L’isola degli schiavi

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SCENA PRIMA

L’ISOLA DEGLI SCHIAVI

di

Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux

Il Signor Padrone

Lo Schiavo

La Signora Padrona

La Schiava

La Regina dell’Isola

Abitanti dell’Isola


Scena prima

Il Padrone, triste, viene avanti in scena con il suo Schiavo.

PADRONE - (Dopo un profondo sospiro) Schiavo!

SCHIAVO - Padrone mio !

PADRONE - Che sarà di noi in quest'isola?

SCHIAVO - Ci faremo magri, tisici e moriremo di fame. Questa, penso, sarà la nostra storia.

PADRONE - Siamo i soli scampati al naufragio, e già invi­dio la sorte di tutti i nostri compagni morti.

SCHIAVO - Non ve la prendete più di tanto: essi sono annegati in mare, ma anche noi abbiamo la stessa possibilità!

PADRONE - Quando il nostro vascello s'è frantu­mato contro gli scogli, m'è parso che alcuni dei nostri abbiano fatto in tempo a saltare nella scialuppa; forse dovremmo cercarli.

SCHIAVO - Cerchiamoli pure, che ci sarà di male a sperare, ma per ora prendiamo fiato.

PADRONE - No, non perdiamo tempo, seguimi: dobbiamo far di tutto per allontanarci di qua per­ché siamo capitati nell'isola degli schiavi.

SCHIAVO - Oh ! Oh ! E che razza di gente sarebbe questa?

PADRONE - Sono schiavi ribelli ai loro pa­droni. Da cent'anni essi si sono stabiliti in un' isola, e credo sia proprio questa. Hanno l'usanza di am­mazzare tutti i padroni che incontrano, o di ridurli in schiavitù.

SCHIAVO - Eh beh, paese che vai costume che trovi! Ch'es­si ammazzino i padroni - era ora - l'ho sentito anch'io, ma si dice che non facciano nulla agli schiavi come me.

PADRONE - Questo è vero.

SCHIAVO - Almeno potrò ancora vivere.

PADRONE - Ma io rischio di perdere la libertà e con essa la vita: non è abbastanza per aver compas­sione di me?

SCHIAVO  - Ah, io vi compiango con tutto il cuore, questo è certo.

PADRONE - Seguimi, dunque.

SCHIAVO  - (Fischia) Fii! Fii! Fii!

PADRONE - Come, perbacco, che significa ciò?

SCHIAVO  - (Distratto, canta) Trallalà.

PADRONE -  Parla, dunque, a che pensi?

SCHIAVO  - (Ridendo) Ah! Ah! Ah! Signor Padrone, che buffa avventura! Io, per me, vi compiango, ma non posso fare a meno di riderne.

PADRONE - (Parla, inizialmente, a parte) Il furfante abusa della mia situazione: ho fatto male a dirgli dove siamo. La tua allegria è proprio fuori luogo. An­diamo di qua, per favore.

SCHIAVO  - Io ho le gambe così intorpidite...

PADRONE - Andiamo avanti, te ne prego.

SCHIAVO  - Per favore, te ne prego; come siete educa­to e gentile. Dev'essere l'aria di questo posto che vi fa quest'effetto.

PADRONE - Non riesco proprio a capirti.

SCHIAVO - Caro il mio padrone, le vostre cortesie mi affascinano: voi avete l'abitudine di farmene a colpi di randello, ma il randello è rima­sto sul vascello.

PADRONE - Come, non sai che ti voglio bene?

SCHIAVO  -  Certo, ma i segni del vostro affetto calano sempre sulle mie spalle!

PADRONE - Schiavo insolente!

SCHIAVO - Ah! Questa che parlate è la brut­ta lingua di casa, che non comprendo più.

PADRONE - Tu rinneghi, dunque, il tuo padrone, e non sei più il mio servo?

SCHIAVO  -  (Arretra, con aria seria) Lo fui, ma via, te lo perdono. Gli uomi­ni non valgono niente. In città, ero tuo schiavo, mi trattavi come una povera bestia ed era giusto per te, ch'eri il più forte. Ebbene! Adesso troverai qualcuno più forte di te, che ti ridurrà schiavo a tua volta e ti dirà pure ch'è giusto. Con la sofferenza ti farai più ragionevole: capirai bene cosa vuol dire far soffrire agli altri. Il mondo andrebbe meglio se quelli come te ricevessero la stessa lezione. Buona fortuna, amico mio: vado in cerca dei tuoi padroni (Si allontana)

 PADRONE - (Gli corre dietro con la spada in pugno) Santo cielo! Si può essere più disgraziati e of­fesi di me? Miserabile! Non meriti di vivere.

