"L'ESTRANEO"
(monologo di Andrea Jeva)
(liberamente tratto da "L'etranger" di A. Camus)
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(La luce di sala sfumerà fino al buio mentre si percepisce appena
lontanamente una musica. Al buio della sala s'illuminerà il
palcoscenico con un unico riflettore in modo da simulare la luce
proveniente da una piccola finestrella. La musica continuerà. Vediamo
uno spazio delimitato nel suo perimetro da alcuni mattoni: è una cella
di un carcere. Ci sarà una coperta e alcuni elementi di attrezzeria come:
una gavetta d'alluminio, delle posate ecc. Non ci sarà né un tavolo né
un letto. L'estraneo cammina meccanicamente ma con grande calma.
Effettua traiettorie meticolosissime per sfruttare al massimo lo spazio
angusto. Borbotta fra sé e sé. Il borbottio si farà via via più chiaro fino
a rendersi nitido; fino a farsi distinguere nelle parole)
L'ESTRANEO - (Continuando a camminare) No, ci sono cose di cui
non mi piace parlare. Ci sono cose che non mi piacciono di me.
(Pausa) E' da quando sono entrato qua dentro... No! Ho capito solo
dopo un po' che non mi sarebbe piaciuto parlare di questa parte della
mia vita: solo dopo qualche giorno. Dopo la prima... e Unica, visita di
Maria. Sì tutto è cominciato da lì. Quel giorno ho ricevuto la sua lettera
(Prende la lettera. Camminando legge) "...Non mi lasciano più venire
da te, perché dicono che non sono tua moglie...". Ecco. Da quel
momento ho sentito che la mia casa è questa cella (Si ferma.
Guardandosi intorno) Che la mia vita si è fermata qui, (Indicando la
lettera) su questa frase di Maria. (Pausa. Come per non pensarci
riprende a camminare come prima. Dopo un po':) La mattina
dell'arresto sono stato chiuso in una stanza con altri detenuti, quasi
tutti arabi. Hanno riso vedendomi. Poi mi hanno chiesto cosa avevo
fatto. Ho detto che avevo ucciso un arabo e sono rimasti in silenzio.
Ma poco dopo è caduta la sera. (La luce sfuma. Lui si ferma e la
guarda sfumare) E subito dopo è venuta la notte. (La luce va al buio
mentre lo spazio s'illumina di blu. Lui osserva il cambio di luce con
calma) Tante notti! (Si rivolge verso la provenienza della luce blu)
Maria! (Imitando la voce di Maria come una eco) "Sai? Raimondo ti
manda i suoi saluti...". Grazie... E... "...Bisogna sperare!". Sì... E la
guardavo. E avevo voglia di stringerle la spalla sopra il vestito. Avevo
voglia di quella stoffa fine e non sapevo cos'altro se non quella stoffa,
bisognasse sperare. (La luce si rifa' piena. Rivolto al pubblico) Pochi
giorni dopo ho ricevuto la lettera. (Si accuccia vicino al delimitare del
muro, prende una mattone e con il cucchiaio lo incide con molta
precisione) E' da quel momento che sono cominciate le cose di cui non
mi è mai piaciuto parlare. (Breve pausa) Ma non bisogna mai esagerare
in niente. Per me è molto più facile che per altri. (Guarda il pubblico)
Al principio comunque non è stato facile (Riprendere ad incidere il
mattone). Quello che non andava è che avevo dei pensieri da uomo
libero. Per esempio mi veniva voglia di essere sulla spiaggia e scendere
verso il mare. Ma questo è durato soltanto qualche mese. Dopo non ho
avuto che pensieri da detenuto: aspettare la passeggiata quotidiana;
aspettare la visita dell'avvocato. Ho pensato tante volte, allora, che se
avessi dovuto vivere dentro un tronco d'albero morto, senz'altro da fare
che guardare il fiore del cielo sopra la mia testa, a poco a poco mi sarei
abituato. Avrei aspettato passaggi di uccelli o incontri di nuvole come,
qui, aspetto le strane cravatte dell'avvocato e come, in un altro mondo,
aspettavo pazientemente il sabato per avere il corpo di Maria. (Breve
pausa) In realtà, a pensarci bene, io non sono dentro un albero morto.
Ci sono persone più infelici di me. Anche la mamma lo diceva, lei lo
ripeteva sempre che si finisce per abituarsi a tutto. Solo che all'inizio
c'era qualche altra difficoltà: essendo giovane desidero una donna, è
naturale. Non Maria in particolare. Le donne, tutte quelle che ho
conosciuto. Penso alle circostanze in cui le ho amate. (Indicando di
sfuggita il muro ipotetico dietro di lui. Continuando a incidere il
mattone) Questo muro l'ho riempito di tutti i loro visi. Da un certo
punto di vista e per un dato periodo mi ha squilibrato. Ma da un altro
mi ha fatto ammazzare il tempo. E più il tempo è passato e più ho
trovato cose da fare. Per esempio, ho imparato anche ad aspettare l'ora
dei pasti. E così che mi sono guadagnato la simpatia del guardiano che
mi porta da mangiare. E' lui che mi ha parlato delle donne per primo.
Mi ha detto che è la prima cosa di cui si lamentano tutti. Gli ho detto
che anch'io ero come tutti e che trovavo quel trattamento ingiusto. Ma
lui mi ha detto che è appunto per questo che ci mettono in prigione,
perché la libertà è questa: ci privano della libertà. Non ci avevo mai
pensato prima e gli ho dato subito ragione perché altrimenti dove
sarebbe la punizione? Mi ha detto che io sì che capivo le cose. Gli altri
no e che poi comunque, si finisce col darsi sollievo da sé. Poi il
guardiano è uscito e il giorno dopo ho fatto anch'io come gli altri.
(Pausa) Adesso quello che incido sul muro non serve più a farmi
ammazzare il tempo (Ultima l'incisione), ma a ricordare. (Scruta
l'incisione) E' così che ho cominciato a non annoiarmi più, da quando
ho imparato a ricordare. Disegno il mio letto, il mio cuscino e anche il
pianerottolo dove ho abitato. (Risistema il mattone in modo da
delimitare l'ipotetico muro. Si alza e si rimette a camminare con il suo
solito modo) Certe volte mi metto a pensare ala mia camera e, con
l'immaginazione, parto da un angolo (Esegue). Chiudo gli occhi ed
elenco tutto quello che trovo sulla mia strada. (Cammina ad occhi
chiusi) Il tappetino... Il letto. (Tocca l'aria con le mani) L'abat-jour... (Al
pubblico) All'inizio era una cosa che finiva subito. Ma ogni volta che
ricominciavo durava un po' di più. Perché mi ricordavo di ogni mobile
e, per ognuno di loro di ogni oggetto e, per ogni oggetto, tutti i
particolari, e anche per i particolari... ne elenco il colore, la forma.
