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“LENNY”

atto unico

di

Luca Giacomozzi
“LENNY”

Casa di Magghy. Interno notte.

Il palco è illuminato solamente da una luce notturna che proviene dalla finestra posta sul lato della stanza. Con questa debole luce è possibile intuire la dislocazione dei mobili sul palco.

La casa è arredata in stile moderno. Caratterizzano la scena un piccolo divanetto, un mobile con sopra un impianto stereo, un carrello con dei liquori ed uno scrittoio con una sedia. Sparsi nella stanza ci sono oggetti che inducono a pensare alla presenza di un bambino appena nato.

L’apertura del sipario è accompagnata da una lenta musica sopra la quale si sente la voce di Mugghy.

MAGGHY: (Voce fuori campo) Era il 22 febbraio del 1999. Giorno che segnò il mio definitivo distacco dal mondo. Ne avevo avuti di dolori, di sofferenze, di giorni buii nella mia intensa vita, ma quel giorno una parte di me lasciò questa terra, mentre la parte che rimase ebbe, da quel momento, un motivo in più per odiarla.

(Una luce improvvisa illumina il corpo di Magghy seduta davanti lo scrittoio con in mano una penna e sotto agli occhi un diario).

MAGGHY: (Come se stesse leggendo) Caro Lenny, oggi è il 18 marzo ed è quasi un mese che tu…(La sua voce è strozzata dalla commozione)… non sei più qui.

Scusami ma ogni volta che penso a te, a quello che è successo, la mia voce si perde nel pianto, nei ricordi e nelle speranze che non ho più. Erano anni che desideravo un figlio, un piccolo fiore da accarezzare, da far crescere e veder diventare grande. Ho aspettato per una vita di trovare l’uomo giusto, quello che fosse in grado di essere un marito ed un padre. Credevo di averlo trovato in quel bastardo di George, ma l’aggettivo che affianco sempre al suo nome ti fa capire che mi ero sbagliata sul suo conto. Comunque lui sarebbe stato tuo padre, anche se solo geneticamente, visto che il giorno che ha saputo che ero incinta se ne è andato di casa lasciandomi qui da sola. Per mesi ho pensato a come sarebbe stato difficile crescere un figlio da sola, senza avere un compagno vicino. Un compagno che vada a comprare i biscottini, gli omogeneizzati e che strilli, con tono di ironico distacco: “Tesero bisogna cambiare il pannolino al bambino”. Ero comunque pronta ad affrontare una vita difficile, sapendo che la gioia di vederti crescere mi avrebbe fatto superare ogni difficoltà.

(Buio. Leggere musica di sottofondo. La luce illumina nuovamente Magghy seduta sul divano con le gambe raccolte ed il diario sopra le ginocchia ).

MAGGHY: Nel corso dei nove mesi di gravidanza pensavo continuamente a te. Osservavo il mio ventre cambiare giorno dopo giorno; lo accarezzavo ed era come sfiorare la tua dolce ed inafferrabile pelle. Immaginavo i tuoi occhi, le tue manine ed il tuo piccolo viso da bambino che avrei protetto da tutto e da tutti. (Dopo una pausa) Uscivo spesso per negozi, fiera del mio pancione che cresceva a vista d’occhio. Andavo in giro ed il mio sguardo era continuamente attratto dalle vetrine che vendevano abbigliamento per l’infanzia. Hai presente quelle piccole vetrine nelle quali sono esposti piccoli pigiamini, magliette e scarpine? (Con un sorriso malinconico) Le scarpine. Le ho sempre trovate molto buffe. Così piccole, con quei laccetti sottili sottili. Compravo una cosa in ogni negozio. Adesso ne ho casa piena….(si ferma pensando) Ora mi fa male vedere quelle scarpine che fino a poco tempo fa trovavo così buffe.

(Buio. Poco dopo la luce illumina Maggy seduta in terra).

