L’incorruttibile

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L'INCORRUTTIBILE

TITOLO ORIGINALE DELL'OPERA: DER UNBESTECHLICHE

Commedia in cinque atti

di HUGO VON HOFFMAMSTAHL

Versione Italiana di Italo Alighiero Chiusano

                                   

PERSONAGGI

LA BARONESSA

JAROMIR, suo figlio

ANNA, moglie di Jaromir

MELANIA GALATTIS

MARIA AM RAIN

IL GENERALE

TEODORO, domestico

ERMINIA, giovane vedova

IL PICCOLO JAROMIR (4 anni)

LA DISPENSIERA

LA CAMERIERA

IL COCCHIERE

IL GIARDINIERE

LA SGUATTERA

La vicenda si svolge nel 1912, nella tenuta della Baronessa, nell'Austria inferiore.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

(La terrazza di un parco, chiusa in fondo da un padi­glione a sala, al quale si accede per una gradinata di cinque o sei scalini).

Il Cocchiere                     - Una delle solite disposizioni di Teodoro, (Esce).

La Dispensiera                 - (entrando in fretta) Non c'è la signora baronessa"? Sarebbe necessario consultarla. (Via subito).

Il Giardiniere                   - (entrando in fretta) Teodoro, bisogna cambiare le disposizioni. Abbiamo troppo j poche stanze. (Via subito).

La Dispensiera                 - (rientrando in fretta) Non c'è la signora baronessa?

Il Giardiniere                   - (idem) Non c'è la signora baro­nessa?

La Cameriera                   - (idem) Non c'è la signora baro­nessa? (Tutti e tre sono entrati contemporaneamente, e da tre direzioni diverse. La cameriera squadrando a giardiniere) E voi, servite con quella livrea? Chi | ve l'ha ordinato?

La Dispensiera                 - Se avessero dato retta a me... se distribuivano le camere in modo da far dormire la signorina am Rain nello stanzino da caccia ac­canto alla signora von Galattis... (La Baronessa è entrata da sinistra con un telegramma in mano. La cameriera fa cenno alla dispensiera di star zitta).

La Baronessa                   - Non perdetevi in chiacchiere, Wallisch: le disposizioni le dò io, e Teodoro è inca­ricato di farle osservare. Punto e basta. (Alla cameriera) Voglio vedere subito il cocchiere... così cerne si trova, in tenuta da stalla, in maniche di camicia, cerne si trova! (La cameriera via per la porta a vetri. La Baronessa legge frattanto il telegramma) «Arrivo Zollendorf ore quindici e undici, cordialmente Me­lania». Questo telegramma giaceva qui fin da sta­mattina presto. Intenderà dire oggi o domani? Che sciocco modo di esprimersi! Non poteva scrivere « mercoledì»? li poi, perché si firma soltanto «Me­lania»? Non siamo mica così intime, noi due! Del resto, alle quindici e undici, che io sappia, non arriva nessun diretto... Possibile che questa bambola all'ul­tima moda, col cervello da gallina, non sappia con­sultare un orario? (Osservando il giardiniere) Chi è che vi ha infagottato in quel costume da carnevale?

La Dispensiera                 - Vedete, signora baronessa? que­sta è un'altra di quelle malignità, di quegli arbitrii che Teodoro si permette con ciascuno di noi!

La Baronessa                   - Wallisch, non ho chiesto il vo­stro parere. (Al giardiniere) E voi, via! Andate a vestirvi da cacciatore; giubba grigia, calzoni grigi e pistagne verdi. Alle quattro e mezza presentatevi per il tè, Via! (Il giardiniere fa « fianco destro » ed esce) Le camere sono pronte, finalmente?

La Dispensiera                 - Vi prego di considerare che io non sapevo affatto che la signora von Galattis avesse improvvisamente deciso di venire senza il marito. Se Teodoro pensa che non valga la pena di tenermi informata, se si danno continuamente ordini e con­trordini...

La Baronessa                   - Non più una parola su Teodoro! Basta. (La cameriera viene dalla terrazza, col coc­chiere. Il cocchiere ha una giacca da stalliere e H grembiule. La dispensiera aspetta ancora un attimo, poi se ne va. La Baronessa al cocchiere) Bisogna andare a prendere degli ospiti a tutte e due le sta­zioni. Tenete. (Gli dà il telegramma) Informatevi sul posto a che ora arriva il treno di cui lì si parla così vagamente.

Il Cocchiere                     - (prende il telegramma e lo tiene in mano) Chiedo scusa, non è possibile.

La Baronessa                   - Che altro c'è che non è possibile?

Il Cocchiere                     - Che io oggi pomeriggio faccia due corse. Non si possono stancare troppo i due sauri.

La Baronessa                   - E voi prendete la Mascotte e at­taccatela al dogeart, santo cielo!

Il Cocchiere                     - Chiedo scusa, non è possibile. La Mascotte è servita al garzone di stalla per andare in città a chiamare il magnano.

La Baronessa                   - Proprio adesso?

Il Cocchiere                     - Ordine del giovane signor barone. Si tratta di una riparazione al tetto, molto urgente, prima che arrivino gli invitati.

La Baronessa                   - Insomma, arrangiatevi come po­tete. Quel vostro « non è possibile» non lo voglio più sentire. Perché, quando ci si mette Teodoro, tutto diventa possibile? Basta così. Andatevene, prima che m'inquieti. (Il Generale socchiude l'uscio a sinistra, sporge la testa dall'apertura e scompare nuovamente).

Il Cocchiere                     - Chiedo scusa: Teodoro, del ser­vizio di scuderia, non ne capisce un accidente. (Via).

Il Generale                       - (appena vede sola la Baronessa, si af­fretta a entrare) Amelia! Voi vi state irritando...

La Baronessa                   - lo non mi irrito affatto: sono i miei domestici che mi irritano! Teodoro mi s'è licen­ziato il primo del mese. Oggi ne abbiamo quattordici, e fino a questo momento non ha ritirato le sue dimis­sioni, e per di più mi ha fatto sapere che è am­malato.

Il Generale                       - Teodoro? Ah, be', questa... que­sta... (Rimane allibito).

La Baronessa                   - Questa, tra tutte le cose che po­tevano accadere, è press'a poco l'unica che mi possa far uscire completamente dai gangheri. Se è questo che volevate dire, Ado, volevate dire una cosa giusta.

Il Generale                       - Ma come è mai possibile? Un ser­vitore non può permettersi una cosa simile.

La Baronessa                   - Sapete benissimo, Ado, che Teo­doro non è un servitore, ma è Teodoro e basta. E poi, due anni fa, in una certa occasione, mi sono im­pegnata per iscritto...

Il Generale                       - Voi siete troppo buona, Amelia.

La Baronessa                   - ... a riconoscergli in qualsiasi mo­mento il diritto di ritirarsi a finire i suoi giorni in quel poderetto col mulino che ha ereditato da sua nonna, là dalle sue parti, in qualche foresta dei Carpazi, dove i lupi si danno la buona notte.

Il Generale                       - E quest'individuo non ha tanto cuore, tanto attaccamento per voi da...?

La Baronessa                   - (va su e giù) Io gli sono del tutto indifferente, come del resto lo è a chiunque una donna della mia età.

Il Generale                       - (con un fugace rossore che improvvi­samente gli ringiovanisce il volto) Andrò io stesso in camera sua. Ventisette anni fa è stato ulano nel mio squadrone: un po' di spirito militare ce l'ha an­cora. Basti dire che ha l'abitudine di chiamare a rap­porto la servitù.

La Baronessa                   - Soltanto, per l'amor di Dio, niente tono marziale, Ado. Voi conoscete la sua suscettibilità. Piuttosto, potrebbe darsi che qualche nuova conces­sione straordinaria...

Il Generale                       - Sareste disposta ad accordarne?

La Baronessa                   - Qualunque cosa chieda!

Il Generale                       - Allora vado... Amelia... (Ma non si muove).

Jaromir                             - (viene dal terrazzo, entra dall'uscio a ve­tri) Dove andate, Ado?

Il Generale                       - (uscendo) Ho una missione da com­piere.

Jaromir                             - Ho sentito che Teodoro, tanto per cam­biare, si è ritirato a fare il muso. Te l'avevo detto, mamma, quattr'anni fa, quando lui, subito dopo le mie nozze, espresse il desiderio di passare nuova­mente dal mio servizio al tuo. « Io, ormai, dopo diciassette anni che l'ho con me, non riesco più a sopportarlo. Ma se vuoi provare tu, à la bonne heure! E' senza dubbio una perla di domestico e nel suo genere si può dire un uomo straordinario, ma gli piacciono le pose, le scene... e dato che, tra parentesi, le scene sono per me quanto di più dete­stabile ci sia al mondo... e dato che è soprattutto per sentirmi circondato da un ambiente di pace che ho sposato una donnina così sensata e tranquilla... ».

La Baronessa                   - Teodoro è un uomo eccellente sotto tutti i punti di vista.

Jaromir                             - Senza dubbio, un arcangelo. Ma io non sopporto di avere come domestico un arcangelo, cuiogni paio di mesi salti il ticchio di farmi vedere che di noi due il più forte è lui.

La Baronessa                   - (va su e giù, stizzita; fuma) Tu, mio caro, sembri sopravvalutare un po' troppo le pos­sibilità di una servitù limitata com'è la nostra, altri­menti non avresti mandato proprio oggi, che ci sono da ritirare le tue svariate amiche da tutte le stazioni, il secondo cocchiere a cavallo in città, per far venire il magnano per una riparazione al tetto che in fondo è d'importanza piuttosto secondaria...

Jaromir                             - Scusami, mamma, ma si tratta di una riparazione davvero urgente: la notte non è possi­bile chiudere occhio, se una grondaia schiodata, con­tinua a sbattere contro un'inferriata traballante. Co­me abitatore della mansarda lo so anche troppo bene.

La Baronessa                   - (si ferma) Ti sei fatto preparare uno studiolo lassù, a quel che sento. Ma non vorrai mica anche dormirci, no?

Jaromir                             - Veramente sì. E' già una settimana.

La Baronessa                   - Ah!

Jaromir                             - Da quando la bambina dorme così in­quieta per via dei denti, Anna ha insistito per farmi traslocare.

La Baronessa                   - (va su e giù) Anche le tue di­verse amiche sembrano abituate a vivere da grandi signore.

Jaromir                             - Cosa intendi dire, mamma?

La Baronessa                   - A vivere in case, cioè, dove non nasce il minimo imbarazzo se all'ultimo momento si cambiano le disposizioni.

Jaromir                             - In che senso?

La Baronessa                   - Il signor Galattis tutt'a un tratto non viene più, o verrà soltanto più tardi. Madame arriva dunque sola.

Jaromir                             - (fingendosi molto meravigliato e divertito) Melania viene senza cameriera? Che donna sin­golare! Non avrei mai creduto che potesse passare unanotte in una palazzina da caccia senza la sua dama di compagnia. Ma è fatta così: imprevedibile.. Ti divertirà, vedrai.

La Baronessa                   - (di nuovo su e giù) Le donne mi divertono di rado.

Jaromir                             - Si faranno quattro chiacchiere, si pas­seggerà un poco nel parco. Ad ogni modo tu conti­nuerai indisturbata la tua solita vita, come Anna la sua... E io la mia. Per esempio, non ci penso nean­che ad andare io stesso a prendere alla stazione una delle due signore.

La Baronessa                   - Ah, ne lasci il pensiero a noi? Troppo gentile da parte tua!

Jaromir                             - Tu mandi soltanto la carrozza, e te ne stai qui in santa pace, mentre io faccio una passeg­giata solo coi miei pensieri. Da qualche tempo in qua - immagino che sia una conseguenza degli anni - provo un intenso bisogno di solitudine.

La Baronessa                   - Allora hai avuto un'idea vera­mente geniale a riempirti la casa di ospiti.

Jaromir                             - Non ci si isola mai tanto bene come quando la casa è piena di ospiti. Ad ogni modo in mattinata sarò sempre assolutamente invisibile.

La Baronessa                   - Stai di nuovo scrivendo? (Jaromir annuisce muto). E lo darai di nuovo alle stampe? E' una cosa che ti diverte tanto?

Jaromir                             - Non so che cosa vuoi dire. E' più che normale che i prodotti dell'ingegno si diffondano per mezzo della stampa.

La Baronessa                   - Naturalmente: quando si è un autore.

Jaromir                             - Io non vedo, mamma, in base a che criterio mi vorresti escludere da questa categoria di persone. Per il mondo io sono un autore, quello del mio primo libro. Il mio romanzo è stato discusso molto favorevolmente, ha fatto una certa impres­sione.

La Baronessa                   - Il criterio, mio caro Jaromir, è questo: che gli scrittori di professione inventano qualche cosa, mentre tu, che non lo sei e nemmeno sei tenuto ad esserlo, ti sei accontentato, nel tuo cosiddetto romanzo, di mettere in carta te stesso, i tuoi sentimenti e le tue opinioni, allineandoli sul filo di alcuni avvenimenti di cui hai fatto intima esperienza, e che io non trovo né interessanti né degni di essere divulgati, ma che hanno forse in­dotto tre o quattrocento persone ad acquistare il vo­lume nella speranza - peraltro delusa - di trovarci delle indiscrezioni su alcuni conoscenti personali, che fossero ben più precise e circostanziate di quanto in effetti non riuscissero poi a trovare.

Jaromir                             - Ti ringrazio, mamma, di non aver detto (si alza) « indiscrezioni "ancora" più precise e cir­costanziate»... Ma questo è un tema che è meglio lasciar lì. Non mi resta dunque che ripetere ancora una volta che, per quel che riguarda il soggiorno delle nostre invitate, io non ho alcun desiderio par­ticolare da esprimere, e che rimetto tutto, assolu­tamente tutto, nelle tue mani, affidandomi all'ener­gia e alla comprovata discrezione del tuo Teodoro... e che alle quattro e mezza comparirò, naturalmente, per il tè. (S'inchina ed esce per la terrazza). La Baronessa (tra sé) Sicché adesso, dato che Melania viene sola, al bridge restiamo improvvisa­mente in sei, anziché in sette. Per cui la scelta si riduce al consigliere forestale, che a ogni respiro soffia come un coniglio, o a quel lezioso del com­missario distrettuale, che... (Chiama, rivolta a sini­stra) Teodoro! (Ricorda, batte il piede, chiama) Milli! (La porta a sinistra viene socchiusa, ed en­trano Anna e il piccolo Jaromir). Il piccolo Jaromir. (corre incontro alla Baronessa, le bacia la mano, si guarda intorno) Dov'è lo zio Ado?

La Baronessa                   - (ad Anna) Che te ne pare? il signor Galattis improvvisamente non viene.

Anna                                - Ma era già un paio di giorni che lo sapevamo, mamma. Jaromir non ti ha...?

La Baronessa                   - Neanche una sillaba. Anzi, ne parve molto sorpreso.

Anna                                - Devi scusarlo, è il suo lavoro: lo tiene così impegnato, che non lo lascia quasi pensare ad altro. Sai bene, sta scrivendo un nuovo libre. Biso­gna assolutamente evitare che lo si disturbi pei qualsiasi faccenda riguardante gli ospiti. Mi ha con­fessato lui stesso che quando lavora a una sua opera è di un'ipersensibilità, di un'irritabilità addirittura incredibili.

La Baronessa                   - Si lascia andare un po' troppo, il buon Jaromir.

Anna                                - Io credo, mamma, che né tu né io pos­siamo immaginare quel che succede in un uomo che vive di fantasia come lui, quando in quella sua solitudine interiore vengono di colpo a far irruzione gli uomini.

