Lei e il suo ritratto

Stampa questo copione

LEI E IL SUO RITRATTO

LEI E IL SUO RITRATTO

Commedia in due quadri

Di GIGI MICHELOTTI

PERSONAGGI

GABRIELLA

SUSANNA

FANNY

JOSETTE

MADAME BLANQUIPURE

LA VECCHINA

LA FIGLIA GREUZE

DIDEROT

GRIMM

BABUTI

UN SIGNORE

COMMESSO

 

Cateragia per il Sito GTTEMPO

IL PROLOGO

(che può essere anche letto)

La commedia ha per moti­vo l'avventura matrimonia­le del pittore Greuze; un'avventura nella quale c'è del vero, ma che non è tutta vera. Greuse è stato dalla critica biasimato per­chè ha dato a tutte le crea.\ ture uscite dal suo pennello uno stesso /»! sico e uno stesso volto: quello di sua moglie,\ E' parso alla critica biasimevole questa sua ostentata fedeltà. Ora l'autore della com­media immagina che V enciclopedista, critico e filosofo, Diderot, che db Greuze fu Vispi* ratore e Vesaltatore, preoccupato di questi' biasimi e saputo che il pittore intende spo­sare una fanciulla che rassomiglia alla crea­tura ideale che questi ostinatamente dipinge, si studi di contrastarlo.

Lo studio del pittore Greuze in una soffitta del quartiere della Sorbona di Parigi. Il tetto è segnato da una linea rigida e discendente; la finestra da quattro sbarre che tagliano un cielo grìgio; la porta da un architrave. Tele abbozza­te, quadri finiti, studi, tavolozze, pennelli. Te­ste di bimbi e di donne, tutte egualmente bion­de e rotondette, con grandi occhi azzurri. Bim­bi e donne che sembrano appartenere tutti ad una sola famiglia.

(Allo schiudersi del velario, madama Blan-quipure, la portinaia, è. sola in scena. Ha rior­dinato lo studio e sta per andarsene. Un'oc­chiata in giro per assicurarsi che non si è di­menticata di nulla, poi...).

Madame Blànquipure   - Posso andarmene senza rimorsi. (Si avvia. Apre l'uscio con viva­cità e nel vano dell'uscio si incontra con Dide. rot; gli cade tra le braccia) Ah!

Diderot                         - (abbracciandola con espansività) Ah! Grido di sorpresa; ma di una sorpresa che non fa dispiacere. Lo confessi?

Madame Blànquipure   - Lei è sempre così gentile, signor Diderot: spiava la mia uscita?

Diderot                         - No, sono giunto nel momento op­portuno. Giungo sempre nel momento oppor­tuno io. Sono l'uomo delle grandi circostanze. Non capita tutti i giorni di poter stringere fra le proprie braccia la più bella portinaia del quartiere della Sorbona.

Madame Blànquipure   - La più bella?! Co­me se non si sapesse che lei ha la finezza di trovare belle tutte le donne.

Diderot                         - Diciamo la più prosperosa. E' una qualità anche questa. Dov'è Greuze?

Madame Blànquipure   - Il signor Giovanni è uscito prestissimo. Non dirò all'alba ma qua­si: ci si vedeva appena. Mi ha detto uscendo: «Tornerò presto ». Presto? Sono le undici ed è ancora fuori. Dove vada girando, lo sa Dio! Benedetto uomo! Passa delle settimane che non si può tirarlo fuori dallo studio; poi dei mesi, in cui non fa che vagabondare. E nemmeno nei quartieri più puliti. Da qualche tempo vaga­bonda...

Diderot                         - Male.

Madame Blànquipure   - Avrà le sue buone ragioni: io non le cerco!

Diderot                         - Non le cerca ma le sa.

Madame Blànquipure   - Non so nulla.

Diderot                         - Dica che non vuol dire nulla. Non fa niente. Queste ragioni io le immagino; ed è la stessa cosa. E sono qui per questo. (Si vol­ta e vede Greuze che, ^entrato da qualche mo­mento, si è portato ad un tavolo e affrettatamen­te ferma con qualche segno una impressione che ha nella mente) Ah sei qui? Bene. Ti saluto. Buon giorno.

Greuze                          - (distrattamente) Buon giorno! (E continua a disegnare soddisfatto) Due segni ed è già una cosa viva! Verrà fuori un quadretto magnifico. Che occhi quella bambina! Proprio come questi.

Diderot                         - (a madame Blànquipure) Lei può andarsene: se vede Grimm gli dica che può ve­nire su. Aspetto lui e gli altri; e non mi muovo. (La portinaia se ne va).

Diderot                         - (si avvicina a Greuze e per qualche momento lo sta ad osservare; ma poiché l'ami­co continua nel suo lavora senza badare a lui batte un forte pugno sul tavolo).

Greuze                          - Diventi matto?

Diderot                         - Ti pare questa l'accoglienza da fare ad un amico; e ad un amico come me?

Greuze                          - Hai ragione: scusa. Un'idea: mi premeva di fermarla.

Diderot                         - (dopo aver osservato il disegno che il pittore sta facendo, volutamente) Fai vedere. Niente 'di straordinario!

Greuze                          - (accorato) Niente? Proprio?

Diderot                         - Sì un'altra pupattola da aggiun­gere alla serie. Guarda le altre: che cosa ci trovi di diverso?

Greuze                          - (cercando di spiegarsi la durezza di Diderot) Hai disputato con D'Alembert? Ac­campa nuove pretese? L'enciclopedia è ferma?

Diderot                         - All'Enciclopedia, basto da solo: quello che deve comprendere è già tutto qui! (Si batte la testa) Vedi, io... sono inquieto, ma non per me, né per il mio lavoro: sono inquieto per te.

Greuze                          - Ho lavorato tutto ieri come un ipazzo, ma !ho fatto una meraviglia. (Trascina l'amico presso un cavalletto che è rivolto verso la finestra) Guarda: bello eh?

Diderot                         - (simulando lo scontento) E come lo intitoli questo tuo nuovo «pasticcio?».

Greuze                          - (turbato) Pasticcio?! «L'Inno­cenza ». Ti pare che risponda al disegno?

Diderot                         - Come titolo non c'è male; rende l'idea, ma..k

Greuze                          - (e. s.) L'impressione non ti sem­bra buona?

Diderot                         - (con finta collera) Sì, va bene, ma basta con questi « straccioni. ».

Greuze                          - Straccioni? Se ti sono sempre pia­ciuti tanto. Hai scritto tante belle parole su me, proprio per questo.

Diderot                         - E non me ne pento. Con tutto que­sto però devo convenire che questi tuoi « strac­cioni » cominciano a venire a noia.

Greuze                          - Questo lo va dicendo Boucher, per invidia, da tempo, a chi vuole sentirlo e anche a chi non vuole, ma che lo dica tu, pro­prio tu, mi sembra strano.

Diderot                         - Gli altri lo dicono! non io. E io non trovo più le parole per difenderti. Mi sono sgolato ieri per causa tua. Ma... non sono stato brillante; devo riconoscerlo. E che cosa vuol direi questo? Vuol dire che avevo torto. Quando mi uomo come me non trova le parole per di-i elidere un amico come te...

Greuze                          -...può anche voler dire che non si è in un momento felice!

