L’istinto

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L’ISTINTO

Commedia in tre atti

Di HENRI KISTEMAEKERS

PERSONAGGI

IL PROF. GIOVANNI BERNOU

IL DOTT. ANDREA BERNOU

LANTRIQUET

PIETRO

IL PORTALETTERE

CECILIA BERNOU

TERESA LAUGIER

BERTA

Nei dintorni di Parigi, oggi.

Ha un grande chirurgo il diritto di ri­fiutarsi a correre in aiuto di un mori­bondo, sapendo che sua moglie ama l'in­felice che la scienza e la sua abilità po­trebbero salvare? Questa nobilissima tesi, che ha sempre appassionato il pub­blico e messo in imbarazzo i medici interrogati in proposito, è servita a uno dei più grandi commediografi europei, Henri Kistemaekers, per la sua comme­dia «L'istinto». La vicenda drammatica, evolta mirabilmente dall'autore, ha susci­tato in tutti i teatri del mondo - dove la commedia ha sempre ottenuto il più grande successo - vivaci discussioni. Presentando ai lettori questa commedia, siamo certi che l'interesse non sarà per nulla diminuito alla lettura poiché, oltre l'episodio del quale è protagonista un grande chirurgo, rimane questo l'interrogativo implacabile ma profondamente umano: è più forte l'istinto del proprio dovere o l'orgoglio del proprio onore?

ATTO PRIMO

A S. Cloud, d'estate. Il salotto di una villa moderna, visto d'angolo. A sinistra, una vetrata che dà su una terrazza. Nel fondo, verso destra, un'apertura ad arco in angolo come la vetrata, che comunica con una specie di loggia, la quale dà su un corridoio in cui si apre una porta che conduce in una camera. Un'altra porta a destra, in primo piano. Sono le 18. Il sole è al tra­monto.

La scena è vuota. La vetrata è spalancata. Si sente fischiettare un motivo popolare. Una voce grida da lontano: «Posta! ». Ripresa della can­zone, dopo di che il Portalettere appare sulla terrazza.

Il Portalettere                - (apparendo alla vetrata) Posta! (Pietro entra da destra).

Pietro                            - Eh, sai! C'è il postino nuovo!... E' sempre la stessa musica!... (Al portalettere) Questi altri giorni mi farete il piacere di pas­sare dalla parte della servitù. Avete capito?... Avete lettere?

Il Portalettere                - (figura aperta e gioviale) E cosa volete che abbia?

Pietro                            - Potreste anche avere dei giornali, pezzo d'imbecille!

Il Portalettere                - Infatti li ho, signor Mae­stro di Casa!(Estrae dalla borsa un pacchetto di lettere e le consegna ad una ad una) Signor Professor Giovanni Bernou, Direttore della Cli­nica dell'Ospedale Beaujon, Boulevard Hauss-mann, 20. Far seguire: Villa delle Terrazze, S. Cloud... Non è qui?

Pietro                            - Crederei!

Il Portalettere                - (altra lettera) Dottor G. Bernou, medico chirurgo degli Ospedali... (Al­tra lettera) Al Dottor Giovanni Bernou, Profes­sore dell'Accademia di Medicina.(Altra lette­ra). Prof. G. Bernou, Presidente dell'Accade­mia di Chirurgia... (Interrompendosi) A parte queste cariche... che cos'è veramente il vostro padrone?

Pietro                            - Come?! Non sapete?! Ma di dove venite?

Il Portalettere                - Da Belleville!

Pietro                            - Parigino?

Il Portalettere                - Puro sangue!

Pietro                            - E non conoscete il prof. Bernou, il gran Bernou, come lo chiamano? Uno dei più famosi chirurghi dei nostri tempi?

Il Portalettere                - Non appartiene al mio ramo!...

Pietro                            - Il gran Bernou, l'inventore della pinzétta emostatica e del processo di riduzione delle ettopie cardiache!

Il Portalettere                - (stupefatto) Di che?...

Pietro                            - All'ultimo congresso di Milano gli è stata fatta un'altra solenne acclamazione.

Il Portalettere                - Che me ne viene di tutto questo?

Pietro                            - Se aveste la cancrena non direste così! Sareste ben contento di trovare un Gio­vanni Bernou che vi prendesse in cura!

Il Portalettere                - Andate al diavolo voi e le vostre profezie!... Io mi curo con la grappa!(Altra lettera) E questa?... Sig. Dott. Andrea Bernou... Andrea?! medico chirurgo degli O-spedali...

Pietro                            - E' il fratello del grand'uomo. Vie­ne a passare qui l'estate.

Il portalettere                - E lui cos'ha inventato?

Pietro                            - (con disprezzo) Niente. E' un sem­plice medico, il piccolo Bernou... Un brav'uo-mo, ecco tutto!(Con importanza) E' come chi dicesse un povero « diagnostico »... E poi, non ha la mano ferma... per niente!

Il portalettere                - Perbacco! Avete l'aria di intender vene, voi!

Pietro                            - D'intendermene?

Il portalettere                - Voglio dire che avete del sale in zucca.

Pietro                            - (con importanza) Sono cose così fa­cili! Basta saperle...

Il portalettere                - (mostrando un'altra lettera) Guardate un po' questo indirizzo. Voi do­vete conoscere anche questa persona... sig. Lu­ciano d'Arteuil- Villa Gabri...

Pietro                            - Certo che lo conosco!... Appena oltrepassato il cancello, voltate a sinistra... ci sarete in un momento... Il tempo di fare una pipatina.

Il portalettere                - (andandosene) Grazie tante.

Pietro                            - (trattenendolo) Allora ci siamo in­tesi, eh? Fate il giro della villa, domani... co­minciate la distribuzione dalla servitù...

Il portalettere                - Non dubitate. Arrivederci.

(Il portalettere esce e s'allontana fischiettan-dò la sua canzone. Pietro, borbottando fra i denti, mette in ordine la corrispondenza su di un tavolino. Berta entra).

Berta                             - (entrando) C'è la posta?

Pietro                            - Come vedete.

Berta                             - C'è niente per la signora?

Pietro                            - (sgarbato) Guardateci! (Esce).

Berta                             - Vecchia mummia!... (Guarda gli indirizzi delle lettere).

(Lantriquet entra dal fondo, senea che Berta se ne accorga, e la tocca sulla spalla, facendola trasalire).

Berta                             - Ah, siete voi? Bel gusto farmi paura!

Lantriquet                     - (indicando le lettere) Buona pesca?

Berta                             - Neppur per sogno! Tutta roba del professore. Del resto, non è più il postino, ora, quello che porta la corrispondenza della si­gnora!

Lantriquet                     - Ah! ci sono delle novità?

Berta                             - Se ce ne sono molte!

Lantriquet                     - (guardandosi attorno) C'è nes­suno?... Si può parlare liberamente?

Berta                             - In ogni modo sbrigatevi e non alza­te la voce.

Lantriquet                     - Avete visto il vostro... spasi­mante?

Berta                             - Ehi! Potreste anche usare altri ter­mini!

Lantriquet                     - Non guardate a certe sotti­gliezze!

Berta                             - Ho visto Leone, il domestico del si­gnor Luciano d'Arteuil.

Lantriquet                     - Se dicevate « il mio spasiman­te », facevate più presto!... Ebbene?

Berta                             - Complicazioni.

Lantriquet                     - Davvero?!... E cosa c'è di nuovo?

Berta                             - Prima di tutto Leone s'è accorto che il signor D'Arteuil comincia a diffidare di lui.

Lantriquet                     - Male! Male!

Berta                             - Oh, ma Leone... è una volpe vec­chia!

Lantriquet                     - Non fate dei giuochi di paro­le! E poi?

Berta                             - Poi c'è qui, fino da sabato, una... come si direbbe?... una confidente!

Lantriquet                     - Ahi! Ahi! Ahi!

Berta                             - Una scimmietta d'istitutrice... un'a­mica d'infanzia della signora. Sono state mae­stre insieme... La signora l'ha invitata a passar qui l'agosto. Così, fino dal primo giorno...(Lan­triquet si siede) Non vi sedete; potrebbe venir gente!... Dunque, fino dal primo giorno, è un continuo chiacchierare con abbracci...

Lantriquet                     - Confessioni, consigli, tenerez­ze, conforti... ho capito!

 Berta                            - - Stanno insieme tutto il giorno a par­lar sottovoce in giardino o in terrazza, e spesso chiuse di là... in camera della signora! Quanto a sentir quel che dicono... ci vorrebbe altro!... Fino ad ora non son riuscita ad afferrare una sillaba! Quando passo io... silenzio di tomba!

Lantriquet                     - Che sciocca! 0 non c'è il buco della serratura!

Berta                             - Sì! vorrei vedervici voi, al buco del­la serratura!... Quella stupida diplomata ha un fiuto!... Altro che il bracco del padrone! Del resto, da quando ho lasciato il mestiere di sarta per far la cameriera, l'ho sempre detto: il no­stro maggior nemico è... l'istitutrice!

Lantriquet                     - Approvato!(Sentenzioso) L'i­stitutrice, nelle famiglie agiate, per la sua posi­zione intermedia, sembra fatta apposta per spiare i vizi della cameriera e i segreti della signora!

Berta                             - Scherzate pure: è la verità!

Lantriquet                     - Ma non perdiamoci in chiac­chiere... E poi?

Berta                             - Zitto!... (Tende Vorecchio. Una pausa) Niente!

Lantriquet                     - Dunque, concretiamo: che al­tro sa fare la vostra istitutrice?

Berta                             - Sa... portar le lettere.

Lantriquet                     - Come!? è lei che?!...

Berta                             - S'intende. Quando va dal signor D'Arteuil, la signora è nervosa... sembra sulle spine!... Poi quando la signorina Teresa ritor­na...

Lantriquet                     - Teresa?!

Berta                             - La diplomata... Quando ritorna lei il chiacchierio ricomincia!...

Lantriquet                     - Ma lui... lui?

Berta                             - Chi?

Lantriquet                     - Lo spasimante!

Berta                             - Leone?

Lantriquet                     - (impaziente) Ma no... D'Ar­teuil! Non viene più qui?

Berta                             - No.

Lantriquet                     - (sorpreso) E come mai?

Berta                             - Leone, che se ne intende, dice che è uno stratagemma per indurre la signora ad andare da lui. E se la signora ci va, capite be­ne... il colpo è fatto!

Lantriquet                     - Furbo l'amico!... E il marito, non sospetta di nulla?

Berta                             - Per l'amor di Dio!(Alzando le spalle) Unchirurgo!... Ha altro da pensare!... Nondimeno non è uomo da lasciarsi prendere in giro... L'altro giorno gli ho visto mettere alla porta un individuo!...

 l'istinto

 Lantriquet                    - Chi?