Scena seconda

La Regina, con altri abitanti,  arriva conducen­do due donne.

Corrono verso il padrone che impugna la spada.

REGINA -   (Comanda ai suoi di afferrare e disarmare il padrone) Fermatevi, che volete fare?

PADRONE - Punire quell’ insolente del mio schiavo.

REGINA - Il vostro schiavo? Vi sbagliate, e v'insegnere­mo noi a correggervi, (consegna allo Schiavo la spa­da del Padrone) Prendete questa spada, amico mio: è vo­stra.

SCHIAVO  -  Che il cielo vi tenga di buon umore, siete proprio una caro amica!

REGINA - Come vi chiamate?

SCHIAVO  - Vorreste conoscere il mio nome?

REGINA - Se vi pare.

SCHIAVO  -   Non ne ho, amica mio.

REGINA - Possibile, non avete un nome?

SCHIAVO - No, ho soltanto dei nomignoli che lui mi ha dato: qualche volta mi chiama Oh! qualche altra Ehi!

REGINA - Sono termini privi di senso. Riconosco il genere di signori che si prendono simili licenze. E lui, lui come si chiama?

SCHIAVO  - Oh, diamine! Lui sì che ha un nome, lui è il Signor Padrone.

 REGINA - Bene! Ora cambierete nome; voi vi chiamerete  Signor Padrone, e voi  vi chiamerete Ehi! Oh! 

 SCHIAVO  -  (Al suo padrone)  Ah! Ah! Ci sarà da ridere, Signor Ehi!Oh!

REGINA - Ricordatevi che lo scambio di nomi non è tanto per rallegrare la vostra vanità ma per correggerlo dal suo orgoglio. 

SCHIAVO - Sì, sì, correggiamo, correggiamo! 

REGINA - È la nostra legge, ed il mio incarico è quello di farla osservare.

SCHIAVO - Che bell’ incarico! 

PADRONE - Io, lo schiavo di questo disgraziato! 

REGINA - Lui è stato il vostro. 

SCHIAVO - Devi solo essere molto obbediente ed avrò mille bontà per te. 

PADRONE - Mi date la libertà di dirgli qualche parolina se mi date un randello?  SCHIAVO - Chiede di parlare alla mia schiena, ed io la metto sotto la protezione della repubblica! 

REGINA - Non abbiate paura; non vi farà niente. 

SCHIAVA -  - Signore, sono anche io schiava; non  dimenticatevi di me, per favore. 

REGINA - Non preoccupatevi, ho riconosciuto subito la vostra condizione dal vestito e stavo giusto per parlare con voi, quando ho visto lui impugnare la spada. Lasciatemi finire ciò che avevo da dire. Schiavo!

SCHIAVO - (Credendo d'esser chiamato) Eh!... Mac­ché, io mi chiamo Signor Padrone.

REGINA - (Continuando) Cercate di calmarvi: sapre­te, certo, chi siamo noi ?

SCHIAVO - Oh, sicuro! Persone amabili…

SCHIAVA -   …e ragionevoli.

REGINA - Non interrompetemi, ragazzi miei. Quando i nostri avi, irritati dalla crudeltà dei loro padroni, lasciarono la terraferma per venire a stabilirsi in quest’isola, per reagire agli oltraggi ricevuti, decisero come prima leg­ge di togliere la vita a tutti i padroni che la sorte o un naufragio avesse condotto sulla loro isola, e di conse­guenza di restituire la libertà a tutti gli schiavi: la ven­detta era madre di tale legge, e la ragione, vent'anni dopo, nell’ abolirla, ne partorì una più mite. Non ci vendichiamo più di voi, preferiamo correggervi. Non perseguiamo più la vostra morte, ma vogliamo cancel­lare la barbarie dei vostri animi. Vi riduciamo in schia­vitù perché avvertiate quali mali  si patiscono. La vostra schiavitù, ma vorrei dire il vostro corso di umanità, dura tre anni: al termine sare­te liberati se i vostri educatori saranno soddisfatti dei vostri progressi. Ma se non migliorerete, vi tratterre­mo per amore nei confronti di quanti nuovamente ren­dereste infelici altrove. Queste sono le nostre leggi: ringraziate la buona sorte che v'ha condotto fin qui, che vi ha messo nelle nostre mani. Siete i nostri malati, piuttosto che i nostri schiavi, e noi ci prendia­mo solamente tre anni di tempo per guarirvi, cioè per rendervi umani, ragionevoli e generosi per il resto del­la vostra vita. Il Signor Padrone si stabilirà in questa dimora con il nuovo schiavo. Ricordate che avete l'obbligo di scambiarvi gli abiti: è la regola. Andate, vi aspetto qui. (Agli isolani) Accompagnateli, (alle donne) Voi altre, resta­te. (Lo Schiavo, allontanandosi, fa delle grandi rive­renze alla Schiava)

Scena terza

L’Isolana, la Schiava e la  Padrona

REGINA - E ora a voi: rivelatemi il vo­stro nome.

