L’ombra

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L'OMBRA

L'OMBRA

Titolo originale: « Ten' »

 

Fiaba in tre atti

di EUGENIJ SVARTZ

Versione italiana di MILLY DE MONTICELLI e EVELINA SATZ

PERSONAGGI

LO SCIENZIATO

LA SUA OMBRA

PIETRO              - (padrone dell'albergo)

ANNUNZIATA             - (sua figlia)

GIULIA GIULI             - (la cantante)

LA PRINCIPESSA

IL PRIMO MINISTRO

IL MINISTRO DELLE FINANZE

CESARE BORGIA        - (giornalista)

IL CONSIGLIERE SEGRETO

IL MEDICO

IL BOIA

IL MAGGIORDOMO

IL CAPORALE

Dame di corte

Cortigiani

Villeggianti

La sorella di svaghi

La sorella di misericordia

Gli araldi del re

I lacchè del ministro delle finanze

La guardia

Cittadini

Commedia formattata da

... E lo scienziato s'arrabbiò, non tanto perché la sua ombra lo aveva abban­donato, quanto perché ricordò la nota storia dell'uomo senz'ombra, che tutti conoscevano, che ogni uomo del suo paese conosceva. Se tornasse a casa ora, e raccontasse la sua storia, tutti direbbero che s'è messo a imitare gli altri.

... Quel soggetto altrui mi sembrava en­trato nella mia carne e nel mio sangue, lo ricreai, e solo dopo lo diedi alla luce... (H.C. Andersen, La fiaba della mia vita)

(H. C. Andersen, L'ombra)

ATTO PRIMO

Piccola stanza di un albergo, in un paese del sud. Due porte. Una dà sul corridoio, l'altra su un balcone. Crepuscolo. Il giovane scienziato è mezzo sdraiato sul divano. Ha ventisei anni. Tasta sul tavolo per cercare gli occhiali.

Lo scienziato                   - Perdere gli occhiali non è davvero piacevole. Ma nello stesso tempo è meraviglioso; alle prime luci della sera la mia camera ha qualcosa d'in­solito. Quel plaid gettato sulla poltrona ora mi pare la mia buona e cara principessa. Io l'amo, e lei è venuta a trovarmi. Certamente non è sola. Le prin­cipesse non devono uscire senza il corteo. Questo orologio stretto e lungo nell'astuccio di legno, non è affatto un orologio. È l'eterno accompagnatore della principessa, il consigliere segreto. Il suo cuore batte monotono come un pendolo, i suoi consigli mutano secondo le esigenze del tempo, e li sussurra a voce bassa. Non per niente è segreto. E se i con­sigli del consigliere segreto si rivelano rovinosi, lui, allora, si rifiuta di riconoscerli suoi. Afferma che non l'hanno inteso bene, semplicemente, e ciò è mol­to pratico da parte sua. Chi è? Chi è questo scono­sciuto magro e ben fatto, tutto in nero, col viso bianco? Perché m'è saltato improvvisamente in te­sta che sia proprio il fidanzato della principessa? So­no io, che amo la principessa! Sono cosi innamorato di lei che sarebbe semplicemente mostruoso se spo­sasse un altro. (Ride) Il fascino di queste fantasie sta nel fatto che appena infilo gli occhiali, tutto tor­na al suo posto. Il plaid torna ad essere plaid, l'oro­logio orologio; e questo sinistro sconosciuto spari­sce. (Tasta sul tavolo) Eccoli, gli occhiali. (Se li mette e sussulta) Ma cosa succede? (Sulla poltrona siede una bella ragazza, riccamente vestita e con la maschera. Alle sue spalle un vecchio calvo con una giacca di panno su cui spicca una stella. Stretto contro la parete sta un uomo lungo, magro e pallido in frac nero e sfavillante camicia bianca. Al dito un brillante. Lo scienziato sussurra accendendo la can­dela) Cosa succede? Sono un modesto scienziato, come mai sono venuti da me ospiti tanto impor­tanti? Salve, signori! Sono lieto di vedervi, signori, ma... potete spiegarmi a cosa devo questo onore? Tacete? Ah, ho capito. Sto sognando.

La ragazza in maschera   - No, non è un sogno.

Lo scienziato                   - Davvero? Allora, cos'è?

La ragazza in maschera   - È una favola, cosi. Ad­dio, signor scienziato. Ci rivedremo.

L'uomo in frac                 - Arrivederci scienziato! Ci incon­treremo ancora.

