Leonzio e Lena

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LEONZIO E LENA

Commedia in tre atti e dieci quadri

Di GEORG BUCHNER

Versione di Agar Pampanini

« O foss'io un buffone!

In una giubba variopinta

pongo ogni ambizione!

Come vi piace ».

PERSONAGGI

RE PIETRO DI POPÒ

LEONZIO, suo figlio, principe di Popò

LENA, principessa di Pipì

VALERIO, valletto di Leonzio

IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI STATO

IL CERIMONIERE

CONSIGLIERI

CAMERIERI

UN MAESTRO DI SCUOLA

UN PREDICA­TORE DI CORTE

ROSETTA, ballerina

UNA GOVERNANTE

Georg Buchner (1813-1837) fu un geniale poeta, sin­golarmente moderno alla sua epoca per interessi spi­rituali e soprattutto per lo stile ritmico, intuitivo, a chiaroscuri, « espressionistico » anzi tempo. Egli si prefisse Infatti di « annunciare la rivoluzione del dramma » anticipando appunto l'espressionismo. Nato a Gaddelau presso Darmstadt, studiò scienze naturali e poi medicina. Fu costretto ad esulare a Zurigo per l'adesione sostenuta in uno scritto pubblico al movi­mento liberale. In questa città, dove insegnava medi­cina, mori. Ha lasciato una commedia, « Morte di Danton », ricca di fermenti, e « Woyezek », due drammi di ispirazione politica e umanitaria dominati dal caso, questo fato delle epoche recenti. Il primo suo dramma riuscì a vederlo stampato, ma nessuna sua opera raggiunse la scena nella sua breve vita. « Leonzio e Lena » è ricca d'ironia contro i principotti della nebulosa di piccoli Stati germanici. Opera oscil­lante tra profonda analisi e gaia leggerezza, con la quale BUchner ritorna ancora una volta nel giardino fiorito de! paese fatato del romanticismo. Egli è, in­fatti, un tardo figlio del romanticismo, ma pure un continuatore dello « Sturm und Drang » imparentato con Lenz, eroe di* un suo frammento di novella. « Lenz » è infatti ammirevole per l'introspezione resa con perfetta aderenza plastica e musicale del graduale oscuramento della coscienza del poeta Lenz, in un sereno sfondo di natura. Va considerato molto più vicino alla natura dei grandi geni del '700, anche se la vita lo portò ad esistere sulla soglia del « secolo evoluto » quando già le rivoluzioni avevano arrossato col sangue i candidi fior) dei suoi giardini spirituali.

QUADRO PRIMO

Un giardino.

 Leonzio                      - (semisdraiato, su una panchina, al cerimo­niere) Signor mio, che volete? Iniziarmi alla profes­sione? Sono occupato, non so come sbrigare tanto lavoro. Guardate, prima di tutto debbo sputare 365 volte di se­guito su questo sasso. Non avete mai provato? Fatelo, procura un piacere speciale. Vedete poi questa manciata di sabbia? Ora la getto in aria. (Prende un po' di sabbia, la getta in aria e la riprende sul dorso della mano) Scom­mettiamo? Quanti granelli ho adesso sul dorso della mano? Saranno pari o dispari? Come, non volete scom­mettere? Siete un pagano? Credete in Dio? Talvolta scommetto con me stesso e continuo così per giorni interi. Se mi sapeste scovare un uomo che avesse voglia di scom­mettere qualche volta con me, vi sarei molto obbligato. Poi debbo trovare mi mezzo per guardarmi sulla testa. Oh, se potessi riuscire! E' uno dei miei desideri; allora sarei contento. E poi, e poi ancora un sacco di cose simili. Sono un fanciullone? non ho alcuna occupazione? Sì, è triste...

Il Cerimoniere             - Molto triste, Altezza!

Leonzio                       - ... che le nuvole già da tre settimane passino dirette da Occidente verso Oriente. Ciò mi rende malin­conico.

Il Cerimoniere             - E' una malinconia molto fondata.

Leonzio                       - E perchè voi non mi contraddite? Avete affari importanti, vero? Mi spiace avervi trattenuto così a lungo. (Il cerimoniere se ne va con un inchino) Signore, mi congratulo con voi per la bella parentesi che fanno le vostre gambe quando vi inchinate. (Solo, si stende sulla panchina) Le api riposano così pigramente sui fiori e la luce del sole posa così pigra sulla terra. Regna una pigrizia tremenda. L'ozio è padre <li tutti i vizi. Che cosa non fanno gli uomini per la noia? Per noia studiano, si innamorano, sposano, si moltiplicano e muoiono. Per questo se ne va l'« humour » : fanno tutto col viso serio, senza saper perchè, e pensano chissà a che cosa. Tutti quanti, eroi, geni, zucconi, santi, peccatori e padri di famiglia non sono, in [fondo, che oziosi raffinati. Perchè proprio io debbo saperlo? perchè non posso darmi delle arie e mettere al povero burattino una marsina, dargli in mano un ombrello, sì che diventi retto, utile e morale? L'uomo che mi ha lasciato or ora io lo invidiavo, lo avrei picchiato per invidia. Se si potesse esser differenti, per un minuto solo! (Valerio, un poco brillo, entra) Come corre quell'uomo! Se potessi ancora trovare qualche cosa sotto il sole che mi facesse correre!

Valerio                        - (si pianta proprio davanti al principe, lo guarda fisso, un dito nel naso) Sì!

Leonzio                       - Benissimo!

Valerio                        - Mi avete capito?

Leonzio                       - Perfettamente.

Valerio                        - Allora parliamo di qualche altra cosa. (Si stende sul prato) Intanto mi sdraierò sull'erba e lascerò fiorire tra i fili d'erba il mio naso e avrò sensazioni ro­mantiche quando le api e le farfalle si culleranno su di esso come su una rosa.

QUADRO SECONDO

Una stanza. Re Pietro e due servitori che lo stanno vestendo.

Re Pietro                     - L'uomo deve pensare, ed io debbo pen­sare per i miei sudditi, perchè essi non pensano. La sostanza è questo in sé, e io lo sono (corre su e giù per la stanza, seminudo), capito? In sé e in se, capite? Ora vengono i miei attributi, le modificazioni, le affezioni e gli accidenti: dove sono le mie mutande e la camicia? Su, via! il libero arbitrio non si presenta «coperto. Dov'è la morale? dove sono i polsini? Le categorie sono nella più obbrobriosa confusione: ci sono due bottoni in più abbottonati, la tabacchiera è nella tasca destra: il mio sistema è rovinato. Ah! che vuol dire questo nodo al fazzoletto? Ragazzo, che significa? Di che cosa mi do­vevo ricordare?

Primo Cameriere         - Quando Vostra Maestà ha fatto questo nodo al fazzoletto, voleva...

Re Pietro                     - Ohe cosa?

Primo Cameriere         - ...ricordarsi di qualche cosa.

Re Pietro                     - Che risposta imbrogliata! (All'altro) Ehi! che significa?