MAGGHY: (Pensando ad alta voce) Lenny!! Non ricordo quando decisi di darti questo nome. Ne avevo in mente così tanti che non dormii per intere notti. Poi un giorno scelsi Lenny… la notte però non dormii lo stesso. Iniziai a pensare se ti sarebbe piaciuto. Non avrei mai voluto che da grande tu mi rimproverassi di averti messo un nome piuttosto che un altro. Ricordo benissimo chi fu la prima persona alla quale dissi come avevo deciso di chiamarti.

(Buio. Una musica allegra in sottofondo. La luce illumina a giorno l’intera scena. Sul palco c’è solamente PATTY, la mamma di Magghy, in piedi vicino al mobiletto dei liquori intenta a versarsi qualcosa da bere).

PATTY: (Ad alta voce verso la camera di Magghy) Hai già pensato al nome? (Magghy non risponde) Magghy?

MAGGHY: (Da fuori) Cosa c’è mamma?

PATTY: Stavo dicendo. Hai già pensato al nome del bambino?

MAGGHY: (Da fuori) Si.

PATTY: E cosa hai deciso?

MAGGHY: (Entrando) Lenny. Si chiamerà Lenny.

PATTY: (Delusa) Mm!!

MAGGHY: Cosa c’è?Non ti piace?

PATTY: (Con leggerezza) Potevi trovare di meglio…(Cambia discorso e prende in mano un bicchiere di Wiskhy) ) Sai stavo pensando…

MAGGHY: (Vede il bicchiere in mano di PATTY) Mamma!! Quante volte te l’ho detto?

PATTY: Cosa?

MAGGHY: Ti fa male bere cosi tanto.

PATTY: Hai ragione, hai ragione. Scusami. (Posa il bicchiere sopra il tavolino) Ma sai, è più forte di me. Ogni volta mi prometto di smettere, ma poi lascio prevalere la parte debole che è in me e così continuo a farlo. (Nel frattempo si è accesa una sigaretta.) Cosa vuoi farci?!

MAGGHY: Mamma?! Ma non avevi detto di aver smesso di fumare?

PATTY: Si che l’ho detto. Però poi mi sono dimenticata di dirti una cosa.

MAGGHY: Che cosa?

PATTY: Che ci avevo ripensato.

MAGGHY: Il dottor Morrison si è raccomandato di evitare luoghi nei quali ci sono persone che fumano e tu cosa fai? Vieni a fumare a casa mia?!

PATTY: Scusami, hai ragione anche in questo. Sono piena di vizi. Il fumo, i super-alcolici, il gioco… Tu pensi che sia perché mi manca qualcosa?

MAGGHY: Non lo so cosa penso, però so che dovresti controllarti un po’. (Magghy prende in mano un piccolo pigiamino celeste e lo mostra a PATTY). Guarda cosa ho comprato questa mattina.

PATTY: No?! (Stupita)

MAGGHY: No cosa?

PATTY: Non ci posso credere.

MAGGHY: Non credi che l’abbia comprato questa mattina?

PATTY: (Si alza e prende da una busta un pigiamino identico) Guarda cosa ho preso venendo qui.

MAGGHY: Ma sono uguali.

PATTY: Già.

MAGGHY: Vorrà dire che andrò al negozio a cambiarlo.

PATTY: Ma vuoi scherzare? Andrò io a cambiarlo. C’è un commesso in quel negozio che è la fine del mondo.

MAGGHY: Mamma?! (La riprende)

PATTY: Cosa ho detto di strano?! Va bene che ho una certa età…ma guardare non ha mai fatto male a nessuno… e poi chissà…!!!

(Buio. Breve musica. La luce illumina Magghy seduta con il diario in mano. Siamo di nuovo al tempo della scena iniziale).

