vivere qui, a Malta,
Ove hai incrementato la tua ricchezza
E se vuoi puoi ricominciare a farlo.
BARABBA: Ormai cosa posso far moltiplicare?
Dal nulla si ricava nulla.
PRIMO CAVALIERE: Una volta dal nulla sei arrivato
Alla ricchezza: dal poco al tanto, dal tanto al molto.
Se la vostra prima maledizione si scaglierà sul tuo capo
E ti renderà povero, deriso da tutti,
Be’, questo non è affar nostro,
Ma è la colpa di essere nato ebreo.
BarabbA: Ah, usate le Scritture per giustificare i vostri
Errori? Non mi fate la predica per avere i miei beni.
Certo, alcuni Ebrei sono cattivi, come lo è ogni Cristiano;
Ma se anche la stirpe dalla quale io discendo
Fosse tutta naufragata per aver peccato,
Dovrei forse pagare io per la loro trasgressione?
Chi agisce correttamente vivrà;
E chi di voi può accusarmi del contrario?
Fernese: Via di qui, sciagurato Barabba!
Non ti vergogni di giustificarti in tal modo,
Come se noi non conoscessimo la tua professione?
Se confidi nella tua rettitudine
Sii paziente e le ricchezze aumenteranno.
L’eccesso di benessere è motivo di avarizia
E l’avarizia, oh, quello sì che è un terribile peccato!
Barabba: Sì, ma rubare è ancora peggio. Non portatemi via niente,
Allora, ché questo è un furto; ma, se mi derubate,
Sarò costretto a farlo anch’io, e più di voi.
PRIMO CAVALIERE: Esimio Governatore, non date peso ai suoi
Lamenti. Trasformate il suo palazzo in un convento.
La sua casa ospiterà molte sante monache.
Fernese: Così sarà.
[Rientrano gli ufficiali]
Dunque, ufficiali, avete fatto?
PRIMO UFFICIALE: Sì, mio Signore. Abbiamo preso i beni
E le merci di Barabba che, valutate,
Valgono più di ogni ricchezza di Malta.
Degli altri, invece, abbiamo preso la metà.
Fernese: Provvederemo dopo al rimanente.
Barabba: Siete soddisfatto, adesso, mio Signore?
Avete i miei beni, il mio denaro, la mia ricchezza,
Le mie navi, i magazzini, tutto ciò di cui godevo.
Avendo tutto, non potete richiedermi nient’altro,
A meno che i vostri implacabili, duri cuori di selce
Non sopprimano ogni pietà nel vostro animo di pietra
Sì da muovervi a privarmi della stessa vita.
Fernese: No, Barabba. Non è da noi
Macchiarci le mani con il sangue.
Barabba: Beh, a me sembra un’offesa ben minore
Togliere la vita a delle misere persone
Piuttosto che esser causa della loro povertà.
Voi avete i miei beni, il lavoro di una vita,
Il conforto di un’età, la speranza dei miei figli:
Eppure non capite il vostro errore.
Fernese: Accontentati Barabba. Non hai altro che ragione.
Barabba: Ah, la vostra ragione non mi crea altro che danno;
Tenetevela voi, nel nome del diavolo!
Fernese: Su, andiamo, e ricaviamo da quei beni
Il denaro per il tributo ai Turchi.
PRIMO CAVALIERE: Dobbiamo assolutamente preoccuparci di
Questo, ché, se andremo oltre il termine, romperemo
L’alleanza e daremo prova di una debole politica.
[Escono tutti tranne Barabba e i tre Ebrei]
Barabba: Ah, la politica! È quello il loro mestiere,
E non la semplicità, come vogliono far credere.
Oh, grande Primis Motor, infliggi su di loro
Le piaghe dell’Egitto, la maledizione del cielo,
La sterilità della terra e tutto l’odio degli uomini;
E qui in ginocchio, dando pugni a terra,
Condanno le loro anime a un’eterna sofferenza
E alle torture più estreme dell’abisso più infuocato,
Ché così mi hanno trattato nel mio dolore!
PRIMO EBREO: Suvvia, abbi pazienza, gentile Barabba!
Barabba: Oh, sciocchi fratelli, nati per assistere a questo giorno.
Perché non vi commuovono i miei lamenti?
Perché non piangete al pensiero delle mie disgrazie?
Perché non mi struggo, e muoio in tale dolore?
PRIMO EBREO: Ma Barabba, riusciamo a stento a sopportare
Il crudele trattamento che è stato riservato a noi:
Hai visto anche tu che ci hanno tolto la metà dei nostri beni.
Barabba: E perché mai avete ceduto alla loro estorsione?
Voi eravate in tanti, e io uno solo;
E solo a me hanno tolto tutto.
PRIMO EBREO: Ma fratello Barabba, ricordati di Giobbe.
Barabba: Cosa? Parli a me di Giobbe? So bene riguardo ai suoi
Averi cosa è scritto, cioè che aveva settemila pecore,
Tremila cammelli, duecento buoi da lavoro
Aggiogati, e cinquecento asinelle:
Ma se anche per ognuno di essi
Fosse stato valutato il giusto prezzo,
Io avevo in casa, nella mia nave pregiata
E in altre navi appena giunte dall’Egitto
Quanto basta a comperare le sue bestie, e pure lui;
E in più tenermi abbastanza per continuar la bella vita.
Perciò non lui ma il giorno
Della tua fatale nascita maledico, oh misero Barabba!
D’ora in poi desidero una notte senza fine,
Che le nuvole del buio mi avvolgano la carne
E celino ai miei occhi questi estremi patimenti.
Solo per questo ho faticato, per ereditare qui
Mesi di vanità, perdita di tempo,
E notti di dolore: questo è stato stabilito per me.
SECONDO EBREO: Buon Barabba, abbi pazienza.
Barabba: Vi prego, lasciatemi in pace. A voi,
Che non avete mai avuto ricchezze, piace la povertà!
Ma concedete, per lo meno, libertà di lamentarsi
A chi in battaglia, tra i nemici,
Vide i suoi uomini uccisi, e se stesso disarmato,
E non sa come riaversi.
Sì, lasciatemi patire questa sorte improvvisa;
È nel dolore del mio spirito che parlo:
Le grandi ingiustizie non si dimenticano facilmente.
PRIMO EBREO: Andiamo. Lasciamolo solo. Nello stato d’animo in
Cui è le nostre parole aumenterebbero solo il suo furore.
SECONDO EBREO: Andiamo, allora. Ma, fìdati, è una sofferenza
Vedere un uomo tanto afflitto.
Barabba: Sì, addio a voi.
[Escono i tre Ebrei]
Ma guardate la semplicità di quei vili schiavi
Che, poveri stupidi, non hanno alcun ingegno
E mi credono un’inerte zolla d’argilla
Che si dissolve ad un solo getto d’acqua.
No, Barabba è destinato ad una sorte migliore,
Di forma assai più fine di quella della plebe
Che non bada ad altro che al tempo presente.
Un pensiero tenterà di raggiungere i suoi ingegni più profondi
E disporrà con astuzia il futuro che verrà,
Ché i mali, non si sa mai quando possono accadere.
[Entra Abigail, figlia dell’Ebreo]
Ma dove va la mia bella Abigail?
Cosa ha reso così triste la mia amata figliola?
Suvvia ragazza, non piangere per una piccola perdita,
Che tuo padre ha in magazzino ancora qualcosa per te.
Abigail: Non piango per me, ma per il vecchio Barabba.
Padre mio, è per te che Abigail si lamenta.
Ma imparerò a trattenere le mie lacrime infruttuose
E, piuttosto, stimolata dalle mie sofferenze
Correrò giù al Senato con violenti lamenti,
E nel Senato ammonirò tutti i presenti.
Strazierò i loro cuori strappandomi i capelli
Fino a che non ridurranno a mio padre i torti fatti.
Barabba: No, Abigail, le cose che non hanno più rimedio
Difficilmente si curano con i lamenti.
Non parlare, figlia mia, la sofferenza crea conforto;
Forse il tempo ci darà un’altra occasione
Che la fretta non può dare a noi in cambio.
E poi, ragazza mia, non mi credere così sciocco
E disattento, da andare avanti
Senza prendere misure per entrambi.
Prevedendo io il peggio, prima che questo accadesse,
Ho nascosto attentamente
Diecimila portoghesi ed inoltre grosse pietre,
Costosissimi gioielli e infiniti preziosi.
Abigail: Dove, papà?
Barabba: In casa, figlia mia.
Abigail: Oh, allora Barabba non li rivedrà mai più:
Hanno preso la nostra casa e tutte le tue merci.
Barabba: Ma spero che mi lasceranno entrare ancora una volta
In casa mia.
Abigail: Non credo:
Ho lasciato lì il Governatore a far posto alle monache
E a scacciare me. Della nostra casa hanno intenzione
Di creare un convento dove solo quella setta
Vi potrà entrare; agli uomini è proibito.
Barabba: Il mio oro, tutto quanto, e i mie beni son perduti!
Oh, ingiusti cieli, ho io meritato una simile rovina?
E voi, stelle disgraziate, che cos’è che mi opponete
Sì da farmi, nella mia povertà, anche disperato?
E sapendo che io sono impaziente nel dolore
Mi credete così pazzo sì da togliermi la vita
Per sparire via, nell’aria, lontano dalla terra
E lasciare alcuna traccia della mia vita esistente?
No, io vivrò, e non detesto questa vita:
E se sarò abbandonato così, nell’oceano,
Ad annegare o a nuotare, secondo i miei espedienti
Desterò allora i miei sensi e così mi sveglierò.
Figlia mia ho la soluzione. Vedi in quale situazione
I Cristiani mi hanno oppresso: ma
lasciati guidare da me, perché in dei casi estremi
Non dobbiamo preoccuparci di essere corretti.
ABIGAIL: Padre, cosa non farei per punire
Coloro che ci hanno recato un simile torto.
BARABBA: Ecco, allora devi aiutarmi: dici che la mia casa
Ora è un convento e che vi sono delle monache?
ABIGAIL: Si padre.
BARABBA: Ebbene, figlia mia andrai lì e ti farai ammettere
Dalla badessa.
ABIGAIL: E come! Da monaca?
BARABBA: Si figlia; poiché la religione
Occulta le malefatte da ogni sospetto.
ABIGAIL: Si, ma... padre, di me sospetteranno.
BARABBA: Lascia che sospettino, ma inducili a credere
Che la tua devozione è sincera.
Sii cortese, parla cordialmente e fai creder d’aver tanto peccato
Finché non le indurrai ad ammetterti.
ABIGAIL: Dovrò fingere davvero molto, padre.
BARABBA: E allora?
Più facile fingere ciò che non vuoi
Che negare la nuda verità: meglio un credo simulato
Che una celata ipocrisia.
ABIGAIL: Ebbene padre, supponiamo che mi accettino,
Cosa faremo dopo?
BARABBA: Esattamente questo:
Ho nascosto sotto l’asse del pavimento di una stanza,
Al piano di sopra, oro e gioielli che avevo conservato per te.
E qui siamo al punto: sii astuta figlia.
ABIGAIL: Ma allora padre, andiamo insieme.
BARABBA: Non possiamo, Abigail.
È necessario che non mi vedano
Perché fingerò d’esser adirato con te.
Se userai l’astuzia, figlia mia, riavrò il mio oro.
[Si ritirano]
[Entrano FRA’ GIACOMO, FRA’ BERNARDINO, lA badessa e una monaca]
FRA’ GIACOMO: Sorelle,
Siamo quasi giunti al nuovo convento.
BADESSA: Meglio per noi; sapete non ci piace essere in mostra.
Sono quasi 30 inverni che molte di noi
Non camminano tra la folla.
FRA’ GIACOMO: Sorella,
Le acque di questo nuovo convento
Vi piaceranno molto.
BADESSA: Può darsi – ma chi arriva?
[Abigail si avvicina]
ABIGAIL: Madre e voi vergini felici,
Abbiate pietà di una fanciulla angosciata!
BADESSA: Chi sei figliola?
ABIGAIL: La figlia disperata di un ebreo infelice,
L’ebreo di Malta,
Il proprietario di una bella casa
Che ora è divenuta un convento.
BADESSA: Parla figliola, come possiamo aiutarti?
ABIGAIL: Temo che il dolore di mio padre
Sia causato dal peccato;
Per questo vorrei far voto di penitenza
E diventare novizia del vostro convento,
Affinché la mia anima abbia sollievo.
FRA’ GIACOMO: Senza dubbio, fratelli,
Questo proviene dall’anima.
FRA’ BERNARDINO: Sicuro, e per giunta da un’anima
Commovente fratello; intercediamo affinché sia ammessa.
BADESSA: E sia figliola, ti accettiamo come monaca.
ABIGAIL: Prima, però, lasciate che da novizia impari a guidare
L’anima mia solitaria secondo le vostre rigide regole;
Vi chiedo di farmi alloggiare in quella che una volta era la mia stanza,
Sono certa che con i vostri divini precetti
E la mia industria trarrò molto profitto.
BARABBA: [a parte] E tanto spero, almeno quanto vale
Ciò che ho nascosto.
BADESSA: Vieni figliola, seguici.
BARABBA [facendosi avanti] Cosa fai Abigail in mezzo
A quegli odiosi Cristiani?
FRA’ GIACOMO: Non ostacolarla, tu, uomo di poca fede,
Non la vedi, è già mortificata.
BARABBA: Come mortificata?
FRA’ GIACOMO: Ed è stata ammessa tra le novizie.
BARABBA: Figlia rovinata, vergogna di tuo padre!
Cosa fai in mezzo a questa ignobile cerchia?
Ti maledirò se non lasci questi diavoli
E la loro dannata eresia.
ABIGAIL: Padre, concedimi il tuo…
BARABBA: No Abigail, va’ via.
[a parte rivolto ad Abigail] E non dimenticare l’oro e i gioielli,
L’asse è marchiato da questo segno.
[a voce alta] E stai lontana dalla mia vista.
FRA’ GIACOMO: Barabba, benché tu sia miscredente
E non voglia vedere le tue disgrazie,
Lascia che almeno lei apra gli occhi.
BARABBA: Frate cieco, risparmia le parole.
[a parte ad Abigail] l’asse è marchiato da questo segno.
[a voce alta] Preferisco morire piuttosto che vederla così.
Perché mi abbandoni così miseramente figlia sedotta?
[a parte] Vai e non dimenticare.
[a voce alta] Conviene agli ebrei essere così creduli?
[a parte] Domani all’alba ti aspetto al portone.
[a voce alta] Non avvicinarti, se non vuoi che ti condanni.
Non cercarmi più, dimenticami, vattene!
[a parte] Addio. Ricorda, domani mattina.
[a voce alta] Via, via sciagurata.
[Escono da una parte Barabba, dall’altra i frati, la badessa, la monaca e Abigail]
[Entra Mattia]
MATTIA: Cosa? La bella Abigail ,la figlia del ricco ebreo
Si fa monaca? La rovina del padre
L’avrà umiliata e indotta a questo.
Suvvia, starebbe meglio ad ascoltare storie d’amore
Piuttosto che annoiarsi con preghiere e sermoni.
Più gradevole sarebbe per lei un letto
Con un tenero giovane che l’abbracci
Invece di alzarsi a mezzanotte per la messa.
