Lisistrata

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LISISTRATA

LISISTRATA

di Aristofane

PERSONAGGI DELLA COMMEDIA:

LISISTRATA

VINCIBELLA

MIRRINA

LAMPETTA, donna spartana

SCITINA, fantesca, che fa da arciera

CORO di VECCHI, guidato dal corifeo STRIMODORO

CORO di VECCHIE, guidato dalla corifea VITTORIA

Un COMMISSARIO

ARCIERI SCITI, che accompagnano il Commissario

DONNA A

DONNA B

DONNA C

DONNA D

DONNA E

FOTTINO (Cinesia), marito di Mirrina

Un BIMBO, figlio di Mirrina

ARALDO SPARTANO

AMBASCIATORI SPARTANI

CITTADINI

SERVI

PROLOGO

Il fondo dell'orchestra rappresenta l'Acropoli: i propilei sono

all'altezza del tetto della scena. Un sentieruolo scende ripido in

orchestra fra rocce, una delle quali è incavata da una grotta poco

profonda. È ancora notte.

LISISTRATA (Si avanza, esplora tutto intorno, fa qualche gesto

di disappunto):

   Di' che qualcuno le avesse invitate

   alla festa di Bacco, o di Colìade,

   o delle Genetìllidi, o di Pane,

   che pigia pigia ci sarebbe stato

   di timpaniste! Da sbarrar la via.

   Ora, invece, non c'è nessuna donna.

   Ah, no, vedi che arriva questa mia

   paesana. Buon giorno, Vincibella!

VINCIBELLA:

   Lisistrata, buon dí. Perché sconvolta?

   Bambina mia, non fare il viso scuro:

   non ti s'adatta, quel cipiglio, no.

LISISTRATA:

   Mi piglia fuoco il cuore, Vincibella,

   quando penso a noi donne, e mi ci struggo;

   perché gli uomini pensano che siamo

   briccone...

VINCIBELLA:

   E no, perdio, che cosa siamo?

LISISTRATA (Continuando):

   e furono avvisate di trovarsi

   qui, per deliberare intorno a un grosso

   affare, e loro dormono, e non vengono.

VINCIBELLA:

   Verranno, anima mia! Per una donna,

   uscire è un affar serio. Una ha il marito

   che le sta sopra: un'altra sveglia il servo;

   un'altra pone a letto il bimbo; questa

   lo lava, quella l'imbocca...

LISISTRATA:

   Dovrebbero

   pensare ad altre cose, assai piú gravi!

VINCIBELLA:

   O Lisistrata mia, che c'è di nuovo,

   che ci raduni tutte qui? Che affare?

   Di che grandezza?

LISISTRATA:

   È lungo...

VINCIBELLA:

   Ed anche grosso?

LISISTRATA:

   Anche grosso, di certo.

VINCIBELLA:

   E allora, come

   va che non siam qui tutte?

LISISTRATA:

   Eh, non si tratta

   di ciò: se no, ci si veniva a volo.

   È un certo affare che ho trovato io,

   e sballottato tante e tante notti

   che non pigliavo sonno!

VINCIBELLA:

   Sballottato!

   Fine fine sarà, già me l'immagino.

LISISTRATA:

   È tanto fine, che di tutta l'Ellade

   è la salvezza delle donne in pugno!

VINCIBELLA:

   Delle donne? La vedo e non la vedo!

LISISTRATA:

   Sí, provvedere alla città dobbiamo

   noi: se no, son finiti gli Spartani...

VINCIBELLA:

   Meglio, perdio, se fossero finiti!

LISISTRATA:

   Tutti i Beoti sono belli e fritti...

VINCIBELLA:

   No, tutti no: le anguille, poi, risparmiale!

LISISTRATA:

   Quanto ad Atene, non farò l'uccello

   di malaugurio. Tu, però, capiscimi.

   Se accorressero qui tutte le donne

   dalla Beozia e dal Peloponneso,

   tutte d'accordo salveremmo l'Ellade!

VINCIBELLA:

   Ma che cosa di bello e d'assennato

   possiam fare noi donne! Stiam lí sempre

   imbellettate, in veste zafferano,

   tutte agghindate, con le pianelline,

   e le vesti cimbèriche insaldate!

LISISTRATA:

   Da questa roba la salute aspetto,

   io: dalle vesti zafferano, dai

   profumi, dalle pianelline, dalle

   vestaglie trasparenti, e dal rossetto.

VINCIBELLA:

   Proprio! E in che modo?

LISISTRATA:

   In modo tal che gli uomini

   l'asta l'un contro l'altro piú non rízzino.

VINCIBELLA:

   Per le Dee, mi fo tingere una veste

   zafferano...

LISISTRATA:

   Né piú lo scudo imbraccino...

VINCIBELLA:

   Indosso una cimbèrica...

LISISTRATA:

   Né impugnino

   spada!

VINCIBELLA:

   Compero un paio di pianelle!

LISISTRATA:

   Dunque, le donne avrebbero dovuto

   venire o no?

VINCIBELLA:

   Volare, e da un bel pezzo,

   avrebbero dovuto!

LISISTRATA:

   Anima mia,

   vedrai, saranno Attiche vere: tutto

   troppo tardi, faranno! Non ce n'è

   una, neppur di Pàralo, neppure

   di Salamina!

VINCIBELLA:

   So però che queste

   si son messe a vogare appena giorno!

LISISTRATA:

   E neppur quelle arrivano che io

   m'aspettavo e contavo che giungessero

   qui per prime, le femmine d'Acarne!

VINCIBELLA:

   La moglie di Teàgene, sul punto

   di venir qui, consultò prima Ecàte...

   Ma vedi, alcune arrivano; e parecchie

   altre si stanno avvicinando. Guarda,

   guarda! Di dove sono?

LISISTRATA:

   D'Assafètida.

VINCIBELLA:

   Eh, codesto, perdio, si sente al tanfo!

(Giungono parecchie donne)

MIRRINA:

   S'arriva forse l'ultime, Lisistrata?

   Che c'è? Perché stai zitta?

LISISTRATA:

   Non ti posso

   dire brava, Mirrina. È in ballo un tanto

   affare, e tu soltanto adesso, arrivi!

MIRRINA:

   Se non trovavo la cintura, al buio!

   Ma se c'è furia, parla, ora siam qui.

LISISTRATA:

   Aspettiamo, per Giove, un altro po',

   che arrivino le donne di Beozia

   e del Peloponneso!

MIRRINA:

   È meglio, è meglio.

   Giusto, vedi, Lampetta s'avvicina.

LISISTRATA:

   Lampetta mia, Spartana bella bella,

   buon dí. Dolcezza mia, quanto sei cara!

   Che buona cera! Come sono sode

   codeste cicce! E tu strangoli un bove!

LAMPETTA:

   Sfido! Fo la ginnastica, e me sbatto

   li calcagni alle chiappe, quanno zompo!

LISISTRATA:

   A mammelline stai davvero bene.

   (La palpa)

LAMPETTA:

   Me volete portà all'ammazzatora,

   che m'attastate?

LISISTRATA:

   E di dov'è quest'altra

   giovanottina?

LAMPETTA:

   È una Beota nobbile.

   Vvié qui.

LISISTRATA:

   Perdio, Beota, proprio bello

   codesto tuo boschetto!

VINCIBELLA:

   E se n'è rasa

   tutta a modo, perdio, la pimpinella!

LISISTRATA:

   E quest'altra ragazza, chi sarà?

LAMPETTA:

   È una bona regazza: è de Corinto.

LISISTRATA:

   Buona perdio, si vede a prima vista!

   Basta guardarla costí sotto!

LAMPETTA:

   E chi

   ce l'ha fatta vení, sta pipinara

   de donne?

LISISTRATA:

   Io sono stata.

LAMPETTA:

   E allora, dicce

   che vòi da noi.

LISISTRATA:

   Carina, volentieri.

MIRRINA:

   Di', via qual è, codesto affare serio?

LISISTRATA:

   Io son pronta. Ma prima voglio chiedervi

   una coserellina.

MIRRINA:

   A tuo piacere.

LISISTRATA:

   Dei vostri bimbi non bramate i padri,

   che sono lungi, al campo? I vostri sposi

   sono tutti partiti, lo so bene!

VINCIBELLA:

   Il mio, povera me, da cinque mesi

   è andato in Tracia, e tiene d'occhio... Eucràte!

LISISTRATA:

   E in Pilo è il mio, da cinque mesi interi!

LAMPETTA:

   Er mio, manco è tornato dalla guerra,

   che aripija lo scudo, e marcosfila!

LISISTRATA:

   E neppure ci resta uno straccetto

   d'amante! E poi, da quando ci han traditi

   i Milesî, neppure ho piú veduto

   quel trastullo di cuoio d'otto dita,

   che ci dava ristoro. Ora, vorreste,

   se io trovassi qualche stratagemma,

   porre, insieme con me, fine alla guerra?

MIRRINA:

   Sí, per le Dee, dovessi pure mettere

   giú questa veste... ed oggi stesso bermela.

VINCIBELLA:

   Sí, per le Dee, m'avessero a spaccare

   per il mezzo giú giú, come una sogliola.

LAMPETTA:

   Io me ce butterei da un rompicollo,

   si mai potessi arivedé la pace.

LISISTRATA:

   E allora parlo: ché non c'è da fare

   misteri. Donne, se vogliam costringere

   gli uomini a far la pace, ci dobbiamo

   astenere...

MIRRINA:

   Da che? Di'.

LISISTRATA:

   Lo farete?

MIRRINA:

   Ci costasse la vita, lo faremo!

LISISTRATA:

   Ci dobbiamo astenere dall'uccello...

   (Sgomento generale)

   Che mi vi rivoltate? Dove andate?

   Perché torcete il labbro, e fate segno

   di no? Quei visi perché mai si sbiancano?

   Perché scorron le lagrime? Volete

   o non volete? O a che vi preparate?

MIRRINA:

   Io non potrei: séguiti pur la guerra!

VINCIBELLA:

   Nemmeno io: séguiti pur la guerra!

LISISTRATA:

   Sogliola, tu parli cosí? Volevi

   farti spaccare, adesso adesso, in due!

VINCIBELLA:

   Ogni altra cosa, ogni altra cosa! Andrei,

   di preferenza, fra le fiamme. Meglio

   lí, che lontano dall'uccello! Niente

   c'è che lo possa equivaler, Lisistrata!

LISISTRATA (A Mirrina):

   E tu?

MIRRINA:

   Le fiamme, anch'io scelgo le fiamme!

LISISTRATA:

   Ah, sesso nostro pieno di libidine!

   Non hanno torto a scrivere tragedie

   sui fatti nostri! Se per noi non c'è

   che una sola canzone! Oh via, Spartana

   mia brava - ché, di certo, ove ci fossimo

   tu sola ed io, si condurrebbe in porto

   l'affare - dammi voto favorevole!

LAMPETTA:

   È duro, pe le donne, a dormí sole,

   senza l'ucello! E pure, s'ha da fà:

   che della pace, proprio c'è bisogno!

LISISTRATA:

   Ah! Tu sola sei donna, amore mio!

VINCIBELLA:

   E astenendoci. Dio ci guardi e liberi,

   da quel che dici, avremo fatto un passo

   verso la pace?

