L’isola disabitata

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Carlo Goldoni L'ISOLA DISABITATA

Carlo Goldoni

 L'ISOLA DISABITATA

Dramma Giocoso per Musica di Polisseno Fegejo Pastor Arcade, da rappresentarsi nel Teatro Grimani di S. Samuel l'Autunno dell'Anno 1757.

PERSONAGGI

GIANGHIRA giovane Chinese.

La Sig. Maria Monari. ROBERTO ammiraglio Olandese.

Il Sig. Giuseppe Borelli. VALDIMONTE capitano.

Il Sig. Michiel Angelo Potenza. GARAMONE capo degli artefici.

Il Sig. Francesco Carattoli. PANICO servitore.

Il Sig. Francesco Baglioni. CAROLINA

La Sig. Giovanna Baglioni. GIACINTA

La Sig. Catterina R.istorini. MARINELLA

La Sig. Vincenza Baglioni. Artefici. Soldati. Marinari.

La Scena si rappresenta in un'Isola del mare di Kamt-katkà nella China.

La Musica è del Sig. Giuseppe Scarlatti,

Maestro di Cappella Napolitano.

MUTAZIONI DI SCENE

NELL'ATTO PRIMO

Spiaggia marittima nel litorale dell'Isola con navi in qualche distanza,

e varie feluchette vicine, dalle quali sbarcano gli Olandesi.

Boschetto delizioso.

Recinto di alberi, che ingombrano la scena, e vengono poscia

dai Guastatori tagliati.

Boschetto delizioso.

Campagna mista di pianura e colline, che dee servir per il Ballo.

ATTO SECONDO

Boschetto delizioso.

Padiglioni sparsi per la campagna, fra i quali uno magnifico


che si vede precipitare.

Arsenale di arti meccaniche, con qualche fabbrica principiata

che dee servir per il Ballo.

ATTO TERZO

Padiglioni con vari sedili.

Campo di battaglia con padiglioni e macchine militari,

e veduta di mare in prospetto con navi olandesi e chinesi,

ove segue il combattimento ed il terzo Ballo.

I Balli sono d'invenzione e direzione del Sig. ... Sodi.

Le Scene sono di nuova invenzione del Sig. Andrea Urbani.

Il Vestiario è di vaga invenzione del Sig. Gio. Battista Rotta, Bolognese.


ATTO PRIMO

SCENA PRIMA Spiaggia marittima nel litorale dell'Isola con navi in qualche distanza, e varie feluchette

vicine, dalle quali sbarcano Roberto, Valdimonte, Garamone, Panico, Carolina, Giacinta, Marinella,

Artefici, Marinari e Soldati.

CORO PIENO

Che bel piacere dal mare infido Scender contenti sul caro lido! Goder la pace, la libertà!

PARTE DEL CORO

L'aria che spira nel bel contorno, Qua ci promette lieto soggiorno. Vita felice sperar ci fa.

CORO PIENO

La grand'impresa dal ciel scortata, Nella bell'Isola disabitata Goder potremo felicità.

PARTE DEL CORO

Dolci sudori, dolce fatica, Se con il tempo la terra amica I suoi tesori ci produrrà!

ROB. VAL.

CORO PIENO

Che bel piacere dal mare infido Scender contenti sul caro lido! Goder la pace, la libertà!

Cari amici e compagni,

Eccoci giunti alfine,

Dopo lunghi peripli, al bel confine.

Quest'isola che a caso

Ho discoperta un giorno

Ancor disabitata,

Dal chinese signor ci fu accordata;

Ed io, grande ammiraglio

Della flotta olandese,

La conquista ne fo pel mio paese.

Sì, signore, il comando

Abbia la patria vostra,


Ma nostro è il merto e la conquista è nostra.
Lo sapete da voi, senza ch'io il dica,
Che merita il suo premio ogni fatica.
GAR.                     Cento volte ho creduto

In mar precipitare,

I cavalli marini a pascolare;

Ed or che abbiam della paura il prezzo,

Di quest'isola anch'io ne voglio un pezzo.
PAN.                      Ed io, povero diavolo,

Che ho servito finor da servitore,

Vuò nell'isola anch'io far da signore.
CAR.                     Lavorato ho abbastanza in vita mia;

Se il signor ammiraglio vi acconsente,

Vorrei vivere un po' senza far niente.
GIAC.                    Ed io, se vuol graziarmi,

Vorrei farmi la dote e maritarmi.
MAR.                     Così dico ancor io, ma è presto ancora.

Viver mi basta in allegria, per ora.
ROB.                     Procurerò che ogni uno

Sia felice e contento.

Sarò di tutti alla letizia intento.

L'isola, ancor deserta,

Coltivare si dee. Distribuiti

Esser denno fra noi gli onori e i pesi,

Tutti per ora ad operare intesi.

Traggansi dalle navi

Gli opportuni istrumenti;

Si principiano a far gli alloggiamenti.

Voi avete, Valmonte,

Di nostra economia la direzione,

Degli artefici capo è Garamone,

E il povero Panico,

II qual ebbe finor sorte meschina,
Abbia la direzion della cucina.
Voi, donne, destinate

Alle incombenze usate

Siete del vostro sesso.

Verrò cogli altri a faticare io stesso.

CORO PIENO

Dolci sudori, dolce fatica, Se con il tempo la terra amica I suoi tesori ci produrrà!

Che bel piacere dal mare infido Scender contenti sul caro lido! Goder la pace, la libertà! (tutti partono)

SCENA SECONDA Boschetto delizioso.


Panico, Carolina e Giacinta

PAN.

Ragazzotte, su via, venite meco.

Vuò che troviamo un loco

Per divertirci un poco.

S'ha da far colazione in compagnia.

Tra di noi s'ha da stare in allegria.

GIAC.

Senza di Garamone

Non vuò far colazione.

CAR.

Ed io per farla

Tutte le cose ho pronte,

Ma non si ha da mangiar senza Valmonte.

PAN.

L'una Valmonte aspetta,

L'altra vuol Garamone,

E il povero Panico è un bel minchione.

CAR.

Anzi il nostro Panico,

Amabile, giocondo,

È il più vago e gentil che sia nel mondo.

Non è vero, Giacinta? (burlandosi di lui)

GIAC.

Anch'io lo dico:

Il più bello di tutti egli è Panico. (burlandosi di lui)

PAN.

Son bello, son grazioso;

Ma con tutte però le mie bellezze,

Non mi volete mai far due carezze.

GIAC.

Sentite, Carolina?

Il povero Panico

Vorria vedersi accarezzar da noi.

CAR.

Certo, ha ragione; principiate voi.

GIAC.

So anch'io la convenienza:

A voi deggio lasciar la preminenza.

CAR.

Ho per voi tanta stima,

Che lasciare vi voglio esser la prima.

GIAC.

No certo.

CAR.

No sicuro.

GIAC.

Oh, non lo farò mai.

CAR.

Tocca a lei. (spingendolo verso Giacinta)

GIAC.

Tocca a lei. (spingendolo verso Carolina)

CAR.

Non voglio guai. (respingendolo)

PAN.

Troppe grazie, signore;

Alla di lor bontà sono obbligato.

Mi hanno per cortesia mezzo stroppiato.

CAR.

Poverin, mi dispiace.

GIAC.

Pena ancor io ne sento.

PAN.

Due carezzine per medicamento.

CAR.

Son pronta.

GIAC.

Eccomi qua.

CAR.

Come abbiamo da far?

GIAC.

Come si fa?

PAN.

Datemi una manina. (a Giacinta)

GIAC.

Sì, signor, domattina. (ritirandosi)

PAN.

Datemi voi le mani. (a Carolina)

CAR.

Certo, ve le darò dopo domani.


PAN.

Corpo di Satanasso!

Voi volete di me prendervi spasso?

GIAC.

Il mio caro Panico,

Siete grazioso e bello;

Ma a dir la verità, non siete quello.

CAR.

Siete bello e grazioso,

Il mio caro Panico;

Ma a dir il ver, non mi piacete un fico.

PAN.

Donne senza giudizio,

Non conoscete il buono, a quel ch'io veggio;

Vi volete attaccare al vostro peggio.

Vi protesto che non c'è

Un altr'uomo come me.

Qualchedun vi sposerà,

Che dirà: «Passa qua,

Va di là»;

Che il bastone adoprerà.

Io son bonino,

Son tenerino,

Non so gridare,

So ben trattare

Colle ragazze.

Povere pazze!

Non mi volete?

Voi non direte - sempre così.

