L’inserzione

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Commedia in tre atti

di Natalia Ginzburg

PERSONAGGI

Teresa

Elena

Ragazzo

Lorenzo

Giovanna


ATTO PRIMO

Suona un campanello, Teresa apre. Entra Elena.

teresa    Buongiorno.

elena Buongiorno. Avevo telefonato stamattina. Vengo per l'inserzione sul «Messaggero». Mi chiamo Elena Tesei.

teresa    Quale inserzione? ho messo tre inserzioni.

elena    La stanza.

teresa Ah, la stanza. Ha bisogno d'una stanza? Ora glie­la farò vedere la stanza. È a ponente. Ci batte il sole tut­to il pomeriggio. Si vede San Pietro S'accomodi un mi­nuto. Vuole una tazza di caffè?

elena    No, grazie.

teresa Ho un appartamento di cinque stanze. È troppo grande, ma non voglio lasciarlo, perché non mi va di tra­slocare. Traslocare è triste. Cosi cederei una stanza a una ragazza, una studentessa, che mi facesse qualche piccola faccenda di casa. Odio le faccende di casa. Lei?

elena Io no. Certe faccende di casa non mi dispiacciono. E non ho soldi per pagarmi una stanza. Per questo ho risposto alla sua inserzione.

teresa Come dicevo, ho messo tre inserzioni. Una per il buffet. Conosce nessuno che voglia comprare un buffet di palissandro, intarsiato, vero, vero, vero ottocento? Quello lì, vede? Non ci tengo piatti, c'è dentro solo del­le vecchie riviste. Non so cosa farmene d'un buffet. Man­gio sempre in cucina. Un'altra inserzione era per la mia villa di Rocca di Papa, Vorrei venderla. Una villa di die­ci stanze, con un giardino all'inglese. Giardino? Direi quasi un parco. Io non ci vado mai. Le poche volte che ci sono stata, son morta di malinconia. Non posso soffri­re la campagna. A sentire l'odore del fieno, l'odore delle vacche, mi viene voglia di piangere. Forse perché, da pic­cola, vivevo in campagna. Ho cominciato a odiare la campagna da piccola. Ho avuto una brutta infanzia.

elena   Qualcuno le ha risposto?

teresa Per queste inserzioni? Per il buffet m'ha telefo­nato una. L'ho trattata male. Mi ha detto: «Quanto chiede? » Ho detto: « Due milioni trattabili », Trattabi­li vuoi dire che son disposta a trattare, no? Mi dice: « È troppo». Come troppo, un buffet di palissandro, vero ottocento! E poi non l'ha neanche visto! Per la villa di Rocca di Papa, non m'ha risposto ancora nessuno.

elena    Per la stanza?

teresa Per la stanza, m'hanno risposto quattro. Una è lei. Le altre, una era una ragazza madre, con un bambino di tre mesi. No. L'altra era una violinista. No. Mi piace la musica. Mi piacciono anche tanto i bambini piccoli, Io, purtroppo, non posso avere bambini. Ma soffro di mal di testa, in questo periodo, e ho bisogno di un poco di pace. Un'altra è venuta, stamattina, ma era una vec­chia. Nell'inserzione avevo messo «studentessa». Quel­la lì, invece, era una pensionata. Avrà avuto almeno ses-sant'anni. Io preferisco una persona giovane. E poi era rozza, e io invece voglio una persona fine, una che ab­bia un poco di istruzione. Per scambiare, qualche volta, quattro parole. Prendere insieme una tazza di tè. Senti­re dei dischi. Avere un poco di compagnia, perché vivo sola. Cosa me ne faccio della compagnia d'una vecchia? Le pare?

elena    Certo!

teresa Allora vuoi guardare la stanza? (Apre una porta in fondo e guardano la stanza). Oggi non si vede San Pietro perché c'è la nebbia. Sennò si vede. L'aria è buo­na, siamo sotto al Gianicolo. Lei è studentessa? cosa stu­dia?

elena Lettere. Faccio il second'anno. L'anno scorso sta­vo dagli zii, ma non ci voglio più stare dagli zii perché c'è rumore. Dormo con due cugine e la sera, quando de­vo stare alzata a studiare, si lamentano della luce. I miei genitori vivono in campagna, vicino a Pistola. Hanno là una piccola pensione per stranieri. Non mi danno molti soldi, perché non ne hanno molti, e dicono che posso sta­re dagli zii. Dagli zii non spendo niente. Però non mi piace. No, non è che non mi piace, ma c'è rumore.

teresa Io non voglio soldi, per la stanza. Un po' di com­pagnia e qualche piccola faccenda di casa. Vivo sola.

elena    Non è sposata?

teresa Sono sposata. Sono separata. Siamo rimasti abba­stanza in buoni rapporti, spesso lui mi viene a trovare. Mi ha telefonato anche poco fa. Mi ha detto: «Ma sì, fai bene, cercati una ragazza, una studentessa, per non essere sola in casa». Perché io la notte, sola in questa ca­sa, ho paura. Prima avevo la donna di servizio, ma ruba­va, e l'ho mandata via. Ma poi era vecchia. Io non mi trovo bene coi vecchi. Forse perché sono cresciuta in ca­sa dei nonni, i nonni paterni. Non mi volevano bene. Preferivano mio fratello, Che brutta infanzia! Per esem­pio non sto con mia madre perché è vecchia. Non la tol­lero. Non è che non ci vado d'accordo, del resto è impos­sibile non andare d'accordo con mia madre, perché non dice mai una parola. Penso che in tutta la sua vita avrà detto non più di cento parole. Ma non la tollero, non la sopporto. Va d'accordo lei con sua madre?

elena Oh si. Ma mia madre non è vecchia. È tanto gio­vane. Sembriamo sorelle. E non fa mica niente per con­servarsi giovane. Si lava la faccia col sapone da bucato. Alle sei della mattina è in piedi, con la sua sottana scoz­zese a pieghe, i suoi scarponi, i suoi calzettoni rossi. Sta sempre con gli scarponi perché gira per la campagna, sguazza nei rigagnoli, affonda nel fango. Va nell'orto, va nel pollaio, va nella legnaia, va in paese a fare la spesa col sacco in spalla. Non si riposa un attimo, ed è sempre allegra. Mia madre è una donna straordinaria.

teresa Tiene una pensione, diceva? Che genere di pen­sione?

elena Per stranieri. Una piccola pensione. Siccome ab­biamo una vecchia casa molto grande, con tanta campa­gna intorno, qualche anno fa i miei hanno pensato di metter su una piccola pensione. È una casa molto bella, però scomoda, fredda, all'antica. Piace agii stranieri. L'i­dea è stata di mia madre, veramente, perché mio padre, lui non ha idee. Povera mamma, si stanca da morire con quella pensione, le donne di servizio non ci vogliono sta­re perché è un posto solitario, sempre o le manca la ca­meriera o le manca la cuoca, tante volte deve accendere lei le stufe, perché ci sono le stufe a legna. Mio padre non fa niente. Tutto quello che fa è giocare a tennis con i pensionanti. Poi fa conversazione in inglese. Parla bene inglese, con l'accento di Oxford. In questo periodo, quando io sono partita, c'erano sei pensionanti. Qualche volta siamo arrivati anche a undici. Però siccome mia madre li fa pagare poco, finisce che ci si guadagna niente. Una fatica, e basta. Una fatica per mia madre, perché mio padre, lui se la gode, parla inglese, gioca a tennis, gioca a ping-pong.

teresa Forse anch'io potrei metter su una pensione, a Rocca di Papa, nella mia villa. È una villa di dieci stanze. Ma allora dovrei stare a Rocca di Papa. Un posto che odio.

elena    Perché ha preso lì una villa, se odia quel posto?

teresa È stato Lorenzo. Mio marito. Lorenzo ama la campagna. Voleva che ci stabilissimo a Rocca di Papa. Così ha fatto costruire la villa, e andavamo là tutti i gior­ni a sorvegliare i lavori, difatti è una casa curata nei mi­nimi particolari, ci abbiamo speso tanti di quei soldi... Poi, quando l'hanno finita, ci abbiamo dormito una not­te. Una notte sola. Al mattino, mio marito ha detto che aveva da fare a Roma, e che sarebbe tornato la sera. Ha preso la sua macchina e se n'è andato. Io sono rimasta lì. Mi sono affacciata alla finestra, e ho guardato gli alberi, le colline con la nebbia, i campi, la città. Dio la città com'era lontana! E poi ho sentito uno scampanio di vac­che, e un grande odore di vacche, di latte, e m'è venuta malinconia. Allora ho preso la mia macchina, la seicen­to, perché io avevo una seicento e Lorenzo una Flavia, avevamo una macchina per uno. Sono scesa a Roma. A Roma avevamo ancora la casa, non questa, era un'altra casa in via dei Banchi Nuovi. Però vuota di mobili, per­ché tutti i mobili li avevamo portati a Rocca di Papa. Completamente vuota di mobili. Ho comprato due reti, due materassi, due coperte, quattro lenzuola, e ci siamo accampati nella casa. Mio marito ha detto: «Va bene, stanotte dormiamo qui, poi domani ci installiamo a Rocca di Papa ». Invece lui non ci ha mai più messo pie­de a Rocca di Papa. Ci sono tornata io, una 0 due volte, a prendere delle federe e delle lenzuola. Per dei mesi, abbiamo dormito nella casa vuota, solo coi letti. Quando ci portavano il caffè dal bar, le tazzine le posavamo sul pavimento. Per mangiare andavamo in trattoria. Tutto pur di non stare a Rocca di Papa.

elena Ma lei non poteva dirglielo a suo marito, che non le piaceva stare a Rocca di Papa? non poteva dirglielo, prima che facesse costruire la casa?

teresa È che io non lo sapevo che non mi piaceva starci. Pensavo che mi sarebbe piaciuto. Pensavo che poi avrem­mo avuto tanti bambini, sette o otto bambini. Pensavo che avrei annaffiato i fiori, che avrei tenuto galline, coni­gli... Come fa sua madre. Sua madre cura i fiori, no?

elena    Cura i fiori, sì,

teresa    Ha conigli? galline?

elena     Sì.

teresa  Bè, io poi mi sono accorta che odio anche le gal­line. Mica solo le vacche. E quel giorno, in quella grande casa cosi bella, deserta, in mezzo a quegli alberi, m'è venuta una malinconia tremenda. Perché a sentire l'odore della campagna, mi sono ricordata della mia infanzia. Le ho detto, ho avuto un'infanzia tanto infelice. Stavamo coi nonni paterni, la mamma, mio. fratello e io. I nonni erano contadini. Contadini poveri. Prima c'era anche mio padre, e io di mio padre avevo paura. Picchiava mia madre. A me non mi picchiava, ma quando mi vedeva giocare in cucina, mi pigliava per un braccio e mi mette­va fuori della porta. Diceva che non ero sua. Diceva che mio fratello era suo, ma io no. Io ero dello zio Giacomo. Chissà se era vero che io ero dello zio Giacomo, non lo so, non l'ho mai saputo. Lo zio Giacomo stava all'altro capo del paese e lo incontravo qualche volta per il paese, piccolino, con la pipa in bocca, con gli stivali, con un grosso cane che si portava sempre dietro. Mi guardava, si cercava in tasca, e mi dava due o tre caramelle. Poi fi­schiava a] cane, e tirava avanti. E io pensavo: ma perché non mi porta via, se son sua? perché non mi porta nella sua casa? Aveva una bella casa, con un portone grande, un balcone che girava tutt'intorno. Giocavo vicino al fuoco in cucina, e veniva mio padre, e mi pigliava per un braccio e mi metteva di fuori, sul marciapiede. Io pian­gevo, e la nonna di nuovo mi tirava in casa. E diceva a mio padre: « Ma cosa sei, un cane? » E lui diceva : « Stai zitta te che non sai. Quella non è mia. Quella è di Giaco­mo ». Giacomo era il fratello di mio padre, ma s'era liti­gato coi nonni per via di un bosco, e non si parlavano più. Mia nonna diceva: « Anche se è di Giacomo, non ne ha colpa lei », E mio padre diceva: « È vero, però io non la posso vedere, e un giorno o l'altro me ne vado in Ame­rica, per non vederla più ». E la notte, mio padre si sve­gliava e batteva mia madre, la batteva fino a farle sangui­nare il naso e la bocca. Poi mio padre è partito per l'A­merica e noi siamo rimasti coi nonni, I nonni anche loro erano con mia madre tanto cattivi, le urlavano sempre dietro, e mia madre a poco a poco è diventata sempre più cupa, arruffata, spaventata, curva. Mio padre, dall'America, scriveva a mio fratello, e gli mandava pacchi di ve­stiti. Mio fratello aveva panni buoni, aveva dei maglioni di lana colorata con la chiusura lampo, dei guantoni di cuoio, delle giacche di cuoio col pelo dentro. Poi quando mio fratello ha avuto quattordici anni, mio padre gli ha mandato i soldi per farselo venire in America. E cosi an­che mio fratello è partito.