Il vecchio con la stella     - (a voce bassa) Arrive­derci, illustre scienziato! Ci incontreremo ancora, e forse finirà tutto bene se sarete ragionevole. (Bus­sano alla porta, tutti e tre spariscono)

Lo scienziato                   - Ma guarda che storia! (Bussano ancora) Avanti! (Entra Annunziata, una ragazza bru­na con grandi occhi neri. Ha un viso estremamente volitivo, invece i modi e la voce sono dolci e inde­cisi. È molto bella. Ha diciassette anni)

Annunziata                      - Scusate signore, avete ospiti... Ma...

Lo scienziato                   - Cosa c'è Annunziata?

Annunziata                      - Ho sentito chiaramente delle voci, nella vostra stanza.

Lo scienziato                   - M'ero addormentato e parlavo in sogno.

Annunziata                      - Ma... scusate... io ho udito una voce di donna.

Lo scienziato                   - Ho sognato la principessa.

Annunziata                      - C'era anche un vecchio che mor­morava qualcosa sottovoce.

Lo scienziato                   - Ho sognato il consigliere segreto.

Annunziata                      - E c'era un uomo, mi sembra che gridava.

Lo scienziato                   - Era il fidanzato della principessa. Ebbene? Ora siete convinta che mi sono apparsi in sogno? Vi pare possibile che mi appaiano nella real­tà, ospiti cosi poco piacevoli?

Annunziata                      - State scherzando?

Lo scienziato                   - Si.

Annunziata                      - Grazie. Siete sempre tanto gentile con me. Probabilmente erano voci che venivano dalla camera accanto e ho fatto confusione. Ma... Non ve la prendete? Posso dirvi una cosa?

Lo scienziato                   - Ma certo, Annunziata.

Annunziata                      - Da molto voglio avvertirvi. Non ar­rabbiatevi... Voi siete uno scienziato e io una povera ragazza. Però... posso raccontarvi qualcosa che io so, e che voi non sapete. (Fa un leggero inchino) Perdo­natemi per la mia arroganza.

Lo scienziato                   - Vi prego! Parlate. Insegnatemi qualcosa! Io faccio lo scienziato e gli scienziati de­vono apprendere tutta la vita.

Annunziata                      - State scherzando?

Lo scienziato                   - No. Parlo con assoluta serietà.

Annunziata                      - Grazie. (Si volta a guardare la por­ta) Nei libri sul nostro paese si scrive tanto del cli­ma sano, dell'aria limpida, dei paesaggi meravigliosi, del sole caldo... insomma voi sapete solo quello che dicono i libri.

Lo scienziato                   - Certo che lo so. Per questo sono venuto qui.

Annunziata                      - E di noi conoscete quello che sta scritto nei libri, ma non quello che non sta scritto.

Lo scienziato                   - Capita, a volte, agli scienziati.

Annunziata                      - Non sapete che siete in un paese molto particolare; tutto ciò che raccontano le fiabe, che alla gente di altri paesi sembra fantasia, da noi capita nella vita di tutti i giorni. Per esempio, la Bella Addormentata viveva a cinque ore di cammi­no dalla tabaccheria che si trova a destra della fon­tana. Ma adesso la Bella Addormentata è morta. L'Orco vive ancora e lavora al Monte di Pietà della nostra città come estimatore. Tredicino si è sposato con una donna molto alta detta il Granatiere, e i loro figli son gente di statura normale come noi. E sapete quello che è strano? Quella donna, detta il Granatiere, è assolutamente sottomessa a Tredicino. Se lo porta dietro persino al mercato. Tredicino sta nella tasca del suo grembiule e mercanteggia come un diavolo. Però vanno molto d'accordo. La moglie è piena di attenzioni verso il marito. Ogni volta, quando ballano il minuetto, alle feste, la donna si mette gli occhiali con doppia lente per non correre il rischio di schiacciarlo.

Lo scienziato                   - È molto interessante. Perché non le scrivono queste cose?

Annunziata                      - (voltandosi verso la porta) Non a tutti piacciono le fiabe.

Lo scienziato                   - Possibile?

Annunziata                      - Potete bene immaginarlo! (Si volta ancora verso la porta) Abbiamo una terribile paura che se si venisse a sapere tutto, la gente finirebbe col non venire più. E sarebbe un bel guaio! Non traditeci, per favore.

Lo scienziato                   - No, non lo dirò a nessuno.

Annunziata                      - Grazie. Il mio povero papà ama molto il denaro e io mi dispererei se guadagnasse meno di quello che pensa. Quando è di cattivo umo­re bestemmia terribilmente.

Lo scienziato                   - Ma a me sembra che il numero dei turisti aumenterebbe se la gente sapesse che le fiabe, nel vostro paese, sono vere.