Secondo Cameriere    - Vostra Maestà voleva ricordarsi di qualche cosa quando ha fatto questo nodo al fazzoletto.

Re Pietro                     - (corre su e giù) Che! Che! Gli uomini mi confondono, .sono nel più grande imbarazzo, non so come uscirne. (Entra un servitore).

Un Servitore               - Maestà, il Consiglio di Stato è riunito.

Re Pietro                     - (allegramente) Ecco, ecco! Dovevo ricor­darmi del mio popolo! Venite, signori miei, e cammi­nate con simmetria. Non fa molto caldo? Prendete voi pure i vostri fazzoletti e asciugatevi la faccia. Io sono sempre imbarazzato quando debbo parlare in pubblico. (I servi escono; entra il Consiglio di Stato) Miei cari e fedeli consiglieri, io volevo qui informarvi e farvi sa­pere... informarvi e farvi sapere... perchè, o mio figlio «i sposa, o no. (Si mette il dito nel naso) O sì, o no. Voi mi capite? Un terzo caso non c'è. L'uomo deve pen­sare. (Medita un poco) Quando parlo così ad alta voce, non so chi sia, se sia io oppure un altro, e questo mi angustia. (Dopo una lunga meditazione) Sono io. Che ne pensate, presidente?

Il Presidente               - (grave, lento) Maestà, forse è così, però forse non è così.

Il Consiglio di Stato   -  (in coro) Sì, fonse è così, però forse non è casi.

Re Pietro                     - (commosso) 0 miei savi! Dunque, di che cosa si parlava? Di che cosa volevo parlare? Presi­dente, come mai avete una memoria così labile in un'oc­casione così solenne? La seduta è tolta. (Si allontana maestosamente, seguito dai consiglieri).

QUADRO TERZO

Sala riccamente addobbata. Candele accese.

Leonzio                       - Sono ben chiuse tutte le imposte? Accendete le candele! Via la luce del giorno! Voglio la notte, la notte profonda. Portate le lampade sotto campane di cri­stallo fra gli oleandri, che sognino e brillino come occhi di fanciulle sotto le ciglia di foglie. Avvicinate le rose, che il vino spruzzi come gocce di rugiada sui calici. Mu­sica! Dove sono i violini? Dov'è Rosetta? Via, fuori tutti! (/ servi escono. Leonzio si sdraia sul divano. Rosetta, in abito grazioso, entra. Si ode musica in lontananza).

Rosetta                       - (si avvicina, carezzevole) Leonzio!

Leonzio                       - Rosetta!

Rosetta                       - Leonzio!

Leonzio                       - Rosetta!

Rosetta                       - Le tue labbra sono pigre. E' colpa dei baci?

 Leonzio                      - No, degli sbadigli!

Rosetta                       - Oh!

Leonzio                       - Ah! Rosetta, sono terribilmente stanco...

Rosetta                       - Perchè?

Leonzio                       - Di non far niente...

Rosetta                       - Fuorché amare?

Leonzio                       - Certo è un lavoro!

Rosetta                       - (offesa) Leonzio!

Leonzio                       - O un'occupazione...

Rosetta                       - O pigrizia.

Leonzio                       - Hai ragione, come sempre. Sei una ragazza furba, e io faccio gran conto del tuo acume.

Rosetta                       - Sicché mi ami per noia?

Leonzio                       - No, mi annoio perchè ti amo; ma amo la mia noia come te: siete una cosa sola. O dolce far niente! Io sogno? Sui tuoi occhi, come presso fonti mirabilmente profonde, la carezza delle tue labbra mi culla come il mormorio delle onde. (L'abbraccia) Vieni, noia cara, i tuoi baci sono un voluttuoso sbadiglio -e i tuoi passi un grazioso « hiatus ».

Rosetta                       - Mi vuoi bene, Leonzio?

Leonzio                       - E perchè no?

Rosetta                       - E per sempre?

Leonzio                       - E' una parola ben lunga: sempre! E se io ti amassi ancora per cinquemila anni e sette mesi, non ti basta? E' molto meno di sempre, ma è pur del tempo, e possiamo prendere del tempo per amarci.

Rosetta                       - Oppure il tempo ci può prendere l'amore.

Leonzio                       - Ralla, Rosetta, balla, che il tempo s'accordi col tocco dei tuoi graziosi piedini.

Rosetta                       - I miei piedi uscirebbero ben più volentieri dal tempo. (Canta e balla) « O miei piedi stanchi, danzar dovete in sandali dipinti, e pur preferireste riposare al suolo! O mie gote accese, arder dovete in selvagge carezze e pur vi sarebbe più caro fiorire due rose bianche! O miei poveri occhi, il raggio delle candele vi abbaglia, e vorreste dormire al buio, dimenticando i vostri dolori ».

Leonzio                       - (frattanto, con tono di sogno, fra sé) Un amore che muore è più bello di uno che nasce. Io sono un antico romano: durante il pasto prelibato scherzano i pesci dorati al « dessert » nei loro colori di morte. Come impallidisce l'incarnato sulle loro guance, come si spegne il loro occhio, e lentamente l'ondeggiar delle membra aumenta e s'arresta? Addio, addio, mio amore, voglio amare il tuo cadavere. (Rosetta gli si avvicina) Lagrime, Rosetta? Un fine epicureismo, il poter piangere. Mettiti al sole, che le stille preziose cristallizzino; sa­ranno certo diamanti magnifici: potrai fartene una col­lana.

Rosetta                       - Davvero, i diamanti mi feriscono gli occhi. Oh, Leonzio! (Fa per abbracciarlo).

Leonzio                       - Bada, la mia testa! Vi ho riposto il nostro amore. Guarda dentro, attraverso le finestre dei miei oc­chi. Vedi come quella povera cosa è bellamente mesta? Non vedi due rose bianche sulle mie guance e due rose rosse sul mio petto? Non mi urtare, che non si spezzi un braccino, sarebbe un peccato! Devo tener la testa ben ritta sulle spalle, come il becchino porta una bara di fan­ciullo.

Rosetta                       - (scherzando) Buffone!

Leonzio                       - Rosetta! (Questa gli fa uno sberleffo) Sia lode a Dio! (Chiude gli occhi).

Rosetta                       - Leonzio, guardami!

Leonzio                       - Nemmeno per idea!

Rosetta                       - Solo uno sguardo!

Leonzio                       - Neppure uno! Che cosa credi? Ancora un poco ed il mio caro amore tornerebbe alla luce. Sono contento di averlo seppellito. Voglio tenermi l'impres­sione.

Rosetta                       - (s'allontana triste, lentamente, e canta) « Sono una povera orfana tutta sola ho tanta paura! O caro dolore non vuoi venire con me»?

