L’isola meravigliosa

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COMCEDIA

L’isola meravigliosa

Dramma-balletto in tre atti di Ugo Betti

PERSONAGGI

IL RE NADIR

MAIDUNE

SPARAMOSCA

ANFIS medico del Re

BIMA cugino del Re

LO SCHIFOSO UFA’

Inoltre al primo atto:

IL PODESTA’

UN CITTADINO

UNA FANCIULLA

UN’ALTRA FANCIULLA

ALCUNI CURIOSI

Al secondo atto

IL PATRIARCA

PRIMO MINISTRO

SECONDO MINISTRO

TERZO MINISTRO

QUARTO MINISTRO

QUINTO MINISTRO

UNA SERVETTA

Al terzo atto:

UN GOBBO

ALTRI MENDICANTI

IL GUARDIANO

UNA FANCIULLA

UN’ALTRA FANCIULLA

(Inoltre: Funzionari, soldati, servi, popolo, ecc.)

In Oriente

ATTO I

Luogo ameno sul mare con boschetti e ruderi.

SCENA PRIMA

(La folla a crocchi, accenna verso il largo, donde giungono squilli).

UNA VOCE                  - (dal mare) Allegri! Allegri! Passa sul mare il Re Nadir che va verso terre felici.

UN CITTADINO          - (al pubblico) Arriva il Re, le sue sontuose navi stanno per approdare. Da esse vengono queste grida e questi squilli, che hanno messo in tumulto la nostra pacifica isola. Benchè nessuno l’abbia mai visto ogni donnicciola lo descrive, dico il Re, con tale furore che per poco non si accapiglia con la vicina. Pare che egli sia davvero bisbetico, troppo amante dei viaggi e poco del suo regno vestito di panni delicati, e soprattutto assai noncurante della sua sturica corona forse un po’ greve pel suo gracile collo. E in verità troppo egli corre, dimenticando che corre la felicità più d’ognuno. Alcuni giurano ch’egli è decrepito, bruttissimo, il naso adunco, il labbro pendulo, l’occhio grifano; le fanciulle, invece che è bello e fa rubare le donne. Ma tutti essendo concordi nel ritenerlo demente, anzi maniaco, cioè svanito e qualcuno propone d’accoglierlo con un ostile silenzio, l’altro tutto infiammato propone fischi, ingiurie e ogni sorta d’offese. Ragion per cui, appena lo vedranno, metteranno il ginocchio a terra e grideranno evviva. (indicando) Che vi dicevo?

VOCI                             - Pazzo, vi dico; arcipazzo.

Facciamogli un’urlata

Hanno da essere fischi!

Fischi? Sassi!

Pietrate!

(s’ode uno squillo vicinissimo)

UNO                              - Eccolo.

(tutti si sono prosternati)

SCENA SECONDA

(portato da quattro servi sopra un tronetto, entra il Re Nadir, assai giovane, seguito dalla sua corte. Mentre i servi depongono il tronetto sopra un apposito tappeto, la folla prorompe in grida d’omaggio)

VOCI ESTASIATE      - O fiore di Jatte!

                                       - Splendore dei nostri occhi!

(le voci si interrompono. Un uomo sottile è scivolato fuori dal corteggio, s’è accostato al sovrano).

DOTTOR ANFIS          - Da settemila anni e forse più, signore, quivi gettano l’ancora i navigli dei re, che da ogni porto veleggiano verso quest’isola, gemma dei vostri domini e cuna delle razze, dove un’aria amorosa e una terra infuocata, concimata di morti, partoriscono mostri, magherie, foglie strambe, tentacoli ed incanti, protetti tutt’intorno dall’oceano come da un drago azzurro. Udite le fontane? In ognuna, nel fondo, brilla la chiave d’oro che ognuno va cercando; qui le chimere sempre fuggenti, dai piccoli seni, si fermeranno, signore, e dolcemente vi daranno da mordere la bocca calda.

(approfittando della pausa, un signore voluminoso, in cilindro, s’avanza, tossisce, comincia a leggere un discorso).

SIGN.IN CILINDRO   - Vero, Sacra Maestà, quasi direi verissimo. “da un lato le statistiche dimostrano, mentre le storie, dall’altro lato, confermano….”-

ANFIS                           - Chi è quest’uomo brutto?

IL SIGNORE                - Sarei il podestà…..

ANDIS                          - (pacato, a un cenno del Re) Gli si tagli un orecchio.

(un moro colossale afferra il podestà pel collo)

IL PODESTA’               - (strappandosi i capelli) Commendatore di primo grado! Una vita illibata! Sei figli! Perlomeno le offerte, perlomeno! Non precipitiamo! Si guardino le offerte!

BIMA                            - (avanzandosi, tronfio) Offerte? Quali offerte? Io sono Bima, il cugino del Re!

IL PODESTA’               - Poderoso Bima, eccole, sono qua: rarità preziosissime…. Forse il Re troverebbe qui quel che cerca….

BIMA                            - (ad un cenno del Re) Vediamole.

(il moro lascia la presa. S’avanzano sette servi portando ognuno un dono)

IL PODESTA’               - Maestà, nelle viscere del globo dormono sette forze come sette serpenti ciechi, che a popo a poco si snodano, sbucano su, germogliano. Nel giardino proibito dei piaceri stavano sette rose: noi per te, le rubammo.

(un servo porge uno scettro, un altro apre un forziere).

IL PODESTA’               - (solenne) Questo scettro scolpito, per comandare a quello che tu hai…. (ammiccando) questo forziere obeso, per comandare a quello che non hai!

BIMA                            - Buon uomo, non v’è cosa che già non sia nostra ed a nostro comando.

IL RE                             - (butta lo scettro nel cofano che si chiude con fragore)

BIMA                            - Un momento. (riapre rempiendosi le tasche di gemme)

IL PODE                       - (mentre un altro servo già s’avanza con un libro) E allora, la sapienza per conoscere….

ANFIS                           - …..tutti i mali, e così patirli tutti!

IL RE                             - (respinge il libro)

IL PODE                       - (mentre un altro servo porge un vasetto) E per guarirli, ordunque, ecco l’unguento di Pitecolepélico!

BIMA                            - Pi… pi?

IL PODE                       - …..tecolepélico, detto anche panacca che tutti quanti li espelle, i mali.

ANFIS                           - Tranne uno.

IL PODE                       - E sarebbe, se posso?

ANFIS                           - La vecchiaia, buon vecchio.

IL RE                             - (scosta da sé il vasetto).

IL PODE                       - (mentre un altro servo porge un grande fiore) E per consolarsene, allora la bellezza: giovane fiore che sboccia ogni novecent’anni….

ANFIS                           - …. E che dura un mattino.

IL RE                             - (butta via anche il fiore)

IL PODE                       - (mentre un altro servo conduce avanti una bellissima fanciulla) E in questo caso per cambiar pensiero… ecco qua: un panierino di delizie e primizie maturate a puntino….

ANFIS                           - Che ordigno è mai questo?

IL PODE                       - (offeso) E’ una donna!

ANFIS                           - Una donna? Ne trabocchiamo!

IL RE                             - (respinge la donna).

LA DONNA                  - (scoppiando in lacrime). Non mi vuole….

BIMA                            - (autorevole) Ti prendo io, sciocchina. Io sono Bima.

ANFIS                           - (al podestà, indicandogli il moro). Quasi direi che possa ricominciare!

IL PODE                       - (atterrito, prendendo una fiala rossa dalle mani dell’ultimo servo) Questo! Avevo questo ancora! Rinchiuso in questo vetro vi è un liquore: chi ne beve una goggia prima dorme, poi sogna: e lo storto si sogna d’esser dritto, la zitella sposa, il garzone padrone, e il pitocco? Banchiere!

ANFIS                           - (con uno scoppio di risa) Codesta banca, purtroppo, fallisce ogni spuntar di sole. Questo è il punto!

BIMA                            - Ma chi beve due gocce?

IL PODE                       - Due? Non si sveglia più. Finisce…tutto…..

BIMA                            - (scostandosi in fretta). Tu…tutto? Oilà!

IL RE                             - (guarda con paura la fiala, che brilla sopra il mucchio dei doni; la prende, la depone; breve silenzio)

ANFIS                           - (riprendendo, col dito teso). Questo è il punto, buon vecchio. Altra cosa il Re brama: quel che è, quel che dura, que che è vero. Non questo falso miele: cose che all’uomo vengono da fuori e restano di fuori, occasione e non cause di letizia. La quale o è dentro noi o in nessun luogo, poiché nessuna musica potrà rallegrare il sordo! Siamo venuti a cercare altra cosa, altra cosa….

IL RE                             - (lo interrompe con cenno di tacere)

(nel silenzio, mentre le teste s’alzano in ascolto, scende dal verde un canto, come d’usignolo)

IL RE                             - Quanta gioia! Che dolce oblio!

UNA VOCE CHIARA - Siamo di primavera. È l’ibis bianca.

IL RE                             - Pigliatela.

ANFIS                           - Maestà…..

IL RE                             - Voglio così.

(il canto, a queste parole s’interrompe)

IL RE                             - Perché non canta più?

ANFIS                           - Per pigliarla han dovuto certamente colpirla….

IL RE                             - E’ così?

VOCE INFANTILE     - E’ morta! È morta!

ANFIS                           - (con esagerato sbigottimento) Chi parlò? (silenzio) Chi nominò la morte davanti a noi? (silenzio) Chi si fa burla delle nostre leggi?

IL RE                             - (livido) Tutti siano scacciati!

(la scorta già s’è buttata sul popolo, che dilegua esterrefatto, in silenzio; resta soltanto il re fra Bima e il Dottor Anfis)

SCENA TERZA

IL RE                             - (levandosi) Ripartiremo. Quest’isola….. non è come avevo pensato.

ANFIS                           - (da un lato) Ma il clima….

BIMA                            - (dall’altro) I luoghi ameni…..

IL RE                             - Voglio così!

ANFIS                           - (con un inchino) Sarà fatto. Ma il vento……

BIMA                            - Sicuro, il vento!

ANFIS                           - S’alza solo al tramonto.

BIMA                            - Solo al tramonto!

IL RE                             - E che faremo, fino al tramonto? Il tempo non passa mai….

ANFIS                           - Passa, passa….

BIMA                            - (accennando a rintocchi lontanissimi) Sentite le campane?

ANFIS                           - (abbassando la voce) D’altronde non è bene desiderare che il tempo s’affretti….

BIMA                            - Né d’altra parte è salubre arrischiarsi così sull’erba umida…..

IL RE                             - (tornando subito al tappeto) Ma allora che facciamo?

ANFIS                           - Comandate, Signore. Voi potete ordinare…. Ad esempio una guerra, per distrarvi, o un supplizio….

BIMA                            - Potremmo anche mangiare un boccone. L’essenziale è nutrirsi.

ANFIS                           - Potreste similmente…. Rasciar via monti, traslocare mari….

IL RE                             - (d’un tratto lo colpisce con uno schiaffo)

ANFIS                           - (continuando impassibile) …. Ingiungere che donne e lupi si congiungano generando razze bizzarre…. Capovolgere….

IL RE                             - (lo colpisce ancora).

ANFIS                           - (impassibile) ….. mescolare, mutar faccia alla terra come Dio.

IL RE                             - Vattene.

ANFIS                           - (con un inchino) Vado.

IL RE                             - No…. Rimani.

ANFIS                           - (con un inchino) Resto. (insinuante, accennando anche a Bima) Noi siamo come due spicchi di voi. (con esagerata preoccupazione) Però considerate che la stizza potrebbe raggrumarvi gli umori…..

BIMA                            - Offuscarvi i colori.

IL RE                             - (sgomento) Lo specchio, Anfis, lo specchio…..

ANFIS                           - (che ha già cavato uno specchio) Ecco lo specchio.

IL RE                             - (angosciato, specchiandosi) Quella ruga di ieri…. Ancora……. Guarda…….

