L’ombra dietro la porta

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L’OMBRA DIETRO LA PORTA

Commedia in tre atti

di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

ROBERT AUCLAIR, direttore dell’Universel

MICHEL SERVAL, redattore giudiziario

PIERRE ROMORIN, redattore sportivo

PAUL BERGMANN, redattore teatrale

ALBERT DAC, redattore viaggiante

JACQUES VALLON, amministratore

ANDRE’ WEISS, deputato

VANEL, ispettore della sicurezza generale

JULES, capo-tipografo

CHARLES, usciere

UN OPERAIO ELETTRICISTA

DUE AGENTI

COLETTE PINES, segretaria di redazione

LUCIENNE AUCLAIR

SYLVIE WEISS

GERMAINE

A Parigi. Nella redazione del giornale L’Universel

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

La scena rappresenta la segreteria di redazio­ne attigua all'ufficio del direttore negli uffici del giornale parigino « L'Universel ». Nel fondo, una porta imbottita, a due battenti, sopra la quale c'è scritto: «M. le Directeur». A sinistra, un'altra porta a due battenti imbottiti, conduce nelle sale di redazione. Un'altra a destra dà sul pianerottolo e quindi sulla scala privata. In fon­do a sinistra il principio di una scaletta a chioc­ciola, che dà nella tipografia, situata al piano di sotto. Sul davanti un tavolino con la macchi­na da scrivere ed il telefono: qui sta seduta la segretaria di redazione. A sinistra, grandi scaf­fali con vocabolari e il Grande Larousse in ventotto volumi. Sulla grande tavola di mezzo, le raccolte legate dei vari giornali. Un divano, qualche poltrona. Sopra la porta del direttore, una lampadina rossa che in questo momento è sperata.

Quando la commedia comincia - lampade elettriche accese, è quasi l'una di notte - Co­lette sta scrivendo a macchina: dalla scala a chiocciola compare Jules, capo-tipografo, che si ferma sugli ultimi gradini.

Jules                              - Signorina, la terza è pronta... Se vuole avvertire il signor Servai.

Colette                          - (suonando un campanello che ha sulla scrivania davanti a se) Ora lo chiamo.

Jules                              - (guardando la lampadina rossa spenta) Il principale non c'è?

Colette                          - Aveva un pranzo d'affari, stasera. Ma non tarderà.

Jules                              - Ho fatto una novità: non so se la mia audacia sarà apprezzata. Un titolo su due...

Serval                            - (entrando da sinistra) Un titolo su due? Nel nostro giornale? Sarai pazzo!

Jules                              - È più americano.

Serval                            - Qui non siamo in America. I nostri lettori comincerebbero a credere che noi cam­biamo opinione... Il che non sarebbe neanche grave, ma l'occhio ha le sue esigenze. Quando un giornale è fatto in un modo, deve restare fatto a quel modo. Niente modernismi!

Jules                              - (sparendo in fondo alla scaletta) Mi tocca buttare all'aria tutta l'impaginazione. Ep­pure sono certo che il principale...

Serval                            - (a Colette) Guai a rovesciare le tradizioni! Un giornale ha i suoi fedeli lettori proprio perché ogni numero si somiglia. Guai a fare della fantasia! Le mie cronache giudi­ziarie sono in terza pagina, quarta colonna, il pubblico lo sa e bisogna che le trovi lì. Non siete di questo parere, Colette?

Colette                          - Oh per me! Io non leggo mai il giornale.

Serval                            - Voi siete scettica, lo so! Anche quando io vi parlo d'amore...

Colette                          - Signor Michele, in tipografia vi stanno aspettando...

Serval                            - Jules ha da rifare l'impaginazione. C'è tempo. Dite un po': perché non volete ve­nire a Compiègne con me? Ci sono tanti bei ricordi storici!

Colette                          - Vi ho già detto che io della storia me ne infischio!

Serval                            - Avete torto... E poi, oltre ai ri­cordi, ci sono dei viali...

Colette                          - Mi fate perdere tempo, ecco. (Batte febbrilmente a macchina. Servai sospira con esagerata evidenza. Da sinistra entra Romorin).

Serval                            - (a Romorin) Com'è andata, oggi, a Vincennes ?

Romorin                        - (alzando le spalle, a Colette, indi­cando la porta di fondo) Il direttore c'è?

Colette                          - Non è ancora venuto. Che avete, che siete tutto stravolto?

Romorin                        - (a Servai) Non avresti per caso milleduecento franchi da prestarmi?

Serval                            - Cosa ti succede? Ti sei innamorato di Mistinguett e vuoi portarla in India?

Romorin                        - (nervosissimo) Non fare il cre­tino. Mi sono compromesso.

Serval                            - Con chi?

Romorin                        - È una cosa incredibile! Doveva capitare proprio a me!

Serval                            - Tu esageri sempre.

Romorin                        - To', esagero? Ti vorrei vedere al mio posto!

Jules                              - (risalendo dalla scaletta) Signor Ser­vai, può venire? La tradizione c'è.

Serval                            - Vengo.

Romorin                        - (allarmato) Sanno di già?

Serval                            - Chi?

Romorin                        - In tipografia. Tradizione.

Serval                            - Ma va là! Quello parla della sua impaginazione: titolo su una colonna.

Romorin                        - Ma questi milleduecento franchi li hai?

Serval                            - Come no? Per chi mi prendi?

Romorin                        - Perché se non li hai è inutile che ti racconti quello che è accaduto.

Serval                            - Tradizione. Conosci Tradizione, tu?

Serval                            - Dipende da quale.

Romorin                        - È una cavallina di Gambier: una brocca che non ha mai vinta una corsa in vita sua. Oggi doveva incontrarsi con Trudaine e Thibault. Due cavalli che non so se mi spiego: neanche l'ombra della probabilità. Allora io ieri sera dico al principale: «Avrei un'informazio­ne per domani a Vincennes. Tradizione».

Serval                            - Vigliacco! Lo ingannavi.

Romorin                        - Si capisce. Sai quanto ho io di stipendio come redattore sportivo? Novecento franchi. Se non arrotondo, come vuoi che me la cavi?

Serval                            - E tu arrotondi col direttore?

Romorin                        - Bisogna che scelga degli incompe­tenti, se no capiscono il trucco. Ieri sera il prin­cipale era di buon umore: mi mette in mano un biglietto da cento franchi e mi dice: « Giocali su Tradizione vincente». Io naturalmente mi guardo bene dal giocarli. E neanche a farlo ap­posta, quell'ipocrita di Tradizione oggi si mette a vincere. Cose dell'altro mondo! Sai quanto dà il totalizzatore per cento franchi? Millecento e cinquanta franchi. Dove li prendo io ora?

Serval                            - (prendendolo in giro) Queste sono le conseguenze inevitabili della menzogna e del raggiro. Se tu invece avessi agito onestamente, com'era tuo dovere...

Romorin                        - Insomma, me li presti o non me li presti questi...?

Serval                            - Tu sogni l'Eldorado, mio caro!

Romorin                        - Potevi anche dirlo prima, allora. (Rivolgendosi a Colette) Colette, credete che il principale legga i risultati delle corse?

Colette                          - Sempre. Il direttore legge tutto.

Romorin                        - Allora non ci sarebbe altro che stampare un risultato sbagliato...

Colette                          - Domattina fioccherebbero le pro­teste. Peggio che mai.

Romorin                        - Ma allora...?

Vallon                           - (entrando da destra con un libro ma­stro sotto il braccio) Il direttore?

Colette                          - Non è ancora venuto.

Romorin                        - Giacche vi vedo, signor Vallon...

Vallon                           - (interrompendolo) Se è per un al­tro anticipo, è meglio che ve lo dica subito: niente da fare.

Romorin                        - Come ce un altro » ? Quale altro mi avete concesso?

Vallon                           - (consultando il libro che aveva sotto il braccio) Voi siete debitore dell'ammini­strazione di millesettecentotrentadue franchi, compresi gli interessi composti.

Romorin                        - Ma il direttore m'aveva detto che quello era un regalo che il giornale mi faceva in occasione delle mie nozze!

 Vallon                          - Non ho mai avuto comunicazione che si trattasse di un regalo.

Serval                            - Bene!

Romorin                        - E io ora come faccio? (A Servai) In curva, quella bestiaccia era ancora ultima, e io ero tranquillo...

Bergmann                     - (entrando da sinistra) Come si chiamava il figlio di Fetonte?

Vallon                           - E chi è Fetonte?

Bergmann                     - Non me ne parlate: c'è stata una novità stasera all'ce Odèon». Una novità di argomento mitologico. Ho perduto il program­ma e non so come ricostruire i personaggi. So solo che c'era Fetonte...

Vallon                           - Lì c'è il Larousse.

Voce di Jules                - (di sotto) Signor Servai, perdiamo la ce banlieue »!

Serval                            - Sono qui. (Sparisce dalla scaletta a chiocciola).

Romorin                        - (avvicinandosi a Bergmann) Non avresti per caso...?

Bergmann                     - Fiammiferi? Neanche uno. Scu­sa, ho fretta. (Si mette a consultare un volume del Larousse).

Romorin                        - (avvilito, a Colette) Non mi pre­sta un fiammifero: inutile chiedergli di più.

Bergmann                     - (curvo sul volume del Larousse) Oh, sangue di Giove!

Vallon                           - Che cosa c'è?

Bergmann                     - Fetonte non aveva figli.

Romorin                        - Son contento, guarda!

Bergmann                     - (pensoso) Ma allora il prota­gonista non era Fetonte... E chi poteva essere, allora?

Vallon                           - Fate una cosa: telefonate all'au­tore. Sapete almeno chi fosse l'autore?

Bergmann                     - Non posso: so chi è, ma non posso.

Vallon                           - Perché?

Bergmann                     - Non gli posso chiedere un fa­vore: bisogna che gli stronchi il lavoro. Non sarebbe decoroso.

Vallon                           - (a Bergmann) E allora rimanete nel vago.

Bergmann                     - Io resto sempre nel vago con le mie critiche. Ma i nomi dei personaggi, al­meno ci vogliono. Se non mi salvo raccontando un po' l'argomento, come volete che faccia?

(Da sinistra entra Albert Dac).

Romorin                        - (andandogli incontro) Oh, Dac, non avresti per caso...?

Dac                               - Volentieri. Persuadi quel signore lì... (indica Vallon) a pagarmi quello che mi deve, e dopo la mia borsa è aperta.

Vallon                           - Un momento, un momento, caro Dac. Io sono qui proprio per questo. Bisogna che io consulti il direttore prima...

Dac                               - La lista ce spese » è sempre stata di competenza dell'amministratore e non del di­rettore.

Vallon                           - Voi, sapete benissimo, signor Dac, che io non ho mai pagato un centesimo senza il visto del signor Auclair. Non sono autorizzato a farlo.

Dac                               - Ma la mia lista è stata vistata sta­mane!

Vallon                           - Non dico di no: ma forse il signor Auclair non ha osservato con sufficiente atten­zione, non ha verificato. Forse era distratto. Non si tratta mica di milleduecento franchi... Se fosse così, pagherei senza pensarci un mo­mento.

Romorin                        - A me basterebbero, signor Vallon.

Vallon                           - Si tratta di centoventiseimila franchi!

Dac                               - Un viaggio in Alaska, Groenlandia, banchisa artica, Russia e ritorno, non è mica come andare a Fontainebleau. E poi non sono centoventiseimila franchi. Sono settantaseimila soltanto, che mi dovete.

Vallon                           - Gli altri cinquantamila vi sono stati dati come anticipo prima della partenza.

Dac                               - Naturale: questa è la differenza. Io li ho spesi e capirete...

Vallon                           - È questo che mi preoccupa. Che voi li abbiate spesi...

Dac                               - Vorreste mettere in dubbio la since­rità delle mie cifre?

Vallon                           - Per carità, signor Dac. Vi conosco e ho troppa stima di voi. Soltanto mi stupisce... Mi stupisce che abbiate potuto spendere questa somma di tasca vostra. Come facevate a posse­derla ?

Dac                               - Intanto ho speso quei cinquantamila franchi che voi...

Vallon                           - Non tutti.

Dac                               - Come non tutti?

Vallon                           - A me risulta che ventimila li avete lasciati qui alla signora Dac, vostra moglie.

Dac                               - Chi ve l'ha detto? Lei?

Vallon                           - No, no. Ma l'ho saputo. E mi stu­pisce che abbiate potuto spendere di tasca vo­stra centomila franchi.

Dac                               - In Alaska ho anche giocato. Ho vinto. Altrimenti vi avrei mandato un radiogramma per chiedervi dei fondi. Del resto questo non vi riguarda. Il direttore ha detto che è stato molto soddisfatto dei miei articoli...

Vallon                           - Venti articoli: seimila franchi l'uno. Devono essere belli per forza.

Romorin                        - I miei, trenta franchi l'uno.

Bergmann                     - (che ha finito di consultare il Larousse) Forse era Fedone, invece di Fe­tonte... Doveva essere Fedone... Se almeno aves­si sentito la commedia, ci sarebbe modo di orientarsi. Ma era mitologica, e allora sono sa­lito nel camerino della prima attrice giovane e mi sono fatto raccontare da lei l'argomento.

Colette                          - E stroncate la commedia?

Bergmann                     - Per cavalleria. Verso l'attrice giovane. Ha una parte infelice. E desidera che le repliche siano poche. Come si fa? Ha ragione anche lei: vuole mettersi in luce e non è questo il modo... Mettiamo Fedone: deve trattarsi di Fedone. (Esce da sinistra).

Romorin                        - (a Colette) Voi non avete delle economie?

Colette                          - Andate al diavolo!

Romorin                        - Che cosa gli racconto io ora?

Dac                               - Di quanto si tratta?

Romorin                        - (appiccicandosi a Dac) Figurati che oggi a Vincennes correva una cavallina...

Dac                               - (a Colette) Signorina, appena viene il principale avvertitemi. (Dac e Romorin escono da sinistra).

Vallon                           - In quel viaggio al Polo Nord, Dac vuol farci rientrare anche la pelliccia di visone per sua moglie e anche, se possibile, una vil­letta. Ma se il direttore dà retta a me, si aprono un po' meglio gli occhi prima di pagare...

Colette                          - Fate bene, sinor Vallon.

Vallon                           - Credete anche voi che...?

Colette                          - Io non dico niente: ma ho paura che il direttore gli farà pagar tutto integral­mente.

Serval                            - (ricomparendo su dalla scaletta) Il direttore è venuto?

Colette                          - Non ancora.

Serval                            - Io non so se passarla... Vallon, qui si dà del ladro al presidente della commissione mineraria di Roubaix. È una cosa concordata, oppure...?

Vallon                           - Sì. Passate. È già stato avvertito. Se ne infischia, quindi avanti.

Serval                            - Quand'è così. Se ne infischia... (E ridiscende la scaletta. Sparisce).

Vallon                           - Com'è pieno di scrupoli, quel ra­gazzo. Non si direbbe nemmeno un giornalista.

Colette                          - (alzandosi e andando a mettere or­dine in varie cartelle) Ricordate che domani c'è la scadenza Talleymer. Il direttore m'ha detto di rammentarvelo.

Vallon                           - Ricordo, ricordo. Ma se il direttore avesse accettato di fare il viaggio in Russia, co­gli avevo consigliato io...

Colette                          - Auclair non può allontanarsi dal suo giornale.

Vallon                           - Cioè non gli sorrideva troppo la crociera aerea. E non voleva lasciare qui troppe vedove inconsolabili. E poi quando vengono le scadenze, Vallon non dimenticare, Vallon corri, Vallon provvedi! Una volta ero amministratore in una grande conceria: quando non s'è saputo più come pagare le cambiali, siamo falliti. Qui invece il meraviglioso è che non fallisce mai nessuno. Perché, badate bene, non c'è da farsi illusioni, siamo tutti nelle medesime condizioni, anche i grandi, «Le jour », «La Liberté», «L'indépendant», facciamo acqua sempre da tutte le parti, ma a picco non si va. (Da destra entra Germaine, vestita di scuro con molta eleganza).

Germaine                      - (piano a Colette, indicando la porta del fondo) C'è?

Colette                          - (un po' sgarbata) Non ancora. Po­tete aspettarlo.

Germaine                      - Qui? Perché mi vedano? Sarete pazza. Signor Vallon, buona sera. (Ed esce dal­la porta di fondo che si rinchiude).

Vallon                           - E ora siamo a posto. Chi può par­lare più d'affari?

Colette                          - Quella si crede in casa propria.

Vallon                           - Accidenti alle donne!

Colette                          - Grazie.

Vallon                           - Parlo di quelle altre. Voi lavorate. Sapete che abbiamo cinquantasette permessi straordinari gratuiti, vagone-letto compreso, quest'anno? E sapete a quanti giornalisti? Un­dici. E quarantasei signore per bene. È una ver­gogna. Non hanno nessun pudore. Non fanno che telefonare: una vuole l'invito per la prova generale di Verneuil, una un grammofono gra­tis...

Colette                          - L'altro giorno la signora Devines voleva una «Bugatti». Siccome noi facciamo pubblicità alla ditta, e la ditta, si capisce, non paga, la macchina che ci spetta l'avrebbe voluta lei. Come si fa, danno tutte del tu al signor Auclair!

(Da destra entra Auclair: tuba e pel­liccia. L'usciere gli toglie cappello e soprabito: il direttore è in frak e decorazioni. Ha un si­garo in bocca).

Auclair                          - Addio, Vallon. Novità?

Vallon                           - Non buone di certo.

Auclair                          - Passiamo di là, .da me.

Vallon                           - Lo studio è già occupato.

Auclair                          - Chi è entrato, prima che venissi?

Colette                          - (smorzando la voce) La signora Germaine. È giunta ora.

Auclair                          - (con un piccolo gesto d'impazienza) Ah! Eppure le avevo detto... Non importa. Restiamo un momento qui. Colette, va di là in redazione e che nessuno ci venga a disturbare. (Colette si alza ed esce da sinistra). Notizie cat­tive? Cosa c'è di nuovo?

Vallon                           - Non ti pare che basti il vecchio?

Auclair                          - (ridendo) Se non è che questo! Mi avevi spaventato.

Vallon                           - Perché hai messo il visto alla cifra spese di Dac?

Auclair                          - Io ho messo... Ah! È una cosa naturale.

Vallon                           - E i quattrini per pagare, come si trovano ?

Auclair                          - (battendogli con la mano sulla spalla) Andiamo! Non piangere miseria come al so­lito!

Vallon                           - La speranza di riacciuffare Weiss e di rimetterlo con noi, è andata in fumo.

Auclair ........................ - Chi t'ha detto questo?

Vallon                           - Mette i suoi denari in un altro quo­tidiano, che lo deve appoggiare nella prossima campagna elettorale.

Auclair                          - È sempre la solita idea di Barronière che gli promette mari e monti. Ma Weiss non lo farà.

Vallon                           - Come glielo puoi vietare?

Auclair                          - Se ti dico che non lo farà, è perché ho in mano di che farlo stare tranquillo. La fedeltà dei nostri uomini politici è sicura solo con questi sistemi.

Vallon                           - Sarà. Io ci credo poco. Perché quello non ha paura di niente... Neanche degli scandali.

Auclair                          - Lo dici tu. (Poi si avvicina alla scaletta e chiama) Jules!

Vallon                           - Comunque, quattrini non ne dà. (Dalla scaletta compare Jules).

Auclair                          - La prima pagina è pronta?

Jules                              - Sì, signor direttore.

Auclair                          - Ributtala giù.

Jules                              - Ma a quest'ora...

Auclair                          - Ributtala giù, ti dico! E lasciami un terzo di colonna per una importante notizia che ti passerò io tra mezz'ora. Capito? Fila! (Jules borbottando sparisce dalla scaletta).

Vallon                           - E la scadenza Talleymer?

Auclair                          - Provveduto.

Vallon                           - Rinnovata?

Auclair                          - Domani si paga.

Vallon                           - Con che cosa? Sai pure che sono...

Auclair                          - So tutto. Non hai visto le mie de­corazioni? Per chi credi che me le sia messe? Pranzo diplomatico. Per fortuna i vini erano buoni. Ero seduto accanto al ministro della Lasconia. Brav'uomo. Ci siamo messi d'accordo rapidamente. Bisogna cominciare subito una campagna in favore del partito agrario di quel paese. Ci sono vasti interessi. Ho qui tutti gli appunti. Questo agevolerà il prestito che si farà a primavera. Intanto bisogna mettere in valore le risorse agricole del paese.