SCHIAVA  -  Anch'io ho dei nomignoli, volete conoscerli?

REGINA - Davvero! e quali?

SCHIAVA - Ne ho una sfilza: Impertinente,Sciocca, Ridicola, Bestia,Idiota, eccetera…eccetera.

PADRONA -Imbecille che non siete altro.

SCHIAVA - Ah, ecco…eccone ancora un altro che avevo di­menticato.

REGINA  - Effettivamente vi ha colto sul fatto.

PADRONA -Cosa volete che risponda...

SCHIAVA - Oh, Signora Padrona, non è più tanto facile risponder­mi. In altre occasioni non c'era nulla di più agevole, si aveva a che fare solamente con della povera gente: a che servivano tante cerimonie? "Fate questo, è un ordine, state zitta, stupida...". E basta così. Ma adesso bisogna espri­mersi ragionevolmente, ed è un linguaggio sconosciu­to alla signora. Ci sarà il tempo per impararlo, biso­gna pazientare. Quanto a me, ce la metterò tutta per farla progredire: mi regolerò come si regolava lei.

REGINA -  Con calma, senza vendette.

SCHIAVA - Una buona volta, non son io la padrona? Ebbene, cominci lei a perdonare il mio ran­core, adesso: poi, quando verrà il mio turno, le rimet­terò le sue colpe. Per ora aspetti che la insulti a mio piacimento almeno una dozzina di vol­te.

REGINA - (Alla Padrona) Bisogna proprio che quanto disposto faccia il suo corso, ma consolate­vi, finirà più presto di quanto possiate pensare. (Alla Schiava) Spero, Signora Padrona, che vogliate smorzare il vostro risentimento. Passiamo adesso ad esaminare il suo carattere: tracciatemene un ritratto, qui, davanti a lei che ne è oggetto. È necessa­rio perché si conosca, si vergogni delle proprie ridicolaggini, se ne ha, e si possa correggere.

SCHIAVA - Questa sì ch'è una bella trovata! Eccomi, sono pronta, sono ben ferrata.

PADRONA -(Con dolcezza) Vi prego, lasciate ch'io mi ritiri, per non ascoltare quanto dirà.

REGINA - Ahimè! mia cara signora, questa recita è proprio per voi: la vostra presenza è indispensabile.

SCHIAVA - Restate, restate. Un po' di vergogna passa presto…vanitosa, smorfiosa e civetta!

REGINA - Vanitosa, smorfiosa e civetta; vi riconoscete in questo ritratto?

PADRONA -  Non le sembra di umiliarmi abbastanza, signora?   

REGINA - Mi rallegro per il pizzico d'imbarazzo che ciò vi provoca: voi ascoltate, è un buon segno che fa ben sperare per l'avvenire. Ma questi sono soltanto tratti generici, bisogna definirli. In che cosa, per esem­pio, le trovate i difetti di cui parliamo?

SCHIAVA -  In cosa? Sempre, comunque e dappertutto. Ci sono tanti fatti, ho assistito a tanti episodi, che mi confondono per il numero e la varietà. La signora tace, la signora parla, guarda, si rattrista, si rallegra; silenzio, parole, sguardi, tristezza e gioia son tutt'uno, si distinguono solamente per un colore: son vanità muta, contenta o arrabbiata; son civetteria ciarliera, gelosa o curiosa. Son la signora, sempre vana o civetta, l'una dopo l'altra, o tutt'e due insieme. Ecco tutto, nient'altro che questo.

PADRONA -  Non sono in condizione di resistere.

REGINA -  Aspettate, non è che l'inizio.

SCHIAVA - La signora si alza, ha dormito bene, il sonno l'ha resa bella, si sente forse piena di vita e ne ha colmi gli occhi? Subito all'opera, la giornata sarà gloriosa. "Vestitemi!". La signora vedrà gente oggi, si recherà agli spettacoli, a passeggio, alle riunioni; il suo viso potrà mostrarsi, potrà reggere la gran giornata, sarà un piacere a vedersi, basterà esibirlo con ostentazione, ne sarà all'altezza, non avrà nulla da temere.

REGINA -   (Alla Padrona) Come illustra bene tutto quanto.

SCHIAVA - E se invece la signora ha dormito male? "Ah ! Portatemi uno specchio, in che stato son ridotta! Come sono infelice!". E intanto si specchia, si scruta il viso da tutte le parti, niente va bene; occhi sbattuti, brutta cera; la signora non vedrà nessuno nella giornata. Capivo subito tutto, io, con il sesto senso che proprio noi schiave abbiamo verso i nostri padroni... Oh! In fondo, per noi, sono della povera gente!

