Lo stato d’assedio

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AVVERTENZA

Lo stato d’assedio

di

Albert Camus

Spettacolo in tre parti

A JeanLouis Barrault

AVVERTENZA

Nel 1941 Barrault ebbe l’idea di allestire uno spettacolo sul mito della peste, che aveva già tentato anche Antonin Artaud. Negli anni seguenti, gli parve più semplice adattare a questo scopo il gran libro di Daniel Defoe Il diario dell’ anno della peste. Fece allora il canovaccio per una messa in scena. Quando seppe che stavo per pubblicare un romanzo sullo stesso tema, mi offerse di scrivere i dialoghi per quella trama. Io avevo altre idee, e particolarmente mi sembrava preferibile dimenticare Daniel Defoe e ritornare alla prima concezione di Barrault. Si trattava, insomma, di immaginare un mito comprensibile per tutti gli spettatori del 1948. Lo stato d'assedio è l’illustrazione di questo tentativo che ho la debolezza di credere meriterebbe un certo interesse Ma:

I – sia ben chiaro che, qualunque cosa sia stata detta, Lo stato d’assedio non è in nessun modo, un adattamento del mio romanzo La Peste.

II – che non si tratta di una pièce di struttura tradizionale, ma di uno spettacolo creato con l'ambizione dichiarata di fondere tutte le forme di espressione drammatica dal monologo lirico al teatro collettivo, attraverso la pantomima, il semplice dialogo, la farsa e il coro

III – Se è vero che io ho scritto tutto il testo, non è meno vero che, per giustizia, il nome di Barrault dovrebbe figurare accanto al mio. Questo non si è potuto fare per ragioni che mi sono sembrate degne di rispetto. Ma debbo dire chiaramente che resto debitore di JeanLouis Barrault.

20 novembre 1948

A.C.

LO STATO D'ASSEDIO

PERSONAGGI

LA PESTE

LA SEGRETARIA

NADA           

VITTORIA

IL GIUDICE CASADO

LA MOGLIE DEL GIUDICE

DIEGO

IL GOVERNATORE

GLI ALCALDES

LE DONNE DELLA CITTÀ

GLI UOMINI DELLA CITTÀ

LE GUARDIE

L'ACCOMPAGNATORE DEI MORTI

[L'UFFICIALE DELLA GUARDIA CIVILE]

[L'ARALDO]

[IL PESCATORE]

[L'ASTROLOGO]

[COMMEDIANTI]

[IL CURATO]

[LA STREGA]

[IL BARCAIOLO]

[IL CORO]

PARTE PRIMA

PROLOGO

Introduzione musicale su un tema che ricorda la sirena d’ allarme. Si apre il sipario. La scena è completamente al buio. L'introduzione termina, ma il tema dell'allarme persiste come un ronzio profondo e lontano. Improvvisamente nel fondo, a sinistra, sorge una cometa che si sposta lentamente verso destra. Rischiara, disegnandoli come ombre cinesi, i muri d'una città fortificata e il profilo di alcuni personaggi che volgono le spalle al pubblico, immobili, protesi verso la cometa Suonano le quattro, il dialogo è press'a poco incomprensibile, come un borbottìo.

—La fine del mondo!

—No, hombre

—Se il mondo muore...

— No, hombre. Il mondo, non la Spagna!

— Anche la Spagna può morire.

— In ginocchio!

— E’ la cometa che porta male!

— Non la Spagna, hombre, non la Spagna!

Due o tre teste si girano. Uno o due personaggi si spostano cauti, poi tutto torna immobile. Il ronzio profondo si fa allora più intenso, diventa uno stridore e si sviluppa musicalmente come una parola intelligibile e minacciosa. Nello stesso tempo, la cometa si fa smisuratamente grande D'improvviso un grido terribile di donna che, di colpo, fa tacere la musica e riduce la cometa alla sua misura normale. La donna fugge ansimando. Disordine sulla piazza. Il dialogo, più sibilato, si percepisce meglio, ma non è ancora comprensibile.

— E’ segno di guerra!

— Certo!

— E’ segno di nulla.

— Secondo.

— Basta. È il caldo.

— La calura di Cadice.

— Smettetela!

— Fischia troppo forte.

— Peggio. Ci assorda tutti.

— È un sortilegio sulla città.

— Ahi, Cadice! Un sortilegio è su te!

— Silenzio! silenzio!

Fissano ancora la cometa, quando si sente, distintamente questa volta, la voce di un Ufficiale della Guardia Civile.

L'UFFICIALE   – Tornate a casa! Avete veduto quello che avete veduto, ed è quanto basta. Rumore, per nulla, ecco tutto. Molto rumore e in conclusione, niente. Cadice resta sempre Cadice.

VOCE                – Ma è un segno. Non ci sono segni inutili.

VOCE                – Oh, Dio grande e tremendo!

VOCE                – Siamo alla guerra. Ecco il segno!

VOCE                – Oggi non si crede più ai segni, rognoso. Siamo troppo intelligenti per fortuna.

VOCE                – Già, è così che ci facciamo rompere la testa. Stupidi come porci, ecco quello che siamo. E i porci si sgozzano.

L'UFFICIALE   – Tornate a casa. La guerra è affar nostro, non vostro.

NADA               – Volesse il cielo, che tu dicessi la verità! Ma non è vero: gli ufficiali muoiono nel loro letto e la stoccata è per noi.

VOCE                – Nada, è Nada. Lo scemo!

VOCE                – Nada, tu devi saperlo. Che cosa significa questo?

NADA               – (è deforme). Quello che ho da dirvi io, a Voi non piace sentirlo. Vi fa ridere. Domandatelo allo studente che sarà presto dottore. Io parlo alla mia bottiglia. (Porta una bottiglia alla bocca.)

VOCE                – Diego, che cosa vuoi dire costui?

DIEGO              – Che cosa v'importa? Abbiate il cuore saldo e basterà.

VOCE                – Domandate all'Ufficiale della Guardia Civile.

L’UFFICIALE  – La Guardia Civile pensa che turbate l'ordine pubblico.

NADA               – La Guardia Civile, beata lei, ha delle idee semplici.

DIEGO              – Guardate, ricomincia...

VOCE                – Oh, Dio grande e tremendo!

Il ronzìo profondo ricomincia. Secondo passaggio della cometa.

—Basta!

—Finitela!

—Cadice.

—Fischia!

—E’ un sortilegio...

—... sulla città.

—Silenzio! silenzio!

Suonano le cinque. La cometa scompare. Sorge il giorno.

NADA               – (ringuffito su un paracarro e ghignando). Ecco! Io, Nada, luce di questa città per istruzione e conoscenze; sbornione per disdegno di tutte le cose e per disgusto di tutti gli onori; deriso dagli uomini perché ho conservato la libertà del disprezzo, dopo questo fuoco d'artificio bramo darvi un avviso gratuitamente. Vi informo che ci siamo! E ci saremo sempre più. Notate bene che c'eravamo già. Ma solo uno sbornione poteva rendersene conto. Dove siamo, dunque? Sta a voi, uomini ragionevoli, indovinarlo. Per me, mi sono fatto un'opinione, da sempre; e sto saldo sui miei principi: la vita vale la morte; l'uomo è fatto del legno col quale si innalzano i roghi. Credetemi: avrete dei guai. Quella cometa è un cattivo segno. Vi da l'allarme.Vi pare inverosimile? Me l'aspettavo. A voi basta fare i vostri tre pasti, lavorare le vostre otto ore, mantenere le vostre due donne e credere che tutto sia in ordine. Ma voi non siete nell'ordine: siete nei ranghi. Ben allineati, l'aria placida, maturi per la calamità. Ecco, brava gente: vi ho avvisato e sono in regola con la mia coscienza. Per il resto non ve la pigliate: lassù si occupano di voi. E voi sapete con che risultato: non sono molto comodi, lassù!

IL G.CASADO – Non bestemmiare, Nada. Già da troppo tempo ti prendi col cielo libertà peccaminose.

NADA               – Ho parlato del cielo, giudice? Ma io approvo comunque ciò che fa. Anch'io son giudice a modo mio. Ho letto nei libri che val meglio essere complice del cielo che sua vittima. Però ho l'impressione che il cielo non c'entri. Basterà che gli uomini si mettano a spaccar vetri e teste, per farvi persuasi che il buon Dio anche se conosce bene la musica non è che un ragazzo del coro.

IL G.CASADO – Sono i dissoluti del tuo stampo ad attirare su noi i moniti del cielo. Perché di un monito si tratta. Ma destinato solo a coloro che hanno il cuore corrotto. Temete tutti che non abbiano da seguire più terribili effetti; e pregate Dio che perdoni i vostri peccati. In ginocchio! In ginocchio, vi dico! (Tutti s'inginocchiano, tranne Nada) Guai a te, Nada! Temi e inginocchiati!

NADA               – Non posso: ho il ginocchio rigido. Quanto a temere, ho previsto tutto, giudice, anche il peggio: voglio dire la tua morale.

IL G.CASADO – Non credi dunque a nulla, disgraziato?

NADA               – In questo mondo a nulla, tranne al vino. E a niente di quanto è del cielo.

IL G.CASADO – Perdonategli, Signore, perché non sa che cosa si dica, e risparmiate questa città dei figli vostri.

NADA               – Ite, missa est. Diego, offrimi una bottiglia all'insegna della Cometa. E mi dirai come vanno i tuoi amori.

DIEGO              – – Sposerò la figlia del giudice,

NADA               – E vorrei che tu non offendessi più suo padre: che offendi me.

Squilli di tromba. Un Araldo circondato da guardie.

L’ ARALDO     – Ordine del governatore. Torni ciascuno a casa sua e riprenda le sue occupazioni. Il buon governo è il governo sotto il quale non accade nulla. Questa è la volontà del governatore: che non succeda nulla sotto il suo governo, affinchè possa restare buono come è sempre stato. Resti dunque stabilito per gli abitanti di Cadice: nulla è accaduto oggi che valga la pena di allarmarsi o di turbarsi. Perciò, a partire da questa ora sesta, ognuno dovrà tenere per vero che nessuna cometa è apparsa sul l’orizzonte della città. Ogni contravventore a questa in giunzione ogni abitante che parlerà di comete altrimenti che come fenomeni siderali passati o futuri, sarà punito a rigor di legge.

Squilli di tromba. L'Araldo si ritira.

NADA               – Dunque Diego, tu che dici? È una trovata?

DIEGO              – E’ una  sciocchezza! Mentire  è sempre  una sciocchezza.

NADA               – No, è una politica. E io l'approvo perché mira a sopprimere tutto. Ah, che buon governatore abbiamo! Se il suo bilancio è in deficit, se sua moglie è adultera annulla il deficit e nega la copula. Cornuti, vostra moglie e fedele Paralitici, potete camminare, e voi ciechi, guardate: è l’ora della verità.

DIEGO              – Non chiamare la disgrazia, vecchia civetta! L’ora della verità è l'ora della morte.

NADA               – Giusto. A morte tutti! Ah, se potessi avere il mondo intero davanti a me, come un toro che trema con tutte le sue zampe, con i suoi occhietti ardenti di odio e la sua bocca rosa dove la bava forma un merletto sporco Ah, che momento! Questa vecchia mano non esiterebbe il fìl della schiena sarebbe troncato d'un colpo e la pesante bestia, fulminata, cadrebbe sino alla fine dei secoli attraverso interminabili spazi.

DIEGO              – Tu disprezzi troppe cose, Nada. Risparmia il tuo disprezzo, ne avrai bisogno.

NADA               – Non ho bisogno di niente. Ho del disprezzo: fino alla morte. E nulla su questa terra, ne re ne cometa né morale, saranno mai sopra di me!     

DIEGO              – Calma! Non Salire troppo in alto! Ti vorremmo meno bene.

NADA               – Io sono al di sopra di tutte le cose perché non desidero più nulla.

DIEGO              – Nessuno è al di sopra dell'onore.

NADA               – Che cos'è l'onore, figliuolo?

DIEGO              – Ciò che mi tiene in piedi.

NADA               – L'onore è un fenomeno siderale, passato o futuro. Sopprimiamolo.

DIEGO              – Bene, Nada: ma devo andare. Lei mi aspetta. Per questo non credo alla calamità che ci annunzi. Devo accudire alla mia felicità. E’ un lungo lavoro che esige la pace nelle città e nelle campagne.

NADA               – Te l'ho detto, figliuolo: ci siamo già. Non sperare nulla. La commedia sta per cominciare. E mi resta appena il tempo per correre in mercato a bere finalmente allo sterminio universale!   

Buio. Fine del prologo.

Luce. Animazione generale. i gesti sono più vivaci, il movi mento più precipitoso. I bottegai aprono le imposte sco stando i primi piani della scena. Appare la piazza del mercato. Il coro del popolo, condotto dai pescatori, la riempie a poco a poco. Sono esultanti.

IL CORO           – Non succede nulla, non succederà nulla. Acqua fresca, acqua fresca! Non è una calamità, è l'abbondanza dell'estate. (Grida d'allegria.) Finisce appena la primavera e già l'arancia estiva dorata è al culmine della stagione e scoppia sopra la Spagna in una cascata di miele, mentre tutti i frutti dell'estate, uva sciropposa, meloni color del burro, fichi sanguigni, albicocche di fiamma, vengono tutti insieme a rotolare in mostra sui nostri mercati. Oh, frutti! Qui nelle ceste di vimini, terminano la lunga corsa precipitosa che li mena dalle campagne. Là hanno co minciato ad appesantirsi d'acqua e di zucchero sopra i prati azzurri di calore e fra lo zampillare fresco di mille sorgenti al sole, a poco a poco riunite in una sola acqua di giovinezza aspirata dalle radici e dai tronchi; condotta sino al cuòre delle frutta dóve fìnisce per colare lentamente come una fontana mielata che li ingrossa e li fa sempre più pesanti. Pesanti, sempre più pesanti! Così pesanti che alla fine i frutti cascano in fondo all'acqua del cielo, rotolano attraverso l'erba opulenta, s'imbarcano sui fiumi, camminano lungo tutte le strade e, dai quattro angoli dell'orizzonte, salutati dai rumori gioiosi del popolo e dalle trombe dell'estate (brevi squilli di trombe), vengono in folle alle città umane a testimoniare che la terra è dolce, e che il cielo ubertoso riafferma la sua fedeltà ai convegni dell'abbondanza. (Grido generale d'allegria.) No, non succede nulla. Ecco l'estate, offerta e non calamità. Più tardi l'inverno:il pane duro è per domani! Oggi orate, sardine, pesce, pesce fresco venuto dai mari calmi, formaggio, formaggio al rosmarino. Il latte delle capre schiuma come lisciva e, sui tavoli di marmo, la carne congestionata sotto la corona di carta bianca, la carne dall'odore di trifoglio, offreinsieme al sangue, la linfa e il sole al ruminare dell’uomo. Su le coppe! Le coppe! Beviamo alla coppa delle stagioni. Beviamo fino all'oblio, non accadrà nulla!

Urrà. Grida di gioia. Squilli di trombe. Musica: e piccolescene si svolgono ai quattro angoli del mercato.        

NELLA PESCHERIA

PESCATORE    – Un'orata fresca come un garofano! Il fiore dei mari!... e poi lamentatevi!

LA VECCHIA  – La tua orata è cane di mare!

PESCATORE    – Cane di mare! Prima che tu venissi, vecchia strega, il cane di mare non era mai entrato in questa bottega.

LA VECCHIA  – Ah, figlio di tua madre! Guarda i miei capelli bianchi!

PESCATORE    – Fuori, vecchia cometa!

Tutti restano immobili col dito sulle labbra. La finestra diVittoria: Vittoria dietro l'inferriata e Diego.      –

DIEGO              – E’ così lontano!

VITTORIA        – Matto! non era che questa mattina alle undici!

DIEGO              – Sì, ma c'era tuo padre.

VITTORIA        – Mio padre ha detto di sì. Eravamo sicuri cheavrebbe detto di no.

DIEGO              – Avevo ragione di andare diritto verso di lui e guardarlo in faccia.

VITTORIA        – Avevi ragione. Mentre rifletteva ho chiuso gliocchi e ascoltavo salire in me un galoppo lontano: e si avvicinava sempre più stretto e concitato sino a farmi tremare tutta. E poi mio padre ha detto sì. Allora ho aperto gli occhi. Era il primo mattino del mondo. In un angolo della stanza dove eravamo ho veduto i cavalli neri dell'amore, ancora tutti in fremito, ma ormai tranquilli. Ci aspettavano.

DIEGO              – Io non ero ne sordo ne cieco. Ma non sentivo che il sommesso scalpitare del mio sangue. La gioia in me s'era fatta d'improvviso paziente. Oh città di luce, ecco che ti hanno riconsegnata a me per la vita, finché non ci chiami la terra. Domani partiremo insieme e sulla stessa sella.

VITTORIA        – Sì, parla il nostro linguaggio; anche se agli altri sembra pazzo. Domani bacerai la mia bocca. Guardo la tua e mi bruciano le guance. Di', non è il vento del Sud?

DIEGO              – E’ il vento del Sud, e brucia anche me. Dov'è la fontana che mi guarirà? Si avvicina e, passando le braccio attraverso l'inferriata, Vittoria lo stringe alle spalle.

VITTORIA        – Ah, mi fa male amarti tanto! Vieni più vicino.

DIEGO              – Come sei bella!

VITTORIA        – Come sei forte!

DIEGO              – Con che cosa ti lavi il viso, che tè lo fa bianco come la mandorla?

VITTORIA        – Lo lavo con l'acqua chiara e l'amore vi aggiunge la grazia.

DIEGO              – I tuoi capelli sono freschi come la notte!

VITTORIA        – Perché tutte le notti ti aspetto alla mia finestra.

DIEGO              – L'acqua chiara e la notte hanno lasciato su tè l'odore del cedro?

VITTORIA        – No,  è il vento del tuo amore che mi ha coperto di fiori in un giorno.

DIEGO              – I fiori cadranno!

VITTORIA        – Ti aspettano i frutti!

DIEGO              – Verrà l'inverno!

VITTORIA        – Ma con tè. Ti ricordi quello che mi hai cantato la prima volta? Non è vero anche adesso?

DIEGO              – Cent'anni dopo che sarò morto, se la terra mi domandasse se ti ho finalmente dimenticata,    risponderei: "Non ancora!"

Vittoria tace.

Non dici nulla?

VITTORIA        – La felicità mi chiude la gola.    