Diderot                         - No! Vuol dire che hanno ragione ìjal altri. Straccioni, straccioni, un mondo di siraecioni. E tutti simili. Bei pupi, magnifiche figliuole, niente da dire, ma con delle teste da uccellino.

Greuze                          - (amaro) E va bene! Farò anch'io come Boucher. Non cercherò più i miei modelli tra la povera gente, come mi hai insegnato tu, come ho imparato a fare leggendo ciò che tu scrivevi, realizzando le tue teorie: farò anch'io tome Boucher: mi darò anch'io alle ballerine, a ile cortigiane! credi che non sappia farlo? E mi farò un posto in corte. E' questo che vuoi?

Diderot                         - Bel modo di ragionare questo!

Greuze                          - (indispettito lascia Diderot presso il cavaliétto e tenta di riprendere a disegnare).

Diderot                         - (quasi parlando fra se) Modello a parte, è un amore! Innocenza così schietta non la si trova nemmeno in un convento! Una testa d'angelo! Quanta grazia! Che felicità di espressione! (Si strappa dalla contemplazione e torna a Greuze) Sì hai ragione, ho esagerato! C'è del buono.

Greuze                          - (con semplicità) Puoi dirlo senza rimorso: è una bella cosa.

Diderot                         - Sì è una bella cosa! Il che non vuol dire che tu non possa fare dell'altro. Al­ti o e diverso. Sei stato a Roma: tutti immagina­vano, che dopo aver visto tante meraviglie, sa­resti tornato a Parigi diverso. Niente! Appena qui, come se nulla tu avessi veduto, hai ripre­so a ricalcare gli slessi disegni. E' incompren­sibile!

Greuze                          - E Boucher? Aneli e lui è stato a Roma, come me, e che cosa ha fatto di diverso?

Diderot                         - Boucher, Boucher! Come se non esistesse altro al mondo! In Italia qualche bel tipo di donna devi pure averlo visto; almeno nei quadri. Possibile che tu non ne abbia in­contrato almeno una che ti abbia accesa la fanta­sia e fatto battere il cuore? Niente. (A Greuze che protesta) Ah! Sì... che cosa vuoi dire! Le­tizia Pignatelli: la principessa: la principessa! Una conquista che ti avrebbe fatto onore: in­dubbiamente. Appena ti sei accorto che poteva piacerti, hai cercato le ragioni per allontanarti da lei, evitando che ti piacesse, e hai ripreso la strada per Parigi per ritrovare la tua bion­dina. Ma ci pensi: dei tesori di bellezza hai avuto sotto gli occhi e non ne hai approfittato. Sarai sempre un mendicante.

Greuze                          - (dopo riflessione) A mani vuote; sì! E ho visto tante cose belle come tu non im­magini. Si vede che non erano fatte per me.

Diderot                         - Orgoglioso e testardo!

Greuze                          - (dopo pausa) Vuoi altro? Imma­gino che se ti sei deciso, in ora così insolita, a salire i centoquarantatre gradini della mia scala...

Diderot                         - (secco)...ne salgo centosettanta-sette per portarmi nel mio solaio e non me ne accorgo !

Greuze                          -... non sarà soltanto per dirmi del­le male parole?

Diderot                         - Una ragione c'è.

Greuze                          - E dilla, che Dio te ne renda me­rito !

(Battono alla porta).

Greuze                          - Avanti!... (Poi, vedendo che l'u­scio non si apre, ripete) Avanti!

Diderot                         - (portandosi verso la porta, mentre questa dolcemente si apre e compare nel vano la signorina Fanny) La signorina Fanny nello studio di Greuze?! Ma che bella, ma che dolce sorpresa?!

Greuze                          - (contrariato) Di dove viene fuori questa ragazza?

Fanny                            - Il signor Grimm non c'è? Mi ha as­sicurato che lo avrei trovato qui.

Diderot                         - E ci sarà fra poco. Qualche mi­nuto di pazienza...

Greuze                          - (A Diderot) Poteva almeno avvi­sarmi! Il mio studio non è una piazza. (Alla ra­gazza) Si accomodi, signorina... Fanny. Se Grimm le ha detto di trovarsi qua, avrà i suoi buoni motivi... E li saprò anch'io. (A Diderot) Ne sai qualcosa tu?

Diderot                         - Può darsi. (Ironico) Ti spiace tan­to che ti abbia offerto il modo di fare la cono­scenza con questa cara figliola?

Greuze                          - Ne sono felicissimo, ma...

Diderot                         - Bel tipo eh? Guarda che occhi! Che bocca! Che spalle, e che portamento! C'è la stoffa di una padrona di casa.

Greuze                          - (a Fanny che volge intorno, inquieta e imbarazzata) Immagino che ella abbia espresso al mio amico Grimm il desiderio di ve­dere qualche mio disegno... C'è poco da ve­dere: qualche impressione, qualche abbozzo... Le piace la pittura? Dipinge?

Fanny                            - (semplice) Ma le pare? Ho cose più importanti da fare!

Greuze                          - E io invece che non ho niente da fare di meglio, faccio questo.

DIDEROT                    - (interrompendo il colloquio per rime­diare alla ce gaffe » della ragazza}           - Non lo dico per fargliene un merito perchè ne ha già molti        - è proprio una di quelle fanciulle che piac­ciono a te, Greuze. Non pensa che al suo lavoro, alla sua bottega, alla sua casa. Deve badare ad una grande.azienda e da sola. Sola, con la ma­dre. Un'azienda vasta e di molto reddito. Se tu vedessi la sua casa! Ordinata, linda, pulita; co­me piace a te. Ci potresti tagliare dentro un ma­gnifico quadro.

Fanny                            - E sarebbe una una bella reclame per il negozio! (Poi, di scatto, udendo dal di fuori la voce di Grimm che sta salendo insieme a due ragazze con le quali chiacchiera rumoro. samente) Ecco Grimm! Meno male che non si è fatto attendere!

Greuze                          - (ironico a Diderot) Ma che oca questa tua signorina Fanny.

Diderot                         - Manca di percezione, ma ha tante altre qualità e ha tale dote che basta a tenere in piedi una casa per mezzo secolo..

Grimm                           - (fermandosi sull'uscio con le due ra­gazze a braccetto; a Diderot) Spero che non ti lagnerai, di me. Ne volevi una e te ne (porto tre; e non è escluso che non ne compaia una quarta.

Diderot                         - Tu sei sempre all'altezza della si­tuazione.

Greuze                          - (acido) Vi prevengo che non ho nulla da offrirvi; ne dolci, né liquori; niente!

Grimm                           - Spilorcio! Quando si possiede una casa e si hanno delie pretese, si ha l'obbligo di avere la dispensa fornita. Ne faremo a meno. Vero, Diderot? Non siamo qui per gozzovi­gliare!...

Greuze                          - Se le signorine sono curiose, pos­sono soddisfare la loro curiosità. Quello che ho è tutto qui. Di meglio, di più bello, di finito, ce n'ho nella testa; ma non (posso rompermela per far loro piacere.

Grimm                           - Sei anche sgarbato, quando vuoi!

Diderot                         (a Grimm)   - Manchi a tutte le re­gole della buona educazione, tu: non hai fat­to nemmeno le presentazioni. Non si invade la casa degli altri in questo modo!