ANFIS                           - (che ha già cavato un vasetto, unge con un tocco la ruga) Questa è la crema apposita.

IL RE                             - Ho l’aria stanca?

BIMA                            - Un fiore!

IL RE                             - (con angoscia) Voglio…. Voglio….. Non so.

ANFIS                           - Riposate, Signore! Già il mare si colora di viola….

IL RE                             - (accennando ai rintocchi, che ritornano) Ed è passato un altro giorno!

ANFIS                           - Eche fa? Partiremo.

IL RE                             - (coricandosi) Ma poi?

BIMA                            - Arriveremo……

IL RE                             - E poi?

ANFIS                           - Ripartiremo. (un silenzio)

IL RE                             - (si addormenta)

ANFIS                           - (curvo sul re) Dorme. È il momento!

BIMA                            - Dottore mio, non mi pare d’esser tranquillo.

ANFIS                           - Ottimo Bima! L’occhio del padrone si chiude: e in quel punto s’accende l’occhio del suo servo. Olà! Olà! Tocca a noi.

BIMA                            - Sarebbe il mio parere.

ANFIS                           - Quando il regnante è infermo, spesso il regno è malfermo…: e gli stipendi ancora più malfermi. È dover nostro dargli il suo trastullo e guarirlo. Dormi dormi bel re: ti fabbrichiamo un sogno.

BIMA                            - Sono o non sono cugino?

ANFIS                           - E’ destino dei grandi restar creduli e diventar bislacchi e mai toccar la terra; imperocchè la potenza, come una gonfia nube li solleva; ed il capriccio, come un vento, li porta, di fiaba in fiaba.

BIMA                            - Lo ammetto.

ANFIS                           - Olà! Olà! Noi vedremo su queste delicate fibre operarsi un giuoco assai rischioso….

BIMA                            - Ma non troppo.

ANFIS                           - Vedremo un Re palpitare, mutarsi, trascolorare come fa la bandiera sopra la torre, presa da venti troppo alti per noi. RILKE siete là, Sparamosca?

BIMA                            - Per carità. Che persona è costui?

ANFIS                           - Mago da baraccone e venditore di specifici, facinoroso per eccesso di sangue, ciurmatore per eccesso d’immaginazione, sciocco abbastanza da credere alle sue stesse bugie…. Ma abbastanza filosofo per comprendere che un sacchetto di moneta è un sacchetto di moneta. Sparamosca, siete là?

SPARAMOSCA           - (saltando fuori dal bosco) Con tutto l’occorrente.

ANFIS                           - (indicandogli il Re) Buona fortuna. (esce con Bima)

SCENA QUARTA

(Sparamosca fa uscire dal bosco una graziosa fanciulla, la nasconde fra i ruderi; considera il Re Nadir, i doni, la fiala rossa; poi, nascondendosi a sua volta con un flauto in mano, ne trae tre note allegre)

IL RE                             - (svegliandosi) Anfis!

(risponde il flauto)

IL RE                             - Bima!

(risponde il flauto, più vicino).

IL RE                             - (si volta e sussulta)

SPARAMOSCA           - (gli sta davanti e ride)

IL RE                             - Chi sei?

SPARAMOSCA           - (con arroganza) E tu chi sei?

IL RE                             - Sono Nadir, il Re.

SPARAMOSCA           - (fingendosi stupito e prendendo in mano lo scettro di tra i doni) Musica! Tu lavori con questo arnese? Ma io, che sono Corus (chiamato Sparamosca) posso fare doni anche al Re.

IL RE                             - Chi sei, dunque?

SPARAMOSCA           - Il musicante, il pittore, l’architetto, che fanno? Con sette note, sette colori e marmo, combinano ciascuno un piccolo giuoco, che piace. Ma io, con arte ben più strana, acciuffo qua e là mille tinte, mille suoni e sapori ed aromi e ingredienti svariati, ragnatele, rugiada, braci, midolle, argenti (e sale da cucina) mescolo, impasto, lievito col fiato, finchè il grosso gnocco che fa? Si gonfia, palpita….. ed è quello che voglio: frasca verde o creatura; ma non finte: vive!

IL RE                             - (giungendo le mani) Sei forse un mago?

SPARAMOSCA           - (prendendo una manciata di terra) Qui c’è tutto. Coricato nel mezzo della terra, un colle per guanciale e il sangue come un fiome, rido, e dal pioppo trilla ca capinera; respiro, e il fiato mio, calmo vento, porta le floride nuvole. Mi vien su dalla terra, come dentro un arboscello, una linfa (diciamo pure un gas) che mi fa prudere le dita come boccioli appunto di marzo, e ne fa sbocciar fuori…. Quel che mi frulla! (fa una risata e spezza tra le dita lo scettro del Re, come un giocattolo)

IL RE                             - (con ammirazione) Sei forte! È come fai, ad essere così allegro?

SPARAMOSCA           - (cavando fuori un pezzo di pane, e dandovi un morso) O povero Re senza corona! Tu sei pallido, invece.

IL RE                             - (indicando il pane) E’ buono?

SPARAMOSCA           - Per chi ha fame. Ne vuoi? Mi sento quasi di volerti bene!

IL RE                             - (come un bambino) Voglio dirti un segreto: m’annoio tanto!

SPARAMOSCA           - Musica! E che ti manca?

IL RE                             - Vorrei…. Essere felice.

SPARAMOSCA           - Felice. Lungo la strada ho visto un accattone, che non aveva nulla (tranne sette dozzine di pidocchi): Stava sdraiato in un prato d’erba nuova, cantava.

IL RE                             - Ma il Re, con tanta roba, quasi quasi ha voglia di piangere! Io non sono contento, ecco.

SPARAMOSCA           - (autorevole) Tutte le cose, Maestà, sono scontente, dapprima. Perché sono imperfette e vogliono acquistare perfezione. La sorgente desidera la foce; ed il silenzio il suono, per diventare pausa e parola; ed il buoio la luce, ma perché? Per diventare il giorno che sempre rinasce; e questa legge, che si chiama amore, conduce gli astri, la formica, il signor ricevitore delle ipoteche, ogni cosa, e succede così che la vita viaggia, chi sa per dove, simile a una ruota metà nell’ombra, metà nel chiaro; ed avviene che l’uomo e la donna s’abbracciano, e così… come ti devo dire? Si perfezionano. (ammiccando) Per saziare ogni sete fu data all’uomo una fontana……. Tutto il brusio dei giorni che diventa? Una voce; tutte le selve una capigliatura, e le ricche voragini del mare una pupilla, e l’ardore del creato una cosa nascosta non più grande di un fiore.

IL RE                             - Donne bellissime furono tra le mie braccia, erano come grappoli, ma bevvi un vino amaro, erano come arpe, ma udivo una musica tetra; e quando l’alba entrava, ci guardavamo quasi con rancore; ed ognuno era solo, un po’ più vecchio.

SPARAMOSCA           - Una donna, si sa, non è che una donna. Però…. Scommetti che indovino quello che vai cercando?

IL RE                             - Vorrei, ecco, una sera… incontrare una… ma una…. Non come le altre!

SPARAMOSCA           - O bel Re, lo sapevo! Sotto tutti i berretti e tutte le corone di questo mondo è nascosto un pensiero come il tuo!

IL RE                             - Una non come le altre… ma che subito, nel prenderla per mano, mi sentissi…. Non so… come uno che è arrivato, dopo tanto viaggiare!

SPARAMOSCA           - Ti occorre bella?

IL RE                             - Certo!

SPARAMOSCA           - (suggerendo) Ma anche un poco timida, ritrosa…..

IL RE                             - Sicuro! Un poco timida.

SPARAMOSCA           - (rimboccandosi le maniche) Bella bocca, larghetta… E gli occhi? Proporrei turchini.

IL RE                             - Appunto! Che a guardarli si senta… come un fresco… (quasi svegliandosi) Ecco, quello che cerco: un sogno che non c’è.

SPARAMOSCA           - E se Mastro Corus (chiamato Sparamosca) sapesse fabbricarti quel che non c’è?

IL RE                             - Fabbricarmi?

SPARAMOSCA           - (guardandosi le mani) Che n’è uscito finora? Qualche bestiola facile e qualche vegetale senza importanza: sciocchezze. E invece oggi t’impasterò una creatura…. Che in sette palmi di roba sia tutto quello che c’è e quello che non c’è! Sì, voglio spalancarti anche l’ultima porta, quella che fu sempre chiusa, anche ai Re!

IL RE                             - (subito, come un ragazzo) Ma che mi voglia tanto bene, Corus!

SPARAMOSCA           - (come un chef) Capelli color sole?

IL RE                             - Sì, benissimo!

SPARAMOSCA           - Ogni treccia un bel raggio, reciso con le forbici, annodato. E le sue ciglia?

IL RE                             - Sottili…. Sai….

SPARAMOSCA           - ….come ali d’allodola in un cielo fresco. (avviandosi) Ho capito.

IL RE                             - (seguendolo) Le sue manucce, che siano…. Come bestiole tenere…. Piccole…. Che mi facciano ridere…..

SPARAMOSCA           - (è entrato sotto un arco chiuso da una cortina di verdura; quivi nasce un chiarore di fucina e uno squillare di leggeri martelli).

IL RE                             - (da fuori) Corus, non mi burlare…. Ti farò duca! Ministro! (già nell’antro, al chiarore sempre più vivo, s’intravedono bizzarri gesti del mago).

IL RE                             - Fa che si svegli nuova…. Senza sapere nulla. Non troppo allegra, però. Anzi con gli occhi…..

SPARAMOSCA           - …..pensierosi, va bene. (quasi cantando) Come d’un prigioniero verso la prima stella.

IL RE                             - Però mettici un po’ d’aspretto, un sapore… come di menta selvatica, qualche bugia, che subito ne rida…. (interrompendosi) Corus, è nuda?

SPARAMOSCA           - (mentre già s’intravvede una forma giacente). Nuda, umida, fresca, come quando si spoglia una vetta di giunco….

IL RE                             - (tentando di figurarselo) Il suo piccolo seno….

SPARAMOSCA           - Eccolo! Già si gonfia, s’illumina….

IL RE                             - Com’è?

SPARAMOSCA           - Che ti posso dire? Due tortore. Vien voglia di chiamarle ognuna con un nome.

IL RE                             - I suoi dolci capezzoli, non ti scordare…….

SPARAMOSCA           - Mi spuntano ora fra le dita…. Ah! Vorrei mettermi a cantare! Davvero non sapevo che fosse così bella!

IL RE                             - Dimmi….

SPARAMOSCA           - Eccola, si fa proprio di luce, tutta rosea! Il suo cuore… si vede…. I polpastrelli battono…. Odora… sa di sole, di creatura… respira…respira!

(la sua voce s’interrompe, s’interrompe il suono dei martelli; il chiarore, nell’antro, s’abbassa)

IL RE                             - (con angoscia) Il mio nome, ricordati! Dille il mio nome all’orecchio! Fammi essere felice! (silenzio) Corus! Sparamosca! Rispondimi!

SPARAMOSCA           - (esce fuori tenendo una lampada accesa, guarda in silenzio il Re).

IL RE                             - (trepidante) Dimmi…. Presto…. Che fa?

SPARAMOSCA           - (pensieroso) Dorme.

IL RE                             - Come si chiama?

SPARAMOSCA           - La chiamerai Maidune.

IL RE                             - E che vuol dire?

SPARAMOSCA           - E’ chiaro. Quella che ognuno vuole e che nessuno trova.

IL RE                             - (avviandosi) Ora debbo svegliarla? Mi batte il cuore.

SPARAMOSCA           - (fermandolo) E’ nuda! L’ho coperta col mio mantello. Ma guarda un po’? non credevo. Mi fa un po’ dispiacere, a lasciartela. (lascia cadere a terra la lampada, che si spezza). E’ questo: che ora, ripigliare la strada da solo, con la sera, mi dà cattivo umore.