elena    E sua madre l'ha lasciato partire?

teresa Sicuro che l'ha lasciato partire. Avevamo una ta­le miseria! Poi il nonno è rimasto paralizzato e mia ma­dre lo assisteva, lo vestiva, lo imboccava, lo prendeva in braccio come un bambino per sederlo vicino al fuoco. E lui la insultava e la strapazzava, e anche la nonna la stra­pazzava, e le urlavano sempre che era colpa sua se mio padre se n'era andato, se non c'era più nessuno a lavora­re la campagna. Mia madre s'ammazzava a lavorare la campagna, a curare il nonno, a far da mangiare alle be­stie. Non diceva mai niente mia madre. Stava sempre zitta. Le era gonfiata una gamba, e camminava trascinan­do quella gamba gonfia, col piede in una ciabatta. Sem­pre incontravo lo zio Giacomo per il paese, ma non mi dava più le caramelle, mi guardava e tirava avanti. E io pensavo: « Perché non viene a prendermi, se son sua? » A poco a poco abbiamo venduto tutta la terra e le bestie, e c'era una ipoteca sulla casa. Morti i nonni, abbiamo da­to via anche la casa, e siamo andate a stare dalla zia Ama­ta, che aveva una merceria. Cosi mia madre s'è messa a far la serva alla zia Amata, perché è la sua natura di far la serva, non ha fatto mai altro tutta la vita. Io a vent'an-ni sono scappata via dal paese, perché non volevo star lì nella merceria a vendere bottoni, non volevo finire serva come mia madre.

elena    Ed è venuta a Roma?

teresa Sì, sono venuta a Roma, e lavoravo in un negozio di olii e vini. Siccome ero tanto bellina, avevo molti uo­mini che mi stavano dietro, e uno una volta m'ha detto: « Vieni. Ti porto a fare la comparsa in un film ». Era uno che era non so cosa nel cinema, e mi ha portato a Cine­città, e lì mi hanno messa nuda, con un reggipetto di ma­glia d'oro, le mutandine d'oro, un velo lungo fino alle ca­viglie. Che bella che ero! E ho pensato: Adesso sono a posto. Diventerò una diva del cinema. Ho anche scritto a mia madre, che ero a posto, e che venisse a Roma a sta­re con me. Mia madre però non s'è mossa, e io in fondo ero contenta, perché non la sopporto mia madre, quando la vedo trascinare quella sua gamba vicino a me, provo rabbia e umiliazione insieme, e mi viene in mente quegli anni che eravamo coi nonni a Reggiano Alto, nella mise­ria di quella casa.

elena    E poi è diventata davvero un'attrice del cinema?

teresa Neanche per sogno. Mi prendevano, ma sempre solo come comparsa. Dopo quella volta del reggipetto d'oro, m'hanno presa per un altro film, e questa volta ave­vo reggipetto e mutande di velluto viola, e dovevo stare sdraiata su una pelle di tigre. Questa volta ero un po' di più d'una comparsa perché dovevo a un certo punto al­zarmi, prendere un grappolo d'uva da una fruttiera, man­giar l'uva muovendo i fianchi e fare un sorriso a un ma­rinaio che entrava e si metteva a mangiar l'uva con me. Lì credo che hanno visto che non sapevo né sorridere, né muovere i fianchi. Mi dicevano: « Più voluttuosa ! più lan­guida, più voluttuosa! » M'è toccato ripetere tante volte, alla fine a forza di muovere i fianchi mi dolevano i mu­scoli della pancia. Poi m'hanno preso per fare una suora che scappava da un ospedale incendiato. Stavo sempre a Cinecittà, sul cancello ad aspettare che mi prendessero, ma guadagnavo pochissimo, però ero sempre piena di speranza, E lì, a Cinecittà, ho conosciuto Lorenzo. Mio marito. Un giorno me ne stavo seduta sulle rovine di Troia, che erano certi sassi tutti sbruciacchiati, e mangia­vo pane e pollo, perché davano i sacchetti con la colazio­ne e quella volta m'era toccato un sacchetto col pollo, a me il pollo mi piace e mangiavo di gusto. Ero vestita da troiana, tutta ravviluppata in un lenzuolo, e lui Lorenzo si siede vicino a me e dice: «Ma che bella che sei! cosa mangi? mangi pollo? me ne dai un poco? » Io ho alzato le spalle. Non mi piaceva. Lo trovavo troppo piccolo di statura, a me non piacevano gli uomini piccoli, e aveva un impermeabile bianco tutto sgualcito e un basco nero in testa, un maglione grigio col collo rivoltato, la barba lunga. Sembrava uno studente povero. Poi è venuto un gran vento, un vento di tramontana, e il suo impermea­bile sventolava e schioccava, e io il mio lenzuolo svolaz­zava che dovevo tenermelo fermo alle cosce, eravamo su un piazzaletto di terra sabbiosa e mangiavo pollo e sab­bia. Gli ho detto: « Lei chi è? è uno studente? » Ha det­to: « No, non sono uno studente. Ho finito da un pezzo di studiare. Ho trent'anni. Faccio l'ingegnere». E io di­co: «E cos'è venuto a fare qui? » Mi ha detto che era capitato lì per caso, con un tedesco suo amico, che faceva le musiche per un film. Io lo guardavo e l'unica cosa che mi piaceva di lui erano i suoi occhi, perché Lorenzo ha degli occhi bellissimi, azzurri, grandi, sorridenti, con le ciglia lunghe. Degli occhi fin troppo belli, sprecati in un uomo. Gli ho detto: «Però come mai non s'è fatto la barba? » E lui si tocca le mascelle e dice: « Ah già, è ve­ro. Adesso esco di qui e vado subito dal barbiere. Ci ve­diamo più tardi ».E l'ho ritrovato, la sera, davanti al cancello. Stava appoggiato a un lampione, e fumava. Sia­mo andati a cena io, lui e quel musicista tedesco suo ami­co, che si chiamava Gunter. Poi abbiamo seminato il te­desco e lui è venuto a dormire da me. Avevo una stanza in via del Lavatore, una stanzaccia, che pagavo dodici­mila lire al mese. Siamo stati insieme per tre giorni. In quei tre giorni, non abbiamo fatto che far l'amore, dor­mire, fumare, e mangiavamo certe scatolette di carne Simmenthal che avevo sulla finestra. Lui di solito parla come un mulino a vento, ma in quei tre giorni non abbia­mo parlato quasi, perché avevamo tutti e due un gran sonno, voglia di far l'amore, sonno e basta. Poi m'ha det­to che scendeva un momento a comprare le sigarette. Non è ritornato più. Per sei mesi, non l'ho più rivisto. Ogni tanto pensavo: « Che fine avrà fatto? Magari avrà avuto paura di dovermi pagare? cretino. ». Mi sentivo pe­rò mortificata, e m'è passata la voglia di andare a Cinecit­tà, pensando che li s'incontravano tipi strani, che ti por­tavano a letto e mangiavano la tua carne Simmenthal e sparivano senza una parola. Mi son messa a lavorare in un negozio di parrucchiere. Volevo diventare parrucchie-ra artistica. Non mi facevano fare niente, solo reggere le forcine e fare qualche shampoo, e mi davano una miseria. Era un bel negozio in piazza di Spagna. E un giorno lo vedo entrare, lui, Lorenzo, insieme a una donna bellissi­ma, alta, con una pelliccia di visone. Lui era sempre lo stesso, col basco, l'impermeabile, il maglione, la barba lunga. Mi dice: « Oh! sei qua? » come se ci fossimo la­sciati ieri. La donna era venuta a farsi ritoccare le mè-ches. Era un'americana, non parlava una sillaba d'italia­no. Io sottovoce gli ho chiesto: « Ma com'è che hai un'a­mante così?» Lui mi dice: «È mica la mia amante. È l'amante di Gunter». E io «Come sta Gunter? » e lui «Bene». L'annoio a raccontarle queste cose?

elena    Oh no. Mi piace sentirla. Racconti ancora.

teresa Mi ha presentato all'americana, ma tanto lei non capiva un accidente di niente, e diceva solo: « bad, bad» a proposito delle sue mèches, che trovava che erano ve­nute male; lui le parlava rapido in inglese, credo per spiegarle che le mèches non erano poi così male, alla fine si dev'essere stufato e se n'è andato e l'ho visto cammi­nare via per piazza di Spagna col suo impermeabile svo­lazzante, e ho pensato: « Ecco, l'ho perduto di nuovo ». L'americana poi se n'è andata via anche lei dopo avere rotto le scatole a tutti con le sue mèches e dopo avere pe­rò comprato un vagone di lozioni e di saponette. La sera, lui m'aspettava sulla porta del negozio. Mi ha portato a cena.

elena    Anche con l'americana?

teresa  Macché, no. Anzi mi ha detto che non gli piaceva l'americana, l'accompagnava solo un poco a spasso per fare un piacere a Gunter, perché era faticosa l'americana e rumorosa e il povero Gunter ogni tanto chiedeva un po' di respiro. Io gli ho detto: « E le sigarette? » E lui: « Sigarette cosa? »Dico: « Sì, non eri uscito a comprare le sigarette, che poi non ti sei fatto più vedere? » Allora mi ha raccontato che quel giorno, dal tabaccaio, aveva in­contrato un suo amico, e s'erano messi a chiacchierare e si era totalmente dimenticato di me. Quando s'era ricor­dato che doveva ritornare da me, era tardi, era notte fon­da e aveva pensato che dormivo. Il giorno dopo sua ma­dre aveva voluto che andasse a prenderle certi cani in campagna. Tornando coi cani, aveva avuto un incidente di macchina, e s'era slogato una spalla. L'avevano inges­sato. Non si ricordava più il numero di via del Lavatore, e cosi non m'aveva scritto. A parte che lui lettere non ne scriveva mai. Non scriveva una lettera da quando aveva otto anni. L'ultima lettera l'aveva scritta a otto anni al Bambino Gesù, perché gli portasse per Natale un elmo da pompiere. Questo elmo da pompiere non era poi arri­vato e perciò lui non scriveva più lettere. Cosi mi ha det­to. Quanto parlava! parlava come un mulino a vento. Io restavo incantata a sentirlo parlare. Ma gli ho detto: « Ho l'impressione che mi racconti un mucchio di bu­gie ». Lui ha detto: « No. Io non dico mai bugie, mai. Davvero sono stato in cllnica con la spalla ingessata. Ma in questi mesi ho conservato di te un buon ricordo ». Io gli ho detto; « Che brutte parole. Parli come se io fos­si una cosa, non una persona ». Allora mi ha detto: « Non sei ancora una persona, per me. Forse lo divente­rai, può succedere che tu lo diventi, ma per adesso anco­ra non lo sei. E son sicuro che anch'io non sono ancora, per te, una persona, ma un'ombra indifferenziata, confu­sa ». E io gli dico: « No, no, no! Quando ho fatto l'amo­re con un uomo, per me non è un'ombra, io non faccio l'amore con le ombre! Io faccio l'amore con le persone, e voglio essere per te una persona, voglio che mi consideri e mi stimi, sennò è meglio che te ne vai e mi lasci in pace! » E m'è venuto da piangere. M'ha dato il suo faz­zoletto. Che fazzoletto sporco! Io l'ho buttato via,ho det­to: « Non voglio un fazzoletto così sporco! » L'annoio?