Vallon                           - Questo non mi spiega ancora come pagheremo domani Talleymer.

Auclair                          - Perché? Credi che io faccia una campagna di questo genere per simpatia verso la Lasconia? O per i begli occhi della signora Den­ver? Tra l'altro, è di una mole spaventosa. E a me le donne grasse non piacciono. Domani mat­tina puoi passare al Comptoir International. Ti darò una mia lettera. Tutto sarà disposto. E poi lamentati del tuo direttore!

Vallon                           - È la campagna per il partito agra­rio, quella che vuoi cominciare adesso? Per cui ti sei fatto riservare un terzo di colonna in pri­ma pagina...

Auclair                          - No, no. La campagna la comin­ciamo solo dopo che il versamento è stato fatto. Si tratta di un'altra cosa. E poi? Che cos'altro c'è?

Vallon                           - Ci sono le cartiere che insistono. Hanno telegrafato anche oggi.

Auclair                          - Vadano al diavolo! Aspetteranno.

Vallon                           - Quanto?

Auclair                          - Aspettino il prestito. Quando ci sarà il prestito della Lasconia, pagheremo con un pacchetto di obbligazioni. (Suona il campa­nello. Colette compare da s.) Chi ha telefonato?

Colette                          - (porgendogli il quaderno) Tutto segnato.

Auclair                          - (scorrendo il quaderno) Seccato­re... creditore... creditore... giornalista disoccu­pato... Questo è un finanziere: ho saputo che ha dei guai. Può essere interessante. Se ritele­fona, mi dai la comunicazione. Capito? E per gli altri, io non ci sono. Per nessuno. (Esce per la porta del fondo, che si rinchiude dietro di lui).

Vallon                           - Si può dire quello che si vuole: avrà una quantità di difetti, gli piaceranno trop­po le donne, ma è un grand'uomo. Pieno di fan­tasia. Generoso. Eccessivamente, forse, ma quando i quattrini mancano, non c'è che lui per saperli trovare. Conosce la Capitale in un modo...

Colette                          - Alle prossime elezioni sarà certo deputato.

Vallon                           - Non so se farà bene ad accettare. È più libero così: li domina dal di fuori. E poi deputato di che partito?

Colette                          - Non credo che abbia deciso: so­cialista, probabilmente. Coi socialisti le spese elettorali le sostiene il partito; cogli altri invece bisogna sborsare di tasca propria.

Vallon                           - È una ragione perentoria. Arrive­derci, Colette. (Esce da sinistra. Colette, rimasta sola, guarda verso il fondo evidentemente irri­tata, poi si mette alla macchina da scrivere e batte nervosamente. Da sinistra ricompare Bergmann, che si dirige al Larousse).

Colette                          - Ancora il Larousse?

Bergmann                     - Sì: m'è venuto il dubbio che si tratti del Faraone, invece... Per via dei costu­mi... Ho visto gli attori in palcoscenico, erano vestiti in un modo così curioso...

Colette                          - Prendete il volume dell'effe, e fi­late. Qui non si può rimanere.

Bergmann                     - È che i volumi dell'effe sono due: Faraone è sull'effe A; gli altri sono sull'effe E.

Colette                          - (seccata) Pigliate l'effe A, l'effe E, andatevene!

Bergmann                     - (indicando un cartello) C'è scritto: « Vietato asportare i volumi del La­rousse dalla sala di consultazione ».

Colette                          - Prendeteli, vi autorizzo io. Purché ve ne andiate.

Bergmann                     - (con i due grossi volumi rilegati in rosso, sotto il braccio) Perché? Ci sono vi­site importanti dal direttore? Ministri?

Colette                          - Che cosa ve n'importa?

Bergmann                     - Quando il direttore riceve dei ministri, è sempre buon segno: vuol dire che gli stipendi non saranno in ritardo.

Colette                          - Vi garantisco che gli stipendi non saranno in ritardo.

Bergmann                     - Non si tratta, per caso, di qual­che bella donnina?

Colette                          - Qui? Al giornale? Siete pazzo.

Bergmann                     - Eh, conosco il direttore... Ma se si tratta del Faraone sono un uomo rovinato.

Colette                          - Perché?

Bergmann                     - Perché i Faraoni erano un'in­finità, e chissà di quale si tratta. Come faccio a identificare il Faraone che aveva tre figli? Una cosa da niente! Che disastro perdere il pro­gramma... Per un critico, è la cosa più impor­tante della commedia. (Esce da sinistra. Intanto dalla scaletta a chiocciola è ricomparso Jules).

Jules                              - Ci vorrebbe il visto per il flan.

Colette                          - Qua! Ve lo metto io.

Jules                              - Non vorrei che dopo...

Colette                          - Nessuna paura. (Mentre Colette scorre lo stampone della pagina, da destra entra l'usciere, che le si avvicina e le parla all'orec­chio. Colette riflette un istante, poi fa un cenno di assenso all'usciere che sì allontana. Colette firma rapidamente la bozza e la rida a Jules, che se ne va per la scaletta. L'usciere introduce da destra Sylvie Weiss, donna un po' matura, ma che si difende ancora: abito da sera, chiaro, vistoso, gran mantello).

Sylvie                            - Vorrei il direttore...

Colette                          - In questo momento, signora, è molto occupato... Vede? C'è la lampadina ac­cesa. Significa che sta scrivendo il corsivo. Non lo si può disturbare a nessun costo.

Sylvie                            - Ma io sono la moglie del signor Weiss,

Colette                          - Lo so, signora.

Sylvie                            - Ho qualche cosa di molto urgente da dire a Auclair.

Colette                          - Se posso esserle utile io in qual­che cosa...

Sylvie                            - No. Si tratta... La commedia nuova che è stata rappresentata stasera all'Odèon è di un amico... anzi di un parente mio... E non vorrei che il critico...

Colette                          - Allora le chiamo direttamente Bergmann. È lui che si occupa della critica tea­trale. La signora potrà spiegargli, persuaderlo.

Sylvie                            - Veramente avrei proprio bisogno di parlare personalmente con Auclair.

Colette                          - Comunque lei era all'Odèon sta­sera, no?

Sylvie                            - Certo. È stato un trionfo.

Colette                          - Allora se conosce la commedia, potrà dare una delucidazione al nostro critico...

Sylvie                            - Non vorrei farmi vedere dai redat­tori, per un riguardo a mio marito. Si fa così presto a mormorare, quando si tratta di uomini politici e delle loro mogli.

Colette                          - Giustissimo, signora. La capisco. Allora vuol dire a me? Il nostro critico era ri­masto in dubbio sul nome del protagonista. Non sapeva bene se si trattasse di Fetonte, di Fe­done o di qualche Faraone...

Sylvie                            - Ma si tratta di Faramone... il primo re merovingio...

Colette                          - Ora mi spiego la faccenda dei co­stumi...

Sylvie                            - Faramone, il gran re della leggenda.

Colette                          - Corro a dirglielo.

Sylvie                            - Un momento, signorina. Se volesse risparmiare al signor Bergmann un disturbo e una fatica... Io capisco benissimo, non dev'es­sere allegro fare un articolo di critica a que­st'ora della notte... Io avrei preparato tre car­telle su questa tragedia... Mi pare proprio che potrebbero andar bene. (Cava dalla borsetta dei fogli che porge a Colette).

Colette                          - Ma la signora è sicura che si ri­feriscano alla tragedia di stasera?

Sylvie                            - Diamine! Le ha scritte l'autore... Cioè, voglio dire, le ha controllate l'autore.

Colette                          - Allora io le passo senz'altro in ti­pografia. (Suona) A Bergmann provvedo io. Gli restituisco quello che avrà scritto, dicendogli che c'è errore di personaggio. Se la signora mi ga­rantisce che si tratta di Faramone... (A Jules comparso su dalla scaletta) Comporre. Subito.

Jules                              - (dopo aver dato un'occhiata ai fogli che Colette gli ha rimessi) Una tragedia all'Odèon... Va fra i teatri o fra la cronaca nera?

Colette                          - Teatri.

Sylvie                            - Ma ne avrà per un pezzo Auclair...?

Colette                          - Ecco: la lampadina s'è spenta. Aspetti un momento. Vado ad annunciarla.

Jules                              - Peccato! Se no vi si poteva mettere un titolo su quattro righe. (Scende e scompare).

Colette                          - (Esce dal fondo e ricompare quasi subito, per introdurre Sylvie dal direttore. La porta di fondo si chiude e la lampadina rossa si riaccende. Colette si è rimessa alla sua mac­china da scrivere: dalla scaletta ricompare Ser­vai).

Serval                            - Ma che è quella roba che avete man­data giù?

Colette                          - Perché?

Serval                            - Ma lì si parla di Corneille, di Ra-cine... Ho scorso appena, ma è una cosa asso­lutamente fuori luogo.

Colette                          - Se le vostre preoccupazioni sono queste...

Serval                            - Bei sistemi! Ma, e il direttore?

Colette                          - Che cosa volete che gliene im­porti del teatro?

Serval                            - Anche questo è vero. È un peccato per il giornale. (Avvicinandosi a lei) Allora, non c'è proprio nessuna speranza per me?

 Colette                         - Di che genere?

Serval                            - Che siate un po' meno aspra. In fin de' conti, una gita a Compiègne non è poi nulla di grave... Fa bene alla salute... Ci an­dava anche l'imperatrice Eugenia...

Colette                          - Io non sono l'imperatrice Eugenia.

Serval                            - Se Compiègne non vi attira, si può andare a Chantilly un giorno che non ci sono corse.

Colette                          - È la compagnia che non mi attira.

Serval                            - Ma se saremo soli!

Colette                          - Appunto.

Serval                            - Ho capito. Voi siete innamorata di un altro.

Colette                          - E se così fosse?

Serval                            - Vi rende felice, almeno, quest'al­tro?

Colette                          - (alzando le spalle) Pensate ai fatti vostri.

Serval                            - Va bene. Ma avete torto. (Guar­dando verso la porta del direttore) Io non posso mettere a vostra disposizione una otto-cilindri, ma il mio cuore è...

Colette                          - Insomma, la volete smettere?

Serval                            - Ma che nervi avete stasera! Che cosa vi è accaduto?

Colette                          - Niente. (Da sinistra rifà capolino Albert Dac).

Dac                               - Venuto?

Colette                          - C'è gente.

Dac                               - Aspetterò che sia libero.

Colette                          - È meglio che aspettiate di là.

Dac                               - Ma lui dopo se ne va.

Colette                          - No... Fino alle tre di notte non lascia il giornale.

Dac                               - È che vorrei andar via io, prima.

Colette                          - Comunque, sapete bene che il di­rettore non vuole che i redattori stiano qui.

Serval                            - Non bisogna turbare le idee di Co­lette.

Colette                          - (risentita) Non bisogna ficcare il naso negli affari privati del direttore.

Dac                               - Perché? C'è donna là dentro? Infatti un certo profumo sospetto lo si sente, in aria...

Colette                          - Profumo mio.

Serval                            - Queste sono bugie. Il vostro lo co­nosco.

Colette                          - Andate di là. Dopo, se vi trova qui, il cicchetto lo prendo io.

Dac                               - Non ha il suo ascensore privato il di­rettore?

Colette                          - È guasto. Da vari giorni.

Dac                               - Allora questo è proprio il posto buono di osservazione.

Colette                          - Insomma, vi ho detto di filare.

Dac                               - Obbediamo. Di che umore è il princi­pale?

Colette                          - Ottimo. Anche troppo.

Dac                               - Andiamo giù al bistrot, Servai? Ti offro un Pernod.

Servai                            - Vengo. (A Colette) Allora Compiègne...?

Colette                          - Se aspettate me per andarci, non lo vedrete mai in tutta la vita!

Dac                               - Lasciala stare: quella è innamorata! Innamorata romantica. Capace di qualunque sciocchezza, anche di essere fedele.

Serval                            - So di chi è innamorata. (Servai e Dac escono da sinistra).

Usciere                          - (entrando) C'è la signora del di­rettore. (Colette gli fa cenno di lasciarla pas­sare. Dopo una breve pausa entra da destra Lu­cienne Auclair).

Lucienne                       - Buona sera, signorina.

Colette                          - (alzandosi) Oh buona sera, si­gnora!

Lucienne                       - C'è qualcuno da mio marito?

Colette                          - Sì, signora.

Lucienne                       - Va bene. Aspetterò. (Si vede che la cosa non entusiasma Colette, che vorrebbe trovare un pretesto per allontanare Lucienne, ma non le riesce).

Colette                          - Forse il direttore ne avrà per un po'...

Lucienne                       - Non importa. Chi c'è dentro?

Colette                          - Non so, signora. Non ero qui quando l'usciere...

Lucienne                       - Allora si tratta certo di una donna.

Colette                          - Ma no, signora. Perché mai...?

Lucienne                       - Secondo voi, donne non ne ven­gono mai, - vero? - a trovare mio marito.

Colette                          - Alle volte, sì, delle scrittrici che vogliono far pubblicare qualche articolo...

Lucienne                       - Già: scrittrici. E, si capisce, bi­sogna essere cortesi con le scrittrici.

Colette                          - No, signora: il signor direttore non accetta mai collaborazione di avventizi.

Lucienne                       - Chi è una certa Germanie?

Colette                          - Non saprei, signora.

Lucienne                       - Non è una collaboratrice, per caso?

Colette                          - Non ho mai visto questo nome.

Lucienne                       - L'ho visto io. Mah!... Potete avvertirlo almeno che io sono qui.

Colette                          - Subito, signora. (Al telefono) C'è la sua signora, signor direttore. (Ascolta: poi riappende) Ha detto che abbia pazienza, si­gnora. Ha una conferenza d'affari molto impor­tante.

Lucienne                       - Va bene.

Colette                          - Ha detto che sarebbe meglio se la signora volesse rincasare e...

Lucienne                       - Io a casa non lo vedo mai: ab­biamo camere separate, naturalmente. Lui ha un orario impossibile. Mangia sempre fuori. La mattina si alza a mezzogiorno, quando io sono al Bois o dal parrucchiere. Sono dieci giorni che non riesco a vedere il suo viso. Una bella conso­lazione per una moglie: no? E se non vengo a pescarlo al giornale, le settimane si susseguono e io non riuscirò mai a parlargli. No, no: non torno a casa. Lo aspetto. (Una lampadina colo­rata si accende e Colette stacca il ricevitore del telefono).

Colette                          - (al telefono) Pronti... La segre­taria del signor Auclair. Non saprei. Chi devo dire?... Ora guardo. (Cambia spina) Signor di­rettore, c'è all'apparecchio il deputato Weiss... Subito. (Cambia ancora spina: al nome del de­putato Weiss, Lucienne ha dimostrato un vivo interessamento).

Lucienne                       - Che cosa voleva il signor Weiss?

Colette                          - Non lo saprei, signora. A me non lo dicono.

Lucienne                       - Credevo che...

Colette                          - (osservando l'apparecchio telefonico e cambiando spina) Si sono sbrigati presto: hanno già finito di parlare.

Lucienne                       - Weiss non ha interrotto da un pezzo i suoi rapporti col giornale?

Colette                          - Così sembrava.

Lucienne                       - E allora che altro vuole? Perché ricompare all'orizzonte?

Colette                          - Non saprei proprio: gli uomini politici non vogliono mai mettersi male coi gior­nali. Ne hanno paura, e allora...

Lucienne                       - È mai venuto al giornale di que­sti tempi, Weiss?

Colette                          - No, signora. Mai.

Lucienne                       - È vero quello che ho sentito mormorare... che era minacciato di uno scan­dalo, Weiss?

Colette                          - Non saprei, signora... (Avendo visto riaccendersi la lampadina del telefono, stacca il ricevitore) Pronti... Sì, sono la segre­taria del direttore... Con chi parlo?... No, non credo, sa... No, non è ancora venuto. Non so se verrà. Prego. (Riappende e nota un nome sul quaderno).

Romorin                        - (rientrando da sinistra) Signorina, sapete se ha letto i risultati delle corse?

Colette                          - Non so. Io non gli ho parlato.

Romorin                        - (vedendo Lucienne) Oh, signora, buona sera.

Lucienne                       - Buona sera, Romorin.

Colette                          - (riprendendo il telefono) Pronti... Subito, signor direttore... (Forma un numero) Pronti... Parlo con il club del Nord Est? Sì. Il senatore Labouchère è lì?... Il direttore dell'«Universel»... (E aspetta con il microfono all'orecchio).

Romorin                        - (a Lucienne) Se la signora vo­lesse mettere una buona parola per me con suo marito...

Lucienne                       - Siete stato licenziato?

Colette                          - (al telefono) Pronti? È il senatore Labouchère? Qui Auclair il direttore dell'«Universel»... Un momento... (Cambiando spina) Ecco, parli. (E riappende il microfono),

Romorin                        - (a Lucienne) Se la cosa si viene a sapere...

Lucienne                       - È meglio che gliene parliate voi. E poi, volete che vi dica una cosa? Roberto non si ricorda neppure né di avervi dato quei soldi ne su chi dovevate giocarli.

Romorin                        - Credete?

Lucienne                       - Ma ne sono certa. Non si ricorda neanche di avere una moglie... Figuratevi se può ricordarsi di voi e del vostro cavallo! ...

Romorin                        - Sarebbe una fortuna, una vera fortuna. Perché se ci rimetto il posto, con la crisi che c'è... Sono tutti redattori sportivi, ora­mai... Tutti. (L'usciere entra da destra e viene a parlare piano a Colette. Costei si alza ed entra dal direttore. L'usciere rimane ad aspettare in mezzo alla scena: Lucienne sarà apparsa molto attenta a quanto sta accadendo).

Romorin                        - E capirete che chi ne va di mezzo siamo noi, i veri professionisti... (Colette rien­tra dal fondo. Si guarda attorno come preoccu­pata di quanto deve eseguire, poi fa cenno all'usciere di aspettare un istante. Si dirige quindi verso Lucienne e Romorin).

Colette                          - Vogliate scusare, ma il direttore vi prega di voler passare nell'altro salotto.

Romorin                        - Subito, subito...

Colette                          - C'è un'alta personalità politica che non vuole esser veduta.

Lucienne                       - Ah! Chi è?

Colette                          - (con discrezione) Signora...

Lucienne                       - Va bene. (Romorin è già scom­parso da sinistra. Lucienne lo segue).

Colette                          - (all'usciere) Fa passare. (L'usciere esce ed introduce da destra André Weiss, uomo di circa cinquant'anni, occhiali, tipo di affa­rista più che di politicante) Prego, signor Weiss. Il direttore m'ha detto di farla attendere qui solo un istante: la riceve subito.

Weiss                            - Lo credo. (Da sinistra rientra Lu­cienne, che si ferma sulla soglia).

Lucienne                       - Oh scusate... la mia borsetta... (Va a prendere la borsetta, che aveva dimen­ticata appositamente) Il signor Weiss, se non sbaglio...

Weiss                            - (con galanteria) Signora Auclair, i miei omaggi... (Le bacia la mano. Colette, dopo aver osservato i due, seccata del loro incontro, che non può impedire, esce dalla porta di fondo per andare ad avvertirne il direttore. Appena Colette è scomparsa, il contegno cerimonioso di Lucienne cambia e si vede che essa ha una certa familiarità con Weiss).

Lucienne                       - Che cosa venite a fare da mio marito?

Weiss                            - Abbiamo varie cosucce da regolare.

Lucienne                       - (preoccupata) Di che genere?

Weiss                            - Sono cose che non vi riguardano.

Colette                          - (ricomparendo dal fondo) Se il signor Weiss vuol favorire...

 Weiss                           - Eccomi. (Bacia la mano a Lucienne e sparisce dal fondo: avrà sempre il paletot in­dosso e il cappello in mano. La porta si rin­chiude).

Lucienne                       - (nervosissima) Non capisco perché mi si faccia aspettare ore e ore!

Colette                          - Gli affari, signora...

Lucienne                       - Gli affari! Ma c'è anche un mi­nimo di cortesia che bisognerebbe usare verso le signore.

Colette                          - Forse. Ma quando una signora è moglie...

Lucienne                       - Eh lo so... Quand'è moglie... Ma che cosa viene a fare qui quel Weiss?

Colette                          - Io non ne ho la minima idea, si­gnora.

Lucienne                       - (cupa) Non è un individuo che meriti di esser ricevuto...

Colette                          - È un deputato, signora...