LISISTRATA:

   E che passo! Se noi,

   con la passera rasa, profumate,

   in vestaglie d'Amorgo trasparenti,

   girassimo per casa, e quando i nostri

   mariti, a pinco ritto, ci volessero

   fotter, non ci accostassimo, e fuggissimo,

   presto, lo so, farebbero la pace!

LAMPETTA:

   Eh, Menelao, la spada la buttò,

   me pare, ner vedé le zinne d'Elena!

VINCIBELLA:

   E se i mariti, bella mia, ci piantano?

LISISTRATA:

   Come dice Ferècrate? Si scortica

   la cagna scorticata!

VINCIBELLA:

   Son bazzecole,

   codesti surrogati! E se ci pigliano

   e trascinano a forza entro la stanza?

LISISTRATA:

   Ghermisciti alla porta!

VINCIBELLA:

   E se ci picchiano?

LISISTRATA:

   Stacci di mala voglia: in queste cose,

   c'è poco gusto, se son fatte a forza.

   E in ogni modo s'hanno a tormentare:

   e non pensare, cederanno súbito

   súbito! Un uomo non avrà piacere

   mai, se non ne procura anche alla femmina.

VINCIBELLA:

   Va la cosa a voi due? Va pure a noi!

LAMPETTA:

   Quanto alli sposi nostri, a falli vive

   in pace e senza imbroji, ce pensamo

   noi: ma sti marmajoni d'Ateniesi,

   chi ciariesce, a mètteje giudizio?

LISISTRATA:

   Sta tranquilla: faremo, per convincerli,

   del nostro meglio, noi.

LAMPETTA:

   Co que li quattro

   bastimenti che ciànno, e quer mammone

   ner tempio de Minerva? Ah, sí, domani!

LISISTRATA:

   Ma pure a questo abbiamo provveduto.

   Oggi c'impadroniamo dell'Acropoli.

   Venne affidato il còmpito alle piú

   vecchie d'impadronirsi della rocca,

   col pretesto di offrire un sacrifizio,

   mentre noi stiamo qui deliberando.

LAMPETTA:

   Puro mo dichi bene. E accusí sia!

LISISTRATA:

   Perché, Lampetta, non si giura súbito,

   per non poterci piú tirare indietro?

LAMPETTA:

   Diccelo, er giuramento, e noi giuramo!

LISISTRATA:

   Ben detto! - Ov'è Scitina? - Dove guardi?

   Metti avanti lo scudo rovesciato.

   Chi mi porge i budelli della vittima?

LAMPETTA:

   Lisistrata, su che ce fai giurà?

LISISTRATA:

   Su che? Sopra lo scudo, appena dopo

   il sacrifizio, come avviene in Eschilo,

   a quel che sento dire.

VINCIBELLA:

   Su lo scudo,

   per procacciar la pace? Ah, no, Lisistrata!

LISISTRATA:

   Che giuramento si può fare, allora?

VINCIBELLA:

   Non si potrebbe squartare un cavallo

   bianco?

LISISTRATA:

   Un cavallo bianco? E cosa c'entra?

VINCIBELLA:

   In che maniera giureremo, dunque?

LISISTRATA:

   Lo vuoi sapere? Oh, sentimi, perdina!

   Posata a terra una gran tazza nera,

   di vin di Taso, un orcio entro sveniamoci,

   e poi giuriamo... di non annacquarlo!

LAMPETTA:

   Bene mio! Nun se sa quanto m'aggusta,

   sto giuramento!

LISISTRATA:

   Un orcio ed una tazza!

(Una serva porta gli oggetti richiesti, che sono esageratamente grandi)

VINCIBELLA:

   Oh che razza di coccio, donne mie!

   Chi lo pigliasse, avrebbe a stare allegra!

LISISTRATA:

   Posa la tazza, e reggi il cinghialetto.

   (Apprestandosi a versare il vino dall'orcio nella tazza)

   Oh Dea Suada, oh Tazza della pace,

   gradite, a noi benigne, i sacrifizi.

   (Versa)

VINCIBELLA:

   Di bel colore è il sangue, e spiccia bene.

LAMPETTA:

   Senti, senti che odore, bene mio.

LISISTRATA:

   Lasciate, o donne, che per prima io giuri.

VINCIBELLA:

   Per Afrodite, no, si tiri a sorte.

LISISTRATA:

   Lampetta, qui. La tazza ognuna tocchi;

   quello ch'io dico, una per tutte dica,

   e tutte infine approvino giurando.

(Le donne si dispongono in giro intorno alla coppa, posandoci sopra

una mano)

LISISTRATA:

   Mai non sarà che amante né marito...

VINCIBELLA:

   Mai non sarà che amante né marito...

LISISTRATA:

   a me s'accosti a pinco ritto.

   (Vincibella tace)

   Di'!

VINCIBELLA (Con voce fioca, esitante):

   a me s'accosti... a pinco ritto... Ahimè,

   le gambe, amica mia, mi fan cilecca!

LISISTRATA:

   Trascorrerò la vita in castimonia,

VINCIBELLA:

   Trascorrerò la vita in castimonia,

LISISTRATA:

   in veste zafferano e tutta in ghingheri,

VINCIBELLA:

   in veste zafferano e tutta in ghingheri,

LISISTRATA:

   sí che allo sposo mio venga la fregola,

VINCIBELLA:

   sí che allo sposo mio venga la fregola,

LISISTRATA:

   né mai gli cederò di buona voglia;

VINCIBELLA:

   né mai gli cederò di buona voglia;

LISISTRATA:

   e se prender mi vuol senza il mio placito,

VINCIBELLA:

   e se prender mi vuol senza il mio placito,

LISISTRATA:

   mi terrò male e non sarà ch'io m'agiti,

VINCIBELLA:

   mi terrò male e non sarà ch'io m'agiti,

LISISTRATA:

   né che le pianelline alzi al solaio,

VINCIBELLA:

   né che le pianelline alzi al solaio,

LISISTRATA:

   né starò, men che meno, a pascipecoro.

VINCIBELLA:

   né starò, men che meno, a pascipecoro.

LISISTRATA:

   Se il giuro manterrò, qui possa io bevere;

VINCIBELLA:

   Se il giuro manterrò, qui possa io bevere;

LISISTRATA:

   se no, d'acqua si colmi questo calice.

VINCIBELLA:

   se no, d'acqua si colmi questo calice.

LISISTRATA:

   Lo giurate voi tutte?

TUTTE LE DONNE:

   Lo giuriamo!

LISISTRATA:

   Dà, che faccio l'offerta!

   (Beve)

MIRRINA:

   Dà la parte

   anche a noi: non si guasti l'amicizia!

(Arrivano da lungi alte grida)

LAMPETTA:

   Che sò sti strilli?

LISISTRATA:

   Quello che dicevo!

   Già le donne occupata hanno la rocca

   della Dea. Tu, Lampetta, va', ed accomoda

   gli affari al tuo paese, e lascia queste

   come ostaggi: noi s'entra insiem con l'altre

   nella rocca, e si tirano i chiavacci.

VINCIBELLA:

   Non credi che ci piomberanno súbito

   gli uomini addosso?

LISISTRATA:

   Me ne curo poco.

   Non avranno minacce o fuoco tali

   da sfondar queste porte, meno al patto

   che dicemmo!

VINCIBELLA:

   No, mai, per Afrodite!

   Non per nulla si dice che non c'è

   chi la spunti con noi, femmine furbe.

(Tutte le donne entrano nell'Acropoli)

PARODOS

STRIMODORO CORIFEO (Spunta solo, dalla párodos destra, portando un'enorme

marmitta piena di brace. Entrato, si volge verso l'ingresso della párodos):

   Draghetto, avanti, in gamba, se pur questo po' po'

   di ciocchi d'ulivaggine la groppa t'ammaccò!

(Entra Draghetto, seguito da altri vecchi, tutti curvi sotto enormi fasci

di legna)

DRAGHETTO:                             Strofe

   Che strani eventi mira chi vive a lungo, ahimè!

   Chi l'avrebbe pensato, di', Strimodoro, che

   un bel giorno le femmine,

   delle nostre dimore

   flagello evidentissimo,

   divenute signore

   e della sacra immagine

   e degli spaldi miei,

   con leve e spranghe avrebbero

   sbarrati i Propilèi?

   (Il primo Semicoro è in scena. Draghetto si volge verso l'entrata

   della párodos)

   Su, senza star piú a bada - vêr la rocca si vada,

   Filurgo; ed avvolgiamo con questi ciocchi in giro

   quante femmine ordirono, compieron simil tiro,

   sí che di nostra mano s'ardano in un sol rogo,

   d'un sol voto: e la moglie di Lupo in primo luogo.

(Entra Lupo, a capo del secondo Semicoro)

LUPO:                                  Antistrofe

   No, non potran, per Dèmetra, beffarmi, insin ch'io viva!

   Se neppure Cleòmene, che se n'impadroniva

   primo, la passò liscia!

   Con tutta l'albagia

   lacona, ei dové cedermi

   armi e bagaglio, e via!

   Portava un gabbanuccio

   tanto, era irsuto e lordo:

   da sei anni dell'acqua

   perso aveva il ricordo!

   Cosí, con diciassette - file, dí e notte strette

   a guardia della porta, vincer quell'uom potei.

   Ed in queste, d'Euripide nemiche e degli Dei,

   non saprò rintuzzare ardimento sí reo?

   Ah, pria dalla Tetràpoli sparisca il mio trofeo!

(I coreuti sono oramai tutti allineati a piedi dei Propilei)

CORO (Accingendosi a salire la scala che dall'orchestra conduce

su la scena):                          Strofe

   Della via questo tratto

   sotto la rocca, ripido,

   rimasto m'è soltanto, pel quale m'arrabatto.

   (S'affaticano)

   Oh, vediam se questo carico

   lo portiam senza somiero.

   Ben ho da questi fasci l'omero tutto pesto!

   Pur bisogna far presto,

   e sul fuoco soffiar, perché non s'abbia

   da smorzare, senz'addarcene, proprio al fine del sentiero.

   (Si avvicinano alla pentola, e soffiano)

   Fu, fu,

   quanto fumo, guarda su!

   (Si ritraggono, respinti dal fumo)

                                       Antistrofe

   Con che furia s'avventa

   dal pentolo, per Ercole,

   al par di cagna rabida, ed il mio ciglio addenta!

   Questo fuoco è certo Lemnio:

   e se no, dar di morso

   potrebbe alla mia cispa con tanto acute zanne?

   Sotto la rocca or vanne,

   l'Iddia difendi; o evento piú propizio

   quando mai sarà, Fortunio, per volare al suo soccorso?

   (S'accostano di nuovo alla pentola, e soffiano)

   Fu, fu,

   quanto fumo, guarda su!

   (Arretrano di nuovo)

   Sí, per favor dei Numi s'accese questa brace!

   Non deponete i fasci? Non tuffate la face

   di sarmenti nel pentolo? A guisa d'arïete

   contro le porte, accesa, lanciar non la volete?

   Se al nostro invito togliere non vorranno le leve,

   queste donne, alle fiamme dar la porta si deve,

   soffocarle col fumo. Il fardel deponiamo!

   (Depongono a terra i fasci di legno)

   Pfuh! Corbelli, che fumo! Qual fra i duci di Samo

   ci vuol dare una mano?