Infatti adesso posso pensare ore intere senza far altro che ricordare
quello che trovo nella mia stanza. E più rifletto e più tiro fuori dalla
memoria cose sconosciute e dimenticate. (Riprende a camminare)
Così ho capito che un uomo che ha vissuto un solo giorno può senza
difficoltà vivere cento anni in prigione. Da un certo punto di vista,
questo è un vantaggio. Come lo è il sonno. Perché fra le ore di sonno, i
ricordi, i bisogni naturali, il mangiare e il cambiarsi della luce e
dell'ombra, il tempo passa. Avevo letto, sì, che in prigione si finisce col
perdere la nozione del tempo. Ma questo non aveva molto senso per
me. Prima non sapevo che i giorni possono essere lunghi e corti allo
stesso tempo. Lunghi a vivere, sì, ma talmente distesi che finiscono per
accavallarsi uno sull'altro. E non solo i giorni, ma anche gli episodi
della tua vita: come niente si sdraiano uno sull'altro. Quando un giorno
il guardiano mi ha detto che ero qui da cinque mesi, gli ho creduto, ma
non l'ho capito. Per me è sempre lo stesso giorno che passo qui, e io
percorro sempre la stessa via. Poi quel giorno il guardiano è uscito, e
mi sono guardato nella gavetta di ferro. (La prende e si guarda) Mi è
sembrato che la mia immagine rimanesse seria anche quando cercavo
di sorridere. Me la sono agitata davanti. (Esegue) Ho sorriso e lei ha
conservato la stessa aria triste. E quando quello stesso giorno... O il
giorno dopo... E' finito, ed è venuta l'ora di cui non voglio parlare
(Pausa) ...Sì, l'ora senza nome, quando tutti i rumori della sera salgono
dai piani della prigione in un corteo pieno di silenzio. (Breve pausa) Mi
sono avvicinato al lucernario (Esegue avvicinandosi alla fonte della
luce), e nell'ultima luce naturale, ho guardato la mia immagine nella
gavetta ancora una volta. (Esegue) Era sempre seria e, in fondo, non
c'era niente di strano perché in quel momento ero serio anch'io. Ma
nello stesso tempo e per la prima volta ho sentito distintamente il
suono della mia voce. L'ho riconosciuta: era quella che mi risuonava
nelle orecchie da molte lunghe giornate e ho capito che durante tutto
quel tempo ho parlato da solo. Da allora mi viene sempre in mente
quello che ha detto l'infermiera ai funerali della mamma sotto il sole:
"Se si cammina lentamente, si rischia di prendere un'insolazione. Ma
se si va troppo in fretta si suda, e in chiesa ci si busca un raffreddore".
No, non c'è una via d'uscita, e nessuno può immaginare quello che
sono le sere nelle prigioni.
(Buio. Contemporaneamente la musica, che intanto è rimasta udibile in
lontananza, sale leggermente in primo piano. Dopo poco sfuma
velocemente fino al silenzio: Luce. Vediamo lo stesso spazio.
L'estraneo è accovacciato a terra con in mano un telegramma. Indossa
una giacca scura. Accanto a lui c'è un contenitore con i bordi lisci e
trasparenti che lasciano intravedere il movimento di una nidiata di
scarafaggi. Poco lontano la coperta è distesa in tutta la sua lunghezza e
larghezza)
L'ESTRANEO - Oggi la mamma è morta. O forse ieri, non so. Ho
ricevuto un telegramma dall'ospizio: (Legge) "Madre deceduta.
Funerali domani. Distinti saluti.". Ma questo non dice niente: è stato
ieri o oggi? Forse ieri. (Si alza e chiude gli occhi) Ho chiesto due giorni
di libertà al principale e con una scusa del genere non poteva dirmi di
no. (Accenna l'azione) Ho preso l'autobus delle due: faceva molto
caldo. Ero intontito perché ero anche dovuto andare su da Emanuele a
farmi prestare una cravatta nera e una benda per il braccio. (Sfila
entrambe le cose dalla tasca della giacca e le indossa) Lui ha perso suo
zio qualche mese fa. (Breve pausa) Quando era a casa la mamma
passava il suo tempo a seguirmi con lo sguardo in silenzio. Invece i
primi giorni, all'ospizio, piangeva quasi sempre. Ma era per via
dell'abitudine. (Apre gli occhi) E' un po' per questo che l'ultimo anno
non ci sono andato quasi più. Anche perché così perdevo tutta la
domenica, a parte la fatica di prendere l'autobus, comprare i biglietti, e
fare due ore di viaggio.
(Cattura uno scarafaggio e lo mette insieme agli altri. Poi li guarda
muoversi nella scatoletta)
Una delle ultime volte che sono stata a trovarla, la mamma mi ha
confidato che le sarebbe piaciuto indovinare come sarebbe morta.
(Con il cucchiaio stuzzica gli scarafaggi) Ha cominciato ad elencare
qualche modo in cui avrebbe potuto morire e alla fine ha detto che
forse, fra tutte le morti, le sarebbe piaciuto annegare nel mare. Ho
creduto che mi rimproverasse qualcosa e ho cominciato a spiegarle.
Ma lei mi ha interrotto: "Non hai niente da giustificare" mi ha detto "Tu
non sei in grado di pensare a me. Io ho bisogno di un'infermiera. Il tuo
stipendio non è un gran ché. E, in fondo, adesso sono più felice qui".
Le ho detto: "Sì, mamma". E l'ho ringraziata. (Distoglie lo sguardo
dagli scarafaggi) Mentre pensavo a questo episodio mi sono accorto
(Come se la vedesse accanto alla coperta distesa che funge da bara)
che accanto alla bara c'era un'infermiera araba in camice bianco, con in
testa un fazzoletto dai colori vivaci. (Si alza. Chiude gli occhi) In quel
momento, alle mie spalle, è entrato il portinaio. Doveva aver fatto una
corsa. Mi ha detto balbettando un po' che l'avevano coperta, ma che lui
era venuto per svitare la cassa così che io potessi vederla. (Accenna il
movimento) L'ho fermato prendendogli il braccio. Mi ha detto: "Non
volete?". Ho risposto: "No". Si è interrotto e io ero imbarazzato perché
sentivo che non avrei dovuto dirlo. (Apre gli occhi) Dopo un momento
mi ha guardato e mi ha chiesto: "Perché?". Ma senz'accento di
rimprovero, come se volesse informarsi. Gli ho detto: "Non so". Allora
attorcigliandosi i baffi bianchi, ha detto senza guardarmi: "Capisco".