Lucienne                       - Ha abbandonato il giornale in un momento critico.

Jules                              - (risalendo dalla scaletta) Si può en­trare dal direttore?

Colette                          - Non si può disturbarlo.

Jules                              - Va bene! Il giornale si farà da solo, come il solito! Dite al signor Servai...

Colette                          - Ora ve lo chiamo. (Stacca il mi­crofono, preme un tasto) Servai in tipografia, per favore... Come? Dite che venga Bergmann, allora... (Riappende) Servai non c'è: è uscito un momento con Dac.

Bergmann                     - (ricomparendo da sinistra) Cosa c'è? Non ho ancora finito l'articolo.

Colette                          - Lasciate stare l'articolo: non serve più.

Bergmann                     - (inquieto) Come, non serve più?

Colette                          - No, abbiamo già provveduto. Per impedirvi di fare delle gaffes. Era Faramone.

Bergmann                     - No?!

Colette                          - Sì. E ora andate giù: andate a sorvegliare l'impaginazione delle ultime notizie, finché non torna Servai.

Jules                              - E per quell'annuncio in prima pa­gina, signorina, come facciamo?

Colette                          - Aspettate. Non ho ancora ordini.

Bergmann                     - (tra se) Faramone... E chi era Faramone?

Colette                          - Guarderete domani nel Larousse. Ora non c'è tempo. (Bergmann scende la sca­letta insieme col capo tipografo).

Lucienne                       - Dovrà uscire di qui il signor Weiss, no?

Colette                          - Credo, signora.

Lucienne                       - Ma... non ho visto uscire l'altro signore che c'era dentro.

Colette                          - Sarà uscito quando la signora è andata di là. O sarà disceso coll'ascensore pri­vato del signor Auclair.

Lucienne                       - C'è tanto di cartello con scritto «guasto» sul cancello dell'ascensore, giù... (Guardando l'orologio) L'una e venticinque! Che modo di rovinarmi la nottata!

Colette                          - (rispondendo a una chiamata tele­fonica) Pronti... La segretaria del signor Auclair... No. L'amministrazione è Trinité 23-10... Non saprei se il signor Vallon ci sia... A quest'ora non credo... Prego... (Riappende).

Lucienne                       - Come vanno gli affari al gior­nale? Voi dovete saperlo. A me potete dire la verità. Io sono di casa.

Colette                          - Ma benissimo, credo.

Lucienne                       - I redattori hanno avuto tutti il loro stipendio?

Colette                          - Certamente, signora. Meno Bergmann, perché quello non prende nulla.

Lucienne                       - Il critico teatrale? Perché? È così ricco?

Colette                          - No, ma la critica è una funzione gratuita: forse per questo dice male di tutti. In principio ha accettato nella speranza di far prendere qualche sua commedia a qualche di­rettore di teatro. Eh capirete! L'autorità del critico. Poi si è accontentato di quelle ricono­scenze che autori ed attori gli dimostrano. Non è un cattivo affare.

Lucienne                       - L'ultima volta che mio marito mi ha parlato, mi ha accennato alla possibilità di vendere le mie azioni della Ferrelettrica. Al­lora mi sono spaventata.

Colette                          - Forse il signor Auclair temeva un ribasso.

Lucienne                       - Sono solidissime. Del resto, io gli ho detto chiaro e tondo che non avrei dato un franco del mio, per l'«Universel»! Io ho un figlio. Ed è già criminale che Auclair sperperi per questo giornale tutto quello che ha: io lo so come vanno a finire queste carriere tempe­stose, o in miseria o in galera. Io voglio difen­dere quel poco che ho e conservarlo per mio figlio.

Vallon                           - (rientrando da destra) Chi c'è da Auclair? (Scorgendo Lucienne) Oh, buona sera, signora!

Lucienne                       - C'è un deputato. (Con un sor­riso ironico) Un vecchio amico!

Vallon                           - Ah! Weiss? S'è deciso finalmente!

Lucienne                       - A far che? L'avete chiamato voi?

Vallon                           - No, no. Ma certo finirà col met­tersi d'accordo col direttore: è interesse co­mune.

Lucienne                       - A che proposito? Vorrei essere informata.

Vallon                           - Signora, io sono poco al corrente. Comunque non sono autorizzato a...

Lucienne                       - Giusto. Segreto professionale.

Vallon                           - (a Colette) Avverti il principale che Dubonnet sospende il contratto di pubbli­cità. È una notizia che gli può sempre servire.

Colette                          - (al telefono) Signor Auclair, l'am­ministratore le fa sapere che Dubonnet ha sospeso gli impegni. Se deve prendere delle deci­sioni, si regoli... (Ascolta qualche cosa al tele­fono, poi riappende).

Vallon                           - Che ha detto?

Colette                          - Che fra tre giorni Dubonnet ri­farà un nuovo contratto a condizioni più gravi.

Vallon                           - Non si può dire che sia la fiducia che manca ad Auclair!

Lucienne                       - C'è qualche ragione per essere inquieti? Io ho diritto di essere al corrente.

Vallon                           - I nostri giornali sono sempre azien­de speciali, signora. Il passivo è quotidiano, ma è preveduto. L'attivo non è mai dato dalle copie che si vendono. L'attivo è un cumulo d'incerti la cui entità dipende dalle relazioni, dall'atti­vità e dal timore che ispira il direttore. Quindi può essere che quando le cose vanno peggio ab­biano l'apparenza migliore: e viceversa. (La lampadina rossa del fondo si spegne).

Colette                          - Ecco: ora il direttore è libero.

Lucienne                       - E il signor Weiss?

Colette                          - Forse sarà ancora dentro... Ma avrà finito di parlare di affari... Ad ogni modo, se la signora vuole entrare...

Vallon                           - Io avrei soltanto da prendere una carta. Se la signora permette...

Lucienne                       - Si figuri! (Proprio quando Val­lon sta per entrare nell'ufficio del direttore, la lampadina rossa si riaccende).

Colette                          - Un momento, signor Vallon... Il direttore non ha ancora finito con Weiss.

Lucienne                       - (a Vallon) La disciplina è così ferrea anche per lei, in questo giornale?

Vallon                           - Roberto è severissimo sulla fac­cenda della lampadina. Non permette che nes­suno entri quando è in conferenza.

Colette                          - Ma quando per caso c'è di là un seccatore - di rado, perché i seccatori devo sbrigarmeli io - allora spegne apposta: io en­tro e devo annunciare « il capo ufficio stampa dell'Ambasciata degli Stati Uniti », davanti al quale ogni seccatore deve arrendersi e cedere il passo. (Rispondendo a una chiamata telefo­nica) Pronti, signor direttore. Subito. (Sposta una spina) Ecco la linea, signor direttore. Può chiamare. (Riappende) Una volta c'era un in­ventore che non se ne voleva andare a nessun costo...

Romorin                        - (entrando da sinistra) Scusate, io non posso andare a casa... È più forte di me. È puerile, lo so, è idiota. Ma, guardate, con quello spettro del licenziamento, io sudo. Se non ho messo in chiaro questa faccenda di Vincennes...

Vallon                           - Che faccenda è?

Romorin                        - Niente: una mia dimenticanza.

Colette                          - Che fa la lampadina? (La lam­padina si spegne e si riaccende tre volte di se­guito).

Vallon                           - Che cosa sta succedendo?

Romorin                        - Scusate, lasciate che vada io...

Vallon                           - Villanzone! (Romorin entra dalla porta di fondo. Nel momento stesso in cui en­trava, la lampadina si è riaccesa ed ora rimane accesa).

Colette                          - Ci dev'essere un guasto ai fili...

Vallon                           - Sapete che cos'ha quel ragazzo sta­sera, che sembra fuori di sé?

Romorin                        - (ricomparendo) Medita! Bisogna lasciarlo stare...

Colette                          - Che cosa vi ha detto?

Romorin                        - Niente: ho visto che era assorto su certe carte... Non si è neanche voltato. Al­lora mi sono ritirato. Forse è più prudente.

Colette                          - È curiosa. Ma se non c'è più nes­suno, da lui, perché la lampadina resta accesa? Era solo, il direttore?

Romorin                        - Così mi è parso. Sapete bene che lo studio è quasi tutto in ombra, meno la scri­vania. (Da sinistra rientra Albert Dac).

Dac                               - Sempre occupato?

Vallon                           - Non siamo ancora entrati neanche noi... io e la signora.

Dac                               - (a Romorin, mentre Servai rientra a sua volta da sinistra) Hai provveduto a far pas­sare il risultato del Cesarevich?

Romorin                        - Io ho ben altro per la testa!

Serval                            - (a Colette) A che punto è il flan?

Colette                          - Jules vi cercava. Ho mandato giù Bergmann.

Serval                            - Poveri noi! Corro.

Colette                          - Se non andavate a bere, sareste stato qui in tempo. La colpa è vostra,

Serval                            - È vero. Vi domando scusa...

Colette                          - Oh per me!

Lucienne                       - (guardando l'orologio a polso) Le due meno un quarto. Io sono stanca d'aspet­tare.

Dac                               - Aspettiamo tutti, signora.

Vallon                           - Un istante... Io entro... Mi bu­scherò una ramanzina, ma non sarà la prima né l'ultima. (Dac torna ad uscire da sinistra).

Colette                          - Badate che io non voglio respon­sabilità.

Vallon                           - Che idee! Che c'entrate voi? (Vallon si decide ed entra per la porta di fondo).

Serval                            - (avviandosi verso la scaletta che dà di sotto) Jules! Aspetta me prima di fon­dere... (E sparisce dalla scaletta).

Colette                          - (rispondendo al telefono) Pronti... Sì, signor direttore... subito. (Forma un nu­mero) Pronti... Agenzia Havas?... Il vice diret­tore? Da parte del signor Auclair de l'aUniversel...». (Cambia spina) Parli pure, signor direttore...

Vallon                           - (tornando a ricomparire dal fondo) Ha ragione Romorin: sta dormendo.

Romorin                        - Ve l'avevo detto, io.

Lucienne                       - È curiosa...

 Colette                         - Ma come, dorme?! Se mi ha chie­sto in questo momento l'Agenzia Havas...

Vallon                           - In questo momento... quando?

Colette                          - Ora, mentre eravate dentro voi.

Vallon                           - Questo, vi garantisco di no. Non si è mosso. Ho pensato che, stanco come dev'es­sere, dopo tutta una giornata di fatica, si sia lasciato andare a un istante di riposo...

Romorin                        - Quello che mi sono detto anch'io.

Lucienne                       - Questo sonno in ufficio, non è normale.

Vallon                           - Che altro volete che sia?

Colette                          - Ma se ho udito io la sua voce...

Vallon                           - E gli avete dato la comunicazione?

Colette                          - Sì. C'è ancora.

Vallon                           - Guardate un po' se sta parlando.

Colette                          - (staccando il microfono) Pronti?... No. Nessuno parla.

Romorin                        - Io non capisco chi possa essere stato.

Vallon                           - A far che?

Romorin                        - A chiamare l'Havas al telefono.

Colette                          - Se vi dico che era la sua voce!

Vallon                           - Vi ripeto che io ero di là: l'avrei sentito parlare.

Romorin                        - Che non sia lui, quello che sta dormendo di là? Ho letto una volta, non so dove, che...

Vallon                           - State zitto. Era in frak e decora­zioni. Non c'è dubbio.

Lucienne                       - (decidendosi) Vado a vedere io. (Entra dalla porta di fondo).

Serval                            - (dalla scaletta, seguito da Bergmann) Io lo sapevo. L'avrei giurato... Ha lasciato passare un errore in un titolo...

Bergmann                     - Non è un errore: è un'eleganza!

Serval                            - Ma che eleganza! (L'usciere entra da destra e si avvicina a Colette).

Usciere                          - (piano a Colette) C'è l'ispettore del commissariato...

Colette                          - Che cosa vuole?

Usciere                          - Dice che è stato chiamato.

Colette                          - Per favore, signori... passate di là. Ve l'ho detto tante volte: il principale non vuole che rimaniate qui. (Romorin esce da si­nistra).

Bergmann                     - (uscendo a sua volta) È un'ele­ganza... Un classicismo...

Colette                          - (scorgendo il biglietto di visita del­l'ispettore, che l'usciere avrà deposto accanto alla macchina da scrivere di Colette) Fate passare l'ispettore Vanel.

Serval                            - Vanel? È un mio amico carissimo. È un funzionario di prim'ordine. Io gli ho fatto già parecchie lodi sul giornale... (A Vanel che entra da destra) Caro Vanel! Che piacere...

Vanel                            - Sono stato chiamato personalmente dal direttore. (Servai gli stringe le mani. La porta di fondo si spalanca di colpo e Lucienne compare vacillando).

Lucienne                       - Presto!... Mio marito è morto!

Vallon                           - Morto? Auclair?

Lucienne                       - L'hanno assassinato!...

Colette                          - Roberto?... (Si alza e poi si ab­batte come svenuta sulla macchina da scrivere).

Serval                            - (avvicinandosi a Colette) Colette!

Vallon                           - (facendo per precipitarsi dalla porta di fondo) Non è possibile...

Vanel                            - (fermando Vallon) Un momento... (Poi si avvicina a Lucienne) Io sono commis­sario di polizia, signora...

Lucienne                       - Entrate! Entrate, presto! L'han­no assassinato...

Vanel                            - (a Vallon e Servai) Se volete venire con me... (Vanel entra dalla porta di fondo, seguito da Servai e Vallon. Rimangono in iscena le due donne).

Colette                          - (riprendendosi) Ma come? Chi?

Lucienne                       - (sconvolta) Assassinato...

Colette                          - (straziata) Oh!... E chi c'era den­tro con lui?

Lucienne                       - Nessuno...

Vallon                           - (ricomparendo dal fondo) Che sciagura! È spaventoso! (Va verso la scaletta che dà in tipografia, e chiama) Jules!... (Poi, rivolgendosi a Colette) Signorina, avverta il con­sorzio degli strilloni... (A Jules che è comparso dalla scaletta) Prepara la manchette e un titolo su quattro colonne, i bastoni di lutto... e dà or­dini per una tiratura di centomila copie in più.

Jules                              - Che cosa succede?

Vallon                           - Fa quello che ti dico. Ora ver­remo noi in tipografia. (Jules scende la sca­letta. Dalla porta di fondo ricompaiono Vanel e Servai).

Vanel                            - Tu, Servai, provvedi perché nes­suno s'allontani dal giornale finche non l'auto­rizzo io... (Servai esce da sinistra).

Lucienne                       - Un medico! Un medico!

Vanel                            - Si faccia coraggio, signora.

Lucienne                       - Un medico! Un medico!

Vanel                            - Già: un medico. Ma soltanto per le constatazioni. Me ne intendo anch'io, si­gnora: non c'è più niente da fare. (Colette scoppia a piangere).

Fine del primo atto

Subito dopo la fine dell'atto, quando la luce sarà tornata nella sala ed il pubblico starà per muoversi dai posti per l'intermezzo, un nugolo di strilloni dovrà invadere la platea, la gallerìa e i palchi, annunciando a gran voce:

L'Universel! L'assassinio del direttore! L'Universel! Il misterioso assassinio del diret­tore! L'Universel! La morte di Roberto Auclair! L'Universel! Gravi indizi sull'assassino! L'Universel!... e distribuiranno gratuitamente tra gli spettatori le copie del giornale.

 Questo giornale dovrà essere appositamente stampato secondo le seguenti indicazioni:

Data: Parigi, Martedì 4 ottobre 1933.

Titolo: «L'UNIVERSEL».

Sottotitolo: Giornale indipendente del mat­tino.

la Pagina: Sotto una gran lista a lutto, questo titolo su tre colonne:

L'ASSASSINIO DEL NOSTRO DIRETTORE

E sotto, in corpo di composizione assai gran­de, la seguente notizia:

Con l'animo ancora sconvolto e straziato per l'orribile disgrazia che ha colpito la nostra fa­miglia, dobbiamo scrivere queste righe dolo­rose. All'una e quarantacinque di questa notte, Roberto Auclair si trovava nel suo studio, ai giornale, e attendeva come al solito, con amore e fervore, alla redazione del suo giornale. Una mano criminosa, che ancora non ha potuto es­sere identificata, ha colpito a tradimento, con una pugnalata alla schiena, il nostro direttore. Pochi minuti dopo che il delitto era stato com­messo, alcuni redattori, entrando nello studio, hanno scoperto la vittima reclinata sulla pro­pria scrivania, come se stesse ancora lavorando. Alla vedova desolata, e all'unico figlio, il gior­nale invia l'espressione del proprio dolore, che è simile al loro.

In caratteri meno grandi seguirà un articolo intitolato :

L'UOMO

Colui che è scomparso così tragicamente que­sta notte, Roberto Auclair, era uno di quegli uomini sui quali più sicuramente poteva con­tare la politica francese. Egli univa ad un in­tuito meraviglioso un'audacia ed un'energia in­domabili. Tutta la sua vita era stata una lotta e una serie ininterrotta di vittorie. Le sue ori­gini erano umili. Nato in un piccolo villaggio di Guascogna da genitori commercianti, era ve­nuto giovanissimo a Parigi ed aveva iniziato la sua carriera come chansonnier a Montmartre. L'acume di certe sue satire politiche rivelarono presto in lui il polemista e il critico parlamen­tare. La Liberti lo assunse come aiuto-redat­tore e fu allora che egli cominciò la serie dei suoi corsivi umoristici ed aggressivi, che a poco a poco rivelarono la sua potente personalità. Il governo d'allora, inquieto per l'audacia di que­sto giovane giornalista, gli affidò una missione in Estremo Oriente. Di laggiù egli mandò arti­coli di colore che non furono dimenticati, no­velle di grande fantasia che poi vennero raccolte in volume, ma in ispecie portò da questo viaggio una documentazione mirabile sul fun­zionamento caotico delle nostre colonie orien­tali. Redattore-capo della Gazzetta di Tolosa per quattro anni, redattore politico dell'^4i;er-tisseur di Parigi per cinque anni, fondò sei anni fa questo Universel, che era il suo orgoglio e la sua prigione. Egli trascorreva qui, fra i suoi compagni di lavoro, umile tra gli umili, da tutti amato, sempre bonario e sereno, tutte le ore della sua giornata. Era l'uomo più generoso e magnanimo che il giornalismo politico avesse prodotto: sempre pronto al perdono verso gli avversari, sempre largo di consigli, di incorag­giamenti, indulgente nelle sue critiche, preciso nelle sue osservazioni, rappresentava per chi lo avvicinava l'esempio mirabile delle virtù civi­che e familiari. Marito modello, padre incom­parabile, cittadino integerrimo, con lui scom­pare una grande, una purissima figura, che non sarà facile dimenticare.

LE INDAGINI DELLE AUTORITÀ

La polizia, prontamente chiamata sul posto, ha iniziato questa notte stessa le indagini per stabilire chi possa aver colpito in modo così barbaro Roberto Auclair. Tutti coloro che ieri sera sono andati a fargli visita nello studio sono stati fermati, e l'ispettore Vanel, che di­rige personalmente le ricerche, conta di poter identificare ed assicurare alla giustizia il più ra­pidamente possibile colui che ha perpetrato questo mostruoso crimine.

PELLEGRINAGGIO DI DEVOZIONE

La salma di Roberto Auclair, dopo le consta­tazioni di legge, è stata composta e adagiata su un catafalco eretto nell'atrio del giornale a pianterreno. L'illustre estinto portava, quand'è stato colpito, l'abito da sera e le sue molte de­corazioni. In questo suo abbigliamento, che egli indossava per essere intervenuto ad un pranzo diplomatico, appare ora nella placidità del son­no eterno. Davanti al corpo di quest'uomo ama­to, la cui trionfale carriera è stata troncata in piena parabola ascendente, sfileranno oggi, a partire dalle ore 16, amici ed estimatori in de­voto pellegrinaggio di ammirazione e di rim­pianto. I funerali avranno luogo dopodomani mattina alle ore 10, partendo dalla sede dell’Universel, per il cimitero di Montpamasse.

In prima pagina figureranno altre notizie di attualità, accuratamente scelte in modo che pos­sano sembrare sempre «fresche». Questa scelta va quindi fatta con acuto senso di umorismo, identificando quegli avvenimenti che hanno del­le ripetizioni oramai consuetudinarie.