MAGGHY: Fu mia madre la prima persona alla quale dissi come avevo deciso di chiamarti. Ora che ci penso fu anche la prima a sapere che ero incinta…e purtroppo fu anche la prima persona alla quale dissi che tu…(La sua voce è strozzata dal pianto). Non so che tipo di nonna sarebbe stata per te. Come madre è stata sicuramente originale. Sai Lenny, lei ha una sua visione del mondo, ed è molto particolare. Sembra essere quasi distaccata, anche se penso che il suo distacco sia solamente una copertura, quasi una maschera con la quale coprirsi il volto. Una maschera che rende più velate le immagini senza colore che abbiamo davanti agli occhi. Tutto questo per dirti che non so che tipo di nonna sarebbe stata per te. Penso invece a che madre sarei potuta essere io. Ci penso spesso. E’ una delle tante ossessioni che assillano la mia mente da quando tu… (La sua voce è nuovamente strozzata dal pianto).

Alle volte mi domando quanto tempo dovrà passare prima che possa pensare a te con un piccolo sorriso e non con questo vuoto, con questo silenzio sordo che mi perseguita. Guardo con ingenuità a quel giorno, anche se non so se arriverà mai.

(Buio, musica. Poco dopo una luce diretta illumina Magghy in piedi vicino alla parete con il diario in mano).

MAGGHY: Ci sono immagini che non ti abbandonano mai, come un colore impresso sulla tela inestimabile di un pittore. Ci sono suoni che non hanno prezzo, e sono così forti da lasciarti senza fiato. Quei suoni che solamente ascoltandoli riescono a rubare una parte di te, quella parte che non ho più da quando tu…(La sua voce è nuovamente strozzata dal pianto).

Fu il dottor Morrison, pochi giorni dopo il parto, a dirmi quale era la gravità della situazione. Si presentò qui alle dieci della mattina, forse fuori pioveva, ma non penso sia importante ricordarlo. Era elegantissimo. Giacca, cravatta, valigetta. Sembrava un rappresentante di cosmetici che era venuto a vendere i suoi prodotti.

(Buio, musica. La musica proviene dallo stereo di Magghy. La luce illumina a giorno la scena. Suonano alla porta. Magghy entra dalla quinta di sinistra, spegne lo stereo e va ad aprire. Sulla porta c’è il dottor Morrison).

MORRISON: Buongiorno Magghy.

MAGGHY: Buongiorno dottor Morrison. Prego si accomodi.

MORRISON: Grazie.

MAGGHY: Mi scusi ma avevo lo stereo acceso e non sentivo il campanello.

MORRISON: Posso sedermi?

MAGGHY: Certamente. Prende qualcosa da bere?

MORRISON: No grazie, non bevo mai.

MAGGHY: Dottore mi dica.

MORRISON: Mi dispiace molto Magghy. Non avrei mai voluto trovarmi in questa situazione.

MAGGHY: Dottore come sta Lenny?

MORRISON: Purtroppo…

MAGGHY: Dottore.

MORRISON: Vedi, Lenny è nato con una grave malformazione cardiaca.

MAGGHY: Dottore.

MORRISON: Tetralogia dei grossi vasi.

MAGGHY: Questo significa che avrà problemi per tutta la vita? (Il dottore rimane in silenzio) Dottore mi risponda. Mio figlio avrà questo problema per tutta la vita?

MORRISON: Magghy, Lenny non sopravviverà.

MAGGHY: Ma come….Non è possibile. Lei si sta sbagliando. Ci sarà un modo per poterlo curare. Oggi la medicina…

MORRISON: Non possiamo fare nulla…mi dispiace.

MAGGHY: Le dispiace? Che cazzo significa “mi dispiace”?

MORRISON: Magghy cerca di stare calma.

MAGGHY: Dottore ma come parla? Cosa dice?... Si rende conto di quello che mi ha appena detto?...Mio figlio potrebbe morire da un momento all’altro ed io dovrei cercare di stare calma?

MORRISON: Non serve a niente comportarsi così.

MAGGHY: Dottore se ne vada.

MORRISON: Magghy non credo che…

MAGGHY: (Urlando) Vada via.