Leonzio                       - (solo) Che strana cosa, l'amore! Si sta per un anno in dormiveglia a letto, ed una mattina ci si sveglia, si beve un bicchier d'acqua, ci si veste, ci si passa la mano sulla fronte e si pensa, si pensa. Mio Dio, quante donne ci occorrono per cantare in su ed in giù la scala dell'amore? Una riempie appena uno dei toni. Perchè il vapore sulla nostra terra è un prisma che ri-frange in un arcobaleno il bianco raggio ardente dell'a­more? (Beve) In quale vaso sarà celato il vino che mi deve ubriacare oggi? Non ci riuscirò più? L'aria è così frizzante e leggera che ho freddo, come se dovessi patti­nare in calzoni di nanchino. Signori miei, sapete chi erano Nerone e Caligola? Io lo .so. Vieni, Leonzio, tie­nimi un monologo, io voglio ascoltare. La'mia vita.sba­diglia davanti a me come un grosso quinterno di carta che debbo ricoprire di scrittura. Ma io non posso scri­verci nemmeno una lettera. La mia testa è una sala da ballo vuota, con qualche rosa appassita, dei nastri sciu­pati sul pavimento, violini sventrati negli angoli e gli ultimi ballerini che hanno tolto le maschere e si guar­dano con occhi mortalmente stanchi. Io mi rivolto venti­quattro volte il giorno come un guanto, oh! mi conosco! So che cosa penserò o saprò fra un quarto d'ora, fra otto giorni, fra un anno. Dio mio, che male ho fatto per farmi ripetere la lezione così spesso come ad uno scola­retto? Bravo, Leonzio, bravo! (Batte le mani) Mi fa così bene chiamarmi così! Ehi! Leonzio!

Valerio                        - (uscendo da sotto un tavolo) Vostra Altezza mi sembra, in verità, sulla strada migliore per diventare pazzo.

Leonzio                       - Sì, anch'io ho la medesima impressione.

Valerio                        - Aspettate, tratteremo subito, in lungo ed in largo, quest'argomento. Debbo ancora mangiarmi un pezzo d'arrosto che ho rubato in cucina e bere un po' di vino che ho sottratto alla vostra tavola. Fra poco ho finito.

Leonzio                       - Questo originale mi procura sensazioni idil­liache; potrei ricominciare dalle cose più semplici, man­giare formaggio, bere birra, fumare. Continua, non gru­gnire così col tuo grifo e non far scricchiolare le tue zanne.

Valerio                        - Illustre Adone, avete paura dei vostri pol­pacci? Non datovi pensiero, non faccio scope né sono maestro di scuola; non ho bisogno di bacchette per farne verghe.

Leonzio                       - Non resti certo debitore!

Valerio                        - Vorrei che così fosse del mio padrone.

 Leonzio                      - Dovresti cioè avere la tua parte di botte? Tieni dunque tanto alla tua educazione?

Valerio                        - O cielo, è più facile esser generati che edu­cati! E' triste! in quali condizioni si può mettere uno essendo in certe condizioni, cioè aspettare un bimbo; che settimane ho passato, dopo che mia madre entrò nelle settimane; quanto bene ho concepito e lo devo al (mio concepimento !

Leonzio                       - Per quanto riguarda la tua suscettibilità non potrebbe capitare meglio, per essere colpita. Esprimiti meglio, oppure avrai la più spiacevole espressione della mia forza.

Valerio                        - Quando mia madre si trovò in certe condi­zioni, mio padre metteva il corno...

Leonzio                       - Il corno? Ah! è giusto, era un guardiano notturno...

Valerio                        - Eppure non metteva il corno così spesso alle labbra, come i padri di nobili figli sulla fronte.

Leonzio                       - Hai una divina spudoratezza. Io sento pro­prio la necessità dì mettermi in più stretto contatto con questa tua qualità; ho una gran voglia di bastonarti.

Valerio                        - Questa è una risposta convincente ed una valida prosa...

Leonzio                       - (si scaglia addosso a Valerio) ... oppure tu sei una risposta controbattuta che per la tua risposta botte avrai?

Valerio                        - (scappa, e Leonzio inciampa e cade) E voi siete una prosa che deve ancora esser portata, poiché cade male sulle gambe che, in fondo, devono ancora esser provate. Sono polpacci inverosimili e stinchi pro­blematici. (Entra il Consiglio di Stato. Leonzio rimane seduto per terra).

Il Presidente               - Vostra Altezza vorrà perdonare...

Leonzio                       - Come a me stesso! Io mi perdono la bene­volenza di ascoltarvi. Signori, non volete prender posto? Che faccia fa la gente quando sente parlare di posto! Sedetevi per terra e non fate tante storie! E' l'ultimo posto che potete avere, ma nessuno ci guadagna, fuorché il becchino.

Il Presidente               - (imbarazzato, schiocca con le dita) Permettete, Altezza...

Leonzio                       - Ma non schioccate con le dita se non volete fare di me un assassino!

Il Presidente               - (schioccando sempre più forte) Se volete di grazia prender in considerazione...

Leonzio                       - Mio Dio, e ficcatevi le mani in tasca o sede-tevici sopra! (A parte) E' proprio fuor dei gangheri. Suvvia, riprendetevi.

Valerio                        - Non si debbono interrompere i marmocchi...

Leonzio                       - Suvvia, riprendetevi. Pensate alla vostra famiglia e allo Stato. Arrischiate un colpo apoplettico se il discorso vi ritorna dentro.

Il Presidente               - (cava un foglio di tasca) Permettete, Altezza...

Leonzio                       - Che? Sapete già leggere? Allora...

Il Presidente               - L'arrivo della promessa sposa di Vo­stra Altezza, Sua Altezza la Principessa di Pipì, è atteso per domani. Sua Maestà il Re ne informa Vostra Altezza.

Leonzio                       - Se la mia sposa mi aspetta, io faccio il suo volere e la lascerò aspettare. L'ho veduta ieri in sogno: aveva certi occhi così grandi che le scarpette da ballo della mia Rosetta potevano far da sopraccigli; e sulle guance non delle fossette, ma delle fosse enormi per il ridere. Io credo ai sogni. Sognate anche voi, di tanto in tanto, signor Presidente? Avete dei presentimenti?

Valerio                        - S'intende. Sempre, la notte prima del giorno in cui va bruciato un arrosto, crepa un cappone o il Re ha il mal di pancia.

Leonzio                       - A proposito, non avete ancora qualche cosa sulla punta della lingua? Buttate pur fuori tutto.

Il Presipente                - Il giorno delle nozze un'alta volontà intende porre nelle mani di Vostra Altezza le sue più alte manifestazioni di volere.

Leonzio                       - Dite a quell'alta volontà che farò tutto, all'infuori di quello che tralascerò, che però non sarà poi tanto quanto sarebbe se lo fosse una volta di più. Signori miei, scusate se non vi accompagno; mi ha preso la passione di star seduto; ma il mio favore è così grande che a inala pena lo posso misurare con le gambe. (Stende le gambe aperte) Signor Presidente, prendete le misure per ricordarvene più tardi. Valerio, accompagna i signori.

Valerio                        - Debbo far l'accompagnamento? Debbo at­taccare un campanello al collo del Presidente? O debbo condurli, come se andassero a quattro zampe?

Leonzio                       - Creatura, sei proprio un pessimo gioco di parole. Non hai padre né madre, ina ti hanno allevalo insieme le cinque vocali.