Vi pentirete, - signore sì. (parte)

SCENA TERZA

Carolina e Giacinta

GIAC.

Anch'egli ha i grilli suoi.

Si vorrebbe il meschin metter con noi.

CAR.

Per dir la verità,

Che si metta con voi gran mal non è.

Stupisco che si metta anche con me.

GIAC.

Con sua buona licenza,

Evvi da lei a me gran differenza?

CAR.

Mi par di sì.

GIAC.

Davvero?

Quali sono, signora, i pregi suoi?

CAR.

Io son più ricca e più civil di voi.

GIAC.

Ed io i natali miei

E il mio stato con voi non cambierei.

CAR.

Di un marinar la figlia

Non potrà mai paragonar lo stato

Con la sorella di un signor soldato.

GIAC.

L'arte del marinaro è signorile.

CAR.

Il mestier del soldato è più civile.

GIAC.

Eppur, con tutto questo,


CAR.

GIAC.

CAR.

GIAC.

CAR.

GIAC.

CAR.


Povera signorina, Destinata voi siete alla cucina. Un mestiere non è da vostra pari, Il lavar le camicie ai marinari. Di far questa fatica avrò finito, Quando avrò Garamon per mio marito. Quanto prima ancor io cangerò sorte, Ché Valmonte sarà di me consorte. Non lo credo.

Il vedrete.

Alle sue nozze Aspirare sapranno altre ragazze. Non perdo il tempo a taroccar con pazze. (parte)


SCENA QUARTA

Giacinta sola.

Pazza a me? Se ti trovo...

Mai più te la perdono:

Voglio farti veder se pazza io sono.

Sì, lo dico e il sostengo,

Son più civile assai.

Ci rivedremo; e me la pagherai.

Son buona buona fino a quel segno, Ma se mi accendo, ma se mi sdegno, Quella pettegola farò tremar. La si vorrebbe metter con me? Eh, mi fa ridere, Povera semplice! Questo gran merito In lei non c'è.

Se un'altra volta vuoi provocarmi, Saprò rifarmi, saprò parlar. Quella pettegola farò tremar. (parte)

SCENA QUINTA

Recinto di alberi che formano un boschetto, con qualche vacuo nel mezzo.

Gianghira sola.

Qual timor, qual speranza Risvegliami nel petto Degl'ignoti stranieri il nuovo aspetto? Di mia patria non sono. Ai loro arnesi Par che siano d'Europa, e non Chinesi. Il ciel li avrà mandati


Per sottrar dalla morte un'infelice.

Ma che sperar mi lice,

Povera, sconosciuta, abbandonata?

Ecco di gente armata

Una truppa veloce a questa volta.

Ahimè, mi trema il core.

Mi costringe a celarmi il mio timore. (si nasconde nel più folto degli alberi)

SCENA SESTA Garamone con seguito di Persone provvedute di mannaie.

GAR.                              Presto, presto, a lavorare;

Tutti abbiam da faticare.

Via tagliate, via spianate;

Cicche ciacche, qua e là. (Gli Uomini principiano a tagliare gli alberi) Faticate, lavorate;

Di tagliar non vi stancate.

Siate lesti, siate presti;

Cicche ciacche, qua e là. (Gli Uomini seguono a tagliare, e s'internano nel bosco)

In questo buon terreno, Che è lontano dal mare, Una casa per me vuò fabbricare. Io che ho la direzione De' fabbri, muratori e legnaiuoli, Farò dispor l'abitazion per tutti; Ma insegna la natura, Che per sé, pria di tutto, ogni un procura.

SCENA SETTIMA Gianghira, condotta dagli Operai suddetti, e Garamone.

GAR.                     Che cos'è quest'imbroglio?

Una donna chinese han ritrovata?

L'isola non è dunque inabitata.
GIAN.                   Lasciatemi, indiscreti:

Conducetemi innanzi a chi comanda.
GAR.                     Via, lasciatela stare.

Presto! andate, canaglia, a lavorare. (Gli Operai partono)
GIAN.                   (Stelle! Che sarà mai?)

GAR.                                                         (Se in questi boschi

Nascon di queste piante,

Si dovrian popolare in un istante).

Favorite, signora:

Siete voi di quest'isola?


GIAN.

Lontana

Vivo dal suol natio:

Raminga io sono, e son straniera anch'io.

GAR.

Come qui vi trovate?

GIAN.

Pria ch'io vi narri il come,

Ditemi il grado vostro e il vostro nome.

GAR.

(Non le vuò dir chi sono,

Per tenermi un po' più in riputazione).

Io sono il capo della mia Nazione:

In quest'isola or sono il superiore,

Capitan comandante, e direttore.

GIAN.

Ah, son ben fortunata,

Se alle man di chi regge io capitai!

GAR.

(Questa donna davver mi piace assai).

GIAN.

Vi narrerò i miei casi.

GAR.

Tutto a me palesate;

Dite quel che vi occorre, e comandate.

GIAN.

Signore, il mio paese

È Kamenitzkatà, patria chinese.

GAR.

Come? come? Che diavol di città?

Come si chiama?

GIAN.

Kamenitzkatà.

GAR.

Non ho sentito una città più strana.

Voi siete dunque Kamenitzkatana?

Il nome è alquanto brutto;

Ma se tutte son belle come voi,

Per meglio consolarmi,

Vorrei anch'io Kakamenitzkatarmi.

GIAN.

Non può merito alcuno

Aver la mia beltà,

Ma le sventure mie mertan pietà.

GAR.

Cara la mia Chinese,

Sarò grato per voi, sarò cortese:

Mi piacete davver, ve lo protesto. (si accosta per prenderla per la mano)

GIAN.

Siate meco, signor, saggio ed onesto.

GAR.

Sono così ritrose

Le donne della China?

Non vi posso toccare una manina?

GIAN.

Par che de' casi miei

Gioco voi vi prendiate.

Deggio dunque tacer?

GAR.

Su via, parlate.

GIAN.

Figlia son io, signore,

Di crudel genitore, a cui non credo

Siavi mostro simile...

GAR.

(Oh, cosa vedo?

Vien Roberto a sturbarmi.

Questa preda per me vorrei serbarmi).

GIAN.

Poco voi mi badate.

GAR.

Quel che colà mirate

Venire a noi bel bello,

In mar per la paura

Ha perduto il cervello.


Essere si figura un signorone;

Per delirio talor comanda e impone.

GIAN.

Povero sventurato! In sì tenera età?

Benché afflitta son io, mi fa pietà.

GAR.

Tiratevi in disparte,

Bella Chinese mia,

Ch'ei non faccia con voi qualche pazzia.

SCENA OTTAVA

Roberto, e detti in disparte.

ROB.

Care selve deliziose,

Le bellezze in voi nascose

Vien quest'alma a rintracciar.

Par che dica - l'ombra amica:

Vieni in pace a riposar.

GAR.

Sentite il delirante?

Va parlando coll'ombre e colle piante.

Andiamo in altra parte,

E narratemi tutto a parte a parte. (a Gianghira)

ROB.

(E chi è colei vestita

In abito chinese?) (da sé)

Garamone. (chiamandolo)

GAR.

Aspettate;

Ora sono da voi. (a Gianghira) Che comandate? (a Roberto)

ROB.

(Quella donna è straniera?) (piano a Garamone)

GAR.

(Oh, non signore:

Sulle navi con noi venuta è anch'ella,

Ma la povera donna è pazzarella.

Trovato ha quel vestito

Da un marinar chinese,

E le par d'esser nata in quel paese). (piano a Roberto)

ROB.

(Povera giovinetta!

Degno di compassione è il suo difetto). (piano a Garamone)

GIAN.

(Peccato ch'ei non abbia il suo intelletto) (da sé)

ROB.

Accostatevi un poco.

GIAN.

(Non ardisco). (da sé)

GAR.

(Egli mena le man, ve l'avvertisco). (piano a Gianghira)

ROB.

Via, sfogatevi meco,

Se a consolarvi io vaglio;

Lo sapete ch'io son grande ammiraglio.

GAR.

(Vi par poco impazzito?

Egli non sa chi siate,

E pretende che voi lo conosciate). (piano a Gianghira)

GIAN.

(Grande infelicità!) (piano a Garamone)

ROB.

Dite. (a Garamone)

GAR.

Signore.

ROB.

(Si sa perché è impazzita?) (piano a Garamone)

GAR.

(Credo che qualchedun l'abbia tradita.


Anzi, per vostra regola,

Disse nel rimirarvi

Che le venne il prurito di ammazzarvi). (piano a Roberto)
ROB.                     (Fate che immantinente

La giovane furente

Sia custodita bene.