elena     No.

teresa Gli ho detto: « Ho avuto già tanti uomini, il pri­mo che ho avuto l'ho avuto a quindici anni, era il farma­cista di Reggiano Alto. Tanti mi hanno trattata male, pe­rò nessuno mai mi ha detto così, che non ero una persona per lui, che ero solo una cosa che si lascia lì, un'ombra. Mai nessuno mi ha piantata, li ho sempre piantati io quand'ero stufa, e mi stufo presto! » E piangevo come una stupida. Sa perché? perché mi ero innamorata. Era la prima volta che mi innamoravo, e pensavo: «Ecco, sono cascata proprio a innamorarmi di questo qui, spor­co, povero, con la barba lunga, questo ingegnere del ca­volo che parla come un mulino a vento, e mi racconta chissà quante bugie, e magari fra poco gira l'angolo e sparisce di nuovo per sei mesi! » Mentre piangevo lui mi stava a guardare lisciandosi le mascelle, poi di colpo s'è alzato, ha pagato il conto e se n'è andato via. Gli son cor­sa dietro, l'ho riacchiappato al posteggio di piazza del Popolo, mentre saliva sulla sua macchina. Allora aveva un'Anglia. Mi sono infilata accanto a lui nella macchina, sempre piangendo, e dicevo: « Non lasciarmi così! » E lui ha detto: « Cosa vuoi da me? perché non ti cerchi un al­tro, qualcuno che possa farti contenta? cosa abbiamo da spartire io e te? » E io dicevo: « No no, io voglio stare con te! Non so perché, ma voglio stare con te! » Allora è venuto con me, in via del Lavatore. Gli ho detto: « Com'è che hai un'Anglia? non sei povero? » e lui ha detto: « Povero? no, io sono pieno di soldi! » Così quella notte ho saputo che era pieno di soldi. Abitava, con sua ma­dre, in un palazzo in via Venti Settembre, e tutto quel palazzo era suo. Avevano perfino il cameriere. Siamo sta­ti insieme per un po' di tempo senza sposarci, prima in via del Lavatore e poi in un appartamento in via dei Banchi Nuovi, e lui ogni tanto diceva: « Se proprio ci tieni, ti sposo anche, perché ho visto che insieme stiamo bene. Abbastanza bene. Sotto tutti i punti di vista », E io gli dicevo: « Ora sono, per te, una persona? » E lui diceva: « Direi quasi di sì ». Stava con me, però ogni tanto ritor­nava da sua madre, spariva per qualche giorno, e io sem­pre avevo paura che non venisse più. Perché con lui non si poteva sapere. Sua madre, quando lui andava là gli fa­ceva scene furiose contro di me, e diceva che se mi sposa­va lo avrebbe diseredato, cosa che poi non ha fatto, non so perché. Io intanto avevo smesso di lavorare, stavo a ca­sa a leggere libri, perché lui diceva che ero ignorante co­me una cuoca. Leggevo, ma i libri che leggevo scivolava­no via da me come acqua, dimenticavo tutto subito, for­se perché i miei pensieri battevano sempre su di lui, lai stava inchiodato nel mezzo della mia vita, tanto se era in casa seduto accanto a me col suo maglione a temperar le matite e a riempire certi quadernetti di numeri, tanto se era fuori per la città con gli amici a chiacchierare agi­tando le mani. Poi mi ha sposata, perché io credevo di a-spettare un bambino. Invece non aspettavo nessun bam­bino, ma intanto ci eravamo sposati, a Reggiano Alto, al mio paese. Abbiamo passato la luna di miele a Reggiano Alto, all'albergo Italia, e la sera stavamo nel retrobotte­ga della merceria della zia Amata a giocare a tombola con la zia Amata e mia madre. Mia madre lo adorava, stava in adorazione davanti a lui, e anche la zia Amata lo ado­rava, e mi diceva, la zia Amata: « Non te Io meritavi, un marito così! Tientelo stretto, perché lo puoi perdere, matta e stupida come sei, e con la vita brutta che hai fat­to sempre! » La zia Amata non mi hai mai perdonato perché sono scappata dal paese, e perché aveva saputo che a Roma avevo uomini e comparivo nei film quasi nu­da, ma adesso era orgogliosa di me perché avevo sposato un ingegnere, uno che aveva saputo che era molto istrui­to e anche ricco, e che a Roma aveva tutto un palazzo, e benché tanto ricco era semplice e giocava a tombola nel suo piccolo retrobottega, cosi gentile e pieno d'attenzio­ni per mia madre e per lei.

elena    Suo marito è questo qui della fotografia?

teresa Sì. Lì eravamo appena sposati, di ritorno da Reg­giano Alto. Mi ha portato a casa da sua madre, e sua ma­dre che già mi odiava senza avermi mai vista, appena mi ha vista mi ha odiata ancora più forte, e l'ho odiata cor­dialmente anch'io, e facevamo tutt'e due sorrisini, io con le mani incrociate sulla pancia e lei nervosissima, sempre ad aggiustarsi sulla fronte la frangia di colore azzurro. Voleva essere un poco gentile e mi ha regalato un anello, ma dopo quando io non ero più lì ha detto a Lorenzo che non capiva cos'avesse potuto trovare in una come me, che non ero niente fine, che dimostravo di più dell'età che avevo, che avevo mani e piedi da cuoca, e Lorenzo si divertiva un mondo a ripetermi tutto quello che aveva detto sua madre, rideva come un matto. Io allora gii ho detto che non ci volevo tornare mai più da sua madre. Ma ci sono ritornata invece, perché lui ogni tanto voleva che ci andassimo e io ubbidivo, finivo sempre col fare le cose che voleva lui.

elena    Ma perché?

teresa Perché? perché mi dominava, e mi dominava per­ché lo amavo. Mi ordinava di leggere, e leggevo. Mi or­dinava di stare con i suoi amici, e ci stavo. Mi ordinava di non mangiare sempre pasta e fagioli, perché ingrassa­vo e grassa non gli piacevo, e io ubbidivo, cucinavo per lui pasta e fagioli e intanto che lui mangiava me ne stavo affacciata alla finestra, oppure brucavo un po' d'insalata. Gli ubbidivo. Non avevo più una volontà mia. Mi ordi­nava di andare con lui da sua madre, e ci andavo. Mi sforzavo d'essere gentile con sua madre, e anche lei si sforzava d'essere gentile con me. Si metteva a litigare con Lorenzo, non volendo sfogarsi a litigare con me, Di­scutevano di interessi per quelle terre che avevano in Puglia, in un posto chiamato La Pavona. Litigavano. Io fi­nivo con l'addormentarmi in fondo a una poltrona perché avevo mangiato molto, l'unica cosa che mi piaceva in casa di mia suocera era il mangiare, e sempre mi riempi­vo di mangiare il più possibile, anche perché lui, lì da sua madre, mi lasciava mangiare, senza tirar fuori la mia grassezza, pensando forse di ripagarmi col pranzo, della noia grande che erano quelle ore per me. Mia suocera al­lora diceva che una donna giovane, quando s'addormen­ta dopo pranzo, ha il fegato che non funziona bene. Lei aveva invece un fegato perfetto. Parlava sempre del suo fegato, dei suoi reni, della sua circolazione, della sua mil­za, era sempre tutto perfetto. Anche sua figlia Paola, che era sposata in Puglia, aveva una salute meravigliosa, la carnagione d'un lattante, l'intestino come un orologio, i denti perfetti. Lorenzo invece da quando se n'era andato da casa, s'era guastato la sua perfetta salute, aveva il co­lorito giallo, l'occhio torbido, perdeva i capelli. Perché beveva alcolici, stava alzato tutta la notte a chiacchierare nei caffè con gli amici, mangiava grassi cattivi. Io dice­vo: « Io no, io non cucino coi grassi cattivi! Io faccio ve­nire l'olio da Reggiano Alto! » Ma lei, nell'olio di Reg­giano Alto, non ci credeva. Lei credeva solo nel suo olio, delle sue campagne. Quello solo era puro. Però non ce ne dava mai a noi di quell'olio, lo prometteva ma non ce lo dava mai, io in cinque anni di matrimonio non ho avuto il bene di averne neppure un bicchiere. Quando Lorenzo andava alla Pavona, sempre gli dicevo di pi­gliarne un po' di fiaschi e portarmeli, che quell'olio era anche suo, ma se ne dimenticava e ogni volta io m'arrab­biavo e m'arrabbiavo contro sua sorella che viveva nel fondo e non aveva spese, vivevano lì lei e il marito e i loro nove bambini consumando l'olio e il vino e i for­maggi che erano anche nostri, ma Lorenzo mi diceva che avevo pensieri volgari. In principio noi vivevamo come se fossimo stati poveri, non per un disegno preciso ma perché non ce ne importava d'avere una vita migliore ed eravamo felici, lui aveva quell'unico maglione, due ca­micie coi polsi sfrangiati e nessuna cravatta, io avevo una gonna di tre inverni, le scarpe coi tacchi storti. Poi ci siamo messi a buttare soldi dalla finestra visto che ne avevamo. Io non so come spendevo i soldi, uscivo di ca­sa e compravo tutto quello che capitava. Lui aveva la mania dei quadri e s'è messo a comprare quadri, a poco a poco ne ha messi insieme una quantità e ne ha riempito la nostra casa, avevamo tutte le pareti coperte di quadri, avevamo quadri in cucina e nella stanza da bagno, appesi al muro o ammucchiaci per terra. Poi spendeva in moto­ciclette e automobili. Se usciva un nuovo modello di mo­tocicletta subito lui dava via la vecchia e si comprava il modello nuovo, e lo stesso faceva con l'automobile, e an­dava in motocicletta correndo come il diavolo, aveva a-vuto già quattro incidenti di motocicletta e due incidenti gravi di macchina, e aveva continuamente contravven­zioni per eccesso di velocità, cosf quando usciva in auto­mobile o con la motocicletta mi sentivo morire dall'ango­scia. Le contravvenzioni non le pagava perché usciva sempre senza soldi, mi diceva che dovevo andare a pa­garle io, ma io me ne scordavo e trovavo poi quei fogli di contravvenzioni dappertutto, nei suoi cassetti e nelle sue tasche e in automobile sui sedili e per terra, e non so dirle quanta angoscia mi davano quelle contravvenzioni però non andavo a pagarle perché trovavo che era lui che doveva andarci.

elena Era un uomo molto disordinato.