Valerio                        - E voi, Principe, siete un libro senza let­tere, ma solo con trattini di sospensione. (/ consiglieri e Valerio escono).

Leonzio                       - (solo) Che volgare cavaliere sono stato a spese di quei poveri diavoli! Ma c'è sempre una specie di soddisfazione in un po' di volgarità. Sposarsi vuol dire bere un pozzo sino in fondo. O Shandy, vecchio Shandy, se qualcuno mi regalasse il tuo orologio! (Valerio ritorna) Ah! Valerio, hai sentito?

Valerio                        - Dunque, diventerete Re? E' divertente! Si può andare a spasso tutto il giorno e far scomparire i cappelli a furia di farsi salutare; si possono ricavare dei veri soldati da vere persone sì che tutto sembri naturale; si possono fare servi dello Stato delle cravatte e delle marsine nere: e se si muore, lo scampanìo logora le corde dal gran suonare.

Leonzio                       - Valerio, Valerio, dobbiamo tentare qualche scappatoia: consigliami!

Valerio                        - Ah, la scienza; la scienza! Diventeremo dei dottoroni! « A priori »? O « a posteriori »?

Leonzio                       - « A priori », questo bisogna impararlo dal mio signor padre. E « a posteriori » comincia tutto, come una vecchia parola: «C'era una volta...».

Valerio                        - Allora diventeremo eroi. (Cammina, strom­bettando e tambureggiando, in sii ed in già) Trom-trom, pere-plem !

Leonzio                       - Vai a farti friggere con la tua romantica da Alessandro o da Napoleone!

Valerio                        - Allora diventeremo dei geni!

Leonzio                       - L'usignolo della poesia cinguetta tutto il giorno sulla nostra testa, e la parte più bella se ne va all'inferno, poiché noi gli strappiamo le penne e le intin­giamo nell'inchiostro o nel colore.

Valerio                        - Allora vogliamo diventare filantropi.

Leonzio                       - Darei piuttosto le mie dimissioni da essere umano.

Valerio                        - Allora andiamo al diavolo.

Leonzio                       - Ah! Il diavolo esiste soltanto per amor di contrasti, perchè possiamo capire che qualcosa c'è in eielo. (Balzando in piedi) Ora, Valerio, ora so! Non senti l'alito del Sud? Non senti come ondeggia l'etere intensa­mente azzurro e ardente, come la luce sprizza dal suolo dorato, assolato, dal sacro flutto salino, dalle colonne « dai simulacri marmorei? Il grande Pan dorme e le bron­zee figure sognano nell'ombra, accanto alle onde ohe mormorano misteriosamente; il vecchio mago Virgilio, la tarantella e le nacchere, notti profonde, folli notti piene di maschere, fiaccole e chitarre. Valerio, andiamo in Italia!

QUADRO QUARTO

Un giardino.

Lena                            - (in abito di sposa, seduta sull'erba) Sì, ora! E' proprio questo. Non pensavo a nulla, così s'andava avanti e d'un tratto sorge quel giorno davanti a me. Ho la corona nei capelli. E le campane, le campane! (Si appoggia all'indietro e chiude gli occhi) Vedi, io vorrei che l'erba crescesse tanto alta sopra di me, che le api ronzassero sul mio capo; vedi, ora sono agghindata ed ho il rosmarino nei capelli. Non c'è una vecchia canzone che dice: « Come un bimbo nella culla - vo' giacere al camposanto..^» ?

La Governante            - Povera piccola, come siete pallida in mezzo a quelle gemme scintillanti !

Lena                            - O Dio, io potrei amare, perchè no? Si va così solitari e si cerca a tentoni un'altra mano che possa tenere la nostra, finché la Parca non le voglia dividere ed incrociare ad ognuno sul petto le proprie. Ma perchè si vuole infliggere un chiodo su due mani che non si sono cercate? Che ha fatto la mia povera mano? (Trae un anello dal dito) Questo anello mi morde come un'a­spide.

La Governante            - Sembra ch'egli sia un vero Don Carlos!

Lena                            - Ma un uomo...

La Governante            - Dunque?...

Lena                            - ...che non si ama! (Si alza) Che orrore! Vedi, mi vergogno. Domani ogni profumo, ogni splendore sarà svanito da me. Son io forse come una povera sorgente che deve riflettere qualsiasi immagine si piega sul suo fondo tranquillo? I fiori aprono e chiudono a loro piaci­mento i calici al sole del mattino ed alla brezza della sera. E' forse una figlia di Re da meno di un fiore?

La Governante            - (in lacrime) Angelo caro, sei prò­prio un agnellino pasquale.

'Lena                           - Sì, e già il sacerdote vibra il coltello. Mio Dio, è proprio vero che dobbiamo riscattarci col nostro do­lore? E' proprio vero che il mondo è un redentore croci­fisso, il sole la sua corona di spine, le stelle i chiodi ed i dardi infissi nei suoi piedi e nei suoi fianchi?

La Governante            - Figlia mia, non posso vederti così. In questo modo non si può andare avanti: tu ne muon. Forse, chissà, ho qualche cosa in mente. Vedremo,

FINE PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

« Nel più profondo dell'anima

mi risonò una voce

e in un sol tratto ha inghiottiti

tutti i ricordi miei ».

Adalberto di Chamino

QUADRO PRIMO

Aperta campagna. Nel fondo un'osteria.

Valerio                        - (ansante) Sul mio onore, Principe, il mondo è proprio un edificio straordinariamente spazioso.

Leonzio                       - Macché! Io oso appena stendere le mani, come in una piccola stanza a specchi per tema di urtare dappertutto e che le belle statue cadano a terra in pezzi ed io mi ritrovi davanti ad una parete vuota, nuda.

Valerio                        - Io sono perduto.

Leonzio                       - Nessuno ci perderà nulla fuorché colui che li trova.

Valerio                        - Mi metterò all'ombra della mia ombra.

Leonzio                       - Tu bestemmi proprio il sole! Non vedi quella bella nuvola lassù? E' almeno un quarto di te e guarda giù con compiacimento sulle tue rozze sembianze materiali.

Valerio                        - La nuvola non farebbe alcun danno alla vostra testa, se la si facesse cadere goccia a goccia ad­dosso a voi. Una magnifica trovata! Abbiamo già attra­versato di corsa una dozzina di principati, una mezza dozzina di granducati e un paio di reami, tutto nella più gran furia, in mezza giornata, e perchè? Perchè si deve diventare Re e sposare una bella Principessa? E vivete ancora in simili frangenti? Non capisco proprio la vostra rassegnazione. Non so comprendere come mai non abbiate bevuto dell'arsenico, non vi siate gettato dalla loggia di un campanile, e non vi siate sparato una palla nella testa, per esser ben certo di non sbagliare.

Leonzio                       - Ma Valerio, e l'ideale? Io ho in me un ideale di donna e lo debbo cercare. E' una donna infini­tamente bella e infinitamente vuota; perciò la sua bel­lezza è così candida, così commovente come un bimbo appena nato. E' un contrasto raffinato: gli occhi angeli­camente stupidi, la bocca divinamente semplice, il pro­filo greco da pecora. La morte spirituale in un corpo senz'anima.