Grimm                           - (a Greuze) La signorina Susanna; diciotto amii, un amore.

Greuze                          - E' una merciaia anche lei? Come la signorina Fanny?

Susanna                         - (ironica) Merciaia?! La mia fa­miglia vive dal suo, caro signore, e non ha bi­sogno di speculare sulle necessità degli altri!

Fanny                            - Lo dice per me? Nella mia botte­ga viene chi vuole sa, e noi non cerchiamo nes­suno.

Grimm                           - La signorina Josette; diciotto an­ni, anche lei: un tesoro. Volerà presto sulle scene, se non vien fuori un marito che le tagli le ali: cosa che desidera e che ai suoi non di­spiace. La signorina Fanny si è presentata da sé. Diciott'anni anche lei: una «ola.

Diderot                         - Nessuna delle tre fa della pittura, ma tutte amano l'arte e... gli artisti. Hai capi­to, Greuze: gli artisti!

Greuze                          - (secco) Piacere!

Josette                           - Piacere? Mi aspettavo ben altra accoglienza da lei. La conosco da tempo, sa? E anche lei mi conosce. Mio padre ha tanta ammirazione per lei. Al Salon mi ha fatto ti­rar via in fretta dinanzi a tutti gli altri quadri (e ce n'erano di quelli che mi interessavano molto) per fare una lunga sosta dinanzi ai suoi. Oh belli, belli molto beili! Lei ha un certo mo­do di ritrarre le donne. Le sue modelle devono essere tutte graziose.

Greuze                          - Graziose e... contegnose.

Josette                           - Un giorno all'Opera ci siamo tro­vati nei palchi, gomito a gomito. Papà non la conosce di persona, ma appena l'ha vista, ha detto subito alla mamma: « Quello è Greuze ».

Greuze                          - (lusingato) Ed ero proprio io?

Josette                           - Era lei: nessun dubbio: era lei.

Diderot                         - (mostra loro dei disegni; poi sotto­voce a Grimm) Senti, Grimm. Delle tre l'unica che ha saputo disimpegnarsi è Josette: portiamo via le altre.

Grimm                           - Se credi che sia facile!

Diderot                         - (tornando a Greuze) La signorina Josette non fa della pittura, ma di pittura si interessa: frequenta i « salon», sa a memoria i nomi dei pittori, conosce i tuoi quadri e ha una sensibilità finissima. Una donna come que­sta starebbe bene al tuo fianco. (A Josette) Ve­de, signorina, il mio amico Greuze sarebbe un marito ideale. Un marito ideale che renderebbe felice anche la moglie più esigente.

Greuze                          - L'autorizzo, signorina, a non cre­dere una parola di quanto ha detto Diderot. Con la stessa commossa eloquenza il mio amico* è capace di dimostrarle che se vi è un uomo ne­gato al matrimonio, questi sono proprio io.

Josette                           - Davvero?!

Greuze                          - E' un gioco di contraddizioni che lo diverte. (Risale verso l'altro gruppo).

Josette                           - (dopo aver guardato intorno, con una punta di malizia, piano a Diderot) Quante donne! E tutte uguali; tutte diverse da me. Io non devo essere il suo tipo.

Diderot                         - Il suo tipo? Ma lo innamori su' serio, e vedrà che scompariranno di qui tutte queste biondine, leggiadre ma inconsistenti, e lo studio si popolerà di brunette, sode e tutto fuoco, simili a lei.

Josette                           - E' carino; non mi dispiacerebbe punto averlo per marito.

Diderot                         - (a Greuze che si sta scusando con le ospiti, perchè non ha nulla da offrire loro) Brava signorina Josette. Amico Grimm, pen­siamo noi far la bocca dolce a oneste due mo­nelle; non voglio che vadano a dire in giro che gli artisti sono degli spilorci. La signorina Jo­sette, non ha ancora soddisfatto il suo piccolo desiderio: quello cioè di mettere il naso fra i tuoi cartoni; noi la attenderemo in strada.

Josette                           - Preferisco tornare un'altra volta e con il papà. Ne sarà orgogliosissimo.

Greuze                          - Signorine: molto grato per la lo­ro visita. (Tutte si muovono per andarsene).

Diderot                         - E molte grazie per la simpatica accoglienza.

Greuze                          - (a Diderot) Un momento: gli altri possono andarsene: tu no. Ho bisogno di te per... un consiglio. (Scambio di cordialità; Grimm e le tre ragazze escono).

Diderot                         - Attendetemi da Magnard: vi rag­giungo subito.

Greuze                          - (usciti i quattro, chiude la porta e avvicina Diderot: con decisione e non senza asprezza) Non mi vorrai mica far credere che tutto questo sia successo a caso; che questa vi­sita non sia stata preordinata; che non nascon­da qualche cosa?

Diderot                         - Altro che, e te l'avrei detto con la consueta schiettezza, anche se tu non mi se­questravi. Tu pensi a prender moglie. Non di­re di no! Da quando sei tornato da Roma, non pensi ad altro. Se l'Italia, la sua arte, la sua pittura, i suoi secoli di storia, non ti hanno interessato, come avrebbero dovuto, è perchè stavi maturando una risoluzione e, tutto attento a guardarti dentro, nemmeno ti avvedevi delle belle cose che ti passavano davanti agli occhi. E sei tornato al galoppo per questo. Niente di male! Un artista come te, di una natura come la tua, non può far niente di meglio. Tu ami la famiglia: la '"oesia familiare è la tua poesia; ma... Ma c'è modo e modo! Non è il fatto che tu voglia prendere moglie che mi preoccupa! E' la persona che vuoi sposare che non mi va. Non dire niente, che so tutto. Una buona ra­gazza, non c'è che dire: un angelo. La sua fa­miglia? Una famiglia modello. Riposeresti fra due guanciali. Altro l'urto. Da vent'anni tu di­pingi e in vent'anni altro non hai fatto ohe presentarci, in modi sempre m^vi e con atteg­giamenti sempre diversi, la stessa creatura. Tut­to ormai sappiamo di lei; tu ci hai messo a par­te di tutti i suoi segreti: dei suoi sogni, delle sue speranze, delle sue paure, dei suoi rim­pianti. Qualche cosa di più hai fatto: ci hai tutti innamorati di lei. Guardati intorno: tanti quadri, tante donne, ma tutte con lo stesso fisi­co, tutte con lo stesso volto. Un'ossessione! Vuoi sposarti? Giusto. Non puoi fare niente di meglio. Ma altra deve essere la tua moglie, non quella. Altra, come che sia. ma un'altra. Che liberi te, che liberi noi, dall'ossessione. Ho det­to e ti saluto. (Si caccia il cappello in testa e se ne va).

Greuze                          - (rimane per qualche momento per­plesso, pensa, riflette, noi un sorriso gli sfiora le labbra) Matto! Matto! Gabriella la cono­sce, ma non a fondo. Quando la conoscerà... (Qualche minuto di silenzio. Il nittore è anco­ra sotto l'imnressione della figura che ha visto e che ha nella mente; riprende a disegnare).

Gabriella                       - (spalanca la porta con vivacità, en­tra, chiude, si appoggia quasi che le forze le mancassero) Che paura!