MORRISON:  (Si alza e si avvicina all’uscita) Magghy non sai quanto ti sono vicino…

MAGGHY: Via…via…via.

(Magghy chiude la porta in faccia al dottore. Lancia un urlo isterico e tira un oggetto contro la parete).

(Buio, musica. Dopo poco una luce diretta illumina Magghy che ha ancora il diario in mano ed è seduta).

MAGGHY: Fu un colpo dritto al cuore. Un vento che si ferma improvvisamente. Un suono troppo forte o troppo debole per poterlo capire. Fu tutto quello che non avrei mai voluto sentire. Eri tu che mi lasciavi.

“Non sai quanto ti sono vicino”. Vicino? Ma vicino a che cosa? Che ne poteva sapere lui di come mi sono sentita in quegli istanti, nei giorni che sono venuti dopo, ed ora che tu…(La sua voce è strozzata dal pianto). Mi domando spesso fino a che punto le persone che ci sono accanto siano in grado di capirci. Voglio dire, per comprendere fino in fondo un dolore, una gioia o una qualsiasi emozione di un’altra persona, bisognerebbe riuscire a distaccarsi da se stessi e mettersi al posto dell’altro…ma fino a che punto ci si può allontanare da se stessi?

Sai cosa penso? Che infondo anche il più altruista degli esseri umani è profondamente egoista. Se c’è una cosa che proprio non riesco a sopportare sono le frasi di circostanza. Quelle parole stupide, quei sorrisini falsi, quegli abbracci vuoti. “Ma lo sai che ti trovo benissimo!? Dimostri come minimo cinque anni di meno.” Perché la gente non riesce a capire che non è che si debba sempre e per forza parlare. Se uno non ha nulla da dire, che se ne stia in silenzio. (Si ferma un istante) “Io ti sono vicino”…. Che frase idiota.

(Buio, musica. Finita la musica la luce si alza ad illuminare a giorno la scena. Magghy è seduta sul divano, immobile. Ha lo sguardo fisso nel vuoto. PATTY entra dalla cucina con una tazza)

PATTY: Magghy, ti ho preparato una tisana calmante. Prendila, ti farà bene.

(Magghy fissa la madre, poi la tazza. La prende in mano e, con un gesto plateale, rovescia lentamente il contenuto della tazza per terra. Poi rimette la tazza sul piattino e la restituisce alla madre).

PATTY: Magghy perché fai così? Mi metti in difficoltà.

MAGGHY: (Con distacco) Mi dispiace.

PATTY: Così ti fai solo del male. Non serve a niente comportarsi in questo modo e poi il dottor Morrison…

MAGGHY: ‘Fanculo al dottor Morrison.

PATTY: Ha detto che una piccola speranza…

MAGGHY: (A PATTY) Non voglio illudermi. (Tra sé) Una piccola speranza. (A PATTY) Quanto? L’uno per cento? Questa non è una speranza, è un’utopia.

PATTY: Magghy, devi cercare di reagire. Soprattutto non arrenderti fino a quando il dottor Morrison…

MAGGHY: Basta con questo dottor Morrison. Non voglio più sentirlo nominare. Non può fare nulla.

PATTY: (Alzando la voce) Non può?

MAGGHY: (Alzando la voce) No, non può.

PATTY: (Alzando la voce) Allora chi può farlo?

MAGGHY: (Si calma) Non lo so…non lo so.

(Suona il citofono dell’appartamento. PATTY va a rispondere).

PATTY: (Al citofono) Si?...Va bene scendo subito. (Attacca) E’ il postino. Ha un pacco per te, scendo a prenderlo… Hai sentito cosa ho detto?

MAGGHY: (Ripete a cantilena) E’ il postino. Ha un pacco per te, scendo a prenderlo…Hai sentito cosa ho detto?

(PATTY esce di casa. Magghy è ancora seduta sul divano).