teresa Sì. E il suo disordine s'era combinato col mio di­sordine e ne era uscito fuori un disordine spaventoso. Lui diceva che avrebbe avuto bisogno di una moglie or­dinata, che gli tenesse a posto i cassetti e pagasse le sue contravvenzioni. Mi diceva sempre come avrei dovuto essere, come gli sarebbe piaciuto che fosse una moglie. E anch'io non facevo che dirgli come avrei voluto che fosse un marito. Intanto avrei voluto un marito che spendesse meno soldi, e che fosse dolce, semplice, comprensivo, che non mi confondesse la testa con dei discorsi difficili, che mi portasse qualche volta due fiori, un pacchetto di dolci, un regalino, che avesse qualche piccola attenzione per me. Non aveva attenzioni. Se incontrava un amico per strada, si scordava di venire a casa per pranzo e io lo aspettavo ore e ore, col pranzo tutto cucinato e pronto, con l'angoscia che gli fosse successo qualcosa. elena    Non poteva telefonare?

teresa  Ma non telefonava. Non telefonava perché non pensava a me. In quei momenti, quando chiacchierava con gli amici, pensava a tutto fuorché a me.

elena    Che persona strana!

teresa Così allora abbiamo cominciato a litigare non so­lo una volta ogni tanto, ma tutti i giorni, e le cose a poco a poco fra noi si sono sciupate. Facevamo delle liti tre­mende, lui mi dava schiaffi e io lo mordevo e lo graffiavo. Certe volte stavamo svegli a litigare tutta la notte, e lui alle cinque di mattina se ne usciva in motocicletta per non vedermi e io restavo nel letto a piangere.

elena  Litigavate su cosa?

teresa Su cosa? Non lo so nemmeno più. Sui suoi ritar­di, sulle contravvenzioni, sui soldi, sui quadri che lui comprava, sulla sua famiglia, su una parola. Lui correva dietro a una parola che avevo detto distrattamente, la se­zionava, ne cavava fuori tutti i possibili significati nasco­sti, così questa parola ingigantiva e diventava un mo­stro. E io a un certo punto non capivo più niente, avevo la testa confusa, mi mettevo a singhiozzare, lui mi schiaf­feggiava e io gli mordevo i polsi e le mani, e mentre lo mordevo e lo graffiavo pensavo: Ma guarda dove siamo finiti, come siamo scesi in basso! che vergogna, che in­ferno!

elena Doveva essere davvero un inferno.

teresa Era un inferno. Però poi non so come facevamo la pace e l'inferno spariva. Dopo avermi schiaffeggiato e picchiato diventava tanto buono con me. Diceva che mi amava e che non mi avrebbe cambiato con nessuna don­na. Facevamo l'amore e poi diceva che si sentiva un poco di fame e io mi alzavo e cucinavo la pastasciutta. E poi ci mettevamo a dormire e dormivamo magari fino alle tre del pomeriggio. A tutti e due ci piaceva dormire. Face-vamo certe dormite che non finivano mai.

elena    Ma lui non lavorava?

teresa Non lavorava. Aveva quella laurea in ingegneria, ma non se ne faceva niente, non voleva saperne di pigliar­si un lavoro, un impiego, diceva che in un impiego si sa­rebbe sentito avvilito, e studiava per prendersi un'altra laurea in fisica pura. La sua passione era la fisica pura. Aveva certi taccuini di carta a quadretti e li riempiva di calcoli, poi si stufava e strappava i foglietti e io quei fo­glietti pieni di numeri li trovavo in giro dappertutto, in­sieme ai conti e alle contravvenzioni. Certo non aveva bisogno di pigliare un impiego perché soldi per vivere ne avevamo. Anzi lui diceva che ne avevamo anche trop­pi. Buttavamo soldi dalla finestra, tutt'e due. Certe sere andavamo a ballare con gli amici nei night. Eravamo ot­to o dieci persone e lui pagava per tutti. Poi gli è venuta l'idea della villa a Rocca di Papa. Anche li non le dico quanti soldi abbiamo buttato via. Studiava una certa di­sposizione delle stanze, poi non gli piaceva più e faceva buttare giù i muri. Andava e veniva fra Roma e Rocca di Papa in motocicletta o in automobile, correndo come il diavolo, poi andava dagli antiquati e comprava mobili antichi. Abbiamo là dei mobili preziosi, e dei quadri.

elena    E non ci sta nessuno adesso, in quella villa?

teresa Nessuno. E chi vuole che ci stia? Fa impressione entrarci. Le case disabitate fanno impressione. C'è odore di chiuso, di umido, perché è un posto umido, in mezzo a tutti quegli alberi. Certo potrei affittarla, però vede, mi fa impressione pensare che ci vada altra gente, lì dove dovevamo stare noi. Preferisco venderla, venderla maga­ri con tutti i mobili dentro, così è chiuso, finito, non è più mia, non la vedo più. È intestata a mio nome. Lorenzo l'aveva intestata a mio nome.

elena    Non ci verranno i ladri, visto che è deserta?

teresa    Non so. E poi in fondo cosa m'importa? Sì, ci sono là dei quadri molto preziosi. Gli dico sempre di anda­re a pigliarseli, ma lui non lo fa mai, rimanda, rimanda, è un uomo che vive rimandando sempre tutto, come se avesse davanti un tempo infinito. E poi non gliene im­porta mica niente di quei quadri. Gli è passata la mania dei quadri. Allora, appena finita la villa, è stato giorni intieri a appendere quadri, ha appeso là tutti i quadri che avevamo, più altri che ha comprato apposta. A poco a poco abbiamo spogliato la nostra casa di via dei Banchi Nuovi ed è rimasta vuota. Lui non parlava che di quella villa e della vita che ci avremmo fatto, con tanti amici, animali, bambini. Anch'io desideravo dei bambini e mi incantavo a pensare a tutti i bambini che avremmo avu­to, e ai nomi che gli avrei dato, ai vestiti e ai giocattoli che gli avrei comprato. Dei dottori m'avevano detto che non potevo avexe bambini. Ma io pensavo che s'erano sbagliati e che invece ne avrei avuto un mucchio. Come le ho detto, nella villa di Rocca di Papa ci siamo stati una notte. Una notte sola.

elena     E dopo?

teresa E dopo, le ho detto, abbiamo continuato a vivere nella casa di via dei Banchi Nuovi, ma vuota, e si stava scomodi perché non c'era più nemmeno un tavolino per posarci un bicchiere. Siccome avevamo speso tanto nella villa di Rocca di Papa, ci trovavamo a corto di soldi, e litigavamo sia per i soldi sia perché stavamo così scomo­di, ma nei momenti di pace dicevamo che era tutto prov­visorio e che fra poco ci saremmo stabiliti a Rocca di Papa. In verità non ne avevamo nessuna voglia né lui né io, ma fingevamo tutt'e due che era l'altro a non averne vo­glia, lui diceva che ero io che non ne avevo voglia perché mi piaceva troppo pernottare con gli amici nei night. E poi ha cominciato a dire che io l'avevo rovinato perché gli avevo tolto ogni desiderio di leggere e di studiare, e che appena si metteva a studiare io lo chiamavo perché mi facesse compagnia o per fare all'amore, lui non riu­sciva a avere mai un poco di concentrazione. Siccome eravamo canto scomodi in quella casa, s'è messo a passa­te i pomeriggi da sua madre.

elena    Studiava, da sua madre?

teresa Macché. Non faceva niente neanche lì. Si mette­va lì coi suoi libri e venivano a trovarlo gli amici e piglia­va a chiacchierare. Quanto parlava! Dio quanto parlava con quei suoi amici! Erano amici anche miei e certe volte venivano da me e mi spiegavano che io sbagliavo con lui, che lui era infelice con me perché non lo capivo, Io tor­mentavo e lo opprimevo con la mia angoscia e con la mia gelosia, e è vero che ero molto gelosa, adesso ogni volta che lui rientrava gli facevo scenate accusandolo d'essere andato con delle donne. Mi dicevano che dovevo lasciar­lo studiare perché aveva in corso degli studi molto im­portanti e che dovevo solo preoccuparmi di dargli una vita ordinata e tranquilla e una casa che fosse una casa. Io mi infuriavo contro quegli amici perché trovavo che erano loro che gli facevano perdere iltempo in chiacchiere e discussioni. Ma ero molto infelice anch'io e mi sentivo sola. E allora è successa una cosa. L'ho tradito. Non l'avevo tradito mai. Tante volte ero stata sul punto di tradirlo ma sempre mi ero tirata indietro.

elena    L'ha tradito con chi?

teresa C'era un suo amico, un certo Mario, un giornali­sta che veniva sempre per casa. Erano molto amici, da quando erano bambini. L'ho tradito con questo Mario.

elena    E lui l'ha saputo?

teresa Sì. Ci ha trovati insieme. Era partito per La Pa-vona, era via da quindici giorni, ed è tornato all'improv­viso, di notte. Io ero a letto con Mario. Ho sentito la chiave che girava nella serratura. Mario dormiva. L'ho scosso. Ed eccolo entrare, Lorenzo, con la sua valigetta, il basco, l'impermeabile tutto sgualcito, la barba lunga. È rimasto un momento sulla porta, piccolo, pallido, con un viso senza espressione, un viso così smorto, freddo... Mario s'era svegliato e si sono guardati. Lorenzo è rian­dato via. Ho sentito il tonfo della porta, io mi ero infilata la vestaglia, tremavo e piangevo, gli sono corsa dietro per le scale, e l'ho ancora visto che entrava nella macchi­na, la Flavia. Ha sbattuto lo sportello e via. Io sono ri­masta lì in vestaglia, sulla strada, di notte, gelata, in la­grime, disperata, perché avevo capito che adesso era fini­to tutto... Son tornata di sopra. Mario s'era vestito, ha detto: Vado a cercarlo. Era anche lui stravolto. È anda­to via anche lui, perché non gliene importava mica nien­te di me, era stata una cosa così stupida, quelle cose che non si sa nemmeno come succedono, c'è un poco di cu­riosità, e dell'angoscia... Io m'ero attaccata a quel Mario perché credevo di liberarmi per un momento dall'ango­scia, m'ero aggrappata a lui, come uno che s'attacca a un albero quando ha freddo e c'è il vento. Ma non me ne importava niente, niente, e così ho cominciato a scriver­gli lettere, a Lorenzo, gli ho scritto fiumi di lettere a casa di sua madre, e provavo sempre a telefonare ma rispon­deva il cameriere che li non c'era. Sono andata da sua madre. Lui non l'ho visto. Sua madre era nel salotto, in poltrona, con la sua frangia di capelli azzurri, il boa di piume. C'era anche sua sorella. Io non l'avevo mai potu­ta soffrire sua sorella, però ci eravamo sempre fatte delle gentilezze, io le mandavo regali a Natale per i suoi nove bambini, lei mi mandava delle liseuses che faceva all'un­cinetto. Mi hanno detto che Lorenzo non c'era, che non sapevano dove fosse. Mi hanno detto che dovevamo co­minciare le pratiche per la separazione legale, perché cer­to insieme non potevamo più vivere, ci stavamo distrug­gendo l'uno con l'altra. Io mi sono messa a piangere e ho detto che invece insieme eravamo tanto felici, che non potevamo stare uno senza l'altra, che loro non pote­vano capire quanto grande era il nostro amore. E a poco a poco tutto l'odio che avevo contro di loro è scoppiato fuori, mi son messa a gridare che erano state loro a met­ter su Lorenzo contro di me, che ce l'avevano con me perché ero povera, e che io tutti i loro sporchi soldi me li mettevo nel culo, e allora mia suocera è svenuta, o almeno ha fatto finta di svenire, e mia cognata mi ha spin­to alla porta e intanto diceva che io mammà l'ammazza­vo, « tu l'ammazzi mammà, tu l'ammazzi », e io ho sceso le scale piangendo e gridando col cameriere dietro impe­netrabile che mi ha aiutato a infilarmi il soprabito e mi ha dato il foulard.

elena    E Lorenzo non l'ha più visto?

teresa Certo che l'ho visto. L'ho visto pochi giorni do­po. Le ho detto che lo vedo sempre, viene qui sempre, anche adesso forse verrà. Lo incontrerà se sta qui ancora un poco.

elena No. È tardi, e devo andarmene via. Devo andare all'università. Ho una lezione.