(Breve pausa) Poi, siccome io ero stanco, il portinaio mi ha
accompagnato nella sua stanza e ho potuto fare un po' di toilette. Mi
ha offerto anche del caffelatte. Io gli ho offerto una sigaretta. Lui mi ha
sorriso. Mentre fumavamo mi ha parlato di un vecchio amico della
mamma: Tommaso Perez. Mi ha detto che lui e la mamma stavano
sempre insieme e che all'ospizio li prendevano in giro. Domandavano a
Perez: "E' la tua fidanzata?". E lui si metteva a ridere. (Facendo la voce
del portinaio) "Senza dubbio la morte della signora Meursault è stato
un colpo duro per lui". Me l'ha detto tirando una boccata profonda
dalla sigaretta. Poi ha voluto sapere che età aveva la mamma. Ho detto:
"Una sessantina d'anni" per non sbagliarmi e lui, non so perché, ha
avuto l'aria di provare un certo sollievo e ha tirato fuori il fumo della
sigaretta. Allora io ho ancora preso del caffelatte che era molto buono.
(Pausa). Al funerale c'era anche Perez. Quando ci siamo messi in
marcia il cielo era pieno di sole. Avevo caldo sotto i miei vestiti scuri
(Si allenta la cravatta). Per arrivare in paese bisognava camminare per
circa tre quarti d'ora. Poi c'è stata ancora la chiesa e i paesani sui
marciapiedi, i gerani rossi sulle altre tombe, lo svenimento di Perez, la
terra color sangue che rotolava sulla bara della mamma, ancora gente,
voci, il paese, l'attesa davanti a un caffè, il rombo del motore, e la mia
gioia quando l'autobus è entrato nel nido di luci di Algeri e ho pensato
che sarei andato a letto e avrei dormito dodici ore.
(Cattura un altro scarafaggio e lo mette insieme agli altri).
Svegliandomi ho capito perché il principale aveva l'aria scontenta
quando gli ho chiesto i due giorni di libertà: oggi è sabato. L'avevo per
così dire dimenticato, ma prima, (Accennando l'azione) alzandomi dal
letto mi è venuto in mente. Il mio principale, si capisce, ha pensato che
così avrei avuto quattro giorni di vacanza con la domenica, e questo
non poteva fargli piacere. (Come se parlasse al principale) "Non è
colpa mia ingegnere se hanno sotterrato la mamma ieri invece di oggi,
e comunque avrei avuto in ogni caso vacanza il sabato e la domenica!".
Poi ho deciso di andare a nuotare mentre mi facevo la barba.
(Accennerà le azioni) Sono andato col tram allo stabilimento "Bagni di
porto". Mi sono tuffato; sul molo ho visto una folla di ragazzetti. In
acqua ho riconosciuto Maria Cardona. Una ex dattilografa del mio
ufficio che mi aveva fatto voglia a suo tempo; anch'io a lei credo. L'ho
aiutata a salire su una boa, e in quel movimento (Accenna come se
Maria fosse presente) le ho sfiorato i seni. (Sorride) Sono salito di
fianco a lei sulla boa (Si sdraia). Si stava bene e come per scherzare ho
abbandonato la testa all'indietro e l'ho appoggiata sul suo ombelico.
Lei non ha detto niente e sono rimasto così. Avevo negli occhi tutto il
cielo, era blu e oro. Sotto la nuca sentivo il corpo di Maria battere
dolcemente. (Breve pausa. Si alza di scatto) Sul molo, mentre ci
asciugavamo (Accenna l'azione) mi ha detto: "Sono più nera io di lei".
Le ho domandato: "Vuoi venire al cinema stasera?". Ha riso e mi ha
detto che aveva voglia di vedere un film con Fernandel. Poi, una volta
vestiti, si è sorpresa di vedermi con una cravatta nera e mi ha chiesto se
ero in lutto. Le ho detto che la mamma era morta. Siccome voleva
sapere quando, le ho risposto: "Ieri". Lei si è come allontanata un po'
ma non ha detto niente. Io stavo per dirle che non era colpa mia, ma
mi sono trattenuto perché ho pensato che l'avevo già detto al mio
principale. E poi non significava niente. In un modo o nell'altro si è
sempre un po' in colpa. (Breve pausa). La sera al cinema Maria aveva
dimenticato tutto. Il film era divertente per un po', poi diventava
davvero troppo stupido. (Si entusiasma) Lei aveva le gambe contro le
mie. Io le accarezzavo i seni. Quando il film stava per finire, l'ho
baciata, (Porta di scatto l'avambraccio alla bocca simulando il bacio a
Maria), ma male. Dopo il cinema, è venuta da me.
(Cattura un altro scarafaggio e lo mette insieme agli altri. Si sdraia.
Dopo poco).
Quando mi sono svegliato, Maria era già uscita. Doveva andare da una
sua zia. Mi è venuto in mente che era domenica e questo mi ha dato
fastidio: la domenica non mi piace. Allora mi sono rivoltato nel letto
(Accenna), ho cercato nel cuscino il profumo di sale che avevano
lasciato i capelli di Maria. Po ho fumato molte sigarette. (Si alza) Non
volevo andare a mangiare da Celeste come al solito, perché mi avrebbe
certo fatto delle domande ed è una cosa che non mi piace. Mi sono
fatto delle uova al burro e le ho mangiate dentro la padella. Dopo mi
sono annoiato un po'; e ho vagato da una camera all'altra (Cammina).
Era un appartamento comodo, quando c'era la mamma. Adesso è
troppo grande per me e ho dovuto trasportare qui (Indica) in camera
mia la tavola della sala da pranzo. Poi sono rimasto a lungo a guardare
il cielo dalla finestra (Guarda in direzione dell'illuminazione). Alle
cinque sono arrivati dei tram, rumorosi. Riportavano dallo stadio della
periferia gli spettatori della partita. Urlavano e cantavano, uno mi ha
perfino urlato "Li abbiamo fregati!". Io ho fatto segno di sì con la testa.
A partire da quel momento le automobili hanno cominciato ad affluire.
Ho pensato che stava passando un'altra domenica, che la mamma era
seppellita, che l'indomani avrei ripreso il lavoro e che tutto sommato
non era cambiato niente. Mi sono rimesso a letto a fumare e ho
provato come la mamma ad indovinare come sarei morto. (Breve
pausa) Dopo un po' ho sentito il vecchio Salamano, il mio vicino di
pianerottolo, insultare il suo cane. Diceva: "Maledetto" e "Carogna".