[Entra LOdovico]
LODOVICO: Don Mattia, come va? Giù di corda?
MATTIA: Credimi, nobile Lodovico, ho assistito
Alla cosa più strana che, a parer mio,
Abbia mai vista.
LODOVICO: Ti prego, dimmi cosa.
MATTIA: Una ragazza deliziosa, di circa 14 anni,
Il fiore più bello del giardino di Venere,
Strappato ai piaceri della terra
E trasformato in… monaca!
LODOVICO: Dimmi, chi è costei?
MATTIA: La figlia del ricco ebreo.
LODOVICO: Chi, Barabba? Che ha veduto tutti i suoi beni confiscati? Ed è così bella?
MATTIA: Una bellezza senza pari;
Se l’avessi vista sapresti che anche un cuore
Incastonato tra muri d’ottone avrebbe sprigionato amore
O almeno pietà.
LODOVICO: Se davvero è così bella come tu dici
Si potrebbe farle visita,
Che dici? Possiamo?
MATTIA: Io devo e voglio, signore, non c’è rimedio.
LODOVICO: Anche io lo voglio, e molto.
Addio Mattia.
MATTIA: Addio Lodovico.
ATTO II
[Entra Barabba con un lume]
BARABBA: Così come il corvo solitario
Sparge veleno dal becco sui malati
E nell’oscurità della notte
Libera il contagio dalle ali nere,
Così Barabba, povero e tormentato,
Libera ogni sorta d’ ingiuria contro i cristiani.
Le gioie incerte del tempo solerte fuggirono,
Lasciandomi disperato.
Dei miei primi tesori non rimane che il ricordo,
Come la cicatrice del soldato
A conforto della mutilazione.
Tu che guidasti con colonne infuocate
I figli d’Israele attraverso ombre tetre,
Illumina la prole di Abramo e guida la mano
Di Abigail questa notte! Fa che il giorno
Si trasformi in tenebre oscure!
Questi occhi attenti non troveranno mai riposo,
Né i miei pensieri troveranno pace
Finché non avrò risposta da Abigail.
[Entra Abigail]
ABIGAIL: Ecco il momento giusto
Per frugare nell’asse che mio padre ha segnato.
Eccoli qui nascosti, li ho trovati:
Oro, perle, gioielli.
BARABBA: Solo ora rammento le storie che alcune vecchie
Mi raccontavano quand’ero ricco;
Parlavan d’anime e fantasmi che di notte s’aggiravano
In posti pieni di tesori nascosti.
Ora mi par d’essere uno di loro.
Finché vivo, qui vive la mia speranza,
E alla mia morte sempre qui vagherà il mio spirito.
ABIGAIL: Se mio padre avesse la fortuna
Di stare qui, in questo posto felice!
Egli ora non è così tranquillo; quando ci separammo
Disse di vederci al mattino.
Sonno gentile, ovunque egli sia
Fa’ che Morfeo gli faccia sognare
Un sogno tutto d’oro.
Che si svegli e venga a prendere il tesoro che ho trovato.
BARABBA: Bien para todos mi ganada no es.
Seduto qui così tristemente, sarebbe meglio andare.
Un attimo soltanto, quale stella vedo brillare ad Oriente?
La stella polare dell’esistenza mia è Abigail!
Chi è là?
ABIGAIL: Chi è là?
BARABBA: Non profferir parola, Abigail, sono io.
ABIGAIL: Allora, padre, ecco a te le tue gioie.
BARABBA: Le hai dunque?
ABIGAIL [lancia dei sacchi]: Eccoli, li hai presi?
E ce n’è ancora e ancora e ancora.
BARABBA: Oh figlia mia,
Il mio oro, la mia fortuna, la mia felicità!
Forza dell’anima mia, morte del mio nemico!
Benvenuto sia il principio della mia beatitudine!
Oh Abigail, Abigail, se avessi qui anche te
I miei desideri sarebber tutti appagati.
Escogiterò la tua liberazione,
Oh figlia, oh oro, oh bellezza, oh mia felicità!
[Abbraccia i suoi sacchi]
ABIGAIL: Padre, la mezzanotte s’avvicina,
E le monache a quest’ora iniziano a svegliarsi,
E per non destar sospetti è necessario separarsi.
BARABBA: Addio gioia mia, e dalle mie dita
Ricevi questo bacio che proviene dall’animo mio.
Dischiudi ora, oh Febo, le palpebre del giorno,
E non il corvo, ma l’allodola del mattino, sveglia,
Affinché io possa librarmi nell’aria con lei,
Cantando su questi, come lei sui piccoli suoi.
Hermoso placer de los dineros.
[Esce]
[Entrano IL GOVERNATORE (FERNESE), MARTIN DEL BOSCO, I CAVALIERI e GLI UFFICIALI]
FERNESE: E ora, Capitano, verso quali terre vi dirigete?
Da dove giunge la nave che nel nostro porto ormeggia?
E perché siete sbarcati senza la nostra concessione?
BOSCO: Governatore di Malta, proprio qui ci dirigiamo.
La nave mia, il Drago Volante, dalla Spagna giunge,
E da lì vengo anch’ io. Il mio nome è Del Bosco,
Vice-ammiraglio del sovrano cattolico.
CAVALIERE: E’ vero, mio Signore, perciò rendetegli
Lusinghiera accoglienza.
BOSCO: Trasportiamo greci, turchi e mori d’Africa,
Poiché, non molto tempo fa, presso le coste della Corsica,
Non avendo reso omaggio alla flotta turca,
Le loro striscianti galee ci diedero la caccia.
Ma all’improvviso cominciò a levarsi il vento
E dunque noi virammo e combattemmo agilmente.
Ne abbiam bruciate alcune, e molte affondate,
E una di queste fu il nostro bottino:
Il capitano ucciso, gli altri nostri schiavi,
Di cui qui a Malta faremo compravendita.
FERNESE: Martin del Bosco, ho già sentito qualcosa sul vostro conto:
Che siate il benvenuto a Malta e fra noi tutti.
Ma acconsentire alla vendita dei vostri turchi
Non possiamo, invero non osiamo,
E la ragione è l’alleanza tributaria che ci lega.
CAVALIERE: Del Bosco, in virtù del vostro amore e della vostra
Stima, persuadete il Governatore nostro contro il turco.
La tregua a noi concessa è nell’attesa del denaro,
E col denaro che lui brama gli si può muovere guerra.
DEL BOSCO: I cavalieri di Malta con i turchi in alleanza,
Comprata con viltà per scambio di denaro?
Ricordate, mio signore, che a disdegno dell’Europa,
La cristiana isola di Rodi, donde voi siete venuti,
La perdeste di recente, e qui vi siete stabiliti
Per mostrare ai Turchi un odio senza fine.
FERNESE: Ne siamo a conoscenza, Capitano,
Ma esigue sono le nostre forze.
DEL BOSCO: A quanto ammonta la somma di denaro?
FERNESE: A centomila corone.
DEL BOSCO: Il mio Signore e Sovrano su quest’isola ha titolo,
E rapidamente di qui intende scacciarli via.
Lasciatevi dunque guidare da me, e trattenete l’oro;
Scriverò a Sua Maestà per chiedere aiuto
E non prenderò congedo finché non v’avrò liberati.
FERNESE: A queste condizioni che sian venduti i turchi.
Andate, ufficiali e metteteli in mostra senz’esitare.
[Escono gli UFFICIALI]
Del Bosco, sarete voi di Malta il generale.
I cavalieri ed io vi seguiremo
Contro quei turchi miscredenti e barbari.
BOSCO: Imiterete dunque gli antenati vostri,
Quando orribili forze assediarono Rodi,
E sebbene fossero in pochi a difendere la città,
La guerra combatterono. Nessuno sopravvisse
A informar della sciagura il popolo cristiano.
FERNESE: Così combatteremo, andiamo via.
Fiero e temerario Calimat, anziché l’oro,
Pallottole ti manderemo, in fumo e fuoco avvolte.
Ovunque tu richieda i tuoi tributi, saremo risoluti:
L’onore col sangue si compra, non con l’oro.
[Escono]
[Entrano gli UFFICIALI con ITAMORO e altri SCHIAVI]
PRIMO UFFICIALE: Ecco il mercato, lasciateli qui.
Non temiate la loro vendita,
Perché presto li compreranno.
SECONDO UFFICIALE: Il prezzo di ciascuno è scritto sulla schiena
E tale deve essere la rendita loro,
Pena il non essere venduti.
PRIMO UFFICIALE: Ecco che arriva l’Ebreo, le cui ricchezze,
Se non gliel’avesser confiscate,
A noi le avrebbe consegnate in contanti,
In cambio di tutti loro.
[Entra BARABBA]
BARABBA: A dispetto di questi Cristiani mangiatori di porco,
Popolo non eletto, mai circonciso;
A dispetto loro, poveri diavoli, ignorati
Finché a Tito e Vespasiano noi non fummo sottomessi,
Ricco sono adesso come prima.
Confidavano che mia figlia si facesse monaca,
Ma nel suo nido ella è ritornata ora
Ed io ho comperato un palazzo grande e bello
Quanto quello del Governatore.
E lì dimorerò, a dispetto di Malta,
E dopo la mano di Fernese anche il cuore suo avrò,
Ah, e quello di suo figlio, e arduo sarà il compito.
Non sono per nulla della stirpe di Levi, io,
Da poter dimenticare un’ingiuria così presto.
Come i cani di razza spagnola, noi Ebrei,
Sappiamo a piacimento mostrar adulazione,
E mordere sappiamo col sorriso
E l’apparenza innocua e innocente dell’agnello.
A Firenze appresi come mandar baci con la mano,
Scrollar le spalle quando mi chiamavan cane,
E fare umili inchini come quelli de’ frati scalzi,
Sperando di veder che muoian di fame al banco del mercato
E che chiedan l’elemosina nella nostra sinagoga:
Sia pur per carità gli sputerei nel piatto del’offerte.
Ecco che giunge il figlio del Governatore, don Lodovico,
Il quale tengo in gran riguardo per amor del padre.
[Entra LODOVICO]
LODOVICO: Udito han le orecchie mie che il ricco Ebreo passò di qui.
Lo troverò per adularlo, ché di Abigail voglio ottener la vista:
Ella è davvero bella, mi dice don Mattia.
BARABBA: [a parte] Dimostrerò a me stesso
Di esser più serpente che colomba,
Poiché sono più astuto che innocente.
LODOVICO: Laggiù cammina l’Ebreo, muoviamo dunque
Alla volta d’Abigail.
BARABBA: [a parte] Certo, certo, senza dubbio ella è al tuo comando.
LODOVICO: Barabba, voi sapete, io sono il figlio di Fernese.
BARABBA: Vorrei foste suo padre addirittura,
Ecco tutto il male che auguro a voi.
[a parte] Il povero diavolo assomiglia
A guancia di porco appena abbrustolita.
[BARABBA si allontana]
LODOVICO: Dove andate, buon Barabba?
BARABBA: Non lontano. È infatti nostra abitudine,
Nel parlar con voi Gentili,
Di volteggiar nell’aria per purificarci,
Ché solo noi della promessa siamo i detentori.
LODOVICO: Bene, Barabba, potete procurarmi un diamante?
BARABBA: Oh, mio signore, vostro padre di loro mi privò,
Ma uno me ne resta che fa proprio al vostro caso
[a parte] e cioè la figlia mia; ma piuttosto che donarla a costui,
Sul rogo la farei bruciare.
Per lui non ho che peste e lebbra bianca.
LODOVICO: Di quale luce brilla il vergine diamante?
BARABBA: Il diamante di cui parlo giammai fu lavorato,
[a parte] e se mai lo sarà, perderà la sua purezza.
Signor Lodovico, esso di luce e di bellezza naturale brilla.
LODOVICO: Vi prego, dite, a punta o liscio all’apparire?
BARABBA: E’ liscio buon signore.
[a parte] Ma non andrà liscio per te.
LODOVICO: Così più mi si addice.
BARABBA: E così a me.
LODOVICO: Di notte come appare?
BARABBA: Supera in splendore i raggi della luna:
Più bello di notte che di giorno si rivelerà.
LODOVICO: E quanto vale?
BARABBA: [a parte] La vita tua, se lo avrai.
Oh, mio signore, non staremo qui a discutere sul prezzo;
Venite a casa mia e al vostro onore lo concederò
[a parte] e in abbondanza.
LODOVICO: No, Barabba, vorrei poterlo meritare.
BARABBA: Ma signor mio,
Vostro padre di meritarlo ha già mostrato.
Con vero spirito di carità e misericordia,
Per ricondurmi alla purezza religiosa,
Impartendomi, come dire, il Catechismo,
Per rendermi edotto dei miei mortal peccati,
Contro il mio volere e contro il mio parere,
Ha requisito quel che avevo, mi ha messo fuor di porta,
E ha convertito la mia casa in un rifugio per le caste monache.
LODOVICO: Indubbiamente la vostra anima ne saprà cogliere frutti.
BARABBA: Certo, ma signor mio, il raccolto è ancora lontano:
Eppure so bene che le preghiere di queste monachelle ed ogni affanno
Dei santi frati, già ben pagati per le loro sofferenze,
Sono meravigliose [a parte]e a nessun del bene fanno;
E vedendoli mai in ozio, e sempre in piena azione,
È facile che a tempo debito diano i loro frutti,
Intendo dire quelli di piena perfezione.
LODOVICO: Buon Barabba, non guardate le nostre sante…
BARABBA: Lo faccio soltanto per immensa devozione…
[a parte]con la speranza di dar fuoco alla badia;
Perché anche se ad aumentare e a moltiplicarsi ci metton tempo,
dirò la mia su quel convento.
[a voce alta] E per il diamante, signor mio, di cui vi ho detto,
Venite pure sotto il mio tetto, non litigheremo per il prezzo,
Non foss’altro per rispetto di vostro padre a corte.
[a parte]Sarà pur arduo, ma di voi vedrò la morte.
[ad alta voce] Ora devo andare a comprare degli schiavi.
LODOVICO: Eh, Barabba, vi terrò un po’ di compagnia.
BARABBA: Venite, dunque. Questa è la piazza del mercato...
Quanto costa questo schiavo? Duecento corone!
I turchi valgono così tanto?
PRIMO UFFICIALE: Signore, questo è il prezzo suo.
BARABBA: Chiedete così tanto perchè sa ben rubare?
O forse sa un bel trucco per sfilare i borsellini?
Se lo sapesse, varrebbe trecento piastrini,
Ammesso che il consiglio cittadino avesse assicurato
Che alla forca giammai lo condannasse:
I giorni dei processi ai ladri son fatali,
E solo in pochi scansano il patibolo.
LODOVICO: Per questo moro solo duecento piastrini?
PRIMO UFFICIALE: Non uno di più, signor mio.
BARABBA: E perchè il turco varrebbe più del moro?
PRIMO UFFICIALE: Perché è giovane e ha molte qualità.
BARABBA: Hai forse la pietra filosofale?
Mi ci puoi romper la testa se ce l’hai, ti perdonerò.
SCHIAVO: No, signore; ma a fare il barbiere ho il tocco leggero.
BARABBA: Lo vedremo se saprai bene alleggerir qualcuno;
Non sei un barbiere esperto?