SOTTO LA TENDA DELL'ASTROLOGO

L'ASTROLOGO(a una donna). Il Sole, mia cara, attraversa il segno della Bilancia sul momento della tua nascita e questo consente di considerarti una Venusiana poiché il tuo segno ascendente è il Toro, anch'egli governato come ognun sa, da Venere. La tua natura è dunque emotiva, affettiva e cordiale. Puoi rallegrarti: anche se il Toro predispone al celibato, col rischio che rimangano senza seguito le tue preziose qualità. Vedo altresì una congiunzione Venere Saturno sfavorevole ai matrimoni e alla progenie. Congiunzione presaga, inoltre di gusti bizzarri e che fa temere mali insidiosi al ventre. Non preoccupartene, però, e cerca il Sole che rinforzerà il mentale e il morale e dei flussi del ventre è sovrano. Scegli i tuoi amici fra i Tori, piccola, e non dimenticare che la tua posizione e bene orientata, facile e favorevole, e può conservarti gioconda. Sei franchi

Riceve il denaro.

LA DONNA      – Grazie, Sei sicuro di ciò che m'hai detto, vero?

L’ASTROL.       – Sempre, piccola, sempre! Attenzione però. Questa mattina non è accaduto niente, d'accordo Ma ciò che non è accaduto è tale da mandare a rotoli il mio oroscopo. Non sono responsàbile di quello che non è accaduto. (La donna se ne va.) Chiedete il vostro oroscopo! II passato, il presente e il futuro garantiti dagli astri fissi. Ho detto fìssi! (Fra sé.) Se ci si mettono anche le comete, questo diventerà un mestiere impossibile. Bisognerà farsi governatore.

GITANI             – (insieme). Un amico che ti vuol bene... Una bruna odorosa d'arancio... Un gran viaggio a Madrid... L'eredità delle Americhe...    

UNO SOLO      – Dopo la morte dell'amico biondo, riceverai una lettera bruna.

Sopra un teatrino di saltimbanchi, in fondo, rullo di tamburo.

I COMMED.     – Aprite i vostri occhi belli, graziose dame; e voi, signori, prestate orecchio! Questi attori i più grandi e reputati di tutto il regno di Spagna, e che ho convinto non senza difficoltà a lasciare la Corte per questo mercato, rappresenteranno, pel vostro piacere, un atto sacro dell'immortale Pedro de Lanba: Gli Spinti. Opera che vi lascerà sbalorditi, e che le ali del genio hanno portato di colpo all'altezza dei capolavori universali. Composizione prodigiosa che il nostro rè ama a tal punto da farsela rappresentare due volte al giorno, e ch’ egli contemplerebbe ancora se non avessi fatto presente a questa Compagnia, a niuna seconda, l'interesse e 1’urgenza di farla conoscere anche in questo Mercato, per l’edificazione del pubblico di Cadice, il più sagace di tutte le Spagne. Avvicinatevi: la rappresentazione sta per cominciare.

La rappresentazione comincia infatti, ma non si sentono gli attori perché la loro VOCE   – è coperta dai rumori del mercato.

—Acqua fresca! Acqua fresca!

—La donna aragosta, metà donna, metà pesce.

—Sardine fritte! Sardine fritte!

—Qui il rè dell'evasione, da qualsiasi prigione.

—Prendi i miei pomodori, carina, son lisci come il tuo cuore!

— Merletti e lini da sposa!

—Senza dolori ne imbonimenti, qui c'è Pedro cavadenti.

 NADA              – (uscendo dalla taverna, ubriaco). Fracassate tutto! Fate una salsa di pomodori e di cuore! In prigione il re delle evasioni, e rompiamo i denti a Pedro! A morte l'Astrologo che questa non l'ha prevista! Mangiamo la donna aragosta e sopprimiamo tutto, salvo quel che si beve! Un Mercante straniero, riccamente vestito, entra nel mer cato circondato da una frotta di ragazze.

IL MERCANTE Domandate, domandate, il nastro della Cometa!

TUTTI                – Ssss! Zitto! Gli parlano all'orecchio e gli spiegano la sua pazzia.

IL MERCANTE Domandate, domandate il nastro siderale! Tutti comprano il nastro. Grida di gioia. Musica. Il Governatore col suo seguito giunge al mercato. Tutti si mettono comodi.

IL GOVERN.    – Il vostro governatore vi saluta e si rallegra di vedervi riuniti come è d'uso in questo luogo, fra le occupazioni che costituiscono la ricchezza e la pace di Cadice. No, in verità nulla è cambiato, e questo è bene. Ogni cambiamento mi irrita, amo le mie abitudini!

UN UOMO DEL POPOLO No, governatore, davvero non è cambiato niente; noialtri, i poveri, possiamo confermarlo. Arriviamo giusto giusto alla fine del mese. La cipolla, l'oliva e il pane sono il nostro alimento e, quanto al pollo lesso, siamo ben contenti di sapere che se lo mangiano gli altri ogni domenica. Questa mattina c'è stato chiasso nella città e sopra la città. A dir vero, abbiamo avuto paura. Temevamo che qualche cosa fosse cambiata e che, d'improvviso, i poveracci fossero costretti a nutrirsi di cioccolata. Ma grazie a te, buon governatore, ci è stato annunciato che nulla era accaduto e che le nostre orecchie avevano inteso male. E così, eccoci  tutti rassicurati con te.              

IL GOVERN.    – Il governatore se ne rallegra. Il nuovo  non è mai buono.

GLI ALCALDES Il governatore ha parlato bene: il nuovo non è mai buono. Noi alcaldes, investiti per saggezza ed età, non vogliamo credere che i nostri poveri abbiano voluto fare dell'ironia. L'ironia è una virtù distruttiva. Un buon governatore preferisce i vizi costruttivi!

IL GOVERN.    – Intanto, che nessuno si muova! Io sono il re dell'immobilità!

GLI UBRIACHI DELLA TAVERNA (intorno a Nada). Sì, sì, sì! No, no, no! Niente si muova, buon governatore! Tutto gira intorno a noi, ed è un gran disagio. Vogliamo l'immobilità! Ogni movimento sia interrotto! Tutto sia soppresso, salvo il vino e la pazzia!

IL CORO           – Nulla è cambiato! Non accade nulla, nulla è accaduto! Le stagioni girano intorno al loro perno; e nel cielo soave circolano astri saggi che, con la loro tranquilla geometria, condannano le stelle pazze e sregolate. Le quali, con la loro capigliatura fiammeggiante incendiano le praterie del cielo, turbano con i loro urli d'allarme la dolce musica dei pianeti, scompigliano col vento della corsa le gravitazioni esterne, fanno stridere le costellazioni e preparano funeste collisioni di astri ai quadrivi del cielo. In verità, tutto nel mondo è ordine ed equilibrio! E’ il mezzogiorno dell'anno, stagione alta e immobile! Felicità, felicità! Ecco l'estate! Che cosa importa il resto? La felicità è il nostro orgoglio.

GLI ALCALDES Se il cielo ha le sue abitudini sia ringraziato il governatore, il re dell'abitudine. Neppure a lui piacciono le teste scapigliate. Tutto il suo regno è ben pettinato.

IL CORO           – Saggi! Noi resteremo saggi perché nulla cambierà mai. Che cosa faremmo noi, con i capelli al vento, lo sguardo acceso, i denti che stridono? Noi saremo orgogliosi della felicità degli altri!

GLI UBRIACHI (intorno a Nada). Abbasso il movimento! Abbasso! Abbasso! Non muovetevi, non muoviamoci! Lasciamo scorrere le ore: questo regno sarà senza storia! La stagione immobile è la stagione del nostro cuore, poiché è la più calda e ci mena a bere! Ma il tema dell'allarme che già ronzava cupamente si fa d'improvviso più acuto, mentre due enormi colpi sordi risuonano. Dal palcoscenico del teatrino, un attore avanza verso il pubblico continuando la sua pantomima, vacilla e cade in mezzo alla folla che lo circonda immediatamente. Non un gesto, non una parola. Un profondo silenzio. Pochi secondi d'immobilità, poi baraonda generale. Diego fende la folla che si apre lentamente e scopre il caduto. Arrivano due medici: esaminano il corpo, si appartano e discutono concitati. Un giovane domanda spiegazioni a uno dei medici, che nega col capo. Il giovane insiste e, incoraggiato dalla folla, lo spinge a rispondere, lo scuote, si stringe a lui nell'atto di scongiurarlo, e si trova finalmente bocca a bocca con quello. Aspira profondamente e con rumore, poi fa finta di cogliere una parola dalla bocca del medico. Si scosta e, a gran fatica, come se la parola fosse troppo grande per la sua bocca e gli fossero necessari lunghi sforzi per liberarsene, pronuncia: La peste! Tutti piegano i ginocchi e ognuno ripete la parola sempre più forte e a ritmo più stretto; poi fuggono in ampie volute intomo al governatore risalito sulla sua piattaforma. Il movimento si accelera, diventa precipitoso e come atterrito finché alla voce del Vecchio Curato, tutta la gente si ferma a gruppi.

IL CURATO     – In chiesa! in chiesa! È arrivato il castigo! L'antico male è sulla città! Quello che il Cielo cala da sempre sulle città corrotte per castigarle a morte dei loro peccati mortali. Le grida saranno soffocate nelle vostre bocche bugiarde, e un sigillo rovente sarà posto sul vo stro cuore. Pregate il Signore di giustizia perché dimenti chi e perdoni. In chiesa! in chiesa! Alcuni si precipitano in chiesa. Altri si volgono meccanica mente a destra e a sinistra, mentre suona la campana a morto, in terzo piano l'Astrologo, come se facesse un rap porto al Governatore, parla con tono molto naturale:

L'ASTROL.       – Una congiunzione maligna di pianeti ostili è avvenuta sul piano astrale. Significa e annuncia: siccità, fame e peste a volontà!

Ma un gruppo di donne copre tutto col suo chiocciare.           

—Aveva sulla gola una enorme bestia che gli pompava il sangue a gran singhiozzi di travaso.

—Era un ragno, un grosso ragno nero!

—Verde era, verde!

—No, era una lucertola delle alghe!

—Non hai visto niente! Era un polipo grande come un ragazzine).

—Diego, dov'è Diego?

—Ci saranno tanti morti che non resteranno abbastanza vivi per sotterrarli!

—Ah, poter partire!

— Partire! partire!

VITTORIA        – Diego, dov'è Diego?

Durante questa scena il ciclo si è fatto pieno di segni, e il ronzio d'allarme si è ampliato, accentuando il terrore generale. Un uomo, col volto illuminato, esce da una casa gridando: "Fra quaranta giorni la fine del mondo!", e di nuovo il panico snoda le sue volute, mentre la gente ripete: Tra quaranta giorni la fine del mondo!" Alcune guardie vengono ad arrestare l'illuminato, mentre dall'altro lato esce una Strega che distribuisce rimedi.

LA STREGA     – Melassa, menta, salvia, rosmarino, timo, zafferano, scorza di limone, pasta di mandorle... Attenzione, attenzione! Rimedi infallibili! (Ma una specie di vento freddo si leva, mentre il sole comincia a tramontare, e fa sollevare il capo.) II vento! Ecco il vento! Il flagello ha orrore del vento! Tutto andrà meglio, vedrete!

Nello stesso momento il vento cade, il ronzio risale all'acuto, e i due enormi colpi sordi risuonano, assordanti e un poco più vicino. Due uomini cadono di schianto, in mezzo alla folla. Tutti piegano le ginocchio e cominciano a sco starsi dai corpi, rinculando. Resta la Strega, sola, viva con ai piedi due uomini che hanno dei segni all'inguine e alla gola. Essi si torcono, fanno due o tre movimenti e muoio no, mentre la notte scende lentamente sulla folla che si sposta sempre più verso l'esterno, lasciando i due cadaveri al centro. Oscurità. Luce nella chiesa. Proiettore sul palazzo del re. Luce nella casa del giudice. Azione alternata.         

 NEL PALAZZO

PRIMO ALCALDE Vostro Onore, l'epidemia si diffonde con una rapidità che sfida ogni soccorso. I rioni sono più contagiati di quanto si creda e questo mi inclina a pensare che sia necessario nascondere la gravità della situazione e non dire la verità al popolo a nessun costo. Del resto, e per il momento, la malattia si diffonde soprattutto nei rioni periferici che sono poveri e sovrappopolati. Nella nostra disgrazia, c'è almeno questo conforto.

Mormorii di approvazione.         

IN CHIESA

IL CURATO     – Avvicinatevi e ognuno confessi in pubblico quanto di peggio ha fatto. Aprite i vostri cuori, maledetti! Confessate gli uni agli altri il male che avete fatto e quello che avete pensato: altrimenti il veleno del peccato vi soffocherà e vi porterà all'inferno sicuramente, come la piovra della peste... Per conto mio, mi accuso di aver mancato spesso di carità.

Tre confessioni mimale avranno luogo mentre si svolge il dialogo seguente.         

NEL PALAZZO

IL GOVERN.    – Tutto si accomoderà. Ma che rabbia! Proprio oggi che dovevo andare a caccia. Queste cose capitano sempre quando c'è qualche affare importante. Come si fa?

PRIMO ALCALDE Non rinunciate alla caccia, non fosse che per l'esempio. La città deve sapere che affrontate l'avversità con viso sereno.          

 IN CHIESA

TUTTI                – Perdonateci, Signore, quello che abbiamo fatto e quello che non abbiamo fatto!           

IN CASA DEL GIUDICE

IL GIUDICE     – (legge calmo, circondato dalla sua famiglia). Il Signore è il mio rifugio e la mia fortezza   È  Lui che mi salva dal laccio dell'uccellatore   E dalla peste assassina!

LA MOGLIE     – Casado, non possiamo uscire?

IL GIUDICE     – Sei uscita anche troppo, vita durante, donna. E con questo non hai ratto la nostra felicità.

LA MOGLIE     – Vittoria non è tornata, e temo per lei.

IL GIUDICE     – Non sempre hai temuto per te. E hai perdutol'onore. Resta: qui è la casa tranquilla in mezzo al flagello. Ho previsto tutto: barricati finché dura la peste, aspetteremo la fine. Con l'aiuto di Dio, eviteremo di soffrire.

LA MOGLIE     – Hai ragione Casado. Ma non siamo soli. Altri soffrono. Vittoria è forse in pericolo.

IL GIUDICE     – Lascia gli altri e pensa alla casa. Pensa a tuo figlio, per esempio. Fa' portare tutte le provviste che potrai. Riempi i granai, donna, riempi! E’ venuto il tempo di riempire i granai! (Legge.) "Il Signore è il mio rifugio e la mia fortezza..."      

 IN CHIESA (continuando)

IL CORO           – "Non dovrai temere   gli spaventi della notte,   ne le frecce che volano nella luce,   ne la peste che cammina nell'ombra, ne l'epidemia che striscia in pieno         mezzogiorno.

UNA VOCE      – Oh, Dio grande e tremendo!Luce sulla piazza. Il popolo circola sul ritmo di una copia.

IL CORO           – "Tu hai firmato sulla sabbia,   Tu hai scritto sul mare.   Non resta che la pena.

Entra Vittoria.  Proiettore sulla piazza.

VITTORIA        – Diego, dov'è Diego?

UNA DONNA  – Al capezzale dei malati. Cura quelli che lo  chiamano.

Vittoria corre verso una estremità della scena e si scontra  con Diego che porta la maschera dei medici della peste.  indietreggia gettando un grido.  

DIEGO              – (dolcemente). Ti faccio tanta paura, Vittoria?  

VITTORIA        – (con un grido). Oh, Diego, finalmente tu!  Togliti quella maschera e stringimi a tè. A tè! A tè! e sarò  salva dal male. (Diego non si muove.) Che cosa è cambiato fra noi, Diego? Ti cerco da tante ore, correndo attraverso la città, spaventata dall'idea che il male possa colpire anche te, e tu sei qui, con la maschera del tormento e  del flagello. Gettala, gettala via, tè ne prego, e stringimi a  te! (Diego si toglie la maschera.) Quando vedo le tue mani mi si fa arida la bocca. Baciami! (Diego non si muove. Più  sottovoce) Baciami! muoio di sete! Hai dimenticato che ieri, soltanto ieri, ci siamo legati l'uno all'altra? Tutta la notte ho aspettato questo giorno in cui dovevi abbracciarmi forte. Su, presto!...

DIEGO              – Che pietà, Vittoria!

VITTORIA        – Sì: ma di noi. Per questo ti ho cercato, gridando per le strade, correndo verso di tè con le braccia tese per annodarle alle tue. Si avanza verso di lui.

DIEGO              – Non toccarmi, scostati.

VITTORIA        – Perché?

DIEGO              – Non mi riconosco più. Non ho mai avuto paura di un altro uomo, ma questo è più forte di me; l'onore non mi serve a nulla e sento che sto per cedere. (Vittoria si avanza verso di lui.) Non toccarmi. Forse il male è già in me, e posso darti il contagio. Aspetta un poco. Lascia mi respirare; sono soffocato di stupore. Non so nemme no più come prendere questi uomini per voltarli nel loro letto. Mi tremano d'orrore le mani e mi acceca la pietà. (Grida e gemiti.) E tuttavia mi chiamano, li senti? Bisogna che vada. Ma tu, veglia su te, veglia su noi. Tutto questo finirà, è certo.

VITTORIA        – Non lasciarmi!              

DIEGO              – Finirà. Sono tròppo giovane e ti amo troppo. La morte mi fa orrore.

VITTORIA        – (slanciandosi verso di lui). Ma sono viva, io!

DIEGO              – (indietreggiando). Che vergogna, Vittoria, che vergogna!

VITTORIA        – Vergogna? Perché vergogna?

DIEGO              – Mi sembra d'avere paura. Si sentono dei gemiti. Egli corre in quella direzione. Il popolo circola sul ritmo di una copia.

IL CORO           – "Chi ha ragione, chi ha torto?   Pensa   die tutto è menzogna quaggiù.   Verità sola è la morte."'

Proiettore sulla scena e sul palazzo del Governatore. Salmie preghiere in chiesa. Dal palazzo il Primo Alcalde si rivolge al popolo.

PRIMO ALCALDE Ordine del governatore. A partire da oggi, in segno di penitenza per la sventura comune e per evitare i rischi del contagio, ogni riunione pubblica è interdetta e tutti i divertimenti proibiti. Così...

UNA DONNA (fra il popolo si mette a urlare). Là! là! nascondono un morto. Non bisogna permetterlo. Corromperà l'aria. Vergogna, uomini, bisogna sotterrarlo!

Confusione. Due uomini escono trascinando la donna.