Esempio: Riunioni di Commissioni a Gine­vra, guerra civile in Cina, rivolta militare al Messico, assalto ad una banca da parte di gang-sters a Chicago, disastrosa eruzione vulcanica al Giappone, sciopero minerario in Inghilterra, ecc., ecc., in modo che anche dopo un anno il giornale possa conservare la medesima freschez­za ed attualità. Inoltre, a fin di pagina, dovrà figurare la seguente notizia:

UNA DENUNZIA PER TRUFFA

Roubaix, 3. Si parla con insistenza a Rou-baix di una denunzia che dovrebbe essere presentata al Procuratore della Repubblica contro il signor P... J... presidente della Commissione mineraria, che si sarebbe reso colpevole di ap­propriazioni indebite per l'ammontare di quasi tre milioni. Faremo le nostre spassionate indagini per appurare se queste voci rispondano a realtà o non siano invece, come ci auguriamo, deplorevoli calunnie fatte circolare ad arte dagli interessati.

Nella seconda pagina, notizie finanziarie, bol­lettino dei cambi, annunzi di libri (annunziare libri italiani tradotti in Francia), notizie di mo­da e una colonna di pubblicità.

In terza pagina, una novella, la cronaca giù-diziaria e la critica teatrale.

UNA TRAGEDIA ALL'ODEON

Ieri sera il Teatro Nazionale dell'Odèon ha 1 consacrato l'ingegno mirabile di un giovanis­simo autore, che sarà certo domani una delle nostre più fulgide glorie nazionali. Può darsi che qualche critico schizzinoso od invidioso, o qualche denigratore del Teatro francese, voglia sostenere che questo genere è ormai superato. Ebbene, noi rispondiamo superbamente: no, non è superato, perché è eterno. I grandi mar-telliani che hanno costituito la gloria di Racine e di Corneille, appaiono oggi invecchiati sol- j tanto a quei timidi autori che non si sentono le forze eroiche per camminare lungo la grande strada della tradizione classica. Il giovane Hu­bert Garches sente in sé questa forza e l'ha luminosamente provato con questo « Padre in gloria » che ieri sera ha ottenuto un consenso che si può ben chiamare un trionfo davanti al pubblico elegante e strabocchevole dell'Odèon.

La vicenda rievoca la grande figura di Fara-mone, il leggendario re progenitore dei Mero­vingi. La continuità della stirpe è qui affidata ai suoi tre figli, Carlo, Vitex e Rinaldo. Questi tre fratelli rappresentano la prima fonte della nostra gloria. E non senza intenzione il giovane autore aveva voluto che fossero tre fratelli i fondatori della nostra gloriosa nazione: la Fran­cia doveva averne certo uno più dell'Italia, che aveva affidato soltanto a due, a Romolo e Remo, là leggenda delle proprie origini. Anche i nostri tre fratelli si odiano, ed è l'odio appunto che suggerisce all'autore delle pagine magnifiche di compostezza tradizionale e di classica poesia. Perché si odiano? L'autore ha avuto una tro­vata, che, benché classica anch'essa, non manca tuttavia di una sua nota originale. Si odiano, perché sono innamorati della stessa donna. Co­stei è Galena, vergine bionda e ostinata, che però in cuor suo è attirata invece fatalmente verso la forza virile del padre loro, verso Fara-mone. Duplice conflitto, quindi, tra fratello e fratello (e sono tre) e tra fratelli e padre. Ma secondo una delle più solide leggi teatrali, il conflitto si moltiplica e diventa triplice quando Galena viene rapita da Fulvar, re nemico, con­tro il quale si scaglia allora Faramone in guerra, seguito dai suoi tre bellicosi figli. L'amore per la patria e la sete di vendetta cementano gli animi. Quando Fulvar si vede perduto, piuttosto che cedere, preferisce colpire Galena, ma Faramone fa scudo del suo petto alla vergine e cade trafitto. I tre figli si precipitano sul marrano, lo feriscono a morte, e questi, spirando, lancia l'estrema accusa: Galena è stata mia. Su questa rivelazione s'impernia l'ultimo atto, tutto sof­fuso d'ineffabile poesia. Se Galena è stata di un nemico, perché non può essere di un amico, di un fratello? E perché questo deve suscitare l'odio? Una pace, un accordo mirabile nasce fra i tre, che dedicheranno tutta la loro vita alla felicità di Galena, la quale nel suo cuore conserva gelosamente il segreto, il segreto del suo amore per l'eroe morto, Faramone: esso lo amerà nei figli.

Marguerite Neville, nella parte di Galena, ha rivelato una volta di più il suo incomparabile ingegno, che la colloca senz'altro fra le nostre massime attrici tragiche: il suo avvenire oramai è assicurato. Maestoso e patetico Faramone era Victor Bailly, dalla voce profonda e profetica. Fulvar era rappresentato dal bel Paul Rabat, il quale con encomiabile sacrificio della propria accademia plastica, ha acconsentito ad imperso­nare il malvagio tipicamente contraffatto ed ha dato accenti velenosamente suggestivi alla sua morte. I tre fratelli erano Celestin Maure, il nostro futuro grande primo attore, Nicole Pasquier, inarrivabile nelle parti romantiche e sentimentali, e Richard Massoubre, che sa tin­gere di toni comici e discreti ogni sua inter­pretazione. Crediamo di non esagerare pronosti­cando che questo spettacolo rappresenterà la risorsa della stagione dell'Odèon e che la tra­gedia di Hubert Garches verrà rappresentata rapidamente in tutte le nazioni.

Sull'ultima colonna della terza pagina dovrà figurare il titolo:

A VINCENNES

e sotto si leggerà:

Ecco il riassunto delle corse al trotto dispu­tatesi ieri all'Ippodromo di Vincennes:

Prix de Chartres           - (montato) - Franchi 10.000 -metri 2200:

1° Kaliklor di Derennes         - (Galibiat); 2° Ksar III          - (Fournier); 3° Kattelbey       - (Daunou). Tre lun­ghezze; mezza lunghezza. Otto partenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 28. P. 12, 11, 19.

Prix d'Etampes              - (attaccato) - Franchi 15.000 - metri 3200:

1° Denikine del Conte Gourgoud      - (Herisson); 2° Denise           - (Aymard); 3° Domestique   - (Fournier). Una testa; dieci lunghezze. Quattro partenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 18. P. 11, 11.

Prix du Bac                   - (a reclamare - attaccato) - Fran­chi 9000 - metri 2600:

1° Nacelle di Lemoustier       - (Barriller); 2° Man­dragore   - (CouiUy); 3° Ange Vert      - (Jantham). Mezza lunghezza; un'incollatura. Diciotto par­tenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 85. P. 25, 19, 36.

Prix de VAisne              - (attaccato) - Franchi 25.000 -metri 3200:

1° Tradizione di Gambier       - (Santin); 2° Thi-bault           - (Jantham); 3° Trudaine        - (Aymard). Una lunghezza; una testa. Cinque partenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 115. P. 34, 13.

Prix Bagatelles              - (attaccato) - Franchi 10.000 -metri 4800  - (handicap):

1° Aubepine di Gambier        - (Santin); 2° Astra     - (CouiUy); 3° Asrael - (Fournier). Quattro lun­ghezze; una lunghezza. Nove partenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 41. P. 22, 7, 56.

Prix de Calvados          - (montato) - Franchi 8000 -metri 2400      - (handicap):

1° Saligaud di Gemier  - (Daunou); 2° C'est-à-toi    - (Arnaud); 3° Henri Vili        - (Wellner). Una lun­ghezza e mezzo; tre lunghezze. Sette partenti.

Totalizzatore da Fr. 10: V. 19. P. 11, 18, 14.

Tutta la quarta pagina dovrà essere di pub­blicità.

Tenere presente che nessun titolo, tranne quello di prima pagina, che annuncia la morte del direttore, va messo su più d'una colonna.

                                                                                       

ATTO SECONDO

(La scena è la stessa, la mattina dopo).

Un agente è di piantone davanti alla porta di fondo. Un altro agente è davanti alla porta di sinistra. Servai è seduto al tavolino di Colette e stenografa le risposte dei testimoni. Vanel passeggia in su e in giù per la stanza, ferman­dosi ogni tanto davanti al capo-tipografo Jules, che si trova in piedi, vicino al tavolino di Co­lette.

Vanel                            - Allora voi ieri sera, Jules... non siete mai entrato nell'ufficio del signor Auclair!

Jules                              - No, signor ispettore. Le bozze del flan avrebbe dovuto firmarle sempre il diret­tore, ma spesso uno dei redattori lo sostituiva, quando il direttore era troppo occupato. Ieri sera la firma me l'ha messa la signorina Colette.

Vanel                            - (a Servai) Tu continua a stenogra­fare e togli la spina perché nessuno ci secchi col telefono. (A Jules) Era amato dagli operai il signor Auclair?

Jules                              - Gli volevano bene tutti, signor ispet­tore. Non c'erano sempre fondi per le paghe, ma gli operai sapevano che i primi quattrini erano sempre per loro: dopo venivano i redat­tori e ultimo il principale. Gli operai sono sen­sibili a queste cose.

Vanel                            - Gli operai sono ancora tutti giù in tipografia?

Jules                              - Nessuno s'è mosso, com'è stato or­dinato.

Vanel                            - L'ingresso della tipografia dov'è?

Jules                              - Sulla facciata opposta del fabbricato, in via Couvent l'Epine.

Vanel                            - A che ora erano al loro posto gli operai ieri sera?

Jules                              - Alle sei tutti erano alle macchine.

Vanel                            - (a Servai) Il signor Auclair è ve­nuto al giornale all'una ed è stato ucciso all'una e tre quarti.

Jules                              - Da parte della tipografia nessuno può essere sospettato. Io ero presente e vi ga­rantisco che nessun operaio s'è mosso.

Vanel                            - Da quanto tempo siete al giornale voi?

Jules                              - Dalla sua fondazione: da sei anni, signor ispettore.

Vanel                            - Allora ieri sera non avete visto Auclair?

Jules                              - No, l'ho visto un momento. Ma qui, in questa stanza.

Vanel                            - Ah sì?

Jules                              - Mi ha chiamato da quella scaletta, per dirmi che gli lasciassi un terzo di colonna in prima pagina per un'importate notizia che mi avrebbe passata dopo mezz'ora.

Vanel                            - Che notizia era?

Jules                              - Non lo so. Non mi ha più mandato giù niente.

Vanel                            - A voi risulta che il direttore sia mai stato minacciato?

Jules                              - Minacce, capirete, ne riceveva tan­te. Ma questo faceva parte della professione... Non credo che...

Vanel                            - Potete andare.

Jules                              - A casa?

Vanel                            - Sì, sì, andate pure a casa.

Jules                              - E gli operai? Abitano lontano e muoiono di sonno. Non hanno chiuso occhio tutta notte.

Vanel                            - Anche gli operai possono andare.

Jules                              - Grazie, signor ispettore. (Jules scen­de la scaletta e scompare. Vanel prende in mano il quaderno di Colette e lo considera).

Vanel                            - Partiamo da chi lo ha scoperto morto.

Serval                            - La signora Auclair.

Vanel                            - Già... La signora Auclair. Ha sco­perto il marito assassinato ed ha chiamato soc­corso, proprio nel momento in cui entravo io. Tutto sta a vedere se quando essa è entrata nello studio suo marito era già morto o era an­cora vivo.

Serval                            - (balzando in piedi) Che cosa vor­resti dire? Che la signora Auclair...?

Vanel                            - Tutto può essere, mio caro.

Serval                            - Ma Romorin e l'amministratore erano già entrati prima di lei, e avevano già veduto il direttore abbattuto: avevano creduto che dormisse e s'erano ritirati.

Vanel                            - Chiunque avesse commesso il colpo, avrebbe potuto dare questa versione.

Serval                            - Ma se qualcuno di costoro lo avesse trovato vivo, non ci sarebbe stata ragione che venisse a dirci ch'era addormentato. Questo esclude i sospetti degli ultimi due e li limita nel caso a uno solo, il primo: Romorin, il re­dattore sportivo.

Vanel                            - Sarebbe esatto, se non ci fosse an­che questa probabilità: che Auclair fosse dav­vero addormentato in un primo tempo e l'as­sassino l'avesse colpito nel sonno. Allora capirai che nessuno potrebbe venire escluso dai sospetti. Bisogna vedere come sono andate le cose. Non dovrebbe poi essere difficile.

Serval                            - Credi veramente che la signora Auclair possa avere ucciso...?

Vanel                            - Ho visto tante mogli uccidere i loro mariti! Il colpo è certo stato vibrato con una forza che è più facile ritenere sia stato un uomo. Comunque, anche una donna esasperata può avere dei muscoli...

Serval                            - Ma esasperata perché?

Vanel -                          - I motivi possono essere tanti. Per gelosia, per esempio. Mi pare che fosse notorio che Auclair si prendeva volentieri delle distra­zioni extra-coniugali.

Serval                            - Oh questo! Erano anni, e la moglie non ha mai...

Vanel                            - Quella che poteva sembrare accon­discendenza, poteva anche essere ignoranza. Che tipo è questa signora Auclair? Tu la co­nosci bene?

Serval                            - Al giornale veniva assai di rado.

Vanel                            - Quindi la visita di ieri sera è stata una visita insolita. Dal quaderno della signo­rina Colette risulta che la signora Auclair ha lungamente atteso d'essere ricevuta. Pareva ben decisa a vedere il proprio marito, se ha pazien­tato tanto. Bisogna sapere che cosa aveva da dirgli. Non si sa se il signor Auclair avesse una assicurazione e in favore di chi?

Serval                            - Non ancora.

Vanel                            - Lo sapremo.

Serval                            - Ha rilevato niente di sospetto di là?

Vanel                            - Tre cose. È tutto quello che posse­diamo, ma potrebbe anche darsi che bastassero per ricostruire tutto quanto è accaduto dietro quella porta. Anzi gli elementi sono quattro. C'è anche l'ascensore.

 

Serval                            - È un elemento?

Vanel                            - Sì: c'è quell'ascensore privato che dà direttamente nello studio di Auclair. Sul cancello c'è una scritta che dice « guasto», giù dal portiere. Bisogna verificare se e di che na­tura sia questo guasto.

Serval                            - E gli altri elementi?

Vanel                            - (cavando di tasca successivamente gli oggetti di cui parlerà) Uno è questo: un guanto femminile.

Serval                            - Uno solo?

Vanel                            - Già. Scompagnato.

Serval                            - E dove si trovava?

Vanel                            - Nel cassetto della scrivania. Ma il cassetto non era chiuso a chiave.

Serval                            - Chissà da quanto tempo era lì quel guanto.

Vanel                            - No. Ha ancora il profumo della donna che l'ha portato: deve essere stato ado­perato da poco. Poi c'è questo nastrino verde.

Serval                            - Che significa?

Vanel                            - Non so: è un nastrino di seta. Ab­bastanza corto. Vedi?... Difficile che sia ser­vito a fare un pacchetto. Poi, seta. Era sulla scrivania. Proprio vicino alle mani del cada­vere.

Serval                            - E il terzo elemento?

Vanel                            - Questi foglietti scarabocchiati e spiegazzati, che ho trovato nel cestino.

Serval                            - La calligrafia del direttore.

Vanel                            - Sono tre redazioni d'una medesima notizia, che Auclair voleva evidentemente far passare nel numero di oggi. (Leggendo) « Sia­mo informati che uno degli uomini politici che godono la fiducia del governo non ha esitato ad accettare recentemente delle cariche molto ben retribuite in talune aziende i cui scopi... ». Quest'altro è leggermente diverso: « Uno dei nostri più ardimentosi e ascoltati uomini poli­tici, forse per dimenticare le proprie disavven­ture coniugali, non ha esitato ad accettare... ». Il terzo, poi, aveva anche il titolo: «Uno scan­dalo politico finanziario. Molti si sono stupiti che un'industria in istato notoriamente falli­mentare avesse trovato in questi tempi nuovi crediti, o meglio nuovi ingenui disposti a per­dere il loro denaro. Il miracolo è stato operato da un noto uomo politico legato agli interessi dell'alta banca israelita. Costui...». E qui s'in­terrompe...

Serval                            - Ma questo è gravissimo!

Vanel                            - Tutto questo rappresenta un'inten­zione del direttore: intenzione che egli aveva abbandonato, poiché i foglietti erano nel ce­stino spiegazzati.

Serval                            - Aveva detto in tipografia di con­servare il posto per una notizia importante in prima pagina: evidentemente questa. Se avesse cambiato idea, avrebbe avvertito subito la ti­pografia.

Vanel                            - Forse non ne ha avuto il tempo: come non ha avuto tempo di ricevere la signora Auclair. Tu puoi immaginare chi sia l'uomo politico al quale si allude qui?

Servai                            - Ma è chiaro: è Weiss: non può essere che Weiss.

Vanel                            - L'ex-sottosegretario alla Marina?

Serval                            - Già. Ha finanziato il nostro gior­nale per due anni.

Vanel                            - Ah! E poi?

Serval                            - Divergenze di idee, credo, hanno persuaso...

Vanel                            - Ho capito: Auclair chiedeva troppo.

Serval                            - Probabile.

Vanel                            - (che ha ripreso in mano il quaderno della signorina Colette) Questo Weiss è stato qui ieri sera.

Serval                            - C'è scritto lì?

Vanel                            - La signorina Colette ha messo un ccv» doppio. Ora lo sapremo con precisione. È una segretaria preziosa, questa signorina. Tra di noi, amante del direttore?

Serval                            - Perché?

Vanel                            - Piangeva talmente, quand'è suc­cessa la disgrazia ieri sera. E poi di solito le segretarie... È nell'uso.

Serval                            - (infiammandosi) Questa no. Nean­che per sogno. E non bisogna che tu creda...

Vanel                            - (sorridendo) Ah, va bene.

Serval                            - È una ragazza come si deve. Non ha mai voluto saperne, neanche di me.

Vanel                            - Non è una ragione. Quando una donna respinge un uomo, specialmente se è un uomo affascinante come te, non significa che è onesta, ma che è occupata. (All'agente che è di piantone a sinistra) La signorina Colette.

Agente                          - (sulla porta di sinistra) Signorina Colette! (Colette entra: ha ancora gli occhi gonfi di pianto).

Vanel                            - Venga avanti, signorina... Non ab­bia nessuna paura. La persona che può darci le informazioni che possono far luce su questo delitto, è proprio lei.

Colette                          - Io non so niente. Giuro che non so niente.

Vanel                            - Questo si vedrà. Per ora lei deve soltanto cercar di ricordare con la maggiore esattezza possibile e rispondere alle mie do­mande. Dunque mi dica. Ieri sera lei ha detto di non essersi mai mossa di qui e di non aver sentito grida; ma è entrata dal direttore? Ha scritto qualche cosa sotto dettatura?

Colette                          - No.

Vanel                            - No che cosa?

Colette                          - Non ho scritto niente.

Vanel                            - Ma nello studio è entrata?

Colette                          - Solo qualche istante. Per annun­ciare...

Vanel                            - Per annunciare chi?

Colette                          - Non so: non ricordo.

Vanel                            - Cerchi di ricordare.

Colette                          - Ah sì... Una signora piuttosto an­ziana era venuta per raccomandare indulgenza verso la novità di ieri sera all'Odèon.

Vanel                            - E questa signora si chiamava?

Colette                          - Doveva essere una parente dell'autore. Weiss, mi pare.

Vanel                            - Ah, Weiss! Non sarebbe per caso la moglie del deputato Weiss?

Colette                          - Non so... Non credo...

Vanel                            - È una donna sulla quale si fanno delle chiacchiere, vero?

Colette                          - Non so.

Vanel                            - (dando un'occhiata a Servai) Si parla molto delle disavventure coniugali del deputato Weiss... Ed era vestita di scuro?

Colette                          - No: aveva un vestito chiaro. Gran toilette. Veniva da teatro.

Vanel                            - Ah, chiaro? Molto interessante. Al­lora sarebbe la visita che è segnata qui sul vo­stro quaderno con un ccv» doppio?

Colette                          - (osservando il quaderno che Vanel le porge) No. La signora è venuta prima. È questa ce S ». Perché si chiama Sylvie.

Vanel                            - Ah, ma allora la conoscevate bene, se sapevate perfino il suo nome di battesimo...

Colette                          - Vi giuro che...

Vanel                            - Non giurate, non giurate! Sylvie!... Sicuro... È proprio la moglie del deputato Weiss!

Colette                          - Aveva bisogno di conferire per­sonalmente con Auclair.

Vanel                            - Vedo. Allora, voi, signorina, l'a­vete annunciata al direttore?