Valerio                        - Diavolo! siamo di nuovo al confine. E' davvero un paese come una cipolla: nient'altro che bucce. Oppure come tante scatole, l'una dentro l'altra: nella più grande non vi sono ohe scatole e nella più piccola niente. (Getta a terra il fardello) E questo fagotto diventerà la mia pietra tombale? Vedete, Principe, di­vento filosofo, un'immagine della vita umana; coi piedi piagati mi trascino appresso questo fagotto per gelo e calura perchè la sera voglio mettermi una camicia pulita; quando giunge la sera la mia fronte è segnata, le mio gole sono incavate, i miei occhi foschi, ed ho appena il tempo di mettere quella camicia come sodarlo. Non sarei stato più furbo se avessi sfilato il fardello dal ba­stone, l'avessi vendtito nella prima bettola qualsiasi e col ricavato avessi bevuto e dormito all'ombra fino a sera. senza sudori né calli? Ed ora, Principe, viene l'applica­zione e la,pratica: sempre per pudore vogliamo vestire l'uomo di dentro e fargli indossare giubba e pantaloni. (Si avviano all'osteria) Caro fagotto, che profumo preli­bato: olezzo di vino e sentor d'arrosto; cari pantaloni, già mettete radici, fronde e fiori, lunghi grappoli pesi mi penzolano sulla bocca e il mosto fermenta nella botte. (Escono. Entrano fa principessa e fa governante).

La Governante            - Dev'essere un giorno incantato: il sole non tramonta ed è passato tanto tempo dalla nostra fuga.

[Lena                          - Ma no, mia cara, sono appena appassiti i fiori che ho colti in segno d'addio uscendo dal giardino.

La Governante            - E dove riposeremo? Non abbiamo ancora incontrato una tettoia. Non vedo né un convento, né un eremita, ne un pastore.

Lena                            - Abbiamo sognato tutto ben diverso sui nostri libri, dietro i muri del giardino, fra mirti ed oleandri.

La Governante            - Oh! il mondo è odioso! Non c'è proprio da pensare a un figlio di re errabondo.

Lena                            - Oh! il mondo è così bello, così grande, così infinitamente vasto! Vorrei andare continuamente, giorno e notte: nulla ;si muove. Un rosso riflesso di fiori scherza sui prati e i monti lontani posano sulla terra come nuvole quete.

La Governante            - Gesù mio, che si dirà? Eppure è cosa tanto delicata e femminile. E' una rinuncia. Come la fuga di Santa Attilia. Ma dobbiamo cercare un asilo: si fa sera.

Lena                            - Sì, le piante raccolgono le loro foglioline per il sonno, e i raggi di sole si cullano sui fili d'erba come stanche libellule.

QUADRO SECONDO

Osterìa sopra un'altura, presso il fiume: vista spaziosa.

Valerio                        - Dunque, Principe, non è gustosa la be­vanda che danno i vostri calzoni? Non vi scorrono con gran leggerezza nella gola i vostri stivali?

Leonzio                       - Vedi, questi alberi annosi, le siepi, i fiori, tutto ciò ha la propria storia, amabile, misteriosa. Vedi quella gente cordiale sulla soglia, sotto le viti? Stanno là, ritengono la mano ed hanno paura perchè sono tanto vecchi e il mondo è tanto giovane. Valerio, io sono così giovane ed il mondo è così vecchio! Spesso ho proprio paura per me, mi metterei in un angolo e piangerei lacrime brucianti per compassione di me stesso.

Valerio                        - (gli porge un bicchiere) Prendi questa cam­pana da palombaro e tuffati nel mare del vino sì che perle risalgono alla superficie. Guarda come gli elfi si librano sul calice del fiore del vino, con le scarpette d'oro, suonando i cembali.

Leonzio                       - Valerio, Valerio, dobbiamo far qualche cosa! Ci daremo ai pensieri profondi: cercheremo come mai una sedia sìa su tre gambe e non su due. Sezione­ remo le formiche, conteremo i granelli di polvere! Riu­ scirò ancora a combinare qualche principesco intrigo amoroso. Troverò ancora una trottola che mi cadrà di mano quando sarò per morire. Debbo ancor consumare una certa dose di entusiasmo; ma quando tutto è caldo, ho bisogno di un tempo illimitato per trovare un cucchiaio e mangiare quella minestra: e questa è la diffi­coltà !

Valerio                        - « Ergo libamus »! Questa bottiglia non è un'innamorata, né un'idea, non ha dolori di parto, non diventa noiosa, né infedele, resta uguale dalla prima all'ultima góccia. Tu rompi il sigillo e tutti i sogni che sonnecchiano in essa ti sprizzano incontro.

Leonzio                       - O Dio! La metà della mia vita sarà una preghiera, se avrò soltanto una pagliuzza su cui poter cavalcare come su di un magnifico destriero, finché io stesso sarò sulla paglia. Che sera misteriosa! Laggiù tutto tace, e lassù si alternano e passano le nubi, la luce del sole scompare e ritorna. Guarda quali strane figure si inseguono là! Guarda quelle lunghe ombre bianche con le gambe spaventosamente magre e le ali di pipistrello! E tutto così rapido, così confuso, mentre laggiù non si muove né una foglia né uno stelo. La terra si è raggo­mitolata timorosa come un bambino, e sulla sua culla passano i fantasmi.

Valerio                        - Non so che cosa vogliate; mi sento proprio a mio agio. Il sole brilla come un'insegna di osteria, e le nuvole infuocate sembrano lassù la scritta: «Osteria al sole d'oro ». La terra e l'acqua sono come un tavolo sul quale si mesce il vino; vi stiamo sopra come carte da gioco: voi siete un re (di tarocchi) ed io un fante; manca ancora la donna, una bella regina, con un gran cuore di focaccia sul petto ed un enorme tulipano dove tuffare il lungo naso sentimentale... (Appaiono la nasuta governante e la principessa) Mio Dio, eccola! Ma non è un tulipano, è una presa di tabacco; e non è un naso, ma una probo­scide. (Alla governante) Perchè mai, illustrissima, andate così di fretta che si vedono i vostri venerandi polpacci sino alle rispettabili giarrettiere?

La Governante            - (offesa, si ferma) (Perchè mai, illu­strissimo, spalancate tanto la bocca da fare un buco nel panorama ?

Valerio                        - Perchè, illustrissima, i nasi non si scontrino sanguinosamente all'orizzonte. Quel naso è proprio come la torre che sorge sul Libano verso Damasco.

Lena                            - Cara, è così lunga la via?

Leonzio                       - (in sogno) Oh! ogni via è lunga. II tic­chettìo dell'oriolo di morte nel nostro petto è lento, ogni stilla di sangue misura il proprio tempo e la nostra vita è una febbre lenta. Per i piedi stanchi, ogni strada è lunga...