(Al pubblico) Sono otto anni che li vedo insieme. (Stuzzica con il
cucchiaio gli scarafaggi) Il cane ha una malattia della pelle, la rogna
credo, che gli fa perdere quasi tutto il pelo e lo copre di placche e di
croste scure. A forza di vivere con lui, tutt'e due insieme in una
stanzetta, il vecchio Salamano ha finito per somigliargli. Ha delle croste
rossastre sul viso e pelo giallo e rado. Il cane, da parte sua, ha preso dal
padrone il modo di camminare tutto curvo, col muso in avanti e il collo
teso. Sembrano della stessa razza ma si odiano. Due volte al giorno,
alle undici e alle sei, il vecchio porta il suo cane a passeggio. Da otto
anni non cambiano mai strada. Si può vederli lungo la rue di Lyon, il
cane che tira l'uomo fino a che Salamano inciampa. Allora il vecchio
bastona il cane e lo insulta. Il cane si accovaccia per il terrore e si
impunta. A questo punto tocca al vecchio tirarlo. Quando il cane non
se ne ricorda più, ricomincia a tirare il padrone e di nuovo viene
picchiato e insultato. Allora restano tutt'e due fermi sul marciapiede e
rimangono a guardarsi: il cane pieno di terrore, l'uomo di odio. Fanno
così tutti i giorni. Mentre pensavo che dovevano essere appena tornati
dalla passeggiata delle sei, mi hanno suonato alla porta. (Si alza) Mi
sono alzato dal letto e ho aperto (Accenna l'azione). Era l'altro mio
vicino di pianerottolo, Raimondo. Nel palazzo dicono di lui che è uno
sfruttatore di donne. Lui quando gli si domanda cosa fa, dice che è
magazziniere. Anche lui aveva sentito Salamano insultare il suo cane e
mi ha chiesto se non mi faceva schifo e gli ho risposto di no. Mi ha
detto che aveva dei sanguinacci e del vino e mi ha chiesto se non
volevo andare da lui a mangiare un boccone. Ho notato dalla finestra
che i lampioni erano già illuminati e ho pensato che avrei evitato di
preparare la cena, così ho accettato. Mentre mangiavamo mi sono
accorto che Raimondo aveva una benda alla mano destra. Gli ho
chiesto che cosa avesse. Mi ha raccontato che aveva fatto a pugni con
uno che andava in cerca di guai. A poco a poco mi ha raccontato che
era il fratello della sua ragazza e che per l'appunto voleva chiedermi un
consiglio a proposito di quella faccenda, che io ero un uomo che
conosceva la vita, che potevo aiutarlo e che poi lui sarebbe stato un
amico. Io non ho detto niente e lui mi ha chiesto se volevo essere
amico suo. Gli ho detto che per me era lo stesso e lui ha avuto l'aria
contenta. Mentre finivamo il sanguinaccio mi ha versato dell'altro vino
e mi ha detto che lui manteneva la sua ragazza. Io non ho risposto
niente, ma lui ha aggiunto subito che sapeva quel che dicevano di lui
nel palazzo, ma che gli bastava la sua coscienza e che lui faceva il
magazziniere. Pagava lui l'affitto della camera della sua ragazza e le
dava venti franchi al giorno per mangiare. Diceva che trecento franchi
di camera e seicento di mangiare, un paio di calze ogni tanto, son
subito mille franchi. E lei, la "Madame" non lavorava. Mi ha anche
raccontato che le aveva trovato nella borsetta un biglietto della lotteria
e lei non aveva saputo spiegare come l'aveva comprato. Un po' più
tardi aveva anche trovato un "documento" del monte di pietà che
provava che lei aveva impegnato due braccialetti di cui lui non sapeva
niente. Era chiaro che c'era del marcio e l'aveva piantata. Ma prima
gliele aveva date e poi le aveva detto il fatto suo. L'aveva picchiata a
sangue. Prima sì, gliele dava, ma per così dire, dolcemente. Lei gridava
un po'. Lui chiudeva le imposte e tutto andava a finire come al solito.
Ma adesso, diceva, era una cosa seria e per conto suo non l'aveva
punita abbastanza. Quello che lo seccava era che aveva ancora una
certa nostalgia per il suo coito. Ma la voleva punire. Alcuni amici gli
avevano proposto di "Marcarla" ma non era questo che lui voleva e
anzi voleva sapere cosa ne pensavo. Gli ho risposto che non pensavo
niente, ma che era interessante. Mi ha chiesto se credevo anch'io che ci
fosse del marcio; se secondo me si doveva punirla e che cosa avrei
fatto al suo posto. Io gli ho detto che non si può mai dire, ma che
capivo bene che lui volesse punirla. Ho bevuto ancora un po' di vino.
Lui ha acceso una sigaretta e mi ha detto qual era la sua idea. Voleva
scriverle una lettera in cui ci fossero delle cose dure e allo stesso tempo
delle cose per farle venire rimorso. Poi quando la ragazza fosse venuta,
sarebbe andato a letto con lei e "Proprio al momento di finire" le
avrebbe sputato in faccia e l'avrebbe buttata fuori. Ho trovato che,
effettivamente, a questo modo sarebbe stata punita. Lui mi ha chiesto
se non avevo voglia di buttarla giù io la lettera perché lui non si sentiva
capace. Siccome io non dicevo niente, lui ha messo da parte i piatti e
ha tirato fuori dal comodino un foglio di carta a quadretti e una busta
gialla. Quando mi ha detto il nome della donna, ho visto che era
un'araba. Ho scritto la lettera così come mi veniva ma ho cercato di
accontentare Raimondo. Alla fine l'ho riletta e Raimondo mi ha
dichiarato: "Adesso, tu sei un vero amico" e mi è sembrato che ci
tenesse davvero. Poi siamo rimasti un momento a fumare senza dire
niente. Fuori tutto era calmo e abbiamo sentito il fruscio di un
macchina che passava. Ho detto: "E' tardi". Anche Raimondo lo
pensava. Dovevo avere l'aria stanca perché Raimondo mi ha detto che
non bisogna lasciarsi andare. Lì per lì non ho capito cosa volesse dire.
Poi lui mi ha spiegato che aveva saputo della morte della mamma, ma
che era una cosa che doveva succedere prima o poi. Quello era anche
la mia opinione. Mi sono alzato, Raimondo mi ha stretto la mano
molto forte e mi ha detto che fra uomini ci si capisce sempre. Uscendo
ho richiuso la porta e sono rimasto un momento sul pianerottolo al
buio.
(Nel frattempo la luce della finestrella della cella si è affievolita fino al
buio. Si accende la luce blu della notte)
La casa era calma e dal profondo della tromba delle scale veniva un
soffio umido e oscuro. Non sentivo che i colpi del mio sangue che mi
ronzava alle orecchie e sono rimasto immobile. (Esegue). Ma nella
stanza del vecchio Salamano il cane ha dato un lamento sordo.
(Si sente il lamento sordo del cane)
Ecco, nel cuore di questa cella quando è piena di notte, sempre il
gemito di quel buio sale lentamente, come un fiore nato dal silenzio.
(Gemito. Buio. Dopo poco: Luce. Vediamo lo stesso spazio.
L'estraneo cammina nel modo di sempre)
L'ESTRANEO - Stamattina ho capito che potrei morire di vecchiaia,
molto semplicemente. Anche Salamano lo diceva. Secondo lui la vera
malattia è la vecchiaia, e dalla vecchiaia non si guarisce. Però non è una
morte che lascia ricordi e in fondo, non mi sembra che sia adatta a me.