Suona un campanello. Teresa apre. Entra un ragazzo con una scatola.

teresa    Ah sì. Il droghiere.

ragazzo    Ecco. Metto qui?

teresa Sì. Lì. (A Elena) Ho ordinato un po' di scatolet­te. Carne Simmenthal. Frutta sciroppata. Mangio sem­pre scatolette, da quando son sola. Sono tanto brava a cucinare, ma non mi va di cucinare solo per me.

ragazzo Per la gatta, ha detto mio padre che gliela man­da più tardi. Non l'ha in negozio, l'ha a casa. Più tardi va a pigliarla mio padre e gliela porta qua. Se vedesse che amore di gattina. E poi è di razza. Di razza pura.

teresa Sì, va bene. (A Eletta) Mi regalano una gattina siamese.

ragazzo Mio padre ha detto anche se può pagargli la nota.

teresa    Ma sì, pagherò.

ragazzo Mio padre si scusa tanto, ma ha detto se può pa­gare stasera. Deve chiudere i conti.

teresa Pagherò. Adesso non mi seccare. Vedi bene che sono occupata. (Ragazzo via). Allora la vuole, la stanza?

elena Senz'altro, grazie, penso di sì. Posso venire già domani?

teresa Venga domani. L'aspetto. Non la disturberò quando deve studiare. Ma quando smetterà un momento di studiare, ci faremo un poco di compagnia. Ho bisogno di compagnia. Sono molto sola. Sono rimasta sola come un cane. E non so stare sola, questa è la cosa orribile. Mi viene l'angoscia.

elena    Non ha amiche?

teresa No. Avevo amiche quand'ero ragazza, ma poi le ho perse di vista, perché ero sempre con Lorenzo, e non avevo bisogno di nessuno quando avevo lui. Avevamo amici e amiche in comune, quelli con cui passavamo le serate, ma ora non li vedo più. Non ne ho voglia, perché mi ricordano il tempo che avevo Lorenzo ed ero sua mo­glie, e si stava così bene, spensierati, felici come due ra­gazzi, e con tanti sogni.

elena Ma non ha detto che era un inferno la vita con lui?

teresa Sì. Era un inferno. Ma io ero felice in quell'infer­no, e darei la vita per tornare indietro, per essere di nuo­vo come un anno fa. Ci siamo separati solo da un anno. Separazione consensuale. Sua madre voleva che facesse la separazione per colpa, cosi non mi pagava gli alimenti. Lui non ha voluto. Dopo che ci siamo separati, m'ha aiu­tato a cercare questa casa, e m'ha dato dei soldi per am­mobiliarla. Ho comprato qualche mobile. Il buffet.

elena Il buffet di palissandro? Questo che vuole ven­dere?

teresa Sì. Cosa me ne faccio di un buffet? Non ho piat­ti. Non invito mica mai nessuno a pranzo. Mangio in cu­cina. Son sola.

elena    Ma allora perché l'ha comprato?

teresa Non so. Credo che l'ho comprato perché avevo l'idea che Lorenzo tornasse a stare con me. E allora, se tornava, io dovevo dargli una vera casa.

elena   E invece non tornerà?

teresa Non tornerà mai, È finita. Dice che da quando non sta più con me, ha ritrovato la sua tranquillità, il suo equilibrio. Dice che io lo facevo vivere sempre come in una bufera di sabbia. Dice che gli sembrava, con me, di calare in un pozzo d'acqua nera, torbida, putrida, e di perdere a poco a poco se stesso. Ne dice tante! Ha la parola facile. Dice che mi ha lasciato perché, se restava ancora con me, un giorno o l'altro mi schiaffeggiava tan­to da ammazzarmi. O finiva che lo ammazzavo io. Dice che sta tanto bene, senza di me. Io non so se è vero. Non mi sembra niente felice. Non ha una ragazza, una donna. Va con le puttane. Passa le serate nei night, con gli ami­ci, tale e quale come faceva con me. Non credo che studi. Lui dice di sì, dice che studia, ma io non credo. Chiac­chiera, chiacchiera, chiacchiera con i suoi amici. L'altro giorno l'ho incontrato per strada. Era con Mario. Non l'avevo mai rivisto Mario, dopo quella famosa notte, e ho sentito un colpo al cuore a vederli insieme. Chiacchie­ravano. Mi sono avvicinata, e siamo andati a prendere un gelato, noi tre. Mario era un poco imbarazzato. Lui no. Lui ha continuato a chiacchierare come niente fosse. Parlavano di Spinoza. Un filosofo.

elena Io sto appunto studiando Spinoza, per il mio esa­me. Ho l'esame a febbraio.

teresa Ah sì, ha l'esame a febbraio. Bene. Io la lascerò studiare, non ladisturberò. Qualche volta, le porterò il caffè, o magari lo zabaione, per tenerla in forze. Sarò per lei come una mamma. Lei è tanto più giovane di me. Quanti anni ha? diciotto?

elena    Oh, no. Ne ho ventidue.

teresa    E a me quanti anni mi dà?

elena   Non so...

teresa È inutile che le dica i miei anni. In questo perio­do sono un po' sciupata, perché non riesco a dormire. Sono sciupata, e ingrassata. Brutto, no? Perché sono tri­ste, per questo ingrasso. Mangio per consolazione. Mi trova grassa?

elena    No. Giusta.

teresa Mi trova sciupata?

elena    Un pochino pallida.

teresa Perché ho l'insonnia. Prendo sonniferi, ma non mi servono a niente. Quando avevo Lorenzo, come dor­mivo! dormivo così profondo! Ora dormo un poco e poi mi sveglio, m'addormento e mi sveglio, così tutta la not­te. Sovente faccio un sogno, un sogno orribile. Mi sve­glio tutta sudata.

elena    Che sogno è?

teresa Orribile. Se glielo dicessi, non le sembrerebbe orribile, e io neanche lo so perché è tanto orribile. So che mi sveglio sudata, gelata, senza respiro. Insomma io mi trovo in un cortile, e in fondo c'è un muro, un muro cie­co, altissimo... e io so cosa c'è di là da quel muro.

elena    Cosa c'è?

Suona il telefono. Teresa risponde.

teresa Pronto? chi è? Ah, per l'inserzione? per il buffet? Dunque è un buffet di palissandro, vero, vero otto­cento. Venga a vederlo. Due milioni trattabili! Come? trattabili, ho detto trattabili! (Elena fa segno che se ne va). Un momento! (Lascia il telefono).

elena  Devo andare. Vengo domani.

teresa L'aspetto. Vedrà che si troverà molto bene. Nel­la stanza, tutto il pomeriggio c'è il sole. Perché è a po­nente. Esposta a ponente. Io non le darò mai nessuna noia, non la disturberò mai. Le porterò il caffè, il te, lo zabaione... come fossi sua madre.

elena    La ringrazio. Arrivederci.

teresa Addio. (Torna al telefono) Dicevo due milioni trattabili. Venga a vedere il buffet, Venga oggi, io sono sempre in casa. Come troppo? Ma se ho detto trattabi­li! Ma se lei non l'ha nemmeno visto! Perché lei quanto voleva spendere? Come un buffet non può costare due milioni? un buffet antico? ma da dove viene lei? Ma le


pare che lo do via per un pezzo di pane, un buffet anti­co, di palissandro intarsiato, con quattro putti alati che reggono dei tralci? Ma venga a vederlo, le dico di venire a vederlo, lasciamo stare il prezzo perché è trattabile, ha capito, è trattabile!


ATTO SECONDO

Suona il campanello, Apre Elena. Entra Lorenzo.

lorenzo    Scusi, la signora non c'è?

elena   È uscita. Fra poco dovrebbe tornare.

lorenzo    Dov'è andata?

elena    È Lorenzo, lei?

lorenzo    Sono Lorenzo, sì. Lei dev'essere la studentessa ?

elena Sì. Sono proprio la studentessa. Mi chiamo Elena Tesei.

lorenzo    Lorenzo Dal Monte. Piacere.

elena    Piacere.

lorenzo    Dov'è andata, Teresa?

elena È andata a Rocca di Papa, con certa gente che for­se comprerebbe la villa. Aveva messo un'inserzione sul «Messaggero». Questi qui hanno telefonato stamattina presto. Sembravano ben disposti a comprare, Teresa era molto contenta.

lorenzo    L'ha vista lei, la villa?

elena  No.

lorenzo Peccato. È bellissima. Ci abbiamo speso un mucchio di soldi. L'ho disegnata io. Certe volte penso che ho sbagliato mestiere, che dovevo fare l'architetto. Il mio problema è questo, che so fare troppe cose bene, e nessuna a fondo. Poi oscillo sempre fra la scienza pura e la scienza applicata. Non so scegliere fra l'una e l'altra, sono attratto contemporaneamente da tutt'e due. Capi­sce?

elena    Sì?

lorenzo  La verità è che sono un dilettante. Al mondo ci sono i dilettanti e i professionisti. Io non sono che un di­lettante, purtroppo. Va bene, arrivederci, me ne vado. Dica a Teresa che tornerò.

elena No, non se ne vada. Certo fra poco Teresa ritorna. L'ha aspettata tanto, tutti questi giorni, e lei non veniva mai! Sono qui da più di un mese io, e ogni giorno Teresa l'aspettava, non voleva mai uscire, qualche volta volevo portarla al cinema e lei niente, non si muoveva di casa, per paura che lei venisse qui e non trovasse nessuno. Le ha telefonato tante volte, ma il suo telefono non rispon­deva.

lorenzo Ero in Puglia. Sono stato in Puglia tutto il me­se. Il mio telefono non rispondeva perché adesso sto so­lo. Prima abitavo con mia madre, adesso ho preso un piccolo appartamento sotto di lei. Ero in Puglia. Nelle mie campagne.

elena    Forse poteva scriverle un rigo, a Teresa,

lorenzo Scriverle? Io non scrivo mai lettere. Credo che non scrivo una lettera da quando avevo otto anni.

elena Lo so. Non scrive più lettere dopo la lettera al Bambino Gesù, che doveva portarle un elmo da bersa­gliere, e invece non gliel'ha portato.

lorenzo    No da bersagliere. Da pompiere.

elena   Da pompiere. Scusi.

lorenzo Non me l'ha portato. M'ha portato invece uno stupidissimo caleidoscopio, che si è rotto subito. Le sem­brano scherzi da fare?

elena    Eh, davvero!

lorenzo    Vedo che Teresa le ha parlato molto di me.

elena    Teresa parla sempre di lei. Non parla mai d'altro.

lorenzo    Come sta?

elena Bene. Dice che dorme meglio, adesso che ci sono io qui. Non ha più paura, la notte. Non ha più quegli in­cubi che aveva.

lorenzo   E lei? Lei come si trova, qui?