IL RE                             - Sei pentito?

SPARAMOSCA           - No, stanco.

IL RE                             - (già un po’ nemico, accennando ai doni) Sarai pagato: prendi quel che vuoi.

SPARAMOSCA           - No, Nadir, non svegliarla! Vediamo un po’…

IL RE                             - La vorresti per te?

SPARAMOSCA           - (si ferma, pensa, poi ride) Che, Sparamosca innamorato? Musica! Questa forza, appetito, ed allegria, solo un ladro, l’amore, me la può portar via! Il giorno che provassi amore come un uomo, non sarei più che un uomo. (leva di tasca il flauto, ne trae tre note allegre) Addio, bel RE.

IL RE                             - Addio, Mastro Corus. (s’accosta all’antro, vi entra).

SPARAMOSCA           - (alza le spalle, scompare; poco dopo si risente il suo flauto, ma triste).

SCENA QUINTA

(il Re riappare, scosta la verzura. Ed ecco esce dall’antro una ragazza bellissima, che spande luce intorno)

IL RE                             - O creatura, svegliati. (timorosamente) Non andar via, non fuggire…. Tu sei venuta fuori da un grande buio, per me! Ora batti le ciglia…. Vedi quanto splendore, quanto turchino? Che vedi?

MAIDUNE                    - (imbarazzata) Vedo voi, Re Nadir.

IL RE                             - Dunque mi riconosci?

MAIDUNE                    - Sì, Re Nadir.

IL RE                             - E perché mi vuoi bene?

MAIDUNE                    - (mortificata) Non lo so. Non so nulla.

IL RE                             - Ma com’è questo bene?

MAIDUNE                    - Che voi potete farmi pinagere, ridere, anche morire…. Ma non fatemi del male!

IL RE                             - (prorompendo) E’ vero, è vero, Maidune! Ecco, tu guardi intorno, e ogni cosa diventa…. Viva, viva! Sei tu, sei tu! Tutto è cambiato, tutto brilla: sei tu.

MAIDUNE                    - Sì, Re Nadir.

IL RE                             - (come un ragazzo) Ci fermeremo qui, fabbricheremo città, palazzi… gli anni, davanti a noi, saranno….come una strada, tutta di bei fiori, ma chiusi, che s’apriranno ad uno ad uno… voglio dirti ogni cosa, confessarti ogni male, come un bambino!

MAIDUNE                    - Non mi manderai via? Sono tanto ignorante!

IL RE                             - E allora tu mi chiederai tutto, tutto!

MAIDUNE                    - Ma questo durerà molto?

IL RE                             - (ridendo) Per mille e mille giorni! Lo sai che cos’è un giorno? Tu figurati… un acino d’un grappoli di luce, che non finisce mai! Ti porterò per mano, t’insegnerò tutto il mondo… sai cos’è questo? È il vento. Lo senti, come fa? Lui apre, chiude certe porte fatate… e poi, questi, sono i profumi, che arrivano per te… come Re Magi, ognuno coi suoi doni….

MAIDUNE                    - (incantata e divertita) E poi tutto questo?

IL RE                             - E’ la terra: un umido tappeto di reami e di prati dove noi cammineremo.

(nel tramonto già brilla qualche stella)

MAIDUNE                    - (appoggiandosi al petto del Re) E’ molto bello ascoltarti… sentire il tuo respiro…. Stare così. Quasi non pare vero! (con altra voce) come batte, qui dentro! (con sorpresa) Tremi?

IL RE                             - (ansando) Tu sei vera, sei viva….. Ah, mi viene da piangere.

MAIDUNE                    - (stupita) Per me?, tremi?

IL RE                             - (schiudendole il mantello) Le tue manine, le tue braccia…. Così tenera, tepida… sei mia….

MAIDUNE                    - Per me, tremi? Ma dunque io sono tanto preziosa? Anche gli occhi ti piacciono? Anche i capelli? E questa mano? Ti piaccio tanto davvero? (si tocca pensierosa il volto, il seno; poi con un leggero riso) Vorrei guardarmi in uno specchio.

IL RE                             - (felice) Ah, già ridi!

MAIDUNE                    - (con dolce gravità) Allora anche io voglio bene a tutto questo, che ti fa battere il cuore…. (chiudendo gli occhi) che è tuo.

IL RE                             - (sfiorandola con un bacio) Piccola sposa…..

(il suono lontano del flauto s’interrompe)

MAIDUNE                    - (un po’ sgomenta) Che sciocca! Ho un po’ paura….

IL RE                             - (la bacia ancora, la stringe) Piccola sposa….

(ed ecco Sparamosca uscito dalla boscaglia, mette una mano sulla spalla del Re).

SCENA SESTA

IL RE                             - Che vuoi?

SPARAMOSCA           - Lasciala.

IL RE                             - (svincolandosi da lui) E chi sei tu, che dai ordini al Re?

SPARAMOSCA           - Un uomo, certo. Nient’altro che un uomo.

IL RE                             - E perché vuoi ritogliermi quel che mi hai dato?

SPARAMOSCA           - O Nadir! Tu figurati che questa qua, per esempio, sia venuta con me; per tanto tempo, per tanta strada, quasi fin da bambina…. Figurati che il povero Sparamosca si sia affezionato….

MAIDUNE                    - Non è vero, non credergli!

SPARAMOSCA           - Non è vero, si sa. Ma io voglio dire con questo…. Ch’ella è cresciuta in me, l’ho portata qui dentro come si portano le gocce del sangue. Solo oggi la vedo: mi sono accorto che m’è più cara del sangue. Ridammela.

MAIDUNE                    - (aggrappandosi al Re) Ma io non ti conosco!

SPARAMOSCA           - Già mi rinneghi?

MAIDUNE                    - Vai via!

SPARAMOSCA           - Ma non sapete che molto dolore, molto dolore verrà…. (d’un tratto s’odono squilli e voci).

VOCI                             - (che s’avvicinano) Re Nadir, s’è levato il vento!

-Re Nadir, è tempo di partire!

SPARAMOSCA           - (a Maidune, fuggendo) E così t’ho perduta.

IL RE                             - (senza lasciare Maidune la nasconde tutta dentro il mantello, e si volta: Anfis è apparso).

SCENA SETTIMA

ANFIS                           - (seguito da Bima, si profila sul cielo) Splendente Signore, un vento assai favorevole fischia tra le sartie, i canuti nostromi hanno acceso i fanali. Verso quale stella dovrà salpare la flotta sull’infito mare?

IL RE                             - I fanali si spengano, e i nostromi si scordino dell’infinito mare! Non partiremo più, mai più. Mi fermo. Voglio così. (ricominciano le voci, appaiono lanterne).

VOCI LONTANE         - Re Nadir! Re Nadir!

IL RE                             - (scostando un poco il manto, fa vedere un piedino, una manina, poi ride) Il Re Nadir, dopo tanto cammino, è arrivato. (solleva la fanciulla così avvilupata, dispare)

(nel medesimo istante irrompono valletti e cortigiani, chi di qua, chi di là, senza avvedersi d’Anfis, che è rimasto pensoso, né di Bima. Le lanterne s’intrecciano come un ballo di lucciole).

VOCI                             - Re Nadir!

                                       - Dove siete?

                                       - Ci udite?

                                       - Rispondete!

                                       - Ma che fa?

                                       - Non si sa.

                                       - Ohimè!

                                       - S’è perso il re.

ALTRE VOCI               - (con mistero, mentre le lanterne formano crocchio).

                                       - Fu visto per di qua…

                                       - Non solo

                                       - Allora in due!

                                       - La solita gonnella…

                                       - Villanella?

                                       - Pastorella?

                                       - Macchè: una venditrice di frittelle.

                                       - Se ne vedono di belle!

BIMA                            - (mentre per un istante le voci tacciono)

                                       - No, non sono tranquillo!

ANFIS                           - (dà in una risata, poi esce, seguito da Bima)

VOCI CONFUSE         - (mentre tutti s’allontanano)

                                       - Re Nadir….

                                       - Dove siete?

                                       - Perché non rispondete?

                                       - Ohimè!

                                       - S’è perso il Re!

                                       - Ma che fa?

                                       - Non si sa.

                                       - Fu visto per di qua…

(mentre le lanterne, con vivace saltellare, dileguano, già due fanciulle sono uscite furtive dal fogliame).

SCENA OTTAVA

UNA FANCIULLA      - (sale sopra un rudero, spia tra le foglie, mentre il vocio s’affievolisce e ricominica, lontanissimo, il flauto)

L’ALTRA                      - Si vedono?

L’UNA                          - La luna li rischiara.

L’ALTRA                      - Che fanno?

L’UNA                          - Il Re la bacia.

L’ALTRA                      - (giungendo le mani) Mamma mia! Il Re! Sulla bocca?

L’UNA                          - Le toglie il manto…. (scendendo, quasi sgomenta, e bisbigliando) Resta nuda!

L’ALTRA                      - Ed ora?

L’UNA                          - Ah! (si ferma)

(il suono del flauto s’è interrotto)

L’ALTRA                      - Che è stato?

LA PRIMA                    - (trasognata) La luna. È tramontata.

FINE

ATTO SECONDO

Spalto elevato, fra torri, muri ed una grande porta. Nel mezzo, sopra una scalinata, la corona del Re.

SCENA PRIMA

(mentre le campane suonano a festa, i servi ornano e preparano).

BIMA                            - (importante, sudato, spingendo via un mendicante cieco) Via di qua, cieco! È già un po’ che tu ronzi! Via! Questa plebe s’intrufola…..

IL CIECO                      - Lasciami qua….

BIMA                            - Qua! Bravo! Non la vedi la corona? Qua l’incoroneremo finalmente!

IL CIECO                      - Non la vedo, eccellenza….

BIMA                            - Non importa. Allontanati. Troppo stracciato.

UNA SERVETTA         - (dal parapetto) Eccoli! Che bellezza!

BIMA                            - (ad alcuni servi) Voi, dico! Gridar forte! Ma a cose fatte! “Evviva il Re felice” “Evviva il nostro amabile sovrano!”

(spunta il corteo nuziale; entrano piccoli paggi che spargono rose, mentre cominciano cori lontani e suono d’organo).

IL CIECO                      - (riaccostandosi) Non essere cattivo….

BIMA                            - E che vuoi fare qua? Troppi filosofi in giro, troppo sussurro. Vedere, già non vedi!

IL CIECO                      - Vorrei solo sentire….

BIMA                            - E chi, poi?

IL CIECO                      - La regina!

BIMA                            - (spingendolo fuori) Via, via, pezzente! Via! (volgendosi ancora) Non mi piaceva.

                                      

SCENA SECONDA

(entra tutto il corteo e finalmente il Re con la Regina Maidune. Tutti si dispongono, il coro. Ad uno ad uno i ministri in redingote s’alzano a parlare mentre il Re, man mano, sale i gradini fino alla sua corona).

UN MINISTRO            - (alquanto enfatico) Signore, tu sei oggi come il seme vagante, quando finalmente si ferma lasciando l’arido regno dei venti senza requie, e mette le radici nell’umida terra. Così ebbe termine il tuo cammino, signore: e noi per te, rubando ai monti ed anche alle rovine, pazienti pietre sparse come ossa, levammo questi spalti, e sopra spalti torri, e poi archi, poi guglie; ma sopra tutto che ci mettemmo? Ecco qua: il tuo stendardo, che si sente schioccare, più alto dei falchetti.

UN ALTRO MINIS.     - (entusiasta) Sì, la casa: ma è pietra; che sta lì ferma, morta. C’è di più! T’abbiamo fabbricato una città che invece, senti? È un mulino! E tu chi sei? Il mugnaio! Per grano entrano sudditi! E per farina che esce? Magnificenza! Potenza!