Invece quella del cecoslovacco mi sembra più congeniale. (Prende un
pezzo di giornale ingiallito) Ho trovato questo pezzo di giornale quasi
incollato al pavimento di quest'angolo della cella (Mostra). Riporta un
fatto di cronaca di cui manca il principio ma che deve essere avvenuto
in Cecoslovacchia. Un uomo è partito da un paesino Ceco per fare
fortuna. Dopo venticinque anni, diventato ricco, è ritornato con la
moglie e un bambino. Sua madre e sua sorella avevano un albergo nel
suo paesino natale. Per far loro una sorpresa, lui aveva lasciato in un
altro albergo la moglie e il bambino, poi era andato da sua madre che
non l'aveva riconosciuto. Per scherzo aveva preso una camera e aveva
mostrato i soldi. La notte sua madre e sua sorella l'avevano assassinato
a colpi di martello per derubarlo e avevano buttato il suo corpo nel
fiume. Il mattino era venuta la moglie e senza saperlo aveva rivelato
l'identità del viaggiatore. La madre si è impiccata, la sorella si è buttata
nel pozzo. (Pausa). Devo averla riletta un migliaio di volte questa
storia. Da una parte mi sembra inverosimile, dall'altra naturale. In ogni
modo, trovo che il viaggiatore se l'è un po' meritato. (Breve pausa) Per
questo trovo che sia una morte a me congeniale.
(Buio. Luce. L'estraneo è in piedi e avrà per tutto il quadro, gli occhi
chiusi)
L'ESTRANEO - Questa mattina Maria è venuta a prendermi per
accompagnarmi in ufficio e mi ha domandato se volevo sposarla. Le
ho detto che la cosa mi era indifferente e che avremmo potuto farlo se
lei lo voleva. Allora ha voluto sapere se l'amavo. Le ho risposto, come
già avevo fatto un'altra volta, che non voleva dir niente, ma che ero
sicuro di non amarla. "Perché sposarmi allora?". Le ho spiegato che se
lei ci teneva potevamo sposarci. Allora lei ha detto che il matrimonio è
una cosa seria. Io ho risposto: "No". E' rimasta zitta un momento e mi
ha guardato in silenzio. Poi ha parlato: voleva soltanto sapere se avrei
accettato la stessa proposta se mi fosse venuta da un'altra donna cui
fossi legato nello stesso modo. Io ho detto: "Naturalmente". Allora si è
domandata se lei mi amava, e io, (Sorridendo) su questo punto, non
potevo saperne niente. Dopo un altro silenzio, ha sussurrato che ero
molto strambo, che certo lei mi amava a causa di questo, ma che forse
un giorno le avrei fatto schifo per la stessa ragione. Siccome io stavo
zitto, non avendo niente da dirle, mi ha preso per il braccio sorridendo
e ha detto che voleva sposarmi. Io ho risposto che l'avremmo fatto
appena lei avesse voluto... (Apre gli occhi) Sì, appena lei avesse voluto.
(Buio. Luce. L'estraneo è seduto per terra)
L'ESTRANEO - Oggi in ufficio mi ha telefonato Raimondo per
invitarmi a passare la giornata di domenica da un suo amico, in una
capanna al mare, vicino ad Algeri. Ho detto che dovevo vedere
un'amica. Lui allora ha invitato anche Maria e ha subito aggiunto che
tutto il giorno era stato seguito da un gruppo di arabi fra cui si trovava
il fratello della sua ex-ragazza: "Se lo vedi vicino a casa stasera quando
torni dall'ufficio, avvertimi!". Gli ho detto che l'avrei fatto senz'altro.
(Buio. Luce)
L'ESTRANEO - Perfino da un banco di imputato è sempre
interessante sentir parlare di sé. Stamattina il giudice ha cominciato col
dirmi che mi descrivono come uomo di carattere taciturno e chiuso e
ha voluto sapere cosa ne pensavo. Ho risposto: "E' che non ho mai
molto da dire. Allora sto zitto". Lui ha sorriso e ha convenuto che era
la migliore delle ragioni e che comunque la cosa non aveva
importanza. Quello che lo interessava ero io. Non ho ben capito cosa
intendesse dire e non ho risposto niente. "Ci sono delle cose" ha
aggiunto "Che mi sfuggono nel suo gesto. Sono sicuro che lei ci
aiuterà a comprenderle". Gli ho detto che tutto era molto semplice, lui
ha voluto che gli descrivessi quella giornata. Gli ho detto
riassumendolo, tutto quello che avevo già detto al mio avvocato:
Raimondo, il suo amico, la spiaggia, il bagno, la rissa, di nuovo la
spiaggia, la fontana, la roccia, il sole e i quattro colpi di pistola. A ogni
frase diceva: "Bene, bene". Dopo qualche secondo mi ha domandato a
bruciapelo: "Perché ha aspettato tra il primo e il secondo colpo?".
Ancora una volta ho rivisto la spiaggia rossa e ho sentito sulla mia
fronte il bruciore del sole. Ma questa volta non ho risposto niente. Lui
si è piegato un po' verso di me e con un'aria strana mi ha domandato:
"Perché, perché ha tirato su un corpo steso a terra?". Ancora una volta
non ho potuto rispondere. Il giudice si è passato la mano sulla fronte
così: (Mostra) e ha ripetuto la domanda con una voce un po' alterata:
"Perché? Bisogna che lei ce lo dica. Perché?". Io ho continuato a stare
zitto. E' allora che mi ha interrogato anche il Pubblico Ministero.
Subito mi ha chiesto se credevo in Dio. Io ho risposto di no. Lui si è
indignato. Avrei voluto dirgli che io in fondo ero come tutti gli altri,
assolutamente come tutti gli altri. Ma ho pensato che non aveva una
grande utilità e per pigrizia ho rinunciato. Allora il Pubblico Ministero
si è messo a parlare con i giurati. Il fondo del suo pensiero, se ho ben
capito è che avevo premeditato il delitto o per lo meno ha cercato di
dimostrarlo. Diceva: "Ve ne fornirò la prova, signori giurati, e ve la
fornirò doppiamente. In primo luogo alla chiarezza accecante dei fatti,
e poi nella luce tenebrosa che mi fornirà la psicologia di quest'animale
criminale". Ha detto: "Animale criminale" e con un così grande
entusiasmo verso i signori giurati, che per la prima volta dopo molti
anni ho avuto una stupida voglia di piangere perché ho sentito quanto
ero detestato da tutta quella gente. Poi il Pubblico Ministero ha
riassunto i fatti a partire dalla morte della mamma. Ha ricordato la mia
insensibilità al funerale, il fatto che ignoravo l'età della mamma, il mio
fumare allegramente con il portinaio dell'ospizio bevendo caffelatte, il
mio bagno con una ragazza, il cinema, Fernandel, e infine il ritorno con
Maria. A questo punto ho capito solo un po' in ritardo quello che
voleva dire, perché diceva "La sua amante" e per me lei era Maria.