Greuze                          - Ma questa è proprio la giornata delle sorprese. Gabriella! Lei qui? (Con affet­tuosa tenerezza la avvicina, sin quasi a pren­derla fra le braccia) Lei qui?

Gabriella                       - Per un minuto; solo per un mi­nuto. Dio! Che emozione. Certamente mi avrebbe veduta.

Greuze                          - Veduta, chi?

Gabriella                       - Lui, Diderot.

Greuze                          - Meno male che non l'ha visto; è cosi chiacchierone! Tutti avrebbero saputo che lei era venuta da me; e si fa così presto a pet­tegolare. E' venuta: grazie. Sospiravo da tem­po questa fortuna. Adesso sì, adesso sì, credo che mi ha detto la verità: che mi vuole vera­mente bene.

Gabriella                       - Ma io non sono venuta qui per dirle questo!

Greuze                          - Ma io ne godo ugualmente, come se me lo dicesse. Questo mio studio, da oggi, mi sembrerà più arioso...

Gabriella                       - Mi piace: sento che mi troverei bene.

Greuze                          - Non ha che da venirci: è casa sua.

Gabriella                       - Casa mia? (Sospirando) Ma!

Greuze                          - Che sospirone!

Gabriella                       - Greuze; debbo darle una brut­ta notizia.

Greuze                          - Da lei non mi possono venire che benedizioni.

Gabriella                       - No, no! E' una brutta notizia. La sua visita di stamane, che mi aveva fatto tanto contenta, ha allarmato papà. In bottega, bisogna che lei non si faccia vedere più. Ciò che non sa, papà l'ha intuito e non vuole. Oria-ramente me lo ha fatto capire. Non vuole. « Tu sei padrona di sposale l'uomo ohe vuoi, ma ar­tisti no: conosco troppo questa razza di gente. Sono degli scioperati, dei donnaiuoli; non ti farebbero felice ».

Greuze                          - E parlava di me?

Gabriella                       - No! Non di lei. Per lei anzi ha molta stima, molto rispetto... ammira il suo talento, loda le sue opere, è persuaso che si fa­rà una buona posizione, ma...

Greuze                          - Ma nella sua libreria non mi vuo­le vedere più.

Gabriella                       - (con fanciullesca apprensione) Più? Non lo dirà mica sul serio!

Greuze                          - (con tenerezza, stringendola fra le braccia) Grazie, Gabriella; se ancora non le avessi detto che l'adoro, glielo direi in questo momento; lo meriterebbe.

Gabriella                       - (con malizia, sorridendo) Il pa­pà ha ragione! Gli artisti! Come le sanno dire le belle parole!

Greuze                          - (con pronta risoluzione) Ma gli artisti sanno anche fare di meglio: prendere delle decisioni. Oggi stesso vado da suo padre a chiedere la sua mano.

Gabriella                       - (impressionata) Proprio oggi che mi ha sgridata?

Gabriella                       - Lasci passare qualche giorno; preparerò il terreno; saprò trovar© le parole per convincerlo...

Greuze                          - Oggi, oggi! (Poi pensando a Di­derot) Ha ragione, quel matto. C'è in me la stoffa di un buon marito. La mia è un'arte fa­miliare, la poesia della famiglia è la mia poe­sia; devo prender moglie. E la prenderò. Ma come piace a me! Gabriella      - Che fuoco!

Greuze                          - (stringendola nuovamente a se) Ah! si? Cara! Cara! Oggi, oggi! Nono posso più attendere; ho già atteso sin troppo. Sarò elo­quente. Se suo padre, come dice lei, mi stima, mi ammira, cederà alle mie ragioni. E Gabriel­la sarà mia. (Dolce) Sarai mia. Lo vuoi?

Gabriella                       - (vinta da un trepido pudore, re* dina il capo sul petto di lui) Tutto quello che piace a te, caro.

(Battono alla porta. I due sono così smarriti che non sentono. Tornano a picchiare).

Greuze                          - Altra gente! Uu nuovo tiro di Di­derot! E' meglio che non ti vedano. Mettiti dietro questa tela. (Gabriella sii nasconde) Avanti !

(Compare una vecchina piccola piccola, con una ragazza secca secca, alta alta).

La vecchina                   - E' in casa il pittore Greuze?

Greuze                          - No; è uscito che sono pochi mi­nuti. Affari importanti...

La vecchina                   - Ah sì?

Greuze                          - E' uscito, ma tornerà presto; se lei vuole dirmi ehi è e che cosa vuole, posso fargli l'ambasciata?

La vecchina                   - Ambasciata? Mi manda il si­gnor Grimm: vede questa ragazza? Bella, eh? E come è alta! Arriva dove vuole. E' in età da marito e io vorrei so osarla. Non le nascondo che a me piacerebbe un padrone di casa; ma lei vuole un artista. Il signor Grimm mi ha as­sicurato che il pittore Greuze cerca moglie e vorrei...

Gabriella                       - (senza uscire dal nascondiglio, rompe in una risata).

La vecchina                   - Chi è che ride? (E' mezzogiorno e si diffonde per il cielo un allegro squillare di campane).

Greuze                          - Troppo tardi, signora. Il pittore Greuze cercava moglie, ma l'ha trovata. Le sen­te queste campane? Suonano per il mezzogior­no, ma annunziano anche, per chi le sa capire, il matrimonio del signor Greuze.

La vecchina                   - Troppo tardi?! Oh che oec-cato!

Greuze                          - Ma se sua figlia vuole un artista, non si perda d'animo! Ce ne sono tanti!

FINE DEL PRIMO QUADRO

 

SECONDO QUADRO

 La libreria Babuti sul quai Augustin a Parigi. Un arco ad ampia vetrata ne se­gna l'ingresso; un banco, con libri, rivi­ste e giornali, ne dà la caratteristica. Die. tro il banco una bacheca molto alta; sui lati, scaffali con pubblicazioni a bella rilegatura. Allo schiudersi del velano Gabriella sta conver­sando con una signora. La signora ha già fatto la scelta de libri e sta uscendo. Grimm, appog­giato al tavolo, attende di parlare con la fan­ciulla. Un vecchio commesso, riordina, spolvera.

Gabriella                       - (uscita la cliente) Sono da lei, signor Grimm; mi comanda?

Grimm                           - Niente, niente. Neppure consulta­re le novità, cosa che mi accade spesso, che mi libera da molte curiosità e con risparmio di spesa.

Gabriella                       - Credevo...!

Grimm                           - Attendo Diderot: ci siamo dati ap­puntamento qua. Le dispiace? « Se all'uno o all'altro capita di ritardare, ci siamo detti, chi aspetta non avrà da annoiarsi: si troverà in gentile compagnia ».

Gabriella                       - Grazie per il complimento.

(Breve pausa che la fanciulla e il commesso riempiono con il disbrigo delle cure del ne­gozio).

Gabriella                       - Il suo amico Diderot non ama la nostra bottega! Ci viene di rado e quando viene non trova mai quello che cerca. I libri che interessano lui non piacciono alla nostra clientela. Altra mentalità, altri gusti! Il suo amico Diderot, con tutta la sua ponderatezza, è un rivoluzionario; e che rivoluzionario!