Annunziata                      - Se venissero i bambini, certo, sa­rebbe cosi. Ma i grandi sono prudenti. Tutti sanno che molte fiabe hanno una fine triste. È proprio di questo che volevo parlarvi. Siate prudente.

Lo scienziato                   - Ma come? Per non prendere il raffreddore bisogna coprirsi. Per non cadere, biso­gna guardare dove si mettono i piedi. Ma come si fa a salvarsi da una fiaba con la fine triste?

Annunziata                      - Beh... non so... Non dovete parlare con gente che non conoscete abbastanza.

Lo scienziato                   - Allora devo tacere sempre, sono straniero.

Annunziata                      - Dico davvero, siate prudente, per favore! Voi siete molto buono, ed è proprio alla gente buona che capitano più facilmente le disgrazie.

 Lo scienziato                  - Come fate a sapere che sono buono?

Annunziata                      - Sto spesso in cucina. La nostra cuoca ha undici amiche che sanno tutto quello che succede, che è successo e che succederà. Non gli si può nascondere niente. Sanno quello che capita in ogni famiglia, come se le pareti delle case fossero fatte di vetro. Noi, in cucina, ridiamo, piangiamo, e inorridiamo. Quando avvengono fatti particolar­mente interessanti, tutte le pentole bruciano. Loro dicono in coro che siete un uomo meraviglioso.

Lo scienziato                   - Sono le amiche della cuoca che vi hanno detto che in questo paese le fiabe sono realtà?

Annunziata                      - Si.

Lo scienziato                   - Sapete, la sera, senza occhiali sono pronto a crederci. Ma la mattina, uscendo di casa, vedo tutto diverso, il vostro paese, ahimè, as­somiglia a tutti i paesi del mondo. Ricchezza e po­vertà, nobiltà e schiavitù, morte e disgrazie, intelli­genza e stupidità, santità, delitto, coscienza e spudo­ratezza, tutto mescolato insieme in maniera cosi compatta da far spavento. È molto difficile distri­care tutto questo, analizzare e mettere ordine, senza fare del male a qualche creatura. Nelle fiabe è tutto più semplice.

Annunziata                      - (facendo un leggero inchino) Vi rin­grazio.

Lo scienziato                   - Perché?

Annunziata                      - Perché parlate tanto bene con una povera ragazza come me.

Lo scienziato                   - Niente, capita agli scienziati. Ma dite, il mio amico Hans Christian Andersen, che vi­veva in questa stanza, prima di me, le conosceva queste fiabe?

Annunziata                      - Si, in qualche modo era venuto a saperle.

Lo scienziato                   - E cosa ne diceva?

Annunziata                      - Ha detto: "L'ho sospettato tutta la vita, che scrivevo la pura verità." Amava molto la nostra casa. Gli piaceva questo silenzio. (Uno sparo assordante)

Lo scienziato                   - Cos'è?

Annunziata                      - Oh, non fateci caso. È mio padre che ha litigato con qualcuno, è un tipo eccitabile. Appena succede qualcosa spara. Ma finora non ha mai ucciso nessuno. È nervoso e mira male.

Lo scienziato                   - Capisco. È un fenomeno che co­nosco. Se fosse più centrato non sparerebbe cosi spesso. (Dietro le quinte, con un ruggito: "Annun­ziata!")

Annunziata                      - (docile) Vengo, papà, caro. Arrive­derci. Ah, avevo dimenticato la ragione per cui ero venuta: cosa volete per colazione, caffè o latte? (La porta si spalanca con gran fracasso. Entra di corsa un uomo ben fatto, largo di spalle, giovanile. Asso­miglia ad Annunziata. Tetro, non guarda negli occhi. È il padrone dell'albergo, il padre di Annunziata, Pietro)

Pietro                               - Perché non vieni quando ti si chiama? Va' subito a caricare la pistola. Eppure hai sentito che tuo padre sparava. Tutto bisogna spiegarle, bi­sogna farle battere il naso in ogni cosa. Io ti am­mazzo!

Annunziata                      - (tranquilla e coraggiosa si avvicina al padre e lo bacia sulla fronte) Vengo, paparino. Arrivederci, signore. (Esce)

Lo scienziato                   - Mi pare che vostra figlia non ab­bia paura di voi, signor Pietro.

Pietro                               - No, possano sgozzarmi! Si comporta con me come se fossi il padre più tenero della città.

Lo scienziato                   - Forse è cosi.