MAGGHY: Che palle… (Si alza, si avvicina allo stereo e lo accende a tutto volume. Poi torna a sdraiarsi sul divano e si copre la testa con due enormi cuscini).

(Poco dopo rientra PATTY con un pacco in mano. Si guarda intorno. Vede Magghy sul divano. Va a spegnere lo stereo e poi si avvicina alla figlia).

PATTY: Magghy? Magghy? E’ arrivato questo per te.

MAGGHY: (Con la testa sotto i cuscini). Chi lo manda?

PATTY: (Legge il mittente) SIMON e NICOLE.

MAGGHY: (Sempre con la testa sotto i cuscini). Buttalo nella pattumiere. Guarda è li dietro.(Indica con il braccio).

PATTY: Non lo apri?

MAGGHY: Sta sotto la scrivania.

PATTY: Se non lo apri tu, lo farò io. (Inizia ad aprirlo) Non capisco perché ti comporti così.

MAGGHY: (Si tira su dal divano) Non capisci?

PATTY: (Continuando a scartare). No.

MAGGHY: Tu non hai mai capito. (Si copre nuovamente la testa con i cuscini).

(PATTY toglie il coperchio del pacco e rimane immobile ad osservare il contenuto).

MAGGHY: (Da sotto i cuscini) Cos’è ti sei offesa? (Dopo un piccolo silenzio si toglie i cuscini dalla testa e si tira su) Guarda che io…

(PATTY tira fuori dalla scatola delle scarpine rosse da neonato. Magghy rimane immobile).

(Buio, musica. Finita la musica una luce diretta illumina Magghy in piedi vicino alla scrivania con il diario in mano).

MAGGHY: Sono stati momenti che non saprei spiegare a parole. L’attesa di quella telefonata, la speranza che non arrivasse mai. Ero seduta sul mio divano, ad un passo da quel telefono, ma non avrei mai voluto riceve la telefonata del dottor Morrison che diceva che tu…(La sua voce è strozzata dal pianto).

Quegli istanti sembravano non finire mai. E’ incredibile come il tempo non scorra mai nello stesso modo. Gli anni passano così rapidamente. Sembra ieri che ho dato il mio primo bacio. Ma, a che gioco gioca il tempo? Perché gli anni scorrono alle nostre spalle così velocemente e certi giorni sembrano non finire mai? (Dopo una piccola pausa) Mi manchi Lenny. Mi manchi ed ho bisogno di te.

(Buio improvviso. Dopo un istante una luce diretta illumina Magghy seduta sopra il divano ancora con il diario in mano).

MAGGHY: Ho smesso di credere in Dio quando avevo poco più di dieci anni. Anche se, a pensarci bene, non ricordo il momento esatto in cui iniziai a farlo…infondo potrei anche non averci mai creduto. Forse se avessi avuto un po’ più di fede avrei vissuto l’attesa di quella telefonata in maniera diversa. Se non altro avrei avuto qualcosa alla quale attaccarmi. Però, infondo, avendo visto come sono andate a finire le cose, non c’era nulla in cui dover credere.

Ci sono due tipi di avvenimenti nella vita. Quelli che dipendono da noi stessi e quelli per i quali non possiamo fare nulla. I primi sono quelli che ti danno maggiori soddisfazioni, i secondi quelli che portano i dolori più grandi. Forse perché se va male una cosa che non dipende da te, non sai con chi prendertela. Non lo so.

(Magghy si alza e va verso la scrivania).

MAGGHY: La prova alla quale mi ha sottoposto la vita è stata grande, forse troppo grande per me. Mi ha messo con le spalle al muro, ha puntato una luce accecante sul mio volto ed ha messo davanti ai miei occhi i tuoi occhi, davanti al mio corpo il tuo, che si allontanava per sempre.

(Buio improvviso. Squilla il telefono di casa che è illuminato da una luce diretta. Dopo tre squilli si spegne la luce ed il telefono smette di suonare. Il palco si illumina a giorno. Magghy è seduta a terra ai piedi del divano, tenendo le gambe raccolte al petto).