Grimm                           - E viene qui più spesso assai di quanto lei vuol farmi credere. Se non gli in­teressano i libri, qualche altra cosa ci deve esse­re che lo interessa.

Gabriella                       - (facendo finta di non capire e guardandosi intorno) Sarà curiosità per le cose antiche...

Grimm                           - •... E perchè non amore per le cose nuove?

Gabriella                       - Cose nuove?! Qui?! Se dipen­desse da me, metterei tutto sossopra qui dentro e vorrei tutti i mobili lustri e chiari. Non così la pensa il papà; guai a parlarne! A sentire lui, nemmeno la polvere si dovrebbe togliere. Dice: « Ha la sua importanza anche quella! ». Mobili chiari, tappezzerie chiare e molti fiori...

Grtmm                          - Suo padre pensa, e a ragione, che anche i fiori più belli stonerebbero messi vicini a un fiore come lei.

Gabriella                       - Ma è proprio in vena di galan­teria, stamane!

Grimm                           - Ripeto parole d'altri...

Gabriella                       - Di chi?

Grimm                           - • Come è difficile capire, signorina, quando non si vuol capire! E di chi vuole che siano se non di lui?

Gabriella                       - (con curiosità) Di lui, chi?

Grimm                           - E me lo chiede, anche? Come se non lo sapesse! Come se il mio amico fosse uo­mo da saper conservare un segreto; e un se­greto di questa sorte!... E me lo chiede? Come se già non gli avesse letto nell'animo, fino al fondo. (Compare sulla porta Greuze).

Gabriella                       - (con gioia che non riesce a nascon­dere)Il signor Greuze! Anche lei ha un ap­puntamento con Diderot? !

Grimm                           - (tra se) Accidenti! Bisogna avver­tire subito l'amico.

Greuze                          - (a Grimm, contrariato) Non ti cer­co e ti trovo; se ti avessi cercato non ti avrei trovato.

Grimm                           - Se la cosa non ti fa piacere, filo via. Aspetto Diderot, ma posso anche attender­lo nella strada...

Greuze                          - (a Gabriella) Ho da parlare a suo padre; una cosa urgente. Voglio parlargli subi­to. Posso vederlo?

Grimm                           - (a Gabriella) Ha la luna iper tra­verso: io me la batto. (A Greuze) Addio, orso.

Greuze                          - (senza badare a Grimm, rivolgendosi al commesso) C'è il signor Babuti? Veda se mi vuol ricevere. Mi bastano pochi minuti.

Il commesso                  - Il padrone è nel suo ufficio; non credo abbia visite; in ogni modo niente di importante. Se crede può venire con me.

Greuze                          - Preferisco che lo avverta. (Il com­messo esce da sinistra e il pittore si mette a passeggiare in lungo e in largo per il negozio.. Vorrebbe parlare con Gabriella, ma questa non può dargli retta perchè un signore è entrato nel negozio e deve servirlo. Sbriga la faccenda ma continua a tenere d'occhio il pittore, con in­quietudine).

Gabriella                       - (uscito il signore, concitata) Vuoi fare di tua testa? E' un'imprudenza? Sa­rebbe meglio attendere qualche giorno... Se ti dà una rispostaccia è finita.

Greuze                          - Una rispostaccia? Perchè?

Gabriella                       - Perchè?! Perchè?! Precipitare può voler dire arrischiare tutto!Io son ben de­cisa, ma non farò mai cosa che mio padre non voglia.

Greuze                          - Non ho chiuso occhio, stanotte. Se non mi decido scoppio. Diderot mi ha messo ad­dosso un'inquietudine con i suoi discorsi scioc­chi, tu mi hai esasperato con le tue paure. E' bene che parli e subito. Se tuo padre è un uo­mo di cuore, e lo è; se ha stima di me, e sembra che l'abbia; se vuole la tua felicità, e su questo ci giuro, non può rispondermi con un rifiuto.

Gabriella                       - E allora io non ho più niente da dire: meglio così. Ti sarò vicina, caro, con tutto il mio amore e con tutta la mia fede.

Greuze                          - Vedrai, vedrai, Gabriella, che saprò smuoverlo!Ho tutto un piano nella mente: se me lo lascia svolgere, la capitolazione è si­cura.

IL commesso                - (rientrando) Il padrone è nel suo ufficio, ma non può riceverla subito, signor Greuze: è alle prese con Diderot.

Greuze                          - (allarmato) Diderot?

Gabriella                       - Ma non è possibile. Sarebbe passato di qua. Non ha l'abitudine di entrare dal cortile.

Il commesso                  - Ho udita la sua voce: la co­nosco bene. (A Greuze che non riesce a riaver­si dalla sorpresa) Appena esce l'avverto. (Torni di là).

Greuze                          - (a Gabriella) Diderot? Sta forse trattando con tuo padre per una qualche pub­blicazione?

Gabriella                       - No; che io mi sappia.

Greuze                          - Ha qualche affare con lui?

Gabriella                       - Non lo credo.

Greuze                          - lE' forse diventato suo intimo?

Gabriella                       - E' così lontano dalle idee di papà!

Greuze                          -. E allora?

Gabriella                       - Non capisco.

Greuze                          - (dopo essere rimasto sopra pensiero) Ma capisco io!Gabriella mia, Gabriella mia, vien fuori ciò che temevo: l'imprevisto. L'osti­lità di tuo padre è niente: la vinco; ne sono si­curo. Ma dove le trovo le armi per combattere quest'altro diavolo?! Mi vuole sposare. Dice che vuole sposarmi. Ma non vuole che sposi te. Perchè? Non capisco bene o capisco troppo: non vuole. E adesso è qui per macchinare chis­sà mai che cosa contro di me, contro di te.

Gabriella                       - Se credi che papà abbia biso­gno di suggerimenti... Quando si impunta, a te­ner duro, basta da solo.

Greuze                          - Tu non conosci Diderot: è capace di tutto, quando si è messo in testa qualche co­sa. (Poi di colpo, come se gli si schiarisse la mente) Un'idea! Mi viene un'idea. Che sia in­namorato di te?

Gabriella                       - Giuro che se è innamorato ha fatto di tutto perchè non me ne accorgessi; e non me ne sono mai accorta.

Il commesso                  - (tornando, a Greuze) Il pa­drone l'attende. Il signor Diredot se n'è andato: è scivolato per l'uscio del cortile.

Greuze                          - (con il cuore in gola) Gabriella mia: pensa a me. E che Dio ce la mandi buona! (S'avvia).

Il commesso                  - (a Gabriella con tenerezza) Se è cosa che le sta a cuore, signorina, lo preghi con tutta l'anima, il buon Dio; tutto può sperare il signor Greuze, ma non di avere dal padrone una buona accoglienza: ha una faccia che fa (paura.

Gabriella                       - (giunge le mani, china il capo e ri­mane qualche minuto assorta, come se pregas­se: fanciullescamente. Un attimo di pausa).