elena Oh, io mi trovo molto bene. Ci facciamo compa­gnia, io e Teresa. La sera, quando ne ho abbastanza di studiare, giochiamo a carte, chiacchieriamo, sentiamo di­schi. Poi ce ne andiamo a dormire e la mattina, mentre Teresa ancora dorme, io mi alzo, esco a fare la spesa, metto la casa in ordine, poi me ne vado all'università. Quasi sempre mangiamo insieme. Siamo diventate mol­to amiche. Una settimana fa, ho avuto un po' d'influen­za, e Teresa m'ha curata, non mi lasciava alzare, mi por­tava la colazione a letto, su un vassoio.

lorenzo Ho piacere che siate diventate amiche. Teresa è molto soia. Un mese fa, il giorno prima che io partissi per le mie campagne, mi ha telefonato, e mi ha detto: « Sono così contenta, viene a stare da me una ragazza molto simpatica, una studentessa di lettere ». Io ho det­to: « Sì? Bene, verrò a conoscerla». Invece poi son do­vuto partire.

elena Siamo diventate amiche. E pensare che io sono ve­nuta qui per caso, per un'inserzione! Se non avessi letto il giornale quel giorno, non avrei mai conosciuto Teresa.

lorenzo Perché questo le sembra strano ? Tutti i rappor­ti umani sono affidati al caso. Andiamo dove ci porta il vento. Io ho conosciuto Teresa perché un amico mi ha portato, un giorno, a Cinecittà. Luogo dove non ero mai andato prima d'allora, e dove non credo che ritornerò mai. Era una giornata di tramontana, Teresa stava sedu­ta sulle rovine di Troia, Tirava un vento arido, sabbio­so. Le rovine di Troia si trovavano su uno spiazzo di sabbia. Il vento alzava una sabbia che entrava negli oc­chi, in bocca. Ci si reggeva a malapena in piedi. Ho sem­pre conservato la sensazione d'avere incontrato Teresa in una tempesta di sabbia.

elena Lo so. Teresa me l'ha raccontato. Mi ha racconta­to tutto.

lorenzo Teresa spera sempre che io torni a vivere con lei. Ma io non posso. Non succederà mai.

elena    No, non lo spera. Non lo spera più.

lorenzo Le ha detto che non lo spera più? Non è vero. Lo spera sempre. Sono sempre inchiodato nei suoi pensieri. Vorrei che potesse incontrare un altro uomo, che si rifacesse una vita.

elena    Non vede mai nessuno.

lorenzo Si, non vede nessuno, perché non ha voglia di veder nessuno, perché pensa ancora a me. Spera in me. Crede che se io l'ho lasciata, è stato per un fatto che è successo. Invece no. Io non l'ho lasciata per quel fatto. Quel fatto è stato un semplice pretesto, ma l'avrei lascia­ta ugualmente, forse solo qualche giorno dopo. In verità l'ho lasciata perché avevo smesso di amarla. Non sentivo nessuna gelosia. Quando è avvenuto quel fatto, ero già distaccato da lei, lontano da lei migliaia di anni luce. Non l'amavo più. Ho cercato di spiegarglielo tante vol­te. Ma non l'ha capito. Non vuole capirlo.

elena    Povera Teresa!

lorenzo In fondo credo d'avere smesso di amarla molto presto, poco tempo dopo che eravamo insieme. Però non me lo sono detto subito con chiarezza. I sentimenti che avevo per lei erano complessi, indecifrabili. Per decifrar­li, mi ci è voluto del tempo. Mi sono unito a lei perché ne avevo pietà. Soffriva di incubi, di paure, di angosce. Mi sono unito a lei per una polemica con mia madre. Per unirmi a una ragazza povera, sola, sbandata, che veniva da un mondo tanto diverso dal nostro, da quello della mia famiglia. Mi sono unito a lei per unirmi a una ragaz­za matta, scombinata, confusa. Volevo guarirla dall'an­goscia, portare luce nella sua confusione. In verità ero anch'io confuso e angosciato, e incapace di dare sicurez­za e salute a un essere che, sotto molti aspetti, mi rasso­migliava. Avevo fatto questo errore: mi ero unito a un essere che mi rassomigliava, quando invece siamo felici con chi non ci rassomiglia, siamo felici con gii esseri che sono il nostro contrario, che possiedono quello che a noi manca. Invece di guarirla dall'angoscia, mi sono sentito travolgere nella sua stessa angoscia, mi pareva di calare a poco a poco in un'acqua nera, turbinosa, di perdere il respiro e la ragione. Una sensazione orribile.

elena    Ma perché?

lorenzo Come perché? Perché sentivo così? Non capi­sce? Forse lei è troppo giovane per capire. Sentivo di an­negare. Le è mai successo di sentirsi annegare?

ELENA    Stavo per annegare una volta, quand'ero bambina.

lorenzo Lei è ancora quasi una bambina. Non dovrei parlarle dei casi della mia vita. Certo anche Teresa le parla dei nostri casi. Lei avrebbe bisogno di aria pura. Si soffoca qui.

elena    Oh no. Io sto benissimo qui.

lorenzo In questa casa? Ci sta benissimo? Poverina. Chissà come la opprime Teresa, con la storia delle nostre disgrazie. Vede, tanto io che Teresa abbiamo bisogno di rovesciare i nostri guai su qualcuno. Ma né io né lei non guardiamo, se chi ci ascolta è in grado di sopportare il peso dei nostri guai.

elena Non so se io sono d'aiuto a Teresa. Quando parla, sto a sentire. Non le do grandi consigli. Che cosa te po­trei consigliare? Le dico di non pensare più a lei.

lorenzo Un buon consiglio. Ma inutile. Del resto i con­sigli sono sempre inutili. Il vero aiuto che possiamo dare al prossimo, è ascoltarlo in silenzio.

elena    Però lei è cosi diverso da come lo immaginavo!

lorenzo Si? perché, come mi immaginava? Teresa non mi dipinge mai come sono. Non mi ha mai capito. Le rassomiglio, eppure non mi ha mai capito,

Suona il campanello. Elena apre. Entra Teresa.

teresa Oh, ciao. Beato chi ti vede. È un mese che non so più niente di te.

lorenzo Ero in Puglia. Allora? Ho sentito che c'è qual­cuno che vuoi comprare la nostra casa?

teresa Nostra? non è nostra. È mia. Se la vendo, i soldi son miei. Non è intestata a me?

lorenzo    Ho mai detto che voglio quei soldi?

teresa C'era uno che pensava di comprarla. Torno ades­so da Rocca di Papa. Ci sono stata con lui. È un diretto-te di banca.

lorenzo    Quale banca?

teresa    Non lo so. Non gliel'ho domandato.

lorenzo    Era la prima cosa da domandargli.

teresa Allora, di questa storia, occupatene tu. Visto che io non faccio le domande buone.

lorenzo Perché devo occuparmene io, dato che la casa è tua?

teresa    Se dici che non faccio le domande buone.

lorenzo    Io non ho tempo.

teresa    Anch'io non ho tempo.

lorenzo    Perché? cos'hai da fare, tu?

teresa    E tu? tu cos'hai da fare?

lorenzo     Più di te.

teresa    Io ho da fare.

lorenzo   Cosa?

teresa   Non ti riguarda.

lorenzo Allora la compra, questo direttore di banca? gli piace?

teresa No. Ha detto che la disposizione delle stanze è assurda. Che per andate in bagno bisogna fare tre chilo­metri di corridoio. Che la terrazza è esposta a mezzanot­te. Che la cucina è buia. Io gli ho detto: « Della disposi­zione delle stanze non sono responsabile io. La pianta della villa è stata disegnata dal mio ex ».

lorenzo    Ah sì? Hai detto così? dal mio ex? (Ride).

teresa Sì. Anche tu, quando parli di me, dici « la mia ex ».

lorenzo    No, io non dico mai « la mia ex ».

teresa    Se ti ho sentito,

lorenzo    Quando?

teresa    Comunque non si sogna di comprarla,

lorenzo È un cretino. La terrazza è esposta a mezzanot­te per godere il fresco d'estate. E il bagno non è poi così lontano dalle camere.

teresa    Sarà un cretino, ma non vuole comprarla.

lorenzo (a Elena) Dovrebbe vederla. Vada a vederla un giorno. Se vuole posso accompagnarla io. È una casa pro­prio bellissima.

teresa A cosa serve che Elena la veda? Non vuoi mica che la compri lei.

lorenzo    Perché no?

teresa    Perché non ha una lira.

lorenzo Ad ogni modo sono contento se la vede. Per mostrarle come io so far costruire una casa.

teresa    Perché non ci vai a stare tu, se ti piace tanto?

lorenzo    Io? a Rocca di Papa?

teresa     Sì?

lorenzo    Ma io sto hene dove sono.

teresa    Con tua madre?

lorenzo Se ti ho detto che non sto più con mia madre. Ho un piccolo appartamentino per conto mio.

teresa    Cosi ci puoi portare le tue puttane, la notte.

lorenzo Siccome siamo separati, ci porto chi mi pare a me.

elena Senti Teresa, ho messo su il pollo. Facciamo la mi­nestrina in brodo, no?

teresa   Sì, tesoro.

lo renzo    Mi invita te a colazione ?

elena    Con piacere, vero Teresa ?

teresa    La minestrina in brodo a lui non gli piace.

lorenzo    Non è vero. Mi piace moltissimo.

teresa    Hai cambiato gusti, in un anno?

lorenzo    Mia madre me la fa sempre.

teresa    Così, sei stato in Puglia?

lorenzo Sono stato in Puglia, sì. (A Elena) Ho là una campagna. Rende bene. C'è ulivi, grano, vigne, una tren­tina di ettari. Mia sorella e suo marito vivono li. Hanno nove bambini. Io li invidio. Si vogliono molto bene, non si staccano mai uno dall'altra. Mio cognato si occupa del­la campagna, e a tempo perso dipinge quadri, A dire il vero, bruttissimi, Mia sorella va un poco a cavallo. I bambini li mandano a scuola a Torcia, che è il paese più vicino. Mio cognato va a caccia. Una bellissima vita.

elena Io sono cresciuta in campagna. La campagna mi piace. A Teresa, le mette malinconia. A me, no. I miei genitori hanno, in una campagna vicino a Pistoia, una piccola pensione per stranieri. Anche noi abbiamo ulivi e vigne. Grano no, non ne abbiamo.

lorenzo Già, a Teresa le mette malinconia la campagna. Le ricorda l'infanzia. Non ha avuto una bella infanzia. Gliel'avrà raccontato.

elena Sì. Mi ha raccontato tutto. So tutto di lei. E an­ch'io le ho raccontato tutto di me. È vero che di me c'e­ra poco da raccontare. Fino a vent'anni, sono stata sem­pre in campagna. Lì non succedeva mai niente, Gli ulti­mi tempi, m'annoiavo un poco. Una noia dolce, perché leggevo molto, fantasticavo, pensavo. Quando sono par­tita, ho pianto tanto, dal dispiacere di lasciare mia ma­dre, e le mie sorelline. Forse è stato il primo grande di­spiacere della mia vita.

lorenzo    E qui? è successo qualcosa, qui?

elena A Roma? poco. L'anno passato stavo dagli zii. Ma c'era rumore. Poi ho letto un'inserzione sul giornale, ho risposto, sono venuta. Con Teresa ci siamo sentite subi­to in confidenza. Adesso è la mia amica più cara. L'ho scritto anche a mia madre. Stiamo così bene insieme, ve­ro Teresa?

teresa    Sì, tesoro.

lorenzo Voi donne fate presto a fare amicizia. Vi basta un mese, per essere amiche. Negli uomini, l'amicizia pro­cede per gradi, lentamente. Io, per me, conosco un solo sentimento che sia subitaneo e folgorante, l'amore,

teresa Non è vero. Quando mi hai incontrata, dopo sei scomparso per sei mesi, senza dare segno di vita. Dun­que non eri tanto folgorato.

lorenzo    Quando ti ho incontrata? Sulle rovine di Troia?

teresa     Sì.

lorenzo    E chi ti dice che io non sia stato folgorato, altre volte? Credi forse che nella mia vita, non ci sei stata al­tro che tu?

teresa E chi altro c'è stato? Quella ragazza che avevi a ventidue anni, che poi non ti ha voluto?

lorenzo    Allora è pronta questa minestrina in brodo?

elena Fra poco. Il pollo deve cuocere ancora un poco. Va­do a grattare intanto il parmigiano. Sei di cattivo umore, Teresa?

teresa   No. Ho mal di testa.