Itene a ritrovar ceppi e catene). (piano a Garamone)
GAR.                     Subito, sì signore.

GIAN.                                                Ehi. Cosa dice? (a Garamone)

GAR.                     (Egli contro di voi

La testa ha riscaldata,

E vorrebbe vedervi incatenata.

Presto, venite meco). (piano a Gianghira)
ROB.                                                       Amico, udite.

(La giovine qui resti, indi tornate

A custodirla con persone armate). (a Garamone)
GAR.                     (Badate che il delirio non la prenda). (a Roberto)

(Non vorrei si scoprisse la faccenda). (da sé)

Vi parlo per bene, - lasciatela star. Signor, non conviene - coi pazzi trescar. Restate per ora, - vi devo lasciar. (a Roberto) Col pazzo, signora - non state a parlar. (a Gianghira) Non dite chi siete. Se parla, tacete. (a Roberto) (Se sanno - l'inganno, Mi fanno tremar). (da sé) Per or vi consiglio - di starle lontan. (a Roberto) Fuggite il periglio, - ch'ei mena le man. (a Gianghira) (Con arte ed ingegno Riuscir nell'impegno Mi voglio provar). (da sé, indi parte)

SCENA NONA

Roberto e Gianghira

ROB.                     (Benché fosse eccedente il suo furore,

In un uomo viltà saria il timore). (da sé)
GIAN.                   (Eppur voglio arrischiarmi.

Se furente sarà, saprò sottrarmi). (da sé)
ROB.                     Giovine sventurata,

Narratemi chi siete:

Meco parlare e confidar potete.
GIAN.                   Nacqui in patria chinese.

Il mio nome è Gianghira.
ROB.                     (Della China parlando ella delira). (da sé)

GIAN.                   Voi, povero infelice,

Posso saper chi siate?
ROB.                     Più non vel rammentate?

Son delle navi e delle nostre schiere


Ammiraglio supremo e condottiere.
GIAN.                   (La solita pazzia). (da sé)

ROB.                                                  Deh, raccontatemi

Donde il vostro dolor sia derivato.
GIAN.                   (Vuò veder se m'intende il forsennato). (da sé)

Il padre mio crudele Violentar mi voleva a dar la mano A uno sposo, qual lui, fiero, inumano. A un barbaro consorte Volli antepor la morte, - e il genitore In quest'isola incolta e inabitata Mi ha condotta egli stesso, e abbandonata.

ROB.

(Non mi sembra il suo dir mentito o stolto). (da sé)

GIAN.

Segni di compassion gli leggo in volto.

ROB.

Giovane, se fia vero

Quel che voi mi esponete,

Di soccorso e pietà certa voi siete.

GIAN.

Se fidar mi potessi...

ROB.

Vano è il vostro sospetto.

GIAN.

Il ciel vi torni il lucido intelletto.

ROB.

(Ecco, adesso delira). (da sé) Voi temete

Quel difetto in ogni un che regna in voi.

GIAN.

(Ecco, ei ricade ne' deliri suoi). (da sé)

SCENA DECIMA

Valdimonte con seguito, e detti.

VAL.

Signor, non è dovere,

Che per l'isola solo errando andiate;

Queste guardie per voi son destinate. (a Roberto)

E voi non lo dovete abbandonare. (alle Guardie)

GIAN.

(Misero, lo vorranno incatenare). (da sé)

ROB.

Valmonte, a voi consegno

Questa donna gentil; sia custodita,

Sia da ogni un rispettata e sia servita.

VAL.

(E chi è colei di sì vezzoso aspetto?) (piano a Roberto)

ROB.

(È una giovin che perso ha l'intelletto). (piano a Valdimonte)

VAL.

(Povera disgraziata!

Prego il cielo di cuor sia risanata). (da sé)

ROB.

Donna, qualunque siate,

Voi pietà meritate.

Provo per voi tormento,

E ai casi vostri intenerir mi sento.

Deh, serenate

Le luci belle

Che, alfin placate,

Le crude stelle

Vi torneranno

La pace al cor.


Le meste ciglia, Quel dolce aspetto, Per voi consiglia Tenero affetto. Vedervi io spero Ridente ancor. (parte con alcune Guardie)

SCENA UNDICESIMA Gianghira, Valdimonte e Guardie.

GIAN.

Ditemi, in cortesia,

Da che nacque di lui la frenesia?

VAL.

Giovin bella e compita,

È egli vero che voi siete impazzita?

GIAN.

Io? Per grazia del cielo,

Lucido ho l'intelletto.

VAL.

Quello che ora partì così mi ha detto.

GIAN.

Non è stolto il meschin?

VAL.

Stolto Roberto?

Stolto il nostro ammiraglio?

GIAN.

Oimè! che sento?

Son tradita, signor: creder mi han fatto,

Perfidi, ch'egli fosse un mentecatto.

VAL.

Egli crede di voi la stessa cosa;

Onde, senza che fate altri lunari,

In tal supposizion siete del pari.

GIAN.

Rintracciarlo vogl'io...

VAL.

Restate un poco;

Lo potrete vedere in altro loco.

(Mi piace, ma non so chi diavol sia). (da sé)

Dite, signora mia,

Quel vestito mi sembra alla chinese.

Come qui siete in forestier paese?

GIAN.

Ad altri che a Roberto

Non consento parlare, io lo protesto.

Dissi il principio, e vuò narrargli il resto.

VAL.

S'egli è il nostro ammiraglio,

Io non sono un baggiano;

Sono vicegerente e capitano.

GIAN.

Non cerco quel che siate.

VAL.

Confidatevi in me.

GIAN.

Non lo sperate.

VAL.

Cospetto! un simil torto

Da un'incognita donna io non sopporto;

E se in vostro favor posso impegnarmi,

Anche il modo averò di vendicarmi.

GIAN.

Che vi feci, signor?

VAL.

Dite chi siete.

GIAN.

Siate meno indiscreto, e lo saprete.

Povera sventurata,


Da tutti abbandonata,

Che in paese stranier chiede pietà,

Insultar, minacciare, è crudeltà.

Ora al monte - ed ora al fonte, Dispiegando il mio tormento, Cruda belva - dalla selva Non mi venne ad insultar.

Deh, non siate, - genti ingrate, Che ragion nell'alma avete, Delle fiere - più severe, Più crudeli a minacciar. (parte)

SCENA DODICESIMA

Valdimonte solo.

Povera donna! In fatti

Siamo noi colle donne mezzi matti.

Subito che si vede

Un volto che non sia d'amore indegno,

L'uomo subito forma il suo disegno;

E tante volte e tante,

Brutta o bella che sia, talun si trova

Che non cerca di più, se è cosa nuova.

A chi piace un bel labbro ridente; A chi piace severa beltà. Chi vorrebbe la donna languente, Chi furbetta cercando la va.

A me piaccion le femmine tutte, Non mi preme sian belle, sian brutte. Quel che al core piacere mi dà, È in amore la mia libertà. (parte)

SCENA TREDICESIMA

Boschetto delizioso.

Carolina e Panico

PAN.                      Carolina, ho veduto

10        stesso, con questi occhi,

11 vostro Valdimonte, il vostro amante,
Con un'altra beltà far il galante.

CAR.                     Possibil che sia vero?

PAN.                     Certo, signora sì.

CAR.                     Uomini senza fé, tutti così.

PAN.                     Tutti non son compagni. Io, per esempio,


Se una donna ha per me della bontà,

Non mi posso scordar la fedeltà.

CAR.

Valmonte disgraziato!

Perfido, scellerato!

Ah, non so chi mi tenga

Ch'io non sfoghi con voi l'ira e lo sdegno.

PAN.

Con me?

CAR.

Con voi vuò adoperare un legno.

PAN.

Io, che colpa ne ho?

CAR.

Se tutti siete

Di una razza maligna e menzognera,

Pur che il reo non si salvi, il giusto pera.

PAN.

Eccolo qui Valmonte.

CAR.

Venga pur, ch'io l'aspetto.

PAN.

Pregovi non gli dir quel che vi ho detto.

CAR.

Perché?

PAN.

Perché ho paura.

Se gli dite qualcosa, io me ne vo.

CAR.

Via, per farvi un piacer, non parlerò.

SCENA QUATTORDICESIMA

Valdimonte e detti.

VAL.

Eccomi a voi tornato.

CAR.

Vada, signor, dove finora è stato.

VAL.

Perché siete sdegnata?

CAR.