SCHIAVO: Ahimé, signor mio; son solo molto giovane.
BARABBA: Giovane! Ti comprerò e ti darò in sposo a Madama Vanità
Se saprai comportarti bene.
SCHIAVO: Vi servirò signor mio.
BARABBA: Potrebbe dunque, con un inganno qualunque, per esempio
Con la scusa della barba, tagliar la gola mia e ai beni miei fare gran
Danno. Dimmi, schiavo, come va la tua salute?
SCHIAVO: Non c’è male.
BARABBA: Sì che c’è male. Devo trovarne uno malaticcio, non
Foss’altro che per risparmiar cibo. Non vorrei ci volesse manzo
A staia per mantenerlo ben paffuto. Ne avete uno un po’ più ossuto?
PRIMO UFFICIALE: Di questo un po’ più smilzo che mi dite?
BARABBA: Dove sei nato?
ITAMORO: In Tracia, ma son cresciuto in Arabia.
BARABBA: Bene, bene. Fai al caso mio. Cento corone?
Lo compro, eccovi il denaro.
[Gli dà il denaro]
PRIMO UFFICIALE: Allora marcatelo e portatevelo via.
BARABBA: [a parte] Già , marcarlo; fareste bene a marcarlo voi visto che sarà lui, con l’aiuto mio, a procurarvii tanti guai
[a voce alta] Addio, signor mio. Vieni manigoldo; ormai sei mio.
In quanto al diamante, esso sarà vostro:
Vi prego, signore, non siate riluttante a visitar la mia dimora,
Tutto quel che ho è a vostra disposizione sin d’ora.
[Entrano MATTIA e CATERINA]
MATTIA: Che mai confabulano l’ebreo e Lodovico?
[a parte] Ho paura che si tratti di Abigail
BARABBA: [a LODOVICO.] Ecco da laggiù che arriva Don Mattia :
Ama la figliuola mia, e lei lo pensa molto;
Ma ho giurato di vanificar di entrambi le speranza e
E di averne ragione [a parte] del governatore.
[Esce LODOVICO.]
CATERINA: Questo moro è il più carino, giusto? Allora? Figliuolo?
MATTIA: Ma no, questo è migliore, madre guardatelo meglio.
BARABBA: Fate finta di non conoscermi qui davanti a vostra madre,
In modo che lei non fiuti l’incontro che sta per realizzarsi:
Appena l’avrete accompagnata a casa, venite da me.
Consideratemi pure come un vostro padre. A presto, figliuol mio.
MATTIA: Ma di che parlavate con Don Lodovico?
BARABBA: Sciocchezze! Discutevamo di diamanti, non di Abigail.
CATERINA: Dimmi, Mattia, non è lui l’ebreo?
BARABBA: E in quanto al commento sui Maccabiti,
Signor mio, potrete disporne a piacimento.
MATTIA: Sì, madre, parlavo con lui
Per aver uno o due libri in prestito.
CATERINA: Non dargli confidenza. E’ inviso al cielo.
Hai i tuoi denari? Andiamocene, figliuolo.
MATTIA: E ricordatevi il libro, oh ebreo.
BARABBA. State sicuro, mio signore.
[Escono CATERlNA e MATTIA]
PRIMO UFFICIALE: Venite, gli affari son finiti; andiamo via.
[Escono gli UFFICIALI con gli schiavi]
BARABBA: Ora dimmi il tuo nome, e con esso raccontami
Della tua nascita, la tua storia, e il credo che professi.
ITAMORO: Credetemi, signore, di nascita son povero; il mio nome è
Itamoro. E il mio credo è al piacer vostro.
BARABBA. Di che ti sei occupato? Beh, ascolta le parole mie,
E ti insegnerò quel che dovrai tenere a mente:
Primo, diménticati di ogni emozione,
Come amore, illusioni, terrore e compassione,
Non intenerirti davanti a nulla, devi agire spietatamente
Ma in cuor tuo esulta, sai, quando vedrai i cristiani lamentarsi.
ITAMORO: O, prode padrone! Per quanto detto adorerò
Il vostro nasone.
BARABBA: Quanto a me, sono uno che esce tutte le sere
Per far fuori i malati che piangono sotto i muri,
Talvolta giro per avvelenare pozzi con le mie mani
Oppure vado a godermi la vista dei ladri cristiani.
Perdessi pure tante mie corone,
Purché io possa vederli, affacciato al mio balcone
Incatenati, davanti alla mia porta.
Quand’ero giovane studiavo medicina,
Dapprima la praticai sugli italiani;
e lì mezza curia potei lasciar morta,
Così che sempre, le braccia dei becchini
Scavavano fosse e suonavano campane.
Dopodiche a far qualcosa, sempre mi ingegnavo,
E nelle guerre tra Germania e Francia,
Facendo finta di aiutar Carlo V,
Nemici e amici coi miei espedienti assassinavo.
Poi mi dedicai all’usura,
E con l’estorsione, la truffa e altri reati,
O con trucchetti adatti ai gran mercati,
In un solo anno feci tanti falliti e incarcerati.
Di orfanelli riempii molti ospedali;
E ogni luna qualcun faceva pazzo,
Tanto che molti s’impiccarono pel dolore,
Con sopra il petto una lunga pergamena
Che raccontava come contro loro mi accanivo
E ben vedi ora che grazie al mio livore
Ho tanti di quei soldi da comprarmi la città.
Ma adesso dimmi. Tu che hai fatto finora?
ITAMORO: Credetemi padrone
Ho dato fuoco ai villaggi dei cristiani,
Ho incatenato eunuchi, ho legato alle galee gli schiavi.
Una volta, stalliere in un albergo,
Passai la notte a visitar in segreto
Le camere dei pellegrini, e a tagliar loro la gola:
A Gerusalemme, un’altra volta, ove i pellegrini s’inginocchiavano
Sparsi un po’ di ghiaia sulle pietre,
Che irritò le giunture loro al punto tale
Che a vederli storpi risi tanto da sentirmi male,
quando sulle stampelle zoppicando ritornavano a casa.
BARABBA: Beh, non c’è male. Puoi fare affidamento su di me
Come compar tuo: siam canaglie entrambi;
Entrambi circoncisi, e odiamo i cristiani:
Sii fedele e riservato; non ti mancherà l’oro;
Ma fatti a lato, ch’è arrivato Don Lodovico.
[Entra LODOVICO]
LODOVICO: Oh, Barabba, ben trovato;
Dov’è il diamante di cui mi parlavate?
BARABBA: E’ in serbo per voi, signor mio: prego entriamo
Allora? Oh, Abigail! Apri la porta, mi senti?
[Entra ABIGAIL, con delle lettere]
ABIGAIL: Appena in tempo, padre mio, ecco le lettere
Arrivate da Ormus, e il corriere è di là che ti aspetta.
BARABBA: Dammi le lettere. [a parte] Figliuola, mi senti?
Intrattieni Lodovico , il figlio del governatore,
Con tutta la possibile cortesia e atteggiamenti,
Ma senza rischiar la tua verginità:
Trattalo come se fosse un filisteo;
Fai finta, giura, dichiara a lui l’amore.
Anche se non è come noi un ebreo
[a voce alta] Ho delle cosucce da sbrigare, signore,
Vi prego di scusarmi.
Abigail, il benvenuto dà da parte mia.
ABIGAIL: Per te e per lui, gli porgo il benvenuto.
BARABBA: Figliola, ancora una parola:
[a parte] bacialo, parlagli dolcemente,
da brava astuta ebrea,
che vi voglio subito insieme prima che usciate.
ABIGAIL: Ma padre, è Don Mattia che io amo!
BARABBA: Lo so: e comunque, ti dico, fallo innamorare;
Fallo, è necessario che sia così.
[a voce alta] No, sulla mia vita, questa è la calligrafia del mio fattore;
Voi entrate, io ho da studiare il conto.
[Escono Abigail e Lodovico]
Il conto quadra, e Lodovico muore.
Costui mi scrive della fuga di un mercante
Che mi doveva cento botti di vino:
Chi se ne importa! [schioccando le dita] Sono ricco abbastanza;
Ormai sarà riuscito a baciare Abigail, spero,
E lei le giura amore, e lui a lei.
Vero come la manna che mandò il Cielo sugli Ebrei,
Quello muore, come pure Don Mattia:
Il mio peggior nemico era suo padre.
[Entra Mattia]
Dove ve ne andate Don Mattia? Rimanete un po’.
MATTIA: Dove altro se non dal mio onesto amore!
BARABBA: Voi sapete, e il cielo mi sia testimone se è così,
Che voglio che mia figlia sia vostra.
MATTIA: Sì, Barabba, altrimenti mi farete gran torto.
BARABBA: Oh, che il cielo non voglia generare
In me un simile pensiero!
Scusatemi se piango: il figlio del governatore, che io lo voglia
O no, desidera Abigail; le manda lettere, braccialetti, gemme, anelli.
MATTIA: E lei li accetta?
BARABBA: Lei? No, Mattia, no, glieli rimanda indietro;
E quando viene, si rintana;
Ma lui le parla dal buco della chiave,
Mentre lei corre alla finestra, e aspetta che tu arrivi
E lo scacci dalla porta.
MATTIA: Oh, Lodovico traditore!
BARABBA: Proprio adesso, mentre rientravo, l’ho visto
Sgattaiolare dentro, e sono certo che è con Abigail.
MATTIA: Gli darò io una svegliata, allora.
BARABBA: No, per tutta Malta; rinfoderate la spada;
Se mi volete bene, niente liti nella mia casa;
Ma mettetevi qua e fingete di non vederlo:
Gli darò un avvertimento appena torna,
Da togliergli qualunque speranza di avere Abigail.
Andate via, arrivano.
[Entrano Lodovico e Abigail]
MATTIA: Cosa, mano nella mano! Non posso tollerarlo.
BARABBA: Mattia, non una parola, se mi volete bene.
MATTIA: Lasciamo stare, ci sarà altra occasione.
[Esce]
LODOVICO: Barabba, non era il figlio della vedova quello?
BARABBA: Si, e state accorto, vi ha giurato morte.
LODOVICO: Morte a me! Quel rustico bastardo! E’ pazzo?
BARABBA: No; forse teme che gli togliate ciò che, credo,
Voi non volete: mia figlia, questa sciocca ragazzina.
LODOVICO: Perché? Lei ama Don Mattia?
BARABBA: Il suo sorriso non è una risposta per voi?
ABIGAIL: [a parte] Il mio cuore è suo; e se sorrido è a malincuore.
LODOVICO: Barabba, voi sapete che amo vostra figlia
Da molto tempo.
BARABBA: E così anche lei, fin da bambina.
LODOVICO: E ora non posso trattenermi dal dirlo.
BARABBA: Né io dal dirvi quanto bene vi voglio.
LODOVICO: È lei il vostro diamante; ditemi, posso averlo?
BARABBA: Conquistatelo e prendetelo; è certo senza macchia.
Oh, so che vostra signoria disdegnerebbe
Di sposare la figlia di un ebreo!
Ma le darò per dote una croce d’oro
Con tutt’intorno dei bei motti cristiani.
LODOVICO: Non è la vostra ricchezza, ma lei che stimo;
Comunque sia, chiedo il vostro consenso.
BARABBA: Lo avete, lo avete, ma lasciate che io le parli;
[a parte]Quel discendente di Caino, quel gebusita,
Che mai assaggiò la nostra Pasqua
Né vedrà mai la terra di Canaan,
Né il nostro Messia, che ha da venire;
Questo gentil-verme, Lodovico, voglio dire,
Ha da esser igannato: concedigli la mano,
Ma il cuore tuo conservalo per Don Mattia.
ABIGAIL: Cosa! Vuoi darmi in moglie a Lodovico?
BARABBA: [a parte]Non è peccato ingannare un cristiano;
Essi stessi lo sostengono per principio,
Che i patti con eretici sono nulli:
Ma poiché è eretico chiunque non sia ebreo;
Tutto fila, e quindi figlia mia, non temere.
[a voce alta] L’ho implorata, mi ha detto che accetta.
LODOVICO: Allora, dolce Abigail, fammi questa promessa.
ABIGAIL: Non ho scelta, se a chiederlo è mio padre:
Nulla potrà dividerci, tranne la morte.
LODOVICO: Ora ho quello che il mio cuore anelava.
BARABBA: [a parte] Io, non ancora, ma spero di averlo.
ABIGAIL: [a parte] Oh miserabile Abigail, cos’ hai fatto?
LODOVICO: Perché ad un tratto ti sei fatta così pallida?
ABIGAIL: Non so; ma addio, devo andare.
BARABBA: Fermatela, ma badate che non parli.
LODOVICO: Muta ad un tratto! Che improvviso mutamento!
BARABBA: Oh, non badateci; è usanza ebrea,
Che le promesse spose piangano un po’:
Lasciatela stare, caro Lodovico, andate via:
Lei è vostra moglie, e voi ora siete il mio erede.
LODOVICO: Oh, se è usanza, allora sono rincuorato:
Preferirei che il luminoso cielo si oscurasse di nuvole
Soffocando gli incanti della natura,
Piuttosto che vedere adombrata la mia bella Abigail.
Ecco che arriva il vigliacco; ora mi vendicherò.
[Rientra Mattia]
BARABBA: State calmo, Lodovico; non vi basta il mio consenso
A che sposiate Abigail?
LODOVICO: Bene, lasciamo andare.
[Esce]
BARABBA: Se non l’avessi fermato io, beh,
Vi avrebbe ucciso non appena entrato; ma lasciamo stare;
Qui niente contese, né spade sguainate.
MATTIA: Permettetemi, Barabba, di seguirlo.
BARABBA: No; e se mai gli accadesse qualcosa,
Io sarei coinvolto nei vostri misfatti:
Vi vendicherete quando lo incontrerete la prossima volta.
MATTIA: Dovrei cavargli il cuore.
BARABBA: Fatelo pure. Ecco Abigail, è vostra!
MATTIA: Quale miglior dono può chiedere Mattia?
Potrà mai Lodovico rubarmi il mio bell’amore?
La vita non mi è cara quanto Abigail.
BARABBA: Il cuore mi dice che per contrastarvi
Sia andato da vostra madre; dovete raggiungerlo.
MATTIA: Cosa! È andato da mia madre?
BARABBA: Se volete, restate qui, la vedrete arrivare.
MATTIA: Non posso rimanere; se lei venisse qui,
Morirebbe di dolore.
[esce]
ABIGAIL: Le lacrime non mi lasciano dirgli addio.
Padre, perché li hai aizzati entrambi?
BARABBA: Non è affar tuo!
ABIGAIL: Li riconcilierò.
BARABBA: Riconciliarli? Mancano ebrei a Malta?
Dovevi innamorarti di un cristiano?
ABIGAIL: Io voglio Don Mattia; è lui che amo.
BARABBA: Sì, lo avrai. Va’, riportala dentro.
ITAMORO: Sì, la riporto.
[conduce dentro Abigail]
BARABBA: Ora dimmi, Itamoro, che ne pensi?
ITAMORO: In fede, padrone, penso che così li incastrate
Entrambi, vero?
BARABBA: Sì, proprio così, e sarà un’astuta messinscena.
ITAMORO: Oh padrone, avrò una parte anch’io?