Berta                             - Un vicino che veniva a reclamare, minacciando di tirar una fucilata al cane, al nostro Tom, se entrava un'altra volta nel suo campo... Ebbene, il padrone gli è saltato addos­so e l'ha cacciato fuori!... Se aveste visto!... Io tremavo come una foglia!

Lantriquet                     - (impressiontato) Ma che!? Lui, violento? (Inquieto) Senti, senti!(Un mo­mento di riflessione, poi, quasi a parte) Ma no, ma no, niente paura!... (Forte) Allora, mia ca­ra, riepiloghiamo... Avete altro da dirmi, oggi?... (Silenzio di Berta) Affari magri, affari magri!(C. s.) Tutto quello che mi avete riferito vale ben poco...

Berta                             - (esitante) Avrei qualcosa di meglio, ma...

Lantriquet                     - (dopo una pausa) Ma?...

Berta                             - Ma... (Decisa) Solo che... giù le mani!... Conoscete i miei princìpi: informazio­ni quante ne volete, ma documenti... niente! non è affar mio.

Lantriquet                     - (molto interessato) Avete un documento?

Berta                             - (estraendo dal seno un biglietto) Sì... fresco, di stamani.

Lantriquet                     - Oh, oh! delle zampe di galli­na! Benone! E la provenienza?

Berta                             - E' del signor D'Arteuil!

Lantriquet                     - (indicando gli appartamenti) Per?...

Berta                             - Sì.

Lantriquet                     - Magnifico!

Berta                             - Era tutto spiegazzato... L'ha raccol­to Leone sotto la scrivania...

Lantriquet                     - Una minuta?!... Preziosa ugualmente. Le vostre azioni sono in rialzo. Fa­temi vedere.

Berta                             - Adagio!

Lantriquet                     - Leggete allora.

Berta                             - (leggendo) « Venite, vi supplico; l'at­tesa mi uccide. Voi sapete ch'io sono ammalato, e che mi rimangono pochi giorni di vita: illu­minateli almeno con la vostra presenza!... ».

Lantriquet                     - Un po' retorico, ma di effetto sicuro sulle istitutrici!...

Berta                             - Come scrive bene, eh?...

Lantriquet                     - Avanti, avanti!

Berta                             - - «Venite stanotte; venite, è neces­sario! Passate dal giardino dei Silvani. Io vi aspetterò alla fine del viale, verso l'una. Vi aspetterò fino a che non siate venuta! ».(Com­mentando) Fino a che non siate venuta!... Non ci sarebbe da far impietosire le pietre?

 Lantriquet                    - E' tutto qui? Non c'è altro?

Berta                             - Il resto è stato strappato.

Lantriquet                     - E... dopo aver gettato via que­sto biglietto, questa lettera... D'Arteuil l'ha ri­scritta?

Berta                             - Credo di sì.

Lantriquet                     - L'ha visto scrivere, Leone?

Berta                             - Mi ha detto di sì.

Lantriquet                     - E la lettera è stata inviata a destinazione?

Berta                             - (gesto che significa: non so) La si­gnorina Teresa è da lui in questo momento.

Lantriquet                     - (fregandosi le mani) Benone! benissimo!.. Come dice la lettera? «Stanotte », non è vero?

Berta                             - Sì...

Lantriquet                     - L'appuntamento sarebbe dun­que fissato per...

Berta                             - Per stanotte stessa.

Lantriquet                     - (al colmo della gioia) Brava! Queste informazioni sì che hanno un certo va­lore!... Sapete quanto valgono?...

Berta                             - Venti franchi!

Lantriquet                     - (estraendo dal portafoglio il de­naro) Ecco!(Berta tende la mano per pren­derlo, Lantriquet ritira un po' la sua) Ma chi mi prova l'autenticità di questo documento?

Berta                             - Come?!

Lantriquet                     - Chi mi prova che non sia il vostro spasimante quello che...

Berta                             - (senza riflettere) Questa la scrittura di Leone?!

Lantriquet                     - (afferrando il biglietto) Gra­zie!(Porgendole il denaro) Ecco l'equivalente!

Berta                             - (cercando di riprendere il biglietto) No, no! E' un'azione disonesta! Rendetemelo, rendetemelo! Io vi ho avvertito... ve l'ho detto...

Lantriquet                     - (porgendo il denaro) Lo vole­te, sì o no?

Berta                             - (prendendo il denaro) Voglio il bi­glietto! Me lo dovete restituire; avete capito? Voglio il mio biglietto!...

Lantriquet                     - Ma andiamo, via, non scher­zate...

(La porta si apre ed essi si separano; Pietro entra).

Pietro                            - (a Berta) Siete ancora qui?... Sono cinque minuti che la signora scampanella!

Berta                             - (imbarazzata) Ero sul cancello, quando ho incontrato questo signore... che mi ha domandato...

Lantriquet                     - (con disinvoltura) Se il dottor Bernou riceveva.

Pietro                            - (a Berta che non se ne va) La signora vi chiama... Andate, dunque!(Berta esce. A Lantriquet) Il dottor Bernou?... quale?...

Lantriquet                     - Il professore.

Pietro                            - Il professore non torna mai a casa 13rima delle diciotto e mezzo.

Lantriquet                     - C'è tempo allora! Per fortu­na, son paziente di natura!...

Pietro                            - Se vuol seguirmi in anticamera... (Lantriquet lo segue. Pietro si ferma davanti alla prima porta di sinistra) Chi debbo annun­ziare?

Lantriquet                     - Lantriquet, detto « l'intellet­tuale » della sala N° 16. Il professore se ne ri­corderà certamente; vedrete.

Pietro                            - (borbottando fra i denti) L'intellet­tuale?!(Apre la porta facendosi da parte, men­tre dalla destra entra Cecilia) Passi pure... (Lan­triquet scompare).

Cecilia                           - (inquieta e nervosa) La signorina Laugier non è tornata?

Pietro                            - No, signora; non ancora.(Guar­dando dalla parte della terrazza) Eccola che arriva...

Cecilia                           - Potete andare.

(Pietro esce. Cecilia si precipita incontro a Teresa).

Cecilia                           - Ah! sei qui, finalmente!

Teresa                            - (togliendosi il cappello) Non ne posso proprio più! Ah! D'ora in avanti, ti pre­go di volermi risparmiare certe scene! Son su­periori alle mie forze!

Cecilia                           - Che scene?

Teresa                            - Non indovini?

Cecilia                           - (in tono strano) Sembri molto com­mossa, infatti!

Teresa                            - Come potrei non esserlo?

Cecilia                           - Se il tempo che hai passato là ti era così penoso, perchè ci sei rimasta tanto?

Teresa                            - Che cosa intendi dire?

Cecilia                           - Che nel fondo di quelle pene ci doveva pur essere qualche cosa di piacevole, poiché l'incarico che ti avevo affidato non ri­chiedeva tutto questo tempo!

Teresa                            - E sei tu che mi parli così?...

Cecilia                           - E perchè dovrei astenermene? Non c'è nulla che ti possa offendere nelle mie pa­role... almeno mi pare!... Ma mi sorprende!... Tu sai ch'io aspetto ansiosa il risultato della tua gita, con la morte nell'anima... e tu non torni! rimani... rimani là un'eternità!... Lo so, lo so che la sua conversazione non è senza fasci­no…: il fascino della tristezza... il fascino di quei grandi òcchi chiari e profondi..; pieni di desideri e di lacrime... Ma tu potevi scegliere un altro momento, per godere di quel fascino... dovevi pensare a me!...

Teresa                            - Gelosa! Mia povera Cecilia! Vedi bene che tu l'ami!

Cecilia                           - E se l'amassi?... Ne ho ben il diritto, mi pare!

Teresa                            - Non si tratta del tuo diritto... si tratta della tua felicità.

Cecilia                           - La mia felicità riguarda me sola.

Teresa                            - E chi te la contesta? Ma, allora... perchè questa commedia, della quale io sto per divenire lo zimbello?... Perchè mettermi di mezzo? Tu mi mandi da lui a dimostrargli la sua follia, a confermargli che non corrisponde­rai mai ad un amore impossibile, m'incarichi di dirgli delle cose crudeli e risolute... e poi non sono che delle menzogne! Non comprendo più nulla!

Cecilia                           - Forse, comprendo io più me stes­sa?... (Pausa) Riesco appena a comprendere che sono stata un'altra volta ingiusta e brutale!(Fa degli sforzi sovrumani per trattenere le lacrime) Perdonami, Teresa, in questi giorni io sono così irritabile, esaltata... in preda ai miei nervi... Questa lotta che si prolunga mi esaurisce. La mia pietà...

Teresa                            - (interrompendola con amarezza La tua pietà!...

Cecilia                           - Sì, la mia pietà! Ah! non credere a ciò che ti ho detto or ora! Non è vero che l'a­mo, capisci? Non è vero!

Teresa                            - (con un gesto di scoraggiamento) Lo dici!...

Cecilia                           - (molto turbata) Lo credo almeno!(Pausa) Dunque... che cosa gli hai detto?

Teresa                            - Tutto ciò che si può dire in casi simili... delle parole inutili!...

Cecilia                           - E lui?...

Teresa                            - Lui... sempre con quell'idea fissa nella mente: « Ah!supplicatela di venire!Che venga... che venga... Voglio vederla... Voglio sentir la sentenza dalle sue labbra... L'accetterò rassegnato... Ma che venga, che venga! ». E' im­possibile fargli cambiar idea!

Cecilia                           - E perchè, lui, ha preso l'improvvi­sa decisione di non venirci più qui?

Teresa                            - La presenza di coloro che ti circon­dano gli riesce insopportabile: tuo marito, tuo cognato, io stessa... sì, anch'io! Ci odia tutti!... Quanto ama te!... Ah! questi esseri sofferenti hanno una tal potenza di sensazioni, una tale energia d'amore e di odio alle quali non si può resistere! Tieni... è un biglietto che mi ha con­segnato per te. (Glielo porge).

Cecilia                           - (con dolcezza) Ti avevo raccoman­dato di non...

Teresa                            - Mi sono rifiutata! Ma come resi­stere davanti a quelle labbra che tremano d'an­goscia, davanti a quelle pupille febbrili che ti affascinano e a quelle lacrime mute? Infine, non sono che una donna, mia cara Cecilia! Te l'ho detto... tutto ciò è superiore alle mie for­ze!... Non so resistere!

Cecilia                           - (dopo aver letto il biglietto) Ma è pazzo!... Lo sai cosa mi domanda?

Teresa                            - Lo so.

Cecilia                           - Questa notte?!... Ma è pazzo!... Senti, bisogna assolutamente... (Entra Andrea).

Teresa                            - Taci... tuo cognato!...

Andrea                          - (con bonomia) Buona sera, cara cognatina!(La guarda con inquietudine) Anco­ra gli occhi rossi?.. Non ti senti bene?... (A Te­resa che si allontana) Le ho fatto paura, signo­rina?