PRIMO ALCALDE. Così il governatore è in grado di rassicurare i cittadini sulla evoluzione dell'inatteso flagello piombato sulla città. Per avviso di tutti i medici, basterà che il vento marino si alzi perché la peste indietreggi.Con l'aiuto di Dio...

Ma due enormi colpi sordi lo interrompono, e sono seguiti da due altri, mentre la campana a morto suona insistente, e le preghiere s'innalzano nella chiesa. Poi un silenzio terrificante, durante il quale entrano due personaggi stranieri: un uomo e una donna. L'uomo è corpulento. A testa nuda indossa una specie di uniforme con decorazione. Anche la donna indossa una uniforme, ma con colletto e polsini bianchi. Ha in mano un taccuino. Avanzano fin sótto il palazzo del Governatore e salutano.

IL GOVERN.    – Che cosa volete da me, stranieri?

L'UOMO           – (con tono cortese). Il vostro posto.

TUTTI.               – Che? Che cosa dice?

IL GOVERN. Avete scelto male il momento, e questa insolenzà potrà costarvi cara. Ma, certamente, abbia mo frainteso. Chi siete?

L'UOMO           – Ve la do da indovinare.

IL GOVERN.    – Non so chi siete, straniero, ma so dove finirete!

L'UOMO           – (calmissimo). Mi fate pena. Che ve ne pare, cara amica? Debbo dir loro chi sono?

LA SEGRET.    – Di solito, lo facciamo con maggior ri guardo.

L'UOMO           – Questi signori, però, hanno molta fretta.

LA SEGRET.    – Avranno le loro ragioni, certamente. Dopo tutto siamo in visita, e dobbiamo uniformarci agli usi del luogo.

L’UOMO           – Capisco. Ma ciò non sgomenterà questa brava gente?

LA SEGRET.    – Sgomento vai meglio che scortesia.

L’UOMO           – Mi avete convinto. Mi resta però qualche scru polo...

LA SEGRET.    – Delle due, una...

L’UOMO           – Vi ascolto.

LA SEGRET.    – ... o lo dite, oppure non lo dite. Se lo dite lo sapranno, se non lo dite non lo apprenderanno.

L’UOMO           – E’ chiarissimo.

IL GOVERN.    – In ogni caso, basta! Prima di prende re le necessarie disposizioni, vi ordino per l'ultima volta di dire chi siete e che volete.

L'UOMO           – (sempre naturale). Io sono la Peste. E voi?

IL GOVERN.    – La Peste?

L’UOMO           – Sì; e ho bisogno del vostro posto. Sono dolente, credetelo, ma fra poco avrò molto da fare. Se vi accordassi due ore? Vi basterebbero per passarmi le consegne?             

IL GOVERN.    – Ora passate il segno: la vostra impostura dev'essere punita. Guardie!

L’UOMO           – Aspettate. Non voglio costringere nessuno. Ho per principio di essere corretto. Capisco che la mia condotta possa stupire, e in fondo, voi non mi conoscete. Ma desidero davvero che mi cediate il posto senza obbligarmi a dar prova di me. Non potete credermi sulla parola?

IL GOVERN.    – Non ho tempo da perdere e questo scherzo è durato anche troppo. Arrestatelo!

L’UOMO           – Bisogna rassegnarsi ad agire. Però è seccante.Cara amica, volete procedere a una "radiazione"?

Tende il braccio verso una delle guardie. La Segretaria cancella ostensibilmente qualche cosa sul taccuino. Il colpo sordo risuona. La guardia cade. La Segretaria la esamina.

LA SEGRET.    – Tutto in ordine, Vostro Onore. I tre segni ci sono. (Agli altri, amabilmente.) Un segno e siete sospetti. Due segni ed eccovi contagiato. Tré, e la "radiazione" è decisa. Nulla di più semplice.

L’UOMO           – Ah, dimenticavo di presentarvi la mia segretaria. Voi la conoscete, del resto. Ma s'incontra tanta gente...

LA SEGRET.    – Sono scusabili; e poi finiscono sempre per riconoscermi.

L’UOMO           – Un bel carattere, lo vedete. Allegro, contento,pulito...

LA SEGRET.    – Non ho nessun merito. Il lavoro è più facile in mezzo ai fiori freschi e ai sorrisi.

L’UOMO           – Eccellente principio. Ma torniamo a noi. (AlGovernatore.) Vi ho dato una prova sufficiente della mia serietà? Non dite nulla? Capisco: vi ho spaventato, naturalmente. Ma è proprio a mio malgrado, credetelo. Avrei preferito un accomodamento amichevole, una convenzione fondata sulla fiducia reciproca, garantita dallavostra parola e dalla mia, un accordo onorevolmenteconcluso, in certo modo. Ma non è mai tardi per faremeglio. Una dilazione di due ore vi sembra sufficiente? (Il Governatore scuote il capo negativamente. L'uomo sivolge verso la Segretaria.) Che antipatico!

LA SEGRET.    – (scuotendo il capo). Un ostinato! È un guaio!

L’UOMO           – Nondimeno, vorrei ottenere il vostro consenso. Non voglio far nulla senza accordarmi con voi, sarebbe contrario ai miei principi. La mia collaboratrice, dunque, procederà a tante "radiazioni" quante saranno necessarie per ottenere una spontanea approvazione alla modesta riforma che vi ho proposto. Siete pronta, cara amica?

LA SEGRET.    – Il tempo di rifare la punta alla matita, e tutto sarà per il meglio nel migliore dei modi.

L'UOMO           – (sospirando). Senza il vostro ottimismo, questo mestiere mi sarebbe molto faticoso.

LA SEGRET.    – (temperando la matita). La perfetta segretaria è sicura che si può accomodare tutto, sempre; che non ci sono errori di contabilità i quali non finiscano per essere scoperti, ne appuntamenti perduti che non possano recuperarsi. Nessuna sventura che non abbia un solo lato buono. La guerra stessa ha le sue virtù, e persi nei cimiteri possono essere eccellenti affari quando le concessioni perpetue scadano ogni dieci anni.

L’UOMO           – Parole sante!.,. Avete fatto la punta al lapis?

LA SEGRET.    – Certo; possiamo cominciare.

L’UOMO           – Andiamo! Indica Nada che è venuto avanti, ma Nada scoppia in una risata da ubriacone.

LA SEGRET.    – Potrei farvi notare che quest'uomo è il tipo di chi non crede a nulla, e che un tipo del genere ci è molto utile?

L’UOMO           – Giustissimo, Allora prendiamo un alcalde.

Panico fra gli alcaldes.

IL GOVERN.    – Fermatevi!

LA SEGRET.    – Buon segno, Vostro Onore!

L'UOMO           – (premuroso). Posso fare qualcosa per voi, governatore?

IL GOVERN.    – Se vi cedo il posto, io la mia famiglia e gli alcaldes avremo la vita salva?

L’UOMO           – Diamine! È di prammatica.        

Il Governatore conferisce con gli alcaldès, poi si volge verso il popolo.

IL GOVERN.    – Popolo di Cadice! tu comprendi,vero?, ne sono sicuro, che ormai tutto è cambiato. Nel tuo stesso interesse sarà forse meglio che io ceda questa città alla nuova potenza che mi si è rivelata. L'accordo che concludo, eviterà certamente il peggio, e così avrai la certezza di conservarti, fuori dalle mura, un governo che potrà un giorno esserti utile. Sento il dovere di avvertire che, parlando così, non mi preoccupo della mia sicurezza, ma...

L’UOMO           – Scusate se v'interrompo. Gradirei sentirvi precisare pubblicamente che acconsentite di pieno gradimento a queste utili disposizioni e che, naturalmente, si tratta di un libero accordo. Il Governatore guarda dalla parte loro.

La Segretaria portala matita alla bocca.

IL GOVERN.    – S'intende che concludo questo nuovo accordo sotto il segno della libertà.

Balbetta, indietreggia e fugge via. L'esodo comincia.

L'UOMO           – (al Primo alcalde). Per favore, non ve ne andate.Mi occorre un uomo che goda la fiducia del popolo, perché dovrà essere l'intermediario, il messaggero delle mie volontà. (L'alcalde esita.) Voi accettate, naturalmente...(Alla Segretaria.) Cara amica...

PRIMO ALCALDE Ma naturalmente: è un grande onore.

L’UOMO           – Benissimo! in questo caso, cara amica, comunicherete all'alcalde le decisioni da far conoscere a questa brava gente, perché cominci a vivere secondo il regolamento.

LA SEGRET.    – Ordinanza concepita ed emanata dal primo alcalde e dai suoi consiglieri..

PRIMO ALCALDE Ma io non ho ancora concepito...

LA SEGRET.    – E’ una fatica che vi risparmiamo. E, mi sembra, dovreste essere lusingato che i nostri servizi si diano la pena di redigere ciò che voi avrete l'onore di firmare.

PRIMO ALCALDE. Certamente, ma...

LA SEGRET.    – Ordinanza dunque che costituisce atto promulgato in completa obbedienza alle volontà del nostro beneamato sovrano, regolatrice del trattamento e dell'assistenza benefica ai cittadini contagiati; e per la designazione di tutte le regole e di tutte le persone, come: sorveglianti, guardiani, esecutori e beccamorti; i quali giureranno di applicare strettamente gli ordini che verranno loro impartiti.

PRIMO ALCALDE. Scusate, che linguaggio è questo?

LA SEGRET.    – Il più adatto per abituarli a un po' d'ermetismo. Meno capiranno, meglio obbediranno. Detto questo, ecco le ordinanze che farete annunciare per la città, una dopo l'altra, affinchè ne sia facilitata la digestione anche agli spiriti più lenti. Ecco i nostri Messaggeri. Le loro simpatiche facce aiuteranno a fissare il ricordo delle loro parole.

I Messaggeri si presentano.

IL POPOLO      – Il governatore se ne va! Il governatore se ne va!

NADA               – Com'è suo diritto, popolo, com'è suo diritto. Lo Stato è lui, e bisogna proteggere lo Stato!

IL POPOLO      – Lo Stato era lui, e ora non è più nulla. Lui se ne va e la Peste resta lo Stato.

NADA               – E a voi che importa? Peste o governatore è sempre lo Stato!

Il popolo circola, sembra, in cerca di uscite. Un Messaggero si presenta.

PRIMO MESSAGGERO Tutte le case infette dovranno essere marcate con una stella nera di due piedi di diametro in mezzo alla porta, e con questa iscrizione: "Siamo tutti fratelli." La stella non si dovrà rimuovere fino alla riapertura della casa, pena i rigori della legge.

Si ritira.

UNA VOCE      – Quale legge?

UN'ALTRA.      – La nuova, naturalmente.     

IL POPOLO      – I padroni dicevano che ci avrebbero protetti,ma qui siamo soli. Nebbie spaventose si addensano ai quattro angoli della città, disperdono a poco a poco l'odore delle rose, offuscano la gloria della stagione, soffocano il giubilo dell'estate. Ah, Cadice, città marina!Ancora ieri, attraversando lo stretto, il vento del deserto, più denso per essere passato sui giardini africani, illanguidiva le nostre figliuole. Ma il vento è caduto: il solo che avrebbe potuto purificare la città. I nostri padroni dicevano che nulla sarebbe accaduto mai. Ed ecco che l'altro ha ragione: e qualche cosa accade, e ci siamo finalmente, e ci tocca fuggire, fuggire senza indugio, prima che le porte si chiudano sulla nostra sventura.

SECONDO MESSAGGERO Tutte le derrate di prima necessità saranno d'ora in poi a disposizione della comunità; saranno cioè distribuite in parti uguali e infine a tutti coloro che potranno provare la loro leale appartenenza alla nuova società.

La prima porta si chiude.

TERZO MESSAGGERO Tutti i fuochi dovranno essere spenti alle ore nove della sera, e nessun cittadino resterà in luogo pubblico, o potrà circolare nelle vie della città senza un lasciapassare regolarmente rilasciato, che sarà concesso soltanto in casi estremamente rari e sempre invia arbitraria. Chi contravverrà a queste disposizioni sarà punito a rigor della legge.

Voci (in crescendo). Chiudono le porte!

—Le porte sono chiuse!

—Non tutte, non tutte!

IL CORO           - Ah, corriamo a quelle che sono ancora aperte. Siamo i figli del mare. Laggiù, laggiù bisogna giungere, nel paese senza muraglie e senza porte, alle spiagge vergini' dove la sabbia ha la freschezza delle labbra, e dove lo sguardo può spingersi tanto lontano da stancarsi. Corria-mo incontro al vento! Al mare! Il mare finalmente, il mare libero, l'acqua che lava, il vento che libera! Voci. Al mare! Al mare!

L'esodo diventa precipitoso.

QUARTO MESSAGGERO È severamente proibito dare assistenza alle persone colpite dal contagio, se non denunziandole alle autorità competenti. La denuncia fra i componenti di una stessa famiglia è raccomandata in modo particolare, e sarà ricompensata con una razione alimentare doppia, detta: "razione civica".

La seconda porta si chiude.

IL CORO           – Al mare! al mare! Il mare ci salverà! Che importano, al mare, le malattie e le guerre? Ha veduto e sommerso molti governi. Ci offre soltanto mattini rossi e sere verdi, e, dalla sera al mattino, il fruscio interminabile delle sue acque lungo le notti straripanti di stelle. O solitudine, deserto, battesimo del sale! Essere solo davanti al mare, nel vento, faccia al sole, libero alfine dalle città sigillate come tombe e dai volti umani che la paura ha serrati a catenaccio. Presto! Presto! Chi mi libererà dall'uomo e dai suoi terrori? Ero felice sulla sommità dell'anno, abbandonato tra i frutti, la natura calma e il favore dell'estate. Amavo il mondo: c'era la Spagna e c'ero io. Ma non sento più il rumore delle onde. Ecco i clamori, il panico, l'insulto e la viltà; ecco i miei fratelli aggrumati di sudore e d'angoscia, e ormai troppo pesanti da portare. Chi mi renderà i mari d'oblio, l'acqua calma dell'alto mare, i liquidi sentieri e i ricoperti solchi? Al mare, al mare prima che le porte si chiudano!

VOCE                – Presto! non toccare questo qui ch'era vicino al morto!

VOCE                – È segnato!

VOCE                – Scostati! Via!

Lo battono. La terza porta si chiude.

VOCE                – Oh, Dio grande e tremendo!

VOCE                – Presto! Prendi l'indispensabile: il materasso e la gabbia degli uccelli. Non dimenticare il collare del cane' Anche il vaso di menta fresca. Ne masticheremo andando al mare!

VOCE                – Al ladro! al ladro! M'ha preso la mia tovaglia di nozze: ricamata!              

Si inseguono.  Si raggiungono. Si picchiano. La quarta porta si chiude.

VOCE                – Nascondi le nostre provviste, nascondile!

VOCE                – Non ho nulla da mangiare per la strada. Dammi un pane, fratello: ti do la mia chitarra intarsiata di madreperla.

VOCE                – Questo pane è per i miei figli, non per chi si dice mio fratello. Ci sono diversi gradi di parentela.

VOCE                – Un pane! Tutto il mio denaro solo per un pane!

La quinta porta si chiude.

VOCE                – Presto! una sola porta è rimasta aperta. Il flagello corre più veloce di noi. Odia il mare e non vuole che lo raggiungiamo. Le notti sono calme, le stelle filano sopra gli alberi maestri delle navi. Che farebbe qui la Peste? Vuoi tenerci sotto il suo dominio; ci ama a modo suo. Vuole che siamo felici come intende lei, non come voglia mo noi. Sono i piaceri obbligati, la vita gelida, la felicità in perpetuo. Tutto si fissa, non sentiamo più sulle nostre labbra l'antica frescura del vento.

VOCE                – Prete, non mi lasciare! Sono il tuo povero! (il prete fugge.) Fugge! fugge! È tuo dovere assistermi! Se ti perdo, perdo tutto! (Il prete gli sfugge. Il povero cade gridando:) Cristiani di Spagna! siete abbandonati!

QUINTO MESSAGGERO (staccando le parole). Ecco, finalmente, la conclusione. (La Peste e la sua Segretaria davanti al Primo Alcalde, sorridono e approvano congratulandosi.) Allo scopo di evitare ogni contagio per la comunicazione dei fiati; in quanto le parole stesse possono essere veicolo all'infezione, ordine è fatto a ciascun abitante di conservare ininterrottamente in bocca un tampone imbevuto d'aceto: questo li preserverà dal male e li abituerà alla discrezione e al silenzio.

Da questo momento ognuno si mette un fazzoletto in bocca, e il numero delle voci diminuisce col diminuire della sonorità dell'orchestra, il coro, cominciato a più voci, finirà con una sola, sino alla pantomima finale che si svolge in un assoluto silenzio, essendo le bocche dei personaggi gonfie e chiuse. L'ultima porta è sbattuta con grande violenza.

IL CORO           – Sventura! sventura! Siamo soli, la Peste e noi. L'ultima porta si è chiusa: non sentiamo più nulla! il mare è ormai troppo lontano. Ora siamo nel dolore e dobbiamo girare a girotondo in questa città stretta senz'alberi e senz'acque; sbarrata dalle alte porte lisce, coro nata di folle urlanti: Cadice insomma, arena nera e rossa, dove si compiranno gli assassini! rituali. Fratelli! questa angoscia supera la nostra colpa; non abbiamo meritato questa prigione. Non era innocente il nostro cuore, ma amavamo il mondo e le sue estati: questo avrebbe dovuto salvarci. I venti sono in panna e il cielo è svuotato. Per molto tempo taceremo. Ma prima che le nostre bocche si chiudano sotto il bavaglio del terrore, per l'ultima volta grideremo nel deserto!

Gemiti e silenzio. In orchestra restano solamente le campane. Il ronzio della cometa riprende sommesso. Nel palazzo del Governatore riappaiono la Peste e la sua Segretaria. La Segretaria si avanza, cancellando un nome a ogni passo, mentre la batteria scandisce ognuno dei suoi gesti. Nada sghignazza, e la prima carretta di cadaveri passa cigolando. La Peste si erge a sommo dello sfondo e fa un segno. Tutto si ferma: movimento e rumore. La Peste parla.