   (Accennando i fasci deposti al suolo)

   Questi almeno hanno smesso

   di scorticarmi il filo della schiena! A te, adesso,

   o caldano! Ravviva la tua brace, sicché

   presto l'accesa fiaccola possa porgere a me!

   (Ficcano fasci di sarmenti nella pentola, e li ritraggono ardenti)

   Ora tu, Nice, assistine: cosí, Dea, ci riesca

   d'aver trionfo contro questa audacia donnesca!

(Incominciano ad arrampicarsi sul sentieruolo che sale fra le rocce)

CORO DI VECCHIE (Le vecchie, recando ognuna una secchia d'acqua,

spuntano dalla párodos sinistra, e s'avviano verso i propilei,

guidate dalla corifea Vittoria)

VITTORIA:

   Veder fiamma e fuliggine, come di fiamma ch'arda,

   o compagne, mi sembra. Su, dunque, che si tarda?

CORO:                                  Strofe

   Vola, vola, Vittoria,

   pria ch'arse e soffocate

   sian Corollina e Crìtila

   dalle mani spietate

   di dannati vecchiardi.

VITTORIA:

   Solo una cosa temo: giungerò troppo tardi?

   A stento, or ora, a brúzzolo, empiei la brocca al pozzo,

   fra la folla, il fracasso, delle secchie fra il cozzo.

   Mossi fra un pigia pigia

   di schiavi e ancelle, presa

   la brocca in fretta e furia:

   e reco acqua in difesa

   a quelle del mio borgo,

   che in preda al fuoco io scorgo.

CORO:

   Giunser dei vecchi rancidi,

   recando, a quanto io seppi,

   quasi un bagno dovessero

   scaldar, some di ceppi.

   E con piglio minacce

   dicon che l'empie femmine s'hanno a ridurre in brace.

VITTORIA:

   Arse non già, vederle vo' ch'estirpino, o Dia,

   da l'Ellade e dall'Attica la guerra e la follia!

   Tritogènia dall'aureo

   cimiero, alle tue sedi

   però vengo, e ti supplico:

   se fuoco in pugno vedi

   che rechin questi vecchi,

   tu con noi porta secchi!

(A questo punto della loro ascensione, scorgono Strimodoro che tenta

dar fuoco alla porta: contro lui s'avventa Vittoria)

VITTORIA:

   Ehi là, fermo! Che avviene? Fior di birbe! Di questi

   tiri non ne farebbero uomini pii né onesti!

STRIMODORO (Retrocede sorpreso):

   Oh, sí, che all'impensata questo affare ci coglie!

   A difesa, uno sciame di donne è su le soglie.

VITTORIA:

   Temete? Il nostro numero vi sembra esorbitante?

   Eppure, siamo diecimila e piú volte tante!

STRIMODORO:

   Le lasciamo cianciare, Lucido? O non conviene

   che alcuno il suo randello spezzi a lor su le schiene?

(Si avanzano contro le donne coi bastoni alzati)

VITTORIA:

   Anche noialtre al suolo deponiamo la brocca,

   che non ci sia d'impaccio, se qualcuno ci tocca.

STRIMODORO:

   Se alcuno a lor sul grugno desse due buone bòtte,

   come Ipponatte a Bùpalo, starrebber zitte e chiotte!

VITTORIA:

   E io le sto a pigliare? Chi vuole mi bastoni:

   ma piú non sarà cagna che addenti i suoi coglioni.

STRIMODORO:

   Zitta: o ti picchio e strappo quel tuo cuoio muffito.

VITTORIA:

   Prova a toccar Stratíllide con la punta d'un dito...

STRIMODORO:

   Che mi farai, nel caso che a pugni io ti sfracelli?

VITTORIA:

   Ti rosico, ti falcio i polmoni e i budelli.

STRIMODORO:

   Non si trova d'Euripide poeta piú profondo:

   non c'è bestia impudente piú delle donne, al mondo.

VITTORIA:

   Su, la brocca dell'acqua tutte alziamo, o Rosetta!

(Le donne eseguono il comando)

STRIMODORO:

   Perché sei qui venuta con l'acqua, maledetta?

VITTORIA:

   E tu col fuoco? Forse per cremarti, carogna?

STRIMODORO:

   Per bruciare sul rogo tutte voi, mi bisogna.

VITTORIA:

   E a me bisogna l'acqua per spegnere il tuo fuoco.

STRIMODORO:

   Tu? Che cosa vuoi spengere?

VITTORIA:

   Al bel veder c'è poco.

STRIMODORO:

   Ti vorrei rosolare con questa torcia... Posso?

VITTORIA:

   T'ammannisco una doccia, se sei sudicio addosso.

STRIMODORO:

   Carcassa, a me una doccia?

VITTORIA:

   Puoi contarci! E ben fresca.

STRIMODORO:

   Sentite un po' che audacia!

VITTORIA:

   Non sono una fantesca.

STRIMODORO:

   Ti vo' tappar la bocca...

VITTORIA:

   Di' ai tribunali addio...

STRIMODORO:

   T'ardo i cernecchi...

VITTORIA:

   Brocca, parla per conto mio!

(Le donne rovesciano le secchie ciascuna addosso al vecchio che

si trova di fronte)

STRIMODORO:                            Stretta

   Tristo me!

VITTORIA:

   Calda trovata l'hai?

STRIMODORO:

   Che calda! Oh smetti! Che cosa fai?

VITTORIA:

   T'annaffio, a volte tu germogliassi!

STRIMODORO:

   Ma se tremiamo! Siam troppo passi!

VITTORIA:

   A scaldarti stai poco - giacché tu porti il fuoco!

(I vecchi si ritirano sconfitti)

(Arriva un commissario seguíto da parecchi arcieri)

COMMISSARIO:

   Si sono sbizzarrite, queste femmine,

   col loro lusso, i timpani, le tante

   orgie sabazie, e le lamentazioni

   per Adone, sui tetti, che una volta

   ho udite fin dall'assemblea. Demòstrato,

   gli pigli un male, proponea di fare

   vela per la Sicilia; e cianchettando

   sua moglie urlava: “Adone, ahimè!”. Demòstrato

   proponea d'arruolare fantaccini

   di Zacinto. E briaca, di sui tetti,

   sua moglie urlava: “Picchiatevi il petto,

   per Adone!”. E per vincere quegli urli,

   via via la voce alzava quel nefando

   sputaveleno, obbrobio dei Celesti.

   La loro sfrenatezza arriva a tanto!

STRIMODORO:

   E se sapessi allora l'insolenza

   di queste! Ci han ben bene insolentiti,

   prima, e poi risciacquati con le secchie.

   E or dobbiamo, come se ci fossimo

   pisciati addosso, sciorinare i panni!

COMMISSARIO:

   Dio salato! Ci calza come un guanto.

   Una volta che noi gli si tien mano

   nelle birbate, e gli s'insegna il vizio,

   loro, si sa, ne trovano di simili.

   Quante volte si va da un bottegaio,

   e gli si dice: “Orefice, la ghianda

   di quella tua collana, mentre mia

   moglie ballava, ieri verso sera,

   s'è sfilata dal foro. Io devo andare

   a Salamina. Trova un po' di tempo,

   va' da lei, verso sera, e quella ghianda

   vedi un po' tu se glie l'acconci a modo!”

   E un altro, a un calzolaio giovanotto,

   con un pinco tutt'altro che da bimbo:

   “O calzolaio, il correggiolo ammacca

   il mignolo del piede alla mi' moglie!

   L'ha tanto delicato! Va' un po' tu,

   sul mezzogiorno, e dàgli un'allargata,

   che c'entri un po' piú comodo!” E che nasce

   da tutto questo? Arrivo io, commissario,

   che ho assoldati rematori, e adesso

   mi servono quattrini, e queste femmine

   mi serran l'uscio in faccia. Ma che serve

   star con le mani in mano?

   (Volto a un arciere)

   A me le leve,

   e pongo fine a tanta sfrontatezza! -

   Che stai lí, disgraziato, a becco aperto?

   (All'altro arciere)

   E tu che guardi? C'è qualche taverna?

   Altro non vedi, tu! Ficcate i pali

   sotto la porta, e scassinatela. Io

   scalzerò di costí...

LISISTRATA (Compare su le mura):

   Fermi coi pali!

   Esco da me. Che servon pali? Senno

   vuol essere, giudizio. Altro che pali!

(Esce dalla porta, e si pianta dinanzi al commissario)

COMMISSARIO:

   Ah, sí, pezza di bindola? L'arciere

   dov'è? Prendila, legale le mani

   dietro la schiena!

LISISTRATA:

   Arciere o non arciere,

   gli costerà salata, se mi tocca

   con la punta di un dito, per Artèmide!

COMMISSARIO (A un arciere):

   Coso, hai paura? Non l'acciuffi a mezza

   vita? E tu? Via, sbrigatevi, legatela!

VINCIBELLA (Esce a difesa di Lisistrata):

   Se tu metti una mano addosso a questa,

   ti fo cacare, a calci nella pancia!

COMMISSARIO:

   Cacare? Avanti l'altro arciere! Lega

   prima codesta, perché ciancia pure!

MIRRINA (Uscendo):

   Se tocchi questa solo con la punta

   d'un'unghia, presto cercherai ventose!

COMMISSARIO:

   Ma che succede? Ov'è l'arciere? Acciuffala!

   Le faccio finire io, queste sortite!

ALTRA DONNA (Uscendo):

   Se tu, perdina, t'avvicini a questa,

   poveri i tuoi capelli! Avrai da urlare!

(L'arciere scappa)

COMMISSARIO:

   Ahimè! L'arciere m'ha piantato. Eppure

   tollerar non si può che delle femmine

   ci debban sopraffare!

   (Rivolto agli altri arcieri)

   In fila, oh Sciti!

   Avanti!

LISISTRATA:

   Ora vedrete! Abbiamo quattro

   squadre di donne battagliere, armate

   fino ai denti, perdio!

COMMISSARIO:

   Sciti, legate

   le mani a tutte!

LISISTRATA:

   O femmine alleate,

   correte fuori, cavolcecivendole,

   aglicivaievinopanivendole,

   tirate o no, picchiate o no, bussate

   o no, lanciate contumelie o no,

   vi comportate da sfrontate o no?

(Le donne si precipitano sul commissario e gli arcieri, e in un

batter d'occhio li riducono a mal partito)

LISISTRATA:

   Indietro! Ferme! Non si fa bottino.

COMMISSARIO:

   Eh, questi arcieri son conciati bene!

LISISTRATA:

   Cosa credevi? Di venire addosso

   a tante serve? O pensi che alle donne

   non bolla il sangue?

COMMISSARIO:

   E come, per Apollo!

   Massime se vicino c'è una bettola!

(Le donne si ricompongono in fila. Anche lo Scita e gli arcieri

alla meglio si ricompongono)

CONTRASTO

STRIMIDORO:

   Commissario di nostra terra, ch'ài sperso ai venti

   vani detti, a che servono tanti ragionamenti

   con queste belve? Forse non sai che bagno m'hanno

   fatto fare, vestito qual sono, e senza ranno?

VITTORIA:

   La gente che c'è accanto, si guardi e non si tocchi:

   altrimenti, contèntati d'aver lividi agli occhi.

   Noi stiam come zitelle, piene di ritrosía,

   senza muover festuca, né seccar chicchessia.

   Ma siam come un vespaio! - Se ci stuzzichi, è un guaio!