Lena                            - (che lo ascolta ansiosa) ... e iper gli occhi stan­chi, ogni luce è troppo viva; per le labbra stanche, ogni alito troppo pesante (sorridendo); per gli orecchi stanchi, ogni parola di troppo. (Entra con la governante nelVo steria).

Leonzio                       - Caro Valerio, grazie al cielo, comincia a diminuire la malinconia. L'aria non è più «osi tersa e così fredda, il cielo si piega infocato su di me e gocce pesanti cadono. Oh, quella voce: «E' così lunga la via»? Molte voci parlano sulla terra e si crede che parlino d'altro, ma io l'ho capita. Posa su di me come lo spirito si librava sulle acque prima che venisse la luce. Qual fermento nel profondo, qual divenir in me quando la voce si versa nello spazio! E' così lunga la via? (Esce).

 Valerio                       - No, la strada pel manicomio non è lunga: è facile da trovare, conosco tutti i sentieri, tutte le vie traverse e le strade maestre. Già lo vedo in un ampio viale, un giorno d'inverno di ifreddo intenso, col cappello sotto il braccio, mettersi all'ombra lunga, sotto gli alberi spogli e farsi vento col fazzoletto. E' pazzo! (Via).

QUADRO TERZO

Una stanza.

La Governante            - Non pensate a quell'uomo!

Lena                            - Era così vecchio, sotto i suoi riccioli biondi. La primavera sulle gote e l'inverno nel cuore! E' triste. Il corpo stanco trova ovunque un giaciglio, ma quando l'anima è stanca dove riposerà? Mi viene un pensiero terribile: credo vi siano uomini infelici, inguaribili, solo perchè « sono ». (Si alza).

La Governante            - E dove volete andare, figlia mia?

Lena                            - Voglio scendere in giardino.

La Governante            - Ma...

Lena                            - Ma, cara madre? Avrebbero dovuto mettermi in un vaso di fiori: come i fiori, ho bisogno di rugiada e di aria notturna. Non senti le armonie della sera? Come cantano i grilli nell'agonia del giorno, e le violette lo cullano con il loro profumo? Non posso restare al chiuso: le pareti mi cadono addosso.

QUADRO QUARTO

Il giardino. Nolte e chiaro di luna. Si vede Lena seduta sull'erba.

Valerio                        - (un po' discosto da lei) E' una bella cosa la natura, ma sarebbe ancor più bella se non ci fossero le zanzare, se i letti dell'osteria fossero ipiù puliti, se gli orioli di morte non ticchettassero così nelle pareti. Den­tro russano gli uomini, fuori gracidano le rane; dentro cantano i grilli del focolare, fuori i grilli di prato. (Sì stende sull'erba. Compare Leonzio).

Leonzio                       - O notte, balsamica come la prima che scese sul paradiso. (Vede la principessa e le si accosta piano).

Lena                            - (parla tra se) La cavalletta strideva in sogno. La notte dorme più profonda, le sue gote diventano più pallide; il suo respiro più queto. La luna è come un bimbo dormente, i ricci d'oro sono caduti, nel sonno, sul viso... il suo sonno è la morte. Come l'angelo morto posa sui cuscini cupi e le stelle ardono come candele attorno a lui! Povero piccolo! E' triste, morto e così solo!

Leonzio                       - Sorgi nella tua veste bianca, segui le salme nella notte e cantale un canto di morte!

Lena                            - Chi parla?

Leonzio                       - Un sogno.

Lena                            - I sogni sono felici.

Leonzio                       - Allora sogna felice, e ch'io sia il tuo sogno felice.

iLena                           - La morte è il sogno più felice.

Leonzio                       - Fa ch'io sia il tuo angelo funebre. Lascia che le mie labbra si pieghino come le sue ali sui tuoi occhi. (La bacia) Bella salma, riposi così graziosa sul nero drappo mortuario della notte sì che la natura odia la vita e s'invaghisce della morte.

Lena                            - No, lasciami. (Balza in piedi e si allontana in fretta).

Leonzio                       - E' troppo, troppo! Tutto l'esser mio in quell'unico istante. Ora muori! Di più è impossibile. Con fresco respiro, fulgida di bellezza, la creazione si sprigiona dal caos incontro a me! La terra è una coppa di oro scuro: come spumeggia la luce in essa e fiotta sopra l'orlo, che ne risaltano chiare come perle le stelle! Questa goccia di beatitudine mi rende coppa preziosa. Giù, sacra coppa! (Vuol lanciarsi nel fiume).

Valerio                        - (balza su e lo ferma) Alto là, Serenissimo!

Leonzio                       - Lasciami!

Valerio                        - Vi lascerò quando vi lascierete convincere a lasciare l'acqua.

Leonzio                       - Stupido!

Valerio                        - Vostra Altezza non è ancora uscita dalla romantica del luogotenente: gettare fuor dalla finestra il bicchiere in cui si è bevuto alla salute dell'amata?

Leonzio                       - Io credo a metà che hai ragione.

Valerio                        - Consolatevi. Anche se stanotte non dormi­rete sotto l'erba, dormiteci sopra. Sarebbe un tentato sui­cidio voler entrare in uno di quei letti. Si sta come morti sulla paglia, e come vivi si è pizzicati dalle pulci.

Leonzio                       - Per me! (Si sdraia sull'erba) Creatura, tu mi hai privato del più bel suicidio! Non troverò mai più nella mia vita un momento così adatto, ed il tempo è così bello. Ormai ho perduta l'atmosfera adatta. Questo tipaccio con la sua giubba gialla ed i suoi calzoni azzurro-cielo mi ha guastato tutto. Il cielo mi conceda un sonno ben sano e pesante.

Valerio                        - Amen! Ho salvato una vita umana e mi scalderò le ossa e la mia buona coscienza.

Leonzio                       - Buon prò ti faccia, Valerio!

FINE SECONDO ATTO

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

Una stanza.

Valerio                        - Sposare? Da quando è arrivata Vostra Al­tezza al calendario eterno?

Leonzio                       - Sai, Valerio, anche il più meschino degli uomini è così grande che la vita è troppo breve per po­terlo amare? Eppure posso lasciare a certa gente l'illu­sione che niente sia così bello e così santo che essa possa rendere ancor più bello e più santo. C'è un certo godi­mento in questa cara arroganza. Perchè non dovrei lasciar­glielo godere?

Valerio                        - Molto umano e filobestiale! Ma lei sa chi siete?

Leonzio                       - Sa soltanto che mi ama.

Valerio                        - E Vostra Altezza sa chi è lei?

Leonzio                       - Scemo! Chiedi ai garofani ed alle gocce di rugiada il loro nome.

Valerio                        - Cioè: ella è « qualche cosa », se ciò non è già indelicato e non sa di « informazioni ». Ma, come andrà? Ehm! Principe, sarò ministro se oggi venite unito indissolubilmente da vostro padre con la ineffabile, la senza nome, a mezzo della benedizione nuziale? Ho la vostra parola?

Leonzio                       - Parola mia!