UN ALTRO                   - (lezioso) Non contesto. Ma anche la città, se guardi i campi, che è? Un mucchietto di sassi. Il bello è questo: che anche i campi sono tuoi! Sopra ogni sponda di mare la terra è un tuo orticello, l’avrai verde fidanzata ogni marzo, florida sposa ogni agosto…

UN ALTRO                   - (aggressivo) non basta! Ci vuol altro! Il fuoco, dico il fuoco, abbiamo imprigionato! L’abbiamo maritato col ferro, abbiamo architettato le macchine: ti abbiamo dato forza anche sopra la forza del peso e dello spazio….

UN ALTRO                   - (solenne, alquanto funebre) E altresì sopra il tempo. Stipendiamo i poeti per questo. Essi racconteranno di te con illustri parole, sicchè la tua memoria, molto dopo di noi, farà ancora gonfiare, come un lievito, la polvere delle rovine, le cupole dei sepolcri.

IL RE                             - (ripensandoci e fermandosi al penultimo gradino) La mia memoria. Ma dopo? Finita la memoria, che resterà?

BIMA                            - Son d’avviso…. Che avremo tempo a pensarci.

ANFIS                           - La maestà vostra è lì lì a mezzo passo dalla sua meta…

MAIDUNE                    - (tirando il re per la manica) Sarebbe meglio spicciarsi!

IL RE                             - (timidamente) Mi batte il cuore…. Venerabili ministri, voi che siete pieni di vecchiezza, e tuttavia v’affannate ad impastare un pane che non mangerete, voi che rappresentate il costruire, l’acquistare, l’accrescere, ditemi, prima che mi sia data questa corona, ditemi: è vero, sarà grande gioia vedere tutto costruito, acquistato e perfetto! E tuttavia mi batte il cuore! Vorrei sapere: perché…….

IL PATRIARCA           - (nasale e sentenzioso, accostandosi) Perché! Perché! Figliuolo, lo sai cos’è il perché? È il naso del diavolo, che s’intromette dove non deve. Ovverosia è l’attimo impertinente, che ha fretta, dubita, e quasi si ribellerebbe all’eterno. Ragionare, distinguere, mettere avanti dubbi, questo è il da fare della gente da poco, che si sente rodere dentro, perché l’invidia non riempie mica lo stomaco. Tu invece, figlio, hai nel piatto, non più piaceri sciocchi, miele falso, ma quel che è, quel che è vero e che dura: città, governi, opere, roba, il mondo intiero là, tondo! E tutto questo, fra poco, farà parte di te, come le ossa e la carne! (commovendosi) Fra poco le mani dei pargoletti saranno posate sulle tue ginocchia, sentirai le nostre voci venire su come fumo d’incenso, tutti i perché avranno l’amen. (prendendo la corona e piagnucolando) Molto tu hai camminato, beato te che sei giunto! Tutti noialtri, già siamo nell’ombra, beato te che sarai nel raggio del sole! (mentre l’organo riprende, il patriarca mette il mantello al Re, gli pone in capo la corona)

IL RE                             - (fra un gran silenzio si guarda intorno, ma quasi con sorpresa, come se tutto mutasse d’aspetto; ed ecco il sole impallidisce, dispare: lo splendore di Maidune si spegne; il Re, come turbato, depone la corona.

VOCI SOMMESSE      - Che è stato?

                                       - Ha rifiutato la corona.

I SERVI                         - (a Bima) Noi dobbiamo gridare?

BIMA                            - (allibito) Pare di no.

MAIDUNE                    - Bel Re Nadir, che cosa triste hai pensato? Non sei contento della città, della casa?

IL RE                             - Grande la casa, bellissima la città.

MAIDUNE                    - C’è qualche cosa che non ti piace?

IL RE                             - Fredda, davvero fredda, viene su l’ombra fra queste muraglie. Il sole ci ha detto addio, il suo bel raggio è fuggito. Anfis! Bima!

ANFIS/BIMA               - (con un inchino) Maestà!

IL RE                             - Questa festa… non è come avevo pensato! Io m’ero figurato… più gioia, un’altra cosa. Vorrei….

ANFIS                           - (alquanto preoccupato) Una danza qua intorno? Fuochi artificiali? Girandole delle migliori ditte?

IL RE                             - Sì, sì….

(si spargono come d’incanto bagliori colorati; escono danzatrici)

MAIDUNE                    - (sgomenta) Gli è che si fa tardi, signore. Non so che dirà la gente.

BIMA                            - Vuoi che portino qui qualche vivanda, oh, qualche leggero antipasto, per stuzzicare l’allegria del buon popolo, ed eziandio la nostra?

ANFIS                           - (mentre già escono servi con vassoi) Volete che s’abbrucino profumi, incensi, essenze delicate?

BIMA                            - (mentre già si spandono profumi) Che s’aprano gli scrigni (con congrua sorveglianza, s’intende) perché trabocchi e sfolgori la nostra così detta opulenza?

IL RE                             - (mentre già i servi hanno spalancato gli scrigni) Sì, certo. Voglio così. Ma perché questo silenzio, signori? Perché questo sciocco silenzio intorno a una corona vuota?

(un silenzio)

IL PATRIARCA           - Figlio, per anni parecchi questa corona ha aspettato su quel cuscino, mentre Sua Signoria chi sa dov’era; viaggiava! Ruggine, erbaccia, boglio dire disordine, libertinaggio, anarchia, regnavano qua sopra in vece tua| ora tu sei tornato, noi non si vuole certo rivangare, Dio ce ne scampi. Però, in conclusione, lo sai perché siamo qua tutti a farti riverenze? Per metterti nel palmo della mano le cose nostre, le fatiche, i figliuoli, mobili, immobili e liquidi. Per questo occorrerebbe guardar bene, parlarsi chiaro: perché questa corona è una piccola ruota, ma pure è lei che spinge l’ingranaggio! Significa comando, ma significa pure obbedienza: vuol dire essere persuaso; esser padrone a chi è servo, ma (accennando verso l’alto con unzione) servo a chi è padrone. Perciò figlio, considera un po’ in te poi dicci francamente: ci possiamo fidare? Questa corona te la possiamo dare tranquilli?

IL RE                             - (dopo aver pensato) Temo di no.

IL PATRIARCA           - Lo dicevo io! Smuovi il sasso, eccoti fuori la vipera!

IL RE                             - (con umiltà e meraviglia) Sì, venerabili ministri, un piccolo gelo, come davvero un piccolo serpe, mi s’è accostato al cuore. Per molto tempo ho desiderato questo giorno. Ora mi sento triste.

IL PATRIARCA           - Guardate un po’! proprio oggi?

IL RE                             - M’è parso… come se mi trovassi sopra una cima tanto alta. Ho aperto gli occhi, ho guardato. Tutte le cose umane, ormai, già sono mie, già le ho avute, le vedo dietro di me, già spremute, morte. Perché già sono mie….

IL PATRIARCA           - Intus aspice! È scritto. Dentro di te, devi guardare, non fuori!

IL RE                             - (con umiltà) Ma dentro noi che v’è? Solo un desiderare senza requie, che è come il fuoco, sempre deve distruggere, trocare nuovo alimento, camminare sempre…..

IL PATRIARCA           - Nei testi è la risposta! (sempre più sentenzioso) Proprio codesto desiderare insaziabile deve significarci che l’uomo sale di desiderio in desiderio quasi per una scala.

IL RE                             - E colui che ha salito tutta la scala, ed è arrivato all’orlo, verso che cosa tenderà le mani?

IL PATRIARCA           - Verso quel che non termina, che va di là dall’orlo.

IL RE                             - Che va di là? E che è questo?

IL PATRIARCA           - Iddio.

IL RE                             - E dove debbo cercarlo?

IL PATRIARCA           - Intus aspice. In te, nella tua medesima sete.

IL RE                             - Dentro uno speccio, dunque. Ma io vedrò nello specchio solo questa mia fronte, che finirà, e questi miei pensieri, che finiranno con essa. (con angoscia) Ed invece, io vi prego; ditemi voi qualche cosa dell’uomo che resterò, qualche piccola cosa che sarà salva dal buio!

MAIDUNE                    - (d’un tratto, trepidante) Signore, io vorrei dirvi…. (non trovando l’argomento) che sono molto contenta, perché tutto è assai bello, quasi non pare vero! Ciò significa, signore, che quando si vuole bene, si è tranquilli, non v’è bisogno più di stillarsi…. I contadini lavorano con le loro zappe, e i Re…. Hanno la corona e comandano. E dopo…. C’è il Paradiso, signore, che è fatto appositamente! E poi… (non sa più andare avanti; con altra voce) Non sono molto istruita… però vi voglio molto bene, credetelo! Oh, scacciate quei tristi pensieri, non oscurate la gioia di questo giorno! (sempre più smarrita)Permettetemi solo… di starvi acanto, di tenervi per mano! Fra queste grandi scale, questi macigni scuri, mi pare d’esser piccola…. Sola….forse saranno gli echi di questo palazzo. Mi stringono il cuore.

IL PATRIARCA           - (d’un tratto, assai brusco) Signora mia, sono state le vostre delicate manine, ad annodare tutta questa matassa….

ANFIS                           - Bisognerà che siano esse, a sbrogliarla.

MAIDUNE                    - Le mie… io, sono stata? È colpa mia?

ANFIS                           - (lezioso) E’ sempre con la dolce vocina d’una donna, che le supreme leggi parlano all’uomo.

MAIDUNE                    - Ma io… Non ne so troppo di queste supreme leggi.

IL PATRIARCA           - (porgendole la corona) Se vi chiamate Maidune, è troppo chiaro: deve averla da voi la corona.

MAIDUNE                    - Da me? Voi dite: perché sono Maidune? Com’è pesante, questa corona! Le mie mani la reggono a fatica. Nadir!

(un silenzio)

IL RE                             - Chi siete?

MAIDUNE                    - (incerta) Sono… la tua Maidune.

IL RE                             - (fingendo meraviglia) Che soave nome, signora.

ANFIS                           - (intervenendo con uno scambietto) Come potremmo chiamarvi “quella che non si trova”, se v’abbiamo trovata?

MAIDUNE                    - (incerta, ad Anfis) Non mi vuol più?

IL RE                             - (cerimonioso) Come potrei volere quel che è già mio?

MAIDUNE                    - Forse i miei modi…. Sono da biasimare, ho sbagliato? Farò quel che vorrai, sempre, sempre!

IL RE                             - Quel che il Re vuole? Sempre?

ANFIS                           - Già viene fatto, sempre.

MAIDUNE                    - Ti dispiace la veste? Forse non sono abbastanza avvenente…

IL RE                             - Nessuna mai fu veduta, bella così.

MAIDUNE                    - Signore, perché dunque mi guardi con tanto rimprovero, come se qualche cosa di male fosse accaduto per colpa mia? Forse io non sono…. (abbassando la testa) Forse non sono… quella che tu volevi? (un silenzio)

IL RE                             - Dicono che per molti anni io abbia in me vagheggiato e dipinto queste graziose sembianze. Ti riconosco. Sei tu.

MAIDUNE                    - Ah, sono io. Mi avevi fatto paura.

IL RE                             - Tu sei davvero il bene più caro, dato a me solo. Il più desiderato. L’ultimo.

MAIDUNE                    - Ma allora…

IL MENDICAN.UFA’ - (ubriaco) Allora il guaio è questo: che lui, proprio perché l’han contentato, è scontento.

IL RE                             - (al mendicante) Ditemi, amico: se talvolta la notte, svegliandovi, vi avviene di pensare al domani, che cosa sperate?

IL MENDICANTE       - (agitando le dita traverso i buchi del suo mantello) Di farmi ricco, Maestà.

IL RE                             - (come tra sé) E il ricco? Spererà di diventar… principe, non è vero? Ed il principe? Re. Ma il Re, il Re felice, il Re amato, che potrà più sperare? per tutto il temo che durerà la sua vita, non muterà più nulla, intorno al Re: tutto gli starà intorno perfetto, fermo, uguale…. (tornando ironico) Rischerò di annoiarmi.