LA PESTE         – Io regno: è un fatto, quindi è un diritto. Ma un diritto che non si discute: dovrete adattarvi. Non fatevi illusioni, del resto: io regno a modo mio, e sarebbe più esatto dire che io "funziono". Voi siete un poco romantici, spagnoli, e mi vedreste volentieri sotto l'aspetto di un re negro o di un sontuoso insetto. Si sa: voi avete bisogno di patetico. Ebbene, no. Non ho scettro, io, e ho preso l'aspetto di un sergente. E il mio modo di tormentarvi, perché è bene che siate tormentati: avete tutto da imparare. Il vostro rè ha le unghie sporche e l'uniforme stretta. Non troneggia, siede. Il suo palazzo è una caserma, il suo padiglione da caccia un tribunale. Lo stato d'assedio è proclamato. E così che, notatelo bene, quando arrivo io, il patetico se ne va. E proibito il patetico: e così le altre bagattelle come la ridicola angoscia della felicità, la faccia stupida degli innamorati, la contemplazione egoista del paesaggio e la colpevole ironia. Al posto di tutto questo io pongo l'organizzazione. In principio sarà un po' scomodo per voi, ma finirete per capire che una buona organizzazione vai meglio di un cattivo patetico. E per illustrare questo pensiero felice comincerò a separare gli uomini dalle donne: questo avrà forza di legge. (Le guardie eseguono.).  Le vostre smancerie hanno fatto il loro tempo.Ora si tratta di essere seri. Suppongo che abbiate capito. A partire da oggi imparerete a morire nell'ordine. Fino a oggi siete morti alla spagnola, un po' a caso, a capocchia, per così dire. Morivate perché faceva freddo dopo aver fatto caldo, perché i muli si agitavano, perché la catena dei Pirenei era azzurra, perché in primavera il Guadalquivir attirava l'uomo solitario, oppure perché ci sono degli imbecilli che parlano avanvera e ammazzano per interesse o per l'onore, mentre è tanto più distinto ammazzare per i piaceri della logica. Sì, morivate male. Un morto qui, un morto là, questo nelsuo letto, quello nell'arena: un vero sperpero! Ma tuttoquesto disordine, per fortuna, ora sarà amministrato.Una morte unica per tutti e secondo il bell'ordine di unelenco. Ognuno avrà la sua scheda, e nessuno morirà piùa capriccio. Il destino è addomesticato, ha aperto i suoi uffici. Sarete tutti nella statistica e servirete finalmente aqualche cosa. Perché, dimenticavo di dirvelo, morirete, bene inteso, ma sarete inceneriti, dopo o anche prima; è più pulito e rientra nell'ordine. Spagna, prima di tutto!Mettersi nei ranghi per morire bene, questo è l'essenziale. Soltanto a questa condizione potrete godere il miofavore. Ma attenti alle idee irragionevoli, ai furori dell'anima, come dite voi, alle febbriciattole che suscitano le grandi sommosse. Ho soppresso questi minuti piaceri e ho istituito la logica. La diversità e l'arbitrario mi ripugnano. A partire da oggi, dunque, sarete ragionevoli: cioè avrete il vostro distintivo. Marcati all'inguine, porterete sotto l'ascella la stella del bubbone che segnerà il vostro destino. Gli altri, quelli che, persuasi di esser fuori causa, fanno coda alle arene della domenica, si allontaneranno da voi che siete sospetti. Ma non vi amareggiate: questo riguarda loro. Anch'essi sono sulla lista e io non dimentico nessuno. Tutti sospetti, è il buon principio. In fondo, tutto questo non distrugge il sentimento. Io amo gli uccelli, le prime violette, la bocca fresca delle fanciulle. Ogni tanto è un soffio di freschezza: ed è pur vero che io sono idealista. Il mio cuore... Ma sento che sto per commuovermi e non voglio insistere. Mi limito a riassumere: vi porto il silenzio, l'ordine e la giustizia assoluta. Non vi domando di ringraziarmi: ciò che faccio per voi è naturale. Ma esigo la vostra collaborazione attiva. Il mio ministero è cominciato.

SIPARIO

PARTE SECONDA

Una piazza di Codice. A sinistra dello spettatore la portineria del cimitero. A destra un lungomare. Vicino al lungomare la casa del giudice. All'aprirsi del sipario becchini in costume di forzati allineano i morti. Si sente il cigolio della carretta dei cadaveri:entra e si ferma in mezzo alla scena, i fonati la caricano.La carretta riparte verso la portineria. Nel momento in cuila carretta si ferma davanti al cimitero, musica militare euno dei muri della portineria si apre verso il pubblico. Appare la parte coperta del cortile di una scuola. La Segretaria vi troneggia. Un po' più in basso alcune tavole comequelle dove si distribuiscono le carte di approvvigionamento. Dietro di esse il Primo Alcalde, con i suoi mustacch ibianchi, circondato da funzionari. La musica aumenta d'intensità. Dall'altro lato le guardie cacciano avanti il popoloe lo spingono nella portineria, donne e uomini separati. Luce al centro. Dall'alto del suo palazzo la Peste dirige invisibili operai, dei quali si scorge solo l'agitazione intorno alla scena.

LA PESTE         – Andiamo, voi laggiù, sbrighiamoci. In questa città le cose vanno troppo per le lunghe: questo popolo non ha voglia di lavorare. Ama il comodo suo, è chiaro; ma io ammetto l'inazione solo nelle caserme e nelle code agli sportelli. Questo tipo d'inazione è veramente buono: vuota il cuore e le gambe. E di tal genere che non serve a nulla. Sbrigatevi! Finitemi la torre. La sorveglianza qui non funziona. Circondate la città di reticolati. Ciascuno ha la sua primavera; la mia reca rose di ferro. Accendete i forni, sono i nostri fuochi di gioia, Guardie! fissate le nostre stelle sulle case di cui ho l'intenzione di occuparmi. Voi, cara amica, cominciate a stabilire gli elenchi, e fate redigere i certificati di esistenza. La Peste esce dalla parte opposta.

IL PESCAT.      – (e il corifeo). Un certificato d'esistenza? E per che farne?

LA SEGRET.    – Per che farne? Come puoi fare a meno di un certificato d'esistenza, per vivere?

IL PESCAT.      – Finora abbiamo vissuto benissimo senza.

LA SEGRET.    – Perché non eravate governati. Ora lo siete. Il grande principio del nostro governo è che c'è sempre bisogno di un certificato. Si può fare a meno del pane e di una donna, ma di un certificato in regola atte stante non importa che cosa, non si può fare a meno.

IL PESCAT.      – Da tre generazioni la mia famiglia ha get tato le reti, e senza carta scritta, ve lo posso giurare.

VOCE                – Siamo macellai, di padre in figlio. E per ammazzare montoni non ci serviamo di certificati.

LA SEGRET.    – Eravate anarchici, ecco tutto! Badate che non abbiamo niente contro i macellai, anzi! Ma abbiamo introdotto utili modifiche contabili. Questa è la nostra superiorità. Quanto a gettare le reti, vedrete che ci sappiamo fare, e piuttosto bene. Signor Primo Alcalde, avete i formulari?

PRIMO ALCALDE Eccoli.

LA SEGRET.    – Guardie, aiutate il signore ad avvicinar si. Fanno avanzare il pescatore.          

PRIMO ALCALDE (legge). Nome, cognome e qualità.

LA SEGRET.    – Lasciate andare. Il signore riempirà le risposte egli stesso.

PRIMO ALCALDE Curriculum vitae.

IL PESCAT.      – Non capisco.

LA SEGRET.    – Dovete indicare gli avvenimenti impor tanti della vostra vita. E’ un modo per far conoscenza.

IL PESCAT.      – La mia vita è mia. E’ cosa privata e non riguarda nessuno.              

LA SEGRET.    – Privata? parola senza senso per noi. Si tratta, naturalmente, della vostra vita pubblica. La sola che sia autorizzata, del resto. Signor Alcalde, passate ai particolari.

PRIMO ALCALDE. Sposato?

 IL PESCAT.     – Nel trentuno.

PRIMO ALCALDE. Motivi dell'unione?

IL PESCAT.      – Motivi? Ah, sangue di...

LA SEGRET.    – E’ scritto. Ed è un modo eccellente di rendere pubblico ciò che deve cessare di essere persona le.

 IL PESCAT.     – Mi sono sposato perché questo si fa quando uno è uomo.

PRIMO ALCALDE. Divorziato?

IL PESCAT.      – No, vedovo.

PRIMO ALCALDE Risposato?

IL PESCAT.      – No.

LA SEGRET.    – Perché?

IL PESCAT.      – (urlando). Amavo mia moglie.

LA SEGRET.    – Strano! Perché?

IL PESCAT.      – Credete che si possa spiegare tutto?

LA SEGRET.    – In una società bene organizzata, sì.

PRIMO ALCALDE Precedenti?

IL PESCAT.      – Che roba è?

LA SEGRET.    – Siete mai stato condannato per saccheggio, spergiuro o violenza?

IL PESCAT.      – Mai!

LA SEGRET.    – Un uomo onesto, me l'immaginavo! Signor Primo Alcalde, aggiungete: "da sorvegliare".

PRIMO ALCALDE Sentimenti civici?

IL PESCAT.      – Ho sempre servito bene i miei concittadini. Non ho mai rifiutato a un povero qualche pescetto fresco.

LA SEGRET.    – Questo modo di rispondere non è autorizzato.

PRIMO ALCALDE. Oh, glielo spiego io. I sentimenti civici, sapete, sono la mia partita. Si tratta di sapere, brav'uomo, se fate parte di coloro che rispettano l'ordine stabilito per il solo fatto che esiste,

IL PESCATO.   – Certo, quando è giusto e ragionevole.

LA SEGRET.    – Dubbio! Scrivete che i suoi sentimenti civici sono dubbi! E leggete l'ultima domanda.

PRIMO ALCALDE (leggendo a stento). Ragion d'essere?

IL PESCAT.      – Che mia madre possa esser morsa nel sito del peccato se capisco una parola di questo gergo.

LA SEGRET.    – Significa che dovete spiegare le vostre ragioni di essere vivo.

IL PESCAT.      – Le ragioni? quali ragioni volete che abbia?

LA SEGRET.    – Avete visto? Notate bene, signor PrimoAlcalde, il sottoscritto riconosce che la sua esistenza è ingiustificabile. Avremo meno scrupoli quando verrà il momento. E voi, sottoscritto, capirete meglio perché ilcertificato di esistenza vi sarà rilasciato a titolo provvisorio e a termine.

IL PESCAT.      – Provvisorio o no, datemelo che possa tornare a casa dove mi aspettano.

LA SEGRET.    – Certo! ma prima dovete presentare uncertificato di buona salute, che vi sarà rilasciato, dopo alcune formalità, al primo piano, divisione degli affari incorso, ufficio delle attese, sezione ausiliaria.

Il pescatore esce. intanto la carretta dei cadaveri è arrivata alla porta del cimitero, e si comincia a scaricarla. Ma Nada ubriaco, salta giù urlando.

NADA               – Ma se vi dico che non sono morto! (Vogliono rimetterlo sulla carretta. Egli sfugge ed entra nella portineria.) Insomma! se fossi morto lo saprei. Oh! scusatemi!

LA SEGRET.    – Non è nulla. Avvicinatevi.

NADA               – Mi avevano messo nella carretta. Avevo bevuto troppo, nient'altro. La mania di sopprimere.

LA SEGRET.    – Sopprimere che cosa?

NADA               – Tutto, bella mia, tutto! Più si sopprime e meglio vanno le cose. E se si fa piazza pulita, è il paradiso! Gli innamorati, guardate: mi fanno schifo! Quando passano davanti a me, li sputacchio. Alle spalle, bene inteso, perché ce ne sono di permalosi. E i ragazzini? sporca razza! I fiori con la loro aria stupida, i fiumi incapaci di cambiare idea... Ah! sopprimiamo, sopprimiamo. È la mia filosofia Dio nega il mondo, e io nego Dio! Viva il niente! È la sola cosa che esiste!

LA SEGRET.    – E per sopprimere tutto questo?

NADA               – Bere: bere sino alla morte, e tutto sparisce.

LA SEGRET.    – Cattiva tecnica. La nostra è migliore.Come ti chiami?

NADA               – Niente.

LA SEGRET.    – Come?

NADA               – Niente.

LA SEGRET.    – Ti domando il tuo nome.

NADA               – E’ il mio nome.

LA SEGRET.    – Benone! Con un nome simile dobbiamo lavorare insieme. Da questa parte. Sarai funzionario del nostro regno. (Entra il pescatore) Signor Alcalde, vogliate mettere al corrente il nostro amico Niente. Intanto voi,guardie, venderete i distintivi. (Va verso Diego) Buongiorno. Volete comprare un distintivo?

DIEGO              – Che distintivo?

LA SEGRET.    – Il distintivo della Peste, naturalmente.(Pausa.) Siete libero di rifiutare, se volete. Non è obbligatorio.

DIEGO              – Allora rifiuto.

LA SEGRET.    – Benissimo! (Volgendosi a Vittoria.) E voi?

VITTORIA        – Non vi conosco.

LA SEGRET.    – D'accordo. Vi avverto soltanto che chi rifiuta questo distintivo è obbligato a portarne un altro.

DIEGO              – Quale?

LA SEGRET.    – Il distintivo di coloro che rifiutano il distintivo. In questo modo si capisce subito con chi si hada fare.

IL PESCAT.      – Scusate, ma...

LA SEGRET.    – (a Diego e a Vittoria). A presto! (Volgendosi al Pescatore.) Che cosa c'è ancora?

IL PESCAT.      – (con furore crescente). Vengo dal primo piano, e mi hanno risposto di tornare qui per avere il certificato di esistenza, senza di che non possono darmi il certificato di buona salute.

LA SEGRET.    – Logico.

IL PESCAT.      – Come logico?

LÀ SEGRET.    – Sì; Questo prova che l’amministrazione comincia a funzionare. E’ nostra convinzione che siate  colpevoli. Colpevoli di essere governati, naturalmente.  Ed è necessario che vi sentiate voi stessi colpevoli. E non  vi sentirete colpevoli fino a quando non vi sentirete stanchi. Vi stanchiamo, ecco tutto. Quando sarete sfiniti per  la stanchezza tutto andrà da sé.

IL PESCAT.      – Posso almeno avere questo dannato certi ficato di esistenza?  

LA SEGRET.    – In linea generale no, se per ottenerlo vi  occorre un certificato di buona salute. A quanto pare,  non c'è via d'uscita.  

IL PESCAT.      – E allora?  

LA SEGRET.    – Allora, resta il nostro beneplacito. Ma è  a breve scadenza, come tutte le concessioni. Dunque vi  diamo questo certificato per un favore speciale. Ma sarà  valido soltanto per una settimana. Poi vedremo.  

IL PESCAT.      – Vedremo cosa?  

LA SEGRET.    – Se sarà il caso di rinnovarvelo.   

IL PESCAT.      – E se non sarà rinnovato?  

LA SEGRET.    – La vostra esistenza non sarà più garantita e si procederà certamente a una "radiazione". Signor  Alcalde, fate stendere questo certificato in tredici esemplari.  

PRIMO ALCALDE Tredici?  

LA SEGRET.    – Sì. Uno per l'interessato e dodici per gli  uffici e funzionari.

Luce al centro.

LA PESTE         – Fate cominciare i grandi lavori inutili. Voi, cara amica, preparate la bilancia delle deportazioni e delle concentrazioni. Sollecitate la trasformazione degli innocenti in colpevoli perché la mano d'opera sia sufficiente. Deportate tutto ciò ch'è importante. Mancheremo d'uomini, è certo. A che punto sta il censimento?

LA SEGRET.    – E’ in corso, e per il meglio. Mi pare che questa brava gente abbia capito.

LA PESTE         – Siete troppo pronta a commuovervi, cara amica. Voi sentite il bisogno di essere capita. Nel nostro mestiere è uno sbaglio. Questa brava gente, come dite voi,               non ha Capito nulla, ina questo non ha importanza. L'essenziale non è che comprendano, ma che passino all'esecuzione. Guarda un po': è un'espressione significativa, non vi pare?

LA SEGRET.    – Che espressione?

LA PESTE         – "Passare all'esecuzione." Andiamo, laggiù, passate all'esecuzione! Oh! là! là! che espressione.

LA SEGRET.    – Magnifica!

LA PESTE         – Magnifica! C'è tutto! L'immagine dell'esecuzione, prima, che è un'immagine commovente; poi l'idea che il condannato collabori egli stesso alla propria esecuzione. E’ lo scopo e la base di ogni buon governo. (Rumori di fondo.) Che cosa c'è?  Il coro delle donne si agita.

LA SEGRET.    – Le donne si agitano.

IL CORO           – Questa ha qualcosa da dire.

LA PESTE         – Vieni avanti.

UNA DONNA – (avanzandosi.) Dov'è mio marito?

LA PESTE         – Eccolo il cuore umano, come dicono. Ma via!che cosa è capitato a tuo marito?

LA DONNA      – Non è rincasato.

LA PESTE         – Tutto qui? Non preoccuparti. Ha già trovatoun letto.

LA DONNA      – Mio marito è un uomo che si rispetta.

LA PESTE         – Una fenice, naturalmente. Guardate un po', mia cara amica...

LA SEGRET.    – Cognome e nome.

LA DONNA      – Galvez Antonio.

(La Segretaria guarda il taccuino, poi parla all'orecchio della Peste.)

LA SEGRET.    – Bene. Ha salva la vita. Sii contenta.

LA DONNA      – Quale vita?

LA SEGRET.    – La vita nel castello.

LA PESTE         – Sì, l'ho deportato con qualche altro che faceva baccano e che ho voluto risparmiare.

LA DONNA      – (indietreggiando). Che cosa ne avete fatto?

LA PESTE         – (con rabbia isterica). Li ho concentrati. Finora vivevano nella frivolità e nella dispersione, un po' diluiti, per così dire. Ora sono più solidi, si concentrano.

LA DONNA      – (fuggendo verso il coro che s'apre per accoglierla). Ah, miseria, miseria su di me!

IL CORO           – Miseria, miseria su di noi!

LA PESTE         – Silenzio! Non restate inattivi! Fate qualche cosa! Occupatevi (Fantasticando.) Eseguiscono, si occupano, si concentrano. La grammatica è una buona cosa: può servire a tutto.

Luce improvvisa sulla portineria, dove Nada è seduto con l'Alcalde. Davanti a lui lunghe file di amministrati.

UN UOMO        – Il costo della vita aumenta e i salari non bastano più.

NADA               – Lo sapevamo, ed ecco un nuovo tariffario. E’ stato compilato proprio ora.

L'UOMO           – Quale sarà la percentuale d'aumento?