Colette                          - Sì. Appena è rimasto libero, ho annunciato la signora Weiss.

Vanel                            - E chi c'era, dal direttore, prima della signora Weiss?

Colette                          - Prima della signora Weiss?

Vanel                            - Sì: cerchiamo di essere esatti, si­gnorina. Su questo quaderno non c'è segnato nessuno prima della signora Weiss... Voi invece mi dite che c'era dentro qualcuno...

Colette                          - Non so, forse il capo-tipografo.

Vanel                            - No, il capo-tipografo non è mai en­trato dal direttore, ieri sera.

Colette                          - Sarà stato l'amministratore. Non lo segno. Va e viene. Appartiene al giornale.

Vanel                            - Sentiremo anche l'amministratore.

Colette                          - (nervosa) Non c'è niente da sen­tire... Se io vi dico... o lui o un altro...

Vanel                            - Non arrabbiatevi... Non è il caso... Dunque voi siete entrata ad annunciare al diret­tore la visita della signora Weiss la quale era in gran toilette.

Colette                          - Perfettamente. Toilette da sera.

Vanel                            - E il direttore che cosa vi ha detto, quando voi avete pronunciato quel nome?

Colette                          - Auclair non si commuoveva trop­po per delle visite di donne.

Vanel                            - Ah, ne riceveva molte?

Colette                          - Abbastanza.

Vanel                            - Dunque...?

Colette                          - Mi ha detto di introdurla subito. Il che ho fatto.

Vanel                            - Dopo di che, avete segnato sul vo­stro quaderno l'ora precisa alla quale la signora Sylvie Weiss è entrata. Vero?

Colette                          - Sissignore.

Vanel                            - (guardando il quaderno) Ecco qua: « S ». Ore una e dodici minuti. Ottima questa precisione. I miei complimenti. E quanto tempo è rimasta dal direttore la signora Weiss?

Colette                          - Non saprei.

Vanel                            - L'avrete vista uscire...

Colette                          - No.

Vanel                            - Vi siete allontanata da questa stanza ?

Colette                          - Mai.

Vanel                            - E allora? Lo studio non ha altre uscite, che io sappia.

Colette                          - C'è l'ascensore privato del diret­tore.

Vanel                            - Ah già! Non è guasto?

Colette                          - Sì, ma...

Vanel                            - Ma che cosa?

Colette                          - Può servire per la discesa.

Vanel                            - Se serve per la discesa, bisogna pure che risalga.

Colette                          - Il guasto dev'essere al cancelletto di sotto. Comunque, il direttore, dal suo stu­dio, faceva salire la cabina e congedava i suoi visitatori senza farli passare di qui.

Vanel                            - Voi escludete quindi che ieri sera si potesse salire dall'ascensore?

Colette                          - Se si fosse potuto salire, il diret­tore non sarebbe venuto dalla scala. Aveva una antipatia per le scale...

Vanel                            - Qui si deve interrogare un tecnico degli ascensori. Te ne puoi occupare tu, Servai?

Serval                            - Volentieri. Ma io sto stenografando i tuoi interrogatori. È bene avere qualcosa di scritto.

Vanel                            - (accennando alla propria fronte) Io li ho tutti qui: non dubitare. (Rivolgendosi all'agente che è di piantone alla porta di fondo) Va' tu allora. Ho bisogno di un perito elettri­cista in materia di ascensori. Ma, subito. (L'a­gente esce da destra) Dunque la signora Weiss se n'è andata con l'ascensore. Ma voi avrete potuto immaginare il momento di questa sua partenza... C'è la lampadina rossa che stabi­lisce quando il direttore è libero.

Colette                          - Ebbene, all'una e venti la signora Weiss era ancora lì.

Vanel                            - Oh, le donne quando si mettono a chiacchierare... E come lo sapete?

Colette                          - Sono entrata...

Vanel                            - Ah, voi all'una e venti siete en­trata di nuovo dal direttore?

Colette                          - Sissignore.

Vanel                            - Eravate stata chiamata?

Colette                          - No. Del resto c'erano qui in quel momento Romorin e la signora Auclair che stavano aspettando. Lo possono provare. È ve­nuto l'usciere ad annunciare un signore che non voleva essere veduto: ed io sono entrata ad av­vertire il direttore.

Vanel                            - Era il deputato Weiss.

Colette                          - Come...?

Vanel                            - L'avete scritto voi. « V » doppio. Ore una e 23... Voi siete entrata ad annunciare il deputato Weiss. Avete visto se sulla scrivania del direttore in quel momento ci fossero dei foglietti manoscritti... delle cartelle?

Colette                          - Non m'è parso.

Vanel                            - E il deputato quanto tempo è ri­masto nello studio?

Colette                          - Non so. È disceso anche lui con l'ascensore. Ah, una cosa. Una sciocchezza cer­tamente, ma poiché siete così scrupoloso su tutto, può darsi che vi possa interessare.

Vanel                            - Dite, dite.

Colette                          - Weiss non voleva esser veduto en­trare da Auclair. Allora io ho fatto sgombrare questa stanza. Cerano qui Romorin e la signora Auclair, come vi ho detto. Ma la signora Auclair è rientrata immediatamente ed ha scambiato qualche parola qui con Weiss. Ho visto che le ha baciata la mano.

Vanel                            - E che cosa si sono detti?

Colette                          - Non so, perché sono entrata dal direttore...

Vanel                            - Ah, siete entrata una terza volta dal direttore ?

Colette                          - Sissignore. Volevo avvertirlo ap­punto che il signor Weiss e la signora Auclair si erano incontrati. Perché si regolasse.

Vanel                            - Ah!

Colette                          - È stato in questo momento che ho visto la signora Weiss scendere con l'ascen­sore.

Vanel                            - Quando c'era gente dal direttore, la cabina dell'ascensore rimaneva in basso o rima­neva su, all'altezza dello studio?

Colette                          - Appena il visitatore se n'era an­dato, il direttore la richiamava sopra: c'è un bottone di comando nello studio.

Vanel                            - Ho visto. E che cosa vi ha detto Auclair quando lo avete avvertito che sua mo­glie si era incontrata col signor Weiss?

Colette                          - Niente. Ha detto di far passare subito il deputato Weiss.

Vanel                            - E la signora Auclair è rimasta qui, mentre si svolgeva di là il colloquio tra suo ma­rito e il deputato Weiss?

Colette                          - Sissignore.

Vanel                            - E di che umore era la signora Au­clair ?

Colette                          - Un po' nervosa. Ricordo che m'ha detto a proposito di Weiss, che non è un indi­viduo che suo marito dovesse ricevere.

Vanel                            - Non c'era molto affetto, allora, tra la signora Auclair e questo deputato... E dopo questa visita del signor Weiss il direttore è stato trovato morto. È così? Nessun altro l'ha più ve­duto vivo?

Colette                          - Almeno...

Vanel                            - Voi non siete più rientrata dal di­rettore?

Colette                          - (con cupo dolore) No. Io non l'ho più visto vivo.

Vanel                            - Lo amavate molto?

Colette                          - (ribellandosi) Come? Che cosa vi fa credere...

Vanel                            - Niente... Scusate... (Pausa).

Colette                          - Il mio dolore non deve farvi sup­porre... Lavoravo con lui da anni...

Vanel                            - Si capisce, si capisce... E il primo che l'ha veduto morto è stato il redattore Romorin, no?

Colette                          - Sì. Ha creduto che dormisse e s'è ritirato. Poi è entrato il signor Vallon, ammini­stratore, e finalmente la signora Auclair, la quale si è accorta...

Vanel                            - Sappiamo. E quanto tempo è ri­masta la signora Auclair nello studio, prima di fare la scoperta?

Colette                          - Almeno due o tre minuti. Me ne ricordo bene, perché eravamo tutti in ansia e questa attesa, anzi, ci ha fatto credere che non fosse successo niente.

Vanel                            - Sono molti due o tre minuti per accorgersi che il proprio marito, che è lì da­vanti agli occhi, è morto. A proposito, e quella telefonata di cui m'avete parlato?

Colette                          - Mentre l'amministratore era di là, e il direttore gli sembrava addormentato, cioè doveva già essere morto, la voce del direttore mi ha chiesto al telefono la comunicazione con l'agenzia Havas.

Vanel                            - Siete sicura che fosse la voce di Auclair?

Colette                          - Pareva proprio la sua. In ogni modo la comunicazione mi è stata chiesta dal­l'interno del giornale.

Vanel                            - E che ora era, con precisione?

Colette                          - Le due meno un quarto. La si­gnora Auclair aveva guardato l'ora in quel momento.

Vanel                            - Le comunicazioni telefoniche del di­rettore passavano tutte da questo centralino?

Colette                          - Sì. Il direttore mi domandava la comunicazione e io gli davo sempre la persona richiesta.

Vanel                            - Ricordate che ieri sera, verso l'una e quaranta, il direttore ha chiesto il commissa­riato di polizia?

Colette                          - No. A me non l'ha chiesto. Però ricordo che m'ha chiesto la linea... Avrà formato lui il numero direttamente... Sì, doveva essere verso l'una e quaranta.

Vanel                            - E in quel momento Weiss si tro­vava ancora nello studio?

Colette                          - Lo suppongo.

Vanel                            - La lampadina rossa non s'era spenta ancora?

Colette                          - La lampadina rossa ieri sera si è spenta e riaccesa varie volte senza ragione. Ho pensato a qualche contatto nei fili.

Vanel                            - Va bene. Non ho altro da chiedervi. Andate pure. Ma non lasciate il giornale. Ri­manete di là. (Colette esce da sinistra. A Ser­vai) Chiamami l'agenzia Havas. (Servai forma un numero al telefono) O è stato lui, Auclair, a telefonare: e allora non era morto e non dor­miva. E Vallon mentisce dicendo che in quel momento era già morto. 0 è stato un altro, che ha imitato la voce di Auclair al telefono.

Serval                            - (al telefono) Pronti... Havas?... Non lasciate. (Porge il microfono a Vanel).

Vanel                            - (al telefono) Pronti... Parla l'ispet­tore Vanel della Sicurezza Generale... Ho biso­gno di un'informazione... So che tenete anno­tate le varie telefonate ricevute... Volete verifi­care se questa notte all'una e quarantacinque è stata fatta all'agenzia una telefonata dal gior­nale l'ccUniversel»? Grazie... attendo all'appa­recchio. (Mentre aspetta, continua a parlare sot­tovoce con Servai) Se è stato un altro, con tutta probabilità deve trattarsi dell'assassino, il qua­le, sapendo che Auclair era morto, aveva inte­resse a far credere che all'una e quarantacinque fosse ancora vivo.

Serval                            - A che scopo? minuto più minuto meno, il delitto si sarebbe scoperto egualmente.

Vanel                            - Per fabbricarsi un alibi. (Rispon­dendo al telefono) Pronti... Sì... All'una e qua­rantasei? E con chi ha parlato?... Grazie... Si trova in ufficio ora, questo signor Dorail?... Me lo volete favorire?... Grazie... Pronti... Sono l'ispettore Vanel della Sicurezza Generale... Vogliate scusare, ma Auclair questa notte è stato assassinato... Già... Ecco, vorrei sapere con precisione che cosa vi ha detto... Ah!... Niente altro? No?... Grazie... Scusate. (Riap­pende) La telefonata è stata tutto un trucco.

Serval                            - Come un trucco?

Vanel                            - Questo preteso Auclair gli avrebbe chiesto ieri sera il corso del franco a Bucarest! Assurdo. C'è un redattore finanziario al gior­nale e il bollettino dei cambi si trovava appeso proprio dietro alla scrivania, dove egli in quell'istante era già morto.

Serval                            - Allora non era lui che telefonava?

Vanel                            - È evidente. Comunque, è qualcuno che ha scelto l'agenzia Havas perché «sapeva» che l'agenzia tiene nota delle telefonate, avreb­be così potuto fabbricarsi un alibi consistente.

Serval                            - E che ha telefonato dal giornale.

 Vanel                           - Io credo che lo acciufferemo.

Serval                            - Perché hai chiesto a Colette se era innamorata del direttore?

Vanel                            - (battendogli sulla spalla) Non es­sere più geloso. Oramai...

Serval                            - Però lei non c'entra in questo de­litto. Dì questo sei sicuro?

Vanel                            - Non s'è mai sicuri di niente.

Serval                            - L'arma con cui è stato colpito Au­clair...

Vanel                            - Era un coltello finlandese da pesca­tore. Non prova niente. Si trovava sulla scri­vania: Auclair l'adoperava come tagliacarte.

Serval                            - Le impronte digitali?

Vanel                            - Vallon ha tolto l'arma dalla ferita prima che potessi impedirglielo: ci troveremmo le sue impronte... Chissà che cosa c'era sotto. Che uomo è quest'amministratore?

Serval                            - Un po' misterioso. Non è intimo di nessuno. Ma era il solo che fosse al corrente di tutti gli affari di Auclair.

Vanel                            - Dunque abbiamo detto Romorin.

Serval                            - Oh quello no: non è possibile!

Vanel                            - Perché?

Serval                            - Perché è un disgraziato.

Vanel                            - Guai a partire da preconcetti. A questo modo non dovrei sospettare neanche di te, perché sei mio amico.

Serval                            - Di me?

Vanel                            - Sicuro. Invece, bisogna che io so­spetti anche di te.

Serval                            - Ma io non sono mai entrato dal di­rettore. Non l'ho neanche veduto ieri sera. E quando è successo il delitto, mi trovavo in­sieme a Dac nel Caffè qui sotto...

Vanel                            - Non aver paura, va. Scherzavo. Sen­tiamo questo Romorin.

Serval                            - (andando alla porta di sinistra) So­spettare di me... Questa poi! (Chiamando alla porta) Romorin!

Vanel                            - Lo conosci da un pezzo, questo Ro­morin?

Serval                            - Da vari anni. (Romorin entra da sinistra, spaventatissimo).

Romorin                        - Io sono qui.

Vanel                            - Lo vedo.

Romorin                        - Ma vi giuro...

Vanel                            - Silenzio. Parlo io.

Romorin                        - Allora... (E guarda ansiosamente Servai come per chiedergli aiuto).

Vanel                            - Voi dovete soltanto rispondere. Dun­que i fatti sono questi, caro signor Romorin. Voi ieri sera alle due meno un quarto siete en­trato nell'ufficio del direttore...

Romorin                        - Un istante, un brevissimo istante, signor ispettore.

Vanel                            - Un istante può largamente bastare per dare una pugnalata.

Romorin                        - (sobbalzando) Come? Ma è as­surdo!...

 Vanel                           - Prima che voi entraste in quella stanza Auclair era vivo. Dopo che siete uscito voi, Auclair era morto. Le conclusioni potete farle anche voi.

Romorin                        - Un momento! Un momento! Io? Ma io sono un uomo pacifico... Il mio amico Servai può testimoniarlo. Ti pare Servai che io...? Ma è incredibile! E il movente? Perché poi...? Auclair mi voleva bene...

Vanel                            - Ma voi gli dovevate dei quattrini.

Romorin                        - Dei quattrini io...? Ah, sì. Una sciocchezza...

Vanel                            - M'hanno detto che eravate in preda ai rimorsi e che non volevate lasciare il giornale senza avere avuto prima una spiegazione col direttore.

Romorin                        - Signor ispettore, sì... confesserò tutto. Ma la colpa è di mia moglie.

Vanel                            - (sorpreso) Vostra moglie?

Romorin                        - Sì. È lei che mi ha detto: « Non giocare... Tradizione! Una cavalla che in corse a vendere non ha mai... ». Ma insomma non vorrete credere che io per milleduecento fran­chi avrei commesso...

Vanel                            - Si uccide anche per meno! Quando siete entrato in quell'ufficio...

Romorin                        - Credevo che dormisse, ma era già morto. Anche il signor Vallon è stato tratto in inganno.

Vanel                            - Lì c'è uno specchio. Guardatevi.

Romorin                        - Per far che?

Vanel                            - Vedrete il viso disfatto di un uomo che ha la coscienza sporca.

Romorin                        - Signor Ispettore! Signor Ispet­tore! Servai lo sa...

Vanel                            - Appunto.

Romorin                        - Non avevo mai, capite?, mai com­messo una dimenticanza, un tentativo d'illecito guadagno, un'indelicatezza. Mia moglie me lo rinfacciava tutti i giorni: guarda quello, guarda quell'altro. Tutti s'arrangiano. Tu solo sei una marmotta buono a niente. E dagli oggi, dagli domani, ho tentato anch'io di fare come gli altri. E per cento miserabili franchi, ecco il mio direttore assassinato, io sospettato del delitto... Ah! Nessuno saprà mai il vantaggio che c'è d'es­sere onesti!

Vanel                            - Fatemi sentire i vostri muscoli...

Romorin                        - Perché?

Serval                            - Non aver paura, faglieli sentire!

Romorin                        - (esitando porge il braccio a Vanel) Ecco...

Vanel                            - Piegate il braccio. Forzate il bici­pite... Dovreste fare un po' di ginnastica, voi.

Romorin                        - Io?

Vanel                            - Sì: i vostri muscoli sono scarsi, atrofizzati.

Romorin                        - Oh, per il lavoro che faccio io!

Vanel                            - Quando siete entrato ieri sera di là, che cosa c'era sulla scrivania del direttore?

Romorin                        - Sulla scrivania... Ah, sì: un pac­chetto. Ricordo benissimo. Mi ha colpito, perché era legato con un nastrino verde. Di solito il direttore non aveva roba di questo genere davanti a se.

Vanel                            - Ah! E che pacchetto era? Dolci?

Romorin                        - No no. Un pacchetto piccolo: carte, lettere, conti. Ma ricordo benissimo che era legato con un nastrino verde.

Vanel                            - E voi non l'avete toccato?

Romorin                        - Signor ispettore! Non mi sono nemmeno avvicinato troppo. Mi sono ritirato in punta di piedi.

Vanel                            - Va bene. Andate. Però non lasciate il giornale.

Romorin                        - Io ci tengo a giurare...

Vanel                            - È inutile: perdete il vostro tempo.

Romorin                        - Come, signor ispettore?

Vanel                            - Vi manca la forza materiale per aver potuto vibrare un colpo di quella violenza.

Romorin                        - Io...? Non...? Ah, è per questo che i miei muscoli...? Sia lodato il Cielo che non ho mai fatto ginnastica. Ma io non li svi­lupperò mai i miei muscoli e se mia moglie mi propone ancora delle cose del genere, mi sen­tirà! I miei omaggi, signor ispettore. Ma in con­fidenza, chi credete che sia stato?

Vanel                            - (secco) Andate.

Romorin                        - (premuroso) Subito, subito! (Esce da sinistra).

Serval                            - Te l'avevo detto io: quello è un semplice. Un povero diavolo.

Vanel                            - È sincero. Quindi, quando lui è an­dato di là, Auclair era reclinato sulla scrivania come se dormisse: vi sono novanta probabilità su cento che fosse già stato assassinato. Nel qual caso Vallon e la signora Auclair sarebbero fuori d'ogni sospetto. Ma ce ne sono anche dieci su cento che dormisse veramente: ed allora uno di quegli altri due potrebbe averlo colpito nel sonno. Ho fatto avvertire la signora Auclair perché voglia venire questa mattina al giornale. La interrogheremo. (L'agente che si era allon­tanato prima, rientra da destra con un operaio).

Agente                          - Signor ispettore, questo è l'ope­raio.

Vanel                            - (all'operaio) Siete elettricista voi?

Operaio                         - Sissignore.

Vanel                            - V'intendete di ascensori?

Operaio                         - È la mia partita: lavoro sempre in ascensori.

Vanel                            - Allora andate di là e studiate bene la natura del guasto che ha l'ascensore che con­duce all'ufficio del direttore. Bisogna stabilire come può aver funzionato questa notte. Mi ave­te capito?

Operaio                         - Sissignore.

Vanel                            - Nessuno l'ha più toccato: quindi voi potrete trovarlo com'era al momento del delitto. Dopo mi riferirete.

Operaio                         - Sissignore. (Esce dal fondo con l'agente che l'aveva accompagnato).

Vanel                            - (cavando di tasca il nastrino verde) Almeno ora sappiamo di dove proviene questo.

Serval                            - Legava il pacchetto...

Vanel                            - Un pacchetto di lettere: questo lo avevo capito anche prima. Con nastrini del ge­nere si legano soltanto lettere di amore. È una specialità. E poi la lunghezza era rivelatrice.