BARABBA: Sì che l’avrai e sarai tu a dar l’avvio:
Prendi questa e portala subito a Mattia
[gli dà una lettera]
Digli che la manda Lodovico.
ITAMORO: E’ avvelenata, vero?
BARABBA: No, no; eppure si potrebbe fare…
Questa è una finta sfida di Lodovico.
ITAMORO: Non temete. Saprò scaldargli il cuore
Tanto che crederà che venga proprio da lui.
BARABBA: Non potrei fare a meno della tua prontezza.
Ma stai attento e sii davvero scaltro.
ITAMORO: Lasciatemi fare, poi giudicatemi.
BARABBA: Andate, allora!
[esce Itamoro]
E adesso vado da Lodovico, come un diavolo scaltro,
A raccontargli altre menzogne,
Finché quei due si odieranno a morte.
[esce]
ATTO III
[Entra Bellamira, una cortigiana]
BELLAMIRA: Non guadagno da quando questa città è assediata.
Eppure in passato per una nottata davano fino a cento ducati.
Ma adesso contro la mia volontà mi tocca d’esser casta:
Eppure sono ancora sicura della mia bellezza, io.
Da Venezia venivano mercanti, numerosi,
E da Padova professori, generosi e colti;
E adesso, a parte Pigliaborsa, non viene più nessuno:
Ma lui in casa mia è sempre il benvenuto;
Ah, eccolo che arriva.
[Entra PigliaBorsa]
PIGLIABORSA: Prendi, ragazza, c’è qui qualcosa da spendere.
[Mostra la borsa con l’argento]
BELLAMIRA: È argento, non lo voglio.
PIGLIABORSA: Lo so, ma l’ebreo ha l’oro ed io l’avrò,
O le cose andranno male per lui.
BELLAMIRA: Ma dimmi, come l’hai ottenuto?
PIGLIABORSA: Camminando per vicoli e giardini,
Mi è capitata l’occasione di sbirciare nel magazzino dell’Ebreo
Dove ho visto borse piene di denari:
Decido di aspettare la notte che viene; ma mentre progettavo
Il piano ho sentito un rumore; così ho preso solo questa
E sono fuggito di corsa. Ma ecco che arriva lo schiavo dell’ebreo.
BELLAMIRA: Nascondi la borsa.
[Entra Itamoro]
PIGLIA BORSA: Non guardarlo, andiamo.
Smettila di fissarlo, o i nostri volti tradiranno il piano.
[Escono Bellamira e PigliaBorsa]
ITAMORO: Oh, non ho mai visto un viso più celestiale!
Dall’aspetto mi sembra una cortigiana; darei cento corone
Dell’ebreo per averla come concubina. Bene, ho lanciato
La sfida e se s’incontrano il loro destino è segnato.
[Esce]
[Entra MATTIA]
MATTIA: Questo è il posto: adesso Abigail vedrà
Se Mattia riuscirà ad amarla o no.
[Entra Lodovico]
Chi osa rivolgersi a me in questi termini?
[Guarda la lettera]
LODOVICO: Io sono stato, véndicati se ne hai il coraggio!
[Combattono]
[Entra Barabba]
BARABBA: Combattono bene! Eppure non fanno sul serio.
Adesso Lodovico! Su Mattia!
[Cadono entrambi]
Hanno dimostrato di essere coraggiosi.
[Grida all’interno] Separateli, separateli!
BARABBA: Sì, divideteli adesso che sono morti.
Addio, addio!
[Esce ]
[Entrano Fernese, Caterina e i servitori]
FERNESE: Che scena è questa? Il mio Lodovico ucciso!
Queste mie braccia saranno il tuo sepolcro.
CATERINA: E questo chi è? Il mio figlio Mattia, ucciso!
FERNESE: Oh Lodovico, se avessi trovato la morte
Per mano dei turchi, lo sventurato Fernese avrebbe potuto vendicarti!
CATERINA: Tuo figlio ha ucciso il mio, ed io lo vendicherò.
FERNESE: Guarda Caterina, tuo figlio ha procurato
Al mio queste ferite.
CATERINA: Oh, non affliggetemi di più, sono già disperata.
FERNESE: Possano i miei sospiri nei suoi respiri mutarsi,
E queste mie lacrime in sangue, purché lui torni in vita.
CATERINA: Chi li ha resi nemici?
FERNESE: Mi rattrista sopra ogni altra cosa non saperlo.
CATERINA: Matteo amava tuo figlio.
FERNESE: E Lodovico il tuo.
CATERINA: Datemi l’arma che ha ucciso mio figlio,
Ucciderà anche me.
FERNESE: No signora, quell’arma era di mio figlio,
Ed è giusto quindi che Fernese muoia con essa.
CATERINA: Un attimo, scopriamo i responsabili della loro morte,
E potremo allora ben vendicarli.
FERNESE: Prendete i loro corpi e seppelliteli
Dentro uno stesso sacro monumento di pietra
Sul cui altare ogni giorno che verrà
Spargerò per lui lacrime e sospiri
E con le mie preghiere costringerò il cielo giusto
A rivelare i responsabili di queste morti,
Che costrinsero le loro mani a dividere due cuori uniti.
Andiamo Caterina, entrambi abbiamo subìto una grave
Perdita, cerchiamo di condividere anche il dolore.
[Escono con i corpi]
[Entra Itamoro]
ITAMORO: Si è mai visto un tale intrigo,
Così ben architettato e inscenato?
Entrambi tenuti in pugno e poi uno a uno ingannato.
[Entra Abigail]
ABIGAIL: Che succede, perché ridi così, Itamoro?
ITAMORO: Oh padrona! Ah, ah, ah!
ABIGAIL: Che cosa ti fa ridere?
ITAMORO: Oh il mio padrone!
ABIGAIL: Ah!
ITAMORO: Oh padrona, sono il più bravo, il più dignitoso,
Il più segreto e misterioso furfante nei confronti di un padrone
Che mai gentiluomo abbia avuto.
ABIGAIL: Dimmi schiavo, perché offendi mio padre in questo modo?
ITAMORO: É che il mio padrone ha delle idee così astute…
ABIGAIL: Di che genere?
ITAMORO: Come non sapete?
ABIGAIL: Ebbene, no.
ITAMORO: Non avete saputo della tragedia di Mattia
E di Don Lodovico?
ABIGAIL: No, cos’è successo?
ITAMORO: Ebbene il diavolo ha intramesso una sfida,
Il mio padrone l’ha scritta ed io l’ho consegnata,
Prima a Lodovico, e poi a Mattia:
I qual, narra la storia, s’ incontrorno,
E tristo venne a lor l’estremo jorno.
ABIGAIL: Mio padre, responsabile della loro morte?
ITAMORO: Io mi chiamo Itamoro?
ABIGAIL: Sì.
ITAMORO: Allora la sfida vostro padre l’ha scritta,
davvero, ed io l’ ho consegnata, davvero.
ABIGAIL: Itamoro lascia che ti chieda questo allora:
Vai al nuovo convento e cercami
Uno qualsiasi dei frati di San Giacomo;
Pregalo di venire che ho bisogno di parlare con lui.
ITAMORO: Padrona rispondereste a una mia domanda?
ABIGAIL: E va bene furfante, quale?
ITAMORO: Una molto intima: di tanto in tanto le suore
Con i frati sono solite divertirsi?
ABIGAIL: Va’ via svergognato, era questa la domanda?
Sparisci subito!
ITAMORO: Sì, vado signora.
[Esce]
ABIGAIL: Barabba senz’anima, padre crudele!
Era questo lo scopo della tua intenzione,
Che io mostrassi buon viso a entrambi
E che per me poi si sono uccisi?
Lodovico e suo padre non li amavi;
Mattia però non t’aveva mai offeso.
Ma tu eri deciso a estrema vendetta
Per quello che ti aveva fatto il Governatore,
E ti sei per questo vendicato sul figlio,
Servendoti dell’innocente Mattia;
E con Mattia adesso uccidi me.
Sento che su questa terra non c’è amore
Né negli ebrei né nei turchi pietà.
Ma ecco che torna quel furfante di Itamoro col frate.
[Entrano Itamoro e il frate Giacomo]
FRA’ GIACOMO: Virgo, salve.
ITAMORO: Che aspetti a chinarti frate?
ABIGAIL: Itamoro va’ via, buon fratello benvenuto.
[Esce Itamoro]
Sa, buon padre ho una richiesta che è un paradosso
FRA’ GIACOMO: Dimmi pure.
ABIGAIL: Ammettetemi come monaca.
FRA’ GIACOMO: Ma come Abigail! Non è molto che hai preso i voti
E la vita santa non ti è piaciuta.
ABIGAIL: Allora i miei pensieri erano deboli e indecisi
Ero legata alle follie di questo mondo
Ma l’esperienza intaccata dal vero dolore
Mi ha insegnato a capire com’è avvilente
La mia anima colpevole, che ha errato a lungo
In questo fatale labirinto di miscredenza,
Distante da quel sole che dona vita eterna!
FRA’ GIACOMO: Chi ti ha insegnate queste cose?
ABIGAIL: La badessa del convento,
Il cui zelante monito faccio mio
Perciò lasciate dunque, fra’ Giacomo, che io
Sia degna della confraternita!
FRA’ GIACOMO: E sia, a patto che non abbiate più ripensamenti,
Altrimenti la vostra anima pagherà duramente.
ABIGAIL: Sì, quella che è stata la colpa di mio padre..
FRA’ GIACOMO: Vostro padre! Cos’ha fatto?
ABIGAIL: No, scusatemi…
[a parte] O Barabba, benché non possa perdonarti,
Non sarò io mai capace di accusarti.
FRA’ GIACOMO: Andiamo, allora?
ABIGAIL: Sono vostra serva ubbidiente.
[Escono]
[Entra Barabba leggendo una lettera]
BARABBA: Come! Abigail si fa di nuovo monaca?
Falsa e ingrata! Così perdi tuo padre!
A mia insaputa e da me non costretta
Sei ritornata nel convento?
E adesso scrivi e dici che devo pentirmi
Pentirmi! Sporca! Che intendi?
Temo che sappia --- è così – ch’ho parte
Nella morte di Matteo e Lodovico;
Se è così, è tempo ch’io provveda,
Perché se si rifugia in un'altra religione
Devo supporre che non mi ami
O, amandomi, che qualche colpa mi rimproveri.
Ma chi arriva?
[Entra Itamoro]
O vieni, vieni qua Itamoro.
Avvicìnati, vieni, vita del tuo padrone.
Fedele servitore, anzi, alter ego
Ormai ripongo solo in te ogni mia speranza
E su quella speranza la mia felicità è costruita.
Quando hai visto Abigail?
ITAMORO: Oggi.
Barabba: Con chi?
ITAMORO: Con un frate.
Barabba: Un frate? Falso, infame, ecco chi è stato.
ITAMORO: Signore, a fare cosa?
Barabba: Ma a fare monaca mia figlia.
ItamorO: Infatti, è stata lei a volerlo chiamare.
Barabba: Oh che infausto momento,
Falsa, sciocca, labile Abigail!
E che se ne vada: d’ora in poi Itamoro
Mai più mi angoscerà il suo tormento
Mai niente da me potrà ereditare,
Né da me essere benedetta, o nella mia casa ben accetta,
Che muoia anzi dal padre dannata
Come Caino che il fratello uccise.
ITAMORO: Ma padrone…
BARABBA: Non chiedere per lei, Itamoro, sono ferito,
E la mia anima e il mio corpo la odiano:
E se tu non fai ciò che ti chiedo
Penserò che anche tu per me provi odio.
ITAMORO: Chi, io padrone? Mi scaglierei nel mare
Da una rupe, e a capofitto; farei tutto,
Per il vostro volere.
BARABBA: Oh fedele Itamoro; non servo mio, ma amico mio;
Come unico erede io ti adotto,
Avrai tutto quando sarò morto,
La metà adesso che son vivo; spendi;
Ecco le mie chiavi… che dopo ti darò:
Comprati abiti, solo ciò che desideri:
Questo è quanto sarai in grado di fare.
Ma prima va a prendere la pentola di riso
Che per la nostra cena sta sul fuoco.
ITAMORO: [a parte] Mi gioco la testa che il padrone ha fame.
Vado, signore
BARABBA: Così anche il vile vuol gli averi,
Sibben ricco sarà sol nei desideri:
Ma silenzio.
[Entra ITAMORO con la pentola]
ITAMORO: Eccola, padrone.
BARABBA: Ben fatto, Itamoro: hai portato anche il mestolo,
non è vero?
ITAMORO: Sì, signore, si dice che chi mangia col diavolo,
Di un lungo cucchiaio ha bisogno, ed io portato v’ho un mestolo.
BARABBA: Molto bene, Itamoro: ma adesso discrezione:
E anche tu, che così tanto amo,
Ora vedrai la morte di Abigail,
Che ti renderà mio successore.
ITAMORO: Padrone, la volete uccidere con la minestra di riso,
Che le preserva il vivere, che la rende tonda e paffuta,
E non sapete quanto cicciuta?
BARABBA: Già; Itamoro, vedi questo?
Ad Ancona, comprai da un italiano
Questa preziosa polverina,
Che blocca, infetta
E avvelena profondamente: ma solo dopo quaranta ore
Essa si rivela.
ITAMORO: Dunque padrone?
BARABBA: Ecco Itamoro:
Questa notte, chiamata notte di San Giacomo,
È tradizione per gli abitanti di Malta
Portare offerte ai conventi:
Insieme ai tanti, porta questa e consegnala:
C’è un’entrata buia dove il tutto accade,
Affinchè il messaggero non sia visto
Né gli sia posto alcun interrogativo.
ITAMORO: E perché?
BARABBA: Per non so che usanze.
Allora Itamoro, tu vai e lascia il recipiente:
Aspetta -- prima aggiungo altre spezie.
ITAMORO: Fate, fate padrone, lasciate che vi aiuti.
Lasciate che lo assaggi prima.
BARABBA: E assaggia: che dici?
ITAMORO: Oh padrone, che peccato che questa minestra
Vada sprecata.
BARABBA: Taci, Itamoro, vale ben la pena che non sia risparmiata.
[BARABBA aggiunge il veleno]
E tu, stai sicuro che avrai brodo fino a morire.
Il mio denaro, i miei tesori, me persino: è tutto tuo.
ITAMORO: Bene, padrone, vado.
BARABBA: Aspetta Itamoro, lasciami miscelare.
E che sia letale, come il sorso
Che uccise Alessandro Magno:
Che in lei discenda come il vino del Borgia,
Con cui il Papa, suo padre, fu avvelenato.
Che il sangue d’Idra, flagello di Lerna,
Che la linfa d’ebano, che il fiato di Cocito,
Che tutti i veleni delle acque stigie
Dipartano dal regno delle fiamme e qui,
Rigettino il loro male per avvelenarla...
Lei che malvagia abbandonò suo padre.
ITAMORO: Ma che benedizione le ha dedicato! Ci fu mai riso
Più insaporito? Che ne dovrò fare adesso?
BARABBA: Mio dolce Itamoro, consegnalo --
E torna subito: ho altro in serbo per te.
ITAMORO: C’è qui tanto veleno che porterebbe via
Un’intera scuderia di cavalle fiamminghe:
lo consegnerò in un lampo.
BARABBA: Sì, insieme alla peste cavallina: presto!