CORO DI VECCHI:                        Strofe

   Giove, come l'andrà con queste fiere?

   Non si può sopportare tal tracotanza. Tocca

   a me, a te, vedere

   che mira c'è qui sotto,

   e perché mai di Crànao la rocca

   occupâr, l'alte rupi dell'inaccessa Acropoli,

   ed il sacro ridotto.

                                       Invito

   Su, interroga, non renderti, adopra ogni argomento.

   Turpe saria la prova schivar di tal cimento.

COMMISSARIO:

   Di certo; e prima ad esse questa domanda io faccio:

   Con qual disegno avete sbarrata a catenaccio

   la nostra cittadella?

LISISTRATA:

   Per tenerci al riparo,

   e ogni cagion di guerra cosí tôrre, il denaro!

COMMISSARIO:

   Che, le guerre si fanno pel denaro?

LISISTRATA:

   E a scompiglio

   va tutto! Per avere dove allunghin l'artiglio,

   Pisandro, e quanti ai pubblici uffizi hanno la mira,

   rimestan sempre brighe. Faccian quel che gli gira!

   Ma su questi quattrini niun farà piú man bassa.

COMMISSARIO:

   No? Che farai?

LISISTRATA:

   Lo chiedi? Noi terremo la cassa.

COMMISSARIO:

   Tesoriere voialtre?

LISISTRATA:

   Noi, sí: qual meraviglia?

   Non s'amministra pure la cassa di famiglia?

COMMISSARIO:

   Non è lo stesso!

LISISTRATA:

   Come, non è lo stesso?

COMMISSARIO:

   Con

   quei quattrini bisogna far la guerra.

LISISTRATA:

   Ma non

   c'è obbligo, di farla, la guerra!

COMMISSARIO:

   E come vuoi

   che ci si salvi, allora?

LISISTRATA:

   Vi si difende noi.

COMMISSARIO:

   Voi?

LISISTRATA:

   Noi.

COMMISSARIO:

   Miseria nostra!

LISISTRATA:

   Staremo a tua difesa,

   pur se non voglia.

COMMISSARIO:

   È troppo grossa!

LISISTRATA:

   Te la sei presa?

   Tanto, bisogna farlo!

COMMISSARIO:

   Che bella prepotenza!

LISISTRATA:

   Staremo a tua difesa.

COMMISSARIO:

   Ma se vo' farne senza!

LISISTRATA:

   Allora, a cento doppi.

COMMISSARIO:

   Come vi salta in testa

   d'intrigarvi di guerra e di pace?

LISISTRATA:

   Odi.

COMMISSARIO:

   Lesta,

   se non ne vuoi toccare!

LISISTRATA:

   Attento, dunque; e tieni

   le mani a posto.

COMMISSARIO:

   Farlo! Come vuoi che mi freni,

   con la bile ch'ò in dosso?

LISISTRATA:

   Tanto peggio per te.

COMMISSARIO:

   Per te, vecchia cornacchia! Vuoi parlare?

LISISTRATA:

   Altro che!

   Nella trascorsa guerra, con la nostra saviezza,

   quanto facevan gli uomini patimmo lunga pezza.

   Già non ci lasciavate aprir bocca! Contente

   di voi, non s'era certo. Pur, si stava al corrente

   di quel che facevate. E quante e quante volte,

   stando in casa, s'udivano le decisioni stolte

   prese da voi su qualche affar di gran momento.

   Col riso su le labbra, con l'anima in tormento,

   vi chiedevam: “Che avete deciso stamattina

   su la pace? Che cosa dirà la colonnina?” -

   “E tu, che cosa c'entri? - rispondeva il marito -

   Vuoi star zitta?” Ed io, zitta!

VINCIBELLA:

   Di' che avessi obbedito

   io!

COMMISSARIO:

   Se non obbedivi, assaggiavi il bastone!

LISISTRATA:

   E dunque, in casa e zitte! Qualche altra decisione

   ci giungeva all'orecchio, dell'altre piú funesta,

   e chiedevamo: “Sposo mio, cosí senza testa

   fate le cose?” E lui, guardandomi in tralice:

   “Bada al telaio, o povere le tue spalle! S'addice

   agli uomini, il pensiero della guerra!”

COMMISSARIO:

   Ben detto,

   sangue di Giove!

LISISTRATA:

   Come bene, se, maledetto,

   neppure potevamo dare un consiglio a voi,

   cosí mal consigliati! Ma quando udimmo poi,

   dire un per via: “Rimasto non c'è uno uomo in paese!”

   e un altro: “Neppur uno, perdio!”, tosto si prese

   il partito, noi femmine raccolte in assemblea,

   di trarre in salvo l'Ellade. Che mai piú s'attendea?

   Noi non diremo dunque cosa che non profitti:

   se a vostra volta udire volete, e stare zitti,

   vi si rimette in piedi.

COMMISSARIO:

   Voi di tanto capaci?

   Troppo grossa, l'hai detta, non la mando giú.

LISISTRATA:

   Taci.

COMMISSARIO:

   Tacere perché l'ordini tu, cuffiaccia? Ah, ch'io muoia

   su l'istante, piuttosto!

LISISTRATA:

   La cuffia, ti dà noia?

                                       Stretta

   Prendila tu, ché non te la ricuso,

   cingine il capo; e zitto e buci; e busca

   questo cestello; e succingi le gonne,

   dipana il fuso,

   rosicchia fava brusca:

   e alla guerra ci pensano le donne.

(Durante questi ultimi versi, infila la cuffia, e dà il cestello

al commissario che rimane cosí camuffato. Applausi delle donne)

VITTORIA:

   Su, compagne, le secchie posiamo al suol: venuto

   è il nostro turno: diamo alle compagne aiuto.

CORO:                                  Antistrofe

   No, mai non sarò sazia io della danza,

   né potrà la fatica i miei ginocchi abbattere.

   Sento in me la baldanza

   d'affrontare ogni evento

   con queste ardite donne: esse carattere,

   esse han grazia, saggezza, cuor saldo, patriottico

   valore ed ardimento.

VITTORIA:                              Antinvito

   Figlie di madri e nonne pungenti come ortica,

   l'ira non scemi: spira tuttor la brezza amica.

LISISTRATA:

   Se Amor dolce e la Cipria Diva a noi piover lascino

   su le poppe e le cosce caldo amoroso fàscino,

   e amabil frega agli uomini, sí che li tendan come

   randelli, avrem fra gli Èlleni di Sciogliguerre il nome!

COMMISSARIO:

   Per che meriti?

LISISTRATA:

   Primo, per avervi distolti

   dall'ire in piazza armati, a far cose da stolti.

VINCIBELLA:

   Già, per la Dea di Pafo!

LISISTRATA:

   Ora ne giran tanti

   coperti d'arme, come fossero Coribanti,

   fra le pentole e i cavoli.

COMMISSARIO:

   Certo! Fra i prodi s'usa.

LISISTRATA:

   Ma quanto è buffo un uomo con tanto di Medusa

   dipinta su lo scudo, che compera sardine!

VINCIBELLA:

   Altro! Un filarco io vidi, a cavallo, col crine

   spiovente, che versava dentro il casco il puré

   comprato da una vecchia. E un altro, un Tracio, che,

   scotendo, come un Tèreo, la rotella e la lancia,

   sbigottía l'erbivendola, e si calava in pancia

   i fichi piú maturi!

COMMISSARIO:

   E gli affari sconvolti,

   come li sbrogliereste voialtri? Ce n'è molti,

   per ogni terra!

LISISTRATA:

   In modo spiccio.

COMMISSARIO:

   Avrei la gran voglia

   d'udirlo.

LISISTRATA:

   Come, quando la matassa s'imbroglia,

   il capo a questo modo noi pigliamo, e, tirandolo

   or qua, or là, su gli aspi, troviamo alfine il bandolo,

   cosí, se n'avremo agio, sbroglieremo la guerra,

   mandando ambasciatori qua, là, per ogni terra.

COMMISSARIO:

   E sperate risolvere sí gran faccenda, o giucche,

   con lana, filo ed aspi?

LISISTRATA:

   E se non foste zucche

   senza sale, trarreste esempio dalla nostra

   lana, per governare ogni cosa.

COMMISSARIO:

   Oh, dimostra

   come!

LISISTRATA:

   Bisognerebbe prima, come s'epura

   la lana entro nei truogoli, cosí d'ogni sozzura

   purgar la città nostra, sbacchiando i farabutti,

   spiccandone le lappole, e scardassando tutti

   i peli che s'aggrumino su gl'impieghi, o s'accozzino

   addosso l'uno all'altro: i capi indi si mozzino;

   e universale infine si fili un buon volere

   nel cestello, il metèco mischiando e il forestiere,

   e chi vi preme. E c'entri pur chi deve all'erario.

   E poi, le città vostre colonie, è necessario

   che l'intendiate, sono per noi come matasse:

   converrebbe che i capi di tutte alcun cercasse,

   ed in un gran gomitolo qui unitili, con quello

   per rivestire il Popolo tessesse un buon mantello.

COMMISSARIO:

   Non è grossa che ciancino di bacchiar, di gomitolo?

   Che, nella guerra, loro c'entrano?

LISISTRATA:

   A doppio titolo

   e piú, c'entriamo! Prima, v'abbiamo partoriti

   i figliuoli; mandati, quindi, li abbiamo opliti.

COMMISSARIO:

   Non ricordar malanni, zitta!

LISISTRATA:

   Quando diritto

   s'avrebbe poi di trarre dai freschi anni profitto,

   grazie alle vostre zuffe, dormiam sole solette.

   E non badate al caso nostro: le giovinette

   mi fan pena, che invecchiano dentro casa.

COMMISSARIO:

   Che, dunque

   gli uomini non invecchiano?

LISISTRATA:

   Ci corre! Può chiunque

   beccarsi una ragazza, pure se bianco ha il crine;

   ma per la donna, il tempo propizio ha presto fine:

   s'ella non approfitta della sua gioventú,

   resta a tirare oroscopi, nessun la sposa piú.

COMMISSARIO (Ai vecchi):               Controstretta

   Qui, se c'è alcuno che tuttora rizza...

LISISTRATA:

   Coso, che pensi? Che indugi a crepare?

   Pronto è il porcello, non mancano bare.

   Ti voglio io stessa impastare la pizza

   col miele... e prendi, per cinger la fronte!

(Gli offre una benda funeraria)

VINCIBELLA:

   Ed io con acqua lustral ti cospargo.

MIRRINA:

   Questa corona da me pure accetta.

LISISTRATA:

   Che vuoi? Che cosa ti serve? Caronte

   ti chiama. Alla barca t'affretta!

   Te solo attende, per prendere il largo!

COMMISSARIO (Camuffato oramai da defunto):

   Che indegnità, trattarmi a questo modo!

   Ora corro dagli altri commissari,

   e fo vedere come son ridotto.

LISISTRATA:

   Ti lagni, di', che non ti abbiamo esposto?

   Fa' passare i tre giorni, e ai primi albori

   ti faremo l'esequie: è tutto pronto!

(Lisistrata rientra, seguita dalle compagne, e chiude la porta.

Rimangono di fronte i due Cori, di vecchi e di vecchie)

PARABASI

STRIMODORO:                            Invito

   Chi coscienza ha d'uomo libero, qui convien che non sonnecchi.