Lo so che ha ritrovata

Una di me più bella.

Si vada pure a divertir con quella.

VAL.

Panico!

PAN.

Non so niente.

VAL.

Cosa mai vi sognate? (a Carolina)

CAR.

Lo so che m'ingannate,

Che d'un'altra beltà voi siete amico.

VAL.

Chi ve l'ha detto?

CAR.

Eccolo qui, Panico.

PAN.

Non so niente.

VAL.

È un bugiardo.

PAN.

Sì, signore.

VAL.

Voglio cavargli il cuore.

PAN.

Aiuto, aiuto.

CAR.

Via, lasciatelo stare. (difende Panico)

VAL.

Aspetta pur, t'insegnerò a parlare.

CAR.

Se con lui vi sdegnate

Perché il vero mi han detto i labbri suoi,

Ditemi, che dovrei far io con voi?

VAL.

A torto mi accusate.

È ver, con una donna

Ho parlato, non dico una bugia,

Ma non so chi ella sia;


E se fosse ben anche una regina,
Non fa torto il mio cuore a Carolina.
CAR.                     Eh bugiardo, lo vedo,

Mi vorreste ingannar, ma non vi credo.

Povere donne, che s'ha da far? Tutti non cercano che d'ingannar. Siam le vezzose, siamo le belle, Siamo le care nei primi dì, E poi ci trattano tutti così.

Uomini ingrati, senza pietà. Che tradimento! che crudeltà! Più non vi voglio, - più non m'imbroglio; La cara pace - solo mi piace, Perfidi mostri d'infedeltà. (parte)

SCENA QUINDICESIMA Valdimonte e Panico, poi Giacinta

VAL.

Mi maltratta così per tua cagione;

Ti vuò trarre il cervel con un bastone.

PAN.

Aiuto, per pietà.

GIAC.

Che cosa è stato?

VAL.

Lasciatemi punir quel disgraziato.

PAN.

A voi mi raccomando. (a Giacinta)

GIAC.

La sua vita per grazia io vi domando.

VAL.

Hai ragion che con donne

Non soglio esser scortese.

PAN.

Grazie della finezza.

GIAC.

E in che vi offese?

VAL.

Ha detto a Carolina

Che con altra mi vide in compagnia.

PAN.

Non ho detto per questo una bugia.

VAL.

Perfido! (minacciandolo)

PAN.

Difendetemi. (a Giacinta)

GIAC.

Via, lasciatelo stare. (difende Panico)

PAN.

Anche a voi qualche cosa ho da narrare. (a Giacinta)

GIAC.

Che sì che Garamone

Fatto ha anch'egli lo stesso?

PAN.

L'avete indovinata.

GIAC.

Altri ancora di ciò mi hanno avvisata.

VAL.

Non credete alla gente menzognera.

GIAC.

Siete tutti bricconi a una maniera.

SCENA SEDICESIMA Garamone e detti, poi Carolina


GAR.

Cara la mia Giacinta,

Vi ricerco per tutto, e non vi trovo.

Vi è qualcosa di nuovo?

Parmi veder quel ciglio rabbuffato.

GIAC.

Pezzo di disgraziato!

A me di questi torti?

GAR.

Io non so niente.

GIAC.

Il diavol che vi porti.

Mi consolo con voi, mio signore,

Dell'acquisto di nuova beltà;

Ma vendetta vuò far di quel core,

Ma mi voglio sfogar come va.

GAR.

Non intendo che cosa mi dica;

Incantato restare mi fa.

Questa cosa davvero m'intrica;

Chi sa dirmi Giacinta cos'ha?

VAL.

Tutti due quel bugiardo ci accusa

Con le belle di rea fedeltà.

PAN.

Miei signori, vi prego di scusa;

Quel che ho detto da tutti si sa.

VAL.

} adue        ScLeallmeriaatom,a-nditsigpruanziiraàto.,

GAR.

PAN.

Ah Giacinta, per pietà!

GIAC.

Non bravate, - nol toccate:

Niun di voi l'offenderà.

GAR.

Hai ragione.

VAL.

Ci vedremo.

a due

Sempre lei non ci sarà.

PAN.

Giacintina, per pietà!

GIAC.

Quest'è il mio caro,

Quest'è il mio bello,

E questo è quello

Ch'io voglio amar. (Mostra di accarezzar Panico)

PAN.

E voi morite, - se ci patite. (a Garamone)

GAR.

Voi lo soffrite? (a Valdimonte)

VAL.

Lo vuò scannar. (contro Panico)

CAR.

Nessuno ardisca toccar Panico;

Mio caro amico, - mio dolce amor!

(mostrando di accarezzar Panico)

PAN.

E voi crepate, - se vi lagnate.

GAR.

Lo sopportate? (a Valdimonte)

VAL.

Ti cavo il cor. (contro Panico)

GIAC.

} adue        NConarmoiPnaanciccioa,tem,-iondoonlcloetaomccoart!e.

CAR.

GIAC.

Voi non c'entrate, - questo è per me. (a Carolina)

CAR.

Voi la sbagliate; - così non è. (a Giacinta)

GIAC.

Pel suo gran merito

Non è bastante.

CAR.

Dal grado nobile

È assai distante.

VAL.

} adue        FrPaelronrosbiialttàta.ccano

GAR.


PAN.

Vorrei dividermi Di qua e di là.

GIAC.

Venite meco. (lo tira a sé)

CAR.

Venite qua. (lo tira a

PAN.

Piano, vi supplico, Per carità.

CAR.

Quest'anellino Vi vuò donare.

VAL.

Di un mio regalo Si fa così?

GIAC.

Questo spillone Vi voglio dare.

GAR.

È un mio presente; Datelo qui.

CAR. GIAC.

} adue

Sì, ve lo dico,

Tutto a Panico Voglio donar.

VAL. GAR.

} adue

Quel disgraziato,

Quel scellerato,

Voglio ammazzar. (colle spade)

CAR. GIAC.

} adue

Pria che ferire il petto

Del dolce mio diletto, Mi passerete il cor.

VAL. GAR.

} adue

Basta, v'adoro ancor.

CAR.

} adue

Perfidi, barbari,

GIAC.

Senza pietà.

PAN.

Ah, difendetemi, Per carità.

CAR. GIAC.

} adue

No, non temete,

Meco verrete Senza timor.

PAN.

Sì che nel seno Giubila il cor.

VAL.

} adue

Sì che son pieno

GAR.

D'ira e furor. (partono)

BALLO PRIMO

Campagna mista di pianura e colline, ingombrata da per tutto di utensili e batterie

da cucina e tavole e fochi e ogni altra cosa necessaria per preparare i viveri alla

Compagnia che ha sbarcato nell'Isola.

Sparsi qua e là per la Scena, al piano e al monte, veggonsi i Ballerini tutti, e le

Ballerine ancora, in varie foggie vestiti, rappresentando Uomini e Donne di varie

nazioni, imbarcati coll'Ammiraglio e destinati alla distribuzione dei viveri.


ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Boschetto delizioso.

Valdimonte e Garamone, poi Panico in disparte

VAL.

Garamone, che dite?

Le nostre innamorate

Par si siano accordate

Di accarezzar Panico per vendetta.

GAR.

Che rabbia maledetta!

Hanno preteso di mortificarci.

VAL.

E con esse noi pur dobbiam rifarci.

Son gelose di noi per la Chinese;

E noi concordemente

Facciamle disperare.

GAR.

Ma tutti due non la possiam sposare.

VAL.

Bene, da buoni amici

Facciam così: che scelga per marito

Di noi due la Chinese il più gradito.

GAR.

Son contento. (Lo scelto sarò io). (da sé)

VAL.

(Già mi posso fidar del merto mio). (da sé)

PAN.

(Eccoli tutti due; sentir io voglio

Se parlano di me). (da sé, in disparte)

GAR.

Ma se Roberto

Avesse la medesima intenzione?

VAL.

Or mi passa per mente un'invenzione.

Già nel nostro equipaggio

Vi son vari Chinesi,

Che hanno gli abiti ancor dei lor paesi.

C'informeremo in prima

Del padre di Gianghira;

Poi, con una imbasciata,

Fingerem che da lui sia ricercata.

GAR.

Il pensamento è astuto.

PAN.

(A tempo ad ascoltar son qui venuto). (da sé)

VAL.

Quando in poter l'avremo,

Da lei dipenderemo.

GAR.

Tutto va ben; ma ciò non basta, amico:

Dee sentir la sua pena anche Panico.

(Panico si accosta un poco più, e di quando in quando per timore si ritira)

VAL.