 

(In scena ci sono anche NICOLE e SIMON. I due sono in piedi. NICOLE si avvicina a Magghy).

 

(Durante le battute seguenti SIMON e NICOLE porteranno avanti due discorsi completamente separati l’uno dall’altro)

 

NICOLE: Magghy…vorrei davvero poter fare qualcosa per farti sentire meglio.

SIMON: Gli avvenimenti della vita a volte sono imprevedibili.

NICOLE: Capisco che magari in questo momento tu preferiresti rimanere sola.

SIMON: Forse è proprio nell’imprevedibile che bisogna cercare il senso della vita.

NICOLE: Però sono convinta che se riuscirai a non allontanarti dalle persone che hai accanto, il tuo dolore potrai superarlo prima.

SIMON: Questa tua grande sofferenza è una prova che fa parte di questo gioco. Chissà, forse è giusto che sia capitato.

NICOLE: Magghy non ci conosciamo da quando eravamo piccole.

SIMON: C’è una frase che ho letto su un libro.

NICOLE: Siamo cresciute insieme.

SIMON: Non riesco a ricordarmi il titolo però!!

NICOLE: Quante ne abbiamo passate insieme…ti ricordi?

SIMON: Era la storia di una donna che si recava sulla tomba del figlio defunto.

NICOLE: Ci sono cose che non scorderemo mai.

SIMON: La donna era lì, immobile, senza lasciar sfuggire neanche una lacrima dai propri occhi.

NICOLE: Ti ricordi quella notte che siamo uscite di nascosto di casa e siamo andate al mare? Quanti anni avevamo?

SIMON: La donna parlando alla foto del bambino gli disse che infondo la sua morte era stato un avvenimento positivo per la sua vita.

NICOLE: Oppure quando, come due pazze, ci siamo fatte sei ore di treno per incontrare quei due ragazzi che avevamo conosciuto durante la settimana bianca…com’è che si chiamavano?

SIMON: Leggendo quelle parole rimasi spiazzato. Come si poteva essere felici della morte del proprio figlio? Ma fu nelle parole che seguirono che trovai la spiegazione di tutto.

NICOLE: Ne abbiamo fatte di stronzate insieme io e te.

SIMON: Era felice della sua morte perché così aveva un vero motivo per poter odiare il mondo e la vita. Perché era stato proprio quel mondo e quella vita a portarle via l’unica cosa alla quale credeva.

NICOLE: Alle volte fa bene ricordare certe cose del passato. Aiuta a farlo sentire meno distante da noi.

SIMON: Quella donna aveva sempre odiato il mondo, ma non poteva sputarci sopra il suo odio perché allora non avrebbe avuto senso mettere al mondo un bambino per farlo vivere in una realtà che ritieni squallida…che ne pensi? (Insieme a Nicole)

NICOLE: Che ne pensi? (Insieme a Simon)

(Magghy osserva per un lungo momento SIMON e NICOLE).

MAGGHY: Ma voi due chi siete?

NICOLE: Come chi siamo?

MAGGHY: Cosa ci fate qui?

SIMON: Ma che dici Magghy? Siamo SIMON e NICOLE, i tuoi…

MAGGHY: Perché sono circondata da gente inutile? Cosa volete da me?

NICOLE: Vogliamo aiutarti.

MAGGHY: Aiutarmi a fare cosa?

SIMON: A dimenticare.

MAGGHY: A dimenticare? Ma io non voglio dimenticare…

(Buio. Musica. Finita la musica una luce diretta illumina Magghy che ha ancora il diario in mano).