Il piccolo

Jaromir                             - Nonna, Teodoro mi ha permesso che quando è malato posso andargli a far visita. Però nella sua camera, da soli, non ci si può entrare: c'è dentro una magia che fa restare coi piedi attaccati al pavimento finché non viene Teodoro a liberarti con una formula magica.

Anna                                - Ma sciocchino, come fai a credere a que­ste sciocchezze? (Il Generale rientra da sinistra).

La Baronessa                   - Sicché non avete ottenuto nulla? Capisco. Ho già capito.

Il piccolo

Jaromir                             - Sei stato da Teodoro, zio Ado? E' a letto? Porta un cappuccio di seta?

La Baronessa                   - (spazientita) Insomma, cos'è stato, Ado?

Il Generale                       - Dice che si meraviglia che voi vi meravigliate... mentre voi stessa, quindici giorni fa, avete accolto le sue dimissioni. Pare, cara baronessa, che questo vostro ignorare la situazione abbia peg­giorato le cose.

La Baronessa                   - Ma deve pur esserci un vero motivo. Non può farmi una cosa simile senza una grave ragione.

Il piccolo

Jaromir                             - Mammina, posso andare su da Teodoro, adesso?

Anna                                - Sì, corri su e digli che verrò da lui a parlargli. Tre minuti soli.

Il piccolo

Jaromir                             - Sì, mammina. (Corre via).

La Baronessa                   - Senti...

Il Generale                       - (ad Anna) Ma no, è impossibile, baronessa: una signora giovane come voi!... In fin dei conti è a letto.

La Baronessa                   - Lasciatela fare, se ne ha voglia. Essa è molto nelle grazie di Teodoro. Forse riesce a ottenere qualche cosa.

Anna                                - Io, veramente, ho l'impressione che lui mi odii.

La Baronessa                   - Al contrario!

Anna                                - Certe volte mi fissa in un modo... come se volesse mangiarmi viva.

Il Generale                       - Credetemi, Baronessa, c'è ben poco amore, ben poca devozione in quello sguardo.

La Baronessa                   - E se ci odiasse e ci amasse con­temporaneamente?

Il Generale                       - Contemporaneamente?

La Baronessa                   - A fasi alternate. E' uno stato d'animo che capisco assai bene.

Il Generale                       - Una volta di più riuscite a ca­pire quell'individuo! A me, invece, tutto, di lui, riesce inesplicabile. . .

Il piccolo Jaromir             - (entra dalla porta come una freccia) Viene giù subito.

La Baronessa                   - Chi?

Il piccolo Jaromir             - E' saltato giù dal letto: così! (Lo fa vedere, scendendo d'un balzo tre gradini della scalinata) Io gli ho detto che la mamma vo­leva andare da lui, e lui ha detto: «Mi vesto su­bito e scendo in sala»; poi gli ho chiesto perché voleva lasciarci, e lui ha detto che l'insieme non gli andava e che lo spiegava poi alla nonna. Con me, però, non ha niente e se mamma lo permette, mi porta con sé al suo mulino che sta in mezzo ai boschi, e su una gran quercia c'è una capannuccia di legno di tiglio, proprio come la gabbia di un uc­cello, e lassù poi andiamo a sederci io e lui, e fac­ciamo gli incantesimi fino a mezzanotte.

La Baronessa                   - L'insieme non gli va! Senti un po', passerotto: ha detto che non gli va o che non gli va più?

Il piccolo

Jaromir                             - Non me lo ricordo, adesso.

Anna                                - Vedrai che non sarà difficile chiame e appianare tutto. Sicché io ormai sono di troppo e mi ritiro, mamma. Vado alla stazione. (Esce col pic­colo Jaromir).

Il Generale                       - (sospira e crolla il capo) E' spa­ventoso!

La Baronessa                   - Che cos'è che vi indispone, Ado?

Il Generale                       - Che tutto questo disordine do­vesse scatenarsi in questa casa proprio nel mese di giugno.

La Baronessa                   - (distratta, le par d'aver sentilo bus­sare) Che c'entra il mese di giugno?

Il Generale                       - Amelia, sono ormai più di trenta anni da quell'undici giugno, in cui voi... io... Dav­vero non ricordate più quella data?

La Baronessa                   - Ado, voi siete un vero matema­tico, con tutte le vostre cifre. A me le cifre non interessano.

Il Generale                       - Amelia, il tempo non esiste quan­do vi. vedo così dinanzi a me... Nulla esiste, allora, tranne il fatto che esistete voi! (Bussano).

La Baronessa                   - Avanti! Pardon, Ado, hanno bussato.

Il Generale                       - Bussano sempre quando voglio parlare un po' con voi.

Teodoro                           - (entra, non in livrea, ma in giacchetta nera e calzoni scurì) Mi sono permesso di bussare perché oggi intendo presentare i miei omaggi, per così dire, sotto forma di visita. Ma siccome vedo che giungo decisamente inopportuno... (La Baronessa lancia uno sguardo disperato al Generale).

Il Generale                       - Ma al contrario: restate qui, caro Teodoro, e dite tutto quel che avete da dire. Io, frattanto, farò la ronda nel parco e verrò ad avver­tirvi, Baronessa, quando la prima carrozza svolterà nel viale. (Via dalla portar a vetri).

La Baronessa                   - Voi, dunque non vi considerate già più in servizio?

Teodoro                           - Esatto, da oggi a mezzogiorno.

La Baronessa                   - Ma allora cosa succederà? Voi sa­pete che, oltretutto, sto aspettando degli ospiti.

Teodoro                           - (con espressione di rammarico) E' assai penoso anche per me, ma circostanze gravissime mi hanno costretto a...

La Baronessa                   - Teodoro, queste circostanze ri­guardano forse la mia persona?

Teodoro                           - A vossignoria non chiedo che di ba­ciare le mani con la più devota riconoscenza.

La Baronessa                   - Forse che qualcuno della servitù ha mancato nei vostri confronti?

Teodoro                           - Della servitù, in questo memento, non vorrei nemmeno far parola.

La Baronessa                   - Voi non avete voluto dir nulla al signor generale, ma il bambino ha fatto un certo discorso...

Teodoro                           - Il bambino, nella sua innocenza, può capire un'anima come la mia meglio di tante per­sone navigate.

La Baronessa                   - Il piccolo ha detto che l'insieme non piaceva più a Teodoro. Che cosa significa?

Teodoro                           - Sono parole molto adatte a esprimere in modo generico quel che, preso in particolare, riuscirebbe forse increscioso.

La Baronessa                   - Be', ma allora come si fa?

Teodoro                           - Nel caso che il mio congedo mi dovesse apparire necessario, s'era rinunciato a priori a esi­gere da me degli schiarimenti spiacevoli per ambo le parti. (Fa per mettere la mano in tasca).

La Baronessa                   - Lasciate stare. So benissimo quello che ho scritto. (Tace e sforacchia la terra col ba­stoncino).

Teodoro                           - Questo grazioso autografo mi fu rila­sciato in occasione del giubileo dei miei venticinque anni di servizio in questa nobile casa, come segno di particolare ed eccezionale stima.

La Baronessa                   - Difatti la mia intenzione fu quella.

Teodoro                           - In virtù di esso, gli anni che avrei de­ciso di passare ancora in qualità di domestico... (Alza la voce) Chi ha dietro di sé un tal numero d'anni di onorato servizio, dovrebbe di conseguenza essere al sicuro da ogni disprezzo della propria persona.

La Baronessa                   - Ma chi è che vi disprezza? Chi è che si permette una cosa simile? Sedetevi, Teo­doro, e ditemi tutto.

Teodoro                           - (si siede in punta di seggiola) In que­sta vita sono state commesse molte infamie nei mici riguardi! E' noto che mi stavo avviando alla car­riera ecclesiastica, ma poi - un povero orfanello senza padre! - fui sospinto dalla volgarità di per­sone volgari nei ranghi del ceto servile.

La Baronessa                   - Conosco la vostra biografia, Teo­doro. E' degna della massima considerazione. Vo­stro padre era una canaglia, ma vostra madre, Dio l'abbia in gloria, era una delle donne più ragione­voli che fossero al mondo, e voi avete ereditato l'in­telligenza da lei.

Teodoro                           - Sua signoria il signor colonnello si è di conseguenza degnato da spirare tra le mie braccia.

La Baronessa                   - E' vero, avete assistito mio ma­rito con molta devozione.

Teodoro                           - Il signor colonnello, nella sua ultima ora di vita, mi ha detto che gli avevo sacrificato la mia giovinezza e mi ha pregato, gli cechi morenti pieni di lacrime, di non abbandonare il suo Jaromir, ma di sacrificare al signorino gli anni della mia virilità. Egli ben conosceva, infatti le molte e grandi debolezze di quel giovane.

La Baronessa                   - E allora avete passato diciassette anni al servizio di mio figlio, comportandovi in mo­do irreprensibile. Ma alla fine, certe divergenze nei vostri due caratteri hanno reso opportuno che voi, dal suo servizio, passaste di nuovo al mio, cosa che naturalmente mi fece molto piacere.

Teodoro                           - Eufemisticamente si potrebbe anche dir così, ma non sarebbero che vani discorsi. (Con energia, senza alzare la voce) La verità è que­sta, che tutta la sua vita non è stata che un'offesa continua alla mia persona.

La Baronessa                   - Sss, parlate di mio figlio!

Teodoro                           - (alzandosi) Io chiedo solo più di ba­ciarvi le mani e di potermi ritirare in silenzio, umil­mente e per sempre. (Fa per andarsene).

La Baronessa                   - E io invece desidero che voi re­stiate, Teodoro.

Teodoro                           - Teodoro... Esatto, i miei genitori mi hanno dato nel santo battesimo il bel nome di Teo­doro. Lui, quel nome, non l'ha mai amato! Per anni e anni non sono stato chiamato' da lui altro che Franz. Franz, quando ho l'onore di chiamarmi Teo­doro! Vi prego di dedurre da questo com'egli abbia rispettata in me la dignità umana! Il tutto non è stato che diciassette anni di sistematico disprezzo.

La Baronessa                   - Ma in fin dei conti queste non sono che inezie.

Teodoro                           - Inezie?! Per l'anima umana non esi­stono inezie: vossignoria, che è una nobile e colta gentildonna, lo sa meglio di. me. Egli ha condotto sotto i miei occhi una vita di scapolo d'una frivolezza inaudita e d'un gelido egoismo. (La Baronessa dà un colpo stizzoso col bastone) Giustissimo, avete tutte le ragioni. Io l'ho tollerato. Ho preparato la cravatta, la giacchetta da passeggio e talvolta lo smo­king, quando sapevo benissimo che la sua inten­zione era quella di perdere proditoriamente, con fredda nequizia, in una serale ora notturna, l'anima di un essere femminile.

La Baronessa                   - Ma Teodoro, neanche voi siete poi un santo!

Teodoro                           - No, non sono un santo. Ma quando compio un'impresa sentimentale, la compio con tutto il mio cuore e ne rispondo con tutta l'anima mia. In lui, invece, accade il contrario, ed è ciò che non sopporto più di vedere coi miei occhi. Adesso, poi, è caduta la goccia che fa traboccare il vaso.

La Baronessa                   - Adesso, come mai?

Teodoro                           - Adesso, come mai?! Se adesso si fa arrivare in casa le sue amanti a coppie, adesso che è sposato, adesso che la sua vita avrebbe un com­pito, che quell'angelo benedetto gli ha regalato due bambini... e lui invita le suddette al castello, dopo che lui stesso in un certo libercolo, un cosiddetto romanzo a chiave, privo di qualsiasi pregio lettera­rio, aveva messo alla berlina tutta quella storia con la signorina Maria...

La Baronessa                   - Non riesco assolutamente a ca­pire di che cosa parlate, Teodoro.

Teodoro                           - Di conseguenza permettete che vi baci le mani e mi allontani in silenzio. (Fa per andar­sene).

La Baronessa                   - Ad ogni modo queste faccende, se anche in esse c'è una parte di vero, appartengono da gran tempo al passato.

Teodoro                           - Per lui il passato non esiste, non è il tipo che dimentica! Nulla è mai concluso, per lui. Per la rinuncia si richiede una certa purezza inte­riore. (La Baronessa, batte il bastoncino in terra) Quell'infelice signorina Maria è un povero fiorellino ch'egli ha colto e calpestato. Sì, perché lui è come un boa constrictor: per quattro anni e mezzo le ha succhiato l'anima! Ma adesso... adesso è venuto a sa­pere che a questa fanciulla si è accostato un altro, che sembra capace di sincero amore, di dedizione. E questo lo eccita nuovamente, ed ecco che se la tira di nuovo accanto perché non sfugga al suo potere, e non importa se la di lei giovinezza sfiorisce in­tanto com'erba falciata! Come può osare tanto sotto i miei occhi? Cerne può ridersi così dei diciassette anni che ho passati al suo fianco, vedendo e tacen­do? Sono forse il suo manutengolo? Sono io il com­plice che gli regge il sacco? Questo si chiama get­tare nel fango la mia dignità di uomo. Come ardisce, sotto i miei occhi, farsi venire in casa quell'altra donna, quella famigerata creatura, quella Melania? E poi, tutte queste manovre! Il fatto che abbandoni la sua camera da letto, dove quel buon angelo vive maritalmente con lui, e si trasferisca nella mansarda; che anzi in pieno giorno faccia venir qui il ma­gnano a riparare il corridoio di collegamento che dovrà servire per un'adultera passeggiata notturna, in modo che niente scricchioli, sbatta o faccia co­munque rumore, questo... ma questo suona beffa e oltraggio a tutte le leggi divine e umane!

La Baronessa                   - Ma Teodoro! Teodoro!

Teodoro                           - (seguendola) E intanto dentro di me, nella cella del mio cuore che nulla dimentica, tutte queste sue storie galanti e perverse sono fotografate . sino alla più piccola carezza, sino all'ultimo e più scellerato spergiuro!

La Baronessa                   - Ma vi prego, calmatevi!

Teodoro                           - (retrocede di qualche passo) Io sono stanco, e di conseguenza piuttosto calmo. Ma il mio spirito offeso ha bisogno d'una grande cura, che mi faccia dimenticare che miseranda cosa è mai l'uomo. Debbo tornare al mio solitario paesello, alla mia zolla romita, dove vecchie care querce mi sus­surrino di continuo: «Teodoro, tu sei un santo a paragone di costui! Egli non è degno di sciogliere i legacci dei tuoi calzari impolverati! Tu gli hai fatto grazia perché hai una grande anima al cospetto di Dio!».

Il Generale                       - (affare sulla terrazza) Baronessa, dovete ricevere gli ospiti. Sento avvicinarsi la prima carrozza.

La Baronessa                   - Ci mancava anche questa. Subito! Andate voi, intanto, adesso vengo. (Il Generale esce attraverso la terrazza) Ma Teodoro, ci deve pur essere una maniera di darvi soddisfazione. Non vi dovrò mica perdere per questo!

Teodoro                           - Signora baronessa, io non sono un'anima venale. Una soddisfazione adeguata e sufficiente, a questo punto della mia vita, non potrebbe aver luogo, come nei casi precedenti, entro la cerchia della ser­vitù, né dovrebbe consistere in cose esteriori, ma investire il nucleo stesso della questione. Dovrebbe indicare, se così vogliamo esprimerci, dove Dio sta di casa!

La Baronessa                   - Ma non è mica in mio potere darvi una soddisfazione simile.

Teodoro                           - No, riconosco che non potrebbe dar­mela che uno assai più forte di vossignoria. (Sorride).

La Baronessa                   - A che cosa alludete? Ma parlate, dunque! Ve ne pregò a mani giunte, parlate!

Il Generale                       - (entrando) Baronessa, la signorina am Rain sta arrivando in questo momento. (Via).