Teresa                            - Oh no, signore!... Devo finire di scrivere una lettera importante...

Andrea                          - (tendendole la mano gentilmente) Allora non voglio trattenerla... La riverisco.

Teresa                            - (c. s.) A rivederla, signor Dottore.

Andrea                          - (indicando Cecilia) Che cos'ha?

Teresa                            - Niente. I soliti nervi... di tutte le giovani signore...

Andrea                          - Eh, si! Le signore giovani sono come gli orologi vecchi...

Teresa                            - Meccanismi che si guastano...

Andrea                          - Molto facilmente...

Teresa                            - Per fortuna che ci siete voialtri... che siete degli allegri orologiai, pronti ad aprir la cassa dei vecchi orologi per veder che cosa c'è dentro, col pretesto di accomodarli!... De­v'esser divertente!

Andrea                          - Non dirà questo.per me, spero... Io non sono un chirurgo! Ma non voglio più trattenerla...; non voglio che per causa mia lei non abbia a terminare la sua lettera. Il destina­tario potrebbe andare in collera con me!...

Teresa                            - (andandosene) Il destinatario?!... Ma si tratta di una donna!

Andrea                          - Tanto peggio! Le temo più degli uomini.(Teresa esce).

Andrea                          - Vediamo... Parliamo un po' della tua indisposizione!

Cecilia                           - Vuoi auscultarmi?

Andrea                          - (sorridendo) Sì, l'anima!...

Cecilia                           - Mio caro, contentati del corpo! Non ci vedresti tanto chiaro, tu, nell'anima!

Andrea                          - Sei troppo assoluta nei tuoi giu­dizi!

 Cecilia                          - Sono positiva. Auscultarmi l'ani­ma!?... Che cosa le daresti?... Del bromuro, non è vero?... Poi, mi diresti: niente preoccu­pazioni, niente agitazioni, calma, non pensare a niente, aria pura, uova, latte... E se con tutto ciò non diverrai spensierata come una cincialle­gra, è segno che non vi ho messo della buona volontà... o perchè ho lo spirito... ribelle! Eh via, c'è da ridere! (Piange).

Andrea                          - Il tuo strano modo di ridere, da qualche giorno è davvero inquietante!... Credi­mi, Cecilia, bisogna proprio che tu ti curi!

Cecilia                           - Curarmi?!... Scommetto che sono nevrastenica!...

Andrea                          - Ma, certamente!

Cecilia                           - Ecco la gran parola!... Soffri?... Nevrastenia!... Piangi?... Nevrastenia!... Muo­ri?... Nevrastenia!(Con ironia accentuata) Al­lora, dottore, io sarei nevrastenica?...

Andrea                          - Sì; e la tua nevrastenia presenta un caso dei più singolari. Si potrebbe chiamare una nevrastenia medicofoba... Mia cara, che cosa ti hanno fatto infine i medici?... Tu vivi in mez­zo a loro e avrai già potuto constatare che al­meno non sono peggiori dei loro ammalati.

Cecilia                           - I loro ammalati sono meno peri­colosi.

Andrea                          - Ne sei ben sicura?... Sappi allora che l'anno precedente al tuo matrimonio, mio fratello, nel fare un'operazione, s'infisse un bì­sturi nel dito mignolo, e gli si conficcò fino al­l'osso... un bìsturi infetto, capisci?... Nessuno dei suoi assistenti sarebbe stato capace di ter­minare l'operazione! Ebbene, Giovanni la ter­minò; impiegò un'ora per terminarla scrupolo­samente... senza aprir bocca, senza far sapere a nessuno che il virus che s'era inoculato por­tava, con rapidità fulminea, la morte nel suo sangue... E ti giuro che se ventidue incisioni al braccio lo hanno salvato, è stato un vero mi­racolo!

Cecilia                           - E che cosa prova tutto ciò?

Andrea                          - Oh, niente!

Cecilia                           - Che alcuni di voi si fanno del pro­prio dovere un concetto eroico! Sia pure! Bra­vi, ma bravi come chirurghi!... Però la vostra scienza... che cosa ci guadagna la vostra scienza con questi sacrifici personali? Tu hai detto la parola: miracolo!... Un chirurgo si ferisce... ci vuole un miracolo per salvarlo!...

Andrea                          - Oh! permetti...

Cecilia                           - Il vostro sacrificio? Chi ve lo con­testa?... Ma la qualità stessa del vostro sacrifi­cio mette in rilievo la vostra impotenza!... Il male colpisce quelli che vi sono cari, e voi siete incapaci di strapparli alla morte!

Andrea                          - Tu svisi la questione.

Cecilia                           - Niente affatto! io te la metto a nudo!... La vostra scienza!?Un garbuglio di parole astruse e di vane teorie! Ah! tu mi citi degli esempi! Sta bene! Ma non potrei io citar­tene mille che provano la vostra impotenza?

Andrea                          - Sentiamo!

Cecilia                           - Ci tieni?... E' assai facile citare degli esempi! Ce ne son# a migliaia! Ma, guar­da, te ne voglio citare uno solo che abbiamo qui sott'occhio... che si presenta sulla nostra soglia come una bieca ironia...

Andrea                          - Luciano D'Arteuil?

Cecilia                           - Proprio luì! Il tuo amico, il tuo collega, colpito nel fiore della giovinezza, irri­mediabilmente perduto. Ne avrà forse ancora per un anno! Un anno, per lui, è nulla! Per voi, per la vostra scienza, dovrebbe essere un tempo enorme! Un anno per evitare un'agonia! Un anno per combattere e vincere il male!... Se la vostra scienza esiste, ecco che essa ha del tempo davanti a se per combattere la malattia! Ebbe­ne, vediamo! Mio marito con tutto il suo arse­nale di strumenti d'acciaio, e tu con tutte le tue ricette, lo salverete il vostro amico D'Arteuil, lo salverete?... No, non ci pensate neppure! Voi alzate le spalle con un'ammirevole rassegnazio­ne e date la sentenza: « E' impossibile salvar­lo! ». E' impossibile salvarlo! A venticinque anni! Ecco tutto quello che la vostra scienza ha scoperto! Ah! è sublime! In verità, è subli­me!(Lunga pausa. Andrea osserva Cecilia in silenzio)... Non hai nulla da rispondermi?

Andrea                          - Nulla, per ora. Più tardi ricapi­toleremo insieme il cumulo di errori e di contro-sensi che tu hai commesso in questi pochi mi­nuti. Intanto mi basta poterti dire che ne la medicina, ne la chirurgia, hanno la pretesa di impedire il suicidio... Ora D'Arteuil, se tu lo vuoi sapere, s'è procurato egli stesso la tuber­colosi coi suoi eccessi di ogni specie.

Cecilia                           - Cosa intendi dire?

Andrea                          - Che è stato un depravato!

Cecilia                           - (con violenza) E' falso! Ciò che tu dici è falso!

Andrea                          - (pausa) Che cosa ne sai tu?

Cecilia                           - (impacciata) Nulla... evidentemen­ te... E' vero... perdonami... io sono aggressi­ va.. E' assurdo... (Pausa) Hai ragione... Biso­ gna che io mi curi

Andrea                          - (faceìtdo risaltare le parole) E' ne­cessario!(Altro silenzio imbarazzante)

Cecilia                           - (cercando di scherzare) Allora... che cosa dobbiamo dare alla mia anima?

Andrea                          - Una doccia fredda!

Cecilia                           - Cosa hai detto?

Andrea                          - E' efficacissima nelle nevrastenie romantiche!

Cecilia                           - Non ti capisco davvero!

Andrea                          - Non fa niente... Ma a proposito... sai cosa potresti prendere? Potresti prendere, con efficacia, del bromuro... Te lo consiglio... (Cecilia ride) Non so cosa ci sia da ridere!

Cecilia                           - Oh, niente... ne prendo nota.(Sul­la soglia, con leggera ironia) Del bromuro... di sodio, non è vero?

Andrea                          - Perfettamente... a motivo del cuo­re.(Cecilia esce ed egli la segue con lo sguardo, poi, rimasto solo) Ahi, ahi! la diagnosi è cam­biata! (Giovanni entra).

Giovanni                       - Senti, hai degli spiccioli per la carrozza?

Andrea                          - Per la carrozza?! E l'auto? è in panna?

Giovanni                       - Altro che panna! Lo chauffeur dev'essere andato a spasso per conto suo!... Dammi due lire, fammi il piacere. Alle dicias­sette ero ancora sulla porta dell'ospedale ad aspettarlo!

Andrea                          - (frugandosi) Non ho che cento franchi! Pare impossibile! Quando si ha biso­gno di due lire, non si hanno che cento lire!

Giovanni                       - Un tempo, invece, quando si ave­va bisogno di cento lire non si avevano in ta­sca che due lire!... E Cecilia?... (A Pietro che entra) Spero che almeno tu avrai due lire!

Pietro                            - (frugandosi) Sì, signore, le ho.

Giovanni                       - Va' a pagar la carrozza, corri.

(Pietro esce).

Giovanni                       - Dov'è Cecilia?

Andrea                          - Mi ha lasciato in questo momento.

Giovanni                       - Come si sente?

Andrea                          - Non troppo bene.

Giovanni                       - Che ha?

Andrea                          - Nervi!

Giovanni                       - (con impazienza) Ancora?!(A Pietro che ritorna) Prendi.(Gli dà il soprabito e il cappello) Quando torna lo chauffeur, avver­timi!(Pietro esce. Ad Andrea) Dunque?... Co­s'ha Cecilia?... Cosa dici di fare?... Se le fa­cessi cambiar aria?...

Andrea                          - Ci vuol altro!... Bisognerebbe che cambiasse sesso!

Giovanni                       - (preoccupato e in collera) E, sai, mi secca, mi impensierisce, mi dispiace, pro­prio!... Povera Cecilia!

Andrea                          - Vedi... Michelet, che infine uon era che un semplice poeta, non era in errore quando diceva che le donne sono delle mala­te!...

Giovanni                       - E curiamole!(Pietro rientra) C'è l'automobile?

Pietro                            - No, signore. Sono venuto a doman­dare se ha degli ordini.

Giovanni                       - Sì, disinfetta meglio questa roba.(Gli dà l'astuccio degli strumenti chirurgici).

Pietro                            - C'è stata qualche bella operazione, oggi, signor professore?

Giovanni                       - Peuh! Delle riparazioni... (Por­gendogli un paio di forbici) Cambiami queste, non valgono proprio niente!... C'è nessuno- di là?...

Pietro                            - C'è un certo signor Lantriquet... un individuo un po' sospetto... Per me dev'es­sere uno scroccone!...

Giovanni                       - Come si chiama, hai detto?