Elena via.

lorenzo    Hai mal di testa?

teresa    Un poco.

lorenzo    Sei di cattivo umore?

teresa    Può essere.

lorenzo È molto carina, questa ragazza. Molto simpati­ca, semplice.

teresa    Sì.

lorenzo L'idea dell'inserzione è stata un'idea buona. Ora sono anch'io più tranquillo. Mi dispiaceva di saperti so­la in casa, specialmente la notte. Dormi bene, ora? La ragazza mi diceva che dormi bene.

teresa    Cosa ne sa, la ragazza?

lorenzo    Hai ancora incubi?

teresa    Faccio sempre quell'orrendo sogno.

lorenzo    Quale sogno?

teresa Te l'ho raccontato tante volte. Non hai memoria. No, non è che non hai memoria, ma non hai memoria per me. Come quella volta che sei sceso a comprare le siga­rette, e non sei tornato più, perché ti eri scordato che esi­stevo.

lorenzo Ah, non cominciamo a ripescare queste anti­chissime storie! a che serve esserci separati, se dobbiamo continuare a rovistare in queste vecchissime cose?

teresa    Era un brutto principio. Dovevo capirlo. Dal tabaccaio hai incontrato un amico, ti sei messo a chiacchie­rare e ti sei scordato di me. Come se fossi stata una put­tana qualunque.

lorenzo   Ah, basta! Io, allora, ti conoscevo poco!

teresa No. Stavamo insieme da tre giorni. Da tre giorni facevamo l'amore. Per me, quei tre giorni, contavano qualcosa. Non potevo io dimenticarmi di te, se scendevo dal tabaccaio. Che amico era, quello che hai incontrato dal tabaccaio? Mario? Gunter?

lorenzo   Non mi ricordo. E poi, cosa importa?

teresa    Forse era Mario,

lorenzo   Forse.

teresa    Lo vedi spesso?

lorenzo     Chi?

teresa    Mario?

lorenzo    Lo vedo tutti i giorni.

teresa E non ti ricordi mai, che l'hai trovato a letto con me, quella notte? Mentre lo guardi, non ci pensi, che ti ha tradito? Era il tuo più caro amico, e ti ha tradito. Ci pensi?

lorenzo Lascia stare. Ti prego, lascia stare. È una cosa che ho superato. La mia amicizia per Mario è una cosa molto delicata, limpida, profonda. Non la avveleno con quel ricordo. L'ho lavata di quel ricordo, e adesso è an­cora quella che era prima. Ti prego dì non toccarmela. Ci sono delle cose che non puoi capire tu.

teresa Ah, l'hai lavata di quel ricordo? Perché quel ri­cordo era sudicio? un ricordo sudicio?

lorenzo Capirai che non era tanto grazioso, trovare la moglie a letto col più caro amico d'infanzia. Ma ti prego, lasciamo perdere. Parliamo d'altro.

teresa E io ? anch'io ti avevo tradito. L'amicizia per Ma­rio l'hai lavata, ripulita, sciacquata, e adesso è come pri­ma, cosi hai detto. E i tuoi sentimenti per me? Quelli non si potevano lavare, ripulire, sciacquare? quelli si e-rano insudiciati per sempre, e li hai buttati via? Mario l'hai perdonato, stai con lui dalla mattina alla sera, e a me invece non mi puoi perdonare? Perché forse i tuoi sentimenti per me non erano delicati, né profondi?

lorenzo Teresa. Tu vuoi ostinarti a credere che ti ho la­sciato perché mi avevi tradito. No. T'avrei lasciato in qualunque modo. Me ne sono andato via quella sera, perché ho detto: « È con Mario. Meglio andarsene ». Ma non ero, come credi tu, sconvolto dalla gelosia. Sentivo solo un po' d'amarezza, un vago stupore. Ma era finita, capisci? Era già finito tutto, ero lontano da te milioni di anni luce, avevo visto mia sorella in Puglia e le avevo detto che ti avrei lasciato, perché non potevo più vivere con te, perché mi distruggevo e ti distruggevo!

teresa    Amavi un'altra ?

lorenzo No, no, no! Su questa terra non c'è mica soltan­to l'amore! Io non vivo soltanto di amore, in questo mo­mento non ho amore e vivo lo stesso, parlo con gli amici, vado avanti nei miei studi, compro quadri! Nel tuo mon­do c'è soltanto il sesso! Per questo, nel tuo mondo, io non respiro! Io sono stufo del sesso, ne ho fin sopra i ca­pelli!

elena (entrando)    È quasi pronto. Il pollo è quasi cotto.

teresa    Sei stufo del sesso, tu?

lorenzo   Stufo da morire.

teresa Quante bugie racconti! Io ormai ti conosco cosi bene! Dici che non hai detto mai una bugia nella tua vi­ta, e in verità sei tutto impastato di bugie, dai piedi alla testa! Credi che io non vedo come guardi le donne? Cre­di che non vedo che appena hai vicino una donna, cambi colore, ti illumini, ti accendi come una lampadina?

lorenzo E invece ti dico che sto benissimo senza donne. È lo stato ideale, per me.

elena    Ho fatto anche un po' di puré di patate.

lorenzo Non dovrebbe mangiar tante patate, Teresa. La fanno ingrassare.

teresa E a te cosa te ne importa, se divento grassa? Non ho più bisogno di piacere a te. Siamo separati. Posso mangiare tutte le patate che voglio.

elena Ma ne ho fatto poco di purè. Mi è venuto bene, senza grumi. L'ho sbattuto nel frullatore.

teresa Funziona, il frullatore? Ieri sembrava che non funzionasse.

elena    Funziona, sì.

lorenzo    È la prima volta che io mangio qui.

teresa Sì. È la prima volta che lui mangia qui. Non si era mai degnato di mangiare con me, da quando siamo separati. Veniva, stava un quarto d'ora, e scappava.

lorenzo Hai voglia di litigare. Io no, oggi non ho voglia di litigare. (A Elena) Le dicevo, prima, di mia sorella, che ha una vita invidiabile. Sono stato un mese là con lo­ro. Che pace. La casa di mia sorella è in un posto bellis­simo, è su una piccola collina e si vede, in lontananza, il mare. Io facevo il bagno di mare ogni giorno, andavo alla spiaggia in motocicletta, al mattino presto. Non si vedeva un'anima sulla spiaggia. Era una gran pace, e mi sono rimesso i nervi a posto. Perciò, oggi non ci riesce Teresa a litigare con me.

teresa Io no che non la invidio, sua sorella. Quel mari­to che ha è un cretino.

lorenzo Si, non è mica un'aquila. Però è simpatico. È un'onesta persona.

teresa Una volta che siamo andati a trovarli, m'ha ac­chiappata in un corridoio e m'ha baciata in bocca.

lorenzo    Mio cognato?

teresa    Tuo cognato, si.

lorenzo    È la prima volta che lo sento.

teresa Bè, io non te l'avevo detto per non darti un di­spiacere. Gli deve mettere tante di quelle corna, a tua so-rella. È vero che lei è noiosa come l'olio.

lorenzo    Perché, è noioso l'olio?

teresa Potevi anche portarmi qualche fiasco d'olio di là. (A Elena) Ne hanno tanto. Si ricordasse una volta di farmi qualcosa di utile. Dicevo di sua sorella, che è pie­na di corna dalla testa ai piedi. Poveretta. Altro che invidiarla. Mi fa pena. È vero che ha ventinove anni e ne di­mostra quaranta. Ha un culo che non finisce mai.

lorenzo (a Elena) In verità mia sorella è una bellissima donna. Sembra un Botticelli.

teresa Sì, sì, è proprio una botticella. È un barile. Nem­meno un po' di vino, mi hai portato? Hanno tanto di quel vino che io regalano. Io non ho mai avuto il bene di riceverne un goccio. Sua sorella, tutto quello che ha saputo regalarmi sono delle orrende liseuses. Io invece gli mandavo sempre giù pacchi di regali bellissimi, per tutti i bambini.

lorenzo Su, andiamo a mangiare. Dove mangiamo ? Man­giamo in cucina?

teresa In cucina, sì. Non ho piatti. Non ho nemmeno le posate d'argento. Se avessi le posate e i piatti, apparec­chierei qui nella sala da pranzo, bene, con la tovaglia. Siccome non ho che dei piatti di coccio, mangio in cuci­na. Colpa tua, perché in cinque anni di matrimonio non sei stato buono di comprarmi un bel servizio di piatti. Quando io volevo comprarlo, dicevi sempre che non va­leva la pena. Le posate d'argento, tua madre me le pro­metteva sempre, ma col cavolo che le ho viste. Invece tua sorella ha un servizio di posate bellissimo. Gliel'ha dato tua madre.

lorenzo    E perché non ti compri piatti e posate ?

teresa Adesso? Adesso non ho mica soldi da buttar via. Tu credi di darmi tanti soldi, ma invece non me ne dai mica tanti, mi bastano appena. Voglio mettere di nuovo un'inserzione per il buffet. Io lo vendo. Cosa me ne fac­cio d'un buffet? C'è dentro solo delle vecchie riviste. Poi un'altra inserzione, voglio metterla per la gattina.

lorenzo   La gattina?

teresa La mia gattina siamese. Non l'hai vista? Dev'es­sere sul balcone. Me l'hanno regalata una settimana fa. Voglio sposarla a un siamese di razza pura. Non voglio che si incroci con bastardi. È in amore, e miagola tutta la notte.

lorenzo  Chi te l'ha regalata?

teresa    Me l'hanno regalata.Non hai bisogno di sapere chi.

elena Gliel'ha regalata ildroghiere. Era capitata da lui per caso, scappando da qualche finestra.

lorenzo    Mia sorella ha sei cani e cinque gatti.

elena    E nove bambini?

lorenzo    Nove bambini.

elena Mia madre ha tre cani. Niente gatti. I gatti non le piacciono.

lorenzo 1 suoi hanno una casa in campagna, vicino a Pi­stoia? Mi piace tanto la campagna toscana. Ci va mai a trovarli?

elena Ma certo. Ci vado sempre. Sono molto legata a mia madre.

lorenzo Posso venire anch'io con lei una volta, a vedere quella campagna? Amo la campagna toscana. Mi mette a posto i nervi. Mi calma.

elena    Certo.

teresa No. Non ce lo portare. Tua madre, quando lo ve­de, lo piglia per un malvivente. Non ha l'aria d'un mal­vivente, con quella barba lunga, quel maglione, quell'a­ria sudicia? Sai, non si lava mai. Hanno poco l'abitudine di lavarsi, nella sua famiglia, Sua sorella puzza di sudore a un metro di distanza.

lorenzo Vogliamo lasciare in pace mia sorella, per favo­re? Vogliamo andare a mangiare?

elena .  Andiamo à mangiare, sì.

teresa    E la gattina ? la gattina ha mangiato ?

elena    Le ho dato un osso di pollo,

teresa Sei pazza? non devono mangiare ossa i gatti, gli fanno male. Sono dei gatti, non sono mica dei cani.