La Baronessa                   - Se dipendesse da me far ripartire immediatamente questa signora, lo farei di certo; ma non posso.

Teodoro                           - Vossignoria non può, benissimo. Io in­vece ci riuscirei molto facilmente. Molto facilmente forse no, ma con una certa fatica. Fatica che sarei disposto ad accollarmi.

La Baronessa                   - Voi?

Teodoro                           - In un batter d'occhi farei prendere il volo a quelle due svenevoli, come a una coppia di colombelle.

La Baronessa                   - Oh e in che modo, per l'amor di Dio? Non vorrete mica affrontare apertamente mio figlio?

Teodoro                           - Al contrario. Farei in modo che loro stesse dicessero al signor barone, con molto garbo, i motivi che le consigliano a ripartire.

La Baronessa                   - E una soluzione simile, dato che sia umanamente possibile, basterebbe a...? Voi, in­somma, ritirereste le vostre dimissioni?

Teodoro                           - Dovrei riservarmi la decisione in pro­posito dall'esito di tutta la faccenda, a seconda che essa mi offra o meno una vera e completa soddi­sfazione.

Il Generale                       - (entrando) Baronessa, è ora. La si­gnorina Maria è già arrivata.

La Baronessa                   - (per uscire) Aspettatemi qui. (Ma frima che sia fuori scena, affare sulla terrazza Maria am Rain. E' molto pallida e sembra affaticata dal viaggio. Primi saluti stata terrazza; poi le due donne vengono avanti. Il Generale li segue. Anche la cameriera è entrata in scena da sinistra).

Maria                               - (entrando) E' stato molto, molto gentile da parte vostra, permettermi di venir qui, tanto più in una così bella stagione.

La Baronessa                   - Da noi la stagione non è mai bella, ma spero che vi troverete discretamente bene nella nostra vecchia bicocca.

Il Generale                       - E il vostro buon padre? Come sta?

Maria                               - (le si vela la voce) Non molto bene, signor generale.

Il Generale                       - Ed è proprio un uomo che meri­terebbe di star benissimo. Sì, lui più di qualsiasi altro.

Maria                               - Vi ringrazio di queste care parole, signor generale.

La Baronessa                   - Volete che vi faccia vedere la ca­mera che i ragazzi vi hanno destinata? C'è una gran bella vista, questo è tutto. (Va per uscire con Maria).

Il Generale                       - Sento arrivare la seconda carrozza. (A Maria). La baronessa aspetta anche la signora von Galattis.

Maria                               - (sgradevolmente sorpresa) Oh, ma allora restate, baronessa! No, vi prego, restate! La Cameriera                             - La signorina permette?

Il Generale                       - Vi accompagno fino all'uscio di camera vostra. Dovete parlarmi ancora di vostro pa­dre... l'uomo più simpatico della nostra generazione... (Nell'atto di uscire con Maria) Potete ringraziare Iddio di averlo. (Via).

La Baronessa                   - (è rimasta in scena) Venite qui, Teodoro, presto. Poco fa mi avete detto certe cose... ne ho ancora tutta la testa in fiamme. In sostanza credo di aver capito questo: che voi, a certe condizioni, che peraltro non riesco a immaginare come potrebbero realizzarsi, sareste disposto a restare. Io non posso dirvi che questo...

Teodoro                           - Mi sembra di aver parlato delle mie condizioni in maniera piuttosto esplicita. Desidero che, per darmi adeguata soddisfazione, crolli tutto quest'edificio di vanità e di menzogna, come un in­spiegabile effetto dei miei poteri superiori.

La Baronessa                   - Va bene, ma è una condizione irrealizzabile!

Teodoro                           - Ho dimostrato ben chiaro che è realiz­zabilissima, purché mi si lasci agire liberamente.

La Baronessa                   - Io non ricordo affatto cosa mi abbiate detto in proposito.

Teodoro                           - Conosco queste uscite evasive di cui si servono le persone del sesso debole. Di conseguenza me ne andrò in riposo. (La fissa intensamente).

La Baronessa                   - (subito) Io so che di voi sono con­tentissima, e che non ho alcuna ragione di perdervi.

Teodoro                           - (sorride e le bacia la mano) Prenderò di conseguenza le mie misure. Godo della confidenza dell'una e dell'altra signora, per averle trattate du­rante molte anni. Quella... (indica la porta da cui è uscita Maria) è una creatura infelice, dall'anima nobile e sensitiva. La giocherò direttamente. L'altra, invece, la colpirò di mattonella.

La Baronessa                   - Di mattonella? Che significa?

Teodoro                           - Sono espressioni tolte dal gioco del Bi­liardo. Credevo che fossero universalmente note. Me­lania, come la maggioranza delle donne, è al tempo stesso sciocca e astuta. Di conseguenza ho detto che dev'essere giocata indirettamente, ossia colpendola di mattonella. Di conseguenza ho già disposto per iscrit­to che la giovane vedova Erminia si presenti qui al castello e, come aiuto provvisorio, presti servizio presso le due donne.

La Baronessa                   - Erminia? Sì, per conto mio sono più che d'accordo, ma credevo che tra lei e voi ci fossero dei dissapori.

Teodoro                           - Le ho perdonato, comunicandoglielo in una missiva. Di conseguenza essa giungerà felicemente stasera e mi sarà ciecamente sottomessa. Nel servire le signore di alto rango la si può considerare una persona piuttosto esperta.

La Baronessa                   - Sia pure. E io, che debbo fare?

Teodoro                           - Nulla nel modo più assoluto, tranne che lasciarmi padrone di agire a mio modo.

La Baronessa                   - Teodoro, vi scongiuro... vedete, non so nemmeno dove abbia la testa.

Teodoro                           - Adesso pregherei di non usare più scongiuri di sorta, ma solo di voler pronunciare, più tardi, una certa frase, in modo che ognuno, qui dentro, sappia come deve regolarsi.

 

La Baronessa                   - Io non ho detto niente. Non vo­glio sapere nulla. Di che frase si tratta?

Teodoro                           - Vossignoria non avrà che da dire sem­plicemente: « E voi, caro Teodoro, riprenderete la direzione della casa». Questo vi prego di dirlo in presenza del personale.

La Baronessa                   - Ma non ci siamo mica accordati su niente, noi due?

Teodoro                           - Benissimo. Di conseguenza pretenderò che sia pronunciato esplicitamente e in una maniera oltremodo solenne: «E voi, caro Teodoro, ripren­derete la direzione della casa». Avrà per me un se­greto sotterraneo significato, che non potrò avver­tire senza risentirne un lusinghiero senso di appa­gamento. (La fissa negli occhi).

La Baronessa                   - Io dirò... sì, sì, lo dirò...

Il Generale                       - (entrando) Ecco le care ospiti. (Anna e Melania appaiono sulla terrazza. Dietro a loro il giardiniere che, in livrea grigia di cacciatore, porta una piccola borsa. La Baronessa muove loro incontro. E' entrata anche la cameriera)

Melania                            - Siete stata molto buona, Baronessa, a permettermi di venire da voi.

Anna                                - E' completamente libera. Suo marito si dà alle pesca delle trote e lei si fermerà con noi molto tempo. Mi fa un piacere immenso. Andiamo già d'accordo come due zingari sullo stesso cavallo. (La Baronessa lancia una pavida occhiata a Teodoro che le risponde con uno sguardo di superiorità).

Il piccolo Jaromir             - (entra di corsa) Mammina...

Anna                                - Questo è il più grandicello; la piccola te la faccio vedere tra poco.

La Baronessa                   - E mio figlio, che ne dite di quello sventato? Avrà preso il sentiero in mezzo ai campi e la siepe gli avrà coperto la vista delle carrozze.

Anna                                - Perché mentire, mamma? Non c'è mica bi­sogno. Melania sa benissimo com'è Jaromir, lo ca­pisce così bene.

La Baronessa                   - Posso condurvi in camera vostra, sulla torre? Sapete, i ragazzi hanno voluto insediarvi là. Io avrei preferito riservarvi un appartamento più comodo. (Fa un cenno che invita ad andare).

Melania                            - (vede Teodoro) Ah, ci siete anche voi, Franz! (Gli fa un cenno di saluto. La Baronessa) già per uscire, si ferma. Teodoro la fissa).

La Baronessa                   - (sotto lo sguardo di lui) E voi, caro Teodoro, riprenderete la direzione della casa. (Le signore escono. Il Generale le segue, dopo aver lanciato un'occhiata soddisfatta a Teodoro).

Teodoro                           - (alla servitù) In riga! (Dà ordini rapidi e secchi. Il personale si allinea. Al cocchiere) Stac­cate i cavalli! (Alla sguattera) Sbattete la panna (Alla cameriera) Portate delle candele! (Al cuoco) Procuratevi delle trote! (Al giardiniere) Infiorate le stanze! (Alla dispensiera) Sparite! (Via tutti in fretta. Teodoro esce con sussiego).

 

 

ATTO SECONDO

 (Stessa scena, Anna e il piccolo Jaromir siedono ac­canto a un tavolo, a sinistra).

Il piccolo Jaromir             - Mammina, mi porti al circo? Quando? Appena partite quelle signore?

Anna                                - (ricamando) Sì.

Il piccolo Jaromir             - Mammina, falle andar via subito, allora. (Anna ricama in silenzio) Sono venute per te o per papà, quelle signore? Papà le ha chiamate e loro sono venute? Mammina, è vero che papà può tutto? Eh? Dimmi, cos'è che papà non sa fare?

Anna                                - Non seccarmi!

Il piccolo Jaromir             - Dimmelo. Dimmi qual è l'unica cosa che papà non è capace di fare.

Anna                                - Vieni qui, che te lo dico. (Il piccolo Jaromir va di corsa da lei. Essa lo guarda, seria) Dire una bugia, ecco quel che papà non sa fare. (Continua a ricamare).

Il piccolo Jaromir             - (si volta, guarda verso il parco) Mammina, papà sta venendo da questa parte con quella signora, sai, che manda così buon profumo.

Anna                                - Va' su da Baby e guarda se è già sve­glia, ma fai piano.

Il piccolo Jaromir             - Vai incontro a quella signo­ra, adesso? ,

Anna                                - Va', va'! (Il piccolo Jaromir attraversa di corsa la terrazza ed entra in casa. Anna scompare in fretta a destra. Jaromir e Melania escono dal parco).

Melania                            - Qui c'era seduto qualcuno che s'è al­zato al nostro arrivo. Non può essere stato che Ma­ria am Rain, oppure vostra moglie. Ad ogni modo è molto strano. Se non si trova niente di male nel fatto che due persone attraversino insieme un parco, al loro arrivo si resta tranquillamente seduti.

Jaromir                             - Non era Maria, di sicuro. Sono certo ch'era mia moglie.

Melania                            - Perché non può essere stata la vostra amica Maria? Ho avuto la netta sensazione che si trattasse di qualcuno che ci scansa apertamente.

Jaromir                             - Non può essere stata Maria: oggi c'è scirocco. (Melania lo guarda) In tali giornate Maria ha immancabilmente l'emicrania e resta in camera sua fino a mezzogiorno.

Melania                            - Ma se non c'è quasi vento.

Jaromir                             - Non c'è vento, ma guardate che vibra­zione luminosa c'è nell'aria. E' lo scirocco. Rende più belli gli alberi e i fiori... E anche le donne, del resto. Il bianco dei loro occhi ha tutto un altro ful­gore... (le si accosta) ...e le perle, su di un collo co­me il vostro, acquistano un umido smalto che riesce un mistero. Non si sa se sono le perle che si accor­dano così bene con la pelle o viceversa. (Più vicino) E mentre molte persone, quando il tempo è così, si lasciano abbattere e non pensano che a cose tristi, ad altri invece - per esempio a me - quest'aria dà un indescrivibile benessere, e io non riesco più a comprendere me stesso: cioè, mi comprendo benis­simo, ma non capisco più come ci possano essere dei periodi - settimane, mesi! - in cui si ha la pa­zienza di aspettare qualche cosa che dovrà avvenire tra settimane, o tra mesi; mentre è già quasi incon­cepibile la misura di pazienza che occorre per po­tersi dire che al più presto stanotte...

Melania                            - (si scosta da lui e si guarda furtivamente intorno, per vedere se nessuno li osserva) Ora che mi ci avete fatto pensare... io appartengo a quella categoria di persone che lo scirocco induce a pensieri piuttosto spiacevoli. Ieri sera, ad esempio, mi era del tutto indifferente che la vostra amica Maria fosse di nuovo qui. Oggi invece mi fa rabbia che quella pallida martire compaia in tutti i posti dove mi trovo con voi.

Jaromir                             - E' stato un puro caso che l'anno scorso si trovasse anche lei a Gebhardstetten.

Melania                            - Non esiste il caso. Anche ieri sera non avevo sospettato ancora nulla quando voi sulla ve­randa, col pretesto di indicarmi le Pleiadi, mi avete detto che la vostra povera piccola moglie ignora a tutt'oggi quante volte, nello scorso aprile, ci siamo incontrati a Gebhardstetten.

Jaromir                             - Era proprio inutile che venisse a sa­perlo.

Melania                            - Ma oggi tutte queste cose mi appaiono spiacevolmente collegate. In tal modo vengo a di­pendere dalla discrezione della vostra languida amica.

Jaromir                             - La buona Maria non sa niente di noi due.

Melania                            - La trovo una ragazza impossibile! Non ne ha abbastanza della pubblicità che il vostro ro­manzo le ha procurato? Vuol compromettersi an­cora?

Jaromir                             - E' un angelo di bontà. Essa è incapace di vedere una qualunque mia azione sotto la brutta luce con cui il mondo, a quanto pare, suol vedere le cose. Essa non pensa nemmeno lontanamente a riconoscersi in un personaggio nato soltanto dalla mia fantasia,.ed è superiore a ogni sorta di pettegolezzi.

Melania                            - Ma io, purtroppo, non sono abbastanza sonnambula da essere superiore all'intera umanità. E spero che ciò che state scrivendo non mi riguardi neanche lontanamente. Jaromir, voglio sperare che vi ricordiate ancora sempre di quel che in aprile mi avete giurato a questo proposito! (Teodoro appare sulla terrazza, vi traffica un poco poi esce di nuovo. Melania, irritata dalla sua entrata, fa un gesto di dispetto).

Jaromir                             - Sei oltremodo affascinante quando vai in collera. E poi, è sempre un delizioso presagio.

Melania                            - Che significa?

Jaromir                             - Son sempre state così le mattine cui poi ha fatto seguito una serata particolarmente incante­vole. Pensa a Gebhardstetten, al bel tempo Caprile, a quel buio capanno in mezzo al bosco...

Melania                            - Avevo paura, allora. Paura di perderti con quella sfacciata d'un'americana, e anche paura di mio marito.

Jaromir                             - Il .tuo forte sono proprio le situazioni più imbrogliate. Allora diventi assolutamente mera­vigliosa! I tuoi occhi si dilatano, le tue labbra si tra­sformano, le tue mani, il tuo volto!... Chi non ti ha visto così non può immaginare chi sei.

Melania                            - Giurami che quel giorno non hai preso appunti!

Jaromir                             - Appunti, in quegli istanti di paradiso?! Sei pazza, amor mio?

Melania                            - Ma potresti riferire qualche particolare. Oh, ne saresti capace, per un romanzo, una novella!

Jaromir                             - Ma no, mai!

Melania                            - Ah!

Jaromir                             - Ce c'è?

Melania                            - Laggiù, dietro la porta a vetri, c'è Franz che ci sta guardando.

Jaromir                             - Faccia pure! Non è la prima volta che ci vede insieme.

Melania                            - Perché va sempre su e giù? Prima l'ho visto là, in fondo, tra i cespugli.