Pietro                               - Non è affar suo il saperlo. Non posso sopportare che si indovinino i miei sentimenti e i miei pensieri. Ragazzaccia! E sempre scocciature. L'inquilino del numero 15 ha rifiutato un'altra volta di pagare. Dalla rabbia ho sparato sull'inquilino del numero 14.

Lo scienziato                   - Anche quello non paga?

Pietro                               - Paga. Ma il quattordici è una nullità. Il nostro primo ministro non lo può sopportare. E quel maledetto mangiaufo, il quindici, lavora nel nostro tre volte schifoso giornale. Vadano tutti all'infer­no! Giro come un cavatappi, cavo i soldi dagli in­quilini del mio misero albergo, e non riesco a sbar­care il lunario. Mi tocca fare anche l'impiegato per non crepare di fame.

Lo scienziato                   - Davvero avete anche un impiego?

Pietro                               - Si.

Lo scienziato                   - Dove?

Pietro                               - Faccio lo stimatore al Monte di Pietà. (Improvvisamente comincia una musica, a tratti ap­pena percettibile, a tratti forte come se venisse dalla stessa stanza)

Lo scienziato                   - Dite... ditemi... Dite, per favore, da dove viene questa musica?

Pietro                               - Dalla casa di fronte.

Lo scienziato                   - Chi ci abita?

Pietro                               - Non lo so. Dicono che ci stia una prin­cipessa della malora.

Lo scienziato                   - Una principessa?

Pietro                               - Dicono. Sono venuto per una faccenda. Questo maledetto numero 15 vi chiede di riceverlo. Questo imbrattacarte! Questo ladro che pretende di vivere gratis in una stanza bellissima. Potete?

Lo scienziato                   - Certo. Ne sarò lieto.

Pietro                               - Non rallegratevi prima del tempo. Arri­vederci! (Esce)

Lo scienziato                   - Il padrone della pensione fa lo stimatore al Monte di Pietà. L'orco? Ma pensate un po'! (Apre la porta che dà sul balcone. Si vede il muro della casa di fronte. La via è stretta. Il bal­cone della casa di fronte tocca quasi il balcone dello scienziato. Appena aperta la porta entra il rumore della strada. Nel frastuono si odono delle voci di­stinte)

Voci                                 - Angurie, angurie! A fette!

Voci                                 - Acqua, acqua, acqua gelata!

Voci                                 - Ecco, coltelli per gli assassini. A chi oc­corrono coltelli da assassini?!

Voci                                 - Fiori, fiori! Rose! Gigli! Tulipani!

Voci                                 - Largo all'asino! Largo all'asino! Tiratevi da una parte, gente, passa l'asino!

Voci                                 - Date qualcosa a un povero muto!

Voci                                 - Veleni, veleni, veleni freschi!

Lo scienziato                   - La nostra strada ribolle come una caldaia. Quanto mi piace, qui! Se non fosse per la mia eterna inquietudine, se il mondo non mi sem­brasse infelice perché non ho ancora inventato qual­cosa per aiutarlo, starei proprio bene. E quando la ragazza che abita di fronte esce sul balcone, mi sem­bra che basti fare un piccolo sforzo, soltanto un pic­colo sforzo, perché tutto mi diventi chiaro. (Entra una giovane donna molto bella e molto elegante. Strizza gli occhi e si guarda attorno. Lo scienziato non la nota) Se c'è un'armonia nel mare, nei monti, nei boschi, in te stesso, significa che il mondo è fatto meglio di...

La donna                         - Questo non avrà successo...

Lo scienziato                   - Scusate.

La donna                         - No, non l'avrà. In ciò che mormora­vate non c'è neppure un'ombra di acutezza. È il vo­stro nuovo articolo? Dove siete? Cosa vi succede, oggi? Non mi riconoscete?

Lo scienziato                   - Scusate, no.

La donna                         - Basta prendermi in giro per la mia miopia. Non è elegante. Ma dove siete?

Lo scienziato                   - Eccomi. (Si avvicina alla scono­sciuta)

La donna                         - (sinceramente stupita) Chi siete?

Lo scienziato                   - Sono uno scienziato straniero. Abito qui, in pensione. Ecco chi sono.

La donna                         - Scusate. I miei occhi mi hanno di nuo­vo ingannato. Non è il numero 15?

Lo scienziato                   - Spiacente, no.

La donna                         - Che viso buono e simpatico. Perché non fate ancora parte del nostro circolo, il circolo della gente autentica.

Lo scienziato                   - Che circolo è?

La donna                         - Oh, ci sono artisti, scrittori, cortigiani. Ogni tanto ci capita anche un ministro. Siamo ele­ganti, senza pregiudizi, e comprendiamo tutto. Voi siete celebre?