Serval                            - Ma, e le lettere?

Vanel                            - Quando Romorin è entrato, erano ancora lì, sulla scrivania, legate col loro na­strino verde. Se Auclair era già morto, non le può aver toccate che Vallon o la signora Au­clair. Perché quando siamo entrati noi le let­tere non c'erano più. (Va alla porta di sinistra e chiama:) Signor Vallon, vuol favorire? (Val­lon entra da sinistra).

Vallon                           - Buongiorno, signor ispettore. A che punto siamo? Si è trovato?

Vanel                            - Stiamo cercando. Dica un po', quando lei è entrato ieri notte dal direttore, Auclair, ha detto, sembrava addormentato...

Vallon                           - Era morto: ma la sua posizione...

Vanel                            - Lo so. Dica: non ha osservato sulla scrivania qualcosa d'insolito? Per esempio un pacchettino, legato con un nastrino verde, di questo genere...?

Vallon                           - Sì: era davanti a Auclair. L'ho visto benissimo.

Vanel                            - E lei non l'ha toccato?

Vallon                           - Non mi sarei mai permesso.

Vanel                            - Era la prima volta che vedeva un pacchettino del genere dal direttore?

Vallon -                         - Sì: non ricordo d'averlo mai visto prima.

Vanel                            - Benissimo. E ora, scusi, vorrebbe illuminarmi un poco sui rapporti che correvano e che erano corsi tra Auclair e il deputato Weiss? Badi che io faccio il massimo affida­mento sulle informazioni che lei ci può fornire. L'ultima persona che ha visto vivente il signor Auclair è stata il deputato Weiss. Lei lo sa. Quindi...

Vallon                           - So, so. E capisco tutto.

Vanel                            - Quindi lei ha il dovere di mettere in chiaro i rapporti precedenti e attuali che esi­stevano tra Weiss e la vittima.

Vallon                           - Non dubiti, le dirò tutto. Ma sa­rebbe forse meglio allontanare...

Vanel                            - Il signor Servai mi serve da steno­grafo: del resto è legato dal vincolo del segreto professionale. Non abbia nessun timore.

Vallon                           - È un giornalista.

Serval                            - In questo momento sono soltanto l'assistente del signor ispettore. (Vallon indica l'agente rimasto di piantone e Vanel fa un cen­no a questo agente, che scompare. Vallon al­lora comincia a parlare e Servai stenografa quanto dice).

Vallon                           - I nostri rapporti, dico nostri per parlare del giornale, col deputato Weiss sono cominciati quattro anni fa. Auclair aveva cono­sciuto i Weiss a Evian dove entrambi si erano recati per cura. Erano diventati amici, e dopo qualche mese, poi che Weiss aveva bisogno di un organo politico che lo sostenesse durante la campagna elettorale, ha cominciato ad occu­parsi della gestione finanziaria dell'«Universel».

Vanel                            - Per quanto tempo se n'è occupato?

Vallon                           - Per vario tempo: circa due anni. Dopo sono nati degli screzi...

Vanel                            - Di che genere?

Vallon                           - Ecco: per la verità credo che non fossero estranee delle questioni di donne...

Vanel                            - Ah!

Vallon                           - Noi avevamo del resto trovato al­tre fonti finanziarie, e non ci siamo preoccu­pati di questo abbandono. Ma recentemente ab­biamo pensato che non sarebbe stato male rial­lacciare i nostri rapporti con Weiss. Però sem­brava che avesse preso già altri impegni con un altro quotidiano.

Vanel                            - E allora?

Vallon                           - Io confesso che dopo queste in­formazioni non facevo più molto affidamento su Weiss. Ma Auclair era un uomo di grande otti­mismo. Del resto poteva esserlo, perché aveva delle risorse meravigliose. Sapeva trovare sem­pre quello che occorreva. Anche ieri sera, per esempio, a un pranzo diplomatico, aveva com­binato un affare che per il momento ci tirava d'impaccio.

Vanel                            - Ah sì? Ma Weiss perché è venuto qui ieri sera?

Vallon                           - Quando Auclair aveva saputo che Weiss esitava ad entrare in trattative con noi, aveva detto: «Provvedo io!». Auclair posse­deva degli incartamenti assai interessanti su quasi tutti i nostri uomini politici, e quand'era necessario non esitava            - era un polemista di prim'ordine          - a metter fuori certe cose che gli interessati avrebbero preferito tener nascoste.

Vanel                            - Insomma aveva minacciato Weiss di uno scandalo.

Vallon                           - Aveva minacciato di stampare la verità. La verità, lo sa anche lei, è sempre pe­ricolosa.

Vanel                            - Lei sa che la posizione di Weiss è molto delicata.

Vallon                           - È un uomo capace di tutto.

Vanel                            - Anche di uccidere?

Vallon                           - Questo non lo potrei dire.

Vanel                            - Mi pare che anche il nostro Auclair fosse capace di tutto. Dica un po', caro Vallon, poco fa lei mi ha parlato di questioni di donne. A che cosa voleva alludere?

Vallon                           - (evasivo) Io di preciso non so niente: si sono fatte delle supposizioni, come accade sempre. I mariti debbono sempre parte della loro riuscita alle qualità delle mogli.

Vanel                            - A proposito. Ha moglie lei, Vallon?

Vallon                           - (stupito) Io no. Perché?

Vanel                            - Per niente. Prosegua pure. Dun­que diceva: le mogli... A chi intendeva allu­dere: alla moglie di Weiss o di Auclair?

Vallon                           - (enigmatico) Io non metterei mai la mano sul fuoco per la moglie di nessuno. Dirò di più: la signora Weiss ha una certa re­putazione di protettrice dei giovani...

Vanel                            - Lo so. E Weiss era geloso?

Vallon                           - Weiss!? Non si è mai occupato di sua moglie. Aveva cento intrighi per conto proprio: ed è stato sempre troppo occupato per poter pensare alla moglie.

Vanel                            - Ho capito. (Pausa) Senta un po': lei mi ha detto poco fa - se ho capito bene - di aver parlato con Auclair ieri sera... a propo­sito di quel pranzo diplomatico al quale il di­rettore aveva assistito...

Vallon                           - Infatti.

Vanel                            - Quando gli ha parlato?

Vallon                           - Appena Auclair è venuto al gior­nale. Lo stavo aspettando.

Vanel                            - Lo stava aspettando di là?

Vallon                           - No: di là c'era gente. Abbiamo parlato qui.

Vanel                            - C'era gente? Una signora?

Vallon                           - Sì... una signora.

Vanel                            - Non era la signora Weiss?

Vallon                           - No.

Vanel                            - Era la signora vestita di nero.

Vallon                           - Come lo sa?

Vanel                            - (cavando di tasca il guanto nero) Ha dimenticato questo guanto. Riconosce il pro­fumo. (E glielo fa annusare).

Vallon                           - Sì, è suo. Almeno, mi pare.

Vanel                            - Il che vuol dire che lei la conosce bene. Era l'amica del direttore!

Vallon                           - È una cosa molto delicata.

Vanel                            - Non abbia paura di compromettersi.

Vallon                           - (accennando a Servai si avvicina a Vanel e gli parla all'orecchio) Lei capisce?...

Vanel                            - Perfettamente.

Vallon                           - C'era da liquidare un conto esa­gerato di spese ad Albert Dac ed io non mi tro­vavo in condizioni...

Vanel                            - Le corrispondenze di Albert Dac sono state molto interessanti: ne ho letta qual­cuna anch'io. È stato fin quasi al Polo.

Vallon                           -  Sì, ma troppo care. Il nostro gior­nale non è il « Petit Parisien ».

Vanel                            - Capisco. E il direttore sapeva che lei non poteva pagare quel conto-spese?

Vallon                           - Gliel'ho accennato appena è giunto.

Vanel                            - Ho capito. Lei può andare.

Vallon                           - Per Weiss c'è l'immunità parla­mentare e...

Vanel                            - Vuole insegnare a me la procedura penale? La ringrazio delle sue informazioni. (Vallon si ritira da sinistra) Di' un po': tu eri al corrente di questa relazione di Auclair con la signora Germaine?

Serval                            - Oh Dio, al giornale più o meno si sa tutto.

Vanel                            - Che tipo di donna è questa Ger­maine ?

Serval                            - Una bella donna, un po' vistosa, provocante. Ma la cosa durava già da un pezzo: non mi stupirei se Auclair avesse già avuto in­tenzione di smetterla.

Vanel                            - E la moglie di Auclair?

Serval                            - Come?

Vanel                            - Che se ne dice al giornale?

Serval                            - Che è una bravissima signora. Nes­suno ha mai mormorato di niente.

Vanel                            - Ah! (Pausa) Quando Auclair m'ha chiamato al telefono e mi ha detto di correre qui, evidentemente era preoccupato di qual­cuno.

Serval                            - Non poteva trattarsi che di Weiss.

Vanel                            - Quei due devono essersi dette delle cose dure.

Serval                            - Credi che sia stato Weiss a col­pirlo?

Vanel                            - Come avrebbe fatto allora Auclair a telefonarmi... a chiamarmi, se Weiss era pre­sente?

Serval                            - Anzi. Lo ha fatto appositamente, per intimidire Weiss, per minacciarlo...

Vanel                            - (lentamente) Weiss è deputato. Mi pare difficile che potesse aver paura di un in­tervento della polizia. Ha l'immunità.

Serval                            - E allora?

Vanel                            - E poi c'è quella telefonata del finto Auclair alla Havas. (D'improvviso) Non sei stato tu a telefonare?

Serval                            - Io... Come?... E dalli con me!

Vanel                            - Tu dov'eri?

Serval                            - Te l'ho detto: ero andato a pren­dere un Pernod con Dac al Caffè di faccia, e siamo tornati proprio quando...

Vanel                            - Sei rientrato con lui al giornale?

Serval                            - Sì. Dac è andato a comprare dei Voltigeurs ed io sono disceso in tipografia per l'impaginazione.

Vanel                            - L'ingresso del giornale è unico?

Serval                            - No. (Indicando a destra) Di là c'è la scala privata del direttore. Quella per la qua­le sei salito tu, in via Delannoy. I redattori in­vece entrano dall'altra parte, via Bailly. La tipografia poi ha un solo ingresso...

Vanel                            - Lo so. (Da destra entra l'usciere).

Usciere                          - C'è la signora...

Vanel                            - Che entri! Che entri subito... (L'u­sciere introduce Lucienne di già in stretto lutto).

Lucienne                       - Io veramente...

Vanel                            - Vedo che la signora è già uscita di casa stamane...

Lucienne                       - Perché?

Vanel                            - - Quel vestito... Non credo fosse pronto prima.

Lucienne                       - Una telefonata! Gli abiti da lut­to sono sempre pronti.

Vanel                            - È vero. Lei ha incontrato qui il de­putato Weiss questa notte...?

Lucienne                       - Perché?

Vanel                            - Mi risponda, signora: non faccia delle domande, se no perdiamo tempo. Lei si trovava qui ed aspettava d'essere ricevuta da suo marito. E si è incontrata col deputato Weiss. È vero, sì o no?

Lucienne                       - Sì: l'ho visto un momento.

Vanel                            - Che cosa le ha detto?

Lucienne                       - Poche parole: che doveva met­tere in chiaro certe cose con mio marito.

Vanel                            - Aveva l'aria irritata?

Lucienne                       - Oh no. Quando è irritato non mi bacia la mano... e invece ieri sera...

Vanel                            - Ho capito. (A Servai) Vuoi uscire, per favore? Ho bisogno di rimanere solo un po' con la signora.

Serval                            - Subito.

Vanel                            - Va un po' a vedere che cosa fa l'o­peraio che studia l'ascensore. Controlla anche tu. (Servai esce da destra).

Lucienne                       - Ha qualche cosa di così segreto da dirmi?

Vanel                            - Sì, signora. La prego di voler di­menticare per un momento che io sono un uomo. Io sono il rappresentante della giustizia. E le assicuro che ho ora tali elementi in mano mia da potere stabilire con esattezza chi ha uc­ciso suo marito. Lo immagina anche lei, vero?

Lucienne                       - Io?

Vanel                            - Sì, signora. La prego di non voler fingere con me.

Lucienne                       - Io le giuro che...

Vanel                            - (secco) Non giuri. Non serve.

Lucienne                       - Si spieghi. Io non tollero che...

Vanel                            - Mi dispiace signora di dover essere brutale, ma è mio dovere. Lei è l'amante del deputato Weiss.

Lucienne                       - Non è vero.

Vanel                            - Non è vero?

Lucienne                       - No, non è vero.

Vanel                            - Può darsi che non sia più vero. Ma lo è stato.

Lucienne                       - Chi ha potuto...?

Vanel                            - Lei, signora.

Lucienne                       - Io?

Vanel                            - Quando una donna dice che un uomo irritato non ha l'abitudine di baciarle la mano, significa che ha molta intimità con quell'uomo e che lo conosce a fondo.

Lucienne                       - Per forza: è stato per anni un amico di casa.

 Vanel                           - E durante questi anni lei non gli ha mai scritto nessuna lettera?

Lucienne                       - No, nessuna.

Vanel                            - Ne è proprio sicura?

Lucienne                       - Sì. Perché?

Vanel                            - Perché si è tanto preoccupata di impossessarsi di quel pacchettino di lettere che suo marito aveva davanti a sé quand'era già morto, di là?

Lucienne                       - (spaventata) Io?... Ma...

Vanel                            - Lei si è accorta che suo marito era morto. E non solo non ha dato immediatamente l'allarme, ma, avendo riconosciuto dal nastrino verde che le legava, le «sue lettere», le ha pre­se, le ha slegate, le ha contate: e rassicurata, soltanto allora ha pensato ad avvertire gli altri che un delitto era stato commesso.

Lucienne                       - (schiantata) Come ha potuto...?

Vanel                            - Ecco il nastrino, signora. Ha fatto male a lasciarlo sulla scrivania. Ed ha impie­gato troppo tempo a scoprire che suo marito era stato assassinato. Ma come mai quelle lettere erano in possesso di suo marito?

Lucienne                       - Gliele aveva portate André... il deputato Weiss.

Vanel                            - Un regalo?

Lucienne                       - Se sapesse che gente è quella! Pur di salvarsi o di atterrare un avversario, non badano a mezzi. Non hanno ombra di cavalleria. Weiss è dello stesso calibro di mio marito. Mio marito mi aveva spinta nelle braccia di Weiss per poterlo avere come finanziatore del gior­nale...

Vanel                            - Auclair era al corrente? Allora quelle lettere non devono avergli procurata nessuna sorpresa.

Lucienne                       - Se ne infischiava, come di me. Ma siccome aveva minacciato Weiss di una cam­pagna scandalistica, l'altro gli rispondeva colle stesse armi. Auclair gli avrà consegnato i docu­menti di cui era in possesso, e Weiss gli avrà dato le lettere.

Vanel                            - Un accordo? In seguito al quale Auclair avrebbe rinunciato a pubblicare il pro­prio attacco... Ma allora, perché Weiss avrebbe ucciso suo marito?

Lucienne                       - Weiss? Ma non è stato lui!

Vanel                            - Come fa lei a saperlo?

Lucienne                       - Lo conosco. Le garantisco che non sarebbe capace. A parole, qualunque cosa. Ma appena si tratta di alzare una mano, di­venta un coniglio.

Vanel                            - Eppure quando Weiss è entrato da Auclair, costui era vivo: quando è entrato Romorin, era già morto.

Lucienne                       - E tra l'uno è l'altro?

Vanel                            - C'era anche lei qui: non è entrato nessuno.

Lucienne                       - Ma qualcuno poteva essere ri­masto ancora nello studio.

Vanel                            - Nascosto?

Lucienne                       - Forse.

Vanel                            - Dove? Ad insaputa di Auclair? Non credo che avrebbe tenuto volontariamente un testimonio al colloquio, di cui immaginava il tono, con Weiss... E poi, non poteva trattarsi che della signora Weiss, nel caso. Ma la signo­rina Colette l'ha vista scendere con l'ascensore...

Lucienne                       - L'assassino poteva essere nasco­sto senza che Auclair lo sospettasse.

Vanel                            - Lei sa meglio di me che lo studio di suo marito è nudo: non ha armadi né para­venti.

Lucienne                       - L'ascensore.

Vanel                            - Immagina che l'assassino fosse na­scosto nell'ascensore?

Lucienne                       - Non saprei, ma...

Vanel                            - Se fosse stato nell'ascensore, come avrebbe fatto Weiss a discendere senza vederlo? Perché Weiss non è passato di qui, quando è uscito...

Lucienne                       - No.

Vanel                            - Quindi ha adoperato l'ascensore. Se una persona si fosse trovata lì nascosta, egli avrebbe dovuto vederla. A meno che non abbia finto di non vederla. Aspetti. (Va alla porta di fondo e chiama) Servai! Conduci qui quell'o­peraio... Ha finito le verifiche?

Serval                            - (di fuori) Sì. (Entra dal fondo con l'operaio elettricista).

Vanel                            - (all'operaio) Avete verificato bene quest'ascensore ?

Operaio                         - Sì, signore.

Vanel                            - Potete dirci allora con esattezza di che natura fosse il guasto?

Operaio                         - Sì, signore. L'ascensore non è mai stato guasto.

Vanel                            - Come? Funzionava regolarmente?

Operaio                         - No.

Vanel                            - Allora spiegatevi.

Operaio                         - Ecco. Il mio parere è che il fun­zionamento dell'ascensore fosse stato a bella posta modificato recentemente.

Vanel                            - Modificato come?

Operaio                         - In modo che servisse solo per la discesa e non per la salita.

Lucienne                       - Mio marito mi aveva detto spes­so che non voleva che della gente gli capitasse all'improvviso in istudio col mezzo di quell'a­scensore. Il portiere giù non era sempre al suo posto.

Operaio                         - Il cancelletto in basso è stato mo­dificato in modo che non si possa più aprire dall'esterno. Quindi nessuno può adoperare l'a­scensore per salire. Ma il comando dallo studio e i comandi interni dalla cabina funzionano perfettamente.

Vanel                            - E credete che in nessun modo quel cancelletto avrebbe potuto essere aperto dal di­fuori?

Operaio                         - Certissimo. È stata messa una grata di sicurezza anche verso l'interno. Il can­cello non si apre che aprendo le porte della cabina.

Vanel                            - Neanche con una chiave falsa...?

Operaio                         - La serratura è stata chiusa.

Vanel                            - Quindi voi escludete che qualcuno possa essere salito dall'ascensore...?

Operaio                         - Nel caso, non può essere risalito altri che chi era disceso in quel momento.

Vanel                            - Ho capito... Potete andare. (L'U­sciere si presenta sulla porta di destra, ma pri­ma che abbia detto qualche cosa entra il depu­tato Weiss).

Weiss                            - Ho letto sui giornali di stamane... Se posso essere utile in qualche cosa... (Scor­gendo Lucienne) Oh, signora... Sono rimasto sconvolto da questa disgrazia improvvisa... Le mie più sincere condoglianze... E si è scoperto almeno...?

Vanel                            - (intervenendo) Permette? Sono Va­nel, ispettore della Sicurezza Generale.

Weiss                            - Fortunato.

Vanel                            - Non si è scoperto ancora nulla. Ma contiamo anche su di lei. Volevo disturbarla appunto per chiederle... (Intanto l'Operaio e l'Usciere sono scomparsi da destra).

Weiss                            - (premuroso) Chieda, chieda pure!

Vanel                            - Quando lei ha lasciato Auclair que­sta notte, eravate rimasti d'accordo su tutto?

Weiss                            - Ma sì... Credo che...

Vanel                            - Lei ha stretta la mano ad Auclair?

Weiss                            - Sì, certo. Eravamo tanto amici!

Vanel                            - Infatti... E il pacchettino delle let­tere era rimasto sulla scrivania? Bene in vista?

Weiss                            - Quale pacchettino?

Vanel                            - Quello che lei gli ha portato...

Weiss                            - Ma...

Vanel                            - Signor deputato, sono già informato di tutto. Quella era la base dell'accordo, no? (Pausa) Quelle lettere erano rimaste sulla scri­vania?

Weiss                            - Sì, mi pare... Quando me ne sono andato mi pare che fossero sulla scrivania.

Vanel                            - E le era parso che il signor Auclair fosse stanco? Che avesse un po' di sonnolenza?

Weiss                            - Oh no. Era pieno di energia.

Vanel                            - E sulla scrivania lei non ha notato altro?... Un paio di guanti, per esempio?