Valerio                        - Il povero diavolo Valerio si raccomanda a Sua Eccellenza il signor Ministro di Stato Valerio di Val-valeria. « Che vuole quest'individuo? Io non lo conOsco. Via, birbante! » (Corre via e Leonzio lo segue).

QUADRO SECONDO

Piazza davanti al castello di re Pietro.

(Il maestro di scuola; contadini in abito festivo con rami di abete in mano;

il consigliere di Statò).

Il Consigliere              - Caro signor Maestro, come tenete la vostra gente?

Il Maestro                   - Si trovano così bene coi loro dolori che già da un po' di tempo si tengono insieme. Versano bra­vamente spirito in se stessi, altrimenti con questo caldo non potrebbero durare a lungo. Coraggio, brava gente! Stendete bene davanti a voi i rami d'abete, si che si possa credere un bosco, i nostri nasi sembrino fragole, i tricorni per corna della selvaggina, le brache dj cuoio la luna che vi si specchia. E ricordatevi: quello che sta in coda corra sempre a mettersi davanti al primo, sì che sembriate elevati al quadrato.

Il Consigliere              - Badate, gente, che nel programma sta scritto: «Tutti i sudditi vengono rivestiti a nuovo, ben nutriti e con facce liete si disporranno in fila lungo le strade ». Non fateci arrossire!

Il Maestro                   - Fermi! Non grattatevi dietro gli Grecchi e non tirate su col naso mentre passa la coppia illustre: mostrate la debita commozione, altrimenti verranno usati mezzi severissimi. Riconoscete quel che si fa per voi: vi abbiamo disposti in modo che l'aria che viene dalla cucina giunga a voi; almeno una volta nella vostra vita sentirete così odor d'arrosto. Sapete ancora la lezione? Su, vi...?

I Contadini                 - Vi...

II Maestro                   - Vat! Vivat!

I Contadini                 - Vivat!

II Maestro                   - Ecco, signor Consigliere, vedete come cresce l'intelligenza? Pensate che è latino. Noi daremo però stasera un ballo in trasparenza mediante gli strappi delle nostre giubbe e dei pantaloni, e ci faremo coi pugni delle coccarde sulla testa.

QUADRO TERZO

Gran salone.

(Signori e dame ben agghindati, riuniti accuratamente a gruppi.

 Il cerimoniere con alcuni servi sul davanti della scena).

Il Cerimoniere             - E' una pena! Tutto va a catafascio: gli arrosti bruciano, tutti gli auguri di felicità svaniscono. Ai contadini ricrescono le unghie e la barba. Ai soldati 'si sciolgono i ricci. Delle dodici innocenti non ce n'è una che non preferirebbe la posizione orizzontale a quella verticale. Coi loro abitini bianchi sembrano coni­glietti sfiniti, e il poeta di corte grugnisce loro intorno come una cavia preoccupata. I signori ufficiali perdono l'attenti, le dame di corte sono come saline, sulle loro collane cristallizza il sale.

Secondo Servo           - Almeno loro stanno comode, non si può certo dire che abbiano pesi sulle spalle. Anche se non sono di cuore aperto, almeno sono aperte sino al cuore.

Il Cerimoniere             - Sì, lasciano vedere fin dove possono. Via, birboni! Alle finestre! Viene Sua Maestà! (Entrano re Pietro ed il Consiglio di Stato).

Re Pietro                     - Sicché, anche la Principessa è scomparsa. Non si hanno tracce del nostro caro Principe ereditario? Sono stati seguiti i miei ordini? Vengono sorvegliate le frontiere?

Il Cerimoniere             - Sì, Maestà. La vista da questa sali ti permette la più severa vigilanza. (Al primo servo) Che hai visto?

Primo Servo                - Un cane che cerca il suo padrone lui attraversato il regno.

Il Cerimoniere             - (ad un altro servo) E tu?

Secondo Servo           - Qualcuno va a spasso sulla frontiera settentrionale, ma non è il Principe: lo riconoscerei.

Il Cerimoniere             - E tu?

Terzo Servo                - Scusate: nulla.

Il Cerimoniere             - E' poco. E tu?

Quarto Servo              - Niente.

Il Cerimoniere             - E' altrettanto poco.

Re Pietro                     - Ma, Presidente, non avevamo forse deli­berato che la Nostra Maestà dovesse rallegrarsi in questo giorno, e che oggi si dovevano festeggiare le nozze? Non era questa la nostra decisione più ferma?

Il Presidente               - Sì, Maestà, così è stato protocollato e registrato.

Re Pietro                     - E sarei compromesso se non portassi a compimento la mia decisione?

Il Presidente               - Se compromettersi fosse altrimenti possibile per la Maestà Vostra, questo sarebbe un caso in cui potreste compromettervi.

Re Pietro                     - Non ho dato la mia parola di Re? Sì, metterò in pratica la mia decisione, mi voglio rallegrare. (Si stropiccia le mani) Sono proprio contento!

Il Presidente               - Noi condividiamo i sentimenti di Vo­stra Maestà, per quanto è possibile e conveniente per dei sudditi.

Re Pietro                     - Non posso star nella pelle dalla gioia. Ordinerò giubbe azzurre per i miei camerieri, farò luogo­tenenti alcuni cadetti, permetterò ai miei sudditi... ma, e le nozze? L'altra metà del decreto non dice che si devono celebrare le nozze?

Il Presidente               - Sì, Maestà!

Re Pietro                     - Ma se il Principe non viene e neppure la Principessa?

Il Presidente               - (ripete) Ma «e il Principe non viene e neppure la Principessa, allora...

Re Pietro                     - Allora...

Il Presidente               - Allora non si potranno celebrare le nozze...

Re Pietro                     - Alto là, la conclusione è logica. Se... al­lora... è giusto! Ma la nostra sovrana parola; la mia pa­rola di Re?

Il Presidente               - Si consoli la Maestà Vostra... la vostra parola... la vostra parola...

Re Pietro                     - (ai servi) Non si vede ancora nessuno?

I Servi                         - Nessuno, nessuno, Maestà!

Re Pietro                     - Ed io che avevo deciso di essere così con­tento! Volevo cominciare alle dodici in punto e rallegrarmi per dodici ore filate... divento proprio malin­conico...

Il Presidente               - Tutti i sudditi sono invitati a condi­videre i sentimenti di Vostra Maestà.

Il Cerimoniere             - A coloro che non avessero il fazzo­letto è tuttavia proibito piangere per motivi di conve­nienza.

Primo Servo                - Alt! Vedo qualche cosa. E' come una protuberanza, un maso, il resto non ha ancora varcato il confine. E ipoi vedo un uomo, e poi ancora due persone di sesso diverso.

Il Cerimoniere             - In quale direzione vanno?

Primo Servo                - Si avvicinano... Vengono al castello. Eccoli! (Valerio, Leonzio, la governante e la principessa entrano mascherati).

Re Pietro                     - Chi siete?

Valerio                        - E lo so io? (Si toglie varie maschere suc­cessivamente) Sono questo, o questo, o quest'altro? Dav­vero temo die potrei sbucciarmi e sfogliarmi tutto a questo modo.