Pietro                            - Lantriquet.

Giovanni                       - Fallo passar di qua.

Pietro                            - Subito, signor professore... ma badi che non le scrocchi dei soldi!

Giovanni                       - Non preoccupartene. Mi reste­ranno sempre le due lire da restituirti.

Pietro                            - (mortificato) Oh! signor professo­re... mi scusi.(Esce).

Andrea                          - Lantriquet?! Ma aspetta!... lo co­nosco: è l'Intellettuale!

Giovanni                       - L'Intellettuale?!

Andrea                          - Ma, sì... sala 16a... Lo stomaco!... Non ti ricordi di quel tale che si lussò la spalla per rimanere ancora nell'ospedale?... Non ti ricordi delle conferenze che teneva ai suoi com­pagni di sala? Un tipo!... Non ricordi?

Giovanni                       - Ah! sì... ricordo sempre il titolo strabiliante di una sua conferenza: « La legitti­mità del furto dal punto di vista individuali­sta »!... Povero diavolo!... Era stata la miseria che l'aveva condotto all'ospedale!

(Lantriquet, introdotto da Pietro, entra).

Lantriquet                     - (a Giovanni) Lei parlava cer­tamente di me, illustre professore!

Andrea                          - Sì, mio caro, parlavamo di voi. Si diceva che la vostra operazione era riuscita splendidamente!

Lantriquet                     - (indicando la spalla) La pic­cola? - (Indicando lo stomaco) 0 la grande?

Andrea                          - La grande! E' stata senza dubbio una delle più belle laparatomie ch'io abbia ve­duto!

Lantriquet                     - Io non posso dire altrettanto, perchè dormivo.

Andrea                          - Come un ghiro, vi garantisco! Fui io che ebbi l'onore di darvi il cloroformio.

Lantriquet                     - L'onore è stato il mio, signor dottore.

Andrea                          - Allora, a rivederci, caro Intellet­tuale! State bene.(A Giovanni) Hai bisogno di me?

Giovanni                       - Grazie.(Andrea esce) Dunque, la vostra spalla? (Prende il braccio di Lantriquet facendogli fare qualche movimento di flessione, ecc.).

Lantriquet                     - Ahi!

Giovanni                       - (lasciando il braccio) E' ancora sensibile?

Lantriquet                     - Un pochino, signor Professo­re... ancora un pochino.

Giovanni                       - E lo stomaco? Funziona?

Lantriquet                     - Egregiamente! Ed è davanti a un tal fenomeno che c'è da stupire!

Giovanni                       - Che fenomeno?

Lantriquet                     - Ecco: fino a quando la mia condizione sociale - oscillante per molto tem­po fra il vagabondaggio e la miseria - non mi mise nella condizione di chiedere al mio sto­maco una funzione quotidiana, quest'organo in­telligente si rifiutò di servirmi... certamente per disprezzo verso l'incertezza delle sue mansioni... Ma, adesso che mi trovo in buone condizioni economiche, il mio stomaco si mostra di una compiacenza e di un'attività degna d'encomio.

Giovanni                       - Allora, tanto meglio!

Lantriquet                     - Sì, sì... Tanto meglio!... Che consolazione era per me, nel passato, poter dire a me stesso, quando non avevo da sfamarmi: « A che cosa ti servirebbe aver da mangiare?... Lo stomaco non funziona! ».

Giovanni                       - (divertendosi) Davvero!

Lantriquet                     - E sa, signor Professore, quan­do fui ammesso nella sala N. 16 ... ero a dieta da quattro giorni!... Si può figurare con quale sorriso di superiorità mi distesi sulla tavola... operatoria!...

Giovanni                       - Di superiorità?!

Lantriquet                     - Sicuro! Pensavo: questi bravi dottori si danno tanto da fare per aprirmi lo stomaco... e non ci troveranno dentro proprio niente!(Giovanni sorride, non può far a meno di sorridere) Basta! Lasciamo andare il passa­to e la fame sofferta! La mia modesta posi­zione mi permette ora un po' di tranquillità... respiro infine!

Giovanni                       - Già, già, infatti noto... come si direbbe? Una certa differenza tra la vostra ap­parenza attuale, e...

Lantriquet                     - E il mio spettro del passato... Lo credo anch'io!

Giovanni                       - Mi fa proprio piacere... E che cosa fate adesso? Siete in commercio?...

Lantriquet                     - Veramente... non credo che si possa chiamare commercio il mio. Sono di­rettore-aggiunto dell'argo mondano.

Giovanni                       - Come avete detto?

Lantriquet                     - Dell'argo mondano... Non co­nosce l'Argo mondano? (Gesto vago di Gio­vanni) U Argo mondano, di via Laffitte... cerca e trova tutto quello che si vuole... E' la sola organizzazione realmente seria e di prim'ordi-ne. Ha agenti e corrispondenti in tutto il mondo Sorveglianza di giorno e di notte!...

Giovanni                       - Sorveglianza?!

Lantriquet                     - Informazioni. Inchieste su pre­cedenti, condotta, relazioni, situazione econo­mica, moralità, amori, raggiri, capacità, occu­pazioni, caratteri... Inchieste su falsificazioni, lettere anonime, furti, scrocchi, truffe, abusi di fiducia... Incarichi di qualsiasi genere. Come, professore, non conosce YArgo mondano?

Giovanni                       - No. Ma me lo avete fatto cono­scere voi adesso. Ho capito perfettamente.

Lantriquet                     - (mentre parlava ha tirato fuori di tasca un cartoncino-reclame) Ecco qui l'av­viso-programma della Casa.(Giovanni non lo prende, Lantriquet lo depone sulla tavola) La novissima formula indicata nel nostro program­ma, costituisce realmente una innovazione ed una rivoluzione nei servizi di informazioni pra­ticati finora...

Giovanni                       - Sì, sì, va bene. Ma io ho un po' di fretta...

Lantriquet                     - Un minuto secondo ancora... Facciamo un'ipotesi: supponiamo che lei sia sta­to derubato dal suo cassiere... cassiere nel quale aveva deposto tutta la sua fiducia... Noi faccia­mo un'inchiesta, l'approfondiamo coscienziosa­mente, gliela presentiamo à forfait, rispar­miandole così la noia delle ricerche... Suppo­niamo ancora    - è un'altra ipotesi       - che sua moglie lo tradisca, cosa che non le auguro; lei non ha alcun sospetto, neppur per sogno!... (Leggero movimento di Giovanni, provocato dal tono strano di Lantriquet) Noi risaliamo alle origini dell'adulterio, alla sue cause e... sé così posso esprimermi, al suo modo di « funziona­re »... Quando l'incartamento è completo, noi glielo offriamo a prezzi modicissimi, senza con­correnza... Non trova ciò originale ed inge­gnoso?

Giovanni                       - Ma non lo trovo troppo onesto!

Lantriquet                     - (ingenuo) Che cosa?

Giovanni                       - Il vostro mestiere!

Lantriquet                     - C'è forse un mestiere assolu­tamente onesto, signor Professore? Si lavora tut­ti per lo stesso fine: guadagnare del denaro e vivere. Ch'io sappia il denaro non serve ad al­tro; chi ne guadagna di più vive meglio; per questo tutti cercano di guadagnare di più...

Giovanni                       - Ho capito. Ma, ditemi, per quali indizi o supposizioni vi occupate del mio cas­siere a preferenza di quello del signor X?

Lantriquet                     - E... di sua moglie piuttosto che della moglie del suo vicino?... E' il cal­colo delle probabilità. E' semplicissimo. Ab­biamo le nostre statistiche: esse stabiliscono in modo assoluto che, su 100 cassieri che giocano alle Corse, 97 finiscono male, e che su 100 uo­mini che hanno contratto unioni, in spropor­zione d'età, 70 sono... fatalmente...

(Pietro entra. Da qualche minuto, lentamen­te, è calata la sera).

Pietro                            - Signor Professore... E' arrivato lo chauf f eur!

Giovanni                       - (nervoso) Non mi seccare, ora!... Vattene!

(Pietro esce. Pausa).

Giovanni                       - (brutale) Insomma! Qual'è lo scopo della vostra visita?

Lantriquet                     - Io non ho nessuno scopo... cioè... vorrei che lei mi comprendesse... Io le le debbo la vita, signor Professore, lo sa da se, e nella mia nuova posizione, ho pensato che... avrei forse potuto dimostrarle la mia gratitu­dine...

Giovanni                       - La vostra gratitudine?!

Lantriquet                     - Creda, signor Professore, io posso renderle dei servizi... che neppure il più intimo amico... neppure un fratello potrebbe renderle... Se io l'avvertissi di un pericolo che la minaccia!...

Giovanni                       - Infine, che cosa volete darmi a in­fendere?

Lantriquet                     - Ecco, signor Professore... ve­de... ho voluto mettere a suo profitto il sistema d'informazione dell'argo moderno... Guardi, se vuol convincersi della precisione dei nostri do­cumenti; ecco... per esempio... una nota di cui le sarà facile constatare l'esattezza... E' con­cisa, ma esatta.(Legge. Controscena di Giovan­ni che si contiene a stento per lasciarlo finir di leggere): « Cecilia Barnou, nata a Guernandre - 25 anni, temperamento generoso, esaltata, sensibilità eccessiva che rivela l'origine meri­dionale. Famiglia completamente rovinata; tanto che Cecilia s'è data coraggiosamente all'in­segnamento per sostentare la madre ed un fra­tello. In seguito ad una caduta, è ricoverata nell'ospedale di Beaujon. Il prof. Giovanni Ber-nou giudica necessaria un'operazione chirurgica, e preso da simpatia per la signorina, le fa la­sciare l'ospedale per ammetterla nella sua cli­nica privata. Da questo comincia il romanzo... ».

Giovanni                       - (pallidissimo) E dove volete ar­rivare?

Lantriquet                     - Volevo soltanto farle toccar con mano quanto sono serie e scrupolose le no­stre inchieste, mio illustre Professore, e... (si ferma).

Giovanni                       - (fissandolo negli occhi) E?...

Lantriquet                     - E... nel caso tenesse ad avere la seconda parte di questa nota... che è comple­ta... e che presenta per lei un grandissimo in­teresse...

Giovanni                       - (pallido) Andatevene! Via! Fuo­ri di questa casa!(Si slancia su Lantriquet coi pugni serrati) Andatevene dunque!... (Lo af­ferra brutalmente).

Lantriquet                     - Ahi! La mia spalla!

(Questo grido fa subito abbassare le mani a Giovanni. Pausa).

Giovanni                       - (dopo uno sforzo terribile) ...Via! Parlate!

Lantriquet                     - (toccandosi la spalla) Un mo­mento...

Giovanni                       - Parlate! Documentate; voglio, subito.