REGINA -  (Alla Padrona) Coraggio, signora, approfit­tate di questo ritratto, che mi sembra proprio fedele.

PADRONA -  Io non so a che punto sono.

SCHIAVA - Arriverò fino in fondo, sempre che la cosa non vi annoi troppo.

REGINA - Concludete, concludete, la signora soppor­terà anche il resto.

SCHIAVA - Un giorno in cui ella poteva sentirmi, senza pensare ch'io lo sapessi, parlai di lei per dire: "Oh ! Bisogna proprio rico­noscerlo, la signora è una delle più belle donne del mon­do." Quali attenzioni non mi valse per otto giorni quella mezza parola!

PADRONA -Signora, non rimarrò più di tanto, a meno che non mi si trattenga a forza. Non riesco a sopporta­re oltre.

REGINA -  Per adesso, allora, può bastare. (Alla Schiava) Precedeteci di qualche passo, perché ho qualcosa da comunicare a lei, che vi raggiungerà tra un attimo.

SCHIAVA -  (Si allontana) Raccomandatele d'esser docile, almeno. Addio.

Scena quarta

L’Isolana e la Padrona

REGINA - Questa scena vi ha certamente infastidito, ma non vi produrrà danno.

PADRONA -  Siete dei barbari.

REGINA - Siamo solamente gente onesta che vuole educarvi, e basta. Ma vi rimane ancora da soddisfare una piccola formalità.

PADRONA -  Altre formalità!

REGINA -  Questa è irrilevante. Debbo fare rapporto di tutto ciò che ho sentito e di quanto mi risponderete. Vi riconoscete voi in tutti gli atteggiamenti che ella vi ha appena attribuito?

PADRONA -Riconoscerlo, io? Cosa! Sono forse credibili tanto evidenti menzogne?

REGINA - Oh! Molto convincenti, state attenta. Se voi ne converrete, contribuirete a rendere migliore la vo­stra condizione, altrimenti sarete considerata in­correggibile, e ritarderete la vostra liberazione. Su, pensateci.

PADRONA -  II mio rilascio? Posso sperarci?

REGINA -  Vi dò la mia parola, a questa condizione che v'ho detto.

PADRONA -  Presto?

REGINA - Certamente.

PADRONA -  Ci può essere del vero, un po' qui, un po' là.

REGINA - Un po' qui, un po' là, non è sufficiente. Riconoscete tutti i fatti? Sono eccessivi? Non sono tutti pertinenti? Sbrigatevi, che ho anche altro da fare.

PADRONA -Quando si appartiene ad un certo rango, è naturale che si voglia piacere.

REGINA -  Questo significa che la descrizione vi rasso­miglia?

PADRONA -  Credo di sì.

REGINA -  Finalmente! E trovate che il ritratto sia al­quanto ridicolo, non è vero?

PADRONA -Bisogna confessarlo.

REGINA - Splendido! Sono felice, cara signora. Per il momento andate dalla vostra nuova Padrona.Non siate impaziente, adattatevi docilmente, e il momento spera­to arriverà.

PADRONA -  Mi affido a voi.

Scena quinta

L’Isolana, lo Schiavo e il Padrone (con abiti scambiati)

REGINA -  Bene. Siete conten­to del vostro nuovo schiavo?

SCHIAVO - Sì, è  un bravo ragazzo, lo farò diventare qualcuno. A volte sospira, ed io gliel'ho proibito, con pena per la disobbedienza, e gli ho imposto d'essere allegro. (Afferra il padrone per mano e danza) Tara lara lara...

REGINA - Voi rallegrate anche me.

SCHIAVO - Oh! Quando sono contento, metto tutti di buon umore.

REGINA - Benissimo. Informatemi di una cosa. Come si comportava laggiù? Aveva sbalzi di umore? Difetti di carattere?

SCHIAVO - Amico mio, siete malizioso, voi mi chiedete di mettere in scena una una farsa.

REGINA - Non importa, rideremo.

PADRONE - (A bassa voce) Cosa vuoi dirgli?

SCHIAVO   Lasciami fare: se t'offendessi, dopo ti chie­derei scusa.

REGINA - Si tratta d'una inezia: ho fatto le stesse ri­chieste alla ragazza di prima, sul conto della sua pa­drona.

SCHIAVO - Ebbene? Tutte le cose che ha detto vi sono sembrate delle follie degne di pietà, miserande, scom­mettiamo?

REGINA -  È vero.