MAIDUNE                    - O Nadir! Pochi giorni sono trascorsi, e tu sei molto mutato.

IL RE                             - (cerimonioso) Pochi giorni? Signora, non conoscete l’autorevole detto? “Ogni giorno felice ne val mille”. Facendo il conto dovrei già esser vecchio. (d’un tratto con impreveduto, infantile sgomento) Ho le mani fredde. Non sto troppo bene.

MAIDUNE                    - Non far così!

IL RE                             - Sono solo quassù….

MAIDUNE                    - Ma io starò sempre con te!

IL RE                             - (smarrito) Vorrei…..

MAIDUNE                    - Che cosa? Dimmi, Nadir! Io ti consolerò, ti guarirò!

IL RE                             - Mi era stato promesso che dentro il tuo tepore mi sarei finalmente ritrovato nel momdo come una foglia sul suo ramo. Non era vero.

MAIDUNE                    - (quasi cantando) Se fossi ricca ricca, ti vorrei dare tutto! Se avessi un gran segreto te lo vorrei raccontare….

IL RE                             - (con odio) Vattene!

MAIDUNE                    - Vorrei farti appoggiare la testa sopra me, farti chiudere gli occhi…. Sempre sempre il tuo guanciale sarà la povera Maidune.

IL RE                             - (con un riso) Sempre? Sempre? E se il Re…. Avesse fantasia…. Di legarti, colpirti?

MAIDUNE                    - (baciando la mano del Re) Quello che vuoi Nadir.

IL RE                             - (strappandole di dosso qualche gioiello e gettandolo a terra) Oppure… per vedere costoro accapigliarsi carponi… se ti strappassi questo diadema?

MAIDUNE                    - Quello che vuoi!

IL RE                             - E quest’altro… e poi tutti, fino a spogliarti? Oppure…. Presa questa rosea manina…. (le torce una mano finchè la donna ha un grido).

MAIDUNE                    - Nadir, non farmi male, t’ubbidirò! Farò quel che vuoi!

IL RE                             - Voglio vederti…. Qua nel mezzo ballare. M’annoio talmente!

IL PATRIARCA           - Che tempi!

IL RE                             - Voglio che vediate, signori, per una volta nella vostra vita, la felicità, incoronata, che balla.

UN MINISTRO            - Quale contegno!.....

IL RE                             - (ansando) E se volessi rotolarmi qua sopra come un pagliaccio infarinato?

UN ALTRO MINIS.     - Nascerà qualche disordine….

IL RE                             - Orsù, bella regina. Cantate, dunque, ballate, distraetemi un po’. Voglio così.

LA FOLLA                   - Ma che succede? Che c’è?

                                       - E’ pazzo. È pazzo, il Re.

                                       - Che sposalizio mal fatto!

                                       - Lo sposo è matto.

                                       - La sposina è afflitta.

                                       - Il popolaccio ammicca….

                                       - E si lambicca!

                                       - Che scandalo! Che misfatto!

                                       - Che sposalizio mal fatto!

                                       - Dovrà cantare qua nel mezzo, ohi, meschina.

                                       - Zitti, zitti, ora canta la regina.

MAIDUNE                    - (canta) “…..guardai fra i rami del melo; v’era impigliata la luna. Alla fontana mi sono specchiata; v’era impigliata la luna di marzo…..” (scoppia in singhiozzi)

UNA VOCE                  - Maidune!

SCENA TERZA

(L’accattone cieco, non più cieco, s’è fatto largo)

IL FINTO CIECO         - Non piangere. Sono qua io. (rialza la donna asciugandole il viso, come si farebbe a un bambino)

BIMA                            - (puntando l’indice) Era cieco e vedeva! Sparamosca! Lo sospettavo.

VOCI                             - E’ proprio Sparamosca.

                                       - Non darei il mio posto per un milione.

BIMA                            - (avanzando, indignato) Fingersi cieco, entrare nei recinti, sobillare per giunta! Si mira forse al colpo di Stato? Battete il tacco all’istante. In tal caso…. (cambiando voce e ammiccando) si potrebbe versarvi qualche soccorso…. In contante. (altezzoso) Ignorate che il Re potrebbe farvi frustare?

UN SERVO                   - (s’è accostato a Sparamosca con una frusta)

SPARAMOSCA           - (toglie al servo la frusta, che spezza e getta via)

BIMA                            - (saltando indietro, prudente) Soprattutto alludevo a codesta barba cresciuta: vi trovavo una certa mancanza di rispetto.

SPARAMOSCA           - (quasi allegro, fisso al Re) Se non fosse appunto il rispetto, Sacra Maesta, vorrei dirti che da quel dì ti sei fatto un tantino più pallidetto.

BIMA                            - L'arroganza... Maestà... di questo po­veretto, non può che divertirvi. Egli è sì piccolo, lo scorgiamo appena, piuttosto lo sentiamo. Pare che egli abbia molto su dato nella sua camicia e sia molto affezio­nalo alle sue scarpe. (Ride, soddisfatto).

SPARAMOSCA           - Scarpe rotte, sudore: sì, Mae sta. E dove lasciate l'appetito, gli stracci? Sono essi, di qua un urto, di là un calcio, di sopra il brutto tempo e di sotto la brut­ta strada, sono proprio essi, Maestà, sono i guai e la miseria che mi dicono: corri, se no t'acchiappo; zitto, che ti bastono; gira di qua, volta di là, cammina: ci in­segnano la strada, ci portano per mano; a me e a tutti quelli che si chiamano uo­mini. Non ai grandi, si sa. Quelli stanno più in alto, « imperocché la potenza, co me una gonfia nube li solleva, ed il ca­priccio come un vento li porta ». Sarà per questo che la Maestà Vostra sembra un moscone ai vetri.

(Un mormorio).

BIMA                            - Non credo alle mie orecchie. Sua Maestà è superiore.

SPARAMOSCA           - Per lui la ciliegia nasce senza osso, senz'essere partito è già arrivato, pri­ma di far guerra ha già vinto. Ma se uo­mo vuol dire aver bisogno e cercare, tu, che puoi fare? Quel che fa il cane quando rincorre la sua coda.

(Mormorio di risa),

BIMA                            - (costernato) Cane? Coda? Signore, compatitelo: egli è uno stolto, un debole, un povero.

SPARAMOSCA           - Sacra Maestà, nulla è d'altri; e perciò nulla è tuo: forse sei tu il vero povero. E poiché a te nulla resiste, tu non resisti a nulla : forse per questo sei debole. E poiché quel che dici non è sbagliato mai, non può esser mai vero: ecco per­ché sei stolto. La verità, la saviezza, la giustizia sono una bilancia, signore, ove si equilibrano su un piatto, la misura no­stra e sull'altro l'altrui; ma sull'unico piatto della vostra regale solitudine, tutti i pesi sono giusti e tutti falsi : non pese­rete che vento, fole, e paturnie.

(Un mormorio di risa).

BIMA                            - La cosa passa il segno. Sarà il caso di prendere qualche provvedimento.

SPARAMOSCA           - Tu ridi? Tutti ridono. Corru ghi il ciglio, i cigli si corrugano. Dici no? Tutti: no! Dici sì? Tutti: sì! Da ogni pupilla ti ritorna il tuo sguardo; raggirandoti in una folla, sci solo. E ti direi, se osassi, che intorno a te tutti i volti non sono volti, ma specchi, tutte le voci echi: e tra specchi echi, echi specchi, pallido, solo, dove vai senza requie, povero Re, che fai, che vuoi, Re pazzo... (S'inter­rompe).

ANFIS                           - (è uscito in una lunga risata) Sarà maggiore il vostro spasso, Maestà, quando saprete la causa nascosta della demenza, appunto, o paturnia, che Io ha travolto. Un amore infelice. Pare che il disgraziato pensasse a una regina. (Torcendosi dalle risa) Ohi, ohi, fateci ridere, SPARAMOSCA, fateci ridere.

SPARAMOSCA           - (dopo un silenzio, con altra voce) E ti direi, se osassi, che soffrire, aver sofferto — tu che puoi sapere di ciò? — consiste in questo esser uomo. Soffriamo, o Re, ed abbiamo pietà di chi soffre. Pietà, compianto dell'uomo, aver coraggio, voler bene, perdonare, capire, essere tanti» u-guali, vicini, umani: sì, ecco che cosa siamo. E tu che vuoi da noi? Che rancore, che invidia ti avvelena? Perché ci umili? Quale crudele tedio t'aizza a calpestare i sentimenti dell'uomo, come ansioso di spremerne un significato di morte? Per che le cose che durano più di noi, anzi che consolarti, ti atterriscono? Quale lu gubre visione, ti rende insonne? Sei solo, o Re. E soltanto chi è, solo morirà vera­mente. Noi ti domandiamo: Signore, che cosa hai fatto del nostro dolore? Perché disprezzi le cose a noi care? Ti chiediamo ragione.

UNO DEL POPOLO    - C'è un codice? Anche lui deve piegarsi!

UN ALTRO                   - Deve umiliarsi alla legge; e chie­dere perdono alla sposa!

BlMA                             - (tirando il Re pel mantello) Politica, ci vuole.

UN MINISTRO            - Maestà, fingete, almeno.

BIMA                            - Prudenza, strategìa.

UNO DEL POPOLO    - (avanzando con altri) Ep­pure ti faremo inginocchiare!

IL RE                             - (come assorto) E chi sarà? Tu? Op­pure tu?

SPARAMOSCA           - Nessuno. Ti lasceremo solo.

IL RE                             - (come fra sé) Non lo sarò più di ora.

SPARAMOSCA           - Per compagnia ti resta il buio e la noia.

IL RE                             - Forse e così: m'hai aperto gli occhi, Corus. (Con strana melanconia) Mi ricor­do i miei anni di ragazzo: le corse, i prati, i miei compagni; non sono mai stato come essi. (Guardandosi i polsi) Forse sarà questo nostro nobile sangue, con dentro la stanchezza di tanti Re. Forse sono davvero simile a una bandiera su una torre, quando c'è un vento che viene: tutto, in basso, ancora è quieto, ma già la bandiera è percossa. Forse anche voi, un giorno, vi ritroverete quassù: le gioie umane staranno anche nel vostro pugno come un po' d'erba secca.

UNO DEL POPOLO    - (scoppiando a ridere) Er­ba! Secca!

IL MENDICANTE UFÀ      - È più ubriaco di me!

IL RE                             - Il mio pensiero è pieno di cose tetre. Sento tutto questo, le pietre, le montagne, Ja mia stessa persona, tutte le cose di­ventar fredde, morire. Le parole vostre, queste armi, questi sguardi, queste ban­diere, la luce: amici miei che strano, che lugubre gioco, perché?

IL PATRIARCA           - Ma questo, in conclusione... non è bestemmia, eresia?...

IL RE                             - Lo temo anch'io, signore.

IL PATRIARCA           - Eresia! Pessimismo del più nero! Nichilismo! Bel Re davvero, c'era capitato! Levategli le insegne! Processatelo subito! Esiliatelo!

LA FOLLA                   - (muovendo verso il Re) Dategli una lezione al più presto! Scacciatelo! Strappategli i gradi!

MAIDUNE                    - (frapponendosi) No!

SPARAMOSCA           - Che fai, ora?

MAIDUNE                    - Non lo toccate! Nadir! Perdona­mi. Io volevo soltanto starti vicina, esser tua. Ed invece t'ho fatto tanto male, un grande male che tu non sai! O Nadir! Io non sono quella che credi, io non so­no Maidune.

ANFIS                           - e Bima (cautamente s'eclissano).

IL RE                             - (sollevandosi) Tu... Non sei....

MAIDUNE                    - Io sono una poveretta, andavo per )e strade sbocconcellando il pane, ero vestita con uno scialletto... e m'incantavo a sentire quando parlavano di te. Da pic­cola avevo una pupa di stracci; il mio nome non è Maidune, è Nidah.