ITAMORO: Consideratelo già fatto, potete pure pagarmi!
BARABBA: Ti pagherò, eccome se ti pagherò… Itamoro!
[Entrano FERNESE, martin del bosco, CAVALIERI e PASCIÀ]
Fernese: Benvenuto, gran pascià: come sta Calimat?
Quale vento vi guida verso Malta?
Pascià: Lo stesso vento che tutti guida:
la sete d’oro.
Fernese: Sete d’oro, mio signore?
Nelle Indie va cercato:
non certo a Malta, che non possiede miniere.
Pascià: Questo vi manda a dire Calimat:
Che sta per finire il tempo concesso,
Per mantere quanto promesso;
E dunque, vengo a riscuotere l’indennità.
Fernese: Non ti sarà data nessuna indennità,
Nessuna spesa verrà pagata per soddisfare gli infedeli:
Piuttosto sceglieremmo di distruggere queste mura,
Sfregiare i templi e devastare l’isola,
In Sicilia trasbordare i nostri ori,
E offrire al mare tempestoso un varco
Che divori con le onde la terra inerme,
E con il suo riflusso la sommerga.
Pascià: Bene, governatore, se distruggi l’alleanza
Negando il pagamento promesso,
Non parlare di distruggere la tua città,
Anzi, non te ne preoccupare affatto:
Verrà qui lo stesso Selim-Calimat
Per abbattere con i cannoni le tue torri,
E ridurre Malta al suolo
Per queste tue inammissibili offese:
E dunque, addio.
Fernese: Addio:
E adesso all’opera, uomini di Malta,
Disponetevi per accogliere Calimat:
Chiudete le culisse, collocate i basilischi,
E per una causa così valente,
Scontratevi con coraggio;
Col mio diniego le alleanze sono infrante,
E nulla ci sarà oltre la guerra,
E nulla ci compiacerà più della guerra.
[Escono]
[Entrano FRA’ GIACOMO e FRA’ BERNARDINO]
FRA’ GIACOMO: Oh fratello, fratello... sono malate tutte le sorelle,
E non v’è cura: periranno.
FRA’ BERNARDINO: Io son stato chiamato dalla badessa per la
Confessione e sarà una triste confessione
FRA’ GIACOMO: Lo stesso ha fatto suor Maria:
Vado da lei, credo sia qui.
[Entra AbigaiL]
FRA’ BERNARDINO: Buon Dio, tutte morte tranne Abigail?
Abigail: Ma anch’io morirò... lo sento.
Dov’è il frate a cui confessai il mio tormento?
FRA’ BERNARDINO: Oh, è a consolare le altre sorelle.
ABIGAIL: L’ho mandato a chiamare, ma giacchè siete venuto,
Siate voi il mio padre spirituale. E sappiate, in primo luogo,
Che… in questa casa, ho vissuto religiosamente,
Casta e devota, soffrendo assai per i miei peccati.
Ma prima che venissi qui…
FRA’ BERNARDINO: Cosa dunque?
ABIGAIL: Ho oltraggiato gravemente gli Alti Cieli,
Tanto da essere quasi disperata per le mie colpe,
E un peccato mi tormenta più di tutti.
Conoscevate Mattia e Lodovico?
FRA’ BERNARDINO: Certamente, che ne è stato di loro?
ABIGAIL: Mio padre… mi ha promessa a entrambi…
Prima a Lodovico; lui non l’ho mai amato;
Mattia era colui che avevo tanto a cuore,
È per amor suo… che mi son fatta suora.
FRA’ BERNARDINO: Su ditemi, qual è stata la loro fine?
ABIGAIL: I due, gelosi del mio amore, si odiavano a vicenda,
E con gli stratagemmi di mio padre, che qui… son ampiamente
Messi per iscritto, i miei due spasimanti si sono uccisi.
FRA’ BERNARDINO: Oh, che mostruosa malvagità!
ABIGAIL: Mi confesso per trovare un po’ di pace.
Non rivelatelo, che mio padre ne morrebbe.
FRA’ BERNARDINO: Sappiate che la confessione non deve esser
Rivelata. La legge canonica lo proibisce, e il padre
Che la rende nota, dopo essere stato scomunicato,
Sarà condannato, e poi spedito al rogo.
ABIGAIL: Così ho sentito. Vi prego, allora, mantenetelo segreto.
La morte si è già impadronita del mio cuore. Ah, gentile frate,
Convertite mio padre… così ch’egli possa salvarsi,
E siate testimone… che muoio… da Cristiana.
[Muore]
FRA’ BERNARDINO: Sì, e anche vergine; ed è ciò che più mi
Addolora. Ma devo andare dall’ebreo e scagliarmi contro di lui
E fare in modo ch’egli mi tema.
[Entra FRA’ GIACOMO]
FRA’ GIACOMO: Oh, fratello, tutte le suore sono morte.
Seppelliamole.
FRA’ BERNARDINO: Prima aiutami a seppellire lei.
Poi vieni con me, e aiutami a inveire contro l’ebreo.
FRA’ GIACOMO: Perché? Che ha fatto?
FRA’ BERNARDINO: Una cosa che solo al rivelarla
Mi fa venire i brividi.
FRA’ GIACOMO: Cosa, ha forse crocifisso un bambino?
FRA’ BERNARDINO: No, cosa ben peggiore. Mi è stata riferita
In confessione. E tu sai che il rivelarlo corrisponde a morte.
Vieni, andiamo via.
[Escono]
ATTO IV
[Entrano BARABBA e ITAMORO. Suono di campane da dietro le quinte]
BARABBA: Ah, i rintocchi funebri cristiani, non c’è egual musica.
Dolce suono di campane, ora le suore sono morte,
Simil suono, in altri casi, ricorda le pentole dei calderai.
Temevo che il veleno non avesse funzionato bene,
O, in caso contrario, che non avesse fatto effetto,
Che ogni anno quelle si gonfiano quasi a scoppiare, ma poi campano sempre. Ora son crepate tutte. Nessuna è rimasta viva.
ITAMORO: Che delizia, padrone: ma voi pensate
Che non si saprà nulla?
BARABBA: E come, se noi manteniamo il segreto?
ITAMORO: Ah, da parte mia non abbiate paura.
BARABBA: Vorrei ben vedere! Ti taglierei la gola, se spifferassi.
ITAMORO: E avreste ragione.
Qui vicino c’è un imponente monastero;
Buon padrone, lasciate che avveleni tutti i frati.
BARABBA: Non ce ne sarà bisogno, ora che le suore son tutte morte,
Sarà il dolore a consumarli lentamente.
ITAMORO: E non vi dispiacete per la fine di vostra figlia?
BARABBA: No, anzi mi addolora che sia vissuta troppo a lungo,
Un’ebrea di nascita, convertita in cristiana.
Cazzo, diavolo!
ITAMORO: Guardate, guardate, padrone. Ecco due avvoltoi religiosi.
[Entrano FRA’ GIACOMO e FRA’ BERNARDINO]
BARABBA: Ne ho avvertito la puzza prima che arrivassero.
ITAMORO: Per pietà divina, nasone! Venite, andiamo via.
FRA’ BERNARDINO: Resta, ebreo perverso; pèntiti, ti dico, e resta.
FRA’ GIACOMO: Per i peccati tuoi sarai dannato.
BARABBA: Temo che abbiano appurato,
Che noi abbiamo mandato
Il brodo avvelenato.
ITAMORO: Lo temo anch’io, padrone,
Perciò rivolgete loro gentili parole.
FRA’ BERNARDINO: Barabba, tu hai…
FRA’ GIACOMO: Sì, tu hai…
BARABBA: Sì, ho molti denari. Con ciò?
FRA’ BERNARDINO: Tu sei…
FRA’ GIACOMO: Sì, tu sei…
BARABBA: A che serve tutto questo? Lo so che sono un ebreo.
FRA’ BERNARDINO: Tua figlia…
FRA’ GIACOMO: Sì, tua figlia…
BARABBA: Vi prego, non parlate di lei, altrimenti muoio di dolore.
FRA’ BERNARDINO: Ricorda che…
FRA’ GIACOMO: Sì, ricorda che…
BARABBA: È vero sono stato un grande usuraio.
FRA’ BERNARDINO: Tu hai commesso…
BARABBA: Atti impuri? Ma è successo in un altro stato;
E per di più la ragazza è morta.
FRA’ BERNARDINO: Ah, Barabba, ma ricorda Mattia e Lodovico.
BARABBA: Perché, che ne è stato di loro?
FRA’ BERNARDINO: Io non dirò che si sono scontrati
In un falso duello.
BARABBA: [a parte] Lei ha confessato, e noi siamo entrambi rovinati,
Colei che dimorava nel mio petto… Ma devo fingere.
[a voce alta] Oh santi frati, il fardello dei miei peccati
Grava pesantemente sulla mia anima; quindi vi prego ditemi
Non è troppo tardi per convertirmi in cristiano?
Sono stato zelante nel seguire la fede Giudea,
Crudele con i poveri, un uomo avido,
E avrei, per amor della ricchezza, venduto la mia anima.
Ho arraffato tutto il possibile
E ora in quanto a scorta di denari, posso essere comparato
A tutti gli ebrei di Malta. Ma cos’è il denaro?
Io sono un ebreo, e pertanto son perduto.
Se questa penitenza espiasse il mio peccato,
Sarei capace di frustarmi a morte.
ITAMORO: E così farei io, ma comunque non sarà necessario.
BARABBA: Digiunare, pregare, e per cotta null’altro che i miei peli,
E strisciare in ginocchio fino a Gerusalemme.
Cantine di vino, e abbaini ricolmi di grano,
Magazzini stipati con spezie e sostanze medicinali,
Intere cassette d’oro in lingotti e in monete,
In più non so in peso quante perle,
D’oriente e rotonde, posseggo nella mia casa;
Mercanzia invenduta ad Alessandria.
Giusto ieri due navi sono partite da questa città;
Mi frutterà, il loro viaggio, ben diecimila corone!
A Firenze, Venezia, Anversa, Londra, Siviglia,
Francoforte, Lubecca, Mosca, e poi chissà dove,
Ho debiti da riscuotere; e, oltre a questi
Grandi somme di danaro giacenti nelle banche.
Tutto ciò lo concederò a qualche casa religiosa,
In maniera tale da poter essere battezzato, e poi vivere lì.
FRA’ GIACOMO: Oh, buon Barabba, venite nel nostro monastero.
FRA’ BERNARDINO: Oh no, buon Barabba, venite nel nostro.
E Barabba, voi sapete…
BARABBA: So che ho profondamente peccato.
Voi mi convertirete. Avrete tutte le mie ricchezze.
FRA’ GIACOMO: Oh Barabba, le loro leggi sono severe.
BARABBA: So che lo sono, perciò verrò con voi.
FRA’ BERNARDINO: Essi non indossano cotte,
E inoltre girano scalzi.
BARABBA: Allora non fa per me, anzi; ho deciso
Voi mi confesserete, e avrete tutti i miei beni.
FRA’ GIACOMO: Buon Barabba, venite da me.
BARABBA: [A FRA’ BERNARDINO] Lo vedete, gli ho risposto,
E sta ancora qui. Sbarazzatevi di lui, e verrete a casa con me.
FRA’ GIACOMO: Resterò con voi fino all’alba.
BARABBA: Venite a casa mia all’una di stanotte.
FRA’ GIACOMO: Ora che ti ha risposto, puoi anche andar via.
FRA’ BERNARDINO: Perché mai, va’ via tu.
FRA’ GIACOMO: Non me ne andrò per voler tuo.
FRA’ BERNARDINO: Ah no? Ti costringerò io, furfante.
FRA’ GIACOMO: Cosa! Hai osato chiamarmi furfante?
[Lottano]
ITAMORO: Separateli, padrone, separateli.
BARABBA: Quanta insulsaggine. Contegno confratelli!
Fra’ Bernardino, andate voi con Itamoro.
Voi conoscete alla perfezione la mia innata inclinazione,
Lasciatemi solo con lui.
FRA’ GIACOMO: Perché è lui ad andare nella vostra casa? Mandatelo via.
BARABBA: Gli darò qualcosa, così gli chiuderò quella boccaccia.
[Escono ITAMORO e FRA’ BERNARDINO]
Non ho mai udito d’un uomo che come lui
Infami l’ordine dei Domenicani.
Pensate davvero ch’io creda alle sue parole?
Poiché, fratello, avete convertito Abigail,
Io sono obbligato a ripagarvi con la carità,
E così farò. Oh Giacomo, non mancate, venite da me.
FRA’ GIACOMO: Ma, Barabba, chi saranno i vostri padrini?
Ché tra poco sarete battezzato.
BARABBA: Perdiana, il turco sarà uno dei miei padrini,
Ma non una parola con nessuno del convento.
FRA’ GIACOMO: Ve lo garantisco, Barabba.
[Esce]
BarabbA:Ora la paura è passata, e sono al sicuro,
Poiché il frate che l’ha confessata è in casa mia…
Se l’uccidessi prima che venga fra’ Giacomo?
Ho in serbo un piano per ammazzarli tutti e due,
Un piano che mai ebrei e cristiani hanno partorito.
Uno di loro ha convertito mia figlia, perciò deve morire;
L’altro ne sa abbastanza da avere la mia vita in pugno,
E per questo non occorre che rimanga vivo.
Entrambi questi uomini saggi pensano
Che io lasci loro la mia casa, i miei beni e tutto:
Per digiunare e farmi frustare per bene?
Le cose non andranno così! Ora vengo da voi, fra’ Bernardino:
Vi tratterò con tutto il riguardo e vi darò alloggio,
E pronuncerò anche parole di cortesia; dopo di che, io e il mio
Fedele turco… Non dirò altro, così dev’essere e così sarà!
[Entra Itamoro]
Dimmi Itamoro, il frate dorme?
Itamoro: Sì, ma non capisco la ragione per cui,
Nonostante i miei sforzi, è andato a dormire
Con addosso i vestiti;
Temo che sospetti il nostro piano.
Barabba: No, è una regola che i frati osservano; supponiamo
Però che ne venga a conoscenza, potrebbe sfuggirci allora?
ItamORO:No; nessuno potrebbe sentirlo,
Nemmeno se gridasse a squarciagola.
Barabba:Ecco perché gli ho dato ospitalità in quella camera…
Le altre guardano sulla strada.
Itamoro:Padrone, perché perdere tutto questo tempo?
Vorrei già vederlo sulla forca a dimenare le gambe!
Barabba: Allora ragazzo procediamo:
Togliti la cintura e fa un bel nodo.
Svegliati, frate.
[Mettono il cappio attorno alla gola del frate]
FRA’ BERNARDINO: Che volete?…avete intenzione di strangolarmi?
Itamoro: Sì, perché hai la brutta abitudine di confessare.
Barabba:“Confessa e sarai impiccato”,dice il proverbio…
Proprio così; non avertela a male, non è colpa nostra. Stringi forte!
FRA’ BERNARDINO:Ma come! Volete veramente uccidermi?
Barabba: Ti dico: stringi forte.
[al frate]Ti sarebbe piaciuto derubarmi di tutti i miei beni, no?
Itamoro:E anche delle nostre vite! Tiriamo quanto
Più forte possiamo. [il frate cade].