Jaromir                             - Mio Dio, si vede che avrà qualcosa da fare.

Melania                            - Lo conosco troppo bene, il vostro Franz. Quello che fa è sempre pericoloso, è stato troppi anni alla, vostra scuola. Mi mette paura, sa troppe cose sul mio conto. Allontanatelo di qui per qualche giorno.

Jaromir                             - Non posso. Non è più il domestico mio, ma di mia madre.

Melania                            - Avete notato come mi guarda dall'alto in basso? Sento che mi tende un'insidia e io ci ca­drò di sicuro. Stanotte l'ho sognato, non ricordo più a che proposito... ma certo era qualcosa di spiace­vole. E' troppo legato a tutto quel che di emozionante ho dovuto passare per causa vostra. Pensando a voi, insomma, non vedo più altri che lui.

Jaromir                             - Vi sono molto obbligato. (Erminia esce di casa sulla terrazza con una cartella pzr scrivere e uno sgabello. Teodoro la osserva con severità profes­sionale. Erminia, sotto il suo sguardo, rallenta il pas­so, quindi scende i gradini, un po' indecisa. Si ac­cinge a posare la cartella sul tavolino a sinistra).

Melania                            - Ah, ecco l'occorrente per scrivere, aspet­tavo proprio questo. Grazie, cara. (Teodoro fa cenno a Erminia che non ha messo lo sgabello al posto giu­sto. Essa si confonde, disorientata. Teodoro accorre, sposta lo sgabello e accenna ad Erminia di ritirarsi. Melania fa un passo verso il tavolino) Sento il bisogno di scrivere una lunga lettera a Tinka. Sa­pete, vero, barone

Jaromir                             - (ad alta voce, con intenzione) che Tinka Neuwall è adesso la mia migliore amica? (Erminia è uscita attraverso la terrazza. Teo­doro ha ordinato sul tavolo tutto l'occorrente per scrivere, ha controllato che non manchi la carta as­sorbente e ora si ritira con discrezione attraverso la terrazza).

Melania                            - (dopo essersi sincerata che sono di nuovo soli, in altro tono) Davvero, vorrei proprio scriverle una lettera in cui le direi che qui mi trovo benissimo e ho modo di vedervi spesso e con faci­lità, ma che, contrariamente alle sue pessimistiche previsioni, ci riesce molto facile mantenere dei rap­porti di pura amicizia secondo una linea la cui os­servanza non è che un imperativo della virtù e della prudenza più elementari.

Jaromir                             - Scrivila, questa lettera, scrivila senz'al­tro. (Piano) Ma prima vieni qui. (Melania gli si av­vicina istintivamente) Guarda un po' lassù. (Indica in alto, a sinistra. Melania guarda in quella dire­zione. Lui, vicinissimo, ma senza sfiorarla) Vedi lassù quella finestra col balconcino?

Melania                            - E' la mia?

Jaromir                             - E' la tua. E quella mansarda, dall'altra parte: quella è la mia. E quel piccolo passaggio tra l'una e l'altra... là, dove c'è qualcosa di bianco... ecco, adesso il vento lo solleva... è un foglio di carta... eb­bene, lassù, proprio sotto il muro della torre, rasente l'orlo della grondaia: quello è il sentiero per il quale stanotte, quando tutti dormono, io verrò da te!

Melania                            - Giurami che non scriverai mai niente sul mio conto in un tuo romanzo. Se no tra noi è finita!

Jaromir                             - Ma che vai a pensare! (Le afferra il pol­so, fa per trarla a sé).

Melania                            - (scostando la testa da lui, si libera con uno strattone; ma subito si porta le mani al collo ed esclama) Le mie perle! Dio mio, la collana!

Jaromir                             - Che c'è?

Melania                            - (tiene con ambo le mani il filo della col­lana) Si è strappato! E sono appena due anni che le ho fatte legare. Andate via! State fermo! Non vi movete! Potete calpestarne qualcuna. (Posa con cautela il filo spezzato sul tavolo e comincia affan­nosamente a contare).

Jaromir                             - Ci son tutte?

Melania                            - (contando) Non lo so mica ancora. Tredici, quattordici, quindici, sedici, diciassette, di­ciotto... (A Jaromir) Ma andate via! Non vedete laggiù, vicino al tiglio, vostra madre e il vecchio ge­nerale, che probabilmente hanno già visto tutto? (Conta) Ventisei, ventotto, ventinove... (A Jaromir) Ma insomma, andate a salutare vostra madre! Tren­taquattro... erano trentaquattro? Ecco, adesso mi sono confusa! (A Jaromir) Ve ne andate, sì o no? (Jaro­mir è uscito in punta di piedi, guardando a terra) Ci mancava anche questa. I vecchi, poi ci vedono sempre così bene! (Conta) Dieci, undici... Che se­gno di malaugurio! A chi abbia la testa sul collo non resta più altro che ripartire immediatamente. (Continua a contare sottovoce. Teodoro è apparso improvvisamente. Melania finisce di contare) Cin­quantasette, cinquantotto, cinquantanove...

Teodoro                           - Sono sempre state cinquantanove. Di conseguenza tutto è in ordine.

Melania                            - (trasalendo) Avete... avete già avuto in mano le mie perle?

Teodoro                           - Non in mano, le ho contate sul vostro collo. I miei occhi sono eccellenti. I pari miei sono talvolta costretti ad aspettare in disparte, inosservati, e allora ci si cerca un passatempo. (Melania riordina la sua veste) Ho notato anch'io che i vestiti sono stati messi nelle valigie con poco criterio: di con­seguenza ho dato ordine alla cameriera di stirarli come si deve e di metterli in ordine.

Melania                            - Vi ringrazio, Franz.

Teodoro                           - Non faccio che il mio dovere. Ma c'è dell'altro: vossignoria, a quanto sento, ha ordinato che le sue valigie siano portate in solaio. Nel caso di una permanenza prolungata sarebbe la soluzione migliore. Altrimenti sarebbe forse consigliabile te­nere il bagaglio a portata di mano.

Melania                            - (incerta) La mia intenzione era di fer­marmi una settimana, o dieci giorni.

Teodoro                           - (con uno strano sorriso) Se vossigno­ria, nonostante tutto, vorrà mandare ad effetto que­sta sua intenzione...

Melania                            - Cosa volete dire con «nonostante tutto »?

Teodoro                           - Alludo ai fastidi cui è esposta, in casa d'altri, una signora non accompagnata.

Melania                            - Che intendete dire? Quali fastidi?

Teodoro                           - (con lo stesso infausto sorriso) Per esem­pio, la riparazione del tetto, oggi pomeriggio. Come può vossignoria far la siesta nella sua stanza, se proprio sotto la finestra c'è l'operaio che picchia col martello? Sono situazioni molto spiacevoli.

Melania                            - Debbono riparare il tetto?

Teodoro                           - (sorridendo c. s.) Naturalmente si po­trebbe rimandare. Ma se, poniamo il caso, stanotte si levasse un po' di vento, certe ferraglie lassù co­mincerebbero a sbatacchiare in modo tale che nes­suno potrebbe chiudere occhio, e questo proprio tra la finestra di vossignoria e lo studio notturno del signor barone. Certo, se non ci fosse vento, biso­gnerebbe proprio che qualcuno passeggiasse lassù come un sonnambulo, per provocare qualche sba-tacchiamento. Ma chi, in questa casa, potrebbe mai intraprendere escursioni del genere? Chi mai, chie­do io? (Fissa intensamente Melania. Poi, cambiando discorso) Ma questa è una località molto ventosa. Lassù c'è una corrente d'aria come in cima a una montagna. Vi prego di osservare: ecco là alcuni fogli di carta che svolazzano come tante streghe. Una constatazione molto incresciosa, per me. Può darsi benissimo, infatti, che siano fogli staccati dal diario del signor barone, quei cosidetti fogli di appunti di cui si serve per comporre i suoi romanzi. Ne sono molto preoccupato, si tratta di cose riservatissime. In quelle note lui dice tutto nel modo più espli­cito: guai se cadono in mani profane!

Melania                            - Ma dov'è che vedete svolazzare quegli orribili fogli?

Teodoro                           - Lassù. Vossignoria non può immagi­nare quanto ne sia agitato. Per vossignoria non ha alcuna importanza che quella roba cada in cattive mani, ma per me, che sono responsabile di tutto ciò che avviene in questa casa...

Melania                            - Ma allora andate, correte su e mettete via quei fogli! Ecco, adesso il vento se ne porta via uno. Eccolo là sull'orlo della gronda. Santo cielo, ma... Andiamo, vengo ad aiutarvi!

Teodoro                           - (osserva il Generale, che è apparso in fondo) Corro su immediatamente. Ma il signor Generale vi sta salutando. Di conseguenza vi prego di voltarvi. (Il Generale, con un cappello di paglia, saluta e resta in fondo, su uno scalino della terrazza, Melania gli va incontro dopo un attimo d'esitazione e un cenno disperato verso il tetto).

Il Generale                       - La Baronessa desidera mostrarvi il suo fiore preferito. (Esce con Melania. Teodoro li segue con gli occhi, poi guarda in su, nella solita direzione, con espressione soddisfatta. Via. Maria esce di casa da sinistra con un libro sotto il braccio. Anna è uscita nello stesso istante dall'aranciera. En­trambe si spaventano un poco, e fanno una certa fatica ad apparir disinvolte. Anna è pallida e alte­rata).

Maria                               - Ah, siete voi! Si vede così poco col sole negli occhi. Credevo che fosse Melania Galattis.

Anna                                - L'avevo creduto anch'io, udendo dei passi, il fruscio di una veste. Ero là dentro a cercar qual­cosa. I bambini hanno smarrito una palla.

Maria                               - Vi aiuterò a cercarla. (Breve pausa imba­razzata) Eravate seduta qui. Vedo che ci sono an­cora le vostre cose. Permettete che mi sieda un pò accanto a voi?

Anna                                - Credo che preferiate starvene sola col vo­stro libro, no?

Maria                               - (sorridendo) Ma niente affatto. Sedia­moci qui.

Anna                                - No, qui, se mai. Quello è il servizio da scrivere di Melania Galattis.

Maria                               - (si scosta in fretta dal tavolo) Oh, al­lora no!

Anna                                - Dunque non siete proprio amiche intime?

Maria                               - Io non ho amiche intime. (La sua fisio­nomia s'è alterata),

Anna                                - (subito, con tenerezza) Non occorre che mi diciate nulla. Lo so, voi avete vostro padre. An­che mio padre è stato il mio migliore amico. Fu lui a darmi a Jaromir.

Maria                               - (la guarda con simpatia e sorride, mesta) Ah sì?

Anna                                - No, voi non mi fate paura.

Maria                               - (la guarda, attonita) Io? (Ridono en­trambe).

Anna                                - (lancia uno sguardo verso il fondo, nel parco) Ecco Melania, bisogna che vada a salutarla. Voce del piccolo

Jaromir                             - Mammina, perché non vieni?

Anna                                - E adesso mi chiamano anche i bambini.

Maria                               - Fatemeli vedere, i vostri bambini.

Anna                                - Venite, allora, presto!

Maria                               - Sì, sì, presto. (Scompaiono a sinistra, den­tro casa. Erminia avanza attraverso la terrazza. Sembra che cerchi Melania. Teodoro entra, ma finge di non vederla).

Erminia                            - Signor Teodoro, è andata via Madame? (Teodoro ostenta d'ignorarla) E' forse salita in ca­mera sua? (Lui si immerge nella contemplazione di un cespuglio fiorito. Lei, un po' incerta) Signor Teodoro».

Teodoro                           - (quasi la notasse solo adesso) Ah, osate venir qui? Vi arrischiate a comparirmi dinanzi agli occhi?

Erminia                            - (più vicina) Credevo che tu mi volessi di nuovo bene.

Teodoro                           - Come l'avete creduto?

Erminia                            - Lassù, in camera, mi avete parlato in tono così gentile!.

Teodoro                           - (sprezzante) Per esigenze di servizio vi avevo rivolto poche parole indispensabili e basta. Tenetevelo per detto, Erminia. Coi miei sentimenti non si scherza,

Erminia                            - Quando mi hai scritto che venissi al castello, ho creduto che tra noi tutto fosse come prima. (Teodoro armeggia intorno alle piante, rior­dina il tavolo e si comporta come se fosse solo. Lei, stizzita, prossima al pianto) Tu non hai diritto di trattarmi così!

Teodoro                           - (subito) Che cosa? Non ho diritto? (Le si avvicina con occhio terribile) Chi è, qui, che non ha diritti? Ma cos'è che sta svolazzando? Quelle carte vengono di lassù, dalle camere affidate a voi!

Erminia                            - Devono essere quei fogli che stavano sullo scrittoio.

Teodoro                           - Quale scrittoio?

Erminia                            - Quello del signor barone, che abbiamo spolverato insieme.

Teodoro                           - (indignato) Che? Insieme? Insieme?! (Gelido) Spolveravate voi: io mi limitavo a sorve­gliarvi. (Più piano) E adesso te ne stai così tran­quilla? La prendi come se fosse un'inezia? Di chi è dunque la colpa?

Erminia                            - Ma l'avevo ben detto che c'era cor­rente d'aria, che le carte sarebbero volate via. E tu, per tutta risposta, hai aperto anche l'altra finestra.

Teodoro                           - Che? Si direbbe che vuoi,dirmi un'in­solenza. Sostieni dunque che ho tolto il fermacarte? E' questo che osi affermare?

Erminia                            - Del fermacarte non ho neanche parla­to! Potete averlo tolto o non tolto, e forse l'avete tolto o forse no.

Teodoro                           - (estremamente minaccioso) Posso aver tolto il fermacarte, eh? E' questo che osi dirmi in. faccia!

Erminia                            - Ma voi mi rigirate le parole in bocca!

Teodoro                           - Ah sì, rigiro le parole in bocca? Guar­date! (In fondo svolazzano obliqui alcuni fogli di carta) Muovetevi, dunque! Cose affidate alle vostre cure svolazzano tra cielo e terra! (Erminia ne coglie qualcuno a volo) Laggiù ce n'è un altro. Muovetevi un po' più lesta. Ora si tratta di ben altro che di un amorazzo con un magnano. (Erminia si china a rac­cogliere) E ora portateli su. Un momento! Sapete su che scrivania li dovete mettere?

Erminia                            - Sì, su quella del signor barone.

Teodoro                           - Ah, e non sapete se lì in mezzo non ci siano delle lettere della signora Galattis? Anche la sua finestra è aperta, e col disordine con cui tenete gli scritti può darsi benissimo che siano volate via delle carte, dalla finestra della signora. Bisogna che ci stiate molto attenta.

Erminia                            - (con rabbia, quasi piangendo) Ma, in­somma, cosa faccio adesso con questi stracci?

Teodoro                           - Come come, stracci? Intanto parlatemi in atteggiamento corretto. Comportatevi come si deve! Rientrate in voi stessa!

Erminia                            - (piange) Mi., mi parli come se fossi un'estranea!

Teodoro                           - (furente) Basta, morosa di un magna­no! Per me sei liquidata. Per servir dei signori sotto la mia vigilanza ci vuole ben altro che una tresca amorosa con un ordinario, notorio magnano! Avanti, mettete le cose in ordine, adesso. Sarà meglio per voi che nessuno venga a sapere che delle carte così riservate siano state nelle vostre mani. Mettetele in una cartella. Più presto ve ne disfate e meglio è. Ve lo consiglio per il vostro bene. Ma non qui! Su in camera! (Dice le ultime parole dalla terrazza e scompare poi velocissimo in casa) Razza di micror­ganismo! (Via).