Lo scienziato                   - No.

La donna                         - Peccato! Non sarebbe nelle nostre re­gole. Ma... Ma io sono disposta a perdonarvelo per­ché mi siete subito piaciuto. Non ve la prendete con me?

Lo scienziato                   - No. Perché?

La donna                         - Posso restare un momento con voi?

Lo scienziato                   - Certamente.

La donna                         - Mi pare che siate proprio l'uomo che cerco da tutta la vita. A volte credevo d'averlo in­contrato dalla voce e dai discorsi, ecco è lui, ma visto da vicino era sempre una delusione. E torna­re indietro era tardi, ormai, l'avevo avvicinato trop­po. È una cosa terribile essere bella e miope. Vi ho annoiato?

Lo scienziato                   - Ma no, cosa dite?!

La donna                         - Con quanta semplicità e naturalezza mi rispondete. Lui, invece, mi irrita sempre.

Lo scienziato                   - Chi?

La donna                         - La persona che sono venuta a trovare. Un uomo terribilmente inquieto. Vuole piacere a tutto il mondo. È schiavo della moda. Ecco, per esempio, quando era di moda essere abbronzati, è diventato nero come un africano. Poi improvvisa­mente l'abbronzatura è passata di moda. Allora ha deciso di farsi operare. I medici gli hanno fatto una plastica con la sola pelle bianca che avesse, quella sotto gli slip.

Lo scienziato                   - Spero che non ne abbia avuto conseguenze.

La donna                         - No. È diventato estremamente spu­dorato. Uno schiaffo lo chiama sculaccione.

Lo scienziato                   - E allora perché andate da lui?

La donna                         - Cosi, dopotutto fa parte del nostro cir­colo, il circolo della gente autentica. Poi, lavora in un giornale. Ma voi sapete chi sono, io?

Lo scienziato                   - No.

La donna                         - Sono una cantante. Mi chiamo Giulia Giuli.

Lo scienziato                   - Ah, siete molto nota in questo paese!

Giulia                               - Si. Tutti conoscono le mie canzoni: "Mamma, cos'è l'amore?" "Signorine, fate in fretta a trovare la felicità", "La sua angoscia d'amor mi lascia fredda", e "Ah, perché non sono un praticel­lo!" Siete medico?

Lo scienziato                   - No, sono uno storico.

Giulia                               - Siete qui per riposare?

Lo scienziato                   - Sono qui per studiare la storia del vostro paese.

Giulia                               - Il nostro paese è piccolo.

Lo scienziato                   - Si, ma la sua storia è simile a tutte le altre. E questo mi fa piacere.

Giulia                               - Perché?

Lo scienziato                   - Vuol dire che ci sono leggi, al mondo, comuni a tutti. Quando stai sempre nello stesso posto, nella stessa stanza e vedi sempre le stesse persone che sono gli amici che hai scelto, il mondo ti sembra semplice, ma appena esci di casa, tutto diventa multiforme. E questo... (Fuori dalla porta qualcuno dà un lieve grido di spavento. Ru­more di vetro rotto) Chi è? (Entra, ripulendosi, un giovane raffinato. Lo segue Annunziata, con un'espres­sione smarrita)

Il giovane                        - Salve! Ero dietro la vostra porta e ho spaventato Annunziata. Ho un aspetto tanto spaventoso?

Annunziata                      - (allo scienziato) Scusate, ho rotto il bicchiere col latte, che vi stavo portando.

Il giovane                        - E a me non chiedete scusa?

Annunziata                      - No. È colpa vostra, signore. Perché vi siete nascosto dietro la porta, e restavate li im­mobile?

Il giovane                        - Stavo origliando. (Allo scienziato) Apprezzate la mia sincerità? Gli scienziati sono tutti gente semplice. Dovete apprezzarla. No? Ma dunque, dite che apprezzate la mia sincerità. E io, vi piaccio?

Giulia                               - Non rispondete! Se dite di si vi disprez­zerà, se dite di no vi detesterà.

Il giovane                        - Giulia, Giulia. Cattiva Giulia! (Allo scienziato) Posso presentarmi? Cesare Borgia. Avete già sentito il mio nome?

Lo scienziato                   - Si.

Cesare Borgia                  - Si? Davvero? E precisamente, co­sa sapete di me?

Lo scienziato                   - Tante cose.

Cesare Borgia                  - Lodi o calunnie? E chi ve ne ha parlato?

Lo scienziato                   - Ho soltanto letto le vostre crona­che politiche e le vostre critiche sul giornale di qui.