E’ stato fatto tutto per bene, non abbiamo lasciato nessuna traccia.
Barabba:Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare. Sollevalo, ora.
Itamoro:Padrone, aspettate un momento!
Facciamolo appoggiare al bastone,
Così che sembri voglia mendicare.
BarabBA: Chi penserebbe mai che questo frate sia
Morto stecchito? Mio caro Itamoro, che ora si è fatta?
Itamoro:Quasi l’una.
Barabba: Allora Giacomo non tarderà ad arrivare.
[Escono]
[Entra FRA’ GIACOMO]
FRA’ GIACOMO: E’ arrivata l’ora di procedere;
Ora felice e lieta, in cui convertirò
Un infedele e ingrasserò d’oro le nostre casse.
Un attimo! Sbaglio o è Bernardino? Sì, è lui:
Sapeva che sarei passato di qua
E ci si è messo di proposito, con l’intenzione di impedirmi
D’andare dall’ebreo.
Bernardino!
Che fai non rispondi? Pensi che io non ti veda, eh?
Vai via, è un consiglio, e fammi passare:
Non lo fai? Allorà risolverò la cosa con la forza;
Vedo un bastone che fa proprio al caso mio:
Vediamo se hai il fegato di mettermi di nuovo
Il bastone tra le ruote. [lo colpisce e l’altro cade]
[Entrano Barabba e Itamoro]
Barabba: Che è successo, fra’ Giacomo, che avete mai fatto?
FRA’ GIACOMO: L'ho colpito, perché mi minacciava.
Barabba: Chi è, fra’ Bernardino? Ora, ahimè, l’avete ucciso!
Itamoro: Proprio così, padrone, è morto:
Guardate come le cervella gli colano dal naso.
FRA’ GIACOMO: Miei signori, sono stato io; ma nessuno lo sa,
Fuor che voi due, posso ancora fuggire.
Barabba: Così io e il mio uomo saremo impiccati
In vostra compagnia!
Itamoro: No, portiamolo dinanzi ai Magistrati.
FRA’ GIACOMO: Buon Barabba, lasciatemi andare.
Barabba: Perdonatemi, ma la Legge deve seguire il suo corso.
Sarò costretto a deporre che,
Avendomi tale fra’ Beranardino importunato
Perché mi facessi cristiano, l’ho chiuso fuori;
E lì vi rimase: ed io che, per mantener la promessa
Di donare i miei beni al vostro convento,
Mi ero alzato così presto con l’intenzione di recarmi
Da voi, giacché voi tardavate ad arrivare.
Itamoro: Vergogna padrone! Volete esser cristiano,
Mentre i santi frati si fan diavoli e si ammazzano l’un altro?
Barabba: No, dopo un simile esempio rimarrò ebreo.
Perdiana! Cosa, un frate assassino? Quando mai
Vedrete un ebreo commettere un simile misfatto?
Itamoro: Un turco non avrebbe potuto far di peggio.
Barabba: Domani è un giorno d’assise, e vi ci porteremo.
Su, Itamoro, aiutami a portarlo via.
FRA’ GIACOMO: Non toccatemi villani, la mia persona è sacra.
Barabba: Vi toccherà la legge: noi non faremo altro che condurvi.
Quasi piangerei della vostra disgrazia.
Porta anche il bastone, giacché lo si dovrà mostrare:
La legge vuole che ogni dettaglio sia reso noto.
[Escono]
[Entrano Bellamira e Pigliaborsa]
Bellamira: Pigliaborsa, hai incontrato Itamoro?
Pigliaborsa: Sì.
Bellamira: E gli hai consegnato la mia lettera?
Pigliaborsa: Certo.
Bellamira: E che pensi, verrà?
Pigliaborsa: Credo di sì; però non saprei dirlo, perché nel leggere
La lettera sembrava uno che fosse d’un altro mondo.
Bellamira: Come mai?
Pigliaborsa: Un vile schiavo come lui, interpellato da un uomo
Di valore come me, e da parte di una gentildonna come voi.
Bellamira: E che ha detto?
Pigliaborsa: Neppure una parola assennata; mi fece un cenno
Col capo, come chi volesse dire: “ Ma è vero?”. E così lo lasciai,
Perplesso dall’aspetto severo e accusatore del mio terribile volto.
Bellamira: E dove l’hai incontrato?
Pigliaborsa: Nei miei possedimenti, entro quaranta piedi
Dalla forca, studiando, immagino, il suo salmo penitenziale
E assistendo all’esecuzione di un frate; ch’io salutai col
Vecchio proverbio della canapa, Hodie tibi, cras mihi, e poi lo lasciai
Alla mercé del boia. Ma la cerimonia deve esser finita,
Eccolo che arriva.
[Entra Itamoro]
Itamoro: Non ho mai visto un uomo accettare la morte
Con tanta sopportazione, come quel frate.
Prima che gli mettessero la corda al collo, era già pronto a saltare;
E quando il boia gli mise il collare di canapa, recitò le sue preghiere, e
Così in fretta, che pareva avesse poi da servire in un’altra parrocchia.
Bene, vada dove vuole, non sarò io a seguirlo;
E, ora che ci penso, mentre mi dirigevo all’esecuzione, mi venne
Incontro un tizio con dei mustacchi neri come ali di corvo e una daga
Con un’elsa che sembrava grossa come uno scaldetto,
E mi diede una lettera d’una certa madama Bellamira, facendomi
Un inchino quasi volesse lustrarmi gli stivali con le labbra.
La lettera diceva in sostanza che dovevo recarmi a casa sua;
E me ne domando la ragione… Potrebbe esser che questa signora vedesse
In me più di quanto io possa trovare in me stesso; infatti dice,
Più avanti, che mi ama dal primo istante che mi ha visto, e chi
Non risponderebbe ad un simile richiamo? Ecco qua la sua casa ed ecco
Lei che arriva; ora vorrei essermene già andato, non sono
Degno neppure di guardarla.
Pigliaborsa: Questo è il gentiluomo cui avete scritto.
Itamoro: [a parte] Gentiluomo! Questo vuol farsi beffe di me;
Che gentilezza può esserci in un povero turco da dieci soldi?
Io me ne vado.
Bellamira: Pigliaborsa, quel giovane non ha un aspetto piacente?
Itamoro: [a parte] Anche giovane piacente!
Non siete stato voi, signore, a portare una lettera
A questo giovane piacente?
Pigliaborsa: Sono stato io, signore, e da parte di
Questa gentildonna, la quale, come me e il resto della sua famiglia,
È pronta ad ogni vostro volere.
Bellamira: Benché la modestia femminile dovrebbe trattenermi,
Non mi posso più frenare. Benvenuto mio dolce amore!
Itamoro: [a parte] Ora è chiaro, o meglio oscuro che debbo
Levarmi di mezzo.
Bellamira: Dove vai, così presto?
Itamoro: [a parte] Vado a rubare un po’ di denaro al mio padrone
Per farmi bello. [a voce alta] Scusatemi, devo andare a sorvegliare
Lo scarico d’una nave.
Bellamira: Puoi esser tanto crudele da lasciarmi così?
Pigliaborsa: Signore, sapeste come ella vi ama!
Itamoro: No, non mi importa quanto mi ama.
Dolce Bellamira potessi avere, per amor tuo, tutte le ricchezze
Del mio padrone.
Pigliaborsa: E potete averle, signore, basta che lo vogliate.
Itamoro: Se fossero visibili, le potrei e le vorrei avere;
Ma le nasconde e le seppellisce sotto terra, come fanno
Le pernici con le loro uova.
Pigliaborsa: E non è possibile scovarle?
Itamoro: Non è possibile in nessun modo.
Bellamira: [a Pigliaborsa] Che dobbiamo farne, allora,
Di questo mascalzone?
PIGLIABORSA
[a parte] Lascia fare a me, tu parlagli dolcemente.
[a voce alta] Ma voi sapete alcuni segreti dell’ebreo,
Che se fossero rivelati, gli recherebbero danno.
ITAMORO: Sì, eccome – forza, o mai più, mi farò inviare da lui
Metà dei suoi averi, fin troppo felice lui scappa. Penna ed inchiostro:
Gli scriverò, e avremo immediatamente il danaro.
PIGLIABORSA: Chiedete un centinaio di corone, almeno.
ITAMORO: Centomila corone!
[Scrive]
«Signor Barabba»
PIGLIABORSA: No… non così remissivo… minacciatelo!
ITAMORO: [ci pensa un attimo osservando Pigliaborsa, poi acconsente] «Barabba, farabutto, mandatemi cento corone! »
PIGLIA BORSA: Duecento!
ITAMORO: Trecento corone! «Le impongo di inviarmi trecento corone,
Tramite il mio messo, il quale rappresenterà il vostro intermediario;
Se non lo farete [ride] sapete quello che vi aspetta. »
PIGLIABORSA: Ditegli che confesserete.
ITAMORO: «Altrimenti confesserò… tutto!»
Sparisci e ritorna in un istante.
PIGLIABORSA: Lasciate fare a me, lo sfrutterò come un ebreo.
[Esce]
ITAMORO: Impiccalo, l’ebreo.
BELLAMIRA: Ora, gentile Itamoro, giaci sul mio grembo.
Dove sono i miei domestici? Preparate rapidamente un banchetto;
Andate dal mercante, ordinategli di portarmi delle sete,
Può Itamoro, il mio amore, andare in giro in simili stracci?
ITAMORO: E ordinate anche al gioielliere di venire qua.
BELLAMIRA: Non ho nessun marito, dolcezza e ti sposerò.
ITAMORO: D’accordo, ma lasceremo questa misera terra,
E viaggeremo fin d’ora verso la Grecia, l’adorabile Grecia,
Io sarò il tuo Giasone, e tu il mio vello dorato;
Là dove brillanti tappeti floreali son gettati sui prati,
E il vigneto di Bacco è disteso lungo il mondo:
Dove boschi e foreste si vestono di un avvenente verde,
Io sarò Adone, e tu sarai la regina dell’amore.
I prati, i frutteti, e i vicoli color giallo primula, invece di erba
Incolta e canne, producono canne da zucchero,
Tu in quei boschetti, per Dite superno,
Veni con me, sarai il mio amore eterno.
BELLAMIRA: Perché non dovrei andare con il dolce Itamoro?
[Entra PIGLIABORSA]
ITAMORO: Orsù dunque! Hai l’oro con te?
PIGLIABORSA: Sì.
ITAMORO: Ma te l’ha dato di sua spontanea volontà? La mucca
Ha lasciato scorrere il suo latte liberamente?
PIGLIABORSA: Dopo aver letto la lettera è rimasto a bocca aperta
E cominciando a battere i piedi si è girato da una parte e...
Gli ho stretto la barba, e l'ho guardato; gli ho detto che era meglio
Che lo mandasse, e lui si è avvicinato e mi ha abbracciato.
ITAMORO: Più per paura che per amore.
PIGLIABORSA: Allora come un ebreo ha riso e schernito,
E mi ha detto che mi amava da parte vostra, e ha aggiunto:«Che splendido servo che siete...»
ITAMORO: Ancora più furfante di quanto mi aspettassi:
Fa buon viso a cattivo gioco, non è così?
PIGLIABORSA: In conclusione, mi ha dato dieci corone.
[Porge il denaro a ITAMORO]
ITAMORO: Nient'altro che dieci? Non gli lascerò passare
Una così insignificante somma, dammi un foglio, avremo un regno
D’oro innanzi a noi.
PIGLIABORSA: Scrivete cinquecento corone.
ITAMORO: [Scrive] «Diavolo di un ebreo, se amate la vostra vita
Mandatemi cinquecento corone, e datene cento al messo!»
Digli che devo averle.
PIGLIABORSA: Vi garantisco che la vostra nave da guerra le avrà.
ITAMORO: E se ti chiede perché pretendo così tanto, digli che
Sdegnerei di scrivere qualcosa al di sotto di cento corone.
PIGLIABORSA: Diventerete un poeta ricco, signore. Io vado
[Esce]
ITAMORO: Prendilo tu il danaro, spendilo alla mia salute.
BELLAMIRA: Io non amo il tuo danaro, ma te: così Bellamira
Apprezza l'oro [lo butta via], ma così apprezza te [lo bacia].
ITAMORO: Baciami ancora; [a parte] Lo fa divinamente.
Che sguardo ha gettato su di me! Brilla come una stella.
BELLAMIRA: Vieni mio caro amore, andiamo a dormire assieme.
ITAMORO: Oh che diecimila notti siano riunite in una, così che
Possiamo dormire insieme sette anni prima di svegliarci.
BELLAMIRA: Vieni amoroso burlone, prima si mangia,
E poi a dormire.
[Escono]
[Entra BARABBA leggendo una lettera]
BARABBA: «Barabba mandatemi trecento corone!»
Chiaro, Barabba: oh che perfida cortigiana! Non era abituata a
Chaiamarmi Barabba. «Altrimenti confesserò»: sì, questo dimostra
Le sue intenzioni, ma se lo farà gli taglierò la gola
Ha mandato uno schiavo irsuto, barcollante e chiassoso,
Che quando parla, allunga la barba, e le fa fare due o tre giri
Attorno all'orecchio; e la cui faccia è stata una macina
Per le spade degli uomini, le sue mani sono rovinate, alcune dita
Sono state tagliate via; quando parla grugnisce come un porco,
E guarda come un ruffiano, e ti inganna, come un vagabondo
Che vuole fare il marito di cento puttane:
E io dovrei mandargli trecento corone.
Bene, la speranza è che non rimarrà lì per sempre:
E quando tornerà... oh se fosse già qui!
[Entra PIGLIABORSA]
PIGLIABORSA: Ebreo, devo avere più oro!
BARABBA: Avete già dimenticato la somma richiesta?
PIGLIABORSA: No, ma trecento non sono sufficienti
Per i suoi propositi.
BARABBA: Non sono sufficienti per i suoi propositi, signore?
PIGLIABORSA: No signore, perciò ne devo avere cinquecento in più!
BARABBA: Certamente...
PIGLIABORSA: Saggia decisione, signore, e inviando l'oro
Farete ancora meglio; guardate, qui c’è la sua lettera.
BARABBA: Non poteva venire lui a prenderli? Vi prego di ordinargli
Di venire qui; e avrà anche le cento corone chieste per voi.
PIGLIABORSA: Sì, e il resto, altrimenti...
BARABBA: [a parte] Devo sbarazzarmi di questo farabutto.
Vi prego cenate con me signore, e molto cordialmente sareste servito
[a parte] col veleno...
PIGLIABORSA: No, Dio vi ringrazi, posso avere queste corone?
BARABBA: Non posso dargliele, ho... dimenticato le chiavi!
PIGLIABORSA: Oh...se è solo questo, posso forzare
La vostra serratura.
BARABBA: O arrampicarvi fino alla finestra della cassa:
Voi capite cosa voglio dire.
PIGLIABORSA: Si, ho capito abbastanza, perciò non parlatemi più
Della vostra cassa; l'oro! O sappiate, ebreo,
Che è in mio potere d’impiccarvi.
BARABBA: [a parte] Sono stato tradito.
Ciò che mi fa rabbia non sono queste cinquecento corone, non sono
Turbato da questo, ma dal fatto che colui che sa che l’amo come me stesso
Possa scrivermi in questo tono arrogante! Perché signore, voi sapete che
Non ho figli, e a chi potrei lasciare tutto se non a Itamoro?