Diderot                         - (mettendo il capo nella bottega) Sola? Bene! (Entra, si avvicina al banco, si in­china con galanteria, parla con sussiego) Tengo a farle sapere, signorina, che ieri, quando lei sa­liva affannata e titubante, i centoquattro gradi­ni della scala del mio amico Greuze, l'ho vista; ho finto di non vederla, ma l'ho vista; e voglio che lo sappia. E voglio anche che sappia, che ho avuto, pochi momenti fa, un colloquio con suo padre e per cosa che le interessa molto da vicino e che non ho motivi per tenere nascosta. Greuze può continuare, se così gli piace, a dar­ci quanti ritratti vuole della fanciulla che lo ha stregato, ma io, come amico, come amico pro­vato, come amico serio, ho, mi comprenda bene, signorina, ho il dovere di fare tutto, il possibile (e mi spiace per lei che mi è tanto simpatica), per impedirgli di rendersi ridicolo. E tale sa­rebbe se popolasse i nostri Salons e le nostre Gallerie con i ritratti di lei ma di lei, signora Greuze. Ho parlato chiaro? La riverisco. (Si al­lontana con dignità. Sulla porta si ferma e os­serva Gabriella. Resta impressionato dal suo pianto. Se ne va).

Gabriella                       - (con il singhiozzo nella voce) Cattivo! cattivo! cattivo!

Susanna                         - (molto bella e molto vaporosa, si avvicina al banco e a Gabriella, che, imbron­ciata, coi gesti più che con la voce, le chiede che cosa desidera, indica delle opere di vari autori. A tutte le domande Gabriella risponde con monosillabi negativi, ma senza badare a quello che dice).

Susanna                         - Tutto esaurito?!

Gabriella                       - Tutto.

Susanna                         - (sorpresa) Ma che opere sono quelle che tenete nei vostri scaffali?

Gabriella                       - (asciutta, asciutta) Commenti al « Miserere » e illustrazioni della « Via Crucis » !

Susanna                         - (volge gli occhi intorno sorpresa e se ne va) Ma è una libreria questa; non mi sono mica sbagliata!

(Rumore di porta che si apre con vivacità e viene chiusa con violenza. Da sinistra appare Greuze, rossi per l'ira).

Greuze                          - Una risposta simile a me; ad un galantuomo del mio stampo! Ad un artista del­la mia reputazione. Ah!

Babuti                           - (alto, secco; copre con una papalina l'abbondante calvizie; baffi folti, spioventi. En­tra seguito dal commesso: è irato anche lui) E non alzi tanto la voce, sa! O dove crede di essere? In casa sua? Qui siamo in un negozio, ma per gente di riguardo.

Greuze                          - (irato) A casa sua? Lo so, che so­no a casa sua! E ne ringrazi il cielo!

Babuti                           - Minacce?

Greuze                          - (afferra una pila di libre dagli scaf­fali e la scaglia al suolo con ira) Qualche co­sa ho pure da maltrattare per sfogarmi!

 Babuti                          - (precipitandosi a raccogliere i libri) I miei libri! I miei capitali! Vernet: chia­ma la forza. INon c'è che la forza che possa li­berarmi da questo forsennato.

Greuze                          - Forsennato, ma galantuomo !

Babuti                           - Galantuomo, ma ineducato. Guar­di un po' se è coscienza questa. I miei libri! Che cosa c'entrano i miei libri, con le sue fu­rie? Ho detto di no, ed è no.

Greuze                          - E' quello che staremo a vedere.

Babuti                           - Nessuno può costringermi a dare mia, figlia a chi non piace a me. E' l'unica mia figliuola: se ne avessi dieci, pazienza: ciò che non potrei sperare dall'una lo potrei avere dal-1 altra ma non ho che questa sola. E voglio spo­sarla con chi mi piace. Poiché non posso avere che un solo genero, voglio che sia tale che mi garantisca me, la mia azienda, la mia figliuola, tutto. Un artista? Un pittore! Gente simpaticis­sima, non dico di no, ma nel migliore dei casi sempre con la testa fra le nuvole e con le tasche vuote. Per mia figlia, per la mia unica figliola, ho messo insieme un patrimonio: chi vuole es­sere suo marito deve darmi la garanzia che lo saprà conservare. Ha capito?

Greuze                          - Del suo patrimonio, me ne infi­schio: le ho chiesto sua figlia non la dote.

Babuti                           - Parole, parole, parole! come dice Amleto. Mia figlia?!Come se col darle marito la spogliassi dei suoi diritti. La dote?! Ma se anche gliela nego, la dote, il patrimonio non posso mica portarlo con me in paradiso, o la­sciarlo in eredità agli altri, per il bel gusto di fare un dispetto a lei. Chi sposa mia figlia, si prende tutto. E io voglio un genero che, morto me, (il più tardi che sia possibile) sa(ppia mettersi a capo di questa mia libreria e farla prosperare. Questa azienda T'ha aperta mio non­no; mio padre l'ha ingrandita; io ho dato ad essa una clientela. Rapiprescnta una tradizione per la mia famiglia: chi sposa Gabriella, deve saperla continuare.

Greuze                          - Voglio bene a Gabriella e per amore di lei rinuncio, se è necessario, anche al­la pittura; e Dio solo sa quanto questa rinun­cia mi può costare.

Gabriella                       - (con impeto) E crede che io glielo permetterei ?

Babuti                           - Zitta, tu! (A Greuze) Non mi fac­cia ridere! Cambiare mestiere: ma è la testa, mio caro signore, che dovrebbe cambiare e que­sta gentilezza non gliela può fare che Domined­dio. Un artista? Alla larga. Gente pericolosa, quando si tratta di affari; e il matrimonio è un affare, nel quale, purtroppo! chi più ha, è sempre quello che ci rimette qualche cosa. Mio caro Greuze, io voglio bene alla amia fi­gliuola, e non intendo fare la sua infelicità.

Greuze                          - (amaro) La sua infelicità?! Ma se darei la vita per farla contenta.

Gabriella                       - (dolce dolce, piano piano) Che bravo !

Babuti                           - E se anche fosse? No! No! No! Quello che ho detto ho detto. Non voglio per genero un artista, mia figlia non sposerà un pit­tore, e tanto meno lei. Ah, se si trattasse di Watteau, di Vernet, di Boucher, potrei anche discutere... Sono degli artisti come lei, ma fan­no un'altra vita. Quelli hanno una clientela! Dei Re, e delle quasi regine. La libreria ne potreb­be trarre un profitto. Ma lei... Tra le persone che le servono da modelli non ce n'è una che sappia leggere e scrivere!

Gabriella                       - (supplicando) Papà!

Greuze                          - (esasperato) Ah, sì? Watteau sì, Vernet sì, Boucher sì, e io no no!? Prendo il buon Dio a testimonio: me la darà per forza. (Prende un'altra pila di libri e la scaglia sul pavimento e se ne va con gesto di minaccia).

Babuti                           - (a Gabriella) E tu vorresti sposare un simile uomo? Ma quello la libreria te la rovina, te la disperde (E prende, col commesso, a raccogliere i libri).

Gabriella                       - (si accosta al padre e si studia di placarlo) Farò tutto quello che vuoi, papà; lo sposerò, se ti farà piacere; non lo sposerò, se tu non vorrai. Ho sempre fatta la tua volontà e la farò anche in questo ma...

Babuti                           - Ma?...

Gabriella                       - Ma... Greuze non merita le brutte parole che gli hai detto.