Lantriquet                     - Uno dei suoi assistenti, dimis­sionario per motivi di salute, un bel giovine che lei ha protetto per molto tempo, e... che era uno dei suoi più intimi amici...

Giovanni                       - D'Arteuil?...

Lantriquet                     - D'Arteuil.

Giovanni                       - E' il suo amante?

Lantriquet                     - Scusi... Ma io non ho detto questo. Per ora, non si tratta che di una can­didatura... Almeno si suppone... (Tendendo un piego a Giovanni) Qui ci sono tutti i partico­lari... E' la storia dell'idillio dalle sue origini, seguita scrupolosamente da abili e segreti spet­tatori. Manca una giornata per essere completa: quella d'oggi.

Giovanni                       - Perchè?

Lantriquet                     - Perchè solo un'ora fa ho avuto gli ultimi documenti. Ma si può campletare la memoria aggiungendo: « Il 12 agosto, Luciano d'Arteuil supplica con una lettera disperata la sua amica di andare ad un appuntamento, la notte stessa... verso l'una ».

 Giovanni                      - E' falso!

Lantriquet                     - (indietreggiando, spaventato) E... se avessi una prova?

Giovanni                       - Datemela, datemela subito, o non uscite vivo dalle mie mani!

Lantriquet                     - Eccola!(Gli dà la minuta del biglietto di D'Arteuil; Giovanni la legge rapi­damente).

Giovanni                       - (stropicciando leggermente la lette­ra) Sta bene... Potete andarvene.(Vedendo che non si muove, lo spinge verso l'uscita) Ma andatevene, dunque!

Lantriquet                     - Vado, vado... La riverisco, si­gnor Professore... E se permette, domani man­deremo il commesso con la fatturina... fra le 17 e le 18, professore. - (Esce).

(Giovanni resta un momento immobile con gli occhi fissi nel vuoto. Spiega lentamente la lettera di cui aveva fatto una pallottola, la ri­legge, poi la strìnge di nuovo in pugno con un gesto convulso. Finalmente, con uno sforzo, suo­na il campanello. Berta entra da sinistra).

Giovanni                       - Ho chiamato Pietro: dov'è?

Berta                             - Credo che sia andato in laboratorio col signor Andrea.

Giovanni                       - Dite alla signora che ho bisogno di parlarle.(Berta attraversa la scena. Nel momento in cui sta per uscire) Berta!

Berta                             - Comandi!

Giovanni                       - Niente. Andate.(Appena Berta è uscita, Giovanni fa un gesto risoluto; il gesto di un uomo che ha preso una decisione imme­diata. Cecilia entra).

Giovanni                       - Buona sera, Cecilia.(Le prende le mani; essa, ha un movimento di repulsione) Che cos'hai?

Cecilia                           - Niente... Scusami, mio caro. Tu lo sai che sono tanto nervosa... Mi era parso di vedere una macchia di sangue sul tuo abito, ed ho avuto un movimento involontario... (Egli la guarda a lungo senza parlare, con una specie di tristezza ansiosa). Perchè mi guardi così?

Giovanni                       - (senza risponderle) Tu hai pian­to?

Cecilia                           - Io?

Giovanni                       - Sì. Perchè negarlo?

Cecilia                           - Infatti... può essere... Non ci ba­dare. Del resto, sai bene che le mie lacrime non hanno alcuna importanza...

Giovanni                       - Hanno una grandissima impor­tanza per me... O tu hai qualche dispiacere, e allora devi confidarmelo...

Cecilia                           - (vivacemente) Non ho dispiaceri; te l'assicuro.

Giovanni                       - (continuando) O tu sei malata...

Cecilia                           - Infatti... non mi sento troppo bene.

Giovanni                       - In tal caso è necessario provve­der subito al tuo male.

Cecilia                           - Per provvedere... bisognerebbe co­noscere il mio male, e non lo conosco neppur io!

Giovanni                       - Ma lo conosco io!

Cecilia                           - Credi?

Giovanni                       - Te l'assicuro.

Cecilia                           - Prescrivimi dunque una cura... mi affido alle tue mani.

Giovanni                       - Noi partiremo domani mattina: andremo nella nostra tenuta di Puget-Théniers. C'è un treno alle 5 del mattino; non credo che l'ora ti dispiaccia poiché sei così mattiniera... Giunti lassù cominceremo la tua cura d'aria e - fra due mesi  - sarai completamente gua­rita.

Cecilia                           - (con ima certa violenza) E' impos­sibile!

Giovanni                       - Perchè?

Cecilia                           - Perchè non c'è senso comune... E il tuo servizio all'ospedale?

Giovanni                       - Sarà fatto dai miei assistenti.

 Cecilia                          - E i tuoi malati?

Giovanni                       - Li curerà Andrea.

Cecilia                           - Ma perchè una partenza così improvvisa, immediata! Non sto poi così male!» Rimandiamo di qualche giorno; che motivo c'èB che sia proprio domani!

Pietro                            - (entrando) Il signor Andrea desidera che lei salga un momento in laboratorio,! signor Professore.

Giovanni                       - Vengo subito.(Pietro esce. A Cecilia) Il motivo?... La tua salute non è uni motivo sufficiente?

Cecilia                           - Non per giustificare una fuga dil questo genere!

Giovanni                       - Ne sono responsabile! Questo! non ti riguarda.

Cecilia                           - (con un atto di rivolta) Ma...

Giovanni                       - (interrompendola) Cecilia, ti prego, non discutere. Tu non puoi aver nessun motivo per giustificare la tua resistenza. Più tardi, se sarà necessario, ti darò altre spiegazioni, ma, per ora, bisogna che tu accetti la mia decisione... perchè è anche la mia volontà, capisci?

Cecilia                           - E se non fosse la mia?...

Giovanni                       - Partiremmo ugualmente. In questo caso non posso tener conto che della mia volontà!

(Esce. E' calata la notte).

Cecilia                           - (sola, ribellandosi) No!... no!,.. (Teresa entra) Ah!... Senti!... Io parto domattina all'alba... ti dirò poi... Tu comprendi... bisogna che io lo veda, che gli parli, che lo esorti ad avere coraggio...

Teresa                            - Ah! mia povera amica! Te ne scongiuro, non andare all'appuntamento!... Non andare!

Cecilia                           - E' vero!... (Agitata) Potrei es­sere scoperta, spiata... E' impossibile... E poi, e poi è impossibile!... Ma... va' tu da lui, digli che venga qua!... Tu l'aspetterai, stanotte... lo farai entrare dalla serra...

Teresa                            - Dalla serra?!... Ma allora... da te!

Cecilia                           - (decisa) Sì, da me!

Teresa                            - Nella tua... camera?!... Ma sei pazza!?

Cecilia                           - Non temere! Qui, più che altrove, mi sentirò sicura di me...

(Si separano perchè Berta è entrata. Teresa prende un ricamo; Ce­cilia si siede presso la tavola e. apre un libro). Cecilia                                           - Berta!... La luce!(Berta gira la chiavetta del commutatore elettrico e le lampade di centro si accendono).

Fine del primo atto

SECONDO ATTO

La stessa scena del I atto. Di notte. Una lam­pada accesa nel fondo. La vetrata lascia intravedere la campagna buia ed il cielo stellato.

Andrea                          - (venendo di fuori) Chi c'è?... (Gi­ra la chiavetta del commutatore elettrico; il lampadario di centro si accende) Che cosa fate qui, voi?

Berta                             - (sorpresa) Niente, signore... Io... aspettavo...

Andrea                          - Che cosa aspettavate?

Berta                             - Nulla, signore... Stavo per salire al piano di sopra...

Andrea                          - Ali!(La guarda fissa. Una pausa) Andate.

Berta                             - Sì, signore.

Andrea                          - Nel passare... bussate alla porta della signorina Laugier e ditele che desidero parlarle.

Berta                             - E se la signorina è a letto?... Debbo farla alzare?

Andrea                          - Sarà ancora in piedi.

Berta                             - Ma è mezzanotte.

Andrea                          - Ho visto adesso le sue finestre illuminate. Potete andare,..(Berta si avvia, ma a un tratto Andrea, che guarda con ansia fuori della vetrata, la trattiene con un gesto) Ditele però che venga da me... quando sarò solo... avete capito?

(Berta esce).

(Questa scena deve esser detta con molta emozione, ma a voce bassa, senza scatti, neppure nelle battute violente; deve tenersi presente che è notte e tutta la casa si suppone immersa nel sonno.

Andrea                          - (a Giovanni che entra dalla vetrata) Vieni di fuori?

Giovanni                       - Sì... Si è coricata Cecilia?

Andrea                          - Da un pezzo... Di dove vieni?...

Giovanni                       - (evasivo) Di laggiù...

Andrea                          - Allora... come mai hai attraver­sato il giardino dei Silvani?

Giovanni                       - (sorpreso) Mi hai visto?

Andrea                          - Sì.

Giovanni                       - E perchè mi fai queste doman­de?

Andrea                          - Per assicurarmi che non avevo sba­gliato! E così... tu sei andato a far la ronda alla villa Gabri?

Giovanni                       - Sì, io, proprio io. Appostato die­tro un albero, in agguato per più di mezz'ora, con gli occhi fissi nel buio e il cuore in tumulto, con l'angoscia degli innamorati e... dei ladri...

Andrea                          - E' una pazzia!

Giovanni                       - Da far pietà!

Andrea                          - Ah! lo riconosci tu stesso!

Giovanni                       - Lo riconosco.

Andrea                          - Sei già in via di miglioramento e di guarigione...

Giovanni                       - Non c'è miglioramento, né gua­rigione, mio caro. In questo mondo, noi uomi­ni, non siamo che dei poveri diavoli, degni di compassione e di pietà.

Andrea                          - Perchè?

Giovanni                       - Perchè siamo una razza di ma­lati, senza speranza di guarigione. Né il tempo, né il lavoro, né la scienza, né l'educazione pos­sono renderci migliori!

Andrea                          - Ma cosa dici?

Giovanni                       - Dico che nel nostro intimo c'è qualcosa di più forte di tutto ciò, qualche cosa d'arbitrario e di vile, di cui noi siamo schiavi, nelle ore di crisi... Decisamente, qualsiasi sforzo è inutile... si lotta per sapere... si va alle sor­genti stesse della vita... si riempie il nostro pic­colo cervello di grandi idee... e poi, quando si hanno già i capelli grigi, ci si ritrova tutt'a un tratto come dei bambini davanti a un giocatto­lo spezzato, perchè una donna ci ha tradito...

(Un silenzio. Andrea è nervoso. Guarda continuamente di sfuggita verso la porta che mette negli appartamenti di Cecilia).

Andrea                          - Insomma, che cosa hai scoperto laggiù?

Giovanni                       - Nulla. Una casa immersa nel sonno.

Andrea                          - Neppure D'Arteuil era andato al­l'appuntamento ?