(Buio. Luce)
L'ESTRANEO - Stamattina all'udienza è stato fatto entrare Perez,
l'amico della mamma. Gli è stato chiesto cosa avevo fatto io il giorno
del funerale. Perez ha risposto che era troppo un dispiacere per lui e
che non aveva visto niente, che si era perfino svenuto e che non mi
aveva potuto vedere. Il Pubblico Ministero allora gli ha chiesto se
almeno mi aveva visto piangere. Perez ha risposto di no. Il Pubblico
Ministero ha detto a sua volta: "I signori giurati apprezzeranno!". Ma il
mio avvocato si è arrabbiato e ha chiesto a Perez "Se aveva visto che io
non piangevo". Perez ha detto: "No". Il pubblico ha riso. Poi il mio
avvocato si è tirato su una delle maniche e in tono perentorio ha detto:
"Ecco l'immagine di questo processo. Qui tutto è vero e niente è vero".
Il Pubblico Ministero aveva la faccia dura e punzecchiava gli
incartamenti con la punta della matita. Poi tutto è andato molto
velocemente. L'udienza è stata tolta.
(Sale molto lontanamente una musica)
Uscendo dal palazzo di giustizia per salire nella vettura, ho
riconosciuto per un breve istante il profumo e il colore delle sere
d'estate. Nell'oscurità della mia prigione viaggiante ho ritrovato a uno a
uno come dal fondo della mia stanchezza, tutti i rumori familiari di una
città che amo e di una certa ora in cui mi capitava di essere contento. Il
grido dei giornalai nell'aria calma, gli ultimi uccelli nelle piazze, il
lamento dei tram nelle svolte delle vie alte, quella sonorità del cielo
prima che la notte appesantisca sul porto, tutto quello ricomponeva per
me un itinerario da cieco, che conoscevo bene prima di entrare in
prigione. Sì, era proprio quell'ora in cui, tanto tempo fa, mi sentivo
contento. Quello che mi aspettava, allora, era sempre un sonno leggero
e senza sogni. Ma tutto è cambiato perché con l'attesa dell'indomani è
la mia cella che trovo. Come se le vie familiari tracciate nei cieli
d'estate, potessero portare tanto alle prigioni che ai sonni innocenti
...Ecco quello che imparerò a ricordare durante tutta questa prossima
notte.
(La luce sfuma fino al buio incrociandosi con la salita della luce blu.
Dopo poco: Buio. La musica salirà un poco in primo piano per poi
ritornare lontana: Luce)
L'ESTRANEO - (Con la musica in lontananza) Fra le tanti possibili
morti a cui ho pensato in questi ultimi due anni, ce ne sono un paio
che mi piacciono in modo particolare: annegare nel mare come la
mamma o finire dissetato come una pianta. Perché è la lentezza che mi
piace. Avere in fondo il tempo per accorgermene.
(Buio. La musica salirà un poco in primo piano. Poi sfumerà
rapidamente fino al silenzio: Luce)
L'ESTRANEO - (Accovacciato con la scatoletta degli scarafaggi,
parlando agli scarafaggi) Dovete sapere che quella mattina ho faticato a
svegliarmi e Maria mi ha dovuto chiamare e scuotere un po'. Poi
uscendo, abbiamo bussato a Raimondo: ci ha risposto che scendeva
subito. Giù in strada la luce del giorno, già tutto pieno di sole, mi ha
colpito come uno schiaffo. E mi sono accorto di avere fame. Il resto
non lo ricordo più bene, solo che abbiamo preso l'autobus, che
abbiamo fatto un lungo bagno, che l'amico di Raimondo si chiamava
Masson, e che la moglie ci ha preparato da mangiare. (Sorridendo agli
scarafaggi) Poi Maria ha detto che restava con la signora Masson a
lavare i piatti. La signora Masson ha detto che gli uomini, per lavare i
piatti, bisogna metterli fuori. E siamo usciti tutti e tre: io, Raimondo e
Masson.
(Sistema la scatoletta con gli scarafaggi e inizia il racconto come se
fosse una messa in scena per loro, con il suo tipico distacco)
Il sole cadeva quasi a piombo sulla sabbia. I riflessi sul mare erano
accecanti. In spiaggia non c'era più nessuno. Dalle capanne sul bordo
dell'altipiano a piombo sul mare, arrivavano i rumori dei piatti: "Tin.
Tin. Tin". Si respirava a fatica nel calore infuocato che saliva da terra.
Per cominciare Raimondo e Masson hanno parlato di cose e di
persone che non conoscevo. (Prende la scatoletta e parla agli
scarafaggi come una confidenza) Ho capito che erano amici da molto
tempo e che avevano perfino vissuto insieme durante un certo periodo.
(Lascia la scatoletta) Ci siamo avvicinati all'acqua e abbiamo
costeggiato il mare (Mostra accennando l'azione). In quel momento
Raimondo ha detto a Masson qualcosa che non ho ben capito, ma
nello stesso tempo ho intravisto, al limite della spiaggia, molto lontano
da noi, due arabi in tuta che venivano verso di noi. Ho guardato
Raimondo. Mi ha detto: "E' lui. E' il fratello della mia ex-ragazza".
Siamo andati avanti (Mostra accennando l'azione, con lo sguardo fisso
in avanti, come a guardare i due arabi). Masson ha chiesto come
potevano aver fatto a seguirci fin là. Io ho pensato che dovevano averci
visto prendere l'autobus con le borse da spiaggia, ma non ho detto
niente. Gli arabi avanzavano lentamente ed erano già molto più vicini.
Noi non abbiamo modificato la nostra velocità, ma Raimondo ha
detto: "Se succede qualcosa, tu, Masson, pensa al secondo. Io penserò
al mio uomo. Tu, Meursault, se ne arriva un altro, è per te". Io ho
detto: "Sì" e Masson si è messo le mani in tasca così. (Mostra agli
scarafaggi). Quando siamo stati a pochi passi da loro, gli arabi si sono
fermati. Io e Masson abbiamo rallentato. Raimondo è andato dritto
verso il suo uomo. Non ho ben capito quello che gli diceva, ma l'altro
ha fatto la mossa di dargli una testata. Allora Raimondo ha colpito una
prima volta, e subito ha chiamato Masson. Masson è andato verso
l'uomo che gli era stato assegnato, e l'ha colpito due volte con tutto il
suo peso. Quello è caduto lungo disteso nell'acqua (Agli scarafaggi)
dovevate vederlo (Mostrando), con la faccia contro il fondo. Nello
stesso momento anche Raimondo ha colpito e l'altro aveva la faccia
insanguinata. Raimondo si è girato verso di me e ha detto: "Vedrai
adesso quel che si prende". Io gli ho gridato: "Attento ha un coltello!".