NADA               – Semplicissimo. (Legge.) Tariffa n. 108: "II decreto di 'ridimensionamento' dei salari interprofessionali e subsequenti porta alla soppressione del salario di base, e alla liberazione incondizionata delle scale mobili, che ricevono così licenza di raggiungere un salario massimo in preventivo. Le scale mobili, sottrazione fatta delle maggiorazioni consentite fìttiziamente della tariffa n. 107, continueranno nondimeno a essere calcolate all'in fuori delle modalità propriamente dette di riclassamento sul salario di base precedentemente soppresso."

L’UOMO           – Ma che aumento rappresenta tutto questo?

NADA               – L'aumento verrà più tardi: per oggi basta il tariffario. Aumentiamo di un tariffario, ecco tutto.

L’UOMO           – Che cosa volete che se ne facciano di questo tariffario?

NADA               – (urlando). Che se lo mangino! Avanti un altro. (Un altro uomo si presenta.) Tu vuoi dedicarti al commercio? Ricca idea! Bene, comincia col riempire questo formulario. Metti le tue dita in questo calamaio. Posale qui. Benissimo.

L’UOMO           – Dove posso asciugarmi?

NADA               – Dove posso asciugarmi? (Sfogliando un incarta mento.) In nessun posto. Non è previsto dal regolamento.

L’UOMO           – Ma non posso restare così!...             

NADA               – Perché no? E del resto csa té ne importa dal momento che non hai diritto di toccare tua moglie? E poi è bene per te.

L’UOMO           – Come: è bene?

NADA               – Sì. Ti umilia, dunque è bene. Ma torniamo al tuo commercio. Preferisci beneficiare dell'articolo 208, capitolo 62, sedicesima circolare vigente per il quinto Regolamento generale, oppure dell' alinea 27, articolo 207, quindicesima circolare vigente per il Regolamento particolare?

L’UOMO           – Non conosco nessuno di questi testi.

NADA               – Naturalmente, hombre! Tu non li conosci. Neppur io. Ma siccome bisogna decidersi, ti faremo beneficiare di tutti e due.

L’UOMO           – È molto, Nada ti ringrazio.

NADA               – Non ringraziarmi. A quanto pare uno di questi articoli ti da il diritto di avere la tua bottega, e l'altro ti proibisce di vendervi qualunque cosa.

L’UOMO           – E allora, che cosa è?

NADA               – L'ordine! (Arriva una donna spaventata.) Che cosa c'è, donna?

LA DONNA      – Hanno requisito la mia casa.

NADA               – Bene.

LA DONNA      – Vi hanno messo dei servizi amministrativi.

NADA               – Naturalmente.

LA DONNA      – Ma io sono sul lastrico, e hanno promesso ditrovarmi un nuovo alloggio.

NADA               – Vedi? si è pensato a tutto!

LA DONNA      – Sì, ma bisognerà fare una domanda che seguirà il suo corso. E intanto i miei figli sono in mezzo a una strada.

NADA               – Ragione di più per fare la tua domanda. Riempi questo formulario.

LA DONNA      – (Prendendo il formulario). Ma, si farà presto?

NADA               – Si può far presto, a condizione che tu fornisca una giustificazione d'urgenza.

LA DONNA      – Che cosa è?

NADA               – Un certificato che attesti l'urgenza per tè di non essere più in istrada.

LA DONNA      – I miei bambini sono senza tetto. Che cosa è più urgente di un tetto per loro?

NADA               – Non ti daranno uh alloggio perché i tuoi bambini sono senza tetto. Ti daranno un alloggio se tu presenti un certificato. Non è la stessa cosa.

LA DONNA      – Non ho mai capito questo linguaggio. Il diavolo parla così e nessuno lo capisce.

NADA               – Non è a caso, donna. Si tratta di fare in modo che nessuno si comprenda più, pur parlando tutti la stessa lingua. E posso dirti che ci avviciniamo al momento perfetto, quando tutti parleranno senza mai trovar eco, e i due linguaggi che si affrontano in questa città si distruggeranno a vicenda con tanta ostinazione, che bisognerà pure che tutto s'incammini verso l'ultima conclusione: il silenzio e la morte.

Insieme

NADA               – Scegliere di vivere in ginocchio piuttosto che morire in piedi, perché l'universo trovi il suo ordine misurato sulla squadradelle forche, diviso fra i morti tranquilli e le formiche ormai bene educate; paradiso puritano senza praterie e senza pane dove circolano angeli poliziotti dalle ali maiuscole, fra i beati rimpinzati di carta e di formule nutrienti, prosternati davanti a Dio decorato, distruttore di tutte le cose e recisamente votato a far dimenticare gli antichi deliri di un mondo troppo delizioso. Giustizia è che è bambini mangino a sazietà e non soffrano il freddo.

LA DONNA      – Giustizia è che i miei bambini vivano. Li ho messi al mondo in una terra felice. Il mare ha dato l'acqua per il battesimo. Non hanno bisogno di altre ricchezze. Non domando per loroche il pane quotidiano e il sonno dei poveri. Non è niente, e voi me lo rifiutate. E se rifiutate agli infelici il loro pane, non c'è lusso, ne belle chiacchiere, ne promesse misteriose che possano farvelo perdonare

NADA               – Viva il nulla! Nessuno si comprende più. Siamo al momento perfetto !

Luce al centro. Si vedono come stagliati, reticolati, capanne, osservatori e qualche altro monumento poliziesco. Entra Diego con la maschera: ha l'aria dell'uomo braccato. Vede le opere di difesa, il popolo e la peste.

DIEGO              – (rivolgendosi al Coro). Dov'è la Spagna? Dov'è Cadice? Questa scena non appartiene a nessun paese. Siamo in un altro mondo dove l'uomo non può vivere. Perché tacete?

IL CORO           – Abbiamo paura. Ah! si levasse il vento...

DIEGO              – Anch'io ho paura. Fa bene gridare la propria paura. Gridate, il vento risponderà.

IL CORO           – Eravamo un popolo, e siamo una massa. Eravamo invitati, e siamo convocati. Scambiavamo il pane e il latte, e siamo approvvigionati. Segniamo il passo. (Segna no il passo.) Segniamo il passo e diciamo che nessuno può niente per nessuno, e che bisogna aspettare al nostro posto, nel rango che ci è stato assegnato. Perché gridare? Le nostre donne non hanno più il volto in fiore che ci faceva sospirare di desiderio. La Spagna è scomparsa! Pestiamo i piedi! pestiamo i piedi! Oh, dolore! Ci calpe stiamo da noi. Soffochiamo, in questa città chiusa. Ah! si levasse il vento.

LA PESTE         – Questa è la saggezza! Avvicinati, Diego: ora hai capito. Nel ciclo rumore di "radiazioni".

DIEGO              – Siamo innocenti! (La Peste scoppia a ridere. Gridando.) L'innocenza, carnefice, capisci tu l'innocenza?

LA PESTE         – L'innocenza? mai sentita nominare.

DIEGO              – Allora avvicinati. Il più forte ucciderà l'altro.

LA PESTE         – Il più forte sono io, innocente! Guarda... (Fa un cenno alle guardie che si avvicinano a Diego, ma questi fugge.) Inseguitelo! Non lasciatelo scappare. Chi fugge ci appartiene. Marcatelo. (Le guardie inseguono Diego inseguimento mimato sui praticabili. Fischi. Sirene d'allarme. )

IL CORO           – L'altro corre. Ha paura e lo dice. Non è padrone di sé, è pazzo! Noi, noi siamo diventati saggi. Siamo amministrati. Ma nel silenzio degli uffici ascoltiamo il lungo grido compresso dei cuori separati che ci parla del mare sotto il sole di mezzogiorno, dell'odore dei giunchi nella sera, delle fresche braccia delle nostre donne. Le nostre facce sono sigillate, i nostri passi contati, le nostre ore fissate; ma il nostro cuore rifiuta il silenzio. Rifiuta gli elenchi e le matricole, i muri interminabili, le sbarre alle finestre, le albe irte di fucili. Rifiuta come colui che corre per raggiungere una casa, che fugge questa scena d'om bre e di cifre per ritrovare finalmente un rifugio. Ma il solo rifugio è il mare da cui questi muri ci separano. Si levi il vento, e potremo finalmente respirare...

Diego s'è precipitato dentro una casa. Le guardie si ferma no davanti alla porta, e vi postano sentinelle.

LA PESTE         – (urlando). Marcatelo! Marcateli tutti! Si può sentire anche quello che non dicono. Non possono più protestare ma il loro silenzio stride. Schiacciate loro la bocca! Imbavagliateli e insegnate loro le parole rituali, fino a che non ripetano sempre la stessa cosa, fino a che non diventino i buoni cittadini di cui abbiamo bisogno.

Piombano giù dalle volte, vibrate come attraverso altopar lanti, nuvole di slogan che s'amplificano man mano che si ripetono, e che coprono il coro a bocca chiusa fino al silenzio totale.

—Una sola peste, un solo popolo!

—Concentratevi, decidetevi, occupatevi!

—Una buona peste vai meglio che due libertà!

—Deportate, torturate, qualcosa resterà sempre!

Luce nella casa del giudice.

VITTORIA        – No, padre. Non consegnerete questa vecchia domestica col pretesto che è contagiata. Dimenticate chemi ha allevato e che vi ha servito senza mai lamentarsi?

IL GIUDICE     – Quello che ho deciso io, chi oserà discuterlo?

VITTORIA        – Non potete decidere niente. Il dolore ha i suoidiritti.             

IL GIÙDICE     – Il mio compito è di preservare questa casa, ed' impedire che il male vi entri. Io... (D'improvviso entra Diego) Chi ti ha permesso di entrare qui?

DIEGO              – Mi ha spinto la paura. Fuggo la peste.

IL GIUDICE     – Non la fuggi, la porti con tè.

Indica il segno visibile sotto l'ascella di Diego Silenzio.Due o tre fischi lontani.

DIEGO              – Tienimi qui! Se mi scacci, mi metteranno con glialtri in mezzo a un mucchio di morti.

IL GIUDICE     – Io servo la legge: non posso ospitarti.

DIEGO              – Servivi l'antica legge. Sei del tutto estraneo dalla nuova.

IL GIUDICE     – Non servo la legge per ciò che prescrive, ma perché è la legge.

DIEGO              – Ma se la legge è il delitto?

IL GIUDICE     – Se il delitto diventa legge, cessa di essere delitto.

DIEGO              – E bisogna punire la virtù!

IL GIUDICE     – Si: se è tanto arrogante da discutere la legge.

VITTORIA        – Casado, non la legge ti muove, ma la paura.

IL GIUDICE     – nche questo qui ha paura.

VITTORIA        – Ma non ha tradito ancora.

IL GIUDICE     – Tradirà. Tutti tradiscono perché tutti hanno paura. Tutti hanno paura perché nessuno è puro.

VITTORIA        – Padre, io appartengo a quest'uomo; avete acconsentito. E non potete togliermelo oggi dopo avermerlo dato ieri.

IL GIUDICE     – Non ho detto sì al tuo matrimonio. Ho detto sì alla tua partenza.

VITTORIA        – Lo sapevo che non mi amavate!

IL GIUDICE     – (la guarda). Tutte le donne mi fanno orrore. (Picchiano brutalmente alla porta.) Chi è?

UNA GUARDIA (di fuori). Questa casa è condannata per aver dato rifugio a un sospetto. Tutti gli abitanti sono in osservazione.

DIEGO              – (scoppiando a ridere). La legge è buona, lo vedi. Ma è ancora un po' nuova, e non la conoscevi a fondo. Giudice, accusati e testimoni, eccoci tutti fratelli!

Entrano la moglie del giudice, la figlia e il figlio più giova ni.  

LA MOGLIE     – Hanno sbarrato la porta.  

VITTORIA        – La casa è condannata.  

IL GIUDICE     – Per causa sua. Lo denuncerò. Allora apriranno la casa.  

VITTORIA        – Padre, l'onore ve lo impedisce.  

IL GIUDICE     – L'onore è da uomini, e uomini non ce n'è  più in questa città.  Si sentono fischi e il rumore di una corsa che si avvicina.  Diego ascolta volgendo da ogni lato sguardi spaventati, poi  improvvisamente prende il figlio più giovane.  

DIEGO              – Guarda, uomo di legge! se fai un solo gesto, schiaccerò la bocca di tuo figlio sul marchio della peste.  

VITTORIA        – È vile, Diego.       –

 DIEGO             – Niente è vile in una città di vili.  

LA MOGLIE     – (correndo verso il giudice). Prometti, Casado!  Prometti a questo pazzo ciò che vuole.  

LA FIGLIA       – No padre: non far nulla. Non ci riguarda.  

LA MOGLIE     – Non ascoltarla. Sai che odia suo fratello.  

IL GIUDICE     – Ha ragione. Non ci riguarda.  

LA MOGLIE     – Anche tu odi mio figlio.  

IL GIUDICE     – Tuo figlio, infatti.  

LA MOGLIE     – Oh, tu non sei un uomo se osi ricordare ciò  che era stato perdonato!  

IL GIUDICE     – Non ho perdonato. Ho seguito la legge che,  agli occhi di tutti, mi faceva padre di questo ragazzo.  

VITTORIA        – E’ vero, madre?  

LA MOGLIE     – Anche tu mi disprezzi!  

VITTORIA        – No. Ma tutto crolla, tutto in una volta. L'anima vacilla. Il giudice fa un passo verso la porta.  

DIEGO              – L'anima vacilla, ma la legge ci sostiene, non è  vero giudice? Tutti fratelli! (Alza il bambino e se lo tiene  dinanzi..) E anche tu al quale darò il bacio di fratello.  

LA MOGLIE     – Aspetta, Diego, ti supplico. Non essere  come questo, indurito fino al cuore. Ma si lascerà intenerire (Corre verso la porta e sbarra il passo al giudice.) Cederai, non è vero?

LA FIGLIA       – Perché dovrebbe cedere? e cosa gli importa di questo bastardo che si prende tutto il posto qui?

LA MOGLIE     – Taci. L'invidia ti rode e sei già tutta nera. (Al giudice. ) Ma tu, tu che ti avvicini alla morte, sai che non c'è nulla da invidiare su questa terra, tranne il sonno e la pace. Sai che dormirai male nel tuo letto solitario se permetti che questo si compia.

IL GIUDICE     – La legge sta dalla mia parte. E mi darà riposo.

LA MOGLIE     – Io, sulla tua legge, sputo. Per me ho il diritto, il diritto di coloro che non vogliono essere separati, il diritto dei colpevoli a essere perdonati e dei pentiti a riavere l'onore. Sì, io sputo sulla tua legge! Era dalla tua parte la legge quando ti sei vigliaccamente scusato con quel capitano che ti sfidò a duello? quando hai barato per sfuggire alla coscrizione? Era dalla tua parte la legge quando hai proposto il tuo letto a una fanciulla che chiamava in causa un padrone indegno?

IL GIUDICE     – Taci, donna.

VITTORIA        – Madre!

LA MOGLIE     – No, Vittoria, non tacerò! Ho taciuto tutti questi anni per il mio onore e per l'amor di Dio. Ma l'onore non esiste più. E’ un solo capello di questo fanciullo m'è più caro che tutto il cielo. E dirò a quest'uomo che il diritto non è mai stato dalla sua parte, poiché il diritto, capisci, Casado? è dalla parte di chi soffre, geme, spera. Non è, no, non può essere con chi calcola e ammucchia.Diego ha lasciato il bambino.

LA FIGLIA       – Sono i diritti dell'adultera.

LA MOGLIE     – (gridando). Non nego il mio errore, lo griderei al mondo intero. Ma nella mia miseria so che la carne ha le sue debolezze, e il cuore ha i suoi delitti. Ciò che si fa nel calore dell'amore ha diritto alla pietà!

LA FIGLIA       – Pietà per le cagne?

LA MOGLIE     – Sì: perché hanno un ventre per godere e perdare la vita!

IL GIUDICE     – Donna, la tua non è una buona difesa; Denuncerò l'uomo ch'é stato la causa di questo disordine! E con doppia soddisfazione perché lo farò in nome della legge e dell'odio!

VITTORIA        – Guai a te che hai detto la verità! Hai sempre giudicato secondo l'odio che ammantavi del nome di legge. E anche le leggi migliori hanno preso un cattivo sapore nella tua bocca, era la bocca agra di chi non ha mai amato. Ah, lo schifo mi soffoca! Andiamo, Diego, pren dici nelle tue braccia e lasciamoci marcire tutti insieme. Ma lui, lascialo vivere: per lui la vita è castigo.

DIEGO              – Lasciami. Ho vergogna di vedere a che punto siamo ridotti.

VITTORIA        – Anch'io ho vergogna, tanta da morire. Diego si lancia d'impeto dalla finestra. Il giudice corre anche lui. Vittoria fugge per una porta segreta.

LA MOGLIE     – È venuto il tempo per tutti i bubboni, di scoppiare. Non siamo i soli. Tutta la città è presa dalla stessa febbre.

IL GIUDICE     – Cagna!

LA MOGLIE     – Giudice! Oscurità. Luce mila portineria. Nada e l'Alcalde si preparano a partire.

NADA               – Ordine per tutti i comandanti di distretto di farvotare i loro amministrati in favore del nuovo governo

PRIMO ALCALDE Non è facile. Ci sarà chi vota contro.

NADA               – No, se seguirete i sani principi.

PRIMO ALCALDE I sani principi?

NADA               – I sani principi dicono che il voto è libero. Vuoi dire che i voti favorevoli al governo sono considerati come spontanei. Quanto agli altri, onde eliminare gli ostacoli segreti che potrebbero impedire la libertà discelta, saranno scontati secondo il metodo preferenziale allineando il residuo divisionario al quoziente dei suffragi non espressi in rapporto al terzo dei voti non eliminati. E’ chiaro?

PRIMO ALCALDE Chiarissimo, signore... Sì, credo di capire.

NADA               – Vi ammiro, alcalde. Ma che abbiate capito o no, non dimenticate che il risultato infallibile di questo metodo dovrà essere sempre quello di considerare nulli i voti contrari al governo.

PRIMO ALCALDE  – Ma... avete detto che il voto era libero!

NADA               – Infatti lo è. Ma noi partiamo dal principio che un voto contrario non è un voto libero. E’ un voto sentimentale e, di conseguenza, legato alle passioni.

PRIMO ALCALDE  – Non ci avevo pensato.

NADA               – Perché non avete un'idea precisa della libertà.

Luce al centro. Diego e Vittoria arrivano correndo al proscenio.

DIEGO              – Voglio fuggire,

VITTORIA        – Non so più dove sta il dovere. Non capisco più.

VITTORIA        – Non lasciarmi. Il dovere sta vicino a coloro che amiamo. Resisti.

DIEGO              – Sono troppo orgoglioso per amarti senza avere stima di me.