Giovanni                       - Non c'era andato.

Andrea                          - E allora ?

Giovanni                       - (cupamente) Allora... tanto me­glio per lui!

Andrea                          - Vedi bene che tutti i tuoi sospetti sono infondati!

Giovanni                       - Dio lo voglia!

Andrea                          - Del resto, l'ho detto e lo ripeto, nulla prova che la copia della lettera che tu conservi sia stata inviata.

Giovanni                       - Il documento stesso è nondimeno una prova della menzogna!

Andrea                          - Mi par piuttosto una prova certa che ancora non c'è nulla d'irreparabile!

Giovanni                       - Irreparabile! Dove comincia l'ir­reparabile?... Lo so, questo vuol dire che non è l'amante di D'Arteuil! Sarebbe meglio se avesse ceduto a un momento di debolezza!... La carne... ne abbiamo maneggiata e tagliata ab­bastanza per disprezzarla!... La carne... i sen­si!... Ma qui è peggio ancora!(Con esaltazione crescente) Tutti i giorni un uomo le parla d'a­more, le mormora delle parole di desiderio e di passione!... E lei lo ascolta, gli risponde..., si lascia circuire, da questo adulterio morale, e lo assapora lungamente!... Sì, a poco per vol­ta, col suo cuore, coi suoi nervi, col suo cer­vello!... Tutto è per l'altro: effusioni, confi­denze, carezze... tutto è per l'altro! Essa mi sfugge, mi sfugge col mistero... e con la men­zogna!... E' questo! E' questo che mi rivolta! Io non vedo più nulla! Sento soltanto che la mia felicità, se ne va! E allora, capisci, mi sen­to la voglia di irrompere come un bruto!

Andrea                          - (con angoscia) Io non ti riconosco più... E' una cosa incredibile!... Urna simile e-saltazione!... Ma, allora, se tu li avessi trovati a quell'appuntamento, dove tua moglie, del re­sto, poteva andare attirata solo dal fascino ro­mantico che subiscono tutte le donne, che cosa sarebbe avvenuto ?

Giovanni                       - E' molto semplice: avrei ucciso!

Andrea                          - Giovanni!

Giovanni                       - Avrei ucciso! Te lo giuro! Vi sono altezze dalle quali non si può discendere!

Giovanni                       - Parole! Parole!

 Andrea                         - Parole che esaltano la verità!

Giovanni                       - Non ne conosco che una, Verità: l'istinto. Che cosa ti ha suggerito l'istinto il giorno in cui il tuo bisturi t'inoculava nel san­gue un virus mortale?... T'ha detto di abban­donare l'ammalato, di fuggire per farlo curare, per salvare te stesso?... No... ha taciuto!... Per­chè un istinto più imperioso lo costringeva al silenzio!

Giovanni                       - Quale?

Andrea                          - L'istinto umano degli esseri su­periori! Quello del dovere. Lo stesso istinto che nell'ora del naufragio fa sparire nei gorghi i marinai insieme alla loro nave, dopo aver get­tato l'ultimo salvagente all'ultimo passeggero.

Giovanni                       - Tutti siamo uguali!... Ti ripeto elle avrei ucciso. Lo sento; avrei ucciso! Se­condo te che cosa fanno allora gli uomini come noi, quelli che tu chiami superiori quando tro­vano la propria moglie con l'amante? Ragio­nano, forse?... 0 perdonano, è vero! E' questo che vuoi dire? Mi fai ridere coi tuoi istinti su­periori!... Non c'è che un solo istinto: quello che centuplica la forza del braccio per ucci­dere!

Andrea                          - Mi fai orrore!

Giovanni                       - Te ne farò fino al giorno in cui la realtà ti farà conoscere la rovina delle mie illusioni!

Andrea                          - (con dolcezza) Perdonami. E cal­mati.(Pausa). E' tardi... e se vorrai partire col treno delle cinque...

Giovanni                       - Oh! quanto a questo, non ri­manderemo certo la nostra partenza!(Pietro entra).

Giovanni                       - E tu cosa fai? Sei ancora alzato?

Pietro                            - Ho finito in questo momento di fare i suoi bagagli, signor Professore.

Giovanni                       - E' tutto pronto?

Pietro                            - Sì, signore. Non ho lasciata aperta che la valigia dei libri, perchè non sono riu­scito a trovare quello piccolo che la signora por­ta sempre con sé.

Giovanni                       - Aspetta, verrò a vedere io.(Ad Andrea) E tu non vai a letto?

Andrea                          - Sì, eh. Il tempo di chiudere la vetrata e di spegnere la luce...

Giovanni                       - Ci pensa Pietro!

Andrea                          - Lo faccio io: è lo stesso.

Giovanni                       - Come credi. Allora... ci si rivede prima di partire?

Andrea                          - Sì, sì, sarò alzato.

Giovanni                       - Buona notte!

Andrea                          - Buona notte.

 (Giovanni esce, seguito da Pietro).

(Andrea socchiude dolcemente la porta da cui è uscito Giovanni, e rimane in ascolto. Teresa entra dalla vetrata).

Teresa                            - La cameriera mi ha detto che vo­leva parlarmi da sola. Ho atteso che il Profes­sore se ne andasse... ed eccomi qui.

Andrea                          - Tutta quest'aria di mistero non 1» ha fatto supporre di che si tratta?

Teresa                            - Lo confesso che veramente... non arrivo a comprendere...

Andrea                          - Glielo spiegherò in due parole. Un dramma alita su questa casa perchè un uomo vi si è introdotto, ora, come un malfattore. E' lei, che gli ha aperto la porta!

Teresa                            - Signore!

Andrea                          - (con autorità) E' vero?

Teresa                            - No!

Andrea                          - (con freddezza) No?!Io non vo­glio mettere in dubbio la sua parola e, per provarglielo... (Si dirige verso la porta di de­stra)

Teresa                            - (con angoscia) Dove va?

Andrea                          - Vado a dire a mio fratello che sua moglie lo chiama.

 Teresa                           - ( con un grido di terrore) Ah!no!no! per carità!

Andrea                          - (accostandosi a lei) Vede bene che è inutile mentire!

Teresa                            - (con dolcezza) Oh! signore... lei parla ad una donna!

Andrea                          - No, signorina! Io. parlo alla com­plice di una cattiva azione...

Teresa                            - Ciò che lei chiama cattiva azione, non è che un atto di pietà!

Andrea                          - Non mi sembra il momento op­portuno per discutere! In una parola: il signor D'Arteuil si trova in questo momento in quella camera?            - (Teresa non risponde) Sì o no?

Teresa                            - Mi lasci almeno dire il motivo che...

Andrea                          - La prego, non mi spieghi nulla! Le ho fatto delle domande. Se le è penoso ri­spondere, risponderò io per lei.(Con gravità) Verso le diciannove lei è andata di nascosto dal signor D'Arteuil, e gli ha comunicato il piano dell'appuntamento... Egli era qui a mezzanotte e mezzo... lei lo aspettava lì fuori, lo ha ac­compagnato nella serra che comunica con gli appartamenti di Cecilia... Non è esatto tutto ciò?

Teresa                            - E' esatto; ma lei non sa...

Andrea                          - (interrompendo) E' esatto; sta be­ne. Questo è ciò che lei sa. Ma c'è qualcosa che ignora. Mentre lei adempiva la sua delicata missione, mio fratello, che lei credeva già co­ricato, era invece nel parco, lo che mi ero ac­corto di questi sotterfugi, pensavo che il caso la facesse incontrare con Giovanni e provocasse una disgrazia irreparabile... capisce, dunque, perchè le impongo di non mentire?

Teresa                            - Capisco... ma perché non vuole ascoltarmi?

Andrea                          - E che cosa può dirmi a sua discol­pa?..,

Teresa                            - Che il mio interessamento non ha il significato che lei crede.

Andrea                          - Veramente?

Teresa                            - L'appuntamento concesso a quel­l'infelice non è, le ripeto, le giuro, che il risul­tato di un sentimento di pietà. Le apparenze soltanto condannano la mia amica; ma Cecilia non è colpevole che di un'imprudenza, ed io, rendendomi complice, non ho fatto che accon­discendere alla sua amicizia.

Andrea                          - Ma ha tradito l'ospitalità!

Teresa                            - Lei avrebbe fatto come me!

Andrea                          - No, signorina, no. Troppi dolori giustificati ho veduto nella mia vita per potermi interessare dei piccoli conflitti sentimentali, che le turbano tanto l'animo. La mia pietà io la serbo per i grandi dolori!... Sa lei che cosa ri­schiavano di far commettere le loro inutili pie­tà romantiche? Spingere un uomo onesto al­l'omicidio!

Teresa                            - (con terrore) Mio Dio!

Andrea                          - E' esatto. Un momento fa, Gio­vanni mi ha confessato che se avesse trovato sua moglie alla villa Gabri, non avrebbe saputo dominarsi, frenare la sua follia omicida... Cosa farebbe, mi dica, cosa farebbe, se trovasse D'Al­terni in quella camera?

Teresa                            - Ah! Signore! E' orribile!

Andrea                          - Ah! ne conviene anche lei, final­mente!

Teresa                            - Corro ad avvertire Cecilia e il si­gnor D'Arteuil..'.

Andrea                          - Appunto per questo l'avevo l'atta chiamare... Le raccomando di agire con prudenza, però... Mio fratello non si è ancora co­ricato... e le sue finestre danno sul parco.(Te­resa molto emozionata si dirige verso la camera di Cecilia) Presto!(Teresa sta per aprire, mal Andrea la trattiene con un gesto) Aspetti un momento... sento dei passi!(Va in fretta ad' ascoltare alla porta di sinistra) Sì... viene qual­cuno.,, Passi dalla serra.(Teresa corre alla ve­trata) O piuttosto... no, no. Aspetti là fuori, la chiamerò io.(Sentendo avvicinarsi il passo di Giovanni) Via, presto! Via!(Teresa esce fur­tivamente. Giovanni entra).

Giovanni                       - (sorpreso) Come?!... Sei ancora qui?

Andrea                          - Sì, non ho sonno... volevo finir di leggere... E tu, perchè sei tornato giù?

Giovanni                       - Figurati che con Pietro abbiamo messo sottosopra la biblioteca per trovare quel famoso libro, e poi mi sono ricordato d'averlo lasciato ieri in camera di Cecilia. Vado a riprenderlo.

(Si dirige, verso la camera di Cecilia. Andrea, immobile, atterrito, lo segue con lo sguardo).

Andrea                          - (nel momento in cui suo fratello giunge alla porta) Giovanni!

Giovanni                       - Cosa?

Andrea                          - Vuoi... vuoi svegliare Cecilia?

Giovanni                       - No, no... so dove ho lasciato il libro...