Weiss                            - Sulla scrivania? Sì: mi pare di aver visto dei guanti.

Vanel                            - Neri? Da donna?

Weiss                            - Sì. Credo.

Vanel                            - Erano due o uno solo?

Weiss                            - Non so.

Vanel                            - Lei conosce il profumo che adopera sua moglie?

Weiss                            - Sì. Phalène de Corday. Perché?

Vanel                            - È questo. (E gli mette sotto il naso il guanto che cava di tasca),

Weiss                            - No.

Vanel                            - Va bene. E dica... Sapeva che sua moglie era stata a trovare Auclair qui ieri sera?

Weiss                            - Me l'ha detto stamane.

Vanel                            - E sa perché ci fosse venuta?

Weiss                            - Credo per raccomandare un giovane autore che aveva dato una commedia...

Vanel                            - Già. E quando lei se ne è andato di qui, ha usato l'ascensore, ieri sera, vero?

Weiss                            - Certo.

Vanel                            - E non c'era nessuno nascosto nell'ascensore quando lei ha aperto i battenti della cabina ?

Weiss                            - Nessuno.

Vanel                            - E ha rinchiuso il cancello abbasso, quando lei è uscito?

Weiss                            - Credo. Anzi no: c'era uno che do­veva salire. E allora l'ho lasciato aperto per cedergli il passo.

Vanel                            - E com'era, costui?

Weiss                            - Non l'ho visto. C'era buio e io ave­vo fretta.

Vanel                            - Ah! Non l'ha visto? Ne è proprio sicuro ?

Weiss                            - Sì.

Vanel                            - (lentamente) E per caso, lei non aveva dimenticato qualche cosa di sopra? Non è risalito con l'ascensore, dopo essere disceso?

Weiss                            - No. Mi sono allontanato.

Vanel                            - Servai! Vuoi pregare i signori Vallon, Romorin, Dac e Bergmann, che sono di là, di favorire qui? Fa' venire anche la signo­rina Colette. (Servai esce da sinistra).

Weiss                            - Lei crede che...? (Da sinistra en­trano Vallon, Romorin, Dac, Bergmann, Servai e Colette).

Vanel                            - Signori, il mistero dell'assassinio del vostro direttore è stato chiarito.

Vallon                           - Chi è stato?

Vanel                            - L'assassino è qui. È stato uno di coloro che in questo momento sono presenti. (/ redattori si guardano l’un l'altro sgomenti). Se volete passare tutti nello studio del signor Auclair, io potrò ricostruirvi con precisione, pa­rola per parola, quello che questa notte è acca­duto dietro quella porta. (A Lucienne) Abbia pazienza, signora, se io devo abusare ancora per poco della sua resistenza. Ma è necessario.

Colette                          - No. Io di là non vengo!

Vanel                            - (piano a Colette, mentre gli altri si avviano) Su, coraggio, signorina, Passerà... E dire che se si fosse accorto del vostro amore, probabilmente a quest'ora non sarebbe morto. Fatemi sentire il vostro profumo? (Si curva su di lei) Ottimo. (Poi volgendosi agli altri) Prego, signori... (E si avvia con Colette verso la porta di fondo).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

La scena rappresenta lo studio del signor Auclair, direttore dell'a Vniversel ». Nel fondo si vede la medesima porta a due battenti, vista negli atti precedenti e raffigurata dalla parte op­posta. A sinistra un ascensore che si ferma all'altezza dello studio quando sale. A destra la grande scrivania del direttore: telefono. Die­tro la scrivania una grande carta della Francia e a un uncino sono appesi i bollettini Havas e quelli finanziari. Due grandi poltrone di pelle sono davanti alla scrivania. Per il rimanente la scena è pressoché nuda e in ombra. Una sola lampada è accesa accanto alla scrivania.

Quando l'atto s'inizia, l'oscurità è totale. E nell'oscurità si sente chiara la voce di Vanel.

Vanel                            - Ieri sera, prima che giungesse il di­rettore, una signora vestita di nero si trovava qui ed era impaziente. (La scena s'illumina. Si vede la sola Germaine in piedi. Va verso la fi­nestra. Viene a sedere in una poltrona, poi torna ad alzarsi, quando dalla porta di fondo entra Auclair, frak e decorazioni, com'era al primo atto. Vanel e gli altri sono scomparsi).

Germaine                      - M'avevi detto che saresti stato al giornale a mezzanotte.

Auclair                          - Ma non te lo avevo detto perché tu ci venissi. Sai che non voglio che ti vedano qui.

Germaine                      - Si capisce: hai da ricevere al­tri... o altre.

Auclair                          - Ho proprio tempo per pensare a queste cose!... (Siede alla scrivania e scorre le lettere già aperte che vi si trovano) Te l'ho detto, ora che tuo marito è a Parigi, dovresti avere un po' più di prudenza.

Germaine                      - Che vuoi che m'importi di mio marito?

Auclair                          - Importa a me. Avanti. Facciamo presto. Che cosa sei venuta a fare al giornale all'una di notte?

Germaine                      - La tua telefonata d'oggi era sta­ta così secca...

Auclair                          - Non avevo tempo. E poi, con le preoccupazioni finanziarie che ho io in questi giorni, ti giuro che non rimane posto né voglia per le telefonate inutili.

Germaine                      - Inutili?

Auclair                          - Sì, insomma... Che cosa vuoi, so­no sempre le stesse cose, no?

Germaine                      - Una volta, ricordo benissimo, sei rimasto al telefono per settanta minuti di se­guito per parlare con me. Allora t'infischiavi di tutti quegli altri che potevano aver bisogno di parlarti.

Auclair                          - Vuol dire che hai avuto degli an­ticipi. Non si può essere sempre generosi allo stesso modo. Su, sbrigati: c'è gente di là che aspetta d'essere ricevuta.

Germaine                      - Chi? Donne?

Auclair                          - (alzando le spalle) Tuo marito intanto. A proposito...

Germaine                      - Lo so.

Auclair                          - Questa volta ha passato il segno, credi a me.

Germaine                      - Io non capisco perché tu te lo tenga tra i piedi.

Auclair                          - (alzandosi) E sei tu che dici questo ?

Germaine                      - Io potrei divorziare, tu anche...

Auclair                          - Non dire sciocchezze.

Germaine                      - Ci tieni a tua moglie?

Auclair                          - Ci tengo a non aver seccature...

Germaine                      - E io sarei...?

Auclair                          - Alle volte, sì, mia cara: sei pro­prio una seccatura. Tutte le donne innamorate sono così.

Germaine                      - Voi fate l'impossibile perché ci innamoriamo, e quando ci siete riusciti, vi la­mentate del risultato.

Auclair                          - (andando a premere il tasto di ri­chiamo dell'ascensore) Le donne hanno torto a prendere le cose troppo sul serio. (La cabina dell'ascensore compare dietro al cancelletto).

Germaine                      - È un congedo?

Auclair                          - È un invito. (E torna alla propria scrivania).

Germaine                      - Ho saputo che sei l'amante della tua segretaria...

Auclair                          - È tuo marito che t'ha dato quest'informazione?

Germaine                      - Me n'ero già accorta da sola.

Auclair                          - Hai una bella fantasia.

Germaine                      - Ho visto come ti guarda!

Auclair                          - Vorrà un aumento di stipendio.

Germaine                      - Quella mi odia. Si capisce be­nissimo.

Auclair                          - (indifferente) Ti invidierà.

Germaine                      - C'è proprio di che invidiarmi, te lo giuro! Dove sei stato stasera, che sei in alta uniforme?

Auclair                          - A un pranzo diplomatico.

Germaine                      - Vicino a chi eri seduto?

Auclair                          - A un ministro plenipotenziario. Un uomo di settant'anni. E ora vattene perché ho da lavorare. Devo mandare in tipografia una nota urgente.

Germaine                      - Ti faccio osservare che non mi hai dato nemmeno un bacio.

Auclair                          - Te ne dò anche due, se vuoi, ma fila!

Germaine                      - Che nota è che prepari?

Auclair                          - Dieci righe che basteranno a ri­durre a più miti consigli qualcuno che so io.

Germaine                      - Chi?

Auclair                          - Weiss. Lo ricordi?

Germaine                      - L'amante di tua moglie?

Auclair                          - Germaine, ti proibisco...

Germaine                      - Vuoi fare la commedia con me? Ma se lo sanno tutti: e tu come gli altri. Non sei un marito di quelli che non s'accorgono, tu!

Auclair                          - Non permetto...

Germaine                      - Che cosa? Sta zitto, va. Ora lo attacchi. Perché? Non siete più amici?

Auclair                          - Si è reso complice di certe ma­novre poco pulite.

Germaine                      - Contro di te?

Auclair                          - Contro la massa.

Germaine                      - E allora perché te la prendi?

Auclair                          - Perché il mio giornale... e la mia coscienza...

Germaine                      - Roberto!

Auclair                          - (seccato) Perché mi trovo in diffi­coltà, ecco. E bisogna pure che qualcuno si de­cida a pagare.

Germaine                      - Ti preferisco così: cinico e sin­cero. E se hai cinque minuti di lealtà, parla: di me cosa conti fare?

Auclair                          - Perché?

Germaine                      - Una volta parlavi di avvenire...

Auclair                          - Ero più giovane.

Germaine                      - Di un anno.

 Auclair                         - Vuol dir molto. E poi, senti, non è il momento. La prima volta che ci troveremo al Claridge...

Germaine                      - È già tre volte che mi ci fai an­dare e tu non vieni mai a raggiungermi.

Auclair                          - Mi è stato impossibile.

Germaine                      - Meriteresti che ti tradissi con lo sconosciuto della camera accanto.

Auclair                          - Ti ho forse mai detto di non far­lo? (Nel frattempo avrà scritto qualche riga, poi, scontento, avrà spiegazzato il foglietto e lo avrà buttato nel cestino).

Germaine                      - Sei ignobile. Sono venuta qui per rivederti in faccia. Quando telefono al gior­nale, quel bell'arnese della tua segretaria mi dice sempre che tu non ci sei. Credevo che lo facesse per gelosia. Ora so che l'ordine l'hai dato tu.

Auclair                          - Al giornale io mi occupo dei miei affari.

Germaine                      - Vieni al Claridge domani?

Auclair                          - Domani...? Impossibile.

Germaine                      - Giovedì?

Auclair                          - Meglio che ne riparliamo la set­timana ventura. Ti telefonerò.

Germaine                      - Sarà troppo tardi.

Auclair                          - Pazienza.

Germaine                      - Canaglia. (Furente va all'ascen­sore, apre il cancello, scende).

Auclair                          - Germaine! I guanti... (Poi alza le spalle: riprende a scrivere. Preme un bot­tone. Dal fondo entra Colette) Fai risalire l'a­scensore... (Colette va all'ascensore, preme un tasto e dopo un istante si vedrà l'ascensore ri­tornare al posto di prima).

Colette                          - C'è la signora Weiss di là.

Auclair                          - Falla entrare subito. Potevi anche avvertirmi prima, no? (Colette esce ed intro­duce dal fondo Sylvie Weiss, toilette bianca da sera, gran mantello. Auclair le va premurosa­mente incontro) Oh cara signora, che lieta sor­presa...

Sylvie                            - Un pezzo, vero?, che non ci ve­diamo! Come va la signora Auclair?

Auclair                          - Credo che stia bene! È un pezzo che non ci vediamo anche con lei!

Sylvie                            - (sedendo) Come mai? Discordie in­terne ?

Auclair                          - Per carità! Differenze d'orario. Necessità professionali.

Sylvie                            - Se per caso la vedete un giorno, porgetele i miei saluti. Ditele che la ricordo sempre con simpatia.

Auclair                          - Troppo buona. E in che cosa pos­so esservi utile, cara signora?

Sylvie                            - Veramente ero venuta per racco­mandare un mio protetto che ha dato questa sera una sua tragedia all'Odèon...

Auclair                          - Ora dò subito ordine che...

Sylvie                            - Inutile. Già fatto.

Auclair                          - Davvero?

Sylvie                            - Avevo portato io l'articoletto bell'e pronto.

Auclair                          - Benissimo. Bella questa tragedia?

Sylvie                            - (confidenziale) Un orrore.

Auclair                          - Non ha importanza. Se l'autore è giovane, migliorerà col tempo.

Sylvie                            - Giovanissimo.

Auclair                          - Badate, amica mia, avrete delle delusioni.

Sylvie                            - La vita non è fatta di altro.

Auclair                          - E quel vostro caro marito come va?

Sylvie                            - Sono qui proprio per questo. Vo­levo parlarvi .di lui...

Auclair                          - Io sono tutt'orecchi. Vi confes­serò che m'interessa più vostro marito che non il vostro giovane protetto.

Sylvie                            - Perché non siete al mio posto.

Auclair                          - Dunque...?

Sylvie                            - Tra voi e mio marito in questo momento non c'è una grande armonia.

Auclair                          - Ma no. Vi garantisco anzi...

Sylvie                            - Andiamo, non dite le solite frasi di convenienza con me. Io e voi siamo troppo buoni amici. No?

Auclair                          - Lasciamo stare il passato. Cose vecchie.

Sylvie                            - Ma questo può permetterci almeno di esser sinceri ora... Su, ditemi. Che c'è tra André e voi?

Auclair                          - Qualche differenza di vedute.

Sylvie                            - Ma differenze serie o soltanto scioc­chezze di donne?

Auclair                          - Oh Dio...

Sylvie                            - Non sarà mica ancora la vecchia storia di vostra moglie che si trascina?

Auclair                          - Per carità.

Sylvie                            - M'era parso che fosse finita da un pezzo. Mio marito ora butta i suoi soldi con un'attrice del Variété!

Auclair                          - Lo so.

Sylvie                            - Che volete? A lui piacciono le gio­vinette. Non sta in me biasimarlo.

Auclair                          - Troppo giusto.

Sylvie                            - E allora?... Quest'odio improv­viso...?

Auclair                          - Odio... odio...

Sylvie                            - Sì, odio. Io l'ho capito da qualche frase di André a pranzo. «La vedremo! Quel filibustiere di Auclair... Quel farabutto... Quel pirata ».

Auclair                          - Sarà stato di cattivo umore! Cat­tiva digestione.

Sylvie                            - Eravate tanto amici... Poi la rela­zione si è allentata. Ma non c'era stato nessun conflitto fra voi due. Non capisco perché ora...

Auclair                          - Sono cose che è meglio se le sbri­ghino gli uomini fra loro.

Sylvie                            - Non chiederei di meglio: ma oramai ho una vecchia pratica di queste cose. So che quando due uomini si prendono a male pa­role in pubblico, chi ci va di mezzo sono sempre le mogli.

Auclair                          - Perché?

Sylvie                            - Perché voi adoperate tutte le armi che avete. Guardate: sei anni fa, quando André è stato eletto deputato di Besangon, sapete che cosa hanno avuto il coraggio di stampare - dico stampare - i fogli avversari durante la campagna elettorale? Che io ero Messalina e lui, povero André, il re dei Voi mi capite. Inaudito! Anche i bambini potevano leggerlo: era affisso sulle cantonate.

Auclair                          - (sorridente) Ma allora siete co­razzata. Con precedenti simili...

Sylvie                            - Questo succedeva in provincia. Non sarebbe mica piacevole che la cosa si ripetesse qui... Capirete... André è stato sottosegretario alla Marina. Può domani esser chiamato ancora a far parte del Ministero...

Auclair                          - Ne dubito.

Sylvie                            - Non è ancora un uomo finito: ha delle risorse. E poi voi sapete benissimo che queste nomine dipendono dal caso. Un pomerig­gio fortunato, una battuta di spirito felice... in­somma io vorrei che tra voi due non succedes­sero pasticci. Io vi conosco bene, tutti e due, e so che c'è tutto da temere da una polemica.

Auclair                          - Io non desidererei di meglio che evitarla.

Sylvie                            - Mio marito anche. Siate dunque gentile. Fatelo per me...

Auclair                          - Se mi fosse possibile.

Sylvie                            - Non è più possibile?

Auclair                          - Bisognerebbe che Weiss ripren­desse la sua posizione nel giornale.

Sylvie                            - Dice che voi siete un mascalzone.

Auclair                          - Questo non vorrebbe dire...

Sylvie                            - (sorridendo) In fondo è vero: un gran mascalzone. Ma come si fa? Io gli ho par­lato di venire ad un accordo finanziario. Ho paura che in questo momento non possa.

Auclair                          - C'è un altro giornale che lo spreme...

Sylvie                            - È quella sua amichetta: ha la mania dei gioielli.

Auclair                          - Per qualche mese glieli regali falsi.

Sylvie                            - Quelle sono donne che se ne inten­dono: è l'abiccì del loro mestiere. Abbiate pa­zienza voi per qualche mese. Vedrò di fargliela piantare e mettergli accanto qualcosa di più economico. Allora...

Auclair                          - Non posso più aspettare. (La lam­padina del telefono si accende. Egli stacca il microfono e parla) Permettete? (Al telefono) Sì... Che cosa viene a fare mia moglie al gior­nale a quest'ora? Dille che se ne vada a casa e mi lasci in pace. (Riappende).

Sylvie                            - La signora Auclair?

Auclair                          - Già. Avrà bisogno anche lei di de­naro. È incredibile come abbiamo tutti bisogno di denaro.

Sylvie                            - Auclair, voi siete un mascalzone, ma mi siete simpatico.

Auclair                          - Grazie.

Sylvie                            - Del resto non ve l'ho mai nascosto... (La lampadina del telefono si riaccende).

Auclair                          - Scusate. (Al telefono) Sì... Dam­mi la comunicazione... Pronti... Sono io... Ma sì. Vieni pure subito... Ti aspetto. Va bene. (Riappende) Era vostro marito. Forse ha in­tuito che voi stavate per pronunciare delle pa­role compromettenti, e, vedete, si precipita.

Sylvie                            - Viene qui?

Auclair                          - Così ha detto.

Sylvie                            - Allora vi metterete d'accordo?

Auclair                          - 0 ci guasteremo del tutto.

Sylvie                            - Sarebbe un peccato. Un vero pec­cato.

Auclair                          - (leggermente ironico) Non so perché, ma ho la sensazione che il vostro giovane autore di tragedie non vi dia le soddisfazioni che forse avevate sperato.

Sylvie                            - In fondo i giovani d'oggi sono di un'aridità! Non mandano neanche un fiore... Neanche se paghiamo noi il conto del fiorista! Niente! Non hanno delicatezze. (Scorgendo i guanti sulla scrivania) Di chi sono questi guanti ?

Auclair                          - Saranno della mia segretaria!

Sylvie                            - Brigante!... Allora, amici?

Auclair                          - Come no?

Sylvie                            - E se anche dovete insultarvi con mio marito, io vi prego di una cosa sola: la­sciate da parte me.

Auclair                          - Purché vostro marito non tiri in ballo mia moglie. Perché allora, capirete, biso­gna che io mi difenda...

Sylvie                            - Sentite: vi dò un'informazione. Credo che valga qualcosa.

Auclair                          - Sentiamo.

Sylvie                            - No. Ve la dico soltanto se mi pro­mettete di non parlare di me nelle vostre pole­miche.

Auclair                          - Guardate. (Prende dalla scrivania il foglietto che aveva scritto durante la scena precedente e legge a Sylvie) ce Uno dei nostri più ardimentosi e ascoltati uomini politici, forse per dimenticare le proprie disavventure coniu­gali... ».

Sylvie                            - Ah, cominciavate bene!

Auclair                          - Ero pieno di discrezione: dovete ammetterlo.

Sylvie                            - Buttate via.

Auclair                          - Buttiamo via. (Spiegazza il fo­glietto e lo butta nel cestino) Dite l'informa­zione.

Sylvie                            -  Conoscete il senatore Labouchère?

Auclair                          - Che cos'ha fatto?

Sylvie                            - Lui, niente. È svanito. Gioca a bezigue ogni sera al Club del Nord-Est.

Auclair                          - Non mi pare un'informazione ec­cessivamente interessante.

Sylvie                            - No. Ma suo figlio, Labouchère ju­nior, gioca anche a pocker.

Auclair                          - E ha perso?

Sylvie                            - Vince. Vince molto.

Auclair                          - Beato lui!

Sylvie                            - Ieri sera hanno scoperto in che mo­do vinceva. Credo che questa sia un'informa­zione utile.

Auclair                          - È ricco il vecchio Labouchère, no?

Sylvie                            - E avaro.