Sì, vogliam bastonarlo?

GAR.

Bastonarlo? perché? Meglio è ammazzarlo.

VAL.

L'idea non mi dispiace.

GAR.

Finite avrà le impertinenze sue.

PAN.

(Che siate maledetti tutti due). (da sé)


VAL.

Dove lo troverem?

GAR.

Lo cercherò.

VAL.

Voglio cavargli il cor. (parte)

GAR.

Lo scannerò.

Se lo trovo codesto vigliacco, Nel mortaio lo voglio pestar. Lo vuò mettere dentro in un sacco, E nel mare lo voglio cacciar. Già mi pare d'averlo pigliato, Già mi pare che sia stritolato. Qua una gamba, qua un braccio, qua il core: Traditore, ti voglio sbranar. (parte) (Panico di quando in quando si avanza ad ascoltare, e si ritira tremante)

SCENA SECONDA Panico, poi Marinella

PAN.

Obbligato, signore,

Della sua cortesia, del suo buon core.

Se trovassi Giacinta e Carolina...

Ehi dite, ragazzina, (a Marinella che arriva)

Avete voi vedute

Carolina e Giacinta?

MAR.

Sì, signore,

Le ho vedute, saran cinque o sei ore.

PAN.

Ditemi dove son, se lo sapete.

MAR.

Subito ve lo dico;

Se vi preme di lor saperne nuova,

Le potete cercar: chi cerca, trova.

PAN.

Non mi fate arrabbiar secondo il solito.

MAR.

Credo che siano andate...

Ma vi preme davver?

PAN.

Via, dite su!

MAR.

In verità, non mi ricordo più.

PAN.

Ragazza impertinente. (la minaccia)

MAR.

Ehi, lasciatemi stare,

Che le mani ancor io saprò menare.

PAN.

Via, se volete dirmi dove sono,

Questi dolci son vostri; io ve li dono.

MAR.

Davver?

PAN.

Signora sì.

MAR.

Datemi i dolci in prima.

PAN.

Eccoli qui. (le dà cose dolci)

MAR.

Carolina e Giacinta

Van camminando con i piedi suoi

Per quest'Isola anch'esse, come voi.

PAN.

Ora un paio vi do di bastonate.

MAR.

Provatevi; paura non mi fate.


Son ancor giovine, Tenera ancor, Ma non per questo, Ve lo protesto, Dei brutti musi So paventar. Se vi pensate Colle bravate Farmi tremar, Siete pur semplice, Dolce di cor. (parte)

SCENA TERZA

Panico solo.

PAN.                      Vendicarmi l'età non mi permette.

Mala cosa è il trattar colle fraschette.

Vuò cercar di Giacinta,

Vuò cercar Carolina,

Vuò lor raccomandarmi

Contro costor che vogliono ammazzarmi;

E vuò, per obbligarle

Ad avere di me più compassione,

Discoprir la finzione

Che han fra di lor pensata,

Di portar dalla China un'ambasciata.

Voi volete burlarmi,

Canaglia maledetta.

Dice il proverbio: chi la fa, l'aspetta.

Con queste ragazze Contento sarò: Per me vanno pazze, Son cotte, lo so. Mi par di vederle Dintorno di me, A dirmi: «Panico, Son morta per te ». Sì, care, belline Le mie ragazzine, Non dico di no. Al diavolo andate, Bricconi, crepate, Di voi riderò. (parte)

SCENA QUARTA Padiglioni sparsi per la campagna.


Roberto, Guardie; poi Gianghira

ROB.                     Ancor mi sta nell'alma

La sventurata giovane furente,

Cotanto agli occhi miei bella e avvenente.

Vorrei coi benefici,

Colla pietade e coll'affetto ancora,

Moderar, s'io potessi, il suo dolore,

Tornarle il senno e consecrarle il cuore.

Parmi, se non m'inganno... appunto è dessa.

Eccola; a me si appressa.

Oh, povera infelice!

Troppo il male fondata ha la radice.
GIAN.                   Signore, a' piedi vostri... (corre impetuosamente a' piedi di Roberto)

ROB.                     Stelle! voi delirate.

GIAN.                   Non deliro, signor, no, v'ingannate.

10  piuttosto il perdono

Chieder devo prostrata a voi dinante,

Per avervi creduto un delirante.
ROB.                     Come! Alzatevi, oh numi! e ciò fia vero?

GIAN.                   Pur troppo, un menzognero

Ambidue c'ingannò con tal finzione.
ROB.                     E chi fia quest'audace?

GIAN.                                                        È Garamone.

ROB.                     Ma perché un tal inganno?

GIAN.                   Per me quel mentitore

Arde non vi so dir di qual amore.
ROB.                     Bellissima Gianghira,

Se le vostre pupille

Della colpa di lui le cause sono,

Una colpa sì bella io gli perdono.
GIAN.                   Dunque mi abbandonate

In balia dell'indegno?
ROB.                     No, col più forte impegno

Mi dichiaro per voi. Arbitra siete

Del mio poter. Tutti son miei soggetti:

Vuò che ogni uno vi stimi e vi rispetti.

Quivi nelle mie tende

Vi supplico restar. Là dentro entrate,

Placida riposate in fin ch'io torni.

Per i novei contorni

11 comun bene e il mio dover mi chiama.
Sì, felice e contenta il cor vi brama.

Colle procelle in seno

Di cento affanni e cento,

Il vostro cuor scontento

Paventa naufragar. Scacciate il rio timore,

Udite il mio consiglio:

Se a me volgete il ciglio,

Vedrovvi a respirar. (parte)


SCENA QUINTA

Gianghira sola.

Senza ch'ei più si spieghi,

Già l'intesi abbastanza,

Mi offre nel suo bel cor lieta speranza.

Ma a che pro, se non lungi

Dalla paterna riva

L'amante e il padre a penetrarlo arriva?

Per amor mio Roberto

Si espone ad un periglio, ed io meschina

La cagione sarò di sua rovina.

Di me più misera,

Più sfortunata,

Non rese al mondo

La sorte ingrata:

Son nata a piangere

E a sospirar. Veggo risplendere

Per me una stella,

Ma la fortuna

Che mi è rubella,

Fra mille spasimi

Mi fa tremar. (entra nel padiglione)

SCENA SESTA

Carolina sola.

Affé, che l'ho veduta!

Quello è quel bel sembiante

Che mi ruba l'amante.

Il povero Panico

A tempo mi ha avvisata

Della bricconeria dell'imbasciata.

Oh, se sapessi il modo

Almen di vendicarmi!

Or or vado là dentro ad isfogarmi. (mostra di voler entrare nel padiglione)

Ma veggo Valdimonte

Venir da questa parte.

Voglio usare ancor io l'ingegno e l'arte.

SCENA SETTIMA


Valdimonte e la suddetta.

VAL.                     (Ecco qui Carolina:

Per tener meglio il mio pensar celato, Voglio finger con lei lo spasimato). (da sé)

CAR.                     (Fingere mi convien col traditore

Di esser pentita, e spasimar d'amore). (da sé)

VAL.

Carolina, bella, bella.

CAR.

Poverina, non son quella.

VAL.

Siete il mio cor.

CAR.

No, traditor.

a due

Sospirare quel volto mi fa.

VAL.

(Tutto non vede). (da sé)

CAR.

(Tutto non sa). (da sé)

a due

Mio conforto, mio dolce tesoro,

Per voi moro, - vi chiedo pietà.

VAL.

Cara, mi amate ancora?

CAR.

Questo mio cor vi adora.

VAL.

Vi è scappata dal sen la gelosia?

CAR.

Ogni brutto sospetto è andato via.

E voi siete sicuro

Del sincero amor mio?

VAL.

Son sicurissimo.

(Sciocca! te ne avvedrai). (da sé)

CAR.

(Maledettissimo!) (da sé)

Ah, per vostra cagione

Quanti sospiri ho tratto!

VAL.

In lacrime per voi mi son disfatto.

CAR.

Poverino! Si vede.

VAL.

Si conosce

Quanto avete patito.

CAR.

Me ne dispiace assai.

VAL.

Ne son pentito.

CAR.

Mai più liti fra noi.

VAL.

Mai più gridare.

CAR.

(Che ti venga il malan!) (da sé)

VAL.

(Possa crepare!) (da sé)

CAR.

Caro il mio ben, quello ch'è stato, è stato.

VAL.

Panico disgraziato!

Tutto per sua cagione.

CAR.

Sì, Panico è un briccone.

VAL.

Se lo trovo,

Vuò con lui vendicarmi.