MAGGHY: Si è fermato tutto in quel giorno maledetto. Si è fermata l’allegria, si sono fermati i sorrisi, si è fermato il tempo e anche la voglia di vivere. Alle volte mi capita di guardarmi allo specchio, mi capita raramente perché adesso ho paura di confrontarmi con quello che non sono più. Guardo il mio volto riflesso davanti a me, ci metto un po’ a riconoscermi e quando ci riesco mi fa paura, perché quel che è rimasto è forse la parte peggiore di me, quella che qualunque persona fa finta di non avere. Tante persone nascondono ai propri occhi i propri difetti, è un gioco stupido ma funziona. Ci si sente perfetti, almeno per un secondo. Se non facessero così difficilmente riuscirebbero a criticare gli altri, anche perché sarebbero troppo impegnati a criticare se stessi. Adesso vedo riflessa nello specchio la mia incapacità di reagire. Sono una donna che non ha più la forza di andare avanti. Non so perché, non so se sia giusto o sbagliato, ma sento che ora tutto quello che mi gira intorno non ha più un senso, ed è per questo che non voglio più camminare, non voglio farlo, senza di te.

(Brevissimo buio. Quando si riaccende la luce Magghy si è spostata in un altro punto della casa)

MAGGHY: Vorrei chiudere gli occhi, vorrei che tutto questo non fosse mai successo, vorrei tornare indietro, vorrei un passato diverso, vorrei poterti vedere, vorrei accarezzare le tue piccole mani, vorrei sfiorare le tue labbra, vorrei vederti crescere, vorrei che tu mi vedessi invecchiare, vorrei che fossi qui, con me, perché vorrei tornare a vivere, almeno per un po’.

(Buio. Si sente un leggero sottofondo musicale. Le luci si alzano lentamente. Magghy è sdraiata al centro della scena, per terra. Sta dormendo. Ha la testa appoggiata su un cuscino, le ginocchia raccolte al petto ed il suo diario  vicino a sé)

(Una luce illumina l’entrata di sinistra dove si vede PATTY affacciata che si rivolge alla figlia.)

PATTY: Magghy, Magghy? Non fare così, ti prego. Cerca di essere forte. Dai piccola mia.

(PATTY torna nel buoi. Si accende una nuova luce che illumina la scrivania dove è seduto SIMON)

SIMON: Magghy? Non cercare risposte, non porti troppe domande. Tornerai a vivere, tornerai a sorridere. Non puoi fermarti. Non sei tu a scegliere il dove e il quando. Coraggio Magghy, coraggio.

(SIMON torna nel buio. Una luce illumina la porta d’entrata dell’appartamento dove c’è il dottor Morrison in piedi, con la sua valigetta in mano)

MORRISON: Magghy mi dispiace davvero. Davanti a questi dolori non è facile trovare le parole, posso solo dirti che….che mi dispiace, non so cos’altro aggiungere. Mi dispiace Magghy, mi dispiace.

(Il dottor Morrison torna nel buio. Una luce illumina adesso il divano dov’è seduta NICOLE)

NICOLE: Dai Magghy, non posso vederti così. Dov’è finita la tua allegria, dov’è la mia amica di sempre. La persona con la quale sono cresciuta, dov’è? Ti ricordi quella volta che eravamo a casa tua. Quanti anni avevamo?...Magghy? Magghy? Quanti anni avevamo?

(NICOLE torna nel buio. Rimane solo una luce che illumina Magghy che è ancora addormentata al centro della stanza.)

 

(Si sente la voce di Magghy).

MAGGHY: (Voce fuori campo) Non era un sogno, non era immaginazione, era tutto vero, anche quel dolore, era lì, vivo accanto a me. Rimasi sola, circondata da volti che non avrei più voluto vedere, perché non erano il tuo. Rimasi immobile, forse per sempre, perché non avevo più domande, non avevo speranze, non avevo desideri se non quello irrealizzabile di sentire almeno per       una volta la tua voce. Non chiedevo tanto, mi sarebbe bastata una volta, una volta           sola...volevo ascoltare da te quella parola che rende felice ogni madre e che io non sentirò mai…

LENNY: (Come una voce lontana) Mamma…?

(Musica, buio)

FINE