ATTO TERZO

(Stessa scena degli atti precedenti. Maria siede nel capanno e, udendo avvicinarsi dei passi, nasconde in un libro un foglio di carta sul quale scriveva con la stilografica. Poi si alza ed esce da destra. Anna scende la scala col piccolo Jaromir).

Il piccolo Jaromir             - Mammina, quand'è che mi porti al circo'? (Lei non risponde) Chi è che ha in­segnato all'elefante tutto quello che fa'? Il suo guar­diano? Gli può insegnare qualunque cosa, mamma, di'? (Lei annuisce, distratta) Eh, mammina!

Anna                                - Si.

Il piccolo Jaromir             - E a te è il babbo che inse­gna le cose1? E lui che ti ha ammaestrata?

Anna                                - (si scuote) Su, piccolo, stai zitto. Il piccolo

Jaromir                             - Mammina, laggiù c'è Maria che legge.

Anna                                - Vieni, caro, andiamo.

Il piccolo Jaromir             - (-mentre escono) Mammina, quando mi porti al circo e mi fai cavalcare sull'ele­fante'? (Sono usciti da sinistra).

Maria                               - (rientra in scena, si siede al posto di prima. Estrae dal libro il foglio di carta e fa per continuare a scrivere, ma ci ripensa, dà un'occhiata al suo oro­logio a polso, alza lo sguardo, nel tormento dell'at­tesa, spia l'interno della casa) Adesso conto fino a venti... e intanto lui sarà qui. (Chiude gli occhi. Pausa. Riapre gli occhi, si torce le mani, mormora) Non sarei dovuta venire, non sarei dovuta venire! (Teodoro scende silenziosamente le scale e le passa davanti in fretta. Maria sussulta) Ah, siete voi, Franz? (Controllandosi) Avete qualche ambasciata per me"?

Teodoro                           - Vi ho spaventata? Oh, in tal caso vi prego di scusarmi.

Maria                               - Pensavo che ci fosse una lettera, una no­tizia per me. Non so, mi son tanto spaventata

Teodoro                           - Lo capisco bene. Avete sofferto molto, a causa delle sue lettere... e il latore ero sempre io! La mia sola faccia deve riuscirvi sgradita.

Maria                               - (timorosa) Franz, avete qualche amba­sciata per me?

Teodoro                           - Come quella, vorrete dire, del 17 aprile di cinque anni fa, quando cadeste tra le mie brac­cia come morta? (Dopo una pausa) No. Ma... mi permetto di osservare che vossignoria non sarebbe dovuta venir qui.

Maria                               - (quasi tra sé) In questa lettera dico la stessa cosa.

Teodoro                           - Dovete evitare emozioni al vostro si­gnor padre. L'ho visto in città, qualche settimana addietro. Io ho un certo occhio clinico per le fisio­nomìe... (Maria annuisce) Sta forse per ricomin­ciare il solito gioco, dopo un intervallo di cinque anni1? Anche la prima volta l'inizio fu identico. Mi permetto di ricordarvelo: vi ha voluta togliere a un altro che vi amava profondamente. Voi, in pre­da a un oscuro terrore, siete fuggita. (Piano, ma deciso) Io vi ho rintracciata, e ve l'ho condotto; e lui, con le sue chiacchiere senza cuore e senz'anima, vi ha persuasa, ottenendo da voi un nuovo incon­tro, così gravido di conseguenze. (Maria sospira) Allora èra impossibile, ma oggi è ancora possibile porgervi un'ancora di salvezza. Voi siete già arrivata con la coscienza che vi rimordeva. Voi avete men­tito a vostro padre!

Maria                               - Franz, come vi permettete!

Teodoro                           - (cava in fretta una lettera da una tasca, dall'altra un minuscolo vassoio d'argento, e le con­segna la lettera alla fine della seguente hattuta) Lo deduco dal fatto che il vostro signor padre vi spedisce la sua lettera quotidiana a un altro indirizzo. Voi gli avete dato il recapito dei giorni precedenti, fino a ieri, tenendolo all'oscuro della vostra gita quassù. (Maria si è alzata) In questo momento, dunque, vostro padre se ne sta in casa... e il suo cuore infermo - lo so benissimo - è pieno di ansia per la sua unica figlia. Egli va immagi­nando, di questa sua infida figliuola, un lieto avve­nire quale consorte di uno specchiato galantuomo, nel tempo ch'egli non sarà più. Si tratta forse di un'inezia1? Un padre che siede accanto alla finestra, dove forse non siederà più a lungo, e guarda, oltre il giardinetto, sulla strada, se mai una certa signo­rina, che è la sua unica gioia, sì decida a tornar presto a casa... Ma essa va per tutt'altre strade e invano il padre si consuma gli occhi nell'attesa... (Maria intasca la lettera, raccoglie le sue cose) Sì sì, davvero, dovete andarvene. Ma non solo da questa terrazza: dovete troncare la vostra permanenza, e subito.

Maria                               - Sì: del resto avevo già deciso di partire. Gli scriverò tutto.

Teodoro                           - Ah, una letterina, perché lui vi scriva un'altra letterina. Oh no! Basta con le letterine! Non siete mica una Melania, voi. Sembra che lui non possa vivere se non passa dall'una all'altra di voi due. Questa specie di doppio gioco ha per lui un fascino comprovato.

Maria                               - (allo stremo delle forze) Questa è una perfida menzogna! E' un puro caso che quella si­gnora e io si sia giunte insieme. E la colpa è mia!

Teodoro                           - (sorridendo) Oh, voi siete un buon angelo, sempre pronto a prendere tutto su di sé. (Più piano) Ma non lo capite che è il vostro peggior nemico'? Non vi ha fatto disperare in Dio e nel mondo? Negatelo, dunque!

Maria                               - Come fate a sapere queste cose?

Teodoro                           - Ci vuol molto, a saperle! Tra poco sarà qui. Affrontatelo e liberatevi di lui per sempre. Dite­gli che siete stata chiamata, che vostro padre sta peggio. Gli direte che hanno telefonato, e io vi ho appena portato la notizia.

Maria                               - Che cosa dirà se riparto da un momento all'altro1?

Teodoro                           - Qualunque cosa dica, non sarà mai la verità.

Maria                               - Io non posso fargli del male!

Teodoro                           - (piano, ma penetrante) Ma a vostro padre sì, eh? (Sale i gradini, attraverso il terrazzo. Secco) Ragion per cui, partenza alle ore nove e quindici, e. far le valigie! (S'inchina ed esce in fretta. Jaromir entra in scena con un ramoscello di lillà in mano).

Maria                               - (precipitosa, prevenendo ciò ch'egli potrebbe dirle) Devo partire oggi stesso! (Un po' incerta di tono, in fretta) Mio padre è peggiorato.

Jaromir                             - Ve ne è giunta notizia? Quando? Per mezzo di chi?

Maria                               - (con fatica) Dal vostro domestico Franz. Hanno telefonato.

Jaromir                             - Maria...?

Maria                               - (ha raccolto le sue cose) Voglio partire. Devo partire!

Jaromir                             - Maria!

Maria                               - Non siate violento, Jaromir. Non guasta­temi quest'ultima, unica, bellissima giornata. Sono stata quassù. Ho respirato quest'aria, ho visto i vostri bambini. Ho abitato nella vostra casa, passeggiato nel vostro giardino.

Jaromir                             - (più vicino) Maria! Tu mi ami ancora. Se no non saresti venuta. Tu non puoi cessare di essere mia.

Maria                               - (senza guardarlo) Devo partire! Voglio partire!

Jaromir                             - Oh! Tu sei gelosa. (Essa scuote il capo, con un sorriso di pena) Di Melania, forse? Ricordati che l'ho invitata per amor tuo. Sapevo benissimo che tu hai sempre lo scrupolo di essermi di peso. Non vuoi mai che ti dedichi l'intera giornata. E' per te che ho regolato le cose in questo modo, ed ecco che ora te ne vai!

Maria                               - Ho fatto un sotterfugio a mio padre, ho mentito a tutti quanti! Bisogna che me ne vada. ; (Sale un gradino).

Jaromir                             - Sei dunque diventata un'egoista? Proprio tu, Maria? Sai pure, Maria, fino a che punto io possa perdermi quando mi coglie anche solo il sospetto che la vita - lo stesso indescrivibile, incom­prensibile capitale dell'esistenza - mi venga a man­care! Non capisci che non puoi abbandonarmi?

Maria                               - (sullo scalino più alto) Quel che vi oc­corre, ve Io darà vostra moglie, i vostri bambini... Ma io bisogna che parta.

Jaromir                             - Questi sono pretesti! Non parlare di | me... parliamo seriamente di te. Qual è stato finora il cuore della tua esistenza?

Maria                               - (già rivolta per uscire) Sì sì, ma bisogna che parta.

Jaromir                             - Allora sei gelosa di mia moglie! E' possibile?

Maria                               - Io benedico il vostro matrimonio. Benedico tutto quel che vi circonda... purché non mi 1 impediate di partire. Possano i vostri figli amare ed essere amati. (Jaromir sente ormai, di doverla con­siderare perduta) Date a vostra moglie tutto ciò che potete dare... Ma a me, più nulla. Non una parola! Non una lettera!

Jaromir                             - Maria, con che occhi mi guardi!

Maria                               - (uscendo) Addio per sempre. Addio! (Teodoro ricompare, scende la scalinata).

Jaromir                             - (perplesso) La signorina Maria ha de­ciso improvvisamente di partire. E' tutta sconvolta da una notizia che ha ricevuto,

Teodoro                           - Perfettamente. Di conseguenza ho già dato istruzioni al cocchiere. (Si guarda intorno per sincerarsi che Maria sia veramente uscita) Ho anche ordinato che le si mettessero dei fiori in carrozza: un gran mazzo di rose rossocupe, come nei tempi andati... (Si guarda intorno) Ah, ha dimenticato la borsetta. (Va a prenderla).

Jaromir                             - (tra sé) Ci si illude di sapere che una donna non è un'egoista nemmeno nell'ultima fibra del suo cuore, che non sarà mai capace di sacrificarti a un suo capriccio o a tino scatto di nervi...-

Teodoro                           - (idem, a destra, tenendo in mano la bor­setta) Fragile e derelitta com'è, una ragazza come questa ha pure una sua forza quasi eroica...

Jaromir                             - (c. s.) ... ma una circostanza qualunque la mette alla prova, ed ecco che siamo costretti a ricrederci.

Teodoro                           - (c. s.) Chi avesse un cuore in petto, dovrebbe raccoglierne ogni lacrima e ogni sospiro in un cestello di scorza di betulla.

Jaromir                             - (a Teodoro, con altro tono) Avete ordi­nato la carrozza? Perché tanta fretta? Perché si fa sempre tutto col ritmo militaresco di mammà? Franz, forse la signorina rimanderà la sua partenza.

Teodoro                           - (come se fosse solo) Quella non si ferma più. L'ho messa in moto io direttamente.

Jaromir                             - Come, che cosa dite?

Teodoro                           - (si riprende) ma non riesce a dissimulare del tutto il suo trionfo) Ho dato ordine per la partenza io stesso, volevo dire, e direttamente al cocchiere, visto ch'era inutile sperare di trattenere la signorina, nonostante le mie più vive insistenze. (Entra veloce in casa con la borsetta).

Jaromir                             - Roba da diventar melanconici! (Via).

Melania                            - (esce sulla terrazza. Si dirige a destra, salendo la scalinata) Franz! (Riappare Teodoro) Franz!

Teodoro                           - Agli ordini!

Melania                            - Vi ho chiamato, Franz, perché di tutta la servitù voi siete l'unico che mi conosce e che io conosco.

Teodoro                           - Perfettamente.

Melania                            - Non mi sento troppo bene, ma desi­dero che non se ne parli ai vostri padroni.

Teodoro                           - Comandate che si provveda segreta­mente per la vostra partenza?

Melania                            - Oh no, non è affatto necessario. Si tratta di un malessere passeggero.

Teodoro                           - Ordinate che vi si chiami il medico?

Melania                            - No: vorrei solo, per ogni evenienza, aver qui la mia cameriera, capite? Cercate di met­tervi in comunicazione con Waldsee, parlerò io stessa.

Teodoro                           - La chiamata giunge di solito quando i signori sono a tavola. Potrei fare io stesso la com­missione?

Melania                            - Sì, ditele di venire qua col treno del pomeriggio, o in automobile. Ad ogni modo, che mi arrivi al più tardi alle undici di stasera.

Teodoro                           - Glie lo dirò con la dovuta insistenza.

Melania                            - Vi ringrazio. Ecco qualcosa per il vo­stro disturbo. (Gli porge una banconota ripiegata, che ha tolto da uno scompartimento laterale della sua cartella da scrivere. Teodoro prende il danaro inchinandosi e fa l'atto di ritirarsi) Un'altra cosa...

Teodoro                           - Comandate?

Melania                            - Potrebbe darsi che verso sera mi sen­tissi meglio. Allora la mia cameriera può essere alloggiata in qualsiasi parte della casa. Ma invece potrebbe darsi benissimo che avessi paura a star sola, mi capite?

Teodoro                           - In tal caso bisognerebbe mettere un'ot­tomana nella toeletta attigua a dove dorme vossi­gnoria.

Melania                            - Perfetto! Ma non vorrei che in casa se ne facessero grandi discorsi. E' di così poco inte­resse per tutti gli altri!

Teodoro                           - Provvedere io stesso, e con la massima discrezione. (Melania gli fa un cenno d'assenso ed entra in casa dalla terrazza) Oh no, mia cara Mela­nia, non sarà la cameriera a venir.qui: sarai tu ad andartene! E stasera stessa. Un tipo come te non ci metterò molto a domarlo. Non sei proprio niente di speciale. Ti butto giù con un soffio, a te! (Mette la mano in tasca) Ah, ma qui ho una specie di termometro. Ci posso leggere la tua temperatura. (Tiene la banconota nella mano alzata, ma ancora chiusa, come se volesse sbirciare attraverso le dita) Non ti conosco, forse? In genere sei una donna qualunque. Ma quando prendi paura, cominci a seminar soldi ai quattro venti, pur di trarti d'im­paccio. Ora vediamo: se è solo un biglietto da venti, bisogna tenerti ancora un po' sulla corda, e i tuoi nervi dovranno sopportare un altro paio di sorprese. Se è un biglietto da cinquanta, la partita è già mezza vita. (Socchiude la mano e vi guarda dentro) Che?! Cento scellini? Oh, santo Stanislao benedetto, tu riparti oggi stesso, alle nove e quindici! Ti piomberò addosso come un ciclone! (Esce danzando).

ATTO QUARTO

(Una piccola camera con un letto. Ha quel caratte­ristico disordine che suol circondare una donna elegante. In fondo, ma non in mezzo, l'unica fine­stra: una finestra-balcone che arriva fino a terra, i vetri accostati, coperti di tendine. Un uscio a sinistra. A destra un usciolo segreto che immette nella toletta).

Melania                            - (esamina, china, un fascio di fogli mano­scritti; li va scorrendo) Certo che sono io. Mi si annebbia la vista « M... M... M.. » sono io. « Incon­tro nel bosco'»... « Un casino da caccia »... « Gior­nata d'aprile»... « Cercatori nel bosco, con fiacco­la »... « Il marito che segue in carrozza ». Lo chiama Gustavo. Cosa importa, se tutto il resto coincide? Viene qualcuno! (Getta un accappatoio sul pacco, dopo aver riordinato in fretta le carte, va allo spec­chio, si ritocca. Appare un'ombra all'esterno del balcone) Jaromir, come vi salta in mente di venire dalla finestra? Come potete... (Teodoro apre i bat­tenti accostati con una spinta dal di fuori, entra) Ah, siete voi, Franz?