CAR.

Zitto. Venite qui. (Voglio provarmi). (da sé; lo tira in disparte)

Sono ancor io sdegnata

Con lui che mi ha ingannata,

Fingendo che Valmonte, poverino,

Ritrovato si avesse un amorino.

Ma lo so, che son io la sua diletta.

Sì, vita mia, vuò che facciam vendetta.

Sentite: quel briccone


Dorme in quel padiglione.

Pian pian, senza svegliarlo,

Cogliere lo potete, ed ammazzarlo.
VAL.                     Subito colla spada...

CAR.                                                       No, fermate.

All'avvenir pensate.

Se da voi colla spada egli è trafitto,

Vi potrian castigar per tal delitto.

Parlo così perché vi voglio bene.
VAL.                     Suggeritemi voi che far conviene.

CAR.                     Voi dalla vostra gente

Fate tagliar le corde,

Fate levar le mazze

Del padiglion, dov'è colui serrato,

Sicché resti coperto e soffocato.

Poi, perché non respiri e non si mova,

Fategli passar sopra

Carri di monizione,

Armi, sassi, cavalli ed un cannone.
VAL.                     Brava! son persuaso:

Diranno allor che l'ha ammazzato il caso.

Voi mi volete ben; non vi è risposta.
CAR.                     Ditemi, gioia mia, son corrisposta?

VAL.                     Siete l'idolo mio; di cuor vel dico.

CAR.                                                                            Contenta io son.

(Non me n'importa un fico). (da sé)

Se vedeste di dentro il mio core, Vi farebbe di gioia crepar. Io mi sento per voi liquefar. Oh che pena, che tenero amor! (Bel piacere che il cor mi diletta La speranza di pronta vendetta!) Bel sposino, mio caro carino, Dall'amore non posso più star. (Che la testa ti possa cascar!) (da sé e parte)

SCENA OTTAVA

Valdimonte solo, poi Guardie.

L'idea non mi dispiace.

Senza carri e cannoni,

Di grosse travi è il padiglion formato:

Se Panico c'incappa, egli è schiacciato.

Nasca quel che sa nascere. Proviamo.

Ehi, guardie. Immantinente (alle Guardie che arrivano)

Fate cader quel padiglione a terra.

Cada precipitando.

Non lo dite a nessuno: io vel comando. (Le Guardie partono)

Questi da me dipendono;


Della loro fedeltà son sicurissimo, E lo faran prestissimo. Panico disgraziato, Ci sei pur capitato. (cade il padiglione) Bravi davvero! è il padiglion caduto; C'è restato il briccone.

UNA VOCE DI DENTRO

Aiuto, aiuto.

VAL.

Grida aiuto il villano,

Ma lo domanda invano.

Stattene lì, ch'io non ci penso un cavolo.

SCENA NONA

Panico dalla parte opposta, ed il suddetto.

PAN.

Cos'è questo rumore?

VAL.

Aiuto, il diavolo. (vedendo Panico dietro di lui, si

spaventa)

PAN.

Il diavolo? Dov'è? (si spaventa)

VAL.

Spirto dannato,

Sei di casa del diavol ritornato? (a Panico, tremando)

PAN.

Povero me! che sento?

Mi vuoi far spiritar dallo spavento.

VAL.

Panico. (con timore)

PAN.

Che volete? (con timore)

VAL.

Sei morto?

PAN.

Io non lo so.

VAL.

Fosti accoppato?

PAN.

Io crederei di no.

VAL.

Come ti sei dal padiglion salvato?

PAN.

Io non ci sono entrato.

VAL.

Come? non fosti là?

PAN.

Io non fosti di là; fosti di qua.

VAL.

(Ah, trista Carolina!

Mi ha ingannato così l'impertinente). (da sé)

Tu me la pagherai.

PAN.

Non ne so niente.

VAL.

Voglio teco sfogar lo sdegno e l'ira.

SCENA DECIMA

Garamone e detti.

GAR.

Amico. (affannato)

VAL.

Che cos'è?

GAR.

Morta è Gianghira.

VAL.

Come?

GAR.

La poverina,

Là dentro ritirata,


Caduto il padiglion, morì accoppata.
VAL.                     Oh, cosa ho fatto?

Presto... voglio veder... Ma con costui Voglio prima sfogar... Forse Gianghira Morta ancor non sarà. Ammazzatelo voi, per carità.

Dalla sponda d'Acheronte Della donna che morì Odo il labbro a dir così: «Sia Panico scellerato Strascinato, tanagliato. Sia squartato il traditor. Negli Elisi la bell'alma La sua calma non avrà, Se il crudel non perirà. Quel briccone, quel guidone, Non si rida, non si sbeffi, Sia legato ed attaccato Per il collo, con un crollo; Né staccare si dovrà, Se alla luna gli sberleffi Sulla forca non farà». (parte)

SCENA UNDICESIMA

Garamone e Panico

GAR.                     Hai sentito?

PAN.                                         Ho sentito.

GAR.                                                            Valdimonte

Vuol che per le mie mani

Faccia morire il povero Panico.

Io lo farò, per contentar l'amico.
PAN.                      Non vi saria maniera

Di vedere le cose accomodate,

Per esempio, con quattro bastonate?
GAR.                     No, certo, non ci è caso:

Son galantuom, la mia parola ho dato.

Devi essere ammazzato.

Questo è tutto il piacer ch'io posso farti:

Scegli tu con qual morte ho da sbrigarti.
PAN.                      Se ho da morir, pazienza!

Fate così, signore;

Aspettate che un dì mi venga male,

E morirò di morte naturale.
GAR.                     Subito dei morir.

PAN.                                                Subito? oibò.

GAR.                     Colla spada, briccon, ti passerò. (tira fuori la spada)


SCENA DODICESIMA

Giacinta e detti.

PAN.

Aiuto.

GIAC.

In tua difesa (con una spada in mano)

Eccomi nuovamente.

PAN.

Brava! brava! (a Giacinta)

GAR.

Andate via. (a Giacinta)

GIAC.

Signore,

Del suo bestial furore

Si potrebbe saper l'alta cagione?

GAR.

Domandate la causa a quel briccone.

PAN.

Dicono, e non so niente,

Che per opera mia morta è Gianghira.

GIAC.

Si consoli, signor, che ancor respira. (a Garamone)

Per la bella Chinese

Il di lei cor si accese,

E vorrebbe ingannarmi,

E sfogare vorrebbe il suo dispetto

Con quest'uomo da ben, che me l'ha detto.

Gran valor, gran bravura:

Col ferro sfoderato

Contro un uom disarmato!

PAN.

Mi raccomando a voi. (a Giacinta)

GIAC.

Quell'empio cada.

Difendetevi, o caro, ecco la spada. (dà la spada a Panico)

PAN.

A me? che ne ho da far?

GAR.

Vien via, poltrone,

Ch'io ti do il primo colpo nel polmone.

GIAC.

Animo. (a Panico)

PAN.

Io non so fare.

GIAC.

Provati; io sarò teco.

GAR.

Vien pure.

PAN.

Io menerò colpi da cieco.

GAR.

Ah! (tirando colpi)

PAN.

Ah! (tirando colpi, e gli cade la spada)

GAR.

Sei morto.

GIAC.

Vuò di Panico riparare il torto.

Difenditi, se puoi. (contro Garamone)

GAR.

Contro una donna

Fulminare non vuò del ferro il lampo;

Metto l'arma nel fodro, e cedo il campo.

GIAC.

Eh, di' piuttosto che la tua bravura

Di una donna par mia muor di paura.

Se ne trovano tanti e tanti

Di questi uomini, come te;

Che far sogliono gli arroganti,

Che pretendono spaventar.


Ma se a loro si mostra il muso, Delle porcole piglian suso. Chi li sente: cospetto di Bacco! Ma le pive ponendo nel sacco, Zitti, zitti, li vedi scappar. (parte)

PAN.                                Cospetto di Bacco! (partita Giacinta, replica la burla a Garamone)

GAR.                                Cospetto di Bacco!

PAN.                                Zitti, zitti, li vedi scappar.

GAR.                                Zitto, zitto, mi vuò vendicar. (partono)

SCENA TREDICESIMA Roberto e Gianghira, poi Marinella

ROB.

Giusto ciel vi serbi in vita

Per conforto del mio cor.

GIAN.

La pietà mi torna in vita,

Mi consola il vostro amor.

a due

Sia quest'alma in dolce calma,

Non mi affanni il rio timor.

MAR.

Signor, son due Chinesi

Che vorrebbero udienza.