   Giú le vesti! E ognuno, amici, alla lotta s'apparecchi.

CORO DI VECCHI:                        Strofe A

   Sí, che tutte queste cose m'han sentore, ormai, d'affari

   grandi e grossi; e le mie nari

   già già pungon di tirannide d'Ippia effluvi molto acuti.

   Ed in casa di Clístene temo che convenuti

   siano degli Spartani, che con le loro trame

   mettano su le femmine, questa razzaccia infame,

   ad usurpare i miei beni, e il salario

   ond'io solevo sbarcare il lunario.

STRIMODORO:                            Epirrema A

   Ammonire i cittadini, loro! E quando mai s'intese?

   Chiacchierar di scudi, loro donne, vendere il paese

   ai Laconi, in cui, fiducia mai convien riporre, tranne

   quando ai lupi s'avrà fede che spalancano le canne!

   Con la mira alla tirannide questa trama a nostro danno

   esse ordirono; ma farcela, ben mi guardo, io, non potranno.

   Porterò nascosto il brando sotto un ramo di mortella,

   starò presso Aristogítone su la piazza in sentinella,

   chiuso in arme. Cosí, vedi! E di' poi che la mi fumi,

   e ti picchio sopra il muso queste vecchie, odio dei Numi.

VITTORIA:                              Anticommation

   Se cosí ritorni a casa, neppur mamma t'affigura!

   Ma le vesti, o care vecchie, metter giú sia nostra cura.

   (Si alleggeriscono)

CORO DI VECCHIE:                       Antistrofe A

   Cittadini qui presenti, un discorso or si farà

   che profitti alla città.

   È dover: che fra delizie, fra splendori me nutriva!

   Portavo i sacri arredi a sette anni: alla Diva

   che ne tutela, l'orzo poi macinavo a dieci:

   a Braurone, con la veste gialla in dosso, l'orsa feci.

   Ragazza fatta, poi, con una resta

   di fichi al collo, ebbi a portar la cesta.

VITTORIA:                              Antepirrema A

   Ad Atene debitrici non siam dunque di consigli?

   Né l'invidia, perché nata sono femmina, vi pigli,

   se val piú di quanto adesso vige ciò ch'io suggerisco.

   Io la pago, la mia quota nel banchetto: io partorisco.

   Voi, vecchiacci, non pagate! Quel banchetto onde le spese

   già sostennero i Persiani, che dai nonni il nome prese,

   senza dar nulla di vostro, voi l'avete sparecchiato;

   e per giunta, mercè vostra, va in rovina ormai lo Stato.

   Osi ancor fiatare? Bada che sul grugno non ti sbatta,

   se mi secchi, senza manco ripulirla, una ciabatta!

CORO DI VECCHI:                        Strofe B

   Non svela tracotanza grande ogni loro azione?

   E il male, sembra, peggiora. Qui, chi non è castrone,

   conviene dia man forte. Via, gittiamo il mantello,

   ché l'uomo ha da parere uomo, appena lo vedi,

   non stare imbacuccato al par d'un fegatello!

(Gittano anche la sottoveste, e restano con la sola maglia

aderente al corpo)

STRIMODORO:

   Voi che a scalar Lipsídrio, quando noi s'era noi, di lupo aveste i piedi,

   ora si torni giovani, si mettan nuove piume

   per tutto il corpo, e lunge si scrolli ogni vecchiume.

                                       Epirrema B

   Ché per poco che qualcuno di noialtri dia lor presa,

   non vorranno piú desistere da veruna audace impresa,

   ma navigli le vedremo costruire anche, e per mare,

   contro noi, come Artemisia, si vorranno misurare.

   Se ai cavalli poi si dànno, vi saluto, cavalieri!

   Niuno supera le femmine per trottare sui corsieri,

   ferme in sella: ed il galoppo non le sbalza giú d'arcione!

   Vedi un po' come le Amazzoni ci stan salde, che Micone

   pinse, in zuffa contro gli uomini? Acciuffare ormai bisogna

   tutte queste, ed infilarle per il collo entro la gogna.

CORO DI VECCHIE:                       Antistrofe B

   Se mi stuzzichi, sciolgo alla mia scrofa il laccio,

   e in tal modo ti pettino, che all'istante ti faccio

   chiedere ai borghigiani con grandi urla soccorso.

   Via, compagne, giú gli abiti, noi pur: s'ha da parere

   femmine inferocite, ben pronte a dar di morso.

(Depongono anch'esse le sottovesti)

VITTORIA (Rivolta ai vecchi):

   Ora s'avanzi pure, chi non vuole piú agli gustar, né fave nere!

   Dimmi il menomo oltraggio,

   e ti fo come all'aquila fece lo scarafaggio!

                                       Antepirrema B

   Sin che al fianco avrò Lampetta, ed Ismenia, la fanciulla

   di gentil sangue tebano, io vi conto men che nulla.

   Ché, facessi pure sette votazioni, o disgraziato,

   non potrai nulla: aborrito sei da tutto il vicinato.

   Ieri pur la festa d'Ècate celebravo; e i miei vicini

   io pregai che mi cedessero, per giuocar co' miei piccini,

   Anguilletta di Beozia, bimba cara, e tanto brava.

   Ma non vollero: un editto tuo, risposer, lo vietava.

   Né se prima alcun, ghermitivi a una zampa, non vi gitti

   da un dirupo, la vorrete mai finir, con tali editti.

(I coreuti si ritirano, e tornano ad aggrupparsi, in due schiere sempre

distinte, intorno all'altare di Diòniso)

PARTE SECONDA

(Dalla rocca esce accipigliata Lisistrata)

CORO DI DONNE:

   Dei disegni e dell'opre ispiratrice,

   perché sí scura in volto esci di casa?

LISISTRATA:

   Le brutte azioni ed il pensar donnesco

   di sciagurate femmine, mi fanno

   fare, scorata, in su e in giú la ronda.

CORO:

   Che dici mai? che dici?

LISISTRATA:

   Il vero, il vero!

CORO:

   Che guaio avviene? Siamo amiche, diccelo.

LISISTRATA:

   Dirlo è turpe, tacer non è possibile.

CORO:

   Deh, non celar che mal percosse n'abbia.

LISISTRATA:

   Siamo, per dirla in due parole, in fregola.

CORO:

   Oh Giove!

LISISTRATA:

   Che Giove e Giove! I fatti sono fatti.

   Non mi riesce piú tenerle lungi

   dai mariti. Disertano. Ne colsi

   una a forare un buco nei paraggi

   della grotta di Pane; una seconda

   che si calava giú con la carrucola;

   una evadeva; e n'ho riafferrata

   per i capelli, ieri, una già pronta

   a volare, a cavallo a un passerotto,

   alla casa di Rizza! E non c'è scusa

   che non tirino in ballo, per tornare

   a casa. Guarda che n'arriva una!

   (Giunge una donna)

   Ehi, dove corri?

DONNA A:

   Faccio una scappata

   a casa. Ho certa lana di Mileto,

   e le tignole me la rodon tutta.

LISISTRATA:

   Ma che tignole! Fronte indietro!

DONNA A:

   Vado

   e torno: quanto stendo sopra il letto...

LISISTRATA:

   Non stender nulla, e non scappare!

DONNA A:

   E lascio

   la lana andare a male?

LISISTRATA:

   È necessario.

DONNA B:

   Tapina me, tapina me, quel lino

   che lasciai, senza pettinarlo, in casa!

LISISTRATA:

   Senti quest'altra! Per il lino senza

   pettinarlo, esce. Via, ritorna indietro.

DONNA B:

   Ma, perdiana, appena pettinatolo,

   son qui di nuovo, súbito.

LISISTRATA:

   Non tante

   pettinature: ché se tu cominci,

   qualche altra donna vorrà far lo stesso.

DONNA C (Esce, in stato apparente di avanzata gravidanza):

   Rattieni il parto, o veneranda Ilízia,

   sin che in luogo profano io giunta sia!

LISISTRATA:

   Che chiacchiere son queste...

DONNA C:

   Ora mi sgravo.

LISISTRATA:

   Ma se non eri pregna, ieri!

DONNA C:

   E oggi

   sí. Lisistrata, lasciami tornare

   a casa, presto, dalla levatrice.

LISISTRATA:

   Che discorsi son questi?

   (Palpandola)

   E questo duro,

   che è?

DONNA C:

   Un figlio maschio!

LISISTRATA:

   Ma che figlio

   e figlio! Hai sotto, pare, qualche arnese

   di bronzo tondo. Lasciami vedere...

   (Le pone le mani sotto, e trae fuori un casco)

   Oh cosa buffa! Hai l'elmo sacro, sotto,

   e dici d'esser gravida?

DONNA C:

   E son gravida!

LISISTRATA:

   E questo coso, allora, che significa?

DONNA C:

   Perché, se mai mi prendono le doglie

   ancora su la rocca, entro nel casco,

   come una colombella, e li mi sgravo!

LISISTRATA:

   Che canti? Scuse magre! È troppo chiara

   la cosa. Resta, qui la celebriamo

   la festa per la nascita... del casco!

DONNA D:

   Non ci posso dormir piú, su la rocca:

   il drago suo custode, in sogno ho visto.

DONNA E:

   E io, povera me, non chiudo palpebra,

   per questi eterni lagni delle nottole.

LISISTRATA:

   Non la finite, benedette donne,

   con codesti portenti? Avete voglia

   di maschi. E noi, che non l'abbiamo, estimi?

   Lo so, dure a passar sono le notti;

   ma, belle mie, tenete sodo, e ancora

   per un po' tribolate. C'è un oracolo,

   che alfin la spunteremo, se fra noi

   non sorgeranno screzi. Ecco l'oracolo.

   (Trae un rotolo e s'appresta a leggere)

LE CINQUE DONNE:

   Facci sentire come dice.

LISISTRATA:

   Zitte.

   (Recita)

   Allor che nello stesso rifugio le rondini insieme

   corran, fuggendo l'upupe, e facciano a men degli uccelli,

   i mali avranno tregua, di sopra quel ch'era di sotto

   Giove che tuona dal cielo porrà...

UNA DELLE CINQUE DONNE:

   Noi staremo di sopra?

LISISTRATA:

   Se poi le rondinelle saranno discordi, e le penne

   a volo spiegheranno lontano dal sacro recinto,

   parrà che non esista pennuto di lor piú lascivo.

UNA DELLE CINQUE DONNE:

   Perdio, chiaro è l'oracolo! O Celesti,

   non ci sdiàmo, non siamo pusillanimi!

   Entriamo, via! Sarebbe una vergogna,

   venir meno, mie care, a quest'oracolo.

(Entrano tutte con Lisistrata)

INTERMEZZO DANZATO

(I due Cori di vecchi e di vecchie stanno l'uno di fronte all'altro)

STRIMODORO:                            Strofe

   Oh, date retta

   ad una favoletta

   che intesi un dí

   da bimbo: eccola qui.

   C'era una volta un certo Melanïone, un giovine

   che, per schivar le nozze, a stare fra montane

   solitudini andò.

   E qui, di lepri in traccia,

   tendea reti, del cane

   vivendo in compagnia;

   e per misoginia - piú a casa non tornò.

   Tale contro le femmine

   odio ei chiudeva in seno;

   e noi, che abbiam giudizio,

   non vi s'aborre meno.