IL RE                             - Che vuol dire tutto questo?

SPARAMOSCA           - Che è finita una fiaba. Riapri gli occhi, Re pazzo! Tienti i tuoi tesori, i tuoi spettri. A noi ci basta una strada fra i boschi. Vieni, Nidah.

MAIDUNE                    - Corus, non posso lasciarlo!

SPARAMOSCA           - (mentre già gli si accostano sol­dati) Vieni, fuggi! Il Re ti punirà...

MAIDUNE                    - Ma non posso lasciarlo!

SPARAMOSCA           - Io ti farò tornare come un tempo, felice...

MAIDUNE                    - Sono tanto stanca.

SPARAMOSCA           - Dentro di te c'è come... un bel giardino, che ancora dorme...

MAIDUNE                    - Quanto sei buono, Corus!

SPARAMOSCA           - (disperato) Mi ti porterò via...

MAIDUNE                    - Salutami le belle colline. Non le rivedrò più.

SPARAMOSCA           - (ha chinato il capo, s'avvia) Dunque, addio.

IL RE                             - (come risvegliandosi) Pigliatelo!

SPARAMOSCA           - (mentre un soldato si muove, balzando su uno spalto) O Re, pigliami! Oppure ti piglierò la vita. Addio, Nidah! (È sparito),

IL RE                             - (a Maidune) Chiamalo!

 La voce di SPARAMOSCA- (ormai lontana) Ad­dio, Nidah

IL RE                             - Fallo tornare.

MAIDUNE                    - (chiamando) Corus..

IL RE                             - Ancora!

MAIDUNE                    - Corus...

(Intanto guardie e servi s'appostano con una rete).

SPARAMOSCA           - (riappare sullo spalto) Che vuoi? (Un istante di silenzio, poi un gri­do) Ah, m'hai tradito!

(Gli hanno buttato la rete, l'atterrano, lo portano via)t

SPARAMOSCA           - Nidar, Nidar, m'hai tradito! (È scomparso, c'è un attimo di stupore).

BIMA                            - (mettendo la testa fuori, d'un tratto) Sobillava, sì o no?

UNO DEGLI ASTANTI- Però...

UN ALTRO                   - Come, però? Un ciarlatano!

UN ALTRO                   - (disgustato) E poi, infangato! Un villano.

UN ALTRO                   - (squisito) Oh, un uomo punì fine...

UN ALTRO                   - (indignato) Una faccia da ladro di galline!

UN ALTRO                   - Fingersi orbo! Ci vuole una le zione coi fiocchi.

UN ALTRO                   - Sicuro, qui : negli occhi.

UN ALTRO                   - (accennando alla regina) Però... in fondo... la colpa... di chi è?

UN ALTRO                   - Eccola là, la pupattola!

UN ALTRO                   - Prima l'aizzava...

UN ALTRO                   - Lo solleticava!

UN ALTRO                   - E, dopo, l'ha chiamato nella trappola !

(A poco a poco, tutti, l'indice teso, se gnano la regina. E d'un tratto, con uno scambietto, anche lui con l'indice teso, riappare Anfis).

ANFIS                           - Splendente signore, fra qualche i stante vedrete come il vostro servo provvide pel falso cieco. Quell'uomo vedeva troppo. Ma che faremo della falsa regi­na? (Insinuante) Qualunque sia il nome da attribuire a costei,

MAIDUNE                    - o Nidah. felicità o inganno (se pure l'una e l'altro non siano le due facce della stessa mo­neta) ciò non altera l'esito della vostra esperienza. E difatti che importa se la moneta fu di stagno e non d'oro, dato che voi con essa comperaste ugualmente la vostra verità? (Con UN ALTRO scambietto) Che importa se la coppa fu volgare e non nobile, dal momento che voi vi beveste ugualmente il vostro vino?

IL RE                             - Fu un vino amaro. (Scostando da sé Maidune) Ma voi, signori, potrete rac­contare che un Re, la sera di un memora­bile giorno, vide che aveva nel pugno, per sua ricchezza, una moneta falsa; e così la gettò da sé. Non è piò mia, è vostra.

IL MENDICANTE UFÀ      - (mettendo la mano so­pra Maidune) Allora è roba mia?

 

IL RE                             - E’ tua. Saprai tu pure che sia essere felice. Saprai...

(Un grido dall'interno lo interrompe), il Re (con spavento) Che grido è questo?

(Un grido più vicino).

IL RE                             - Chi può gridare così?

SPARAMOSCA           - (uscendo con le mani al volto) O sole! O cielo! Non vi vedrò più... Mi hanno accecato. I miei occhi. I miei occhi...

(E’ passato fra un grande silenzio, è scom parso. D'un tratto, come risvegliandosi, la folla si scaglia contro il Re).

LA FOLLA                   - Assassino! Assassino!

Mostro!

Demonio! Pigliatelo!

Accecate anche lui!

(il Re protetto a stento dai suoi fidi, è già sparito dentro la porta, che si richiude).

LA FOLLA                   - (buttandosi ai battenti) Giù! Smurate! Spezzate!

                                       - Date fuoco!

O prima o poi ti avremo!

                                       - Aprici, Re maledetto!

(In quella, colpita da improvvisi bagliori e da un lontano vocio, LA FOLLA lascia la porta e si volta, lasciando scorgere Mai dune, che piange sui gradini, e vicino a lei, l'Ubriaco),

Voci                               - Guardate là. Cominciano a dar fuoco.

                                       - Dov'è passato il cieco è una scia di fiamma.

LA FOLLA                   - (allontanandosi verso gli incendi)

S'azzuffano, correte!

Il sole di domani vedrà cose nuove.

Ora comincia il ballo!

SCENA QUARTA

MAIDUNE                    - (battendo alla porta) Nadir, abbi pietà, sono tanto pentita.

ANFIS                           - (a parte) L'una singhiozza, l'altro delira; questi respinge quel che desidera; l'altro rivuole quel che respinse; mentre il popolo, come suole, si sazia col rumore ch'egli stesso produce.

LA FOLLA                   - (lontana) . Morte al Re.

ANFIS                           - (continuando, al pubblico) S'acca piglia ciascuno non tanto contro l'altro, quanto contro se stesso, quasi desideroso soprattutto di nuocersi, ingannarsi, e rovinarsi con le sue mani medesime.

MAIDUNE                    - Castigami, fammi morire, ma non lasciarmi qui sola!

ANFIS                           - Sicché parrebbe che ogni uomo sia servitore non già del suo proprio interesse... ma viceversa, di quale altro padrone?

LA FOLLA                   - (lontana) Morte al Re.

ANFIS                           - E se davvero è cagione di tali contraddizioni e stranezze una misteriosa stranezza degli animi e dei destini, quale sarà poi la cagione che fa questi destini e questi animi così strani e contradditori?

 

MAIDUNE                            - (mentre l'ubriaco la porta via) Starò in disparte, senza farmi scorgere... Lavorerò, farò tutto...

ANFIS                           - E non è anche più burlo che da così barocche filastrocche di effetti e cause fu­tili, effìmere, illogiche, irragionevoli e sciocche, esca spremuto, come da un lam­bicco, un sì bislacco succo? Lacrime, la rrimucce...

MAIDUNE                    - Mi porta via! Nadir, mi porta vial

ANFIS                           - ...salato dolore umano. (Resta medi­tabondo, col dito alzato).

 

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

 // luogo del primo atto, spogliato dall'au­tunno.

SCENA PRIMA

(È notte. Sette mendicanti color foglia secca stanno accoccolati intorno a un fuoco).

IL GOBBO                    - (a modo di litania) E al primo colpo eccoti una fessura. S'apre la terra dalla scorza scura

GLI ALTRI                   - (in coro) Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - Ed al secondo si sente uno schiocco. Crepa il mondo per mezzo come un ciocco.

VOCE DELLA VEDETTA  - (dall'alto) La bat­taglia ha viaggiato. Ha abbracciato la reg­gia. Ora comincia il fuoco.

IL GOBBO                    - (riprendendo la nenia) E nasce una fontana di tre gole. Di fuoco san gue oro è il suo liquore.

GLI ALTRI                   - Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - I monsignori hanno grande spa­vento. E chi si cava la sete?

TUTTI                            - Lo stento!

VOCE DELLA VEDETTA  - Vanno giù torri, muri. Tutto è ingoiato.

I MENDICANTI           - Giù! Largo sopra la terra !

IL GOBBO                    - (riprendendo la nenia) La ruota gira! E’ la scarpa pezzente, va a mostare la trippa del potente.

GLI ALTRI                   - Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - E lì c'è un grappolo nascosto...

TUTTI                            - (tirando fuori una moneta) Schizza fuori oro per mosto!

(D'un tratto, a un mugolio del muto, tutti nascondono l'oro, si voltano).

LO ZOPPO                    - Che fate lì?

(Le fronde si aprono, escono il Re e Bima travestiti).

SCENA SECONDA

IL MONCO                   - (alzandosi minaccioso) Che vo­lete?

IL RE                             - (ansando) Da bere.

IL GUERCIO                - (alzandosi a sua volta, imitato dagli altri) E chi siete voialtri che ac­cattate dagli accattoni?

BIMA                            - (premuroso, zoppicante) Onesti e sven­turati mercanti, signore. Ciò è a dire com­mercianti. Girovaghi, ambulanti. La tri­stizia dei tempi, la lunga guerra, i rove­sci bancari ci sospinsero in basso: denu­triti, signore; un sasso nella scarpa...

IL RE                             - (ansando) Da bere.

IL GOBBO                    - (finge di porgere una piccola fi a sca; ma appena l'altro alza le mani, gli butta l'acqua in faccia e scoppia a ridere. Tutti ridono a lungo tossicchiando, poi tornano a sedere).

IL RE                             - (si asciuga il viso).

BIMA                            - (bisbigliando affannoso, senza volgersi) Siamo alla demenza! Al suicidio! La nave è qua. Ragiona. Salviamo almeno la nuda pelle. Abbi un pensiero... per tuo cugino.

IL GOBBO                    - (riprendendo la nenia) E si fa un mucchio e s'accende un falò, s'abbruciano basiliche e reami.

GLI ALTRI                   - Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - Giro giro si mettono i vecchiac­ce s'abbrustoliscono le mani.

BIMA                            - (c. s.) Che scopo c'è, dico io, a fa­miliarizzare con codesti vecchiacci? Essi hanno un'aria sanguinaria. Mi guardano. Sudo tutto.

IL GOBBO                    - Dalle cupole rotte sboccia incenso. Dalla testa dell'uomo un rospo lento.

GLI ALTRI                   - Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - Dal vino sonno, biscie dal pie­trame; e dalla porta dei magri?

LA FAME                     - La fame!

IL RE                             - (avanzando verso i mendicanti, con in mano un monile) Da bere. Vi do que­sto. (Butta il monile verso di essi).

BIMA                            - (cercando di trattenerlo) Per carità.

IL RE                             - (buttando qualche altra cosa) Que­sto. Questo,

I MENDICANTI           - (si precipitano, arraffano; mordono l'oro, cercano di rubarselo a vicenda).

IL RE                             - Fatemi bere un sorso... (Afferra la fiasca dalle mani del gobbo, beve).

I MENDICANTI           - Avete sette servitori, eccellenza!

LO ZOPPO                    - Eccellenza, che vi bisognerebbe?

IL GOBBO                    - Piattole, croste...

IL MONCO                   - Stracci, gambe di legno, pi­docchi...

IL GOBBO                    - ...e rogna. A scelta vostra.

LO ZOPPO                    - Eccellenza, è la guerra che ci tiene un po' arzilli!

IL GUERCIO                - (con sospetto) Voi non sapete nulla, eccellenza?

LO STORPIO                - Il sangue! Dalle porte! Come vernaccia da una botte crepata!

IL MONCO                   - Poi le fiamme s'affacciarono, co­me puttane spettinate.

LO STORPIO                - Poi le cupole si spaccarono, co­me melagrane fatte...