Cesare Borgia                  - Hanno successo. Ma c'è sempre qualcuno che ci resta male. Insulti un uomo e quello non è contento. Vorrei trovare il segreto del com­pleto successo. Sono disposto a tutto per scoprire questo segreto. Vi piace la mia sincerità?

Giulia                               - Andiamo. Siamo da uno scienziato, e gli scienziati hanno sempre da fare.

Cesare Borgia                  - L'avevo avvertito, il signor scien­ziato. Il padrone dell'albergo gli ha annunziato la mia visita. E voi, splendida Giulia, avete sbagliato stanza?

Giulia                               - Credo di essere venuta proprio dove do­vevo.

Cesare Borgia                  - Ma da me, dovevate venire. Sto giusto finendo il mio articolo su di voi. Vi piacerà, ma, ahimè, non piacerà alle vostre amiche. (Allo scienziato) Posso tornare oggi?

Lo scienziato                   - Certo.

Cesare Borgia                  - Voglio scrivere un pezzo su di voi.

Lo scienziato                   - Grazie. Mi servirà per fare le mie ricerche nei vostri archivi. Avranno più considera­zione per me.

Cesare Borgia                  - Siete un astuto. So perché siete nel nostro paese, non certo per ragioni di lavoro.

Lo scienziato                   - Perché, allora?

Cesare Borgia                  - Siete un astuto! Non fate che guardare il balcone di fronte.

Lo scienziato                   - Vi pare?

Cesare Borgia                  - Si. Pensate che lei viva là.

Lo scienziato                   - Chi?

Cesare Borgia                  - Non dovete essere cosi riservato. Siete uno storico e conoscete il nostro paese, dovete conoscere anche il testamento del nostro ultimo re Ludovico IX il Sognatore.

Lo scienziato                   - Scusate tanto, ma io sono arri­vato solo alla fine del sedicesimo secolo.

Cesare Borgia                  - Allora non sapete niente del te­stamento?

Lo scienziato                   - No, ve lo assicuro.

Cesare Borgia                  - Strano. Perché avete chiesto al padrone proprio questa stanza?

Lo scienziato                   - Perché qui viveva un mio amico: Hans Christian Andersen.

Cesare Borgia                  - Solo per questo?

Lo scienziato                   - Parola d'onore. E cosa c'entra la mia stanza col defunto re?

Cesare Borgia                  - Oh, c'entra, eccome! Arrivederci! Posso accompagnarvi, splendida Giulia?

Lo scienziato                   - Mi è lecito sapere cosa c'era esat­tamente in questo misterioso testamento?

Cesare Borgia                  - Oh no. Non ve lo dico. Anch'io ne sono interessato. Voglio il potere, l'onore, e sono spaventosamente privo di soldi. Io, Cesare Borgia, un nome cosi illustre, sono costretto a lavorare, per­sino come stimatore al Monte di Pietà. Apprezzate la mia sincerità?

Giulia                               - Andiamo, andiamo. Siete piaciuto a tut­ti. Non se ne va mai, subito. (Allo scienziato) Vi ri­vedremo.

Lo scienziato                   - Ne sarò molto lieto.

Cesare Borgia                  - Non rallegratevene prima del tempo. (Cesare Borgia e Giulia escono)

Lo scienziato                   - Annunziata, quanti stimatori ci sono al Monte di Pietà di questo paese?

Annunziata                      - Tanti.

Lo scienziato                   - Ed erano tutti orchi?

Annunziata                      - Quasi tutti.

 Lo scienziato                  - Cosa avete? Perché cosi triste?

Annunziata                      - Ah, vi ho pregato di essere pru­dente. Dicono che la cantante Giulia Giuli sia pro­prio quella ragazzina che ha calpestato il pane per non sciupare le scarpine nuove.

Lo scienziato                   - Ma quella ragazzina, se ricordo bene, è stata punita per questo.

Annunziata                      - Si, sprofondò sotto terra, ma poi ne usci a fatica. E da allora continua a calpestare la buona gente, le migliori amiche, perfino se stessa, e tutto per conservare le scarpine nuove, le calzette e gli abitini. Adesso vi porto un altro bicchiere di latte.

Lo scienziato                   - Aspettate. Non ne ho voglia. De­sidero parlare un po' con voi.

Annunziata                      - Grazie.

Lo scienziato                   - Ditemi, vi prego, che testamento ha lasciato il vostro defunto re, Ludovico IX, il So­gnatore?