CORO DI VECCHI (Avanza danzando verso il Coro delle vecchie):

   Vo' scoccarti, o vecchia, un bacio.

CORO DI VECCHIE (Preparandosi alla difesa):

   Gustar porri non vuoi piú.

VECCHI:

   Alzo il pie', ti sprango un calcio...

   (Fanno un arditissimo scroscio)

VECCHIE:

   Che macchione hai costaggiú!

VECCHI:

   Certo! Aveva anche Mirònide

   negro e irsuto un codrïone,

   che ai nemici dava i brividi.

   Era tale anche Formione.

   (Tornano, sempre danzando, al loro posto)

VITTORIA:                              Antistrofe

   Una storiella

   vo' contrapporre a quella

   di Melanïone.

   C'era un tale Timone,

   un uomo tutto orsaggine, cinto d'insormontabili

   macchie di spino il viso: una vera propaggine

   delle Furie. Un bel dí,

   costui, vinto da nausea

   per la gran bricconaggine

   degli uomini, imprecando

   contro essi a lungo, in bando - se n'andava. Cosí

   ei v'aborriva, o uomini,

   birbe sempre a uno stesso

   modo; e svisceratissimo

   era del nostro sesso.

(Tutte le donne s'avanzano danzando verso i vecchi, e alzano sopra essi

una mano)

VECCHIE:

   T'ho a pestare una ganascia?

VECCHI:

   No... temiam dell'ira vostra!

VECCHIE:

   Preferisci allora un calcio?

VECCHI:

   Metterai la potta in mostra!

VECCHIE:

   Ma, sebbene io sia già vecchia,

   non sarà che tu la scerna

   tutta quanta irta di setole,

   ma ben rasa alla lucerna!

   (Tornano, danzando, nella posizione di prima)

(Su l'alto dei propilei compare Lisistrata, e guarda verso la párodos

di destra)

LISISTRATA:

   Qui da me, qui da me, donne, sbrigatevi!

(Sopraggiungono parecchie donne)

DONNA A:

   Dimmi, che c'è di nuovo? E perché strilli?

LISISTRATA:

   Un uomo vedo; un uomo, che s'avanza

   come folle, in furore afrodisiaco!

   Dea che Citera e Pafo e Cipro reggi,

   quella che batti è la via giusta: avanti!

DONNA B:

   Dov'è, dov'è?

LISISTRATA:

   Di Cloe vicino al tempio.

DONNA C:

   Per Giove, è proprio vero! E chi sarà?

LISISTRATA:

   Guardate un po': nessuna lo conosce?

MIRRINA:

   Io, per Giove! È Fottino, è mio marito!

LISISTRATA:

   A te, dunque, infiammarlo, torturarlo,

   lusingarlo, baciarlo e non baciarlo,

   e dargli tutto... meno quell'affare

   che sa la tazza.

MIRRINA:

   Lascia fare a me.

LISISTRATA:

   Io rimango, e t'aiuto ad uccellarlo

   e rosolarlo. Andate via, voialtre.

(Le altre donne escono. Mirrina si nasconde. Arriva, seguito da

un servo che porta in collo un bambino, Fottino)

FOTTINO:

   Tapino me, che spasimo, che strazio!

   Su la ruota mi pare che mi squartino!

LISISTRATA:

   Chi va là, dentro gli avamposti?

FOTTINO:

   Io!

LISISTRATA:

   Un uomo?

FOTTINO:

   In carne ed ossa.

LISISTRATA:

   E non ti levi

   dai piedi?

FOTTINO:

   E tu chi sei, che vuoi scacciarmi?

LISISTRATA:

   La sentinella.

FOTTINO:

   In nome dei Celesti,

   va', chiamami Mirrina.

LISISTRATA:

   Oh bella! T'ho

   da chiamare Mirrina! E tu chi sei?

FOTTINO:

   Suo marito, Fottino di Chiavònia!

LISISTRATA:

   Oh, caro caro! Benvenuto! Il nome

   tuo né ignoto, né oscuro è fra noi donne.

   Tua moglie ha sempre in bocca te! Se piglia

   un uovo o un pomo, dice: “Alla salute

   del mio Fottino!”

FOTTINO:

   Santi Numi!

LISISTRATA:

   Già,

   per Afrodite! E se il discorso cade

   sopra i mariti, ecco tua moglie a dire

   che tutto è ciancia, appetto di Fottino.

FOTTINO (Eccitatissimo):

   Chiamala, via!

LISISTRATA:

   Mi fai, dopo, un regalo?

FOTTINO:

   Perdio, sí, se ci tieni! Per le mani

   ora ho questo. Lo vuoi? Te lo rivogo!

LISISTRATA:

   E allora scendo, e te la chiamo.

FOTTINO:

   Sbrígati!

   (Lisistrata, via. Fottino monologa patetico)

   Niuna dolcezza ha piú per me la vita,

   dal giorno che costei m'abbandonò.

   Com'entro in casa, mi si stringe il cuore,

   e vedo un vuoto dappertutto, e il cibo

   non mi va giú: perché mi tira il bischero!

(Compaiono su la rocca Lisistrata, e, con simulata riluttanza, Mirrina)

MIRRINA:

   Gli voglio bene, sí, gli voglio bene;

   ma lui del bene mio non se ne cura.

   Non mi chiamar, non farmelo vedere!

FOTTINO:

   Perché, dolcezza mia, Mirrinuccetta,

   fai cosí? Scendi!

MIRRINA:

   No, per Giove, mai.

FOTTINO:

   Io, Mirrina, ti chiamo, e tu non scendi?

MIRRINA:

   Già, mi chiami, e di me non sai che fartene!

FOTTINO:

   Non so che farmene, io? Se sto morendo!

MIRRINA (Fa per andarsene):

   Ti saluto!

FOTTINO:

   No, no, dà retta almeno

   al bimbo!

   (Si rivolge al bambino)

   E tu, la mamma, non la chiami?

BIMBO:

   Mammà, mammà, mammà!

FOTTINO:

   Non hai punto pietà di questo bimbo,

   sudicio da sei giorni, e senza poppa?

MIRRINA:

   Io, sí, che l'ho, pietà! Disamorato

   è il babbo!

FOTTINO:

   Vieni, amore mio, dal bimbo!

MIRRINA:

   Ah, l'esser madre! Che vuoi fare? Andiamo!

   (Comincia a scendere)

FOTTINO:

   Mi pare diventata anche piú giovine

   di molto, e ch'abbia piú soave l'occhio.

   E quel far la scontrosa e la superba,

   quello proprio mi fa morir di voglia!

MIRRINA (È scesa e piglia in collo il bimbo):

   Figlietto dolce dolce d'un babbaccio,

   vieni da mamma tua, piglia un bacino!

FOTTINO:

   Perché, cattiva, fai cosí, perché

   dài retta all'altre donne, e a me procuri

   crucci, e tormenti a te?

MIRRINA:

   Le mani a posto.

FOTTINO:

   La roba mia, la tua, che abbiamo in casa,

   la lasci andare alla malora!

MIRRINA:

   Poco

   m'importa della roba.

FOTTINO:

   E che? Del filo

   che le galline vanno sparnazzando

   per casa, non t'importa?

MIRRINA:

   E chi ci pensa?

FOTTINO:

   Da tanto e tanto non hai celebrata

   la festa d'Afrodite! Andiamo, torni?

MIRRINA:

   Io no, per Giove, se non fate prima

   pace, e non la finite con la guerra.

FOTTINO:

   Se tu lo vuoi, faremo pure questa.

MIRRINA:

   Quando sarà, ritorno a casa anch'io:

   ora no: me lo vieta un giuramento.

FOTTINO:

   Almeno, sta con me solo un istante.

MIRRINA:

   No, no... però non dico che non t'amo.

FOTTINO:

   M'ami?... E perché no, no, Mirrinettuccia?

MIRRINA:

   Mi fai ridere! Qui, davanti al bimbo?

FOTTINO:

   Eh, no, perdio! (Al servo) Manète, il bimbo portalo

   a casa. - Adesso il bimbo non c'è piú:

   ti vuoi sdraiare?

MIRRINA:

   Pover'òmo? E dove?

FOTTINO:

   Presso all'antro di Pane: il posto è comodo!

MIRRINA:

   E in rocca, poi, come ci torno pura?

FOTTINO:

   Ci vuol poco: ti lavi alla Clepsídra.

MIRRINA:

   Bravo! E rimangio il giuramento fatto!

FOTTINO:

   Cada sul capo mio: non occupartene.

MIRRINA:

   Ora porto un lettuccio.

FOTTINO:

   Lascia correre!

   Basta il suolo.

MIRRINA:

   Sia pure in quello stato,

   sul suolo no, non voglio che tu giaccia!

   (Entra nella rocca)

FOTTINO:

   Mi vuol bene, mia moglie! Ci si vede!

MIRRINA (Torna con una specie di letticciuolo):

   Ecco, sdràiati, svelto: ed io mi spoglio.

   (Comincia a deporre le vesti)

   Oh giusto, guarda, ho da portar la stuoia!

FOTTINO:

   Che stuoia! Per me, no!

MIRRINA:

   Sí! Su le cinghie

   non c'è decoro!

FOTTINO:

   Fammiti baciare...

MIRRINA (Porgendo la guancia):

   Tieni...

FOTTINO (La bacia):

   Ah, ah, ah, ah!... Ritorna presto!

MIRRINA (Entra ed esce):

   Ecco la stuoia. Sdràiati, e mi spoglio.

   (Come sopra)

   Oh giusto, guarda un po'! Non hai guanciale.

FOTTINO:

   Ma non mi serve!

MIRRINA:

   A me serve, per Giove!

   (Entra)

FOTTINO:

   Questo pinco lo trattano da Ercole!

MIRRINA:

   Sta sú, lévati!

FOTTINO:

   Adesso è tutto in regola?

MIRRINA:

   Tutto in regola!

FOTTINO:

   Qui, tesoro mio!

MIRRINA:

   Mi sto sciogliendo l'abito. Ricòrdati,

   sai, della pace! Non infinocchiarmi!

FOTTINO:

   Mi venga un tiro secco...

MIRRINA:

   E non hai coltre!

FOTTINO:

   Perdio, non voglio coltri! Voglio fottere!

MIRRINA:

   Ci arriverai, pazienza! Vado e torno!

   (Via)

FOTTINO:

   Con le sue coltri, questa mi finisce!

MIRRINA:

   Su ritto, via!

FOTTINO:

   Piú ritto di cosí?

MIRRINA:

   Non vuoi che ti profumi?

FOTTINO:

   A me profumi?

   No, per Apollo!

MIRRINA:

   Sí, per Afrodite!

   Per amore o per forza.

FOTTINO:

   Giove mio,

   fallo versare tu, questo profumo.

MIRRINA:

   Pigliane un po'... tendi la mano. Ed ungiti.

FOTTINO:

   Apollo mio, non mi ricrea davvero,

   questo profumo! Forse si dovrà

   stropicciare... no, via, non è da sposi!

MIRRINA:

   Foglie di rosa, ho preso! Oh che sventata!

FOTTINO:

   Bene, bellezza mia, lascialo andare.

MIRRINA:

   Dici per burla!

FOTTINO:

   Un accidente a secco

   all'inventore dei profumi!

MIRRINA:

   Piglia

   quest'alberello.

FOTTINO (Con gesto equivoco):

   Ho già codesto, vedi.