Ma già Raimondo aveva il braccio ferito e un taglio sulla bocca... Qui e
qui (Mostra agli scarafaggi). Masson ha fatto un salto in avanti, ma
l'altro arabo si è rialzato e si è messo dietro a quello armato. Noi non
abbiamo osato muoverci. Loro hanno indietreggiato lentamente,
sempre guardandoci fissi, minacciandoci col coltello. Quando sono
stati a una distanza sufficiente, sono scappati di gran corsa, mentre noi
restavamo inchiodati sotto il sole e Raimondo si teneva stretto il
braccio che gocciolava di sangue. (Si rivolge agli scarafaggi
avvicinandosi a loro) Siamo ritornati alla capanna il più in fretta
possibile. Poi Masson ha convinto Raimondo ad andare da un suo
amico dottore che veniva sempre a passare le domeniche sull'altipiano.
Io sono rimasto per spiegare alle donne quello che era successo. La
signora Masson piangeva e Maria era molto pallida. Mi seccava di
dover spiegare, davvero. Ho finito per restare zitto e ho fumato una
sigaretta guardando il cielo (Mima l'atto di tirare due boccate, con lo
sguardo in alto). Quando Raimondo è tornato aveva il braccio fasciato
e un cerotto all'angolo della bocca. Il dottore gli aveva detto che era
una cosa da niente, ma Raimondo aveva l'aria molto scura. Masson ha
cercato di farlo ridere, ma lui continuava a stare in silenzio. Quando ha
detto che scendeva in spiaggia, gli ho domandato dove andava. Mi ha
risposto che volevo prendere un po' d'aria. Io e Masson gli abbiamo
detto che l'accompagnavamo. Allora si è arrabbiato e ci ha insultati.
Masson ha detto che non si doveva contrariarlo. Ma io con uno scatto
(Esegue) l'ho seguito lo stesso. Abbiamo camminato molto sulla
spiaggia. Il sole era tremendo, ora. Ho avuto l'impressione che
Raimondo sapesse dove andava, ma sicuramente non era così.
Finalmente siamo arrivati a una piccola fontana dietro a una roccia. E'
là che abbiamo trovato i due arabi. Sembravano assolutamente
tranquilli. L'uomo che aveva colpito Raimondo lo guardava senza
parlare. L'altro soffiava dentro a una piccola canna e continuava a
ripetere le tre note che ricavava da quello strumento. Per un bel po',
non c'è stato altro che il sole e il silenzio, col lieve rumore della fontana
e quelle tre note. (Si sentono il rumore della fontana e le tre note) Poi
Raimondo ha portato la mano alla tasca della pistola, ma l'altro non si è
mosso e si guardavano sempre. Raimondo mi ha chiesto: "Lo faccio
fuori?". Ho pensato che se lo contrariavo si sarebbe montato da solo e
avrebbe sparato sicuramente. Gli ho detto soltanto: (Come una
confidenza agli scarafaggi) "Lui non ti ha parlato ancora. Sarebbe
brutto sparare così". Si è sentito ancora il lieve rumore dell'acqua e del
flauto nel cuore del silenzio e del caldo. Poi Raimondo ha detto:
"Allora lo provoco e quando lui mi risponde lo faccio fuori". Ho
risposto: "Precisamente. Ma se lui non tira fuori il coltello, tu non puoi
sparare". Raimondo ha cominciato ad agitarsi. L'altro suonava sempre
e tutt'e due guardavano ogni gesto di Raimondo. "No" ho detto a
Raimondo "Affrontalo da uomo a uomo e dà a me la pistola. Se l'altro
interviene, o tira fuori il coltello, io sparo". (Si accuccia con gli
scarafaggi. Parlando a loro) Quando Raimondo mi ha dato la pistola, il
sole c'è scivolato sopra. Ma siamo rimasti ancora immobili come se
tutto si fosse chiuso intorno a noi. Come se noi fossimo qui con voi in
questa stessa scatoletta. In quel momento ho pensato che si poteva
sparare oppure non sparare e che una cosa valeva l'altra, credetemi! Ma
d'improvviso gli arabi sono scivolati all'indietro e sono scomparsi
dietro la roccia. (Alzandosi) Allora io e Raimondo siamo tornati
indietro. Lui mi è sembrato più calmo e ha parlato dell'autobus che
bisognava prendere per tornare in città. Alla capanna, mentre lui saliva
la scaletta di legno, io sono rimasto al primo gradino, (Alza la gamba
come per salire un gradino. Rimane così) con la testa rimbombante di
sole. Ero scoraggiato per lo sforzo da fare per salire la scala di legno e
affrontare le donne. Ma il calore era così forte che era una fatica anche
restare immobile sotto la pioggia accecante che cadeva dal cielo.
Restare lì o andar via, una cosa valeva l'altra. Passato un istante, mi
sono mosso verso la spiaggia e mi sono messo a camminare. (Accenna
l'azione) Avevo il desiderio di ritrovare il mormorio dell'acqua della
fontana; desiderio di fuggire lontano dal sole, dalla fatica, dai pianti di
donna; desiderio di ritrovare l'ombra della roccia e il riposo dell'ombra
della roccia. Ma quando sono stato vicino, ho visto che l'uomo di
Raimondo era tornato. Era solo, riposava sdraiato, con le mani sotto la
testa. Sono rimasto un po' stupito. Per me era una storia finita, ed ero
andato lì senza pensarci per niente. Appena mi ha visto, l'arabo si è
alzato un po' e ha messo la mano in tasca. Io "Naturalmente", ho
stretto la pistola di Raimondo nella tasca...
(Si sente bussare pesantemente alla porta: quattro colpi, con una pausa
fra il primo e il secondo. Pausa. Si sente ribussare nello stesso modo)
"Sì". (Breve pausa) "Un momento". (Parla sottovoce agli scarafaggi)
Devo andare all'udienza adesso. Aspettatemi qui. Sarà l'ultima, credo.
Ma torno presto... (Si sistema) Torno presto. (Si mette davanti
all'ipotetica porta. Ad alta voce:) Ecco sono pronto!