Babuti                           - (esasperato) Credi? Domandalo al suo amico Diderot. E' un mostro. Ho detto: non sarà mai tuo marito. (Duro, impettito, torna al suo ufficio).

Gabriella                       - (torna a giungere le mani, a chi-nare il capo, come se pregasse: fanciullescamen­te. Pausa. Presa da un'improvvisa idea, torna al banco, prende un foglio di carta da lettera e scrive).

Il commesso                  - (mentre raccoglie i libri e li riordina; quasi parlando tra se) Tuoni, lam­pi, scrosci violenti d'acqua e poi... poi l'aria torna a farsi limpida e il cielo sereno.

Gabriella                       - (terminato di scrivere rilegge la lettera tra se) « Un suo discorso ci ha reso ostile papà; solo una sua parola può disarmarlo. E questa parola lei deve dirla perchè per un ca­priccio, e il suo non può essere che un capric­cio, non può volere la nostra infelicità. Vuole forse, farmi pensare che va in cerca di altri due nomi di amanti disgraziati da mettere nella sua Enciclopedia? (Poi, rivolgendosi a Vernet) Ver­net? Tu mi vuoi bene, Vernet? Tu mi sei af­fezionato, Vernet?

Il commesso                  - Può dubitarne, padroncina?

Gabriella                       - Devi trovare Diderot. Devi far­gli leggere questa letti, ra. Ha da venire da me, subito, quanto più presto può. Credo di esser­mi spiegata bene, ma se restasse dubitoso, tro­va tu le parole per convincerlo. Deve rime­diare: non può volere la nostra infelicità.

Il commesso                  - Lo troverò. E se c'è bisogno di aggiungere qualche.altra cosa farò io. (Com­mosso) Ma niente lacrime! E mi dia retta: i vecchi finiscono sempre per aver torto, non perchè lo abbiano, ma perchè i giovani la ra­gione se la fanno. (Esce dal fondo).

Gabriella                       - (uscito Vernet, rimane perplessa, pensierosa. Ha al collo una collana alla quale è attaccato un medaglione con il ritratto della mamma in miniatura. Apre il medaglione e) Mammina! Li vedi gli impicci in cui si trova la tua figliola? E tutto, perchè? Perchè non ha saputo fare la guardia al suo cuore. Ohe cosa diresti, se tu fossi qui? Papà?!Papà mi ha in­segnato tante cose, ma non questo. Tu sì, tu sì avresti dato-l'allarme. E ora sono qui, col cuo­re che non è più mio.

Babuti                           - (dal suo ufficio, sempre più torbido) Gabriella, figlia mia, ho preso una decisio­ne. Tra te e lui, ci vuole dello spazio. In botte­ga, iper qualche giorno resto io. Tanto, già disorientata come sei, non puoi fare nulla di buono. Domattina presto, quattro stracci in un fagotto e via: a Saint Denis. C'è la zia che ti aspetta da tempo e ti vedrà con piacere. In campagna, all'aria aperta, in buona compagnia, dimenticherai presto questo matto di Greuze.

Gabriella                       - (con le lacrime agli occhi) Sì, papà!

Babuti                           - - E uno sposo coi fiocchi te lo trovo io. (Si volta e vede Greuze che sta ritornando) Ancora! Ma vuole proprio che chiuda il nego, zio, quel discolo!

Greuze                          - (non è solo, lo accompagna la porti­naia. Lui e lei sono carichi di disegni, di tele, di cartoni. Alla portinaia) Metta qua e via; non ho bisogno di altro.

La portinaia                   - Magnifica idea! (Poi se ne va, dopo di aver dato un'occhiata a Babuti e a Gabriella come per dire « Deve essere impaz­zito »).

Babuti                           - (a Greuze con ironia) Cos'è tutta questa roba? Vuole che faccia un « blocco » delle sue pitture? 0 intende prendere domici­lio in casa mia?

Greuze                          - Un mio quadro a lei? Nemmeno se mi copre d'oro. E' sua figlia che voglio. Babuti (con ira) Ancora!! Greuze      - (mostrando le sue tele e i suoi car­toni) Vede qua; questo è il mio patrimonio. Conta meno del suo, oggi, ma domani... Qui ci sono dei capolavori! Il mio patrimonio! Ma non glielo espongo perchè lo valuti. Altre in­telligenze ci vogliono per valutare queste co­se. Lei...

Gabriella                       - (con rammarico) Signor Greu­ze, perchè vuol mettersi dalla parte del torto?

Greuze                          - Signorina; non ragiono più! Le parole di suo padre mi hanno ferito, come lei non può credere.

Babuti                           - (a Gabriella) Sei di troppo, tu! Sono discorsi da grandi i nostri. Va su! (Ga­briella vorrebbe trattenersi, ma, soggiogata dal gesto del padre, esce da sinistra).

Greuze                          - (a Babuti, con accoramento) Il mio patrimonio: eccolo qui. Lo osservi; se ha occhi per vedere e mente per comprendere, si renderà ragione di molte cose; se insisto per avere sua figlia, e perchè insisto.

(Inavvertiti entrano nella bottega, Diderot, Grimm e il commesso; sostano sulla porta, evi­tando di farsi sentire).

Babuti                           - (aspro) Non ho tempo da perdere.

Greuze                          - (prende un disegno e glielo fa vede­re) Guardi: un'impressione: « La preghiera del mattino »; una bimba che prega. Non le sembra rassomigli a Gabriella? Data: 1746. Os­servi quest'altra: «L'innocenza» altra bimba: vede il mondo per la prima volta, tanto si guarda attorno sorpresa. Non le pare sua fi­glia? Data: maggio 1748. E quest'altra? « La tenerezza » data: 1757. Altro ritratto di bimba, altra figura della sua figliola. (Poi prende con vivacità altre tele e continua a metterle sotto gli occhi di Babuti, sempre più accalorandosi e commovendosi) E questa, e questa, e questa! In ogni tela, in ogni cartone, in ogni foglio: lei, sempre lei: sempre Gabriella. Quando non era ancora nata, prima ancora che la conoscessi, dopo che l'ho conosciuta! Lei, sempre lei. Tut­te le mie donne hanno il suo viso, tutte le mie fanciulle la sua persona. E lei, lei, pretendereb­be che io une la strappassi dal cuore?

Babuti                           - Io non pretendo niente.

Greuze                          - Ma persiste nel suo rifiuto?

Babuti                           - Più che inai.

Greuze                          - (facendosi di colpo cattivo) E al­lora... Si prepari a vederne delle belle. Vede queste tele, questi cartoni, questi abbozzi? Do­mani li vedrà nelle vetrine più in vista di Pa­rigi. E non basta: ne farò delle altre, tante al­tre, tante altre, molte altre. Le caccerò dapper­tutto. Ma non così, non così! Troppa delicatez­za, troppa dolcezza, troppa grazia! Farò come Boucher. Questa sua figliola, che non oso quasi guardare in faccia tanto l'adoro, la svergogne­rò pubblicamente, come fa Boucher con le sue ballerine. E ogni quadro avrà la sua dicitura: « Questa è la signorina Babuti, quella che a-vrebbe voluto essere, ma che non sarà, la mo­glie di Greuze ».

Babuti                           - (sorpreso e allarmato) Ma questa è delinquenza! Per fortuna che ci sono dei tri­bunali che difendono le persone per bene!