SCHIAVO  - Questo povero giovincello non sarà da meno: strava­ganza e miseria, ecco la sua dote. Non sono splendidi stracci da esposizione? Svagato per natura e svagato per affettazione, perché le donne li amano così. Uno sprecone: spilorcio quando bisogna esser generosi, pro­digo quando c'è da essere parsimoniosi; ottimo que­stuante ma pessimo pagatore. Si vergogna di dar pro­va di saggezza, per ostentare invece bizzarria. È un fanfarone che si burla della brava gente e si circonda d'amanti che neppure conosce: ecco il mio uomo.

REGINA - (Al Padrone) Adesso tocca a voi confermare ciò che ha appena detto.

PADRONE - A me?

REGINA -  Proprio a voi. La signora di prima ha fatto altrettanto. Abbiate fidu­cia, in tutto questo c'è per voi un beneficio inimmagi­nabile.

PADRONE - Un grandissimo beneficio? Se le cose stanno così, forse potrei convenire su qualche particolare.

SCHIAVO - Accetta tutto, ti sta a pennello.

PADRONE - Ammettiamone il cinquanta per cento, così da venir fuori da questa faccenda.

REGINA -  Vada per tutto.

PADRONE - …e sia. (Servo sghignazza)

REGINA - Avete fatto proprio bene, non ve ne pentire­te. Addio, per ora, avrete presto mie nuove. (Esce)

Scena sesta

Schiavo, Padrone, Schiava, Padrona.

SCHIAVA -  Signor Padrone, vi si può domandare di cosa mai ridete?

SCHIAVO  -  Rido del mio Schiavo, che ha ricono­sciuto d'essere un buffone.

SCHIAVA - Questo mi sorprende: dall'aspetto lo direi un uomo assennato. Invece, se volete conoscere una ci­vetta dichiarata, guardate la mia serva.

SCHIAVO - (La guarda) Accidenti! ha un'aria furbesca che dev'esserle proprio congeniale! Ma cambiamo ar­gomento, mia bella signorina: cosa faremo adesso che siamo diventati persone in gamba?

SCHIAVA - Eh! Ma una bella chiacchierata.

SCHIAVO - Non ci divertiremmo di più se io diventassi il vostro innamorato?

SCHIAVA - Giusto, accomodatevi. Consumatemi di sospi­ri, circuitemi l'anima, carpitemi il cuore. Ma trattiamo d'amore con stile, dal mo­mento che siamo diventati padroni.

SCHIAVO  - Sì, certo, ne ricaveremo più slancio.

SCHIAVA - Mi piacerebbe portassero da sedere, così da discorrere comodi ed ascoltare le vostre galan­terie.

SCHIAVO  - II vostro desiderio è un ordine. (Al Padrone) Presto, Schiavo, sedia e poltrona per me e la signora.

PADRONE - Hai il coraggio di chiedermi questo?

SCHIAVO - La repubblica lo reclama.

SCHIAVA  - Fa niente, fa niente. Avviamoci, piuttosto, per quella via, camminiamo con nobiltà, e non rispar­miatemi né complimenti né riverenze.

SCHIAVO - E voi, non risparmiate gli atteggiamenti affettati. Coraggio! quand'anche fosse soltanto per burlarci dei nostri padroni. Terremo con noi i nostri schiavi?

SCHIAVA - Certo, possiamo farne a meno? Siano il nostro seguito, ma a debita distanza.

SCHIAVO - Allontanatevi una decina di passi. No­tate, signora, il chiarore del giorno?

SCHIAVA -State per dirmi che m'amate, lo intuisco. Dite, signore, dite pure, tanto non vi darò credito. Voi siete amabile, ma civettuolo, e non mi persuaderete.

SCHIAVO -  (Si mette in gi­nocchio) Bisogna che m'inginocchi, signora, per con­vincervi del mio ardore e della sincerità dei miei senti­menti?

SCHIAVA -   La cosa si fa seria. Lasciatemi, non voglio aver a che fare con queste faccende di cuore, alzatevi. Che ardire! bisogna necessariamente dichiararvi l'amo­re? Non si può risolvere la cosa più facilmente, senza che appaia fuori luogo?

SCHIAVO - (Ride, in ginocchio) Ah!Ah!Ah! Magnifico! Sappiamo renderci ridicoli come i nostri padroni, ma siamo più saggi.

SCHIAVA -  Se voi ridete, rovinate tutto.

SCHIAVO  - Parola mia, siete deliziosa, ed io con voi. Come vi pare il mio Schiavo?

SCHIAVA -  Di mio completo gradimento. E che dite voi della mia Schiava?

SCHIAVO - Ch'è maliziosetta.

SCHIAVA - Intuisco il vostro pensiero.

SCHIAVO - Eccolo: innamoratevi del mio Schiavo, ed io spasimerò per la vostra Schiava. Siamo certamente in gra­do di riuscirci.