Teodoro                           - Vi chiedo umilmente scusa. Nella fretta ho preso la via più breve per riferirvi a pro­posito della vostra cameriera. Con molta fatica sono riuscito a farmi dare la comunicazione...

Melania                            - Dunque viene...

Teodoro                           - Purtroppo... no. E' sorto un contrat­tempo.

Melania                            - Santo Iddio, ma che cosa? Non dove­vate lasciar sorgere contrattempi! Io non voglio restar sola!

Teodoro                           - Mi permettete di continuare? L'ho fatta chiamare al telefono: essa vi bacia le mani e vi comunica che non può muoversi di là perché sono giunte improvvisamente le sorelle Galattis... o qualcosa del genere.

Melania                            - Le mie cognate a Waldsee?

Teodoro                           - Ritorno imprevisto dalla Moravia... Ragion per cui la vostra cameriera ha dovuto assu­mersi il loro ingrato servizio, opinando che vossi­gnoria stessa, ove l'avesse saputo, le avrebbe certa­mente ordinato di restare sul posto: cosa che dal canto mio non ho potuto che confermare, ben sa­pendo che razza di spie siano quelle due metà nubili metà vedove gentildonne. Ho forse dimenticato che po' po' di caccia hanno scatenato contro di noi, un quattr'anni fa, sulla Riviera italiana?

Melania                            - Dio mio, ricordate ancora quell'orri­bile storia all'Hotel Eden di Nervi?

Teodoro                           - E come potrei dimenticarla? Sono forse un essere così superficiale, da poter scuotermi di dosso il ricordo di quei giorni di terrore come un cane con le sue pulci? Non vedo forse vossignoria dinanzi a me nell'atteggiamento di chi si sente già perduto?... Dove? Ma nell'occhio della mia mente! Io parlo di allora, quando le due cognate seguirono le nostre tracce e comparvero improvvisamente nell'atrio dell'albergo. E il vostro signor marito, è forse uomo da pigliarsi a gabbo? Vi sembra un avver­sario comodo? Credete che si lascerebbe impietosire, quando per giunta quelle due furie soffiassero sul fuoco, adesso come allora? (Melania vuol dir qual­cosa, ma Teodoro non la lascia parlare) Sono cor­nacchie ostinate, quelle due intriganti! Neanche il matrimonio del nostro signor padrone ha sopito del tutto la loro diffidenza. E se avessero di nuovo in mano il minimo appiglio... o un documento... o qualche altro indizio compromettente... come furono allora quelle fotografie scattate da quel lazzarone di cameriere d'albergo, con vossignoria e il signor barone - vicinissimi - al chiaro di luna...

Melania                            - Ma perché ricordate queste cose? E' spaventoso che le sappiate. ancora.

Teodoro                           - (molto serio) Io ricordo tutto. Ma non per questo ci si deve vergognare di fronte a me. Ci sono degli individui che non si interessano che di se stessi. Io non appartengo a questa categoria. Fui proprio io, tra l'altro, a comperare la lastra fotografica a quel lazzarone, di modo che la prova fu distrutta e le signore cognate dovettero sgom­berare il campo come calunniatoci gratuite, masti­cando fiele... (Riordinando la camera) Raccomanderò energicamente alla ragazza di riordinare più spesso durante la giornata. Si direbbe che non sappia cosa significa servire una signora. (Solleva l'accappatoio e scope il manoscritto) Ah, questa, poi! Ma come mai è qui, questa roba? Cielo, mi- prende un colpo!

Melania                            - Voi conoscete questi scritti?

Teodoro                           - Ma come è possibile? Come fanno a essere qui? Se li conosco! Ma se è il nuovo ro­manzo! Tutti fatti che ho vissuto anch'io. Natural­mente ci sono delle inesattezze. Il signor barone una pessima memoria. (Con sufficienza) Ogni tanto mi interroga su un particolare: e regolarmente si tratta proprio della cosa essenziale. (Sfoglia il manoscritto) Confesso che, di conseguenza, sono molto sorpreso. C'è dunque stato un abboccamento a questo proposito, (indica il manoscritto) e voi in un momento di debolezza, avete dato il vostro con­senso?

Melania                            - Io? Dio del cielo! (Sgualcisce tormen­tosamente il fazzoletto).

Teodoro                           - Però, scusate tanto, ma non è senza pericolo. Se questo venisse tra le mani di quelle signore cognate, credo che sarebbero disposte a sborsare un bel po' di quattrini. Userebbero questo scartafaccio come un corpus delieti! Ma vossignoria avrà certo già pensato a tutto questo. Vi chiedo anzi di compatirmi se mi lascio trascinare così dalla mia antica devozione.

Melania                            - Franz, voi siete un vecchio amico, un vecchio confidente... Vi dirò tutto. Gli è che... avevo... mi ero... non so. Quel pacchetto stava lì... Sono fuori di me.

Teodoro                           - Allora è diverso. Il signor barone ve l'ha consegnato perché ne prendiate visione.

Melania                            - Se vi dico che non lo so! Stava lì sopra. Io l'ho aperto e sono rimasta come fulminata.

Teodoro                           - Vogliate sedervi su una poltrona.

Melania                            - (si siede) Al contrario, mi era parso di capire... Il signor barone me l'aveva assicurato... Voglio dire, mi era parso di capire che non avrebbe mai utilizzato per i suoi diari i ricordi relativi a me e ai nostri incontri di un tempo.

Teodoro                           - Capisco. Ah, adesso comincio a vederci chiaro! Ah, ora tutto si spiega!

Melania                            - (balza in piedi) Che cosa, Franz, chi? Caro Franz, che volete dire?

Teodoro                           - Ora capisco!

Melania                            - Capite che cosa?

Teodoro                           - Quell'andare attorno di Milli e tutto il resto. E quella tal Rosa è ancora oggi in relazione con le vostre cognate: di questo son sicuro.

Melania                            - Franz, aiutatemi dunque! (Prende il portamonete ch'era buttato in qualche angolo).

Teodoro                           - C'erano molti rumori al telefono. Si sentiva malissimo. Ma una cosa è certa: la vostra cameriera non ha voluto venire e ha accampato un pretesto, quella subdola creatura! Ha paura di vostro marito. Sa benissimo che se lui la scoprisse mezzana, le farebbe passare un quarto d'ora non troppo allegro. Ma vossignoria ha un aspetto sofferente. Comandate che vi porti su un tè, un cognac? (Melania fa cenno di no) Ha borbottato anche qualcosa sul cattivo umore di vostro marito. Adesso ricordo!

Melania                            - Che debbo fare, Franz? (Ha in mano il portamonete).

Teodoro                           - Me lo chiedete veramente, o è solo un modo di dire?

Melania                            - Ve lo chiedo veramente, caro Franz! Certo che ve lo chiedo!

Teodoro                           - (alludendo al manoscritto) Questo qui deve sparire. Allora le losche spie resteranno senza prove e potranno andarsi a impiccare.

Melania                            - (trae frettolosamente molto danaro dal suo portamonete e glie lo caccia in mano appallottolato)Fate quel che vi sembra opportuno!

Teodoro                           - (prende il danaro e se lo infila nella tasca del panciotto, ma fa un passo indietro) Scusate, come sarebbe a dire?

Melania                            - Mettetelo via, bruciatelo!

Teodoro                           - (posa il manoscritto sul tavolo come se gli ardesse in mano) Ah, questo no, non me la sento. E chi sono io, per osare tanto? Non sono che un servitore. Lui, poi, smemorato com'è, tiene a questi appunti come alla pupilla dei suoi occhi... Ah no, mi giocherei nientemeno che l'esistenza. Guai se si venisse a sapere!

Melania                            - (si torce le mani) Mio Dio, ma datemi dunque un consiglio!

Teodoro                           - Volete un consiglio? Consigliabile sa­rebbe questo: partire stasera stessa e portar con voi questa roba come cosa vostra.

Melania                            - Portarla con me?

Teodoro                           - La si avvolge e la si mette nella vali­gia. E vossignoria sarà sicura come nel seno di Abramo.

Melania                            - Ma come posso fare una cosa simile?

Teodoro                           - Perché non dovreste potere? Quali argomenti credete che vi possa opporre? Morali. forse? Vorrei vedere anche questa? Lasciate pure che vi raggiunga e venga a riprendersela. Lasciate che ve la chieda in ginocchio: voi gli detterete le condizioni.

Melania                            - Ma non posso mica rubare!

Teodoro                           - (posa lo scartafaccio) Ah, scusate. Allora no. Di conseguenza mi permetto di ritirarmi.

Melania                            - Franz, mettetelo nella mia valigia, presto! Ho deciso di partire! (Bussano alla porta).

Teodoro                           - (sorridendo soddisfatto) Alla peggio, poi, si può sempre dire che è stato messo nella valigia per isbaglio e se ne dà la colpa al personale ausi­liario. (Prènde il pacco).

Melania                            - Avanti (A Teodoro) Mettetelo in fondo al baule dei vestiti. (Dinuovo, verso la porta) Avanti! (Teodoro, col pacchetto sotto il braccio, si avvia len­tamente verso la porticina a destra).

Jaromir                             - (entra da sinistra; stupito) Ma che cosa fate di nuovo qui? (Piano, a Melania) Sono sorpreso.

Melania                            - Perché dite « di nuovo »? Ho chia­mato Franz proprio adesso. Deve aiutarmi a mettere presto tutto in ordine, (Consulta l'orologio a polso) Parto tra due ore e venti minuti.

Jaromir                             - Partite? Ve ne andate di qui?

Melania                            - Alle nove e quindici. (Teodoro è occu­pato a raccogliere piccoli oggetti da toletta, sacchettini, pantofole, nastri, guanti, che sono disseminati un po' dappertutto).

Jaromir                             - (fuori di sé per lo stupore e per la rabbia) Voi... voi... (Volgendosi istintivamente a Teodoro) Che significa questo? (Teodoro sostiene lo sguardo di Jaromir, lo ricambia con un gentile sorriso e indica Melania).

Melania                            - Perché interrogate lui? Ora vi dirò tutto. (Più piano) Partendo da casa, sentivo che c'era qualcosa che non andava.

Jaromir                             - In che senso? (Teodoro volendo prendere una veste da camera buttata o appesa là dove si appoggia Jaromir, obbliga quest'ultimo, con un de­voto sorriso a spostarsi).

Melania                            - (a mezza voce) Relativamente a mio marito e alla mia venuta quassù. Ho telefonato. Era proprio come immaginavo. Se l'è presa molto a male che sia venuta senza di lui.

Jaromir                             - (sconvolto, con voce tonante, battendo il piede a terra) E' enorme.

Teodoro                           - Comandate?

Jaromir                             - Non ho parlato con voi. (Teodoro sor­ride e raccoglie cuscinetti per spilli, fotografie, libri francesi, flaconi ecc., e li porta nel camerino attiguo, andando frettolosamente su e giù).

Melania                            - (consulta di nuovo l'orologio a polso) Mi resta appena il tempo di scusarmi con vostra madre e di congedarmi da vostra moglie. (Jaromir si morde le labbra. Lei, d'ora in poi, con calma e sicurezza incantevoli) Avete una mogliettina deli­ziosa. (Più piano) Abbiamo pensato troppo poco a lei. E troppo poco anche a mio marito.

Jaromir                             - (talmente infuriato da dimenticare ogni cortesia) Così tutto d'un colpo, è inaudito!

Melania                            - (calmissima, soave) L'ho sentito im­provvisamente stamattina.

Jaromir                             - (sottovoce, con cattiveria) Stamattina? Ah, oh!

Melania                            - (scostandosi e alzando il tono di voce) Mi ha spiacevolmente colpita il modo con cui sem­brate considerare quella storia... dell'aprile scorso... quella serata nel casino di caccia...

Jaromir                             - Come sembro considerarla?...

Melania                            - Sì, la parte che ci ha avuto mio marito... allora, e in altri incidenti anteriori...

Jaromir                             - Incidenti, li chiamate? E' un'espres­sione piuttosto antipatica.

Melania                            - (a mezza voce, tranquilla) Lo so. Tutto quello io l'ho vissuto, Jaromir; vissuto e... (più pìano) ...anche goduto, forse. Talvolta sono una creatura molto leggera... e... non posso sopportare di perdere un amico e perciò parto.

Jaromir                             - E' un brutto sogno! Questa successione, questa duplicità di casi...

Melania                            - Che avete? Quale duplicità? Se ve l'ho detto: ho capito che mio marito non vede di buon occhio che io stia qui sola. Sono venuta soltanto a fare una capatina per calmare la vostra impa­zienza: perché voi siete un uomo impaziente e io una vecchia buona amica.

Jaromir                             - Ah, questo voi lo chiamate calmare la mia impazienza?

Melania                            - Adesso me ne vado a casa e poi, se non avete nulla in contrario, ritorno la prossima settimana, o quella dopo... con mio marito. Lui qui si troverà benissimo. Ha un'inclinazione particolare per le creature del tipo di vostra moglie.

Jaromir                             - (furibondo) Tu mi nascondi qualche cosa! Qui c'è sotto un uomo, ma non è tuo marito!

Melania                            - (lo guarda) Oh, come mi conoscete male, Jaromir! Mi rattristate molto, sapete.

Jaromir                             - Vi conosco male?

Melania                            - (calmissima) Forse conoscete parec­chio di me, ma non ciò che ho forse di migliore. Non quella parte di me, ad esempio, che conosce mio marito. Ma è colpa mia. L'ho nascosta io stessa ài vostri occhi, come a mio marito ho nascosto quell'altra. E io so, a mia volta, che anche voi na­scondete deliberatamente la vostra parte migliore a me.

Jaromir                             - Ah sì? E sarebbe?

Melania                            - Il vostro matrimonio e il grande amore che, dopo un inizio un po' precipitoso e, da parte vostra, addirittura frivolo, deve aver destato in voi quella donna così retta, onesta, incantevole, bella, e tanto innamorata di voi...

Jaromir                             - Ah, mi raccomandate mia moglie! Ma bene, è proprio una serie! Siete tutte uguali! Schiave dei vostri piccoli capricci più o meno isterici. Potete essere diverse quanto volete, in una cosa sarete sempre identiche: nell'egoismo più sconfinato. Chi vi permette di amministrare in tal modo quel divino potere che ci incatena a voi? (Bussano alla porta di sinistra).

Melania                            - (subito) Avanti. (Entra da sinistra Teo­doro, seguito da Erminia. Jaromir tamburella con le dita, rabbioso, sul comò che gli sta accanto).

Teodoro                           - (sbirciando il proprio orologio) Vossi­gnoria vorrà scusare se cominciamo già a far le valigie. La carretta dei bagagli parte prima delle otto.

Melania                            - Ma certo, fate pure. Portate qui anche il secondo baule, qui c'è più spazio. E badate, Franz, che quella cosa che vi ho consegnata poco fa venga poi messa bene in fondo.

Teodoro                           - Benissimo, ci starò attento. (Va con Erminia nell'attigua toletta, di cui resta aperto l'uscio).

Melania                            - (dando un'occhiata a Jaromir) E adesso vi resta appena il tempo di accompagnarmi a pren­dere congedo da vostra madre. L'ultima mezz'oretta prima di cena, poi, la voglio trascorrere con vostra moglie... ma senza di voi. Noi donne abbiamo una infinità di cose da dirci. (Teodoro ed Erminia en­trano portando diversi scompartimenti di bauli, sui quali sono ammucchiati vestiti, camicette, vestaglie, kimoni, ecc. Jaromir sta per dir qualcosa. Melania si volge in quell'istante a Erminia) Vi do molto incomodo, mia cara: prima disfare le valigie, ora ri­farle. Tenete almeno questa camicetta. Spero che vi piaccia.

Erminia                            - Oh, Madame! (Le bacia la mano).