(Si sente aprire pesantemente la serratura. Buio. Luce. L'estraneo
cammina nel suo solito modo, ma molto più pesantemente; molto più
lentamente. Gli scarafaggi non ci sono più)
L'ESTRANEO - Ho rifiutato per la terza volta di ricevere il prete. Non
ho niente da dirgli. Non ho voglia di parlare... E dovrò comunque
vederlo presto. Quello che m'interessa adesso è soltanto sfuggire alla
meccanica, sapere se l'inevitabile può avere una via d'uscita. Dopo la
sentenza mi hanno cambiato di cella: non ho nemmeno più i miei
scarafaggi. E da questa, quando alzo lo sguardo, vedo il cielo e il cielo
soltanto. Adesso passo le giornate a guardare lo sfumare dei colori che
portano dal giorno alla notte. Mi passo le mani dietro alla nuca
(Esegue. Guarda in alto verso la fonte dell'illuminazione), così, e
aspetto. Ogni tanto ricordo l'ultima udienza, non so quanti mesi sono
passati da allora, ma ho imparato che quando si è in attesa di qualcosa
d'inevitabile, il tempo perde ancor più la sua misura. Il giorno
dell'ultima udienza, durante le arringhe del Pubblico Ministero e del
mio avvocato, si è parlato molto di me, e forse più di me che del mio
delitto. Il mio avvocato alzava le braccia e ammetteva la colpa, ma con
attenuanti. Il Pubblico Ministero tendeva le mani e denunciava la
colpa, ma senza attenuanti. C'era comunque una cosa che mi metteva a
disagio. Ogni tanto ero tentato d'intervenire, e allora l'avvocato mi
diceva: "Stia zitto, che è meglio per lei". In un certo senso tutti avevano
l'aria di trattare la cosa al di fuori di me. E poi mi ricordo soltanto che
dalla strada, attraverso tutte le sale e le aule, mentre il mio avvocato
continuava a parlare, ha risuonato fino a me la trombetta di un
venditore di panna. Mi hanno assalito i ricordi di una vita che non mi
apparteneva più, ma in cui avevo trovato le gioie più povere e più
cocciute: odori d'estate, il quartiere che amavo, un certo cielo di sera, il
viso di Maria. Questo mi ha fatto pensare che non avevo mai cercato
Maria con lo sguardo durante tutto il processo. Non che l'avessi
dimenticata, ma avevo troppo da fare. Ho guardato con calma l'aula.
Tutto era identico al primo giorno. L'ho vista Maria, fra Celeste e
Raimondo, mi ha fatto un piccolo cenno come per dire: "Finalmente" e
ho visto il suo viso un po' ansioso che sorrideva. Ma avevo qualcosa
che mi chiudeva il cuore e non ho potuto nemmeno rispondere al suo
sorriso. Poi ho sentito che il mio avvocato gridava verso i giurati che
non potevano dimenticare che ero un onesto lavoratore, e che per un
istante di smarrimento, mi trascinavo già dietro, come la pena più
certa, l'eterno rimorso. (Pausa) La corte poi ha sospeso l'udienza e
l'avvocato si è rimesso a sedere esausto. I colleghi gli sono venuti
intorno per stringergli la mano. Ho sentito che gli dicevano: "Sei stato
magnifico". Uno di loro mi ha perfino preso a testimonio: "Eh?" mi ha
detto. Io ho fatto un segno di sì, ma il mio complimento non era
sincero perché ero troppo stanco. Poi la corte è rientrata. Molto
velocemente è stata letta ai giurati una serie di quesiti. Ho sentito
"Colpevole di assassinio". "Circostanze attenuanti...". I giurati sono
usciti e io sono stato portato nella stanzetta dove avevo già aspettato la
prima volta. Ho aspettato a lungo, forse tre quarti d'ora. Alla fine,
quando ho sentito squillare un campanello e la porta della stanzetta si è
aperta, è il silenzio dell'aula che è salito verso di me. Non ho guardato
dalla parte di Maria. Non ne ho avuto il tempo perché il Presidente mi
ha detto in una forma strana che mi sarebbe stata tagliata la testa in una
pubblica piazza in nome del popolo francese.
(Mentre la luce sfuma fino al buio, sale la musica. Dopo poco: Luce.
La musica rimarrà in lontananza. L'estraneo è in piedi di fronte al
pubblico)
L'ESTRANEO - (Parlando al pubblico) Io non avevo intenzione di
uccidere l'arabo. (Frettolosamente) E' stato a causa del sole. (Breve
pausa) So di essere ridicolo. E' per questo che anche a me stesso lo
dico molto in fretta: "E' stato a causa del so le". Anzi, se volete ridere
potete farlo. Io non ho più niente da aggiungere. Solo questo: che da
due giorni ho trovato per me, la morte più naturale. (Si entusiasma) E
ne sono soddisfatto. Non ho fatto altro che sostituire l'arabo che ho
ucciso a me, e me all'arabo. Il risultato è perfetto, forse buffo. Rivedo il
compiersi della scena. (Accennerà le azioni) L'arabo sdraiato vicino
alla fontana, che adesso sono io, non si muove. In fondo io che sono
lui, mi trovo ancora piuttosto lontano. Stiamo aspettando qualcosa e
da arabo vedo il sole bruciargli sulle guance e le gocce di sudore
accumularsi sulle sue sopracciglia. E' lo stesso sole di quel giorno che
lui ha sotterrato la sua mamma, e, come allora, è la fronte che lo fa più
soffrire: tutte le vene gli battono insieme sotto la pelle. A causa di quel
bruciore vedo che lui non può più sopportare di stare fermo e fa un
movimento in avanti. Adesso lo vedo mentre si sente stupido, infatti
non si è liberato dal sole spostandosi di un passo. Ma quel passo l'ha
fatto! E io, da arabo, senza alzarmi tiro fuori il coltello e glielo presento
nel sole. Faccio brillare la luce sull'acciaio come una lunga lama
scintillante e lo colpisco alla fronte. In questo stesso momento, il
sudore delle sue sopracciglia cola di colpo sulle palpebre ricoprendole
di un velo tiepido e denso. Con la spada ardente e l'astuzia da arabo, gli
corrodo le ciglia, frugo con la sciabola folgorante i suoi occhi pieni di
dolore. Vedo tutta la sua persona tendersi contraendo la mano sulla
pistola. Vedo il grilletto cedere e nel rumore secco e insieme
assordante, ecco che lui distrugge l'equilibrio del giorno nel silenzio
straordinario di una spiaggia dove si è sentito felice. Quattro volte
colpisce il mio corpo inerte, dove i proiettili s'insaccano senza lasciare
traccia, e sono come quattro colpi che lui batte sulla porta della sua
sventura.
(Si sentono battere quattro colpi secchi alla porta, con una pausa fra il
primo e il secondo)
(Ad alta voce verso la porta) Sì eccomi. (Al pubblico, mentre si apre la
camicia sul collo) E' questa la morte che fra tutte preferisco, perché
questa magica sostituzione con l'arabo, mi apre per la prima volta alla
dolce indifferenza del mondo. Adesso lo trovo così simile a me e
finalmente così fraterno. (Breve pausa) Ma perché tutto sia consumato,
perché io sia meno solo, mi auguro che ci siano molti di voi alla mia
esecuzione, anzi, è un invito: venite tutti e, vi prego, vi prego,
accoglietemi con grida di odio. (Pausa. Ad alta voce) Sono pronto!
(China il collo liberato dalla camicia in avanti, con le braccia dietro al
corpo, aspettando la lama della ghigliottina).
(Si sente aprire pesantemente la serratura. La luce sale al massimo, per
poi andare al buio di colpo. La musica va alta in primo piano)
- F I N E -
(Praga 11 Agosto 1994)