Auclair                          - A questo provvedo io. Potrebbe essere interessante per lui occuparsi un po' di più della vita politica del suo paese... (Stac­cando il ricevitore del telefono) Di'... chiamami al telefono il senatore Labouchère... Lo troverai al Club del Nord-Est. (Riappende) Per un uomo della sua età e della sua posizione, mi pare do­veroso pensare all'avvenire della nazione più che al bezigue. Non trovate, cara amica? (Lam­padina del telefono. Al microfono) Pronti... So­no io, Auclair... Caro senatore, come va la vo­stra partita?... Già... Avrei bisogno di par­larvi... Cose urgenti e che interessano voi... Do­mattina, per esempio... A mezzogiorno. Dove? No, al senato no. È meglio non farci vedere. Già: un affare... No, nessuna paura. Un affare che certamente vi sorriderà. Vedrete, vedrete domani. Alle dodici in punto al bar del Ritz... I miei omaggi. (Riappende).

Sylvie                            - Non ditegli che l'avete saputo da me.

Auclair                          - Voi sarete al riparo di tutto. (Dal fondo entra Colette).

Colette                          - C'è il deputato Weiss.

Auclair                          - Fallo aspettare un momento. Solo un momento. E bada che nessuno lo veda.

Colette                          - Va bene, signor direttore.

Auclair                          - Specialmente mia moglie. È an­cora di là?

Colette                          - Sì, signor direttore.

Auclair                          - Tu mi hai capito... (Colette esce dal fondo. Sylvie si alza).

Sylvie                            - Io me ne vado. Meglio che mio ma­rito non mi trovi qui, nella tana del leone.

Auclair                          - Potrebbe sospettare qualche cosa.

Sylvie                            - Invece voi siete così occupato.

Auclair                          - (galante) Però io i fiori ve li man­derei ogni giorno. Mi pare di avervi mandato delle tuberose, molte tuberose a Evian.

Sylvie                            - E non avete rimpianti?

Auclair                          - Cara amica, noi due siamo per­sone che non ritornano mai sui loro passi.

Sylvie                            - (vicino all'ascensore, con un sospiro) Avete ragione. (Colette rientra dal fondo).

Colette                          - Non ho potuto impedirlo: la si­gnora si è incontrata col signor Weiss...

Auclair                          - Va bene. (Bacia la mano a Sylvie, che entra nella cabina dell'ascensore).

Sylvie                            - (dall'interno dell'ascensore) Allora io posso dormire tranquilla?

Auclair                          - Per conto mio, sì. Tranquilla. (L'ascensore sparisce) Fa passare Weiss. (Colette esce ed introduce André Weiss, paletot e cappello in mano. Colette è sparita) Hai fatto bene a venire. Come stai?

Weiss                            - Sempre qualche disturbo di fegato. I medici dicono che non è niente di grave.

Auclair                          - Meglio così. E la signorina René?

Weiss                            - (con un gesto vago) Sciocchezze.

Auclair                          - Che costano.

Weiss                            - Sempre meno di un giornale. E ci danno qualche soddisfazione di più.

Auclair                          - (porgendo una scatola di sigari a Weiss ed accendendone uno) Vorresti dire che l'« Universel » non t'ha dato delle soddisfa­zioni?

Weiss                            - Non sei mai riuscito a farmi avere un portafogli.

Auclair                          - Ah! È questa la ragione del tuo rancore ?

Weiss                            - No: ma capirai che quando un de­putato vuota il proprio portafogli, vorrebbe al­meno...

Auclair                          - (bonario) Lo avrai il tuo porta­fogli. Te lo prometto io.

Weiss                            - Preferirei che me lo promettesse il presidente del Consiglio.

Auclair                          - Quello domani può non esser più al suo posto. Io invece...

Weiss                            - Mi dispiace, caro Auclair, ma è im­possibile.

Auclair                          - Hai già concluso con Barronnière?

Weiss                            - Ho firmato: e questa volta ho preso le mie garanzie. Sono venuto a dirtelo, perché è inutile che tu ti faccia delle illusioni su questo argomento.

Auclair                          - (molto calmo e come indifferente)             -  Io credo, caro Weiss, che tu abbia fatto male.

Weiss                            - Può darsi. Comunque è una cosa fatta.

Auclair                          - Niente è definitivo.

Weiss                            - Per me sì.

Auclair                          - Potresti magari farti iniziatore tu d'una fusione tra i nostri due giornali.

Weiss                            - (alzando le spalle) Ma se il pro­gramma politico è diverso!

Auclair                          - Queste sono inezie. L'importante è che resti io il direttore.

Weiss                            - (reciso) Insomma, no. Non c'è più niente da fare. (E si alza).

Auclair                          - (lentamente) E l'Aviopostale?

Weiss                            - Che cosa c'è?

Auclair                          - Ti domando notizie dell'Aviopostale.

Weiss                            - Che cosa vuoi che ne sappia io più degli altri?

Auclair                          - È strano!... Credevo che tu ne sa­pessi qualche cosa di più. A te non risulta che ci sia stato un apporto di cinquanta milioni di nuove azioni?

Weiss                            - Può darsi. Un'operazione di Borsa.

Auclair                          - Non sei stato tu a trovare gli azio­nisti?... Chiamiamoli azionisti: bisognerebbe chiamarli « benefattori ».

Weiss                            - Io trovare gli azionisti? Sei pazzo. È gente che investe i propri capitali come me­glio crede.

Auclair                          - Già: li investe, perché ha creduto a una concessione che il Governo avrebbe fatta all'Aviopostale e di cui tu hai dato le garanzie.

Weiss                            - E se anche fosse?

Auclair                          - Questa concessione non è mai stata autorizzata. E non lo sarà mai. La tua Aviopo-stale non è che una solenne truffa, mio caro.

Weiss                            - Ti proibisco!

Auclair                          - (aprendo un cassetto della scrivania) Ho qui i documenti. E non parlo della qua­lità degli apparecchi: tutti acquistati di seconda mano, il che spiega le molte disgrazie accadute di recente e che si potrebbero anche chiamare omicidi... Va', va' pure con Barronnière. Ve­drai che ci divertiremo.

Weiss                            - (ironico) Credi proprio?

Auclair                          - Io ti conosco bene: so quali sono i tuoi punti deboli. Compra domattina l'« Uni­versel » e in prima pagina troverai una notizia che t'interesserà personalmente.

Weiss                            - (livido) Farabutto.

Auclair                          - E tu allora?

Weiss                            - Io? Io sostengo un'impresa che...

Auclair -                        - Sta' zitto. Ho qui, in questa car­tella, la lettera riservata che tu hai mandato al presidente del comitato promotore. Già: è qui. Con tutte le notizie false che tu davi. Ho poi anche la fotografia della lettera che il presi­dente ha spedito a te, dove ti si assicura una percentuale cospicua su tutte le sottoscrizioni... Come vedi, io sono a posto per una tua even­tuale querela per diffamazione!

Weiss                            - Tu non mi attaccherai.

Auclair                          - Ah no? Se credi che io abbia paura di te!

Weiss                            - Non mi attaccherai.

Auclair                          - Perché?

Weiss                            - Perché se mi attacchi, rispondo.

Auclair                          - Sono curioso di leggere le tue ri­sposte! Correggerò gli errori di sintassi...

Weiss                            - Puoi ridere, non credo che riderai a lungo.

Auclair                          - E tu puoi rinunziare per sempre ad essere ministro. Provvedo io.

Weiss                            - Non mi attaccherai. Tu hai qualche documento che può darmi delle noie, ma io ne ho di ben più compromettenti.

Auclair                          - Compromettenti per me?

Weiss                            - Sì, caro. Per te.

Auclair                          - Che cosa vuoi che me ne importi? Me ne hanno dette tante, e io sono sempre qui.

Weiss                            - Forse questa volta sentirai qualche cosa di nuovo.

Auclair                          - (vagamente inquieto) Ah, ma al­lora la faccenda diventa ancora più interessante. Tu mi metti l'acquolina in bocca. Di che si trat­terebbe, se non sono indiscreto?

Weiss                            - Che cos'hai in quel dossier? Due lettere, hai detto. Ho delle lettere anch'io.

Auclair                          - Mie?

Weiss                            - No. Sarebbero meno piacevoli, in ispecie per il pubblico.

Auclair                          - (alzando le spalle) Allora adope­rale pure.

Weiss                            - Sono di tua moglie.

Auclair                          - (Pausa. Tira qualche boccata dal si­garo) Dì mia moglie a te?

Weiss                            - Già. Se le vuoi leggere, compra do­podomani l'cc Après-midi », e potrai essere sod­disfatto.

Auclair                          - Ti trovo volgare e meschino.

Weiss                            - Ah sì?

Auclair                          - Meschino, perché lettere di quel genere non possono intaccare affatto la mia mo­ralità. Volgare, perché un gentiluomo non met­te in pubblico le lettere ricevute da una donna.

Weiss                            - Infatti, non ci avrei pensato, se in quelle lettere ci fossero soltanto le solite pue­rilità: ti amo, sei la mia vita, non posso vivere senza di te.

Auclair                          - C'è dell'altro?

Weiss                            - Sì. Si parla più di te che di me, in quelle lettere. Si parla in ispecie dei tuoi bi­sogni di denaro. E quando tu non osavi doman­dare nuovi versamenti a me, me li facevi do­mandare dalla tua signora.

Auclair                          - E lei, queste cose le metteva per iscritto ?

Weiss                            - Ognuno ha i suoi pudori.

Auclair                          - Idiota!

Weiss                            - T'immagini ora che divertimento per i lettori! Può darsi che io non diventi più ministro, ma tu, mio caro, dovrai andare a diri­gere i tuoi giornali alle isole Hawai!

Auclair                          - (minacciosamente) E se ti ammaz­zassi?

Weiss                            - Li andresti a dirigere alla Guyana!

Auclair                          - (dominandosi) André, tutto que­sto è indegno di noi!

Weiss                            - (cavando dalla tasca della pelliccia un pacchetto di lettere legato con un nastrino verde) Eccole qua. Sono una ventina. Che cosa ne dici?

Auclair                          - E tu conservi tutte le lettere delle donne che ti hanno scritto?

Weiss                            - No. Ma queste erano particolar­mente interessanti. Non sei di questo parere?

Auclair                          - Mi potranno servire nel caso che volessi divorziare.

Weiss                            - Bisognerebbe che io te le dessi.

Auclair                          - (bonario) Oh, me le darai!

Weiss                            - In cambio di che?

Auclair                          - Del mio silenzio.

Weiss                            - Se credi che io mi fidi delle tue promesse!

Auclair                          - Toh! (Gli dà il fascicolo che ave­va tolto dal cassetto) Ti fidi ora?

Weiss                            - Rinunci? Vuol dire che hai tro­vato altri apporti finanziari.

Auclair                          - Forse. Un senatore avaro e una nazione Baltica senza risorse.

Weiss                            - Sei impagabile. Tu non affonderai mai.

Auclair                          - Lo spero.

Weiss                            - (dandogli il pacchetto delle lettere) Sono tutte.

Auclair                          - Ti credo.

Weiss                            - E non hai altri argomenti contro di me?

Auclair                          - Ho quello che so. Il ricordo.

Weiss                            - (sorridendo) Quello, anch'io. Ma col tempo... i ricordi...

Auclair                          - Tutto scolorisce. Io sono sicura che un giorno ritorneremo amici.

Weiss                            - Ma lo siamo già! E se quel Barronnière... Mah, vedremo! In fondo sono convinto I che tu vali di più!

Auclair                          - (ridendo) Eh, ne sono convinto anch'io! Sei stato tu a...

Weiss                            - Che vuoi? Debolezze! (Si accende una lampadina del telefono).

Auclair                          - (al microfono) Sì... Ah! Dubon-net? Ha torto. Di' a Vallon che fra tre giorni Dubonnet farà un nuovo contratto e a condi­zioni più gravi. (Riappende).

Weiss                            - (avviandosi) Se posso esserti utile, senza complimenti... Ho messo qualche capitale da Dubonnet.

Auclair                          - Lascia fare a me: provvedo da solo.

Weiss                            - Qua la mano. In fondo, sapevo, sai, che ci si sarebbe messi d'accordo.

Auclair                          - (accompagnandolo all'ascensore e sorridendo) Ti raccomando, a pranzo, non mi dare più del filibustiere.

Weiss                            - Io?... Chi ti ha detto?

Auclair                          - Niente, niente. Sai bene che so tutto... Arrivederci. (Weiss è entrato nell'ascensore e l'ascensore è disceso. Auclair torna len­tamente alla scrivania, guarda il pacchetto di lettere, alza le spalle con disgusto, preme il tasto della lampadina per avvertire di là che è libero: l'ascensore ricompare, il cancellato si ; apre ed Albert Dac si avanza. Auclair, sorpreso, torna a premere il tasto della lampadina per significare che è occupato, poi prende i guanti che erano rimasti sulla scrivania per sottrarli alla vista del nuovo venuto. Uno cade per terra. Egli mette l'altro nel cassetto).

Dac                               - Perché non mi volete ricevere?

Auclair                          - Non ho mai detto che... E poi, non si sale da quell'ascensore.

Dac                               - Vedere il proprio direttore è un desi­derio più che legittimo da parte di un redat­tore viaggiante, rimasto tanto tempo tra i ghiac­ci polari: no?

Auclair                          - Vallon dice che la vostra nota-spese è eccessiva.

Dac                               - Dica quello che vuole purché paghi... (E non distoglie lo sguardo dal guanto caduto per terra).

Auclair                          - Io ho messo il visto distrattamente questa mattina.

Dac                               - Davvero? È proprio un peccato che il mio direttore sia così distratto... Quasi quanto mia moglie... Già, mia moglie, che, venendo qui, vi dimentica i suoi guanti...

Auclair                          - Vostra moglie?

Dac                               - Mia moglie, Germaine... Vedo lì per terra uno dei suoi guanti. Li conosco. Scom­mettiamo, caro signor Auclair, che quel guanto ha ancora il profumo « Ange bleu » di Worth ? (Si curva e raccoglie il guanto. Lo odora) In­fatti...

Auclair                          - Io non capisco.

Dac                               - No? Eppure dovreste saperlo meglio di me. (Cambiando tono) Voi siete l'amante di mia moglie...

Auclair                          - Io?

Dac                               - Sì. Voi. Avevo dubitato, da qualche insinuazione... Tu, tu! Mentre io lavoravo per te, mentre mi avevi spedito al Polo - l'avevi fatto probabilmente apposta, eh? - tu ti occu­pavi di Germaine! (Gli si è avvicinato, fino a prenderlo per il bavero attraverso la scrivania).

Auclair                          - Vi ordino di uscire! Qui voi siete davanti al vostro direttore!

Dac                               - No. Non esco.

Auclair                          - Non uscite? E io chiamo la po­lizia!

Dac                               - Sì?

Auclair                          - (staccando il microfono) Colette, dammi la linea!

Dac                               - (sibilante) Farabutto! Miserabile!

Auclair                          - (forma il numero) Voi siete paz­zo. E lascerete immediatamente, non solo que­sto studio, ma anche il giornale... E per sempre! (ÀI telefono) Con chi parlo?... L'ispettore di servizio, per favore... Sì. Sono Auclair, diret­tore dell'a Universel »... Volete essere così cor­tese di venire subito al giornale?... Sì... Una cosa urgente.

Dac                               - Miserabile!

Auclair                          - Vi aspetto, signor Vanel. (La sce­na si oscura di colpo).

Vanel                            - (nel buio) E a quella chiamata io sono accorso. Tutto quanto avete udito, è quello che, questa notte, secondo i risultati delle mie indagini, deve essere accaduto tra queste pareti. (La luce ritorna. Auclair è scomparso. Vanel è in piedi vicino alla scrivania. Servai, Weiss, Bergmann, Romorin, Vallon e Dac sono disposti in varie attitudini nello studio. Lucienne è se­duta, il viso tra le mani. Colette è in piedi, ri­gida, dietro la scrivania. Un agente è presso la porta del fondo. Dac è tremante, sconvolto, schiacciato) Quest'uomo, accecato dalla gelosia, avendo scoperto il tradimento di sua moglie, ha colpito il suo direttore...

Serval                            - Ma non è possibile... Se Dac si tro­vava con me...

Vanel                            - Quando siete ritornati dal Caffè, ti ha lasciato per andare a comprare dei Voltigeurs. È salito di là, da quell'ascensore. Depu­tato Weiss, non è questo l'individuo che ieri sera ha adoperato l'ascensore di cui avevate la­sciato aperte le porte?

Weiss                            - Credo.

Vanel                            - Del resto, non tenta neppure di ne­gare. Compiuto il colpo, è ridisceso coll'ascen-sore, è entrato al giornale dall'altra parte, si è fatto vedere dai compagni, ha fatto una,telefo­nata all'Agenzia Havas, imitando la voce del di­rettore! È tutto esatto, Albert Dac?

Dac                               - Quell'uomo mi aveva portato via Ger­maine. Voi non potete immaginare che cosa fosse Germaine per me! Ho avuto la sensazione che tutti al giornale lo sapessero, oramai, e ri­dessero tra di loro, di me e della mia ingenuità. Allora l'ho affrontato. Si è messo a ridere anche lui! Non ci ho visto più...

Colette                          - (con uno scatto improvviso) Men­tite!

Dac                               - Io? Mentisco?

Colette                          - (implacabile) Sì, voi. E anche l'i­spettore s'inganna quando parla della vostra gelosia. Il colpevole siete voi, ma il movente è ben altro. Volete far credere a un delitto pas­sionale perché i giurati vi assolvano. È questo che sperate? Ma io non vi faccio assolvere. Io so la verità!

Vanel                            - Quale verità?

Colette                          - (a Dac) Non avrete l'indulgenza dei giurati! La ghigliottina... Sono io che ve la faccio dare! Io!

Dac                               - (facendo per scagliarsi contro Colette) Taci! (Vanel lo trattiene).

Colette                          - No: parlo. Hai ucciso Roberto... E sapete perché l'ha ucciso? L'amore, la gelo­sia, tutti i sentimenti cavallereschi non c'entra­no per niente. Per niente. Dac non è mai stato al Polo.

Dac                               - Che dici?

Colette                          - Io so tutto! È stata una com­media...

Vanel                            - Per darla ad intendere a Auclair?

Colette                          - No. Anche Auclair sapeva. È lui che mi ha messa al corrente. Per forza: le cor­rispondenze passavano per le mie mani. Ero io che sapevo di dove venivano. Da Parigi, signori. Tutte.

Vallon                           - E quel conto-spese?

Colette                          - Fantasia. Il viaggio era stato idea­to allo scopo di intascare quel conto-spese.

Vanel                            - E Auclair si prestava?

Colette                          - Comperava il silenzio del marito compiacente.

Dac                               - Non è vero. Io...

Colette                          - Tu e tua moglie, soci tutti e due per sfruttarlo, per sfruttare il direttore e le sue debolezze!

Vanel                            - Ma allora, la uccisione?

Colette                          - Era un uomo perduto. Ha esage­rato colle spese e ha esagerato ancora di più falsificando la firma del direttore e mettendo da sé il visto al proprio conto.

Vallon                           - Era falso?

Colette                          - Allora Auclair ha perso la pa­zienza. Probabilmente anche perché era stanco di quella donna che non gli dava requie. Gli ha detto: basta. Ha minacciato di smascherarlo, di far conoscere a tutti il suo trucco. Dac come giornalista era rovinato. Quando ha visto che Auclair faceva sul serio... che aveva chiamato la polizia... allora...

Dac                               - Sono menzogne! Come puoi prova­re...?

Colette                          - Ho conservato tutte le buste coi francobolli! Parigi! Non Alaska, non Groenlan­dia, non Russia... Parigi!

Dac                               - (schiantato) Ma si può sapere che cos'hai contro di me?

Colette                          - (al colmo dell' esasperazione) Ho... contro di te e contro tua moglie... ho che... io sono la sola che... la sola che... (E scoppia a piangere).

Serval                            - (avvicinandosi a lei. Con dolcezza) Colette... (L'agente, su un cenno di Vanel, si è avvicinato a Dac).

Weiss                            - (piano a Vanel) Credo però che sia inutile far sapere tutto questo.

Vanel                            - Non dubiti, signor deputato. Sol­tanto lo stretto necessario.

Weiss                            - Grazie, Vanel. Parlerò di voi al Pre­fetto di polizia.

Vanel                            - Troppo buono.

                                                                  FINE