Jaromir                             - (mormora, rabbioso) Così sprecate dun­que questi ultimi minuti!

Melania                            - (si volge a lui) A voi, barone Jaromir, non posso fare nessun dono d'addio. Al contrario, vi porto via qualche cosa... una cosa cui attribuisco enorme importanza.

Jaromir                             - (senza badare alle sue parole, in un estre­mo desiderio di trarla a sé, sottovoce, mentre Teo­doro ed Erminia sono di nuovo scomparsi per un attimo nella toletta) Vedi là quel ponticello? Oggi stesso sarebbe servito a qualcuno per venir qui... a un tenero amico, Melania! Lo si sarà dun­que costruito invano?

Melania                            - (forte, visto che Teodoro ed Erminia rientrano, carichi di vesti e di mantelli) Come dite, barone? No, i colpi di martello qui fuori non mi hanno disturbata affatto. Non dormo mai al pomeriggio. Stavo leggendo: vero, Franz? Mi avete trovata che leggevo.

Teodoro                           - Precisamente.

Melania                            - Sapete bene, io non leggo quasi mai, tranne libri molto superficiali, che lasciano il tem­po che trovano; eppure qualche volta mi succede che una lettura mi faccia fare molta strada den­tro me stessa. E' quello che è accaduto oggi pome­riggio. A un tratto ho scoperto chiaramente il con­fine tra tenero e frivolo; tra ciò che forse si po­trebbe ancora scusare e ciò che è semplicemente imperdonabile.

Jaromir                             - (cupo) Non vi capisco proprio.

Melania                            - (molto seria) Ah no? Non mi capite? Davvero, Jaromir? In questa casa avete più di quanto meritiate. E io ho altrove ciò che in fondo è la mia vita. Per questo adesso me ne vado, e voi' restate qui.

Jaromir                             - Non ci capisco nulla. Ma vi accom­pagnerò da mia madre.

Melania                            - (davanti alla porta) No, vorrei che mi lasciaste andare sola e che pensaste un mo­mentino... (esce) ...a quel che vi ho detto. (Jaromir va a premere stizzosamente la sigaretta in un piccolo portacenere).

Teodoro                           - (osservandolo con un'espressione singo­lare, impenetrabile) Disturbiamo, forse? Dobbia­mo andare con le valigie nella camera accanto? (Jaromir trasale ed esce in fretta dalla stanza, senza rispondere. Teodoro, prima ancora che l'uscio si chiuda, a Erminia, senza guardarla) Voi mettete dentro, io scelgo la roba e ve la passo.

Erminia                            - (con alcuni kimoni dai soavi colori sul braccio) Quanto son belli!

Teodoro                           - (senza guardarla) Ci lasci gli occhi, tu, su questa roba. To', avanti?

Erminia                            - (mette dentro) Se ci penso! Portare una cosa così, deve dar l'impressione di essere un angioletto con le alucce sulle spalle.

Teodoro                           - Quante storie! Là, metti dentro que­sti stracci. (Glie li porge).

Erminia                            - (s'inginocchia e mette dentro) Eppure non valgono poi mica tanto, queste signorone!

Teodoro                           - Che discorsi vai facendo? Lavora! Io il tempo non lo rubo mica.

Erminia                            - (alzando gli occhi) Già, di quella là non si può dir niente. Si dice infatti che ti sei in­namorato della baronessa giovane, e per questo le donne come me ti sembrano ormai troppo ordi­narie.

Teodoro                           - (senza degnarla di uno sguardo, ma sem­pre in modo che il suo guardare altrove sembri giu­stificato dal lavoro di cernita che sta facendo) Sono linguacce miserabili. Gente incapace di ca­pire un uomo come me. Per il solo fatto che get­tano uno sguardo d'amore e d'attenzione su una creatura umana come la signora Anna, credono di poter spettegolare sul mio conto. Perfino un tipo come questa Melania, se me la immagino innalzata fino alle mie braccia... (Ha in mano uno dei leggeri abiti da sera di Melaniaf e ne aspira brevemente il profumo) Essa è diecimila volte meglio dell'uso che lui ne fa! E lei, to', tiene la sua fotografia come quella di un idolo, senza alcun pudore! (Le getta il vestito che ha in mano e qualche altro ancora) Che cosa vede, lui, in una creatura umana, se non que­sto: queste sete... queste pelli, queste batiste, questi chiffons... (Glie ne lancia a piene mani) Ecco l'u­nica cosa che lo interessi! I suoi cinque sensi non . vanno più in là. E' il suo forte, correre dietro a questi stracci profumati, ne va pazzo... E chi ci va di mezzo sono quelle povere creature... E per que­sto la città non è grande abbastanza: ci vogliono i treni e i vagoni-letto, ci vogliono le automobili e i teatri e bisogna far le valigie e bisogna disfarle e la caccia non finisce mai... e occorre il telefono... e si scrivono i bigliettini e si leggono i libriccini e si parla inglese e francese e italiano... e in quelle frivole lingue lui si addormenta come in uno di quei pigiama di seta coi quali va a commettere le sue infamie notturne. Ma ha forse un'anima in corpo, che gli sgorghi dall'intimo di se stesso? Sì? No! Ecco qua! (Tira selvaggiamente il cassetto più basso di un comò, dal quale traboccano scarpette e babbucce di ogni genere e colore: bianche grigie, nere, viola, dorate) Ecco il linguaggio truffaldino che lui conosce tanto bene... To', guarda! (Infila le mani dentro due scarpe e le fa muovere come ma­rionette) Un linguaggio lascivo, al quale rispon­dono con fuoco i suoi sonnolenti, infami sguardi di blasé. Là! Là! pancia le scarpe come proiettili con­tro Erminia) Questa è la crema della società! Là! Là! Là! Ah, senti! E' per questo che Domineddio ha creato il mondo: perché lui, proprio in cima alla piramide sociale, possa, con le sue scarpe di cop­pale lustrategli da un qualsiasi Franz, far piedino con uno di questi cosi che tengo in mano. To'! To'! Ah, senti! La tua faccia non la voglio più vedere, quella tua vile faccia da gran signore annoiato! Sì, proprio come sei qui sopra, con tanto di cornice dorata! Là! (Ha sfilato fulmineo la fotografia di Jaromir dalla cornice, la straccia in due e la rimette a posto lacerata).

Erminia                            - (si ritrae vivamente) Che occhi fate, signor Teodoro! C'è da aver paura. Ma che uomo siete?

Teodoro                           - (con un balzo va a cingerle la vita) Non è forse bene che tu abbia paura? Sono dunque in collera con te? A quel che sento, ti corrono dei brividi freddi lungo la schiena.

Erminia                            - (fa per staccarsi, ma senza troppo impe­gno) No, lasciatemi! Son troppo ordinaria, per voi.

Teodoro                           - (accanto a lei) Ah, ma se io sono temi-bile, tu mi temi troppo poco. Cos'è che hai detto alla Wallisch sul mio conto? Che la mia virilità non ti fa più effetto! Che ti sei liberata dalle mie unghie! Ma lo sai che questo è.un sacrilegio? (Mu­tando improvvisamente tono, con estrema tenerez­za) Sì, hai proprio detto queste cattiverie. Ma ne sono ben contento. Mia piccola donnina insignifi­cante! (ha bacia) E chi ti dice che io non accerchi la tua mediocrità da ogni parte con un amore di fudco e la porti su su, verso l'alto?

Il piccolo Jaromir             - (di fuori) Babbino! Babbino!

Erminia                            - Ma insomma lasciatemi! Fuori c'è qualcuno! Signor Teodoro!

Il piccolo Jaromir             - (accanto alla porta, ma ancora fuori scena) Babbino!

Teodoro                           - (si è subito trasformato di viso e di voce) Bene, e adesso terminate di far le valigie! (Il piccolo Jaromir lo si sente vicinissimo alla porta).

Erminia                            - (a mezza voce) Come posso, adesso? Sono tutta sconvolta.

Teodoro                           - (id., ma con estrema energia) Per l'ani­ma tua! Non una parola frivola di fronte al bam­bino! (lux spinge risolutamente nello stanzino at­tiguo).

Il piccolo Jaromir             - (entrando) Babbino, vengo a salutarti. (Si guarda intorno impaurito, finché scopre Teodoro).

Teodoro                           - (ritto nel riquadro della porta che dà nella j toletta, la schiena contro il battente) Hm... (Sor­ride amorevole).

Il piccolo Jaromir             - (dapprima spaventato, ralle­grandosi poi subito) Teodoro! Dov'è il babbo? Non riesco a trovarlo, e anche la mamma mi ha mandato via. Dov'è il babbo? (Teodoro indica, coni uno strano cenno,.di non saperlo. Il piccolo Jaromir gli sorride).

Teodoro                           - (avanzando di un passo) Come dice il j mago al bambino?

Il piccolo Jaromir             - (con voluttuoso terrore) Vie-1 ni, bambino caro... non aver paura... io sembro un uomo come gli altri... (Si ferma).

Teodoro                           - Vieni, bambino caro, io ti voglio bene come papà e mamma, io capisco la tua anima... Vo­lerò con te... (Lo afferra di colpo, lo stringe a sé con tenero vigore e scompare con lui sul balcone. Il piccolo Jaromir ride di gioia).

ATTO QUINTO

Scena del primo atto.

(Entrano in alto, da destra: Teodoro, in frac, con un gran vassoio, con su bicchieri, caraffe e posate d'argento; il giardiniere, in livrea grigia da caccia­tore, con un secondo vassoio carico di piatti e di altre posate; quindi Erminia, vestita di nero, con la cresta, il grembiule e i guanti bianchi, che porta, su un terzo vassoio, la biancheria da tavola. Depon­gono ed ordinano la roba su due comò - a destra e a sinistra della porta a vetri - che servono da credenza. Erminia prende la tovaglia, attraversa la vetrata e comincia a preparare una tavola di sei coperti, che si stende metà dentro il salone, metà sulla terrazza).

Teodoro                           - Svelti, svelti, affrettatevi! Bisogna ser­vire e cenare in fretta, perché poi si fa partenza, ra­pida rapidissima partenza!

Il Giardiniere                   - Da quando in qua si serve sulla terrazza, invece che in sala da pranzo? Questa è proprio nuova. (Via).

Teodoro                           - Prima di tutto non è affatto nuova, ma è una cosa vecchissima, e in secondo luogo non vi riguarda un accidente. (A Erminia) Sai dove ti farò dormire, stanotte? Lassù! (Indica dritto in alto) Là, dove abbiamo alloggiato quella tal Melania, an­drai a metterti tu, e io, seguendo quel vertiginoso sentiero sui tetti... (imita il funambolo che cammi­na sulla corda) ...verrò da te a farti una piccola vi­sita, capito?

Erminia                            - Maria santissima! Ma lassù dorme il signor barone; sentirà tutto.

Teodoro                           - Passerò proprio dalla sua camera, e lui stanotte lo piazzo altrove. Ho già deciso.

Erminia                            - Siete un gran chiacchierone!

Teodoro                           - (scherzoso e galante) Come ti permet­ti? A quanto pare, è già da troppo tempo che non mi temi più (Erminia ride) Ti ribelli? Aspetta un poco! Ci penserò io a domarti! Oggi mi riceverai con la blusa nuova, come segno che mi temi ancora.

Erminia                            - La vedremo!

Teodoro                           - (tenero) Ah, ridi? Ho l'impressione di essermi scaldato in seno un serpentello maligno.

La Baronessa                   - (dall'alto, a destra) Teodoro, ave­te idea dove possa aver lasciato il mio lorgnon? (Teodoro corre verso un mobile, prende l'occhialetto dimenticatovi e lo porge alla Baronessa. Lei, con gaia benevolenza) Che ne dite, Teodoro, di quest'improvvisa partenza delle due signore? Non è una grossa sorpresa?

Teodoro                           - (con un'espressione che dice tutto senza nulla tradire) Vi ringrazio umilmente che vi de­gnate di riconoscerlo.

La Baronessa                   - (con un'ombra di connivenza) Ma io non ho detto nulla.

Teodoro                           - Tuttavia l'avete fatto capire. (Il Gene­rale entra da sinistra, spiando prima timidamente attraverso la porta socchiusa. Teodoro esce in fretta dall'uscio a vetri, che si richiude alle spalle).

La Baronessa                   - (scorgendo il Generale, gli fa un lieto cenno con la testa verso Teodoro) Non va più via, ha revocato le dimissioni di sua spontanea volontà. Oggi è di nuovo il Teodoro di una volta. Avete osservato il suo passo?

Il Generale                       - E' il passo che suole avere quando è contento di sé. C'è dentro quasi uno spasimo di orgoglio.

La Baronessa                   - (va verso la panchina) Appunto. Un momento fa io e lui abbiamo preso un accordo. Voi sapete che mio marito, quand'era ancora ad­detto militare a Costantinopoli, ha portato Teodoro dappertutto con sé, a Smirne, a Damasco, non so neanch'io in quanti altri posti.

Il Generale                       - (spaventato) 'Amelia! Volete di nuovo viaggiare?

La Baronessa                   - Altroché, e non con una stupida dama di compagnia cui in ogni stazione dovrei aiu­tare a portare il bagaglio, o reggere la fronte quan­do ha il mal di mare. Teodoro invece sì che è una guida ideale: sa cavarsela ovunque.

Il Generale                       - Amelia, io lo sentivo che sareste tornata a viaggiare.

La Baronessa                   - Sono stanca di soffrir di nevral­gia sotto questo eterno cielo piovoso! Voglio sedere ancora una volta, in quell'aria dorata, vestita di chiaro, sulla terrazza di un albergo e veder davanti a me dei minareti.

Il Generale                       - Starete lontana per due, tre mesi?

La Baronessa                   - Anche cinque o sei, spero.

Il Generale                       - (crolla il capo, triste e rassegnato) Come farò a sopportarlo? (Si alza).

La Baronessa                   - E se vi dicessi che proprio Teo­doro, senza che glie ne dicessi parola, ha ventilato l'idea che voi mi veniate incontro a Smirne o ad Atene?

Il Generale                       - (con improvvisa gioia infantile) Ve­nirvi incontro, io?

La Baronessa                   - (con molta grazia) Se non vi disturba troppo di far le valigie.

Il Generale                       - (fuori di sé dalla gioia) Amelia! (Torna improvvisamente a rattristarsi) Ah, la pro­posta è partita da Teodoro. E voi...

La Baronessa                   - (seria, con grazia) Ado, senza di voi non sarei che una di quelle vecchie signore che si vedono seder sole e imbronciate negli stabili­menti balneari e negli alberghi, e che nessuno capisce perché stiano ancora al mondo. (Gli porge la mano da baciare. Il Generale lo fa con le lacrime agli occhi).

Anna                                - (entrando dall'alto, a sinistra) Oh, credevo che... che fosse qui Jaromir. Melania è stata da me un momento fa. E' tanto cara! Credo che cerchi di te. Mi ha promesso di tornare in agosto con suo marito.

Milli                                 - (si affaccia a sinistra) Signora baronessa, la signora Galattis è sopra nel boudoir, e anche la signorina am Rain vorrebbe prendere congedo.

La Baronessa                   - Vengo.

Il Generale                       - Se permettete, vi accompagno. (Escono entrambi. Jaromir entra da sinistra, dove la mensa è già apparecchiata e Teodoro vi sta appunto mettendo il trionfo ornato di fiori, Anna, in piedi a destra, ha visto Jaromir, ma questi, irritato e distratto, sta per attraversare diagonalmente la sala e, a tutta prima, non si accorge di lei).

Anna                                - Jaromir!

Jaromir                             - Ah, sei tu!

Anna                                - C'è qualcosa che ti secca1?