 

UN ALTRO                   - E il Re?

UN ALTRO                   - Nel mezzo!

UN ALTRO                   - E intorno fuoco!

UN ALTRO                   - Ma lui porta il rimedio alla cin­tura, dentro un vetro rosso!

UN ALTRO                   - Uh, averlo qui!

UN ALTRO                   - Vivo!

BIMA                            - (facendo alzare il Re e facendo per allontanarsi) Signori miei, avremmo un tantinello fretta.

I MENDICANTI           - (trattenendoli, respingendoli, chiudendoli come in un ballo) . Come, già di partenza?

BIMA                            - La tristizia dei tempi... Un sasso nel­la scarpa...

I MENDICANTI           - Ci abbandonate? Avreste questo cuore? Non sarà mai! Ci siamo affezionati! Eccellenza, illustrissimi! Un piccolo sussidio! Un contributo! Una sovvenzioncina!

(/ due fuggiaschi, ormai liberatisi, fanno per avviarsi; si ode un canto di donna. Tutti si fermano insieme).

LA VOCE DI DONNA        - Guardai fra i rami del melo. V'era impigliata la luna.

IL RE                             - Che è questo?

IL GUERCIO                - (ammiccando) Non c'è schifoso animaletto senza il suo piccolo diletto. (Come in segreto) Questo è un canto d'a­more, eccellenza.

LA VOCE                     - Nella fontana mi sono specchiata. V'era impigliata la luna di marzo.

IL RE                             - Chi è questa che canta?

IL GOBBO                    - (ammiccando) È la gatta di noi poveri sorci!

(Una donna, lacera e vizza, è apparsa).

SCENA TERZA

I MENDICANTI           - Vieni, moglie dei ladri!

IL RE                             - Era questa?

IL GOBBO                    - (ammiccando e tirandosi da parte con gli altri) In persona, eccellenza.

LA DONNA                  - (avanza verso la straniero, guar­dandolo fisso).

IL RE                             - Dimmi: una volta, l'ho sentito da un'altra, quel canto. Tu, da chi l'hai sentito?

LA DONNA                  - (ha un moto come per andar­sene).

IL GOBBO                    - (a parte) Poverina! É pudica.

BIMA                            - Par di sognare. Da più di un mese non sanno le nostre ossa che sia un letto, ne il nostro stomaco che sia una minestra. Forse siam giunti al termine dei nostri patemi. Signor no, ancora grilli. Ci si confonde magari con la più infangata donnetta. La mia pazienza è al colmo. So­no cugino, va bene, ma solo in quarto grado e forse quinto...

IL RE                             - (alla donna) Chi sei?

LA DONNA                  - (dopo un silenzio) Dormo qua e là sotto gli archi. Un tempo ero una donna.

IL RE                             - Ma da chi l'hai sentito quel canto?

 

LA DONNA                  - Da una, che è passata.

IL RE                             - Che faceva? Dov'è? Mi piacerebbe d'incontrarla. Dimmelo.

LA DONNA                  - È morta.

IL RE                             - (dopo un silenzio) Morta?

BIMA                            - (spazientito) Estinta, è chiarissimo, possiamo andare.

IL RE                             - È vero?

LA DONNA                  - Sì. Nel mare. Laggiù. (Un silenzio).

IL RE                             - (siede) Sono stanco.

LA DONNA                  - (accostandosi) Riposati, signore. Mettiti qui, ripiglia fiato un momento. (Bisbigliando) Chi non ha più nessuno. signore, ha sempre me.

I MENDICANTI           - (a parte, intirizziti) Poveri­ni! Cominciano ad intendersi...

LA DONNA                  - Ogni sperduto posa il capo su me, chiude gli occhi... (levandogli la cintura e le armi) Levati questo, signore. Ti pesa.

BIMA                            - (indignato) È troppo, è troppo.

IL RE                             - (con violenza) Lasciami, maledetta pece!

LA DONNA                  - (senza lasciarlo e sempre bisbigliando) Signore, io sono come la pasta sotto le mani del fornaro. D'essere così malmenata, avvilita, quasi mi piace. Ma tu pure sei stanco. Vero? Sei stanco...

BIMA                            - (energico) Ah, basta. Lui è matto. Ma io no. (Fugge).

I MENDICANTI           - Ohe! Comincia a lavorarselo.

LA DONNA                  - Le palpebre pesano, vero? Io lo so

IL RE                             - (chiudendo gli occhi) Vorrei dav­vero addormentarmi.

LA DONNA                  - Dormi. Se dormi, ci si porta un fiume (Con una cantilena) Al bosco di Winnìa trascorre un fiume. Chi là si bagna si scorda del come.

I MENDICANTI           - Che fa ora?

LA DONNA                  - (legando cautamente con una cor­da il Re assopito) Ci porta via senza più male... Ci porta via senza più tempo... (Con una cantilena) Fugge l'acqua, con sé reca la fronda. Chi là si bagna più non si rammenta.

I MENDICANTI           - (incuriositi s'accostano).

 

LA DONNA                  - (bisbigliando) Venite!

IL GOBBO                    - Che c'è, matta?

LA DONNA                  - Per avere fra l'unghie Re Na­dir, che dareste?

I MENDICANTI           - Tre denti! L'occhio orbo.

LA DONNA                  - Eccolo, Re Nadir!

I MENDICANTI           - Aiuto! Gambe! Io non c'entro.

LA DONNA                  - L'agnelletto è legato.

IL GOBBO                    - È corda buona?

LA DONNA                  - Una nave era pronta per por tarsclo via... Il mare s'era fatto come un olio, per lui... (S'interrompe).

IL RE                             - (riscuotendosi) Che c'è? Chiudevo gli occhi... Che m'hai fatto? Perdio! Scioglimi! (Un silenzio).

I MENDICANTI           - (a un tratto, scagliando chi «-na ciabatta, chi una stampella, chi un cencio) Eccoti la corona, unto da Dio!

Lo scettro d'oro!

L'ermellino di gala!

Gemma accecante, brilla!

Ridi! Canta!

LA DONNA                  - (accarezzandoli) Non ce l'avete un chiodo? Una scheggia di vetro? Un coltelluccio?

I MENDICANTI           - (levando ferri, chiodi, scaglie ed anche tizzoni) Finiamolo! No, no! Accechiamolo, invece! Dura di più. Direi di fargli entrare, dentro la bocca, vivo, un bel serpe!

VOCE DELLA VEDETTA. Ohe! Vecchiacci! Che c'è?

IL GOBBO                    - (con bizzarra nenia, rivolgendosi all'alto) O guardiano, arrota il coltello, che s'è preso il bell'agnello!

GLI ALTRI                   - (picchiando le strane armi) Ohe! Ohe!

IL GOBBO                    - Quando dal caldo esce la lama, che gli corre dietro?

GLI ALTRI                   - (in coro) Una fontana!

IL GOBBO                    - Come ad un frutto gli si fa uno spacco: di fuori brutto, dentro scarlatto!

Lo ZOPPO                     - (in atto di acchiappare qualche co­sa) lo voglio il cuore suo come un sorcio che salta!

IL MONCO                   - Io le budella, come anguille, ma calde!

IL GOBBO                    - Io gli occhi, uno per mano, come belle ciliegie.

TUTTI INSIEME          - (accostandosi al Re, saltel­lando)

Bocconcino tenero! Caro!

Agnelletto di latte!

Mi fai smuovere il sangue!

IL MUTO                      - (con un grido indica qualche cosa addosso al Re).

Lo STORPIO                 - (indicando Itti pure) Il sangue! Il sangue!

VOCI TREPIDE           - Dove?

Lo STORPIO                 - Là, nella bocca, il sangue...

TUTTI                            - (come affascinati) Il sangue!

Gli va in bocca! Se lo beve!

Uh, quello è nettare. È roba da leccarsi le dita.

Fallo provare anche a noi!

Facci scaldare!

Il sangue!

(D'un tratto si fermano: scende già per la quercia La vedetta, con un coltello fra i denti, giunge alle spalle del Re, fa per colpirlo).

LA DONNA                  - (con un grido) No! Non così. Questo è stato un gran Re. Anche la morte deve essere da Re! Presto, correte, radunate tutti, con le campane, i tamburi, come quando c'è il fuoco! Ma prima, an date a casa di SPARAMOSCA, il cicco. Gli dovete dire che il Re, mentre fuggiva, è stato preso, da una donna di strada; che venga, a giudicarlo.

I MENDICANTI           - (correndo via e gridando, con voci man mano più lontane) E’ preso il Re. È preso il Re. È preso il Re.

(Non sono ancora usciti che già si sente, leggero, un rullo di tamburi).

IL GUERCIO                - (ultimo, prima di sparire) – Nadir! Andiamo a prenderti la sposa!

SCENA QUARTA

LA DONNA                  - (dopo un silenzio) La tua spo­sa: la morte. T'ha da entrare dentro, questa parola, come un ago. Su, torciti! Morsica! Urla! Guardati bene intorno, guarda la luce, pigliala coi denti, che do mani, qua dentro... (gli tocca il volto) ne ro, terra. Senti? Pare un respiro: sono gli alberi, il vento. Sarà l'alba, tra poco. É sereno. Aggrappati, Nadir: ogni cosa ti lascia, ti dice addio. (Toccandogli la go la) Ti batte il cuore. Quanto sangue por­tavi, eh?, dentro qui, quanta gioia, pa rolc... Resterà tutto qua dentro, sepolto. (Udendo l'eco dei tamburi) Presto, presto, ti voglio pettinare, profumare... (Quasi con una danza, scoprendo dai cenci la veste regale) La sposa tua dirà : che bella fronte... che bella bocca... iA poco a poco) S'accosterà, ti prenderà... Ti dirà: Sposo mio. Gioia mia... e molto bello sentire il il tuo respiro... stare così... (D'un tratto, scostandosi) . Che hai?

IL RE                             - (ha chinato il capo).

LA DONNA                  - (timidamente) Nadir, tu sei sempre stato così orgoglioso... ora piangi?

IL RE                             - Maidune! Povera Maidunc!

MAIDUE                       - (fa per fuggire, si copre il volto).

IL RE                             - Molto ti sei mutata, non t'avevo riconosciuta! (Un silenzio; ed ecco torna l'eco dei tamburi) Ascoltami, Maidune: qui nella mia cintura c'è una piccola fia­la di vetro rosso: dammela.

MAIDUNE                    - (s'alza, prende la fiala).

IL RE                             - Ritroveranno, qua, davvero un kc. (Con un sorriso) Mi pare il solo modo per evitare confìdenzet Voglio così.

MAIDUNE                    - (mette la fiala in seno).

IL RE                             - Che fai?

MAIDUNE                    - (lo scioglie dalla corda).

IL RE                             - Mi sciogli? (Muove qualche passo, respira forte; il suono dei tamburi lo fa volgere) Dov'è il mare?

MAIDUNE                    - Laggiù.

IL RE                             - (fuggendo) Addio, Maidune.

MAIDUNE                    - (verso il Re, che è sparito) Ad­dio, Nadir. (Leva la fiala, beve) Addio.

IL RE                             - (riappare).

MAIDUNE                    - (quasi timidamente) La strada è sotto, fra gli alberi. Non puoi sbagliare.

IL RE                             - (avvicinandosi) Perché mi salvi?

MAIDUNE                    - Presto, s'avvicinano.

IL RE                             - Io t'ho scacciato, t'ho fatto del ma­le. Senti? Verranno qui, si vendicheranno su te.

MAIDUNE                    - (ha chinato il capo, non risponde).

IL RE                             - (cercando di guardarla) Perché fai questo?

MAIDUNE                    - (dopo un silenzio, con altra voce) Nadir, come potevo fare diversamente?

IL RE                             - (le prende le mani),

MAIDUNE                    - (ritirandole) No, no! Non sono più quelle d'un tempo. Forse tu non mi vedi, ma sono tutta sciupata, ho tanta vergogna, rimorso...