Andrea                          - (avvicinandoglisi) La sveglierai... mentre sarebbe più semplice prendere il libro domattina, prima di partire...

Giovanni                       - Ma ci alzeremo così presto... potrei dimenticarmene.

Andrea                          - Appunto perchè vi alzerete così presto, è necessario che tu lasci dormire tual moglie... Non ti pare?

Giovanni                       - Non temere, faccio piano... (Fa un passo verso la porta).

Andrea                          - (con voce strozzata) Giovanni!

Giovanni                       - (si ferma senza rispondere e fissa il fratello. Dopo una pausa) Cosa c'è?

Andrea                          - Senti...

Giovanni                       - (con voce alterata) Cos'hai?... sei pallido...

Andrea                          - Senti... vieni qui... ascolta...

Giovanni                       - (accostandosi a lui bruscamente e afferrandolo per un polso con forza) Dunque?!... cosa c'è?... Parla!

Andrea                          - (con voce strozzata) Non andare!

Giovanni                       - (fissando alternativamente il fratel­lo e la porta con sguardo inquieto) Non an­dare da mia moglie?!... Perchè?

Andrea                          - Non andare!

Giovanni                       - Ma, perchè? (Abbandona la ma­no del fratello e si dirige verso la porta).

Andrea                          - Perchè... Cecilia non c'è!

Giovanni                       - Non c'è?!... Come!?... E dov'è dunque? Ma spiegati, perdio! non vedi che mi fai impazzire?

Andrea                          - L'ho veduta uscire!

Giovanni                       - Quando?

Andrea                          - Pochi minuti fa!

Giovanni                       - Con Teresa?... sola?

Andrea                          - Sola.

Giovanni                       - Sola?!... E non le hai domandato dove andava? Non l'hai inseguita?

Andrea                          - Stavo per farlo, quando ti ho sen­tito scendere... Allora... ho avuto paura... per lei e per te...

Giovanni                       - Paura?

Andrea                          - Sì. Quando mi hai lasciato eri così agitato. Ma, infine, non ho riflettuto... Ho a-vuto paura, una paura stupida... e ti ho aspet­tato.(Giovanni si passa una mano sulla fronte. Una pausa).

Giovanni                       - Dunque... tu l'hai vista dirigersi verso la villa Cabri?...

Andrea                          - No.

Giovanni                       - (con un grande sforzo) Dimmi la verità... lo vedi che sono calmo...

Andrea                          - E' la verità... Cecilia si è diretta... dalla parte opposta della villa...

Giovanni                       - E' andata all'appuntamento!!... All'ultimo momento si sono accorti che alla villa era troppo pericoloso... E' uscita dal giar­dino?...

Andrea                          - Nel momento in cui tu sei entra­to... ha oltrepassato il cancello, prendendo a sinistra, per la discesa...

Giovanni                       - Nel momento in cui sono entra­to?!... Allora... non può esser lontano... Va be­ne!(Esce risoluto).

(Andrea, durante alcuni minuti, scruta ansio­samente nel buio esterno cercando di seguire con lo sguardo il fratello. Intanto, la porta di destra si apre dolcemente ed appare Cecilia, li­vida e vacillante).

Cecilia                           - (con gli occhi abarrati) Andrea!

Andrea                          - Mi spaventi! Perchè mi guardi così? (Essa non risponde: è sconvolta, sta per svenire; vacilla. Andrea la sostiene) Cecilia! Ce­cilia! Parla! Cosa c'è?

Cecilia                           - (indicando la porta) Di là... di là!... Volevo scongiurarlo di non rivederci più... A un tratto... l'ho visto impallidire... portare una mano alla bocca... sangue... san­gue... Ha stralunato gli occhi, poi è caduto al-l'indietro...

Andrea                          - (con un gesto di disperazione) Perdio!

Cecilia                           - (supplichevole) Andrea! An­drea!... Soccorrilo... io sono pazza!... aiuta­mi!...

Andrea                          - (agitatissimo) Oh! per lui non c'è pericolo!... E' un debole: è svenuto alla vista del sangue... Ma noi... noi... Giovanni che crede che tu sia uscita... e ti cerca... e sta per tornare, capisci? (Frenandosi e parlando fra sé, mentre si rivolge anche a Cecilia) Ma forse non è ancora irreparabile: le sincopi dell'emot­tisi hanno breve durata... Giovanni potrà rima­nere fuori ancora qualche minuto... Andiamo... Non c'è da perdere un minuto! Chiama Teresa che è lì fuori... Chiudi la vetrata e spegni quel­la lampada... Farò in modo che possa riaversi.(Si precipita nella camera. Cecilia, immobile, lo segue con lo sguardo. Poi ritrovando tutta la sua energia, va alla vetrata, fa alcuni passi sul­la terrazza e chiama a bassa voce).

Cecilia                           - Teresa!... (Un lungo silenzio) Te­resa!... (Altro silenzio più breve. Ritorna in scena; entra anche Teresa).

Teresa                            - (con angoscia) Cosa c'è?... Ho vi­sto tuo marito attraversare il viale di corsa... E tu che cosa fai qui?...

Cecilia                           - (portando l'indice alle labbra per imporle silenzio) E' orribile!... Vedrai!... Chiu­di la vetrata!.... (Spegne la lampada vicino alla vetrata. Appena hanno finito appare Andrea).

Andrea                          - (con voce chiara e sorda) E' im­possibile trasportarlo. Cadendo si è fatto una lar­ga ferita al capo: può darsi che si sia fratturato il cranio. E' impossibile muoverlo da quella stan­za... Cosa decidi di fare? (Cecilia, battendo i denti, lo fissa senza rispondere, come allucina­ta. Un silenzio).

Cecilia                           - (cadendo su di una sedia col capo fra le mani) Non so, non so! Dio, Dio mio, perdonami!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La stessa scena. Una sola lampada accesa. Fra questa lampada e la vetrata un paravento aperto lascia nell'ombra tutto il fondo della scena.

(Cecilia è nell'ombra con la fronte appoggiata ai vetri, in piedi, immobile; Andrea, sulla porta della camera di Cecilia che è aperta, come in attesa di qualche cosa, tende l'orecchio e volge lo sguardo al corridoio. La porta di destra si apre dopo un lungo silenzio per lasciar pas­sare Teresa. Il colloquio si svolge quasi sotto­voce.

Andrea                          - (a Teresa) L'ha trovato?

Teresa                            - (porgendogli uno strumento chirur­gico) E' questo?

Andrea                          - No... il misuratore... una specie di squadra mobile...

Teresa                            - Allora non era dove mi ha detto.

Andrea                          - Non importa, rimedierò. E il su­blimato?

Teresa                            - Eccolo.

Andrea                          - (dppo aver guardato la bottiglia) Va bene. Mi dia ora un cartoncino... un biglietto di visita... e un decimetro... ce ne dev'esser uno lì nel mobilino...

(Teresa va a vercare ciò che Andrea ha chie­sto. Intanto Cecilia, che non ha ancora fatto an­cora alcun movimento, si allontana dalla vetrata, prende una scatoletta che è sul ripiano di un se­cretaire, ne toglie alcuni biglietti di visita e li porge a Teresa, che li dà, col decimetro, ad Andrea. Poi Cecilia, sempre in silenzio, ritorna in vedetta alla vetrata).

Andrea                          - E i domestici?

Teresa                            - Stia tranquillo. Son salita fino al laboratorio. Tutti dormono.(Andrea fa per usci­re) Signor Andrea... (Andrea si volta) Gravissi­mo?

Andrea                          - Sì.(Esce).

Teresa                            - Non rimanere più qui, mia cara... E' più di un'ora che sei in piedi.

Cecilia                           - (in questo momento trasale, po'i con voce alterata, senza voltarsi) Eccolo!... c'è mio marito!

Teresa                            - Ah! non ti lascio!

Cecilia                           - Va' da Andrea... chiudi quella porta... e anche quella della camera... Va', ti prego, va'...

Teresa                            - No, no!

Cecilia                           - (con fermezza) Lasciami sola!...

(Teresa obbedisce. Cecilia si assicura da se stessa che la porta sia chiusa. Giovanni entra, si ferma, e la guarda. Un silenzio).

Giovanni                       - (apparentemente calmo) Di dove vieni ?

Cecilia                           - Non mi son mossa di qui.

Giovanni                       - Non sei uscita?!

Cecilia                           - No.

Giovanni                       - No... (Una pausa; poi sempre con dolcezza) Ciò che dobbiamo dirci è assai breve... Non cercare d'ingannarmi... Sei sfug­gita al mio inseguimento... hai fatto bene... me­glio così... ma non sfuggirai alle mie domande... Dunque?... (Cecilia vuol parlare) Aspetta... Tu sei uscita, lo so. Andrea t'ha veduto, me l'ha detto. E quando io son corso per raggiungerti tu avevi oltrepassato il cancello... vedi bene che sono al corrente... è inutile svisare le cose... Puoi dirmi la verità.

Cecilia                           - La saprai.

Giovanni                       - Subito!

Cecilia                           - Subito! Ti aspettavo per dirtela. Ho deciso di dirti tutto il mio pensiero, tutto, liberamente e lealmente. E' il solo mezzo che mi rimane per affrontare questa tragica fata­lità.(Giovanni la fissa senza parlare. Pausa) E' anche ciò che vuole la mia coscienza. In ogni modo avrei obbedito a questa coscienza domani, domani l'altro... presto... Le circostanze mi ob­bligano a farlo subito; tanto meglio. E obbe­disco.

Giovanni                       - Quali circostanze? Lasciamo da parte le reticenze e le frasi vaghe. Tu hai un amante: d'Arteuil!

Cecilia                           - No!

Giovanni                       - Non mentire; è la verità! So tut to, capisci? tutto!Non m'è stato neppur rispar­miato il dolore di leggere le lettere che egli ti ha scritto, e specialmente questa... questa... l'ultima, con la quale ti dava l'appuntamento. Ci sei andata!

Cecilia                           - Non sono la sua amante!

Giovanni                       - Ci sono queste lettere che ti ac­cusano. Le hai ricevute?

Cecilia                           - Sì!

Giovanni                       - Ed hai risposto! Tu ami quel­l'uomo! E' falso?... Guardami, dimmi che è falso e ti crederò.

Cecilia                           - (dopo una pàusa, con voce debolissi­ma) Non lo so!

Giovanni                       - (pallidissimo, contenendosi) Ve­di?!

Cecilia                           - Non lo so... Non mi far dire di più di quel che ho detto... Ti giuro che non lo so... Mi sono interessata di lui, perchè egli era debole, malato... per pietà. Il suo dolore e la sua tristezza m'hanno affascinata... Ecco tutto quel che posso dirti.

Giovanni                       - (freddamente) E allora?