ROB.

Vengan pure.

MAR.

Vedrete due figure

Fatte a caricatura:

Han certi baffi che mi fan paura. (parte)

ROB.

Ritiratevi, o cara,

Fin che costoro io senta.

GIAN.

Ah, che tutto mi affligge e mi spaventa! (parte)

SCENA QUATTORDICESIMA

Roberto, poi Valdimonte e Garamone con finti baffi, vestiti alla chinese.

Vengono a suono di strumenti, facendo i passi e le cerimonie con caricatura, a tempo

di suono. Si pongono tre sedili. Roberto siede, e fa sedere i due suddetti; poi

Marinella

VAL.

} adue

Noi siam venuti qua

GAR.

Da Kamenitzkatà.

VAL.

Per parte di Kakira.

GAR.

Ch'è il padre di Gianghira.

VAL.

La figlia a domandar.

GAR.

Che deve ritornar.

VAL.

} adue

Kakira la vuol là,

GAR.

In Kamenitzkatà.

ROB.

Parlerò con Gianghira,


Innanzi di accordarla:

Se acconsente tornar vuò ricercarla.

So che il suo genitore

Con barbaro furore

L'abbandonò alla sorte

Di trista vita o miserabil morte.

VAL.

Kakira è già pentito.

GAR.

Le troverà il marito.

a due

Lo sposo suo sarà.

Kakiro Karakà.

MAR.

Signor, dai lor paesi

Vengono per parlarvi altri Chinesi.

Delle donne vi son.

ROB.

Siano introdotte.

MAR.

Mi sembra di veder tante marmotte. (parte)

ROB.

(Pria di ceder Gianghira,

Perder la vita io voglio). (da sé)

VAL.

(Amico, che sarà?) (piano a Garamone)

GAR.

(Vi è dell'imbroglio). (piano a Valdimonte)

SCENA QUINDICESIMA

Panico alla chinese con baffi, Carolina e Giacinta alla chinese, e i suddetti.

Vengono a suono di strumenti, con passi e colle cerimonie come gli altri due; poi

siedono.


PAN.

Noi siam venuti qui Da Karamanakì.

CAR.        } atre GIAC.

CAR.                               Per parte di Kakai.

GIAC.                             Signor di Kalankai.

CAR.

GIAC.   } a due   Amante di Gianghira.

PAN.                               E a Karamanakira

L'abbiamo da portar.

a tre                                 Lo sposo la vuol lì.

A Karamanakì.

ROB.                     Questi che qui vedete,

Vennero per il padre A domandar la figlia. Voi Gianghira Per l'amante chiedete. (si alza) Datemi tempo, e la risposta avrete. (parte)


VAL.

GAR. VAL. GAR. PAN. CAR. GIAC.


SCENA SEDICESIMA

Carolina, Giacinta, Valdimonte, Garamone, Panico

Garamon, di costoro

Cosa credete voi? (piano a Garamone)

(Dubito sian Chinesi come noi). (piano a Valdimonte)

(Forti nella finzione).

(Forti fin che si può).

(Che ci conoscan?) (piano a Carolina e Giacinta)

(Non lo credo). (piano a Panico)

(Oibò). (piano a Panico) (Gli stromenti tornano a ripigliare l'aria di prima, e i finti Chinesi fanno fra di loro i soliti passi, colle solite cerimonie)



VAL. GAR.

GIAC.

CAR.

PAN.

CAR. GIAC.

PAN.

VAL. GAR.

CAR.

GIAC.

PAN.

VAL.

GAR.

CAR.

GIAC.

VAL.

GAR.

VAL.

CAR.

GIAC.

PAN.


}

}

} }

}


Karamenitzkatà.

Macaccorebeccà.

Ti menaccà - paraticà, a due

Baracca papagà. (verso degli altri mostrano che queste parole siano

complimenti chinesi) (Sentite!) (a Carolina e Panico)

(Che han detto?) (a Panico) (Chi diavolo il sa?) (piano a Carolina)

Panciri nascattà.

Penaci caraccà. a due

Timpana là, timpanaccà. (corrispondono con simili complimenti)

Scarbocci mascabà. Chichirichi caccaraccà, Quaiotta squaquarà.

(Che han detto capite?)

(Io no, in verità). (Tornano a fare alcune cerimonie, colle quali Carolina si accosta a Valdimonte, e Giacinta a Garamone, e Panico nel mezzo)

Baronacaccà. (a Valdimonte)

Bricconacaccà. (a Garamone) Garamon caccà. Valmonta caccà.

Ah ah, maledetta!

a due

Panicaccaccà.

Ba rone! (a Valdimonte)

Briccone! (a Garamone)

Tacete caccà. a due

Se tutto è scoperto, Di noi che sarà? Nol sappia Roberto, Che sdegno ne avrà.

D'avervi burlato

a due

Bastar mi potrà.

Nol sappia nessuno,



Partiamo di qua.
TUTTI                             Zitti, zitti, andiamo via,

Non lo sappia chi si sia. (piano fra di loro) E Chinesi - agli Olandesi Comparir si studierà. Kara mella karacà Caccomiri napatà. (tutti forte) Gnascatà - papagà Carobella caraccà. (Cantando e facendo le solite cerimonie partono)

BALLO SECONDO

La Scena rappresenta una specie di Arsenale di arti meccaniche necessarie per lo

stabilimento delle abitazioni dell'Isola, con qualche fabbrica nel fondo, principiata dai Muratori con scale ed armature ecc.

Veggonsi i Ballerini vestiti secondo il mestiere a cui sono impiegati, ciascheduno lavorando nell'arte sua. Vengono le Ballerine, le quali portano in alcuni cesti la colazione agli Operatori, ed aspettano l'ora destinata al respiro. Suonata l'ora,

lasciano tutti il lavoro; vanno alla colazione e si divertono colle Donne danzando.

Poi sentendosi l'ora di ritornare al travaglio, va ciascheduno alla sua incombenza.


ATTO TERZO

SCENA PRIMA

Padiglioni con vari sedili.

Roberto, Gianghira, Valdimonte, Garamone, Carolina, Giacinta, Panico, tutti a sedere, ed altre Persone parte sedute e parte in piedi.

CORO

Tutti insieme ragunati, Tutti uniti in società, Del paese impossessati, Diamo il nome alla città.

ROB.

Io di Gianghira in grazia,

Che si è fra noi salvata,

Senza esitanza alcuna

La direi la Città della Fortuna.

GIAN.

Anzi, in riguardo mio,

Nominare potreste la città

Terra di buon amore e di pietà.

VAL.

Se la nostra nazione or vi comanda,

La possiamo chiamar la Nuova Olanda.

GAR.

O per la vicinanza

Del popolo chinese,

Si potrebbe chiamar China Olandese.

PAN.

No, in grazia della China,

A noi poco lontana,

La possiamo chiamar Febbre terzana.

CAR.

Io l'intitolerei Città novella.

GIAC.

Ed io la chiamerei l'Isola bella.

ROB.

Ciascuno, a quel ch'io sento,

A diverso pensier finor si attiene:

Ora il voto comune udir conviene.

CORO

Ciascuno accorda, Ciascuno approva Che sia chiamata L'Isola nuova. E il nome proprio Della città Terra d'amore Si chiamerà.


ROB.

Dunque pensar dobbiamo

Che la città novella,

Terra d'amor chiamata,

Sia d'amor fecondata,

E con gli auspici di pudico amore,

Sia al comun ben sagrificato il cuore.

CORO

Dolce Cupido,

Piacer del mondo,

Sia questo lido

Per te fecondo;

La bella pace,

La fedeltà,

Formin la nostra

Felicità.

ROB.

Adorata Gianghira,

Io vi ho veduta appena,

Che mi accesi di voi. Se dal destino

Foste per opra mia serbata in vita,

Par che il destin meco vi voglia unita.

GIAN.

Ma, signore, i Chinesi

Qui testé arrivati,

In qual guisa da voi fur licenziati?

ROB.

Non parliam di tal gente.

So tutto, e ciò vi basti;

Ma seminar contrasti

Per cagion di me stesso, io non costumo:

Sono i finti Chinesi andati in fumo.

PAN.

Non signor, non è vero;

Voi la diceste grossa:

Eccoci tutti cinque in carne ed ossa.

VAL.

È uno sciocco colui.

GAR.

Stolido affatto.

CAR.

Panico è un mentitor.

GIAC.

Panico è un matto.

PAN.

Grazie dei lor favori,

Contro il merito mio; grazie, signori.

ROB.