VITTORIA        – Che cosa t'impedisce di stimare tè stesso?

DIEGO              – Tu, che sei senza debolezze.

VITTORIA        – Non parlare così, per l'amore di noi! O cadrò davanti a tè e vedrai tutta la mia debolezza. Tu non dici la verità. Non sono così forte. Dove sono andati i giorni che mi sentivo in alto mare se qualcuno pronunciava il tuo nome? Dov'è il tempo in cui sentivo in me una voce che gridava "Terra!" appena arrivavi tu? Sì, mi sgomento, muoio di un rimpianto vile. Se resisto ancora è perché lo slancio dell'amore mi getta avanti. Ma se tu scompari, la mia corsa si ferma, e io stramazzo.

DIEGO              – Ah, se almeno potessi avvincermi a te e così annodato calare in fondo a un sonno senza fine.

VITTORIA        – Ti aspetto! Si vengono incontro. Non si lasciano con lo sguardo. Stanno quasi per toccarsi, quando tra loro sorge la segretaria. 

LA SEGRET.    – Che cosa fate?

VITTORIA        – (gridando). L'amore! Rumore terribile nel ciclo.

LÀ SEGRET.    – Silenzio! Certe parole non si devonopronunciare. Dovreste sapere che è proibito. Guardate!(Colpisce Diego sotto l'ascella, e lo marca per la seconda volta.) Eravate sospetto. Eccovi contagiato! (Lo guarda.) Peccato! Un così bel ragazzo! (a Vittoria) Scusatemi, ma preferisco gli uomini alle donne; mi sento più solidale con loro. Buonasera.

DIEGO              – (guarda con orrore il nuovo segno sul suo corpo.Getta sguardi da pazzo intorno a sé, poi si lancia su Vittoria e l'abbraccia strettamente). Ah! odio la tua bellezza perché deve sopravvivermi! Maledetta quella che servirà ad altri! (La stringe freneticamente a sé. ) Così non sarò solo! Che l'importa del tuo amore se non si corrompe con me?

VITTORIA        – (dibattendosi). Mi fai male! Lasciami!

DIEGO              – Ah! hai paura! (Ride come un pazzo. La scuote.) Dove sono i cavalli neri dell'amore? Innamorata nei giorni felici, ma negli infelici i cavalli fuggono a precipizio. Muori con me, almeno.

VITTORIA        – Sì, ma non chiusa fra le tue braccia! Non mi piace questo volto di paura e d'odio che ti sei fatto.Lasciami! Lasciami libera di cercare in tè la tenerezza di una volta, e il mio cuore ti parlerà ancora.

DIEGO              – (lasciandola, ma non del tutto). Non voglio morir solo! E ciò che ho di più caro al mondo, si scosta da me e rifiuta di seguirmi!

VITTORIA        – (gettandosi verso di lui). Ah, Diego, nell'inferno, se è necessario! Ti ritrovo!... Tremano le mie gambe contro le tue. Baciami e soffoca questo grido che mi sale dal fondo di me, e vuole uscire, che esce... Ah! (Diego l'abbraccia violento e appassionato, poi si strappa da lei e la lascia tremante nel mezzo della scena.)

DIEGO              – Guardami! No, no, non hai nulla! Nessun segno! Questa pazzia non avrà conseguenze!

VITTORIA        – Torna! ora tremo di freddo. Un momento fa il tuo petto mi bruciava le mani, il sangue correva in me come una fiamma! E ora...

DIEGO              – No! Lasciami solo. Non posso staccarmi da questo dolore.              

VITTORIA        – Ritorna! Non domando che di consumarmi nella stessa febbre con tè, che soffrire per la stessa piaga, in un grido solo!

DIEGO              – No! Ormai sono con gli altri, i marcati. Il loro tormento mi fa orrore, mi riempie d'un disgusto che finora mi staccava da tutto. Ma ora sono anch'io colpito dalla stessa sventura; e quelli hanno bisogno di me.

VITTORIA        – Se tu dovessi morire, invidierei la terra che sposerebbe il tuo corpo.

DIEGO              – Sei dall'altra parte, con quelli che vivono.

VITTORIA        – Posso essere con tè in un lungo abbraccio!

DIEGO              – Hanno proibito l'amore! Ah! mio disperato rimpianto!

VITTORIA        – No, no! Tè ne supplico! Ho scoperto la loro intenzione! Fanno di tutto per rendere l'amore impossibile. Ma io sarò più forte!

DIEGO              – Io non sono il più forte. E non una sconfìtta volevo dividere con tè!

VITTORIA        – Io sono esclusiva! Non conosco che il mio amore. Niente mi fa più paura e, se mi tenessi per mano, potrebbe crollare il mondo che io sprofonderei gridando la mia felicità. Si sente gridare.

DIEGO              – Anche gli altri gridano!

VITTORIA        – Io sono sorda fino alla morte.

DIEGO              – Guarda! La carretta passa.

VITTORIA        – I miei occhi non vedono più. Me li acceca l'amore.

DIEGO              – Ma è il dolore in questo cielo che ci pesa addosso.

VITTORIA        – Già troppa pena mi da il peso del mio amore: non prenderò su di me anche il dolore del mondo. E’ compito d'uomo questo: uno di quei compiti vani, sterili, testardi, che voi uomini accettate per evitare la sola lotta veramente difficile, la sola vittoria di cui potreste andare orgogliosi.

DIEGO              – Che devo vincere qui se non l’ingiustizia che ci hanno fatto?

VITTORIA        – La sventura che porti in te. Il resto verrà.

DIEGO              – Sono solo. La sventura è troppo grande per me.

VITTORIA        – Ti sono vicina e tutta armata.  

DIEGO              – Sei bella! Oh come t’amerei se non avessi paura.

VITTORIA        – Non avresti paura se ini amassi.

DIEGO              – Ti amo. Ma non so chi ha ragione.

VITTORIA        – Colui che non teme. E’ il mio cuore non teme.  Brucia in un unica fiamma alta e chiara come i fuochi in cui i nostri montanari si salutano. Ti chiama…. Vedi? Sono i suoi fuochi di San Giovanni!

DIEGO              – In mezzo al carnaio.

VITTORIA        – Carnai o praterie, che importa al mio amore? Esso almeno non nuoce a nessuno, è generoso. La tua follia, la tua sterile devozione, a chi giovano? non a me non a me in ogni caso: tu mi pugnali con ogni tua parola!

DIEGO              – Non piangere, selvaggia! Maledizione' Perché me venuto addosso questo male? Avrei bevuto le tue lacrime e, con la bocca bruciata dalla loro amarezza ti avrei dato tanti baci in viso quante foglie ha un ulivo.

VITTORIA        – Ah, ti ritrovo! Questo è il linguaggio nostro che avevi perduto. (tende le mani) Lasciati riconoscere. (Diego indietreggia mostrando i suoi segni. Ella stende la mano, esita)

DIEGO              – Anche tu, anche tu hai paura! (Vittoria pone le mani sui segni. Diego indietreggia smarrito. Ella tende le braccia)

VITTORIA        – Vieni! Subito! Non temere più nulla (Ma i gemiti e le imprecazioni si moltiplicano.egli guarda da tutte le parti come un insensato, poi fugge.) Oh solitudine.

CORO DI DONNE Noi siamo le guardiane! Questa storia ci sorpassa: ed aspettiamo che sia finita. Conserveremo il nostro segreto fino all'inverno, all’ ora delle libertà quando gli urli degli uomini taceranno ed essi torneranno a noi per reclamare ciò di cui non possono fare a meno; il ricordo dei mari liberi, il cielo deserto dell’estate, l’odore eterno dell’amore. Eccoci qui, in attesa, come foglie morte sotto i piovaschi del settembre. Vagano un momento, poi il peso d'acqua che trasportano le preme contro la terra. Anche noi ora siamo a terra. Curvando il dorso, aspettando che si affiochino le grida dei combattimenti, ascoltiamo dal fondo di noi gemere dolcemente la lenta risacca dei mari felici. Quando i mandorli nudi si copriranno d'una brina di fiori, allora ci solleveremo un poco, sensibili al primo vento di speranza, presto risorte in questa seconda primavera. E quelli che amiamo verranno verso di noi, e a mano a mano che avanzeranno, saremo come le pesanti barche che il flutto della marea solleva a poco a poco, vischiose di sale e d'acqua, odorose, sino a che, finalmente, ondeggiano sul mare denso. Ah! si levi il vento, si levi il vento...

Oscurità. Luce sul lungomare. Diego entra e chiama qualcuno, lontanissimo, in direzione del mare.

Nel fondo, il coro degli uomini.

DIEGO              – Ohe! Ohe!Voce Ohe! Ohe!Appare un Barcaiolo. Solo la sua testa emerge dal margine del lungomare.

DIEGO              – Che cosa fai?

IL BARC.          – Approvvigiono.

DIEGO              – La città?

IL BARC.          – No: la città, in via di principio, è approvvigionata dall'amministrazione. In tessere, naturalmente. Io approvvigiono in pane e latte. Ci sono al largo navi all'ancora, e parecchie famiglie vi si sono rifugiate per fuggire il contagio. Porto qui lettere, e riporto là provvigioni.

DIEGO              – È proibito.

IL BARC.          – Dall'amministrazione. Ma io non so leggere, ed ero in mare quando i banditori hanno annunciato la nuova legge.

DIEGO              – Portami con te.

IL BARC.          – Dove?

DIEGO              – In mare. Sulle navi.

IL BARC.          – È proibito!

DIEGO              – Tu non hai letto ne sentito la legge.

IL BARC.          – Ah! Ho ti è proibito dall'amministrazione, ma dalla gente delle navi. Siete sospetto.

DIEGO              – Perché, sospetto?

IL BARC.          – Potreste anche portarli con voi.

DIEGO              – Portare che cosa?

IL BARC.          – Zitto! (Si guarda intorno) I germi. Certo!Potreste portar sulle navi i germi!

DIEGO              – Pago quello che vuoi.

IL BARC.          – Non insistete. Son debole di carattere.

DIEGO              – Quanto?

IL BARC.          – Ne rispondete voi.

DIEGO              – D'accordo!

IL BARC.          – Imbarcatevi. È bello il mare.

Diego fa per saltare in barca, ma la Segretaria appare dietro di lui.

LA SEGRET.    – No! Non v'imbarcherete.

DIEGO              – Perché?

LA SEGRET.    – Non è previsto. E poi vi conosco: non diserterete.

DIEGO              – Niente m'impedirà di partire.

LA SEGRET.    – Io, se voglio. E voglio, perché ho da fare con voi. Sapete chi sono

Indietreggia un poco come per attrarlo indietro. Diego la segue.

DIEGO              – Morire non è niente. Ma morire tutto sporco...

LA SEGRET.    – Capisco. Vedete, io sono una semplice esecutrice; ma mi hanno dato dei diritti su voi. Il diritto di veto, se volete.

Sfoglia il suo taccuino.

DIEGO              – Gli uomini del mio sangue appartengono solamente alla terra.

LA SEGRET.    – Proprio quello che volevo dire. In certo qual modo, siete mio. In certo qual modo, solamente. E forse non è quello che preferisco... quando vi guardo.(Semplicemente.) Mi piacete molto, sapete? Ma ho ricevuto ordini. (Gioca col suo taccuino.)

DIEGO              – Preferisco l'odio al vostro sorriso. Vi disprezzo.              

LA SEGRET.    – Come volete. D'altra parte questa conversazione fra noi due non è molto regolamentare. Lastanchezza mi rende sentimentale. Con tutta quella contabilità, in sere come questa sera, piego all'abbandono.(Fa girare il taccuino fra le dita. Diego tenta di strapparglielo.) No, caro, non insistete. Che cosa potreste vederci, del resto? È un taccuino, un classificatore, metà agenda con i giorni della settimana, metà elenco. (Ride.) E’ il mio stupidario, nient'altro. (Tende una mano verso di lui come per una carena. Diego ritorna verso il Barcaiolo.)

DIEGO              – Se n'è andato!

LA SEGRET.    – Oh! è vero. Un altro che si crede libero ed è iscritto come tutti.

DIEGO              – Avete una lingua biforcuta. Un uomo non lo sopporta. Finiamola, vi prego!

LA SEGRET.    – Ma tutto è semplicissimo; e sono sincera. Ogni città ha il suo elenco. Questo è quello di Cadice. L'organizzazione è eccellente, ve lo assicuro, e nessuno è dimenticato.

DIEGO              – Nessuno è dimenticato, però tutti vi sfuggono.

LA SEGRET.    – (indignata). Ma no, via (Riflette.) Qualcuno sì: è vero. Di tanto in tanto qualcuno ci sfugge. Ma finiscono per tradirsi. Appena hanno passato cent'anni di età, se ne vantano, quegli stupidi! Allora i giornali lo annunziano. Basta aspettare. La mattina, quando sfoglio i giornali, noto i loro nomi, li colleziono, come diciamo noi. Non ci scappano più.

DIEGO              – Ma per cent'anni vi avranno negato, come tutta questa città vi nega.

LA SEGRET.    – Cent'anni non sono nulla. A voi fa impressione perché vedete le cose da vicino. Che cos'è un uomo, ditemi voi, anche se centenario, in un elenco di trecentosettantaduemila nomi? E ci rifacciamo su quelli che non hanno ancora compiuto vent'anni. Si stabilisce la media. Si "radia" un po' in anticipo, così... (Cancella un nome nel suo taccuino. Grido sul mare e rumore di una caduta nell'acqua.) Oh! l'ho fatto per distrazione. Guarda! è il barcarolo. Un caso.

Diego si è alzato e la guarda con disgusto e spavento.

DIEGO              – Ho il vomito in gola, tanto mi ripugnate!  

LA SEGRET.    – Faccio un mestiere ingrato, lo so. Ci si  stanca e bisogna applicarsi. Agli inizi, ricordo, andavo un  po' a tastoni. Ora ho la mano sicura. (Si avvicina a Diego)  

DIEGO              – Non vi avvicinate!  

LA SEGRET.    – Presto non ci saranno più errori. È un  segreto: una macchina perfezionata. Vedrete.  

Una frase dopo l'altra, si è avvicinata a lui fino a toccarlo.  Improvvisamente, tremando di furore, egli la prende per il  collo.  

DIEGO              – Finitela, finite una buona volta questa vostra  sporca commedia! Cosa aspettate? Seguitate il vostro  lavoro, e non fatevi beffe di me che sono più grande di  voi. Uccidetemi: è il solo modo per salvare il vostro bei  sistema che non lascia nulla al caso. Ah, non tenete conto  che dei totali? Centomila uomini, questo sì che comincia  ad essere interessante. E una statistica e le statistiche  sono mute. Si disegnano curve, si tracciano grafici, eh? Si  lavora sulle generazioni: è più facile. E si può fare il lavoro in silenzio, nell'odore tranquillo dell'inchiostro. Ma  un uomo solo è più scomodo, perché grida la sua gioia o  la sua agonia. E io, vivo, continuerò a disturbare il vostro  bell'ordine con le mie grida disordinate. Vi respingo, vi  rifiuto con tutto me stesso!  

LA SEGRET.    – Oh, anima mia!  

DIEGO              – E tacete! Sono di una razza che ha sempre onorato la morte quanto la vita. Ma sono venuti i vostri  padroni: ora, vivere e morire è pari disonore...  

LA SEGRET.    – E’ vero!  

DIEGO              – (la scuote). E’ vero che mentite e che mentirete  ormai sino alla fine dei secoli. Sì. L'ho capito il vostro bei  sistema. Avete dato loro il tormento della fame e della  separazione per distrarli dalla rivolta. Li esaurite, divorate il tempo e le forze perché non abbiano ne l'agione lo  scatto per il furore! Segnano il passo. Siete contenti?  Sono soli per quanto siano in massa: soli, come me.  Ognuno di noi è solo per la viltà degli altri. Ma io, che  sono asservito come loro, umiliato con loro, vi dico che non siete niente, e che questa potenza spiegata a perdita d'occhiò, fino a oscurare il cielo, non è che un'ombra gettata sulla terra, che un vento furioso spazzerà in un attimo. Avete creduto che tutto si potesse mettere in cifre e in formule! Ma nella vostra bella nomenclatura avete dimenticato la rosa canina, i segni del cielo, i volti dell'e state, l'alta voce del mare, i volti dello strazio e l'ira degli uomini! (La Segretaria ride.) Non ridete! Non ridete, stu pida! Siete a terra, ve lo dico io. Con tutte le vostre famo se vittorie, eccovi già vinti, perché c'è nell'uomo, sentite mi bene, c'è una forza che voi non potete ridurre, una lucida pazzia, mista di paura e di coraggio, ignorante e vittoriosa in eterno. Questa forza vi solleverà e vi accor gerete, allora, che la vostra gloria era fumo! (Ella ride.) Non ridete! Non ridete, vi dico! Ella ride. Diego la schiaffeggia e, nello stesso tempo, gli uomini del coro si strappano i bavagli dalla bocca e gettano un lungo grido di gioia. Ma nello slancio Diego ha schiac ciato il suo segno della peste. Vi porta la mano sopra, poi la guarda.

LA SEGRET.    – Magnifico!

DIEGO              – Che cosa?

LA SEGRET.    – Siete magnifico nella vostra collera. Mi piacete ancora di più!

DIEGO              – Che cosa è accaduto?

LA SEGRET.    – Vedete? il segno è scomparso. Continuate, siete sulla buona strada.

DIEGO              – Sono guarito?

LA SEGRET.    – Vi dirò un piccolo segreto... Il nostro sistema è eccellente, avete ragione, ma c'è un difetto nel meccanismo.

DIEGO              – Non capisco.

LA SEGRET.    – C'è un difetto, amico mio. Tornando indietro nel ricordo, vedo che è sempre bastato a un uomo dominare la paura e rivoltarsi, perché il meccanismo cominciasse a stridere. Non dico che si fermi, ce ne vuole: ma intanto stride e talvolta finisce davvero per incagliarsi.

 Silenzio.

DIEGO              – Perché mi dite questo?

LA SEGRET.    – Si ha un bel fare un mestiere come il mio, qualche debolezza ci resta sempre. E poi avete trovato da solo.

DIEGO              – Mi avreste risparmiato, se non vi avessi picchiato?

LA SEGRET.    – No. Ero venuta per finirvi, come vuole il regolamento.

DIEGO              – Sono dunque il più forte?

LA SEGRET.    – Avete ancora paura?

DIEGO              – No.

LA SEGRET.    – Allora non posso nulla contro di voi.Anche questo è nel regolamento. Ma, ve lo confesso, è la prima volta che questo regolamento ha la mia approvazione.