SCHIAVA - Questa idea è intrigante e mi stuzzica. E poi, cosa potrebbero fare di meglio che amarci?

SCHIAVO - Sarebbe, la loro, una ragionevole scelta sentimentale, inoltre saremmo degli ottimi partiti.

SCHIAVA - E sia. Fate in modo che il vostro Schiavo si leghi a me, fategli sentire quanto sarà vantaggioso per lui in queste circostanze: se mi sposa, uscirà immediatamen­te di schiavitù.

SCHIAVO  -  Perdinci! Io vi prenderei volentieri, se non amassi già la vostra serva un pizzico più di voi. Sug­geritele d'innamorarsi della mia modesta persona, che come potete verificare, non è poi da buttare.

SCHIAVA - Sarete accontentato: mi basterà dire una sola parola alla mia schiava; vado a chiamarla. Schiava! Avvicinatevi ed abituatevi a camminare più rapidamente, perché io non amo aspettare.

PADRONA -   Di che si tratta?

SCHIAVA -  Venite qui ed ascoltatemi. Un uomo dabbene mi ha appena confessato che vi ama. È il Signor Padrone.

PADRONA -  Quale?

SCHIAVA -  Quale? Ce ne sono forse due qui? E' colui che mi ha appena lasciato.

PADRONA -  Cosa vuole che mene faccia del suo amore?

SCHIAVA - Cosa ne avete fatto dell'amore di quelli che vi corteggiavano? Vi vedo frastornata! Sono le parole d'amore che vi fanno quest'effetto? Voi lo co­noscete bene questo amore! Finora avete guardato le persone solamente per questo: i vostri begli occhi non hanno fatto altro, ed ora disdegnano forse la corte del signor Padrone; egli non vi farà riverenze affettate, non assumerà ridicoli atteggiamenti, né si darà arie da svampito: non è un superficiale, un perditempo, un furbetto, un volubile. Niente di tutto questo, gli mancano queste qualità, è vero: non è che un uomo leale, semplice di modi, che non ha la finezza di darsi delle arie. Egli vi dichiarerà il suo amore solamente se lo sentirà nel cuore, quel cuore d'uomo

semplice. Questo, forse, è poco seducente, perché non impressiona, ma attenetevi alle mie indicazioni perché io lo voglio. (Esce)

PADRONA -Dove son capitata? Quando avrà fine tutto ciò?(Lo Schiavo l’afferra) Che volete da me?

SCHIAVO - Non vi hanno parlato di me?

PADRONA -Lasciatemi, vi prego.

SCHIAVO - Guardatemi negli occhi e capire­te i miei pensieri.

PADRONA - Voi potete pensare ciò che vi pare.

SCHIAVO - M'intendete un po'?

PADRONA -No

SCHIAVO  - Certo, non ho ancora pensato nulla. Non negate: vi hanno messo al corrente dei sentimenti che provo, e non c'è niente di più lusinghie­ro per voi.

PADRONA -  Che situazione!

SCHIAVO - Voi mi trovate un po' sciocco, non è vero? Ma vedrete che passerà. È che non trovo le parole adatte a manifestarvi il mio amore.

PADRONA - Voi?

SCHIAVO - Sì. Cosa potrei fare di meglio? Siete tanto bella che non si può fare a meno di donarvi il cuore, che, altrimenti, voi stessa ve ne impadronireste.

PADRONA - Per me, che merito soltanto pietà, ragazzo mio.

SCHIAVO - Vi prego, a chi lo raccontate? Voi meritate tutte le attenzioni immaginabili: un imperatore non sa­rebbe degno di voi, e non lo sarei neanch'io, ma eccomi, io ci sono, e un imperatore non c'è. Un niente che si vede è meglio di qualcosa che invece non si vede. Che ve ne pare?

PADRONA -Mi pare che tu non abbia cattivi sentimenti.

SCHIAVO  -  Non se ne fanno più di questa pasta, sono un agnellino.

PADRONA -  Allora abbi rispetto per la mia sofferenza.

SCHIAVO  -  Mi metterei in ginocchio al suo cospetto.

PADRONA -Non ti accanire su di una sventurata, anche se puoi perseguitarla impunemente. Guarda in che sta­to sono ridotta, e se non provi rispetto per il mio rango d'un tempo, per le mie origini, per la mia educazione, che almeno le mie sventure, la mia schiavitù, il mio affanno ti inteneriscano. Potresti oltraggiarmi, adesso, a tuo piacimento: non ho difese, e mi soc­corre soltanto la mia disperazione. Ho bisogno della compassione di tutti, a cominciare dalla tua. (Esce)

SCHIAVO - Ecco la condizione in cui mi ritrovo, non la trovi miserevole abbastanza? Esser diventato libero e felice può darti il diritto d'esser crudele? Non ho la forza di dire altro: non t'ho fatto alcun male, non aggiungere altro al dolore che provo. Ho perso la parola.