Basta, basta; di ciò più non si parli.

Deh, se non sono indegno,

Bella, dell'amor vostro,

Porgetemi la man.

GIAN.

La grazia accetto,

La mia fede vi giuro, e il mio rispetto.

CAR.

(Son contenta).

GIAC.

(Ho piacer).

VAL.

(Speranze, addio).

GAR.

(Se tace ognun, deggio tacere anch'io).

PAN.

Del vostro matrimonio

Sarò io testimonio.

Via, sposatevi pure, eccomi qua.


ROB. GIAN. ROB. GIAN.


Ka Kiri Kara Kella Kakiri Karakà. Ecco la destra, o cara. Ecco la destra e il cuore. Vostro son io.

Vostra mi rese amore.

Non temere, o mio tesoro, Che costante anch'io ti adoro. E se fido a me tu sei, Paventar non puoi di me.

Come il rio va cheto al mare, E confonde tra quell'onde L'acque dolci e l'acque amare, L'alma mia si perde in te.


SCENA SECONDA

Roberto, Valdimonte, Garamone, Panico, Carolina, Giacinta, poi Marinella

VAL.                     (Che dirà Carolina?)

GAR.                     (Cosa dirà Giacinta?)

VAL.                     (Mi proverò di ritornar da lei).

CAR.                     (Restar senza un amante io non vorrei).

MAR.                    Ah signor, tremo tutta. (a Roberto)

ROB.                                                         Cosa è stato?

MAR.                    In mare hanno osservato

Verso il nostro paese

Più di un legno chinese

Venir con gente armata,

Che l'insegna di guerra ha dispiegata.

Al bordo immantinente

Spedì la nostra gente un legno a posta,

E fu questa, signor, la sua risposta:

Di Gianghira vien l'amante La sua bella a ricercar. Delle navi il comandante Vuol quest'isola pigliar, E il cannone ha fatto su. Dal timor non posso più. Presto, presto, voglio andar. (parte)

PAN.                     Oh poveri di noi! cosa sarà?

Quest'è ben altro che Charabacà.
ROB.                     L'ha predetto Gianghira.

Un mio rivale aspira

A rendermi infelice.

Amici, in voi sperar tutto mi lice.

Itene, Valdimonte,

Raccogliete le genti all'armi usate;


L'esercito ordinate,

L'oste chinese ad incontrare andiamo.

La nostra libertà noi difendiamo.

Quel passeggier vedeste Che sprezza le tempeste, E baldanzoso sta?

Qualor poi freme il vento, Ripieno di spavento, Più ardire in sen non ha.

Così il Chinese altero Che è in minacciar severo, Tremar poi si vedrà. (parte)

SCENA TERZA Valdimonte, Garamone, Panico, Carolina e Giacinta

VAL.

Vo a dar gli ordini in fretta

Perché venga difeso il bel soggiorno.

Carolina vezzosa, a voi ritorno. (parte)

CAR.

Vada, e ritorni pur: se ne avvedrà;

Lo vuò far disperare come va. (parte)

GIAC.

Che fate voi, poltroni?

Via, perché non andate

A combatter voi pur? Qui cosa fate?

GAR.

Io son uomo di pace;

Io non comando ai militar signori,

Ma ai fabbri, ai falegnami e ai muratori.

PAN.

Ed io son quell'eroe che il ciel destina

Ai salami, ai prosciutti e alla cucina.

GIAC.

Tutti in tale occasione

Si hanno da far onore. Io, benché donna,

Voglio far come donna il poter mio.

GAR.

Anch'io vuò farlo.

PAN.

E lo vuò fare anch'io.

GIAC.

Vuò prepararmi

Per cimentarmi:

All'armi, all'armi. (parte)

GAR.

Voglio provarmi

Coraggio farmi:

All'armi, all'armi. (parte)

PAN.

Voglio scaldarmi,

Satanassarmi :

All'armi, all'armi. (parte)

GIAC.

Con questa lancia, (esce con una lancia)

Se alcun si accosta,

La sua risposta

Dar gli saprò.


GAR.

Con questa sega, (con una sega)

Se alla bottega

Viene un nemico,

Lo segherò.

PAN.

Con questo spiedo, (con uno spiedo)

Se venir vedo

Kakakomiri,

L'infilzerò.

GIAC.

Voglio provarmi

Con Garamone.

GAR.

Voglio segare

Quel bernardone.

PAN.

Non mi toccare,

T'infilzerò.

a tre

All'armi, all'armi.

Voglio provarmi.

All'armi, all'armi.

Timor non ho. (partono)

SCENA QUARTA

Valdimonte, poi Carolina

VAL.

Tutto è già preparato.

Anch'io, di ferro armato,

Voglio andare cogli altri a far il bravo.

E se vado a morir? Valmonte, schiavo.

Almen pria di morire...

Eccola qui davvero. (vedendo venir Carolina)

Stava appunto con essa il mio pensiero.

CAR.

(L'amo ancora il briccone,

Ma non lo voglio dir). (da sé)

VAL.

Già si avvicina,

Vezzosa Carolina, il morir mio;

Vengo a prender da voi l'ultimo addio.

CAR.

Itene, non ho cuore

Di darvi un tale addio doglioso e mesto.

Vi potranno ammazzar senza di questo.

VAL.

Povero Valdimonte!

Lo trattate così?

CAR.

Quanto mi spiace,

Che ora andiate a morir!

VAL.

Chi sa? può darsi

Che dalla morte il mio valor mi esima.

CAR.

Ah, foste morto almen tre giorni prima!

VAL.

Vi domando perdon, ragazza mia,

Se a voi di gelosia dato ho il disgusto.

CAR.

Io gelosa non son di quel bel fusto.

VAL.

Se morissi però...

CAR.

Non piangerei.

VAL.

Vado dunque a morir!


CAR.

Buon viaggio a lei.

VAL.

Pazienza!

CAR.

(Traditore!)

VAL.

Non ci vedrem mai più.

CAR.

(Mi trema il core).

VAL.

Già vi lascio e vi abbandono,

E mai più non vi vedrò.

Ma fedele ancor vi sono,

Ma costante io morirò.

CAR.

Non vi credo, non vi ascolto:

M'ingannate, anch'io lo so.

Non risponde il cuore al volto,

E pietà per voi non ho.

VAL.

Son pentito.

CAR.

Non lo credo.

VAL.

Parla il cuore.

CAR.

Il cor non vedo.

a due

Sei pur crudo, amor tiranno,

Tant'affanno - è un'empietà.

VAL.

Barbara, perfida,

Vado a morir.

CAR.

Fermati, sentimi,

T'hai da pentir.

VAL.

Eccomi qua. (s'inginocchia)

Bella, pietà,

Per carità.

CAR.

Più non ti vuò.

Tutto già so.

Perfido, no.

VAL.

Quand'è così... (vuole alzarsi)

CAR.

Fermati lì.

VAL.

Eccomi qui.

CAR.

Sei mentitore.

VAL.

Son tutto fé.

CAR.

Di chi è quel core?

VAL.

Tutto è per te. (vuole alzarsi)

CAR.

Fermati lì.

VAL.

Eccomi qui.

CAR.

Sarai costante,

Fedele amante?

VAL.

Ve lo prometto,

Non farò più.

CAR.

Sì, mio diletto,

Fermati lì.

Sì, mio diletto...

Levati su.

a due

Non v'è nel mondo

Piacer giocondo

Più dell'amor.

Grata mercede

Di bella fede

Consola il cor. (partono)


SCENA ULTIMA

Campo di battaglia con padiglioni e macchine militari, e veduta di mare in prospetto

con navi Olandesi e Chinesi.

Segue combattimento fra le truppe Chinesi, col quale s'intreccia il Ballo, ed ottenutasi la

vittoria degli Olandesi, escono i Personaggi tutti dell'Opera e cantano il seguente Coro

festivo, intrecciato dalla contradanza de' Ballerini che festeggiano la vittoria ottenuta e le

nozze di Roberto e Gianghira.

CORO

Viva la pace Nel nostro core. Viva la face Del dio d'Amore. Viva il bel genio Di libertà.

PARTE DEL CORO

Lieti godete, Sposi felici; Più non avrete Fieri nemici Che vi contrastino Felicità.

ALTRA PARTE DEL CORO

L'Isola nuova, Da noi trovata, Più non si trova Disabitata; Terra d'amore Si chiamerà.

CORO PIENO

Viva la pace Nel nostro core. Viva la face Del dio d'Amore. Viva il bel genio Di libertà.

Fine del Dramma Giocoso.