Si ritira piano. Diego si palpeggia, guarda un'altra volta la sua mano e si volge di scatto nella direzione donde vengono i gemiti. Nel silenzio va verso un malato imbavagliato. Scena muta. Diego distende la mano verso il bavaglio e lo scioglie, il malato è il pescatore.Si guardano in silenzio, poi:

IL PESCAT.      – (con uno sforzo). Buona sera, fratello. Da molto tempo non parlavo. (Diego gli sorride.

IL PESCAT.      – (leva gli occhi al cielo) Che cosa è questo? Il ciclo si è rischiaralo. Si è alzato un vento leggero che scuote una delle porte e fa sventolare qualche cencio. Il popolo li circonda, con i bavagli sciolti e gli occhi levati al ciclo.

DIEGO              – Il vento del mare...

SIPARIO

PARTE TERZA

Gli abitanti di Codice appaiono affaccendati sulla piazza. Immobile, un po' più in alto, Diego dirige i lavori. Luceintensissima che fa sembrare gli scenari della Peste meno minacciosi perché più costruiti.

DIEGO              – Cancellate le stelle! (Le stelle sono cancellate.)Aprite le finestre! (Le finestre si aprono.) Aria! Aria! riu nite i malati! (Movimenti.) Non abbiate paura: è la soluzione In piedi tutti quelli che si reggono. Perché indie treggiate? Rialzate la fronte, è l'ora del coraggio. Gettate il bavaglio e gridate con me che non avete più paura. (Alza le braccia.) O santa rivolta, diniego vivente, onore del popolo, da' a questi imbavagliati la forza del tuo grido.   –

IL CORO           – Fratello, ti ascoltiamo. Noi, i derelitti che viviamo di olive e di pane, per i quali una mula è una fortuna; noi che conosciamo il vino due volte l'anno: il giorno della nascita e il giorno del matrimonio; noi cominciamo a sperare! Ma l'antico timore non ha ancora abbandonato i nostri cuori. L'oliva e il pane danno sapore alla vita. Per poco che abbiamo, tremiamo di perdere tutto, con la vita.           

DIEGO              – Se lasciate le cose come sono perderete 1’oliva, il pane e la vita! Oggi dovete vincere la paura, se volete conservare almeno il pane. Svegliati, Spagna!

IL CORO           – Siamo poveri e ignoranti. Ma ci dicono che la Peste segue le vie dell'anno. Ha la sua primavera in cui germina e spunta, la sua estate in cui fruttifica. Venga l'inverno, e forse morirà. Ma... è l'inverno, fratello: e proprio l'inverno? Questo vento che s'è levato viene proprio dal mare? Abbiamo pagato tutto in moneta di miseria. Bisognerà davvero pagare in moneta di sangue?

IL CORO DELLE DONNE Ancora un affare da uomini! Noi, noi siamo qui solamente per ricordarvi l'attimo del l'abbandono, la luce color garofano dei giorni, la nera lana delle pecore, l'odore della Spagna infine! Siamo deboli, non possiamo nulla contro di voi che avete le ossa grosse. Ma, qualunque cosa facciate, nelle vostre mischie di ombre non dimenticate i nostri fiori di carne!

DIEGO              – E’ la peste che ci scarnisce, che separa gli amanti e dissecca il fiore dei giorni. Soprattutto contro lei dobbiamo lottare.

IL CORO           – E’ proprio l'inverno? Nelle nostre foreste le querce sono ancora coperte di piccole ghiande ben lustre, e i tronchi ruscellano di vespe. No, non è ancora l'inverno!

DIEGO              – Attraversate l'inverno dell'ira!

IL CORO           – Ma troveremo le speranze in capo alla strada? O dovremo morire disperati?

DIEGO              – Chi parla di disperare? La disperazione è un bavaglio. E’ il tuono della speranza, la folgorazione della felicità rompono il silenzio di questa città assediata. In piedi, vi dico. Se volete conservare il pane e la speranza, distruggete i vostri certificati, spaccate i vetri degli uffici, disertate le file della paura, gridate la libertà ai quattro angoli del cielo!

IL CORO           – Siamo i più miseri. La speranza è la nostra sola ricchezza, come ce ne priveremmo? Fratelli, gettiamo questi bavagli. (Grande grido di liberazione.) Ecco la prima pioggia sulla terra arida, nei crepacci della calura. Ecco l'autunno che rinverdisce tutto, il vento fresco del mare. La speranza ci solleva come un'onda.

Diego esce. Sullo stesso piano, dall'altro lato della scena entra la Peste. La Segretaria e Nada la seguono.

LA SEGRET.    – Che è tutto questo bailamme? Si chiacchiera, ora? Rimettetevi i bavagli!

Qualcuno, in mezzo, si mette il bavaglio. Ma altri uomin ihanno raggiunto Diego. Si danno da fare, in ordine.            

LÀ PESTE         – Cominciano a muoversi.

LA SEGRET.    – Come al solito.

LA PESTE         – Bene. Bisogna inasprire i provvedimenti.

LA SEGRET.    – Inaspriamoli. Apre il taccuino e lo sfoglia stancamente.

NADA               – Sotto! Siamo sulla buona strada. Essere regolamentare o non essere regolamentare, ecco tutta la morale e tutta la filosofìa! Però, a mio parere, Vostro Onore non siamo abbastanza energici.

LA PESTE         – Parli troppo.

NADA               – Sono un entusiasta. E vicino a voi ho imparato molte cose. La soppressione, ecco il mio vangelo. Ma finora non avevo buone ragioni. Adesso ho la ragione regolamentare.

LA PESTE         – Il regolamento non sopprime tutto. Tu non sei in linea, bada!

NADA               – Regolamenti ce n'erano anche prima di voi. Ma restava da inventare il regolamento generale, il saldo di tutti i conti, la specie umana messa all'indice, la vita umana sostituita da un prontuario delle materie, l'universo messo a disposizione, il cielo e la terra svalutati, insomma!

LA PESTE         – Torna al tuo lavoro, ubriacone. E voi all'opera!

LA SEGRET.    – Da dove cominciamo?

LA PESTE         – A caso. Colpisce di più.

La Segretaria "radia" due nomi. Colpi sordi d'avvenimento. Due uomini cadono. Riflusso. Quelli che lavorano si fermano impietriti. Le guardie della Peste si precipitano, rimettono le stelle sulle porte, chiudono le finestre, ammonticchiano i cadaveri, ecc.

DIEGO (dal fondo e con voce tranquilla). Viva la morte! Non ci fa paura.

Flusso. Gli uomini si rimettono al lavoro. Le guardie indietreggiano. Stessa pantomima, ma in senso inverso, il vento soffia quando il popolo avanza, cade quando le guardie ritornano.

LA PESTE         – "Radiatelo!"

LA SEGRET.    – Impossibile.

LA PESTE         – Perché?

LA SEGRET.    – Non ha più paura.

LA PESTE         – Ma, come? Sa?

LA SEGRET.    – Sospetta. "Radia" sul taccuino. Colpi sordi. Riflusso. Stessa scena.

NADA               – Splendido! muoiono come mosche! Ah, se la terra potesse saltare in aria!

DIEGO              – (con calma). Soccorrete i caduti. Riflusso. Stessa pantomima, in senso inverso.

LA PESTE         – Quello esagera!

LA SEGRET.    – Esagera, infatti.

LA PESTE         – Perché lo dite con quell'aria malinconica? Non l'avete informato, vero?

LA SEGRET.    – No, Deve aver trovato da solo. Insomma: ha il dono!

LA PESTE         – Lui ha il dono, ma io ho i mezzi. Bisognatentare qualche altra cosa. A voi! (Esce.)

IL CORO           – (togliendosi il bavaglio). Ah! (Sospiro di sollievo.) E’ il primo segno: il laccio si scioglie, il cielo si distende e si apre. Ecco che torna il brusio delle sorgenti che ilsole nero della Peste aveva disseccato. L'estate se ne va.Non avremo più l'uva dei pergolati, ne i meloni, le fave verdi e l'insalata cruda. Ma l'acqua della speranza intenerisce il duro suolo, e ci promette il rifugio dell'inverno, le castagne arrostite, il primo mais dai grani ancora verdi, la noce dal gusto di sapone, il latte davanti al fuoco...

LE DONNE.      – Siamo ignoranti noi, ma diciamo che queste ricchezze non saranno mai pagate troppo care. In ogni luogo e sotto ogni padrone ci sarà sempre un frutto fresco a portata di mano, il vino del povero, il fuoco disarmenti, vicino al quale si aspetta che tutto passi...Esce dalla mostra della casa del giudice la figlia che corre a nascondersi fra le donne.

LA SEGRET.    – (scendendo verso il popolo). Sembrerebbe piena rivoluzione, parola mia! Eppure non lo è, sapete. E poi non spetta al popolo di fare la rivoluzione, diamine! sarebbe completamente fuori moda! Le rivoluzioni non hanno più bisogno di insorti. Oggi la polizia basta a tutto, anche a rovesciare un governo. E, non è meglio?... Così il popolo può riposarsi, mentre alcuni spiriti bene orientali pensano per lui e decidono la quantità di felicità che gli occorre.

IL PESCAT.      – Ora la sventro io quella murena viziosa!

LA SEGRET.    – Andiamo, amici miei. Non sarebbe meglio restare come siamo? Quando un ordine è stabilito, cambiarlo costa sempre caro. E anche se quest'ordine sembrasse insopportabile, si potrebbe sempre ottenere qualche accomodamento.

UNA DONNA  – Quale accomodamento?

LA SEGRET.    – Non so, io! Ma voi, donne, non ignorate che ogni disordine si paga, e che una buona conciliazione, talvolta, vale più che una vittoria rovinosa.

Le donne si avvicinano. Qualche uomo si stacca dal gruppo di Diego.       –

DIEGO              – Non ascoltatela! Tutto questo si sa.

LA SEGRET.    – Che cosa si sa? io parlo per buon senso:e non so altro.

UN UOMO        – Di quali accomodamenti parlavate?

LA SEGRET.    – Bisogna riflettere. Per esempio: potremmo costituire insieme un comitato che decidesse, a maggioranza di voti, sulle "radiazioni" da stabilire. Il comitato avrebbe il possesso di questo quaderno, dove si segnano le "radiazioni"... Dico a titolo di esempio... (Agita il quaderno a braccio teso. Un uomo glielo strappa, falsamente indignata:) Restituitemi quel quaderno! Sapete ch'è prezioso e che basta "radiare" il nome di uno dei vostri concittadini per farlo morire subito!

Uomini e donne circondano colui che tiene il quaderno. Eccitazione generale:

—L'abbiamo preso!

— 

—Non più morti!

— 

— Siamo salvi!

Ma sopraggiunge la figlia del giùdice che strappa brutalmente il quaderno, si rifugia in un angolo e sfogliandolo rapidamente, vi cancella qualche cosa. Nella casa del giud ce un gran grido e il rumore della caduta di un corp.o Uomini e donne si precipitano sulla ragazza.

UNA VOCE      – Ah, maledetta, sei tu quella che bisogna sopprimere! Una mano le strappa il quaderno, tutti lo sfogliano. Appare il suo nome che una mano cancella. La ragazza cade senza un grido.

NADA               – (urlando). Avanti, tutti uniti nella soppressione! Non si tratta più di sopprimere, ma di sopprimersi eccoci tutti insieme, oppressi e oppressori, mano in mano. Dai, toro! Pulizia generale. (Se ne va.)

UN UOMO        – (enorme e che tiene il quaderno). C'è un po' di pulizia da fare, è vero; e l'occasione è troppo bella per trattenerci dal far raggrinzire qualche figlio di buona donna che si è troppo riempito la pancia mentre noi si crepava di fame! La Peste, appena riapparsa, scoppia in una risata prodigio sa, mentre la Segretaria, modestamente, riprende il suo posto al fianco di lui. Tutti, immobili, con gli occhi alzati aspettano, mentre le guardie si cacciano dappertutto a ristabilire lo scenario e i segni della peste.

LA PESTE         – (a Diego). Guardateli! Fanno il lavoro da soli Credi che valgano la pena di curartene?

Ma Diego e il pescatore sono balzati sulla scena, e si precipitano sull'uomo che tiene il quaderno, lo schiaffeggiano e lo gettano a terra. Diego prende il fascicolo e lo straccia.

LA SEGRET.    – Inutile. Ne ho una copia.

DIEGO              – (respingendo gli uomini dall'altra parte). Presto al lavoro! Vi hanno giocato!

LA PESTE         – La paura è per se stessi. Ma l'odio è per gli altri.                  

DIEGO              – (è ritornato dinanzi a lui). Ne paura, ne odio eccola nostra vittoria!             

Riflusso progressivo delle guardie davanti agli uomini di Diego.    

LA PESTE         – Silenzio! Io sono colui che fa inacidire il vino e seccare la frutta. Inaridisco il sarmento che vuoi dare grappoli, e rinverdisco quello che deve nutrire il fuoco. Le vostre semplici gioie mi ripugnano. Ho orrore di questo paese dove si pretende di essere liberi senza essere ricchi. Ho le prigioni, i Carnefici, la forza, il sangue. La città sarà rasa al suolo e, sulle sue rovine, la storia agonizzerà nello splendido silenzio delle società perfette. Finalmente! Silenzio dunque, o stritolo tutto!Lotta mimata in mezzo a uno spaventoso fracasso, stridore di corde, ronzio profondo, colpi della "radiazione" e ondata di slogan. Man mano che gli uomini di Diego prendono il sopravvento, il tumulto si placa, e il coro, quantunque indistinto, sommerge i rumori della Peste.

LA PESTE         – (con un gesto di rabbia). Restano gli ostaggi!

Fa un segno. Le guardie escono mentre gli altri si raggruppano.

NADA               – (dall'alto del palazzo). Resta sempre qualche cosa.Tutto continua a non continuare. E i miei uffici continuano. La città crollerà, il cielo scoppierà, gli uomini diserteranno la terra, ma i miei uffici si apriranno ancora all'ora fissata per amministrare il nulla! L'eternità sono io, il mio paradiso ha i suoi archivi e le sue carte asciuganti. (Esce. )

IL CORO           – Fuggono. L'estate finisce in vittoria. Può dunque accadere che l'uomo trionfi. E la vittoria, allora, ha il corpo delle nostre donne sotto la pioggia dell'amore. Ecco la carne felice, calda e lucente, grappolo di settembre sul quale il calabrone ronza. Sull'aia del ventre si abbattono le messi della vigna. Le vendemmie fiammeggiano a sommo dei seni ebbri. O mio amore, il desiderio scoppia come un frutto maturo; finalmente la gloria dei corpi ruscella. Da tutti gli angoli del cielo mani misteriose tendono i loro fiori e un vino ambrato sgorga da inesauribili fontane. Sono le feste della vittoria, cerchiamo le nostre donne!

Nel silenzio viene portata una barella, sulla quale è distesa Vittoria.          

DIEGO              – (precipitandosi). Oh, che voglia di ammazzare o di morire! (È vicino al corpo che sembra inanimato.) Ah,magnifica, vittoriosa, selvaggia come l'amore, volgi un poco il viso verso di me. Ritorna, Vittoria! Non passare il confine del mondo dove non posso raggiungerti! Non lasciarmi: la terra è fredda. Amore mio! amore mio! tienti salda, tienti salda a questa sponda di terra dove stiamo ancora. Non lasciarti affondare. Se muori, tutti i giorni che mi restano da vivere sarà notte in pieno mezzogiorno per me.

IL CORO DELLE DONNE Ora siamo nella verità. Non prima d'ora. Ma adesso v'è un corpo che si contorce e che soffre. Tante grida, il più bel linguaggio, il viva la morte, e poi proprio la morte strazia la gola di quella che amiamo. L'amore ritorna sempre troppo tardi. (Vittoria geme.)

DIEGO              – Ecco: si alza, si alzerà. Mi starai ancora di fronte, dritta come una fiaccola, con le nere fiamme dei tuoi capelli, con questo tuo volto radioso d'amore di cui portavo lo splendore nella tenebra della lotta. Io ti portavo eil mio cuore bastava a tutto.

VITTORIA        – Mi dimenticherai, Diego, è certo. Il tuo cuore non sopporterà l'assenza. Ah, che angoscia morire sapendo che saremo dimenticati! (Volge il capo.)

DIEGO              – Non ti dimenticherò. Il ricordo durerà in me più della vita.

IL CORO DELLE DONNE O corpo dolorante già così desiderabile, bellezza regale, riflesso della luce! L'uomo grida all'impossibile, la donna soffre il possibile. Piegati, Diego Grida il tuo dolore, accusati, è il momento di pentirti. Disertore! questo corpo era la tua patria senza la quale tu non sei più niente. Il tuo ricordo non riscatterà niente.

La Peste è arrivata pian piano vicino a Diego. Solo il corpo di Vittoria  li separa.

LA PESTE         – Allora, rinunzi? (Disperato Diego guarda il corpo di Vittoria.) Non hai più forza. Hai lo sguardo smarrito. Il mio è lo sguardo fermo della potenza.             

DIEGO              – (dopo una pausa). Lasciala vivere e uccidi me.

LA PESTE         – Che cosa?

DIEGO              – Ti propongo lo scambio.

LA PESTE         – Quale scambio?

DIEGO              – Morire io al suo posto.

LA PESTE         – E’ una di quelle idee che vengono quando si è troppo stanchi. Non è piacevole, via, morire, e il più, per lei, è fatto. Fermiamoci qui.

DIEGO              – È l'idea del più forte!

LA PESTE         – Guardami: io sono la forza!

DIEGO              – Togliti l'uniforme.

LA PESTE         – Sei pazzo?

DIEGO              – Spogliati! Quando gli uomini di forza si tolgono l'uniforme, non sono belli da vedere.

LA PESTE         – Forse. Ma la loro forza è di avere inventato l'uniforme!

DIEGO              – La mia è di rifiutarla. Confermo il patto.

LA PESTE         – Rifletti, almeno. La vita ha del buono.

DIEGO              – La vita non è nulla. Quelle che contano sono le ragioni della mia vita. Non sono un cane.

LA PESTE         – La prima sigaretta non è dunque nulla? L'odore della polvere a mezzogiorno sul terrapieno, le piogge della sera, la donna ancora sconosciuta, il secondo bicchiere di vino, non sono più nulla?

DIEGO              – Sono qualcosa, ma questa vivrà meglio di me!

LA PESTE         – No, se rinunci a curarti degli altri.