SCENA SETTIMA

Padrone e Schiavo

PADRONE - La Schiava m'ha riferito che volevi parlarmi, cosa vuoi da me? Hai qualche altro insulto da farmi?

SCHIAVO - Eccone un altro che implora a sua volta la mia compassione. Non ho nulla da dirti, amico mio, se non raccomandarti di amare la nuova Padrona. Ecco tutto, che diavolo ne pensi?

PADRONE - Puoi tu chiedermi questo, Schiavo?

SCHIAVO - Eh, perdinci! Lo posso e lo faccio.

PADRONE - Mi era stato promesso che la mia schiavitù sarebbe finita presto, ma sono stato ingannato, ed in questa condizione io soccomberò. Io muoio, e tu perderai molto presto questo sventurato pa­drone che non ti riteneva capace delle crudeltà che ha dovuto subire da te.

SCHIAVO - Ascolta, ti proibisco di morire per malignità; di malattia, passi, ma di malignità…!

PADRONE - Gli dei ti puniranno.

SCHIAVO - Di cosa vuoi che mi puniscano, di aver sofferto per tutta la mia vita?

PADRONE - Della tua audacia e del tuo disprezzo per il tuo padrone. Niente mi ha impressionato tanto, lo confes­so. Tu sei nato e sei cresciuto con me,

SCHIAVO  - (in lacrime) E chi ti dice che non ti voglio più bene?

PADRONE - Mi vuoi bene e mille volte m'offendi?

SCHIAVO  -  Perché mi burlo un po' di te? Forse ciò m'impedisce di volerti bene? Dicevi di volermi bene anche quando mi facevi picchiare: forse che riempire di botte qualcuno è più ben educato che farsene beffe?

PADRONE - Riconosco che qualche volta ho potuto mal­trattarti senza ragioni sufficienti.

SCHIAVO  - Com'è vero!

PADRONE - Ma ogni volta con quanta bontà ho saputo farmi perdonare!

SCHIAVO  -  Sarà, ma non me ne sono mai accorto.

PADRONE - Vuoi dire, forse, che non bisognava correggere i tuoi difetti?

SCHIAVO - Mi hanno fatto soffrire più i tuoi che i miei.

PADRONE - Ma via, sei soltanto un ingrato: non mi hai dato, qui, nessun aiuto, non hai saputo mostrare ai tuoi compagni un attaccamento esemplare verso di me, che li avrebbe commossi e fors'anche indotti a rinunciare alle loro consuetudini.

SCHIAVO - Tu hai ragione, amico mio, m'indichi qual è, qui, il mio dovere nei tuoi confronti, ma tu, quando eravamo in città, non hai mai conosciuto il tuo nei miei riguardi. Vuoi che condivida le tue sofferenze, tu che mai hai condiviso le mie. Ebbene, sia, debbo avere il cuore migliore del tuo, perché da più tempo sono abituato alla sofferenza, e ne conosco la profon­dità. Mi hai picchiato per affetto, e siccome me lo dici, ti perdono; quanto a me, ti ho burlato per gioco, accettalo e fanne profitto. Certo che interverrò a tuo favore presso i miei compagni, e li pregherò di lasciar­ti andar via, e comunque, se ce lo negheranno, ti terrò come mio buon amico, perché io non rassomiglio a te, non sopporterei d'essere felice alle tue spalle.

PADRONE - (L'abbraccia) La tua generosità mi confonde.

SCHIAVO - Mio povero padrone, sapeste che piacere si prova a comportarsi bene, (Comincia a spogliare il suo padrone)

PADRONE - Ma cosa fai, caro amico mio?

SCHIAVO - Restituitemi il mio abito e riprendete il vostro, non sono degno d'indossarlo.

PADRONE - Non riesco a trattenere il pianto, fa' ciò che vuoi.

Scena decima

Detti, Schiava e Padrona (che entra piangendo)

SCHIAVA - Lasciatemi in pace, non ce la faccio a sen­tirvi lamentare…Cosa significa tutto questo, Signor Padrone? Perché avete ri­vestito i vostri panni?

SCHIAVO - Erano stretti per il mio caro amico, ed i suoi erano larghi per me. (Stringe in un abbraccio le ginocchia del suo padrone)

SCHIAVA - Spiegatemi quello che vedo: sbaglio, o gli sta­te chiedendo perdono? E che fine fa il nostro progetto?