   Via, non mi dare piú nulla, briccona.

   Mettiti giú.

MIRRINA:

   Son pronta, per Artèmide!

   Ora mi svesto. Amore mio, ma bada

   a votare la pace!

FOTTINO:

   Voterò!

   (Mirrina, rapidissima, scappa e rientra nella rocca)

   Ahi! M'ha ucciso, mia moglie, m'ha finito!

   M'ha sfavato ogni cosa, e se n'è ita!

   (Canta con espressione patetica)

   Or che giuocato m'ha delle femmine

   la piú vezzosa tiro siffatto,

   che piú mi resta? chi ormai piú sbatto?

   come l'allatto - questo figliuolo?

   Dov'è Cinàlope?

   Presto, una balia trovami a nolo!

CORO DI VECCHI:

   In quale, o misero, crudele affanno,

   consumi l'animo tratto in inganno!

   Io pietà provo delle tue pene!

   Qual mai resistere potrebbe rene,

   che cuor, che lombi, quali testicoli,

   qual pinco ritto, che non può l'uzzolo

   cavarsi a brúzzolo?

FOTTINO:

   Ahi, quali, o Giove, tremendi spasimi!

CORO DI VECCHI:

   T'ha quella sozza cosí ridotto,

   quella sentina d'impurità.

CORO DI VECCHIE:

   No, quell'amore, quel boccon ghiotto!

CORO DI VECCHI:

   Boccone ghiotto? Birba, hai da dire,

   birba! Deh, fa',

   Giove, che l'impeto fiero d'un turbine

   via la trascini come festuca,

   e, mulinandola nelle sue spire,

   dalla magione lunge l'adduca:

   poi l'abbandoni, sí che precipiti

   di nuovo al suolo:

   e qui d'un súbito...

CORO DI VECCHIE:

   possa infilarsi su quel piòlo!

CATASTROFE

(Dalla párodos sinistra arriva un araldo spartano, in visibile stato

di concupiscenza erotica)

ARALDO:

   Er Senato d'Atene indove sta?

   E li pritani? Ciò da divve morte

   novità!

COMMISSARIO:

   Ma chi sei? Uomo? Conísalo?

ARALDO:

   Io? Berfio, sò l'araldo! E sò venuto,

   corpo de Dio, da Sparta, pe' sta pace!

COMMISSARIO:

   Oh, perché vieni, allora, con quell'asta

   sotto panni?

ARALDO:

   Che asta? Io nun ciò gnente!

   (Cerca di voltarsi un po')

COMMISSARIO:

   Dove ti giri? Perché te lo tiri

   davanti, quel mantello? Pel cammino

   t'è calato il braghiere?

ARALDO:

   È poco micco,

   sto fregno buffo!

COMMISSARIO:

   Ah, pezzo di briccone,

   l'hai ritto?

ARALDO:

   Io? Ma de che! Nun dí fregnacce!

COMMISSARIO:

   Oh, che ci hai, dunque?

ARALDO:

   Un tortòre spartano!

COMMISSARIO (Con gesto equivoco):

   Ah! Della stessa fabbrica di questo?

   Di' franco, parli a cuori che t'intendono:

   come ve la passate, a Sparta, voi?

ARALDO:

   Sparta e alleati stanno tutti a ucello

   dritto: ce servirebbe Zagarolo.

COMMISSARIO:

   E chi dovete ringraziar di questo

   guaio? Pane?

ARALDO:

   Macché! Lampetta ha dato

   er segno della corsa; e l'antre, appresso,

   dettero alli mariti lo scaccione

   dalla patacca!

COMMISSARIO:

   E allora, come fate?

ARALDO:

   Se tribbola! Se va per la città

   come si se corresse colla torcia,

   gobbi gobbi! Le donne nun se vonno

   manco piú fa toccà la varpelosa,

   si d'amore e d'accordo tutti quanti

   nun famo prima pace co la Grecia!

COMMISSARIO:

   Ma questa è una congiura universale

   delle donne! Ora, sí, ci vedo chiaro.

   Dunque, non perder tempo, di' che mandino

   qui plenipotenziari per la pace.

   Altri ne farò scegliere al Senato

   io qui: farò valer questo argomento!

   (Gesto equivoco)

ARALDO:

   Parlà piú mejo, nun potevi! Volo!

(Via l'araldo e il commissario)

INTERMEZZO DANZATO

CORO DI VECCHI:

   Delle femmine, piú indomita non c'è al mondo alcuna fiera.

   Ma che fuoco! Non ha ciglio sí protervo una pantera.

CORO DI VECCHIE:

   Se l'intendi, a farmi guerra perché dunque ti sei messo,

   mentre invece aver potresti fido amico il nostro sesso?

VECCHI:

   Gli è che l'odio per le femmine a deporre io non m'induco.

VECCHIE:

   Lo farai dopo, a tuo comodo. Ma a quel modo ignudo bruco

   non ti so proprio lasciare. Sei ridicolo, vedessi!

   Vo' infilarti questi panni: lascia, lascia ch'io m'appressi.

VECCHI:

   Quest'azione, affé di Giove, non saprei dirla cattiva.

   Io di dosso me li tolsi pel furor che in me bolliva.

VECCHIE (Si avanzano danzando, e infilano ai vecchi le sottovesti):

   Ecco, intanto sembri un uomo: poi, ridicolo non sei.

   E se tu non mi facessi arrabbiare, ti torrei

   via dall'occhio, dove adesso ti s'è fitto, quel moscino.

VECCHI:

   Questo, dunque, era il tormento! Prendi un po' quest'anellino,

   sarchia pure, e fuori traggilo, che veder lo possa anch'io:

   da un bel pezzo, affé di Giove, sta mordendo il ciglio mio.

VECCHIE:

   Sei davvero il gran fastidio! Pur ti voglio far contento.

   (Estraggono ciascuna una zanzara dall'occhio d'un vecchio)

   Dio! Ci avevi una zanzara, che vederla è uno sgomento!

   Guarda, guarda! Di Tricòrito, non ti pare ch'ella sia?

VECCHI:

   Gran piacer m'hai fatto! Un pozzo dentro l'occhio essa m'apria;

   sí che or che tu l'hai tolta, fuor ne sgorga a rivi il pianto.

VECCHIE:

   Ma ci son qua io, per tergerlo, sebben tu sia birba tanto...

   E ti bacio...

VECCHI:

   Niente baci...

VECCHIE:

   Sí, per forza o per amore.

VECCHI (Reluttando invano):

   E possiate andare al diavolo! Quanto è mai lusingatore

   questo sesso! dice proprio bene veh, quella sentenza:

   né con questa infame razza si può vivere, né senza.

   Ma oramai scendere a patti noi bramiamo, e, d'ora in poi,

   né piú farvi alcun dispetto, né soffrirne alcun da voi.

   Oh, su via! Fattici accanto - gli uni all'altre, alziamo un canto.

(I vecchi e le vecchie si accostano gli uni alle altre, e, formato un

solo coro, si rivolgono verso gli spettatori)

VECCHI:                                Strofe Prima

   Non abbiamo intenzïone

   di lanciar veruna ingiuria

   contro alcun della città.

   Ma fare opere buone, - ma dir buone parole

   vogliamo, invece: i guai che abbiamo, bastan già!

   Ed ogni uomo, ogni femmina, dica pure se vuole

   da noialtri aver contanti.

   Due, tre mine? Qui ce n'è

   tanti e tanti,

   e la borsa è in mano a me.

   Ché se poi tornar dovessimo

   a far pace, quel che avrà

   da noialtri preso in prestito,

   rimborsare non dovrà!

VECCHIE:                               Strofe Seconda

   Ammannir dobbiamo il pranzo

   a certi ospiti Caristii,

   veri fior' di probità.

   Purè ce n'è d'avanzo - e uccisa ho una scrofetta:

   c'è dunque ciccia tenera e bella a sazietà!

   E invitati sono tutti gli uditori. In fretta in fretta,

   dopo il bagno, coi marmocchi

   venga ognun: venga oggi stesso!

   L'uscio imbocchi

   senza chiedere permesso,

   come fosse in casa propria,

   senza tanti complimenti:

   che già, l'uscio

   sarà chiuso a due battenti!

FINALE

(Dalla párodos sinistra si avanzano gli ambasciatori spartani: verso essi

torna a volgersi il Coro)

CORIFEO DI VECCHI:

   Ecco gli ambasciatori - di Sparta con le lor barbe prolisse:

   e gabbie di porcelli - pare che intorno ai fianchi abbiano fisse!

   (Rivolto agli ambasciatori)

   Pria salute, o Laconi! E poscia, diteci

   in che stato ridotti a noi giungete.

AMBASCIATORE SPARTANO:

   Che, c'è bisogno da fà tante chiacchiere?

   Come semo ridotti, lo vedete.

CORIFEO:

   Ah, poveretti noi, come s'ingrossa

   quest'affare! Che brutta infiammazione!

SPARTANO:

   Nun ce se crede! E c'è poco da dí!

   Fa' vení qui quarcuno, e combinamo

   puro sta pace, come je fa gioco.

CORO:

   Oh, vedi i paesani nostri, anch'essi

   con la tunica a tenda su la pancia.

   Non sembran lottatori? Quest'affare

   promuove, a quanto pare, la ginnastica.

AMBASCIATORE ATENIESE:

   Lisistrata dov'è? Chi ce lo dice?

   Vedi a che cosa son ridotti gli uomini!

CORIFEO:

   Questo male è gemello di quell'altro.

   (Accenna all'ambasciatore spartano)

   Vi piglia, è vero, una fregola a bruzzolo?

ATENIESE:

   E ci ammazza, perdio, quando ci piglia!

   Sicché, se non si fa pace alla svelta,

   non c'è che fare, noi si fotte Clístene!

CORIFEO:

   Badale a voi, pigliate dei mantelli,

   che non vi veda qualche ermocopída!

ATENIESE:

   Dici bene, perdio!

SPARTANO:

   Sangue d'abbacchio,

   dice benone. Puro noi coprímose!

ATENIESE:

   Buon dí, Spartani! Brutti guai si passano!

SPARTANO:

   Core bello, figúrete noiantri!

   Si ce vede la gente co' quest'anima

   de manganelli, qui semo fregati.

ATENIESE:

   Parliamo franchi, via, Spartani: a quale

   scopo venite?

SPARTANO:

   Per la pace: semo

   l'ambasciatori!

ATENIESE:

   Bene: e noi tal quale.

   Dunque, perché non si chiama Lisistrata,

   lei che sola può metterci d'accordo?

SPARTANO:

   Eh, si te garba, sí, chiama Lisistrata!

CORIFEO:

   Non c'è bisogno di chiamarla, pare:

   ha inteso tutto, ed eccola che viene.

(Lisistrata scende dalla rocca e s'avanza)

CORO:

   Salute, o d'ogni donna - la piú prode; convien che seria adesso,

   che sii mite ed energica, - che buona fede all'accortezza mesca.

   Ché i primi degli Ellèni, - delle blandizie tue pigliàti all'esca,

   a te son convenuti, - in te le lor querele hanno rimesso.

LISISTRATA:

   Se la cosa non è punto difficile!

   Basta pigliarli quando sono in fregola,

   né si posson sfogare uno con l'altro!

   E al bel veder c'è poco. Ov'è la Pace?