IL RE                             - Perdono!....

MAIDUNE                    - (stupita) Io, perdonarti? Nadir, come sci buono!

IL RE                             - (con un singhiozzo) Perdono!...

MAIDUNE                    - (piegandosi su lui) Prima, ti sei fatto male? Qui, t'ha ferito, la corda. Fammi vedere.

IL RE                             - Oh, Maidune! Mi pare di svegliar­mi. Conosco quel che sia pietà, dolore... (Si volge al suono dei tamburi) Una nave ci attende: partiremo. (Come al primo at­to, con quella stessa voce) Poi, là, ci fer­meremo, fabbricheremo città, palazzi! Gli anni davanti a noi, saranno come una strada...

MAIDUNE                    - (chiudendo gli occhi) Quanto mi piaceva sentirti! Così, dicevi. Fu qui. (Stringendosi a lui) Fammi appoggiare co­sì, come allora.

(Si odono tamburi, sempre meno lontani).

IL RE                              - Vieni!

MAIDUNE                    - (con civetteria, imitando) Vorrei guardarmi in uno specchio! (Ride).

IL RE                             - (inquieto) È già l'alba.

MAIDUNE                    - (come meravigliata) Ma che co­sa è questo, Nadir? Come se avessi qui dentro... un fiume, un cielo... Mi pare­va di doverti lasciare. E invece non e vero.

IL RE                             - Maidune!

 

MAIDUNE                    - uove sci stato tutti questi gior­ni? (Toccandolo) Questa è la tua mano... i tuoi capelli, sei tu! Ah, non credevo che si potesse essere così contenti! (Appoggian­dosi a lui) Vedi, sono un po’ pigra. Ho corso, ho riso, che lunga giornata! Ora ho sonno.

IL RE                             - Sei fredda!

MAIDUNE                    - Gli sposi dormono abbracciati, l'albero batte alla finestra...

IL RE                             - (timidamente, facendola sedere) Non ti ricordi più? Si fa tardi.

MAIDUNE                    - Mettiti qui, sopra me. No, non ini pesi: come puoi pesarmi? (Accarezzando con la guancia la mano del Re) Dormi con me, ti tengo per mano. Quan­do ci sveglieremo troveremo l'acqua chia­ra. Saranno preparate belle scale, campane d'oro. Dormi, dormi. Il tuo guanciale sarà sempre la povera Maidune. (Ella sembra addormentarsi).

IL RE                             - (d'un tratto, come un bambino) Senti, c'è una cosa che devo dirti, una cosa importante! Io ho avuto sempre in­torno crudeltà, cattiveria; ero come un bambino. Ora invece, Maidune... mi pare di svegliarmi. Sento qui le tuo mani.. appassite, ferite! Sono più belle di prima, Maidune. Volevo dirti che anche io... Ero tanto orgoglioso, non volevo dir nulla; invece, guarda: i capelli. Forse tu non li hai visti : mi sono diventati grigi. Ora però non mi lascerai mai...

(S'avvicina un vocio, con rombo di tam­buri).

VOCI LONTANE         - A morte! A morte! Correte!

IL RE                             - Ma perché non rispondi?

(Entra una torma di gente con torce).

SCENA QUINTA

IL POPOLO                  - (da fuori) Datecelo, datecelo vivo. (Irrompendo e protendendo le torce) Eccolo !

Fate cerchio.

Ce! È nostro!E’ nostro!

E adesso balla, o Re!

E’ arrivato il tuo giorno.

Ma che fa? Lume!

Allegro, SPARAMOSCA!

È preso. È vivo. Vieni!

SPARAMOSCA, eccotelo.

(È entrato SPARAMOSCA, cieco, condotto da un bambino).

SCENA SESTA

SPARAMOSCA           - Dov'è?

UNO DELLA FOLLA - Davanti a te.

SPARAMOSCA           - (scostando da sé gli accompa­gnatori) Solo. Lo piglierò come un coniglio. (Avanza brancolando) Hoplà, hop-là, Maestà: a mosca cicca! (Fermandosi un attimo) Ti sento il cuore. Potrei conta­re i colpi. Hoplà, hoplà. (Quasi tenero) Dove sei? Vieni, fiore, tesoro. (Sollevando il volto) Ah che delizia! Che tepida morte! Durerà troppo poco. Troppo tempo invece ho passato a figurarmi questo: notti e notti, Nadir; dopo le quali per me non era mai alba, (Con improvvisa solennità, credendosi di fronte al Re, che invece è altrove) Sono io, SPARAMOSCA, il comme­diante, il bugiardo, il ladro, il cieco, ve­nuto a giudicarti. Niente di quel che hai fatto o permesso d'ingiusto sopra i cit­tadini di questa nazione a te sottoposti, fu cancellato: tutto è qui: come una cifra nel libro di un usuraio. Non camminavi sopra granelli di sabbia, ma sopra uomini a te uguali: feristi una so­stanza viva, eterna; ogni atomo del male da te causato, s’allargò come una leb­bra, generò masse, macigni di male, rovine irreparabili: e tutto questo è qui: ti sta davanti, come un monte. (Si alza davanti al viso una scure come un libro) Leggo il tuo conto qui sopra. Che hai da dire, cattivo debitore?

IL RE                             - (levando il viso da Maidune) Non mi risponde. Aiutatemi!

SPARAMOSCA           - (un po' stupito) Chi, dunque, non ti risponde? II tuo dottore, la tua guardia? Olà, guardie! La tua fortuna, la tua potenza? Erano esse, che ti facevano sembrare alto. Ora, solo, sei verde di pau­ra. Ed io davanti a te, coperto di polvere, io il più gramo di questi uomini, sento che posso davvero giudicarti.

IL RE                             - (c. s.) Ha gli occhi chiusi, non sente!

SPARAMOSCA           - (turbato) Ma, quali occhi dun­que sono chiusi, oltre questi? (Agli astan­ti) Che c'è, davanti a me?

UNA VOCE                  - Lui, il Re. Sta chino sopra Mai-dune, che è morta. (Un silenzio).

SPARAMOSCA           - (trova a tentoni il bambino che lo accompagnava) Enzo, sei tu. Che cosa ha detto colui?

IL BAMBINO               - Che MAIDUNE è morta.

SPARAMOSCA           - Forse è quella Maidune, quella graziosa ragazza che per tanto tempo venne con me, e poi partì?

IL BAMBINO               - Sì, è lei.

SPARAMOSCA           - (si volge in silenzio) Dove sei, Maidune?

IL RE                             - (come intimorito, si scosta).

SPARAMOSCA           - (sopra la morta) Sei tu, ti ri­conosco. T'ho cercata tanto.

IL RE                             - (con stridulo grido) Non mi sentiva. Non mi sentiva più! (Breve pausa) Ma io... sono il Re! Sono il Re! Io chiamerò sapienti...

LA FOLLA                   - (immobile, con voci sommesse) È morta.

IL RE                             - Darò oro, ricchezze...

LA FOLLA                   - È morta.

IL RE                             - Chiamerò Dio, griderò... Voglio, vo­glio...

LO SCHIFOSO UFA’  - Che vuoi, che vuoi, testa vana? Prima hai voluto perderla; adesso che l'hai persa la rivuoi; sei passato su noi come una ruota di carro; credi di cavartela con due guaiti?

IL POPOLO                  - (trascinando Nadir davanti a SPARAMOSCA) Eccolo, cieco.

UNO                              - (dando al cieco una scure) Questa è la scure. È tuo.

SPARAMOSCA           - (s'accosta lentamente al Re; ma la sua mano lascia cadere la scure) 0 povero Re, hai imparato a piangere, an che tu! Ora sì, che sei giunto.

VOCI                             - SPARAMOSCA, che fai, gli perdoni? - Lo sai, chi f ha accecato?

SPARAMOSCA           - Dissi a costui, una sera, che un pezzente, chiamato SPARAMOSCA, poteva far doni anche ai Re. Tutto il suo sangue e tutto il sangue del mondo non potrebbero più dare un solo breve respiro a quella che nVè cara. (Con un gesto da cieco) Non v'è più nulla per me, soltan to... un calpestìo sopra la terra... questo respirare, chiamare... singhiozzi, addii: un grande affanno, intorno, come un vento. (Verso la morta) Forse esso sale sopra di noi, Maidune... (Ognuno alza la testa verso l'alto).

IL RE                             - (singhiozza).

SPARAMOSCA           - ... diventa un dolce suono...

IL RE                             - (singhiozza).

SPARAMOSCA           - ... un chiarore. Ti sveglierai.

LA FOLLA                   - (con sommesso mormorio) Oh dolcezza. Oh frescura. Le sue parole scendono su noi come rugiada.

SPARAMOSCA           - L'alba e spuntata?

UNA VOCE                  -  Le stelle impallidiscono.

SPARAMOSCA           - Maidune, e noi adesso ti leveremo i cattivi ricordi come pagliuzze dai capelli, ti culleremo con belle musiche, ti laveremo le mani ferite, ti vestiremo da sposa.

(È cominciato un suono di flauto, come una volta; due fanciulle, con manti, pettini e ghirlande, ornano MAIDUNE morta).

UNA FANCIULLA      - (pettinando la morta) Ha i capelli assai fini.

L’ALTRA FANCIULLA     - Com'è piccola e delicata!

LA PRIMA                    - Le sue guance sono ancora fre­sche di lacrime.

IL RE                             - (d'un tratto ha un grido) Ma che è questo? Guardatela: risplende! Manda lu­ce, come nel primo giorno!

VOCI                             -  Oh meraviglia. Tutta la selva s'illumina.

IL RE                             - (smarrito) Ma dunque io non la vedevo... Ah, è troppo, è troppo. Mi fa male qui il cuore.

(il Re si volge singhiozzando all'uno e all'altro degli astanti. Ma questi sembrano non più vederlo, né udirlo. Stanno come assorti nel suono del flauto, a guar­dare la morta. D'un tratto, sull'orizzonte giù chiaro, appare Anfis).

IL RE                             -  Ditemi una parola. Mi pento, m'in­ginocchio! Guardatemi, almeno; guardate che cosa è stato fatto di me! Ma è possi bile che nessuno, che niente abbia pietà? Ah, sono stanco, scavatemi la fossa, fa temi morire... (S'interrompe, il suo braccio s'abbassa),

ANFIS                           - (è scivolato accanto a lui, gli ha messo una mano sulla spalla) Svegliati, Re Na­dir. Le navi sono pronte, si fa giorno sui golfo. Forse è nato per te, dal buio, un mondo nuovo...

UNA FANCIULLA      - (mentre alcuni sollevano la morta e si accingono a portarla via) Le metteremo vicino l'ultima uva d'autunno.

L’ALTRA FANCIULLA- E questa piccola lucer­na, per tenerle compagnia.

ANFIS                           - (conducendo IL RE verso il mare) Il vento, ascolta il vento che ti chiama. Vie­ni : la terra seguita il suo cammino.

SPARAMOSCA           - (camminando accanto alla mot ta e cercando di sfiorarla con le mani) Vedi? Avevamo pensato tante cose per te. Tu sei tornata, ma non ci guardi, non ci dici nulla.

ANFIS                           - Ti aspettano meravigliose tempeste, cose stupende e prossime a morire, la crime sempre più ardenti.

(il Re scompare con Anfis).

SPARAMOSCA           - (c. s.) Le nostre povere mani come potranno ormai cercare nel mondo la primavera, la gioia? Tutto resterà qui con te, rome un guanciale sotto i tuoi ca pelli.

(Ed ecco, lontano, si odono squilli e una voce).

UNA VOCE                  - (dal mare) . Allegri. Allegri. Passa sul mare IL RE Nadir, che va verso terre felici.

(Immobili e come incantati, tutti ascoltano questa voce e gli squilli, mentre le vele sul mare, si fanno sempre più piccole).

FINE DEL DRAMMA