Annunziata                      - Oh, è un segreto. Un terribile se­greto! Il testamento era chiuso in sette buste con sette timbri di ceralacca e vergato da sette firme di sette consiglieri segreti. La principessa ha aperto e letto il testamento in assoluta solitudine. Alle fine­stre e alle porte c'erano le sentinelle, con le oréc­chie tappate, ad ogni buon conto, anche se la prin­cipessa leggeva fra sé. Quello che sta scritto in que­sto misterioso testamento, lo sa solo la principessa e tutta la città.

Lo scienziato                   - Tutta la città?

Annunziata                      - Si.

Lo scienziato                   - E come mai?

Annunziata                      - Nessuno sa spiegarlo. Sembra che fosse stata osservata ogni precauzione. È un mi­stero. Il testamento lo conoscono tutti. Anche i mo­nelli della strada.

Lo scienziato                   - E cosa dice?

Annunziata                      - Oh, non me lo chiedete.

Lo scienziato                   - Perché?

Annunziata                      - Ho una gran paura che questo te­stamento sia l'inizio di una nuova fiaba che finirà tristemente.

Lo scienziato                   - Annunziata, io sono uno straniero. Il testamento del vostro re non può toccarmi in nes­sun modo. Raccontatemi. Se no faccio una brutta figura. Sono uno studioso, uno storico, e non so quello che perfino i monelli sanno. Raccontatemi, vi prego.

Annunziata                      - (sospirando) Va bene, ve lo dirò. Non posso rifiutare qualcosa a una persona per bene. La nostra cuoca dice che mi porterà disgrazia. Ma meglio che una disgrazia tocchi a me che a voi. Dunque... Non mi state a sentire?

Lo scienziato                   - Cosa dite?

Annunziata                      - Perché guardate il balcone della casa di fronte?

Lo scienziato                   - No, no... Vedete, mi son messo comodo, ho acceso la pipa, e non distolgo gli occhi dal vostro viso.

Annunziata                      - Grazie. Dunque. Cinque anni fa è morto il nostro re, Ludovico IX, il Sognatore. I mo­nelli lo chiamavano "Lo sciocco," e non "Il Sognatore." Ma avevano torto. Il defunto, è vero, tirava spesso loro fuori la lingua, sporgendosi dal finestrino, ma la colpa era dei ragazzi. Il defunto era un uomo in­telligente, ma la carica reale finisce col guastare il carattere. All'inizio del suo regno, il primo ministro di cui il re si fidava di più, avvelenò l'amata sorella del re. Il re fece giustiziare il primo ministro. Il se­condo ministro non era un avvelenatore, ma era un bugiardo. Tanto che il re cessò di credere a chiun­que, anche a se stesso. Il terzo ministro non era un bugiardo, ma era un furbo terribile. Tesseva, tesseva, tesseva sottilissime ragnatele intorno alle faccende più semplici. Il re durante il suo ultimo rap­porto voleva dire: "Approvato," ma improvvisamen­te sibilò con un filo di voce come una mosca im­prigionata nella ragnatela. Il ministro cadde su ri­chiesta del medico di corte. Il quarto ministro non era un furbo, era chiaro e semplice, rubò una tabacchiera d'oro al re e fuggi. Il re lasciò perdere gli affari di governo. I primi ministri da allora comin­ciarono a sostituirsi da soli. E il re prese a occu­parsi di teatro. Ma dicono che sia peggio ancora che governare. Dopo un anno di attività teatrali il re cominciò a intorpidirsi.

Lo scienziato                   - Come, intorpidirsi?

Annunziata                      - Molto semplice. Camminava e d'un tratto s'irrigidiva con una gamba alzata. E sul suo viso, un'espressione disperata. Il medico di corte spiegò che il re era caduto in un groviglio indistricabile nel tentativo di capire i rapporti fra la gente di teatro. E ce n'era tanta!

Lo scienziato                   - Il medico di corte aveva ragione.

Annunziata                      - Gli consigliò una medicina sempli­ce che avrebbe certamente guarito il povero re. Gli consigliò di fare giustiziare metà della troupe, ma il re non accettò.

Lo scienziato                   - Perché?

Annunziata                      - Non sapeva decidere quale metà giustiziare. Alla fine lasciò perdere tutto e cominciò a occuparsi delle donne di malaffare. Soltanto loro, non lo hanno ingannato.

Lo scienziato                   - Davvero?