Cecilia                           - Allora... è vero... a poco a poco, egli si è imposto al mio pensiero, alla mia vita, come un male profondo e necessario... E' stato come se egli m'avesse liberata per qualche istan­te da tutto ciò che mi circonda, dalla tua forza che mi pesa, dalle tue mani che spezzano, che tagliano! Egli ha portato qualche cosa di di­verso in quest'atmosfera di brutalità che mi sof­foca... E' stato come un pensiero delicato e tri­ste trovato fra i tuoi libri aridi, fra i tuoi trat­tati dove in ogni pagina s'insegna come rime­diare alla carne e mai allo spirito. E' questo tutto ciò che ho sentito, che d'Arteuil ha risve­gliato in me... Si può chiamare amore?

(Giovanni non ha cessato un momento di fis­sarla. Un silenzio).

Giovanni                       - Sta bene! E' un colpo crudele... Ma infine... so. Sta bene! L'hai veduto stanot­te?...

Cecilia                           - (risoluta) Sì!

Giovanni                       - Ah! Finalmente!

Cecilia                           - Era necessario!... dovevo dirgli per l'ultima volta di rinunziare a ciò che non poteva essere... E glielo ho detto, con tutta la mia lealtà, Giovanni, con tutta la mia onestà!

Giovanni                       - (coi denti stretti e pallido dalla col­lera) Con tutta la tua onestà!?... E lui?... con tutta la sua, cosa t'ha risposto?... Delle pa­role d'amore, non è vero?... delle parole d'amo­re che ti riempivano di una duplice voluttà... la voluttà del desiderio... e la voluttà della paura!... Della paura, sì!... Perchè in fine, con la tua lealtà, con la tua onestà e con la tua fer­mezza, tu lo temi quest'uomo che ti parla e che non sa giungere al tuo spirito. Doveva essere deliziosa quella paura... mentre egli cercava la tua bocca... eh?... Di'... rispondimi (La fissa terribilmente, alzando il pugno su di essa; poi cambiando tono) Ma no... voglio soltanto una semplice spiegazione... Ho anch'io qualche cosa da dirgli e subito. Intendo liquidare questa fac­cenda. Subito! capisci?... Ma egli non è a casa ora! Vengo di là in questo momento... Dov'è?

Cecilia                           - Giovanni!

Giovanni                       - Che?... Che cosa temi?... Che lo uccida?

Cecilia                           - (ribellandosi) E perchè dovresti ucciderlo?!

Giovanni                       - Perchè dovrei ucciderlo? è giu­sto!... La mia casa distrutta... che importa? La mia felicità perduta... forse conta qualche cosa? Sta' tranquilla: voglio parlargli per non fargli attender troppo una buona notizia... Tu l'arni? Io te lo cedo!... Egli ti adora? Io vi unisco!... Mi sentirei colpevole se volessi separare due es­seri fatti l'uno per l'altro!Un bell'esempio dav­vero di forza e di bellezza!... Dov'è?

Cecilia                           - Quest'uomo che tu insulti non può risponderti: è ferito!

Giovanni                       - Ferito?!

Cecilìa                           - Per colpa mia! Poco fa è svenuto, e cadendo si è ferito.

Giovanni                       - Non tendermi un nuovo tranello con le tue menzogne. Dov'è?

(Pausa).

Cecilia                           - (risoluta) E' qui!

Giovanni                       - Qui?!... Sei pazza!... (Afferran­dola pei polsi) Che cosa hai detto?... Ripetilo!

Cecilia                           - (cercando di liberarsi) Ahi! mi fai male!...

Giovanni                       - (senza lasciarla) Qui?! In questo momento? In casa mia?...

Cecilia                           - Nella mia camera!

Giovanni                       - Prostituta!(Vuole slanciarsi ver­so la camera di Cecilia; Andrea entra a tempo bruscamente).

Andrea                          - (con fermezza) Fermati! è mori­bondo! (Giovanni si férma di colpo, disorientato, coi pugni chiusi. A Cecilia, facendole com­prendere con lo sguardo di allontanarsi. Cecilia esita; deciso) Lasciaci soli!

Giovanni                       - Sì, sì... Che se ne vada!... Vatte­ne! Vattene! (Cecilia esce vacillando. A Andrea) E tu?... Anche tu m'ingannavi!... mentivi!... ti sei fatto complice di costei? Non trovi nulla da dire?... (Andrea fa un gesto di scoraggiamento) Non trovi nulla? Perdio! Sarebbe ridicolo... il tuo contegno... se non fosse cinico. Non rispon­dere!... Guardami con uno sguardo che mi dica: ebbene, è così! non c'è altro da fare!... Essa ri­ceveva l'amante in camera sua!... Eri d'intesa con loro tp!tu!... (Pausa) Ma trova dunque una parola per giustificarti! Trovala!

Andrea                          - Non si giustifica chi ha fatto il pro­prio dovere!

Giovanni                       - Ah!... hai fatto il tuo dovere?!

Andrea                          - In questo momento, Giovanni, tu sei troppo lontano dalla giustizia! Sei troppo lontano per potermi comprendere! Ecco perchè taccio!

Giovanni                       - Il dovere!... la giustizia!... L'uo­mo dalle grandi parole si decide a parlare adesso!

Andrea                          - Giovanni!

Giovanni                       - Vattene!... No... non darmi ascol­to... Io soffro!... C'è qualcosa, qui, che s'è spez­zato... Vorrei piangere... e non posso, no, non; posso!... (Si strappa il colletto) Soffoco!

Andrea                          - (disperato) Mio povero Giovanni!

Giovanni                       - Sì, sono un infelice! Forse tu non comprendi quanto soffro; nessuno può compren derlo. Per questo è ridicolo. Per trent'anni ho-lavorato come un forzato; non ho visto che piaghe, che misei'ie della carne, non ho assi­stito che a delle agonie. Della gioia degli altri a me giungeva il marciume... l'amore, la vita, la felicità erano lontani dalla mia tavola opera­toria. Sono stato un ingenuo: ho creduto che la mia felicità consistesse nello strappare alla morte degli esseri felici che io restituivo alla loro fe­licità.

Andrea                          - Mio povero Giovanni!

Giovanni                       - Compiangimi! E' da compiangere questo gran Bernou, che non sente più nemmeno l'orgoglio del suo nome tanto la vita è spezzata. Quante volte mi sono sentito triste, quante volte ho desiderato come un fanciullo una sola parola di tenerezza. (Pausa) Poi ho incontrato lei: è entrata nella mia vita con la sua freschezza come una primavera. E' stato come se il sole avesse riscaldato tutto il mio passato! Una donna mia, per me... Credevo che fosse per me; mi sono1 ingannato! E tu, mio fratello, ti sei fatto com­plice del tradimento... tu hai tollerato che mi sij umiliasse, mi si uccidesse così...

(La porta si apre; appare Cecilia sconvolta, terrificata).

Cecilia                           - Andrea!... presto, vieni!... Egli muore... (Andrea fa un movimento istintivo, ma è trattenuto da uno sguardo di Giovanni che si trova tra il fratello e la moglie) Andrea!... (Sup­plichevole) Giovanni!... anche tu... tu sei buo­no! Venite! Lo salverete! è un infelice, un ra« gazzo... sta per morire... e tu potresti, tu puoi... (Avvicinandosi a Giovanni) Ti supplico, Giovan­ni, soccorrilo! Tu sei forte!... tu ne hai il pote­re!... E lui è là, pallido, con un filo di sangue che gli scorre sulla guancia. E' orribile! se tu lo vedessi, avresti pietà... vieni... vieni... ti sup­plico!

Giovanni                       - (ad Andrea, con rabbia dolorosa.e sorda) Ascolta! Guarda come l'ama!

Cecilia                           - No., non lo dire! non lo pensare neppure!... Si raccoglie, si soccorre una bestia ferita!... Vorresti lasciar morire così un essere: umano, quando si può soccorrerlo?...

Giovanni                       - Non posso soccorrerlo: è più forte di me.

Cecilia                           - No, tu verrai... sarebbe una vigliac­cheria!

Giovanni                       - Ah! tu l'ami fino a questo pun­to?!... Salvalo dunque tu!... Si dice che l'amore faccia dei miracoli!... salvalo tu!...

Cecilia                           - (ribellandosi) Oh!

Giovanni                       - (con disprezzo) E' vero, potrei salvarlo... Potrei ridargli la vita a cui tieni tan­to... Ne dispongo io della sua vita... Essa è qui fra le mie mani, la sento palpitare...

Cecilia                           - Giovanni, ascoltami, sii calmo... E' questione d'umanità!... Tu non puoi lasciarlo morire come un cane!(Con disperazione, ad Andrea) Ma digli dunque qualche cosa, parla­gli... aiutami! Non vedi che non mi ascolta?... Io non sono che una povera donna, io non trovo le parole... (A Giovanni) Salvalo, ed io ti giuro che non lo vedrò mai più; ma salvalo!(Ad Andrea) Digli, digli che è il suo dovere. Digli che c'è un uomo da salvare!...

Andrea                          - (fremendo) Ecco le parole! Ascoltala. Giovanni: ha ragione, ha ragione! C'è un uomo da salvare!

Giovanni                       - L'amante di que­sta donna!

Andrea                          - C'è un uomo da sal­vare! e dietro queste parole, è tutta la tua vita! In un istante, non si può rinnegare tutta la pro­pria vita!

Giovanni                       - Io la rinnego, sì! E non l'aiuto; lo faccio traspor­tare fuori della mia casa!

Andrea                          - Giovanni! Sei paz­zo?!

Giovanni                       - Sono pazzo! Mi avete fatto impazzire voi! E non voglio che quel moribondo com­pia la sua opera distruggendomi la poca ragione che mi resta.

(Come un folle si precipita verso la camera di Cecilia. Cecilia fa per impedirglielo, ma non rie­sce che a farsi urtare malamente. Mentre Giovanni scompare nella, camera, Andrea soccorre Cecilia).

Cecilia                           - (lottando per liberarsi) Lasciami!

Andrea                          - (trattenendola) Ri­mani; non andare..

Cecilia                           - Voglio...

Andrea                          - No!

Cecilia                           - (ansante, respirando a stento) Voglio difenderlo!

Andrea                          - Non possiamo far nulla!

Cecilia                           - L'ucciderà!

Andrea                          - Bisogna rimanere qui!. E' necessario! (Tutti e due rimangono in attesa; silenzio).

Cecilia                           - (quasi senza forze, con un soffio di voce) Ho paura!... Ho paura! Ho paura!

(La pendola suona lentamente Vuna. Cecilia trasale. Lungo silenzio. La porta si apre. Giovan­ni riappare calmo, spaventosamente livido, senza un gesto).

Giovanni                       - (triste, e dolcemente ad Andrea) Andrea... va' a svegliare Pietro... dobbiamo ope­rare!...

FINE