ATTO TERZO

teresa (sbadigliando) Che ore sono? le undici? sono già le undici? facciamo il caffè?

elena Il caffè l'ho già fatto. Te lo porto.

(Via. Torna col caffè).

teresa Sei rientrata molto tardi ieri sera. T'ho sentita. Non potevo dormire, per via di quella gatta maledetta. Tutta la notte non ha fatto che miagolare.

elena    Sono andata al cinema.

teresa    Con Lorenzo?

elena    Sì, con lui e con gli altri.

teresa    Chi gli altri? Mario e Gunter?

elena Sì, loro due.Poi siamo andati a prendere un gela­to. Così ho fatto tardi.

teresa Ieri ho messo di nuovo tre inserzioni. Per la gat­ta, per il buffet, per la stanza. Per la villa di Rocca di Pa­pa non ho messo nessuna inserzione. Non voglio più ven­derla. Ho pensato che metterò su una pensione, come tua madre. Forse faccio soldi. Potrei vivere qui, e dare in mano la pensione a qualcuno. L'importante è fare dei soldi. Questo caffè è cattivo, stamattina. Sa di nocciole.

elena A me sembra buono. Pensa, è l'ultima volta che prendiamo insieme il caffè. Domattina, sarò dagli zii. Mi dispiace tanto d'andarmene. Mi ero così affezionata a questa casa.

teresa    Solo alla casa?

elena Oh, stai zitta. Sai quanto mi dispiace di lasciarti. Ma vedi, devo studiare. Con te, qui, finisce che non stu­dio, lo sai. Non facciamo che discorrere. Dagli zii c'è molto rumore, però in fondo concludo di più.

teresa Anche Lorenzo diceva sempre che non riusciva a concentrarsi, a studiare, quando viveva con me. Ci de­v'essere in me qualcosa che impedisce agli altri la con-centrazione. Però per Lorenzo era una bugia, perché an­che adesso che non è più con me, non combina niente lo stesso. Chiacchiera. Gira le strade. Dio, quanto chiac­chiera!

elena    Però sta per pubblicare un libro.

teresa    Un libro? un libro su che?

elena    Sugli atomi. Gunter dice che è molto bello.

teresa E cosa ne capisce degli atomi, Gunter? Non è un compositore di musica?

elena Ieri sera ho fatto tardi anche perché dopo il gela­to, ci siamo messi a camminare per la città. Ho cammina­to un mucchio. Mi fanno ancora male le gambe.

teresa    Sempre voi con gli altri?

elena    No. Lorenzo e io.

teresa Con me, non voleva mai camminare. Sempre in automobile andava, con me. Camminava sempre con i suoi amici, e non mai con me. Diceva che io lo esaspera­vo, perché non avevo il suo passo. Facevo passi troppo corti, diceva.

elena    Devo dirti una cosa, Teresa.

teresa    Dimmela.

elena    È difficile.

teresa Oh, cosa sarà mai? Non ho chiuso occhio, sta­notte. Ho un gran mal di testa. Se non trovo un gatto siamese, quella bestia maledetta l'accoppio col gatto del portinaio,

elena Le volevi tanto bene a quella gattina, e adesso la chiami « bestia maledetta »?

teresa    Perché non mi lascia dormire.

elena Teresa. Quella cosa che devo dirti è questa. Io e Lorenzo ci vogliamo bene. Ci amiamo. È per questo che me ne vado via. Non è perché devo studiare. È perché lo amo. Allora, capisci, non posso più stare qui.

teresa    L'avevo capito da me.

elena L'avevi capito? davvero? l'avevi capito? È una cosa che si vede?

teresa     Sì.

elena L'avevi capito, e sei rimasta tranquilla? senza piangere, senza gridare? tutta fredda, zitta, tranquilla?

teresa Perché dovrei piangere? Tanto a me non mi vuo­le più. Che stia con te o con un'altra, è la stessa cosa.

elena E potremo ancora essere amiche? Potrò venire a trovarti? mi vorrai bene, come mi volevi bene prima?

teresa    Perché no, tesoro caro?

elena Come sei buona! sei una donna così buona, così generosa! Io lo so che tu lo ami sempre!

teresa È vero. Lo amo sempre. Lo amerò sempre. È la mia disgrazia. Se mi facesse un cenno, dalla parte oppo­sta della terra, correrei da lui. Correrei da lui a quattro zampe. Me lo ripiglierei sempre, anche vecchio, digiuno, randagio, anche pieno di cimici, di sifilide, con le pezze ai calzoni. È vero. State con lui per me era un inferno, ma darei la vita, la vita, ti dico, per tornare indietro al tempo che eravamo insieme. Però questo non c'entra. Non ti riguarda. Pensi di sposarlo?

elena    Come faccio a sposarlo, se è sposato con te?

teresa    Posso dargli l'annullamento.

elena Come sei buona! come sono felice! È un uomo co­sì straordinario! Mi sono innamorata di lui subito, appe­na l'ho visto. E anche lui di me.

teresa    Sì. L'avevo capito.

elena Come è strano il destino! Pensare che io son capi­tata qui per caso, per un puro caso, per un'inserzione! Potevo non guardare il giornale, quel giorno, e non ve-nire qui per niente! e non avrei conosciuto né te, né lui!

teresa Quando una persona è felice, non la smette mai di meravigliarsi della grande intelligenza del caso, che l'ha portata alla felicità. E invece quando uno è infelice, non si stupisce mica niente a guardare come il caso è stu­pido. Stupido e cieco. Gli sembra naturale che sia tanto stupido. Si vede che per la gente, l'infelicità è una cosa naturale, e non fa stupore.

elena Come sei strana, oggi! come ragioni in un modo pacato, giudizioso, freddo!

teresa A proposito di inserzioni. Ti ho detto che ho messo un'inserzione per la stanza. Uguale a quella che avevo messo per te.

elena    Uguale?

teresa Sì. M'hanno telefonato due o tre. Perciò dovre­sti mettere in ordine. Levare i tuoi vestiti dalle sedie. Così la stanza è in ordine, se viene a vederla qualcuno.

elena Ho già fatto la mia valigia. Me ne vado a mezzo­giorno. È in ordine, la stanza.

teresa    Viene Lorenzo con la macchina a prenderti?

elena Sì. Poi un'altra inserzione l'hai messa per la gatti­na? e un'altra per il buffet?

teresa Sì. Però non so se la terrò, la gattina. La vorre­sti, tu?

elena Non posso tenerla, dagli zii. Non la vorranno. E nemmeno mia madre la vorrebbe. Non le piacciono i gat­ti. Perché tu non la vuoi più? le volevi tanto bene! Quando le avrai dato marito, smetterà di piangere.

teresa È vero. Stanotte non m'ha fatto chiudere occhio. Mi sono addormentata che era mattina. Ho fatto ancora quell'orribile sogno.

elena    Quello del muro?

teresa Sì. Un muro, un cortile, dei mobili vecchi, degli stracci, dei vetri rotti. Io cammino là in mezzo, frugo tra quegli stracci. Poi batto nel muro e vorrei chiamare, gri­dare, e non mi viene la voce. So che di là dal muro c'è una cosa tremenda,

elena     E cos'è?

teresa Qualcuno. Una persona che mi è molto cara. E non posso raggiungerla, perché c'è il muro.

elena Anch'io faccio brutti sogni, quando sono stanca, quando devo dare gli esami. È stanchezza. Perché non te ne vai un poco fuori città? da tua madre?

teresa Sì, forse dovrei andare un poco al mio paese. È . tanto tempo che non la vedo mia madre. E neanche le scrivo mai. Vivendo con Lorenzo, lui m'ha attaccato quell'orrendo vizio di non scrivere lettere. Prima ogni tanto le scrivevo, a mia madre. Ero meglio, prima. Come può rovinarti, un uomo! ti rovina, e poi ti lascia lì.

elena Perdonalo. Non ne ha colpa, se ti ha fatto del ma­le. Anche tu, senza colpa, hai fatto del male a lui.

teresa È vero. Anche lui era meglio, prima. Era meno frivolo e meno cinico. Prima di quel giorno maledetto, che ci siamo trovati sulla stessa strada.

elena    Lui non è né frivolo, né cinico. E tu lo sai.

teresa Avrei potuto sposare un altro, se non lo incon­travo quel giorno. Ero cosi giovane e bellina. Ne avevo tanti che mi volevano. Potevo pigliarmi un uomo sempli­ce, tranquillo, gentile, avere una vita ordinata e regola­re. Invece sono incappata in lui. Che disgrazia! M'ha ro­vinata. M'ha distrutta. Poi se n'è andato, come uno che pesta un prato e poi se ne va. « Non sei niente », m'ha detto. « Non sei, per me, una persona. Mi hai tradito, ma non me ne importa niente. Sono lontano da te milioni di anni luce ». Cosa farò? dimmi, cosa farò adesso? Cos'altro mi resta, che spararmi un colpo in mezzo al cuore? Ce l'ho, sai, la pistola? Ce l'ho da quando abbiamo la villa a Rocca di Papa. Perché pensavo che avevo paura a stare sola la notte, quando lui era via. Poi non ci siamo stati che un'unica notte, lassù. Una notte orribile. Ab­biamo litigato, non mi ricordo più perché. Per una stu­pidaggine. Per una chiave che non si trovava. O magari solo per una parola. Una semplice parola, tra lui e me, poteva diventare un mostro. La sviscerava. La vivisezio­nava. Ne tirava fuori tutti i minimi significati nascosti. Gli ho morso una mano. Lui m'ha schiaffeggiata. Avevo le orecchie che ronzavano, mi usciva sangue dal naso. Lui aveva i segni dei miei denti sul polso, sulla fronte aveva una ferita che gli ho fatto con delle forbici. Gli ho tirato addosso delle forbici, S'è dovuto mettere un cerotto. E pensavo: «Ma io lo ammazzo, adesso che ho la pistola! »

elena    E dove ce l'hai ora questa pistola?

teresa Cosa importa dove ce l'ho? Ce l'ho. Ce l'ho nella mia borsa. Un giorno mi sparo. Così non avrete bisogno dell'annullamento. Lo faccio vedovo.

elena    Dammela, questa pistola.

teresa    Un corno.

elena    Dammi la tua borsa.

teresa    Un corno.

elena   Buttala via, la pistola! Ti prego, Teresa, ti prego, buttala via!

teresa    Sì. La butterò via,

elena  Devo vestirmi. È tardi. Devo chiudere la valigia. Tra poco lui sarà qui sotto. Non sarai sola, Teresa! Ti verrò a trovare sempre, lui verrà sempre! Noi due ti vor­remo sempre tanto bene! (L'abbraccia).

teresa     Sì.

elena    Devo andare a vestirmi. (Via).

Teresa passa nella sua stanza. Poi nella stanza di Elena. La scena resta vuota. Si sente un colpo di pistola.

teresa (corre al telefono e fa un numero) Pronto, Lorenzo! Lorenzo! Vieni qui, per carità, vieni qui, l'ho am­mazzata! Non volevo, non volevo, ma l'ho ammazzata, è morta, è subito morta! per carità, Lorenzo, vieni, vieni!

Scoppia a piangere. Suona un campanello. Teresa si a-sciuga gli occhi con le mani. Apre, Entra Giovanna.

giovanna Buongiorno. Ho telefonato qualche ora fa. Vengo per l'inserzione sul giornale. Mi chiamo Giovan­na Ricciardi.

teresa    Quale inserzione? ho messo tre inserzioni.

giovanna    La stanza.

Novembre 1965.