SCHIAVO - Che fine: voglio diventare un uomo per bene, non è questo un buon progetto? Io mi pento delle mie sciocchezze, lui delle sue: fate altrettanto voi e la Signora Padrona.

PADRONA -Ah! mia cara Schiava, che bell'esempio per voi!

PADRONE - Dite, piuttosto, che esempio per tutti noi! Si­gnora, io ne sono colpito.

SCHIAVA - Ah! Veramente, eccoci con i vostri begli esem­pi. Ecco persone di mondo che prima ci offendono, si atteggiano, ci maltrattano, ci guardano dall'alto in bas­so, e poi che si dichiarano addirittura entusiaste quan­do scoprono che siamo cento volte più distinte di loro. Dove sareste voi, oggi, se avessimo ricambiato quei vostri meriti con egual mo­neta? Adesso si tratta di perdonarvi, e per essere capaci di tale bontà, dite, cosa mai ci serve? Le ricchez­ze? No di certo; la nobiltà? neppure; la condizione so­ciale? Meno che mai. Voi già possedevate tutto ciò, ed eravate migliori? Valevate di più? Allora cosa ci vuole? Eccoci al dunque. Bisogna avere l'animo generoso, sentimenti virtuosi, e tanto buon senso: ecco ciò che ci vuole ed è degno di stima e distingue un uomo che vale di più da un altro. In questo modo vi si offrono i buoni esempi di cui avete bisogno e che superano le vostre stesse capacità. Ed a chi li domandate? A dei meschini che voi avete sempre offeso, maltrattato, rim­proverato, ricchi di tutto come siete, ma che ora hanno compassione di voi, poveri come sono. Dovreste arrossire di vergogna.

SCHIAVO - Su, amica mia, siamo compassionevoli sen­za rimproverarli, facciamo del bene senza condirlo d'in­giurie. Non vedete che sono pentiti della loro crudeltà da meritare il nostro perdono? Perché il loro pentimen­to è il segno della ritrovata bontà, e questa li fa cresce­re e li rende partecipi del nostro progresso.

PADRONA -(Con tristezza) Mia cara Schiava, ho abusato dell'autorità che avevo su di te, te lo confesso.

SCHIAVA - Con quale coraggio? Ma adesso è pas­sato, e voglio dimenticarmi di tutto. Voi fate come vo­lete. Se mi avete fatto soffrire, peggio per voi, non vor­rei mai rimproverarmi delle stesse colpe. Vi rendo la vostra libertà, e se ci fosse un vascello in partenza m'imbarcherei subito con voi: ecco tutto il male che vi voglio. Se voi ne farete dell'altro, non sarà certo per mia colpa.

SCHIAVO - (In lacrime) Che brava ragazza! Quando si è buoni di natura!

PADRONE - Siete contenta, signora?

PADRONA -  (Con commozione) Vieni tra le mie braccia, mia cara Schiava.

SCHIAVO - Inginocchiatevi, perché l'umil­tà vi renda ancora migliore di lei.

PADRONA -La riconoscenza mi lascia appena la forza di risponderti. Non parlare più della tua schiavitù, e non pensare ad altro che a dividere con me tutti i beni che gli dei mi hanno dato, se facciamo ritorno in città.

Scena undicesima

Detti e l’Isolana.

REGINA -  Cosa vedo? Voi piangete, figlioli, e vi ab­bracciate!

SCHIAVO - Ah! E non è ancora niente! Siamo tutti divenuti Re e Regine. La pace è conclusa, finalmente, e la virtù ha accomodato ogni cosa. Abbiamo solamente bisogno d'un vascello per andarcene, e se lo metterete a nostra di­sposizione, vi mostrerete gente da bene quanto noi.

REGINA -  E voi, la pensate allo stesso modo?

SCHIAVA - (Bacia la mano della sua padrona) Credo che i gesti siano più eloquenti delle parole, lo vedete da voi.

SCHIAVO  -  (Prende anch'egli la mano del suo padro­ne per baciarla) Eccomi egualmente eloquente, senza parole.

REGINA - Mi commuovete. Abbracciate anche me, cari figlioli, ecco cosa m'aspettavo. Se non fosse finita così, avremmo punito il vostro desiderio di vendetta come abbiamo condannato le loro crudeltà. E voi padroni,vi vedo inteneriti: non ho nul­la da aggiungere a quanto v'ha insegnato quest'av­ventura. Padroni voi, avete agito male; padroni loro, vi hanno perdonato: traetene le conseguenze. La dif­ferenza di condizioni sociali è solamente una prova a cui gli dei ci sottopongono: non ho altro da dirvi. Tra due giorni salperete per la terraferma. Che la gioia di adesso e la felicità facciano seguito ai dispiaceri che avete provato e celebrino il più proficuo giorno della vostra vita.