Greuze                          - Ho detto poco: farò di peggio... Presenterò sua figlia in modo tale, che anche la gente disposta a giurare sulla sua onestà, la eviterà per timore dello scandalo.

Babuti                           - (perdendo la ragione) Enorme! Enorme! Un diavolo, capace di tutto. E dovrei dargli per moglie mia figlia? Fossi matto! Mia figlia, la mia Gabriella in vetrina. Svergognata! Coirne una ballerina. E dice di volerle bene! E dice che non sa vedere che lei. Quasi quasi, mi vorrebbe far credere che senza di lei non può vivere.

Greuze                          - (sempre più eccitato) 0 mia o di nessuno; o mia o di tutti. Tutta Parigi ha da ridere !

Diderot                         - (avanzandosi e avvicinandosi a Greu­ze)   Sì, tutta Parigi riderà, puoi stare sicuro; ima uno ci sarà che piangerà: tu. Ma sono cose da dirsi? Ragazzo. Sono minacce da farsi, que­ste?

Babuti                           - (vedendo in Diderot la salvezza) Molto bene! Lei è la sola persona che può tene­re a bada questo mostro. Non ho più niente da dire, io. Parli lei! Parli lei! E' stato così elo­quente, così persuasivo con me, che le parole, per calmare questo forsennato, può darsi che le trovi. Parli lei. (Al commesso) Vernet: prendi questi scarabocchi e buttali via.

Diderot                         - (pronto e con autorità) Scaraboc­chi? Piano, signor Babuti: questi sono capola­vori; quanto di meglio l'arte ci abbia dato in vent'anni a questa parte. E lei ha l'obbligo di crederci, perchè lo dico io, che me ne intendo. (A Greuze) Dico bene? Vede, signor Babuti, c'è pittura e pittura: d'accordo. Ed io posso anche convenire con lei, che non a tutti l'arte del mio amico Greuze può piacere: si può discutere. Ma quando un artista porta nel suo lavoro la serietà, la probità, la dirittura, l'intelligenza, che vi porta il otnio amico Greuze, anche chi la pensa come lei, deve avere per lui il massimo rispetto. Scarabocchi? Capolavori! Da ren­dere un artista invidiato. Me ne trovi un al­tro che possa presentare al giudizio del pubbli­co e della critica un numero imponente di ope­re come può presentare il mio amico Greuze! Tanti quadri tante vittorie. E senza mai venir meno a quei princìpi che lo fanno orgoglioso e che dimostrano la bontà della sua natura: la morale. Che la sua è un'arte morale, signor Ba­buti: morale. Capisce l'importanza di questa parola. Morale.

(Da sinistra Gabriella sporge il capo e cerca di farsi vedere da Diderot. Questi la vede e la rassicura con un gesto d'intelligenza).

Babuti                           - Mia figlia, la mia Gabriella, in ve­trina: carne una ballerina!

Greuze                          - (di nuovo accalorandosi) 0 mia o di nessuno. O ania o di tutti!

Diderot                         - (affettando una commozione visibi­le) Commovente! Commovente! Bisogna ri­conoscerlo: commovente. Io non ho, e lei lo sa, signor Babuti, una huona opinione dei pittori. Sono dei fannulloni; mancano di consistenza, di senso pratico; vedono tutto semplice, tutto piano, e non pensano che la vita è altra cosa; che la vita ha le sue asprezze. Non le vedono. E un povero padre, che abbia una figliola da sposare, come lei, e abbia un patrimonio da di­fendere, come lei, prima di affidare figlia e ma­trimonio ad un artista, ha da fare bene i pro-prii conti. E vada il patrimonio: ma la figlia! Tanto più quando si tratta di una figlia unica. Dico bene, signor Babuti? (Il vecchio non ri­sponde: non riesce a cap\<re dove tende il discor­so di Diderot e diffida) Ma vede come c'è arte e arte, ci sono artisti e artisti; anche quando si tratta di pittori. E c'è amore e amore! C'è l'a­more che è soltanto capriccio, desiderio, feb­bre... e c'è l'amore che è tutto.

Greuze                          - O ania o di nessuno!

Diderot                         - E dai! Credi che non lo sappia­mo? Il signor Babuti lo sa come me, meglio di me, anche se non vuole dimostrarlo e ti mette alla prova per sincerarsene. (Babuti fa per prò-testare) Non dica di no. Sento di interpretare esattamente il suo pensiero. Da stamane mi compiaccio di un gioco di specchi e mi diverto a deformare la verità, così per il gusto di de­formarla. Ma dove vuole trovare, signor Babuti, un genero migliore del mio amico Greuze? Una perla. Pensi: il pittore che non ha che una mo­della: la sua Gabriella. (Gli mette sotto gli oc­chi disegni, schizzi, quadretti), Ma guardi! Lei, lei, sempre lei. Un po' di fantasia, signor Ba­buti e sua figlia le ricresce sotto gli occhi. Qua sorride appena, qua ride, qui le offre le guance, qui \a bocca. Una rosa! Tante rose. Un giardi­no di rose. Ma benedica questo prodigioiSO giar­diniere che ha saputo farla così bella.

Babuti                           - (a Diderot, con la gola stretta) Gra­zie, Diderot.

Diderot                         - (mentre Babuti continua a osservare i disegni', con un gesto chiama a se Gabriella e Greuze e li dispone ai lati del padre: i due gio­vani non osano ne guardare ne parlare e spiano il vecchio che a sua volta li osserva con sempre più intensa commozione).

Babuti                           - (a Greuze) Birbante! (A Gabriel­la) Ma come ti conosce bene!

Diderot                         - (avvicinandosi a Grimm) Amico Grimm possiamo svignarcela. Per il momento non ahbiamo più niente da fare. (Si appoggia a lui e lo obbliga a guardare U gruppo) Guarda che quadro. Magnifico! Uno di quei quadretti che non può lare che Greuze, che non sa fare che lui. Io me lo vedo già! Superbo. E se di­spiacerà ai parrucconi, meglio! I critici! Genia-glia. Non capiscono niente e arrivano sempre in ritardo. « Una sola modella »? Sissignori, una sola modella. Come se fosse una cosa tanto stra­na; come se ogni uoano (e il pittore è un uomo come un altro) non avesse che un solo tipo d'i donnea nel cuore. Peccato non possa dirsi lo stesso delle donne. Di questa come delle altre. Anzi di questa più delle altre, che ha un fondo che mi inquieta e non ani persuade. Ma sì ce un solo tipo di donna ». Sicuro! Come Raffaello, come Tiziano, come Rubens, come gli altri grandi! In Greuze c'è la commedia: con morti sorrisi e qualche lagrima; in quegli altri, la tra­gedia: con le passioni torbide e le sue ire fe­roci. Rami di uno stesso albero, foglie di una stessa fronda. « Una sola modella ». Sua moglie. Peccato! Meglio sarebbe un'altra. Ma è così graziosa, così carina, che, parola di galantuomo, se non la sposa lui, la sposo io. (Torna a guar­dare il gruppo con maggiore tenerezza mentre trascina con se Grimm) Carini: veramente! Il quadro è fatto. Ad altri il metterlo in cornice.

FINE