Jaromir                             - Vengo dalle scuderie. Per non so che motivo hanno attaccato il tiro a due, in cui al mas­simo c'è posto per un paio di persone. Il che signi­fica, dato che non si possono mandar via le due donne senza che nessuno le accompagni, che dovrò andar con loro io solo. Una cosa stupida, irritante! Le seccature vengono sempre tutte in una volta.

Anna                                - Che altro c'è, Jaromir? Dimmelo.

Jaromir                             - Ho perduto un manoscritto, la prima stesura provvisoria del mio nuovo romanzo. Perduto o spostato, insomma non c'è più. E se voglio scri­vere questo benedetto romanzo, non posso farne as­solutamente a meno. (Si siede sulla panca).

Anna                                - Perduto non può essere. Se poco fa l'avdvi ancora, vuol dire che è solo spostato. Domattina fa una bella passeggiata, e intanto lascia che io te lo cerchi. Lo troverò, vedrai.

Jaromir                             - Hai già qualche punto di riferimento?

Anna                                - No, nessuno. Ma sono sicura che se cerco per te, Jaromir, una cosa di cui tu abbia bisogno, finirò per trovarla.

Jaromir                             - Non avrò dunque più bisogno di invo­care sant'Antonio, basterà che ricorra a te! Tanto meglio. (Si alza) Arrivederci. Vado. Devo accom­pagnare le nostre ospiti.

Anna                                - Ti prego, concedimi un solo minuto, non puoi negarmelo. Debbo dirti qualcosa. (E' avanti al tavolo).

Jaromir                             - Non stai bene"? Sei un po' pallida.

Anna                                - E' stata una giornata molto dura, per me.

Jaromir                             - E' successo qualcosa alla bambina?

Anna                                - No, al contrario. Sono io.

Jaromir                             - Hai delle complicazioni anche tu? Da quando in qua?

Anna                                - Stammi a sentire, Jaromir, io sono una creatura molto mediocre. Non sono affatto ciò che tu mi credi. Tu mi devi condurre con mano molto ferma e severa. Già ieri sera e poi stamane, ho per­duto completamente il dominio su me stessa. Non sono riuscita a vincere dentro di me un sentimento quanto mai basso e indegno. Sono stata gelosa.

Jaromir                             - Di Melania?

Anna                                - Sì, di Melania. Ma al tempo stesso anche di Maria. Ridi pure di me... Di tutte e due!

Jaromir                             - (con allegria un po' sforzata) Ma que­sta, tesoro, è una malattia abbastanza grave!

Anna                                - Sì, molto grave. Infatti mi ha spinta a un punto tale, che non mi sono vergognata di fare una cosa che ora mi vergogno tanto a confessarti. Ep­pure devo dirtela.

Jaromir                             - Di che si tratta?

Anna                                - Sono stata ad ascoltare.

Jaromir                             - Ah ah! (Corruga la fronte).

Anna                                - Ti inquieti, hai ragione. Castigami! L'ho meritato. (Jaromir tace) Stamattina tu e Melania eravate qui nel parco: io allora mi sono nascosta nell'aranciera per udire...

Jaromir                             - Ebbene?

Anna                                - Mi è sembrato di averti sentito darle del tu. (Sorride) Ma ora so 'bene di essermi sbagliata. Poi, a un certo punto, avete cominciato a parlare a bassa voce, e allora, per orgoglio, mi sono data una scossa e sono uscita dal capanno. Poi abbiamo fatto colazione, poi sono uscita in carrozza con mamma e con Melania, poi c'è stato il tè, e durante tutto questo tempo ti ho sentito come perduto.

Jaromir                             - Perduto, io?

Anna                                - Sì, sono andata in giro e ho sentito quel che dicevano gli altri e ho risposto a tono. Ma dap­pertutto, tra me e le cose, vedevo uno che ti somi­gliava e che pure non eri tu. Non trovo altre pa­role: come una tua sinistra immagine strappata in tanti pezzi. (Si passa la mano sugli occhi).

Jaromir                             - Ma questo è un delirio! E non ti sei tradita affatto, mia povera piccola!

Anna                                - Allora per un momento ho pensato che se doveva essere, avrei potuto anche sopportarlo... e vivere anche senza di te. Ma poi, quando la pic­cola ha alzato le sue braccine verso di me, mi è ve­nuto in mente che sono due giorni che tu non le dai nemmeno uno sguardo di sfuggita. E allora ho provato qualcosa, Jaromir, qualcosa di così orribile... come se mai più nulla al mondo mi dovesse appar­tenere, neanche le mie mani, il mio viso!

Jaromir                             - (la tira a sé) Ma come hai fatto a pren­derti così a cuore questa sciocchezza?

Anna                                - (gli si sottrae dolcemente) E allora ho sentito che se non avessi pregato subito il' buon Dio di renderti a me, sarei stata perduta.

Jaromir                             - (stessa azione) Ma io sono ben tuo, e tu sei mia! (Tra sé) Oh, mai, mai più!

Anna                                - Ma non riuscivo nemmeno più a pregare come si deve: ci pensavo soltanto, prostrata ai Suoi piedi...

Jaromir                             - (c. s.) Qui, accanto a me, dov'è il tuo posto!

Anna                                - ... e Lui mi ha esaudita! All'istante! E ti ha restituito a me.

Jaromir                             - In che modo, angelo mio?

Anna                                - Ho sentito che ti rimandava a me da qualche parte, interamente, per sempre...

Jaromir                             - Nulla potrà mai più dividerci!

Anna                                - (si è sciolta dolcemente dalle braccia di Jaro­mir, e continua a parlare in tono gaio e leggero) Poi ho sentito bussare, ed ecco entrare Melania, e poi anche Maria, tutte e due per dirmi addio, e furono così care!

Jaromir                             - (c. s.) Tu, sei cara! La mia gioia, il piùbel tesoro che ho al mondo!

Anna                                - (c. s.) Maria è una creatura superiore, un'anima così sensibile... e Melania è talmente leale, sincera, intelligente, graziosa!

Jaromir                             - Tu, sei tutto questo, tu, tu sola!

Anna                                - E allora sono riuscita a capire tutto.

Jaromir                             - Che cosa?

Anna                                - Tutto, tutto in una volta! Lo so benissimo che quelle due donne ti sono molto attaccate e che la gente ne ha parlato tanto: ed è appunto per que­sto che hai voluto che tutte e due fossero una volta nostre ospiti... solo per bontà e delicatezza/verso di loro.

Jaromir                             - Come posso sentirti dire tutte queste cose? (La hacia con calore).

Anna                                - Affinché sentano che se anche non hai potuto scegliere loro, tuttavia le stimi e le stimerai sempre moltissimo. E io - non importa se in avve­nire le vedrò molto o poco - io mi sento già così af­fezionata a tutte e due... sì, perché ho capito quello che valgono.

Jaromir                             - E io ho capito quello che vali tu! Ora come non mai..

Anna                                - (tra il riso e il pianto) No, ti prego, no!

Jaromir                             - E poi, senti, non voglio che tu cerchi più quel manoscritto (La bacia) E se lo trovo lo brucio, non mi serve. (La bacia) Non lo voglio. (La bacia) Mai più. Tutto ciò non è che una posa fri­vola e falsa. Un detestabile avanzo della mia troppo lunga vita di scapolo. Non ne ho più bisogno. (La bacia) Non lo voglio! Te voglio! Te!

Anna                                - (c. s., si scioglie da lui) Non dir più nulla! Zitto! Se no mi metto a guaire come un cane da pagliaio...

Teodoro                           - (è ricomparso sulla terrazza) Signor barone, le due dame sono di partenza...

Jaromir                             - (non ha udito) Devo dirti tante cose! Oggi stesso, sai: dimmi quando!

Anna                                - (corre verso destra) Lasciami, è troppo! (Teodoro è lì piantato al centro. Anna, molto ecci­tata e vicina al pianto, fugge Jaromir fino all'estre­mo angolo in proscenio, dì dove gli fa cenno di smettere).

Teodoro                           - Potrei, adesso, comunicarvi una cosa?

Jaromir                             - Che cosa?

Teodoro                           - (guarda intorno se nessuno lo ascolta) Mi sono permesso di prendere di mia iniziativa una disposizione provvisoria.

Jaromir                             - Che cosa? Ma tutto ciò riguarda la mamma.

Teodoro                           - No, questo riguarda personalmente il signor barone. Ho considerato che al signor barone non piace che una compagnia sia composta di tre persone, specie se si tratta di signore, con le quali si è soliti parlare a una per volta. (Si avvicina).

Jaromir                             - Ma che cosa volete, di che state par­lando?

Teodoro                           - Di conseguenza ho pensato come si potesse evitare con garbo questa situazione incre­sciosa e ad ogni buon fine ho dato ordine in scu­deria di sellare la Mascotte. C'è un bel chiaro di luna, e vossignoria potrà alternare le trottatine a lato della carrozza con le libere galoppate attraverso i prati, e così sarà contemporaneamente in compa­gnia e solo con se stesso...

Jaromir                             - E' un'idea meravigliosa! Franz, siete un uomo straordinario. Vi sono molto grato, Franz. Così non ho bisogno di cambiarmi d'abito. Vedo che mi avete conservata la vostra antica devozione. (Escs in fretta da destra).

Il Giardiniere                   - (dall'alto a destra, annuncia a Teo­doro) La Mascotte è sellata. (Contemporaneamen­te al giardiniere è entrata la Baronessa, che ne ha udito la battuta. La seguono Maria, Melania, il Ge­nerale e la servitù).

Teodoro                           - Portatela fuori!

La Baronessa                   - Chi è che esce a cavallo, a que­st'ora di notte?

Teodoro                           - Il signor barone accompagnerà le si­gnore a cavallo.

La Baronessa                   - (alle due donne) L'avrei giurato, vi accompagna Jaromir!

Melania                            - Non sapevo che ripartisse anche la signorina am Rain. (Melania e Maria si mettono i mantelli, aiutate dalla cameriera e dalla dispensiera. Teodoro toglie di mano il mantello a quest'ultima con un'occhiata sprezzante e aiuta Maria a infilar­selo. Frattanto si possono cogliere frammenti di dialogo).

Anna                                - (a Maria) Ad ogni modo ci scriverai su­bito come hai trovato tuo padre benché il cruore mi dica che lo troverai molto meglio di quanto speri.

Il Generale                       - Io invidio Jaromir per questa ca­valcata sotto la luna, in mezzo ai prati. Se penso che sono ormai tre anni che non monto più a ca­vallo... Mi affidi, uno di questi giorni, la tua Ma­scotte per una cavalcata mattutina?

Jaromir                             - Sarà per me e per Mascotte il più grande degli onori. (A Melania, aiutandola a met­tersi il mantello) Avete avuto ragione, mille volte ragione!

Melania                            - Fortuna che lo riconoscete!

La Baronessa                   - (a Maria che, vestita di tutto punto, se ne sta un po' in disparte; con molta bontà) E noi due non abbiamo neanche potuto scambiare una parola. Quanto me ne dispiace!

Maria                               - (incapace di trattenere più oltre le lacrime, si china sulla sua mano e glie la bacia) Oh gra­zie, grazie!

Anna                                - (a Jaromir, anch'essa un po' discosta dagli al­tri) Hai preso i guanti e il frustino? Aspetta, vado a prenderteli. (Entra in casa).

Il Generale                       - Signore mie, non c'è più un mi­nuto da perdere, se volete prendere il treno.

La Baronessa                   - E' stata proprio una dolorosa sorpresa, per noi, che questo vostro soggiorno fosse così breve. (Esce).

Jaromir                             - (cui Anna ha portato il cappello, i guanti e il frustino) Anna, se potessi dirti come ti vedo! Come ti vedo da quando mi hai parlato dianzi! E' un paradiso!

Anna                                - (con soave letizia) Tu... davvero? Anche tu, dunque? Da che cosa dipenderà mai?

Jaromir                             - Tutto ciò è talmente incomprensibile! Non riuscirò mai a capire un miracolo come quello che si è realizzato oggi in me. Dietro a tutto que­sto, se ci penso bene, si rivela un disegno così pre­ciso, come se qualcuno avesse mirato a farmi tor­nare in me stesso e, per questa via, a farmi tornare interamente a te. Ma chi può mai essere?

Anna                                - Chi vuoi che sia? Colui senza il quale nulla può accadere! Di quali strumenti si serve, poi, siamo costretti a ignorarlo.

Jaromir                             - Anna! (Le bacia la mano).

Anna                                - (vuol ritirarla) No! Oggi non ne sono degna.

Jaromir                             - Non ne sei degna... tu? Ah, mio Dio! Voce del

La Baronessa                   - (attraverso la terrazza) Jaromir! Jaromir!

Jaromir                             - Come faccio, adesso, ad andar via?

Anna                                - Eppure devi andare, e io bisogna che vada su.

Jaromir                             - Come sta la bambina, adesso? Ha il sonno agitato?

Anna                                - Solo durante la prima ora. Poi dorme così sodo che non sente più niente, ma proprio niente.

Jaromir                             - Allora posso poi venire da te?

Anna                                - (capisce il significato involontario dì quel che ha detto, e si confonde) Dio mio, quanto mi ver­gogno di avertelo detto così. Non pensavo mica a quello, sai.

Teodoro                           - (dalla terrazza) Signor barone, si fa tardi. Le signore sono già in carrozza.

Jaromir                             - (si stacca da lei con uno sforzo) Posso venire... dalla scala a chiocciola? Lascia la porta aperta. Lo farai, vero? Anche se non l'ho meritato. (Corre via, si ferma di nuovo) Tesoro! (Via di corsa. Lei annuisce e resta lì come stordita. Teo­doro la osserva, poi chiude la porta a vetri e la spranga col paletto. Erminia appare cauta e silen­ziosa dalla porta a sinistra. Non ha più né il grem­biule né la cresta né i guanti, ma indossa la gra­ziosa camicetta nuova e ha un fiore nei capelli. Teodoro le fa segno che c'è Anna. Erminia fa la smorfìetta di chi è geloso. Teodoro, con un cenno imperioso, le ingiunge di andar sii, in camera sua. Poi, sorridendo, le fa capire a gesti che arriverà tra poco arrampicandosi coinè un gatto; quindi la caccia via con un movimento deciso. Erminia scompare e chiude la porta. Tutta questa controscena, alle spalle di Anna).

Anna                                - (si volta di scatto, sentendo il rumore della porta che si chiude) Ah, siete voi, Teodoro?

Teodoro                           - (le si avvicina un poco) Vossignoria è molto buona a chiamarmi col mio vero nome. Di­mostra un animo gentile. In cambio questa notte... (dopo breve riflessione) o meglio, domani notte vi chiederei di poter pregare il Signore per voi.

Anna                                - (un tempo) Avete chiuso tutto?

Teodoro                           - Perfettamente. Ho l'onore di dirvi che tutto è in ordine.

Anna                                - (si volge per andare, un po' leziosa) Ma il signor barone deve ancora rientrare.

Teodoro                           - Difatti ho lasciato la luce accesa presso la porticina laterale e sulla scala a chiocciola.

Anna                                - Ah, lì? Ma lo sa mio marito?

Teodoro                           - Vedrà certamente la luce e di conse­guenza si dirigerà da quella parte. Ho pensato che il signor barone, dopo due giorni così movimentati, avrebbe desiderato vedere i bambini, se dormono tranquilli.

Anna                                - Ah, bene, grazie! (Lo guarda sorridendo).

Teodoro                           - Le cose di quaggiù, vossignoria, sono molto fragili e caduche. Anche una mano assai forte non potrà mai costruire un baluardo incrolla­bile a difesa dei suoi protetti. Ma io spero che fino a quando conserverò la direzione di questa casa, tutto procederà nell'ordine più impeccabile!

FINE