PIGLIABORSA: Tante parole, ma niente corone... Le corone!
BARABBA: Portatemi da lui, signore, molto umilmente,
E dalla vostra padrona tanto buona quanto sconosciuta.
PIGLIABORSA: Parlate: le avrò?
BARABBA: Signore eccole [Dà l’oro].
[a parte] Che io mi possa staccare da così tanto oro...
Prendetele compagno, con tutta la sua buona volontà
[a parte] di vederti impiccato...
Oh, l'amore mi ferma il respiro:
Non ho mai amato un servitore quanto Itamoro.
PIGLIABORSA: Lo so, signore.
(nota del regista: in verità poiché ho tagliato del tutto la scena di Barabba nell’alcova di Bellamira, qui ho inserito una battuta per giustificare l’avvelenamento di Itamoro e dei suoi compari – BARABBA: Una cortesia, signore portate questo fiore
ad Itamoro,al mio antico amore)
BARABBA: Ditemi signore, quando vi rivedrò a casa mia?
PIGLIABORSA: Tra poco tempo, anche se molto vi costerà signore:
Statemi bene.
[Esce]
BARABBA: No, a voi costerà, furfante, se verrete.
È mai stato tormentato un ebreo come lo sono io?
Avere un furfante straccione che mi scuce
Trecento corone, e poi cinquecento corone?
Be’, devo trovare un modo per sbarazzarmi di loro,
E immediatamente: perché nella sua malvagità
Dirà tutto ciò che sa e così avrei innanzi la morte.
Ho trovato: andrò con qualche travestimento a vederlo,
Come il furfante gozzoviglia con il mio oro.
[Esce]
[Entrano BELLAMIRA, ITAMORO e PIGLIABORSA]
BELLAMIRA: Brindo a te, amore, perciò beviamo.
ITAMORO: Mi dite questo? «Touchè»: e ascolta
[le bisbiglia qualcosa]
BELLAMIRA: Forza, sarà così.
ITAMORO: A queste condizioni, berrò; questo è per te.
BELLAMIRA: No, o tutto, o niente.
ITAMORO: Ecco, se mi ami non lascerò neanche una goccia.
BELLAMIRA: Certo che ti amo! Riempimi tre bicchieri.
ITAMORO: Tre e cinquanta dozzine. Brindo a voi.
PIGLIABORSA: Ha parlato da briccone, e come un cavaliere in armi.
ITAMORO: Ehi, Rivo Castigliano... da uomo a uomo...
BELLAMIRA: Ora dall'ebreo.
ITAMORO: Ronza attorno all’ebreo,
E mandami quanto più denaro puoi.
PIGLIABORSA: E se vi dicessi che non vi ha mandato niente?
ITAMORO: Non preoccuparti, so quello che è: un assassino.
BELLAMIRA: Non ho mai pensato che avesse tanto fegato.
ITAMORO: Conosci Mattia e il figlio del governatore?
Be’ io e lui li abbiamo uccisi entrambi, e non li abbiamo mai toccati.
PIGLIABORSA: Oh, che azione coraggiosa...
ITAMORO : Io ho portato il brodo che ha avvelenato le monache,
E io e lui con la mia mano insidiosa, lestissima,
abbiamo strangolato un frate.
BELLAMIRA: Voi due da soli?
ITAMORO: Noi due: non è mai stato scoperto e per conto mio
Non lo sarà mai!
PIGLIABORSA: [a parte] Questa notizia la porterò al governatore.
BELLAMIRA: [a parte] E così sia! Ma prima procuriamoci altro oro.
Vieni, dolce Itamoro mio, ch’io ti stringa al seno.
ITAMORO: «Amami poco, amami a lungo»:
Che la musica suoni,
Mentr’io sul tuo bel bacin mi… allungo!
[Entra Barabba travestito, con in mano un liuto]
BELLAMIRA: Un musico francese! Vediamo cosa sapete fare!
BARABBA: Prima devo accorder il mio liuto! dlan, dlan!
ITAMORO: Volete bere, francese? Alla vostra salute, e…
Al diavolo questo singhiozzo da ubriacone!
BARABBA: Grand merci monsieur.
BELLAMIRA: Pigliaborsa prega il suonatore di darmi il
Mazzolino che ha sul cappello.
PIGLIABORSA: Ehi, voi date il mazzolino alla mia signora!
BARABBA: A vostre commandement, madame.
(nota del regista qui ho inerito la battuta – PIGLIABPRSA: Ah, dimenticavo: manda questo per voi. (gli da il fiore)
BELLAMIRA: O mio Itamoro, che dolce olezzo mandano questi fiori!
ITAMORO: Come il tuo alito, gioia del mio cuore: vere e proprie viole.
PIGLIABORSA: Puah! Per me puzzano come la ruta.
BARABBA: [a parte] Ora mi sono vendicato di tutti loro.
Il profumo di quei fiori era mortale, l’avevo avvelenato.
ITAMORO: Suonate musico, o delle budella del vostro liuto
Farò dei salsicciotti!
BARABBA: Pardonnez-moi, non ho encore finito di accorder;
Voilà, ora è a posto.
ITAMORO: Dagli una corona e versami altro vino.
PIGLIABORSA: Ecco qui le vostre corone, ora suonate.
BARABBA: [a parte] Il farabutto fa il generoso con il mio oro.
PIGLIABORSA: Muove le dita molto bene, vi pare?
BARABBA: [a parte] Come te quando m’hai rubato l’oro.
PIGLIABORSA: Con che velocità!
BARABBA: [a parte] Tu sei stato più svelto nel gettare
Il mio danaro dalla finestra.
BELLAMIRA: Suonatore, è da molto tempo che siete a Malta?
BARABBA: Due… trois, quatre mesi, madame.
ITAMORO: Conoscete un ebreo, un tal Barabba?
BARABBA: Molto bien, ma vous monsieur, non siete mica il suo servo?
PIGLIABORSA: Il suo servo?
ITAMORO: Disprezzo quel villano, diteglielo pure.
BARABBA: [a parte] Già lo sa.
ITAMORO: E’ una strana faccenda, quell’ebreo,
Si ciba di cavallette sotto aceto e funghi al sugo.
BARABBA: [a parte] Che razza di schiavo è questo,
Nemmeno il governatore mangia meglio di me!
ITAMORO: Non si cambia camicia da quando è stato circonciso.
BARABBA: [a parte] Canaglia! Mi cambio due volte al giorno.
ITAMORO: Il cappello che indossa è quello che Giuda
Ha lasciato sotto il sambuco dove si è impiccato.
BARABBA: [a parte] Me l’ha mandato in dono il Gran Khan.
PIGLIABORSA: E’ una brutta carogna! Ora dove andate, suonatore?
BARABBA: Pardonnez-moi, monsieur, moi pas bien.
[Esce]
PIGLIABORSA: Addio suonatore. E ora un’altra lettera all’ebreo.
BELLAMIRA: Sì, dolce amor mio, un’altra lettera, e che sia salata!
ITAMORO: No, questa volta glielo diremo a voce!
Costringilo a consegnarti mille corone, visto che alle suore piaceva
Il riso e che frate Bernardino ha dormito con i suoi panni indosso:
L’una o l’altra ragione lo convincerà.
PIGLIABORSA: Lasciate fare a me,
Ora che capisco il significato di queste parole.
ITAMORO: Un significato che ha senso. Rovinare un ebreo è un
Atto di carità e non un peccato. Entriamo.
[Escono]
ATTO V
[Entrano il Governatore (Fernese), cavalieri, Martin del Bosco e ufficiali]
FERNESE: Ora signori impugnate le armi e badate a che Malta
Sia ben protetta; sta a voi l’esser risoluti. Perché Calymath,
Avendo indugiato qui così a lungo, conquisterà la città o morirà
Ai piedi delle sue mura.
PRIMO CAVALIERE: Che muoia perché giammai noi cederemo.
[Entrano Bellamira e Pigliaborsa]
BELLAMIRA: Portateci dal governatore.
FERNESE: Fate uscire quella donna, è una cortigiana.
BELLAMIRA: Qualsiasi cosa io sia, ascoltatemi Governatore,
Ho informazioni su chi uccise vostro figlio. Non fu Mattia, ma l’ebreo.
PIGLIABORSA: Il quale non solo uccise quei due nobili giovani,
Ma avvelenò la sua stessa figlia e le monache, strangolò un frate
E non ho idea di quali altri misfatti si è macchiato.
FERNESE: Avete delle prove per…
BELLAMIRA: Prove attendibili, mio signore, il suo servo è ora a
Casa mia: lui confesserà tutto.
FERNESE: Andate a prenderlo immediatamente.
[Escono gli ufficiali]
Ho sempre temuto quell’ebreo.
[Entrano gli ufficiali con Barabba e Itamoro]
BARABBA: Faccio da solo. Non trascinatemi, cani!
ITAMORO: Nemmeno a me. Non posso correre più veloce di voi,
Ufficiale. Oh la mia pancia!
BARABBA: [a parte] Un altro pizzico di polvere e mi sarei
Salvato, che stupido!
FERNESE: Accendete i fuochi, arroventate i ferri, preparate la ruota.
PRIMO CAVALIERE: Aspettate mio signore, può darsi che voglia
Confessare di sua spontanea volontà.
BARABBA: Confessare? Che significa signori,
Chi dovrebbe confessarsi?
FERNESE: Tu e il tuo turco, siete stati voi ad uccidere mio figlio.
ITAMORO: Colpevole, mio signore io confesso. Vostro figlio e Mattia
Erano entrambi promessi ad Abigail, egli scrisse una falsa sfida.
BARABBA: Chi portò quella sfida?
ITAMORO: Io, lo confesso, ma chi l’ha scritta? Al diavolo!
La stessa persona che strangolò Bernardino, avvelenò le monache
E la propria figlia.
FERNESE: Portatelo via, la sua presenza mi strazia!
BARABBA: Ma per quale motivo? Signori di Malta ascoltatemi:
Quella è una cortigiana, lui è un ladro e lui è il mio schiavo.
Mi appello alla legge perché nessuno di loro può mettere in pericolo
La mia vita.
FERNESE: Ancora, portatelo via. E di voi ebreo sarà fatta giustizia.
BARABBA: Fate del vostro peggio diavoli,
[a parte] Vivrò a dispetto vostro. La loro anima pagherà per le loro parole. Spero che i fiori avvelenati abbiano effetto immediatamente.
[Escono gli ufficiali con Barabba, Itamoro, Bellamira e Pigliaborsa]
[Entra Caterina]
CATERINA: Il mio Mattia è stato ucciso dall’ebreo?
Fernese, è stato tuo figlio a ucciderlo.
FERNESE: Abbiate pazienza, mia signora, fu proprio lui:
Lui ha forgiato la falsa sfida che li ha fatti combattere.
CATERINA: Dov’è l’ebreo, dov’è quell’assassino?
FERNESE: In prigione, finché la legge non avrà emesso sentenza.
[Rientra il PRIMO UFFICIALE]
PRIMO UFFICIALE: Mio signore, la cortigiana e il suo uomo
Sono morti, anche il turco e pure Barabba l’ebreo…
FERNESE: Morto?
PRIMO UFFICIALE: Morto, mio signore,
Stanno portando il suo cadavere.
MARTIN DEL BOSCO: Questa sua morte improvvisa è molto strana.
[Entrano gli UFFICIALI portando il cadavere di BARABBA]
FERNESE: Non vi interrogate, i cieli sono giusti. La loro morte è stata
Come le loro vite, quindi non ci pensate.
Essendo morti che vengano seppelliti.
Per quanto riguarda il corpo dell’ebreo, gettatelo dalle mura
In pasto agli avvoltoi e alle belve selvatiche.
[Barabba viene gettato]
Bene ora difendiamo la città.
[Escono tutti tranne Barabba]
BARABBA: Cosa, tutto solo?Ben fatto sonnifero.
Mi vendicherò di questa città dannata. Farò entrare Calymath ad ogni
Costo. Lo aiuterò a massacrare i loro bambini e le loro mogli;
A dar fuoco alle chiese; ad abbattere le loro case; riprenderò le mie
Ricchezze e le mie terre. Spero di vedere il governatore schiavo
E legato alla galea, frustato a morte.
[Entra CalImat con i Pascià ed altri Turchi]
CALIMAT: Cosa abbiamo qui, una spia?
BARABBA: Si, mio buon signore, ma che può svelarvi un luogo
Da cui entrare e prendere di sorpresa la città.
Mi chiamo Barabba, sono un ebreo.
CALIMAT: Sei forse quell’ebreo di cui abbiamo sentito,
I cui beni sono stati venduti per pagarmi il tributo?
BARABBA: In carne ed ossa, signore. E dato che hanno assoldato
Un mio schiavo per accusarmi di mille misfatti, sono stato
Imprigionato, ma sono riuscito a fuggire.
CALIMAT: Sei fuggito dalle carceri?
BARABBA: No, No. Ho bevuto un infuso di papavero e mandragola
Fredda. Addormentato, mi credettero morto e mi gettarono dalle mura,
Così, per dir le cose come stanno, l’ebreo è qui e si rimette alla vostra
Volontà.
CALIMATH: Sei stato bravo, ma dimmi Barabba,
Sei veramente in grado, come hai detto, di consegnarci Malta?
BARABBA: Non abbiate paura, mio signore, qui vicino
La roccia è vuota ed intenzionalmente scavata per creare un passaggio
All’acqua piovana e alle fognature.
Ora, mentre voi assaltate le mura, io guiderò cinquecento uomini
Attraverso la volta e salirò con loro al centro della cittadella. Aprirò le
Porte per farvi entrare -- e in questo modo la città sarà vostra.
CALIMAT: Se ciò è vero, ti nominerò Governatore.
BARABBA: Se ciò non fosse vero, allora che mi si uccida.
CALIMAT: Ti sei condannato da solo. Presto, all’assalto!
[Escono]
[Squilli di trombe. Entrano i Turchi, Barabba, con, prigionieri, il Governatore Fernese e i cavalieri]
CALIMAT: E ora il vostro capo abbassate cristiani prigionieri,
In ginocchio chiedete pietà al vostro vincitore:
Dove finì la speranza superba di Spagna?
Parlate, Fernese, non vi avrebbe giovato
Di più mantenere la parola e non esser catturato?
FERNESE: Che dire? Ormai siamo schiavi, e ci arrendiamo.
CALIMAT: Si, arrendetevi canaglie, e sotto il giogo turco
Lamenterete il peso della nostra collera;
E a te Barabba, come avevo promesso,
Prenderai il posto del Governatore per merito.
Fanne ciò che vuoi.
BARABBA: Grazie mio signore.
FERNESE: Oh Giorno Mortale! Cadere nelle mani
Di quell’empio traditore ebreo!
Qual pena più grande ci si può aspettare?
CALIMAT: Questi sono gli ordini. Barabba, ti metteremo
Come guardiani questi due giannizzeri:
Fanne buon uso come noi di te.
E ora, bravi pascià, andiamo un po’ a vedere
Come crolla la città e ad ammirare le nostre distruzioni:
Addio prode ebreo, addio, Barabba il grande.
[Escono Calimat e i Pascià]
BARABBA: Che la fortuna sempre gli arrida.