DIEGO              – Sulla strada in cui sono, non ci si ferma, anchevolendo. Non ti risparmierò!

LA PESTE         – (cambiando tono). Senti: se mi offri la tua vita in cambio di questa, sono costretto ad accettare e questa donna vivrà. Io, però, ti propongo un altro scambio: ti do la vita di questa donna e vi lascio fuggire insieme, a patto che mi lasciate sbrigarmela da solo con la città.

DIEGO              – No. Conosco i miei poteri.

LA PESTE         – In tal caso voglio essere franco con te. Devoessere padrone di tutto, o non sarò padrone di nulla. Semi sfuggi tu mi sfugge la città. È la regola, una vecchia regola che non so da dove provenga.

DIEGO              – Io lo so. Proviene dal fondo delle età; è più grande di te, più alta delle tue forche: è la regola della natura.Abbiamo vinto.

LA PESTE         – Non ancora. Ho questo corpo in ostaggio: è la mia ultima carta. Guardala: se una donna ha mai avuto il volto della vita, eccola, è qui. Merita di vivere e tu vuoi farla vivere. Io sono costretto a ridartela. Ma posso farlo contro la tua vita o contro la libertà di questa città. Sce gli!

Diego guarda Vittoria. In fondo, mormorto di voci imbavagliate. Diego si volge verso il coro.     –

DIEGO              – È duro morire!

LA PESTE         – È duro.

DIEGO              – Ma è duro per tutti.

LA PESTE         – Imbecille! Dieci anni dell'amore di questa donna valgono molto più d'un secolo di libertà per quegli uomini.

DIEGO              – L'amore di questa donna è il mio regno. Posso farne ciò che voglio. Ma la libertà di questi uomini appartiene a loro. Non posso disporne.

LA PESTE         – Non si può essere felici senza fare del male agli altri. E’ la giustizia di questo mondo.

DIEGO              – Non sono nato per consentire a questa giustizia!

LA PESTE         – Non ti domando di consentire. I tuoi desideri, però, non possono cambiare l'ordine del mondo. Se vuoi cambiarlo lascia i sogni e tienti alla realtà.

DIEGO              – No. Conosco la canzone: uccidere per sopprime re il delitto, far violenza per guarire l'ingiustizia. Dura da secoli! Da secoli i signori della tua razza infettano la pia ga del mondo col pretesto di guarirla, e continuano a vantare la formula perché nessuno ride loro sul muso!

LA PESTE         – Nessuno ride, poiché io realizzo. Io sono efficiente.

DIEGO              – Certo! e pratico. Come la scure!

LA PESTE         – Ma basta guardarli, gli uomini! E’ chiaro che qualunque giustizia è buona per loro.

DIEGO              – Da quando le porte di questa città si sono chiuse, ho avuto tempo assai per guardarmeli.

LA PESTE         – Allora adesso sai che ti lasceranno sempre solo. E l'uomo solo deve perire!

DIEGO              – No: è falso! Se fossi solo tutto sarebbe facile. Ma per amore o per forza essi sono con me.              

LA PESTE         – Un bel gregge davvero! Ma una puzza forte.

DIEGO              – Lo so che non sono puri. Neanch'io! Sono nato fra loro. Vivo per la mia città e nel mio tempo.

LA PESTE         – Tempo di schiavi!

DIEGO              – Tempo di uomini liberi!

LA PESTE         – Mi stupisci. Ho un bei cercarli, gli uomini liberi: dove sono?

DIEGO              – Nei tuoi bagni e nei tuoi carnai. Gli schiavi sono sui troni,

LA PESTE         – Metti ai tuoi uomini liberi l'uniforme della mia polizia, e t'accorgerai cosa diventeranno!

DIEGO              – E’ vero: possono diventare vili e crudeli. Per que sto non hanno diritto alla potenza più di quanto abbia diritto tu. Nessun uomo è abbastanza virtuoso da affidargli il potere assoluto. Ma anche questi uomini hanno diritto a quella pietà che a te sarà rifiutata.

LA PESTE         – Viltà è vivere com'essi vivono, piccoli, straccioni, sempre a mezz'aria.

DIEGO              – E a mezz'aria li amo. E se non sono fedele all'umile verità che divido con loro, come potrei esserlo alle mie verità, più grandi e solitarie?

LA PESTE         – La sola fedeltà che conosco è il disprezzo. (Indica il coro prostrato nel cortile.) Guardali! vedi?

DIEGO              – Io non disprezzo che i carnefici. Qualunque cosa tu faccia, questi uomini saranno sempre più grandi di te. Se uccideranno sarà in un'ora di pazzia. Tu invece massacri secondo la legge e la logica. Non beffarti dei loro dorsi curvati, poiché da secoli le comete della paura passano sopra di loro. Da secoli essi muoiono e il loro amore è straziato. Il loro delitto più grande avrà sempre una scusa. Ma non ci sono scuse al delitto che è sempre stato commesso contro di loro e che, alla fine, tu hai avuto l'idea di codificare nello sporco ordine che è il tuo! (LaPeste si avanza verso di lui.) Non abbasserò gli occhi!

LA PESTE         – No, è chiaro! E allora preferisco dirti che hai trionfato dell'ultima prova. Se mi avessi lasciata in mano la citta, avresti perduto questa donna e ti saresti perduto con lei. In attesa, questa città ha tutte le probabilità d'essere libera. Vedi? basta un insensato come tè... L'insensato muore, è logico. Ma presto o tardi il resto si salverà (Cupo.) E il resto non merita di essere salvato.

DIEGO              – L'insensato muore...

LA PESTE         – Che? Non va più? Ma no, è classico: l'attimo del dubbio! Ma l'orgoglio sarà il più forte.

DIEGO              – Avevo sete di onore. E non potrò oggi ritrovare l'onore che tra i morti?

LA PESTE         – L'ho sempre detto: l'orgoglio li uccide. Ma è duro per me che divento vecchio. (Con Voce dura.) Preparati!

DIEGO              – Sono pronto.

LA PESTE         – Ecco i segni. Dolgono. (Diego guarda con orro re i segni che lo marcano di nuovo.) Là! soffri un poco prima di morire. E’ la mia regola. Quando l'odio mi brucia, il dolore degli altri è la mia rugiada. Lamentati un poco, mi fa bene. Voglio vederti soffrire prima di lasciare questa città. (Guarda la Segretaria.) Voi, al lavoro.

LA SEGRET.    – Se è necessario...

LA PESTE         – Già stanca, eh? (La Segretaria fa cenno di sì col capo e nello stesso momento cambia bruscamente di aspetto. E’ una vecchia con la maschera della morte.) Ho sempre pensato che non sapevate odiare abbastanza. Il mio odio ha bisogno di vittime fresche. Liquidate tutto, qui. E ricominceremo altrove.

LA SEGRET.    – L'odio non mi sostiene perché non è nelle mie funzioni. Ma è un po' colpa vostra. Lavorando soltanto sulle schede ci si scorda di partecipare.

LA PESTE         – Parole! E se cercate un sostegno... (indica Diego che cade in ginocchio) prendetelo nella gioia di distruggere. E’ il vostro compito.

LA SEGRET.    – Distruggiamo pure. Ma non mi sento a mio agio.

LA PESTE         – Discutete i miei ordini? e in nome di che?

LA SEGRET.    – In nome della memoria. Ho qualche vecchio ricordo. Prima ero libera e legata al caso. Allora nessuno mi odiava. Ero quella che conclude tutto, che fissa gli amori, che da forma ai destini. Ero l'Immutabile. Ma voi mi avete messa al servizio della logica e del regolamento. E mi si è guastata la mano che allora, talvolta era pietosa.          

 LA PESTE        – Chi vi domanda aiuti?

LA SEGRET.    – Quelli che sono meno grandi della sventura. Cioè quasi tutti. Con loro mi accadeva di lavorare concorde, esistevo a modo mio. Oggi faccio loro violenza, e tutti mi negano fino all'ultimo respiro. Forse perché amavo quest'uomo, mi date l'ordine di uccidere. Egli mi ha scelta liberamente. A modo suo ha avuto pietà di me Amo coloro che mi danno convegno.

LA PESTE         – Attenta a non irritarmi. Non abbiamo bisogno di pietà.            

LA SEGRET.    – Chi ha bisogno di pietà se non colui che non ha compassione di nessuno? Quando dico di amare quest’uomo, voglio dire che lo invidio. In noi conquistatori, 1’amore prende questa miserabile forma. Lo sapete e sapete pure che questo merita che gli altri ci compiangano un poco.

LA PESTE         – Vi ordino di tacere!

LA SEGRET.    – Lo sapete: e sapete, anche, che continuando a uccidere si finisce per invidiare l'innocenza di quelli che uccidiamo. Ah! lasciatemi dimenticare almeno per un attimo, questa logica interminabile, e sognare di appoggiarmi finalmente a un corpo. Le ombre mi ripugnano. E invidio tutti questi poveracci, sì, persino questa donna (indica Vittoria), che ritroverà la vita solo per lanciarvi grida di belva! Ella, almeno, potrà appoggiarsi al suo dolore.

Diego sta per cadere. La Peste lo rialza.

LA PESTE         – In piedi, uomo! La fine non può venire senza che costei faccia quanto è necessario. E vedi che, per ora si da al sentimento Ma non aver paura! farà quanto occorre: e nella regola e nelle sue funzioni. La macchina cigola un poco, ecco! Prima che si fermi del tutto, sii felice imbecille! Ti restituisco questa città. (Grida di gioia del Coro. La Peste si volge da quella parte.) Sì, me ne vado ma non gridate vittoria: sono contento di me. Anche qui abbiamo lavorato bene. Mi piace che si parli tanto di me e so che, adesso, non mi dimenticherete più Guardatemi: guardate un'ultima volta la sola potenza del mondo. Riconiscete il vostro vero sovrano e imparate la paura. (Ride.) Prima avevate la pretesa di temere Iddio e i suoi colpi di testa. Ma il vostro Dio era anarchico e confonde va i generi. Credeva di poter essere al tempo stesso, buono e potente. Non era logico, ne sincero: bisogna pur dirlo. Io ho scelto la potenza e nient'altro. Ho scelto il dominio e ora sapete che è cosa più seria dell'inferno. Da millenni ho coperto di carnai le vostre città e le vostre campagne. I miei morti hanno fecondato le sabbie di Libia e della nera Etiopia. La terra di Persia è ancora grassa del sudore dei miei cadaveri. Ho riempito Atene di fuochi della purificazione, acceso sulle spiagge mi gliaia di roghi funebri, coperto il mare greco di ceneri umane fino a farlo diventare di color cinereo. Gli dei, gli stessi poveri dei, ne erano stomacati. E quando le catte drali hanno sostituito i templi, i miei cavalieri neri le han no riempite di corpi urlanti. Sui cinque continenti, lungo i secoli, ho ucciso senza tregua e senza stanchezza. Ed era fatto piuttosto bene, e non mancava l'idea; ma non c'era tutta l'idea... Se volete la mia opinione: un morto rinfresca, ma non rende. In una parola: non vale uno schiavo. L'ideale è di ottenere una maggioranza di schiavi vivi con l'aiuto di una minoranza di morti ben scelti. Oggi la tecnica è perfetta. Ecco perché, dopo aver ucciso o avvilito la necessaria quantità d'uomini, metteremo popoli interi ai nostri piedi. Nessuna bellezza, nessuna grandezza ci resisterà. Trionferemo di tutto.

LA SEGRET.    – Trionferemo di tutto, ma non della fierezza.

LA PESTE         – La fierezza, forse, si stancherà. L'uomo è più intelligente che non si creda. (Lontano, confusione e squilli di trombe.) Ascoltate! la mia buona fortuna ritorna. Ecco i vostri antichi padroni che ritroverete ciechi per le piaghe altrui, e ubriachi d'immobilità e di oblio. E vi stancherete di vedere la stupidità trionfare senza lotta La crudeltà rivolta, ma l'idiozia scoraggia. Onore agli stupidi: essi mi preparano la via. Sono la mia forza e la mia speranza. Giorno verrà, forse, che ogni sacrificio vi sembrerà vano, e l'interminabile urlo delle vostre sporche rivolte tacerà finalmente. Quel giorno regnerò davvero nel silenzio definitivo della schiavitù. (Ride.) State tran quilli: ho la fronte bassa dei testardi. Va verso il fondo.

LA SEGRET.    – Sono più vecchia di voi, e so che anche il loro amore ha la sua ostinazione.

LA PESTE         – L'amore? che roba è? Esce.

LA SEGRET.    – Alzati, donna! Sono stanca. Bisogna finirla.

Vittoria si alza, ma nello stesso momento Diego cade. La Segretaria si ritira un poco nell'ombra, mentre Vittoria si precipita verso Diego.            –

VITTORIA        – Ah, Diego! Che ne hai fatto della nostra felicità?

DIEGO              – Addio, Vittoria. Sono contento.

VITTORIA        – Non dir così, amore mio. È una parola d'uomo, una orribile parola d'uomo. (Piange.) Nessuno ha diritto d'esser contento di morire.

DIEGO              – lo sono contento,

VITTORIA        – Ho fatto quello ch'e ra necessario.

VITTORIA        – No. Bisognava scegliermi contro lo stesso cielo. Bisognava preferirmi al mondo intero.

DIEGO              – Mi sono messo in regola con la morte: è la miaforza. Ma una forza che divora tutto: per la felicità nonc'è posto.

VITTORIA        – Che m'importava la tua forza? Un uomo amavo!

DIEGO              – Mi sono disseccato in questa lotta. Non sono piùun uomo ed è giusto che muoia.

VITTORIA        – (gettandosi su di lui). Allora portami con tè!

DIEGO              – No; questo mondo ha bisogno di tè. Ha bisognodelle nostre donne per imparare a vivere. Noi non abbiamo saputo che morire.

VITTORIA        – Ah! era troppo semplice amarsi in silenzio, esoffrire ciò che era necessario soffrire! Preferivo la tua paura.

DIEGO              – (guardando VITTORIA). T'ho amata còri tutta l’anima.

VITTORIA        – (con un grido). E non bastava! No! Non basta va ancora! Che me ne facevo della tua anima soltanto?

La Segretaria avvicina la mano a Diego.Comincia la scena mimata dell'agonia. Le donne si precipitano verso Vittoria e la circondano.

LE DONNE       – Sventura a lui! Sventura a tutti coloro che disertano i nostri corpi! Miseria su noi che siamo le diser tate e sopportiamo lungo il corso degli anni, questo mon do che il loro orgoglio pretende trasformare. Ah! poiché tutto non può essere salvato, impariamo almeno a salvare la casa dell'amore! Venga la peste, venga la guerra e, chiuse tutte le porte, con voi al nostro fianco ci difende remo sino alla fine. Allora, invece di questa morte solità ria, popolata di idee, nutrita di parole, conoscerete il morire insieme, voi e noi confusi nel terribile abbraccio dell'amore! Ma gli uomini preferiscono l'idea. Fuggono la madre, si staccano dall'amante e corrono alla ventura, feriti senza piaghe, morti senza pugnali, cacciatori d'om bre, cantori solitari che invocano sotto il cielo muto una impossibile unione; in marcia, di solitudine in solitudine, verso l'ultimo isolamento, verso la morte nel cuore del deserto !

Diego muore. Le donne si lamentano mentre il vento soffia un poco più forte.

LA SEGRET.    – Non piangete, donne. La terra è dolce a chi l'ha amata.

Esce. Vittoria e le donne vanno verso il lungomare portan do il corpo di Diego. I rumori, nel fondo, si fanno più precisi. Scoppia una nuova musica, e si sente Nada urlare sulle fortificazioni.

NADA               – Eccoli! Arrivano gli anziani, quelli di prima, quelli di sempre, gli impietrati, gli ottimisti, gli agiati, i senza uscita, i rileccati, tutta la tradizione seduta, prospera e ben rasata. Eccoli i sartorelli del nulla: sarete vestiti tutti su misura. Ma non vi allarmate: il loro metodo è il migliore. Invece di chiudere la bocca a chi grida la sua sventura, si chiudono le orecchie. Eravamo muti, diventeremo sordi. (Fanfare.) Attenzione: ritornano quelli che scrivono la Storia. Ricominciamo a curarci degli eroi. Li metteremo al fresco. Sotto la pietra tombale. Non vi lagnate: sopra la pietra la società è veramente troppo mista. (Nel fondo vengono mimate cerimonie ufficiali) Guardate: che cosa credete che facciano? Si distribuiscono decorazioni. Le feste dell'odio hanno sempre ingresso libero, la terra esaurita si copre col legno marcio delle forche, il sangue di coloro che chiamate i giusti illumina ancora i muri del mondo, ed essi che cosa fanno? Si autodistribuiscono decorazioni! Rallegratevi: avrete i vostri bravi discorsi di premiazione. Ma prima che il palco sia eretto voglio rias sumervi il mio. Colui che amavo, contro lui stesso, è mor to, derubato! (Il Pescatore si precipita su Nada. Le guardie lo arrestano.) Vedi, pescatore? i governi passano, la poli zia resta. C'è dunque giustizia.

IL CORO           – No, non c'è giustizia, ma ci sono i limiti. E coloro che pretendono di non regolare nulla, come chi vuole dare una regola a tutto, passano egualmente i limi ti. Aprite le porte, che il vento e il sale puliscano questa città.

Dalle porte che si aprono il vento soffia sempre più forte.

NADA               – C'è una giustizia: quella che si fa con mia ripugnanza. Sì, ricomincerete, ma non è più affar mio. Non contate su me per offrirvi il perfetto colpevole, non ho la virtù della malinconia. O vecchio mondo, bisogna partire, i tuoi carnefici sono stanchi, il loro odio è diventatotroppo frigido. Io so troppe cose, e persino il disprezzo ha fatto il suo tempo. Addio, brava gente: un giornoimparerete che non si può vivere bene, sapendo che l'uomo è nulla e che il volto di Dio è tremendo.

Nel vento che soffia tempestoso, Nada corre sulla diga e si getta in mare. Il pescatore gli è corso dietro.

IL PESCAT.      – E’ caduto. Le onde impetuose lo sferzano e lo soffocano dentro le loro criniere. La bocca bugiarda si riempie di sale e tacerà, finalmente. Guardate: il mare furibondo ha il colore degli anemoni. Ci vendica. Là sua ira è la nostra. Grida l'adunata a tutti gli uomini del mare per il convegno dei solitari. O onda, o mare, patria degli insorti, ecco il tuo popolo che non cederà mai. L'ondata immensa, nutrita nell’amarezza delle acque, spazzerà via le vostre città orribili.

SIPARIO