   Piglia prima e conduci i Lacedèmoni,

   non già con mano prepotente e pesa,

   né senza garbo, come procedevano

   i nostri sposi, ma con grazia, come

   s'addice a donne: e chi non dà la mano,

   piglialo per l'uccello. Va', conduci

   anche gli Atenïesi: dove prima

   ti danno presa, acciuffali. Laconi,

   state vicino a me: da quella parte

   (Agli Ateniesi)

   state voialtri: e il mio discorso udite!

   (Con piglio oratorio)

   Io sono donna; eppure ho sale in zucca:

   di mio, giudizio non mi manca; e udendo

   poi parlare mio padre ed altra gente

   d'età, mi sono impratichita molto.

   Vi vo' dunque pigliar tutti in un fascio,

   e insolentirvi, e a buon diritto. Voi

   che spruzzate gli altari con la stessa

   acqua lustral, come fratelli, a Pito,

   a Olimpia, a Delfi - a andare per le lunghe,

   quanti altri luoghi potrei dire! - mentre

   i barbari son qua, movete eserciti,

   genti e cittadi a sterminar de l'Ellade! -

   La prima parte del discorso, è fatta!

ATENIESE:

   Io l'ho sfavato, e adesso casco morto.

LISISTRATA:

   E voi, ché adesso tocca a voi, Laconi,

   non sapete che qui giunse una volta

   lo Spartano Períclide, e sede',

   pallido nella sua veste di porpora,

   su l'ara, a supplicar quelli d'Atene,

   per avere alleati? Allor Messene

   su voi gravava, e il Dio che il suolo scrolla.

   Mosser Cimone e quattromila opliti,

   e salvarono tutti i Lacedèmoni.

   E voi, cosí da noi trattati, il suolo,

   che a voi salvezza die', ponete a sacco?

ATENIESE:

   Sono ingrati, Lisistrata!

SPARTANO (Distratto, in concupiscente ammirazione):

   Sarà.

   Ma che culetto! Che magnificenza!

ATENIESE:

   Atenïesi, e voi credete forse

   ch'io vi risparmi? Vi sovviene quando

   vesti servili indossavate, e a loro

   volta, i Laconi giunsero a soccorrervi,

   armati, e sterminâr molti dei Tessali,

   molti compagni ed alleati d'Ippia,

   combattendo soli essi a fianco vostro,

   quella giornata, e a libertà vi resero,

   e infilaron di nuovo, in cambio della

   schiavina, un manto fine al vostro popolo?

SPARTANO:

   La compagna nun c'è. Che pacioccona!

ATENIESE:

   Non l'ho mai visto, un tal pezzo di passera!

LISISTRATA:

   Or, se avete tanti obblighi reciproci,

   ché vi struggete in guerra, e non cessate

   dall'abborrirvi? Ché non fate pace?

   Via, che ostacolo c'è?

SPARTANO:

   Noi semo pronti:

   basta che ciaridíeno quer buco.

LISISTRATA:

   Quale, buon uomo?

SPARTANO:

   Pilo! Da quel dí,

   che ce famo l'amore e lo chiedemo!

ATENIESE:

   Questa non la spuntate, per Posídone!

LISISTRATA:

   Dateglielo, brav'òmo!

ATENIESE:

   E che si fa,

   dopo?

LISISTRATA:

   Chiedete un'altra terra in cambio.

ATENIESE:

   Beh! Prima dateci Echinunte e il seno

   di Melía, con le gambe di Megara.

SPARTANO:

   Amore bello, scòrdetene puro!

LISISTRATA:

   Lasciate! Per due gambe non si letica.

ATENIESE:

   Già mi disarmo, già vado ad arare!

SPARTANO:

   Io, come arbeggia, vojo concimà!

LISISTRATA:

   A pace fatta, lo potrete fare.

   Via, se siete decisi, concludete,

   e date la notizia agli alleati!

ATENIESE:

   Che alleati, cuor mio! Ci tira il bischero!

   Non saran del medesimo parere,

   anch'essi? Di chiavare?

SPARTANO:

   E de che tinta!

   Puro li mii!

ATENIESE:

   Perdio, pure i Caristii!

LISISTRATA:

   Ben detto! Ora lavatevi, ché noi

   donne vi si darà da pranzo, nella

   rocca, con quel che abbiamo entro le ceste.

   Lassú vi scambierete i giuramenti,

   e poi ciascuno prenderà sua moglie,

   e se n'andrà! - Volete o no venire?

SPARTANO:

   Dove te pare!

ATENIESE:

   Non perdiamo tempo!

(Entrano tutti. I coreuti si volgono di nuovo verso gli spettatori)

CORO DI VECCHI:                        Strofe Terza

   I tappeti screzïati

   che qui serbansi, le tuniche,

   i mantelli, i vasi d'oro,

   a tutti sian donati - che li rechino ai figli,

   e, quando andrà canefora, a qualche figlia loro.

   E della roba nostra, ch'è dentro, chi vuol pigli.

   Nulla è chiuso in tal maniera

   che possibile non sia

   tôr la cera

   dei suggelli, e portar via

   quanto c'è. Però nientissimo

   troverà, per quanto scruti,

   chi non abbia

   piú dei nostri gli occhi acuti!

CORO DI VECCHIE:                       Strofe Quarta

   Se alcun vive nello stento,

   e nutrir deve domestici

   e una folla di marmocchi,

   qui troverà frumento - minuto; e una focaccia

   tenera, da un quartuccio: la guardi e non la tocchi.

   Venga chi vuole, dunque, col sacco e la bisaccia:

   tutti quanti a me correte,

   poverelli: a tutti grano

   dà Manète,

   il mio servo, a larga mano.

   Ma v'avviso: niun si risichi

   a venir troppo vicino

   a quest'uscio:

   c'è di guardia un buon mastino!

(Tornano a voltarsi verso la scena)

(Durante l'invito del Coro, sono giunti parecchi cittadini, e si sono

affollati davanti alla porta, alcuni sedendosi. Uno infine picchia

all'uscio. Si affaccia un servo)

CITTADINO:

   Coso, apri?

SERVO:

   Te la svigni? E voi, che state

   sdraiati lí? Per farvi rosolare?

   L'ho, la fiaccola! Questa è la stazione

   della bordaglia!

CITTADINO:

   Io no, non me ne vado.

   Si tratta d'esser compiacenti? Noi

   siamo qui, pronti a fare penitenza.

GLI ALTRI:

   La faremo anche noi, la penitenza.

SERVO:

   Non ve n'andate? Poveri capelli

   vostri! N'avrete a far, degli urli! Ve

   n'andate, o no? Li fate uscire in pace

   dal banchetto, i Laconi?

(Esce dall'uscio un Ateniese A)

ATENIESE A:

   Un tal simposio

   non l'ho veduto mai.

(Esce un Ateniese B)

ATENIESE B:

   Proprio gentili,

   si son mostrati gli Spartani; e noi,

   con tutto il vino, s'ebbe il capo a segno.

ATENIESE A:

   Va da sé! Noi non si ragiona, quando

   non s'è bevuto! Se gli Atenïesi

   daranno retta a me, sempre brïachi

   andremo in ambasciata! Ora, che andiamo

   a Sparta, a gola asciutta, non badiamo

   che a cercar ciò che può mandarci all'aria:

   sicché non ascoltiam quello che dicono,

   e sospettiam di quello che non dicono,

   e riferiam cose che fanno a pugni.

   Adesso, poi, ci siamo contentati

   di tutto. Anche se uno la canzone

   di Telamone c'intonasse, invece

   di quella di Clitagora, noialtri

   l'applaudiamo, pronti a spergiurare.

SERVO:

   Oh, rieccoli, questi, al posto solito.

   Ve la battete o no, pezzi da forca?

ATENIESE:

   Perdio, davvero, vedi che già escono.

(Escono in folla molti convitati)

SPARTANO (Volto a un giovane flautista):

   Core mio, pija er ciufolo, che adesso

   vojo fà quattro zompi, e cantà un'aria

   in onore d'Atene e de noiantri.

ATENIESE:

   Prendi, sí, prendi il flauto! Che a vedervi

   quando ballate, mi diverto un mondo.

CORO DI SPARTANI

IL CORIFEO:

   L'ardore in questi giovani,

   tu, Mnemòsine, desta,

   e nella Musa mia,

   che sa le nostre gesta,

   né ciò che oprâr gli Ateniesi oblia,

   quand'essi all'Artemisio

   simili a Numi s'avventâro, e in rotta

   dei Persïani misero la flotta.

   Noi guidava Leonida:

   come cignali arrotavamo i denti,

   e molta schiuma ci fioría le labbia,

   e molta insino ai piedi

   ci colava giú giú: ché della sabbia

   numerosi non meno erano i Medi.

TUTTI I COREUTI:

   Oh cacciatrice Artèmide,

   tu che le fiere abbatti,

   vieni oh vergine Iddia,

   alla tregua propizia,

   e a lungo resta in nostra compagnia.

   Or l'amicizia

   tranquilla duri, i patti

   nulla mai turbi,

   e il regno cessi dei volponi furbi.

   Su via, fra noi rimani,

   o vergine che in caccia agiti cani.

LISISTRATA:

   Giacché tutto è finito per la meglio,

   su, conducete via, Laconi, queste

   donne, e voialtri (agli Ateniesi) queste. E stia la moglie

   presso il marito, ed il marito presso

   la moglie. E poi, per il felice evento,

   balli ai Numi intrecciamo; e d'ora innanzi

   dal piú cadere in colpa ognun si guardi.

CORO DI ATENIESI

IL CORIFEO:

   La danza guida, guida le Càriti,

   invoca Artèmide,

   e il suo germano, l'Iddio benevolo

   dei Cori duce,

   e il Nisio Bacco, che fra le Mènadi

   dagli occhi sprizza vivida luce.

   E Giove, rutilo Dio della folgore,

   e la beata sua sposa, e i Dèmoni

   che ricordanza serbin perenne

   della solenne

   pace, cui strinse la Cipria Diva!

TUTTI I COREUTI:

   Io Peàn, viva, viva!

   L'inno si levi della vittoria!

   Viva, viva! Gloria, gloria!

IL CORIFEO (Volto ai Laconi):

   Ora intonate, su via, Laconi,

   pei nuovi eventi, nuove canzoni!

CORO DI SPARTANI:

   L'ameno Taigèto ora abbandona,

   vien qui, Musa Lacona, - e il Nume onora

   venerando d'Amicla, e Atena, Diva

   dalla bronzea dimora,

   ed i buoni Tindàridi,

   che dell'Eurota scherzan su la riva.

   Piú non tardar, qui volgiti,

   i pie' leggeri affretta,

   sí che Sparta si celebri

   negl'inni, a cui diletta

   prestare, fra clamore

   di danze, ai Numi onore.

   Presso l'Eurota lanciano

   qui le fanciulle, come

   puledre, in gara gli agili

   piedi al corso, e le chiome

   squassan, come festanti

   tirsigere Baccanti.

   E di Leda la prole

   veneranda, conduce le carole.

IL CORIFEO (Alle donne spartane):

   Su, cingi bende al crine, balza come cerbiatta.

   A guidare le danze, palma a palma si batta.

   E alla possente inneggia - Dea dalla bronzea reggia.

(Le donne spartane battono in ritmo le mani. Danza generale e uscita

dei personaggi e del Coro)