Re Pietro                     - (imbarazzalo) Ma... sarete pur qualcuno?

Valerio                        - Se la Maestà Vostra così ordina. Ma allora, signori miei, rivoltate gli specchi e velate un poco i vostri bottoni scintillanti, e non guardatemi così. Che io non possa specchiarmi nei vostri occhi, o non so proprio più chi sono.

Re Pietro                     - Quest'uomo mi confonde, mi fa dispe­rare. Sono nel più grande imbarazzo.

Valerio                        - Veramente io volevo annunciare a questo alto e onorato consesso, che sono giunti due automi di fama mondiale, ed io sarei il terzo, e forse il più straor­dinario dei aue, se sapessi bene chi sono. Ciò non vi dovrebbe meravigliare perchè io stesso non so proprio nulla di quanto dico; anzi non so neppure di non sa­perlo, sicché è molto probabile che mi si faccia parlare e che non siano altro che tube e cilindri a dire tutto questo. Guardate qui, signore e signori, due esemplari dei due sessi, un maschietto ed una femminuccia, un signore ed una signora. Null'altro che artificio e mecca­nismo, cartapesta e molle da orologeria! Ognuno dei due ha una molla idi rubino, quasi invisibile, eotto l'unghia del dito piccolo del piede destro: premendola un po­chino, la molla scatta e il meccanismo funziona per cinquant'anni interi. Questi pupi sono così ben costruiti che non si potrebbe distinguerli dagli esseri umani, se non si sapesse che sono tutta cartapesta. Se ne potrebbe fare veramente delle creature umane e immetterle nella società. Sono esseri morali, giacché si alzano al suono delle campane di mezzodì e si coricano al suono del vespro. Hanno buona digestione, e ciò iprova che la loro coscienza è netta; posseggono uno squisito senso morale e sono assai colti: la signora canta tutte le opere nuove e il signore porta i polsini. Badate bene, signori e signore, essi sono giunti era ad una fase interessante: il mecca­nismo dell'amore incomincia a manifestarsi: il signore ha già portato più d'una volta lo scialle della signora; la signora ha rivolto più d'una volta con languore, gli occhi al cielo. Entrambi hanno già sussurrato più volte: « fede, amore, speranze »! Sembrano tutti e due proprio affiatati. Non manca cho mia parolina : a amen » !

Re Pietro                     - (mettendosi un dito nel naso) In effigie, in effigie! Presidente, se si fa impiccare un tale in effigie, non è lo stesso che impiccarlo per davvero?

Il Presidente               - E' anzi molto meglio, Maestà, che non gliene viene alcun danno e tuttavia lo si impicca.

Re Pietro                     - Allora ci sono. Celebriamo le nozze « in effigie »! (Indicando Leonzio e Lena) Questa è la Princi­pessa e questo il Principe! Metterò in atto la mia deci­sione, potrò essere contento. Fate suonare le campane! Porgete i vostri auguri! Su, svelto, signor predicatore! (Il predicatore di corte, tossicchia e guarda il cielo).

Valerio                        - Incomincia! Smetti di far smorfie, comincia!

Il Predicatore              - (assai confuso) Se noi... o... ma...

Valerio                        - Conciòsiafossecosache...

Il Predicatore              - Poi...

Valerio                        - Prima della creazione del mondo c'era...

Il Predicatore              - Che...

Valerio                        - Dio si annoiava.

Re Pietro                     - E fate un po' più presto, mio caro!

Il Predicatore              - (si riprende) Se Vostra Altezza, Prin­cipe Leonzio del Regno di Popò, e Vostra Altezza, Prin­cipessa Lena del Regno di Pipì, consentite ed insieme convenite di amarvi a vicenda, dite un sì chiaro... Leonzio e Lena        - Sì.

Il Predicatore              - Allora io dico: Amen!

Valerio                        - Ben fatto, presto e bene! (Leonzio si toglie la maschera).

Tutti                            - Il Principe!

Re Pietro                     - Il Principe! Mio figlio! Sono perduto, ingannato! (Si accosta alla principessa) E chi è costei? Dichiaro non valido il matrimonio!

La Governante            - (toglie trionfante la maschera alla principessa) La Principessa!

Leonzio                       - Lena?

Lena                            - Leonzio?

Leonzio                       - Lena, credo che sia la fuga in paradiso!

Lena                            - Mi hanno ingannata!

Leonzio                       - Mi hanno ingannato!

Lena                            - O caro!

Leonzio                       - O Provvidenza!

Valerio                        - Bisogna proprio che rida! Le Altezze Vostre si sono incontrate veramente per caso. Spero che per compiacere il caso, troveranno ora un reciproco piacere.

La Governante            - Finalmente i miei occhi affaticati hanno potuto vedere tutto questo! Un figlio di re erra­bondo! Ora muoio tranquilla.

Re Pietro                     - Figli miei, sono commosso: non so come fare tanto sono turbato. Sono l'uomo più felice! E con questo passo solennemente il governo nelle tue mani, figlio mio, e comincerò subito a pensare indisturbato. Figlio mio, lasciami questi saggi (indica il Consiglio di Stato) perchè mi sostengano nei miei sforzi. Venite, si­gnori, dobbiamo pensare indisturbati! (Escono).

Leonzio                       - (ai presenti) Signori, la mia sposa ed io siamo assai dolenti che abbiate dovuto rimanere oggi così a lungo in servizio. La vostra posizione è così triste che non vogliamo cimentare di più la vostra capacità di equilibrio. Andate a casa ma non dimenticate i discorsi, le prediche, o poesie che siano, perchè domani incomin­ciamo di nuovo, comodi e quieti, tutto il divertimento. Arrivederci! (Tutti escono meno Valerio, la governante, Lena e Leonzio) Vedi, (Lena, come abbiamo le tasche rigonfie di bambole e balocchi? Che cosa ne faremo? Met­teremo loro i baffi e le spade al fianco? 0 li rivestiremo con la marsina e faremo far loro politica o diplomazia o li osserveremo al microscopio? O vuoi un organino sul quale saltellino topolini bianchi? (Lena si appoggia a lui e scuole il capo) Ma io so quello che vuoi: facciamo ab­battere tutti gli orologi, proibire tutti i calendari, con­tiamo ore e lune secondo l'orologio dei fiori, solo secondo i fiori ed i frutti. Circondiamo la nostra piccola terra di specchi vistosi che non ci sia più inverno, e noi ci spin­giamo nell'estate sino a Ischia e a Capri, e stiamo tutto l'anno fra rose e viole, aranci e alloro.

Valerio                        - Ed io divento ministro di Stato ed emano un decreto: Chi si fa venire le vesciche alle mani, sarà messo alla gogna; chi lavora tanto da ammalare, sarà passibile di pena come un criminale; colui che si vanta di mangiare il pane col sudore della sua fronte, sarà dichiarato pazzo e pericoloso per la società. Poi ci sdra­iamo all'ombra e preghiamo Dio che ci dia cibi prelibati, ugole musicali, corpi classici e una religione nascente!

FINE