E ora, per cominciare sicuro,
Capitani, compagni e alleati, tutti in prigione!
Insieme, naturalmente, al governatore.
FERNESE: Mascalzone, prima o poi il cielo si vendicherà!
BARABBA: Via, via, non voglio più esser disturbato.
Ora Barabba hai ottenuto con la tua scaltrezza
Non una cosa da niente, non una piccola carica:
Ora sono io il Governatore di Malta, già…
Ma Malta mi detesta e mi mette con ciò
In pericolo di vita. A che pro dunque,
Mio povero Barabba, essere governatore
Se della vita non puoi esser padrone?
No, devo risolvere l’inghippo,
E se sono asceso al comando con l’astuzia,
Resto in alto con ferma condotta
O almeno non debbo cadere senza guadagnarci:
Chi ha dalla sua l’autorità
E le tasche lascia vuote e amici non si fa,
Fa la fine dell’asino di Esopo,
Che fatica, con pane e vino sulla groppa
E poi lo lascia per ficcarsi i cardi in bocca.
Ma Barabba sarà ben più guardingo.
Fa’ presto, l’occasione è calva dietro
E scivolosa, e poi è troppo tardi
Per chiedere molto, e nulla otterrai.
Là dentro!
[Entra il GOVERNATORE con una GUARDIA]
FERNESE: Mio Signore?
BARABBA: Giusto, «Signore», così gli schiavi imparano.
Ora Governatore resta lì -- aspetta fuori --
[esce la guardia]
Per questo ti mandai a chiamare:
La vita tua e la felicità di Malta
Sono in mio possesso:
Barabba di entrambe dispone a piacimento.
Ora dimmi, governatore, in tutta verità,
Cosa pensi che ad essa e a te accadrà?
FERNESE: Penso che, se il potere è nelle tue mani,
Di certo è prossima la rovina di Malta
E solo estrema crudeltà da te mi aspetto,
Non temo la morte e non mi servo di lusinghe
BARABBA: Meno rabbia, governatore,
Della tua vita nulla me ne faccio:
Eppur tu vivi, e per me vivrai;
E rovinar Malta non credi che
Sarebbe una debole mossa per Barabba?
Dico, liberarsi di un tal luogo!
Poiché in quest’isola, come una volta hai detto,
I miei beni ho guadagnato
E qui ho sempre avuto successo,
Ed ora che mi han fatto Governatore,
Vedrete voi altri che ben lo rammento
E come un ignoto amico nelle asperità
Solleverò Malta che non sa come salvarsi.
FERNESE: Rimedio alle perdite e bontà con i cristiani?
Chi lo farà? Tu, Barabba?
BARABBA: E che mi darai, Governatore,
Se ti sciolgo dal giogo servile
In cui il turco costrinse voi e la vostra terra?
Che mi darai, se la vita di Calimat ti offro,
Se i suoi uomini sorprendo,
E rinchiusi tutti i soldati in un convento
Li lascio consumare dalle fiamme?
Che mi darai per tutto questo?
FERNESE: Se farai accadere ciò che vanti,
Se tratterai con noi come dichiari
Tutti i cittadini lo dovranno sapere
E con una mia lettera otterrai
Il giusto compenso per tali gesta,
Anzi, di più, fallo, e resterai governatore.
BARABBA: No, tu fa’ ciò che dici, Fernese, e sarai libero,
Sì, Governatore, libero. Vivi con me,
Gira per la città, incontra gli amici,
E non per lettera, ma di persona
Vediamo che somma riesci a recimolare
Per questa mano che Malta libererà.
Ascolta il piano: a una cerimonia solenne
Inviterò Il giovane Selim Calimat.
La tua presenza servirà ad attuare
Uno stratagemma che ti insegnerò
E che la vita non ti farà rischiare.
Malta così, è garantito, sarà per sempre libera.
FERNESE: Ecco la mia mano, Barabba, e credimi
Ci sarò e farò come desideri.
A quando allora?
BARABBA: Quanto prima, Governatore.
Poiché Calimat, dato uno sguardo alla città,
Prenderà il largo verso la Turchia.
FERNESE: Dunque, Barabba, me ne vado a cercare la somma dovuta,
E la porterò e te la darò durante la serata.
BARABBA: Và allora, e non fallire. Addio Fernese.
[esce Fernese]
Finora, tutto secondo i piani
Così, amandone nessuno, con entrambi vivrò,
Ottenendo un giusto guadagno per la mia astuzia
E chi risulterà per me più vantaggioso
Costui sarà mio amico.
Vita degna d’un ebreo:
E a ragione, perché è degna pure d’un cristiano:
Bene, pensiamo a far valere l’intrigo;
Primo: sorprendere i soldati di Selim,
Secondo: provvedere a questa festa
In modo che tutto coincida.
L’accortezza non si fa prevenire,
Io solo so a che mira il mio piano
E loro lo sapranno, sì, ma a costo della vita.
[Entrano Calimat, i Pascià]
CALIMAT: Abbiamo così visto la città ed il saccheggio
Abbiamo ordinato la ricostruzione dopo la rovina
Che con bombarde e basilischi causammo nell’entrarvi.
E ora capisco la situazione
E come se ne sta sicura quest’isola conquistata
Difesa dal Mediterraneo
E fortificata da altre isolette;
E verso la Calabria, la Sicilia la sostiene
E due alte torri si ergono sulla città,
Proprio qui regnò Dionisio di Siracusa.
E allora mi chiedo: chi può conquistarla?
[Entra un Messaggero]
MESSAGGERO: Da Barabba, Governatore di Malta,
Son venuto a consegnare
Un messaggio per Calimat conquistatore
Udendo che il sovrano era diretto al mare,
Per salpare verso la Turchia e l’Impero Ottomano;
Egli vi prega umilmente, vostra Maestà,
Di venire a visitare la sua modesta dimora
Per farvi la festa prima della vostra partenza.
CALIMAT: Un banchetto nella sua fortezza!
Messaggero, temo che far festa al mio seguito
In una città vessata dal saccheggio
Recherebbe fastidio e sarebbe costoso;
Eppure una visita a quel Barabba la farei,
Merita un buon trattamento da noi.
MESSAGGERO: Se è per questo, dice il Governatore,
Ch’egli tiene preso di sè una perla così grande
E così preziosa e splendente
Che al valor corrente il suo prezzo
Basterebbe a festeggiare voi
E i vostri soldati per un mese;
perciò egli supplica Vostra Altezza
Di non partire prima che tal festa gli sia fatta.
CALIMAT: Ma i miei uomini non potranno far festa entro mura,
A men che non si piazzi i tavoli per le strade…
MESSAGGERO: Sappiate, Selim, che c’è un convento
Qui nei dintorni della città:
I soldati potranno banchettar lì, e voi al palazzo,
Con tutti i pascià e i bravi ufficiali.
CALIMAT: Allora di’ al governatore che accettiamo,
L’invito a festa in questa sera d’estate
MESSAGGERO: Sarà fatto, mio Signore.
[Esce]
CALIMAT: E ora coraggiosi pascià, alle tende!
E vestiamoci al meglio per rendere onore
Alla gran festa del governatore.
[Escono]
[Entrano il GOVERNATORE [FERNESE], i CAVALIERI, MARTIN DEL BOSCO]
FERNESE: In questo, compagni miei, da me fatevi guidare,
State ben attenti che nessuno se ne vada
Finché chi regge la colubrina
Non lancerà uno sparo;
Poi uscite fuori e venite a salvarmi,
Giacché forse sarò in pericolo,
O voi ormai liberi dalla servitù.
PRIMO CAVALIERE: Piuttosto che vivere schiavi dei turchi,
Cosa non rischieremmo?
FERNESE: Allora: andate.
CAVALIERI: Addio Governatore.
[Escono]
[Entra BARABBA con un martello e dei FALEGNAMI]
BARABBA: Come sono le corde? Come mantengono questi perni,
Sono fissi? Sono sicure tutte le leve e le pulegge?
PRIMO FALEGNAME: Tutto a posto.
BARABBA: Non lasciate nulla al caso, tutto dev’esser
Come nel mio piano.
Ma adesso vedo che lavorate ad arte infatti.
Qui, falegnami, dividetevi quest’oro:
Andate ad ubriacarvi col secco vino e col moscatello:
Giù nella cantina, assaggiate tutti i miei vini.
PRIMO FALEGNAME: Lo faremo, Signore, grazie.
[Escono
i CARPENTIERI].
BARABBA: E se vi piacciono beveteli tutti fino a scoppiare:
Perche se io vivo tutto il mondo può pure crepare.
Adesso Selim Calimat dammi la conferma
Che verrai, ed io allora sarò soddisfatto.
[Entra il MESSAGGERO]
Allora, dimmi, verrà?
MESSAGGERO: Verrà; e ha ordinato a tutti i suoi uomini
Di sbarcare e marciare per le strade di Malta,
E che voi li farete festeggiare nella vostra città.
BARABBA: Sta andando tutto come speravo,
Qui solo i danari del governatore mancano,
[Entra il GOVERNATORE (FERNESE)]
E vedo che li sta portando: allora, Governatore, la somma.
FERNESE: Hanno consegnato spontaneamente centomila ducati.
BARABBA: Hai detto ducati, Governatore? Bene se non c’è altro
Mi accontenterò di questi; no, tienili ancora tu,
Così se non manterrò la promessa, non dovrai più fidarti di me.
E Governatore, ora partecipa al mio piano:
Prima avanti mandiamo i suoi soldati,
Avanti nel convento, di sotto in molti posti pezzi leggeri d’artiglieria,
Bombarde e fusti di polvere da sparo
Ho già piazzato, così all’improvviso scoppierà,
E tutti i sassi si scaricheranno tutt’intorno a loro,
Cosicché nessuno sopravvivrà.
Per Calimat e i suoi compagni,
Ho preparato un palchetto carino:
Il pavimento cadrà in pezzi, quando sarà tagliata la fune,
Così in un profondo pozzo
Dovranno affondare senza scampo.
Tieni questo coltello,e quando lo vedi arrivare
E con i suoi pascià a tavola si sarà seduto felice,
Un colpo d’avviso dalla torre sarà sparato,
Così saprai quando dovrai tagliare la fune,
E quando dovrai dare fuoco al monastero; di’, non è splendido?
FERNESE: Oh eccellente! Prendi i denari Barabba,
Di te mi fido, prendi pure quel che ti è stato promesso.
BARABBA: No, Governatore, Verrai soddisfatto tu per primo,
Non voglio che dubbio alcuno possa in te rimanere.
Attento, sono in arrivo:
[FERNESE
si ritira]
Perché, non è un regal commercio comprare una città
Col tradimento e venderla con l’inganno?
Ditemi, signori, se sotto il sole,
Mai frode più grandiosa è stata fatta.
[Entrano CALIMAT e i PASCIA]
CALIMAT: Venite, Pascià miei compagni, e lassù guardate
Come è indaffarato Barabba
Nel preparare il divertimento sul suo terrazzo;
Salutiamolo. Salve a te Barabba.
BARABBA: Benvenuto grande Calimat.
FERNESE: [a parte] Come si burla di lui l’aguzzino
BARABBA: Prego , potente Selim Calimat,
Volete
salir le mie misere scale?
CALIMAT: Sì, Barabba, venite Pascià, seguitemi.
FERNESE [venendo da dietro] Aspettate, Calimat;
Perché vi mostrerò più cortesia
Di quella che Barabba vi vuole offrire.
CAVALIERE [da fuori] Lanciate il segnale ora.
[Il segnale viene lanciato, il cavo viene tagliato,
Viene scoperto un calderone nel quale cade Barabba].
[Entrano MARTIN DEL BOSCO e i CAVALIERI]
CALIMAT: Cosa c’è ora, che significa questo?
BARABBA: Aiuto, aiutatemi Cristiani, aiuto.
FERNESE: Vedete Calimat, questo era stato preparato per voi.
CALIMAT: Tradimento, tradimento Pascià, scappiamo.
FERNESE: No, Selim, non fuggite;
Assistete alla sua fine prima, e poi fuggite se potete.
BARABBA: Oh aiutatemi, Selim, aiutatemi Cristiani,
Governatore, perché rimanete così impassibili senza pietà?
GOVERNATORE: Potrei io per pietà di te o dei tuoi lamenti,
Maledetto, ebreo Barabba, placarmi?
No, perciò dovrai pagare per il tuo tradimento,
Sebbene speravo che ti comportassi diversamente.
BARABBA: Allora non mi aiuterai?
FERNESE No, delinquente, no.
BARABBA: Farabutti, so che non potete aiutarmi ora.
Barabba, esala il tuo ultimo respiro,
E nella furia dei tuoi tormenti, ingegnati
Per far finire la tua vita con fermezza.
Sappi, Governatore, che io ho ucciso tuo figlio;
Io ho concepito la sfida che li ha fatti incontrare:
Sappi, Calimat, intendevo sconfiggerti,
E se fossi sfuggito a questa trappola ci sarei riuscito,
Avrei portato voi tutti alla distruzione
Dannati cristiani, cani, e turchi infedeli;
Ma ora comincia l’estremo calore
A pungermi con intollerabili tormenti:
Muori vita, vola anima, lingua pronuncia le tue bestemmie e muori!
CALIMAT: Ditemi, Cristiani, cosa significa ciò?
GOVERNATORE: Ha escogitato questo piano per intrappolare
La vostra vita; adesso Selim notate le azioni sacrileghe dei giudei:
Così era determinato a manipolarvi,
Ma io piuttosto ho scelto di salvarvi la vita.
CALIMAT: Era questo il banchetto che aveva preparato per noi?
Andiamo, prima che altre offese siano perpetrate.
FERNESE: No, Selim, rimanete, perché dacchè voi siete qui,
Non vi lasceremo andare così presto:
Inoltre, se lo facessimo non farebbe differenza alcuna,
Dato che le vostre galee non possono salpare
Senza uomini in forza che le equipaggino e muniscano.
CALIMAT: Bah, Governatore, di questo non dovete preoccuparvi,
I miei uomini sono tutti a bordo,
Ad attendere il mio arrivo.
FERNESE: Non avete udito la tromba suonare la carica?
CALIMAT: Sì, cos’era?
FERNESE Beh la casa è stata bruciata,
Distrutta e tutti i vostri soldati massacrati.
CALIMAT: Oh mostruoso traditore!
FERNESE Cortesia d’ebreo:
Siccome egli col tradimento ottenne la nostra caduta,
Col tradimento vi ha consegnato a noi:
Sappiate dunque che, finché vostro padre non riparerà
Le rovine di Malta e le nostre,
Voi non potrete partire: o Malta sarà libera,
O Selim non ritornerà più nell’Impero Ottomano.
CALIMAT: No piuttosto, cristiani, lasciatemi tornare in Turchia,
Ad occuparmi di persona della vostra pace;
Tenermi qui non v’è di vantaggio alcuno.
FERNESE: Accontentatevi, Calimat, qui dovete restare,
E vivere a Malta prigioniero; seppure il mondo intero venisse
A salvarvi, ci proteggeremo.
Piuttosto dovranno bere l’oceano,
Prima di conquistarci o danneggiarci.
Uscite quindi , e lode sia fatta
Non al fato o alla fortuna, ma al cielo.