Annunziata                      - Si, si. Loro, si mostravano com'era­no, donne di malaffare. Esattamente come vengono descritte. E questo consolò molto il re, ma rovinò la sua salute. Gli si paralizzarono le gambe. Da al­lora dovettero condurlo per il palazzo, in una pol­trona, e il re taceva e continuava a pensare, pen­sare, pensare. A cosa pensasse non lo diceva a nes­suno. Qualche volta il re ordinava di essere condotto alla finestra e aprendola tirava fuori la lingua ai monelli. I monelli saltavano e gridavano: "Sciocco! Sciocco! Sciocco!" Poi il re fece il testamento. E poi mori.

Lo scienziato                   - Finalmente siamo arrivati al noc­ciolo.

Annunziata                      - Quando il re mori, la principessa, figlia unica, aveva tredici anni. "Cara," era scritto nel testamento, "ho vissuto male la mia vita, non ho fatto niente. Anche tu non farai niente. Sei av­velenata dall'aria di palazzo. Non voglio che tu spo­si un principe. Conosco a menadito tutti i principi del mondo. Sono tutti troppo stupidi per un paese piccolo come il nostro. Quando avrai compiuto diciott'anni, va' ad abitare in una casa qualunque del­la città, e cerca, cerca, cerca. Trova un marito buo­no, intelligente, colto e onesto. Purché non sia di una grande casata. E chissà che possa fare ciò che nessuno della gran nobiltà ha saputo fare. Chissà che non sappia governare, e governare bene. Sareb­be proprio bello! Allora, datti da fare, ti prego. Papà."

Lo scienziato                   - Cosi ha lasciato scritto?

Annunziata                      - Esattamente. In cucina hanno ripe­tuto il testamento tante volte che ne ricordo ogni parola.

Lo scienziato                   - E la principessa, ora vive in città?

Annunziata                      - Si, ma nessuno riesce a trovarla.

Lo scienziato                   - Perché?

Annunziata                      - Moltissime donne di malaffare han­no preso in affitto interi piani di case e fingono di essere la principessa.

Lo scienziato                   - Ma non conoscete la vostra prin­cipessa?

Annunziata                      - No. Dopo aver letto il testamento si mise una maschera per non farsi riconoscere quando avrebbe cominciato a cercare il marito.

Lo scienziato                   - Dite, è... (S'interrompe. Sul bal­cone della casa di fronte esce una ragazza bionda modestamente vestita di scuro) Ma dite, è... Cosa volevo chiedervi? ... Del resto... no, niente.

Annunziata                      - Ancora, non mi guardate.

Lo scienziato                   - Come non vi guardo?... E dove guardo, allora?

Annunziata                      - Là... Ah, lasciatemi chiudere la fine­stra del balcone.

Lo scienziato                   - Perché? Non occorre! Finalmente c'è un po' di fresco.

 Annunziata                     - Quando tramonta il sole è meglio chiudere porte e finestre. Si può prendere la mala­ria. No, la malaria non c'entra. Non dovete guar­dare da quella parte. Per favore... Arrabbiato? Non arrabbiatevi. Non guardatela, quella ragazza. La­sciatemi chiudere. Siete come un ragazzino. Non vi piace la minestra, ma che pranzo è senza minestra? Date la biancheria da lavare senza fare la nota. E con quel viso allegro e bonario andrete dritto verso la morte. Parlo con tanta audacia che non riesco più a capire cosa dico: è arroganza, ma non posso non mettervi in guardia. Dicono che quella sia una donnaccia... Aspettate... Secondo me non sarebbe poi una cosa tanto spaventosa... Ma ho paura che ci sia di peggio.

Lo scienziato                   - Credete?

Annunziata                      - Si. E se fosse invece la principes­sa? Allora? Allora cosa fareste?

Lo scienziato                   - Certo, certo.

Annunziata                      - Avete sentito cosa vi ho detto?

Lo scienziato                   - Già!

Annunziata                      - Se è davvero la principessa, tutti vorranno sposarla e vi schiacceranno nel pigia pigia.

Lo scienziato                   - Si, si, certamente.

Annunziata                      - No. Vedo che non c'è niente da fare. Che infelice sono, signore!

Lo scienziato                   - Vero?

Annunziata                      - (si avvia alla porta. Lo scienziato va al balcone. Annunziata si volta, si ferma) Arrive­derci, signore. (A voce bassa, con improvvisa ener­gia) Non permetterò a nessuno di farti del male. A nessun costo. Mai. (Esce. Lo scienziato guarda la ra­gazza sul balcone. Lei guarda in strada. Lo scien­ziato comincia a parlare a voce bassa, poi più forte. Alla fine del suo monologo la ragazza lo fissa)

Lo scienziato                   - Il mondo è più ragionevole di quanto sembri. Ancora un po', due o tre giorni di lavoro, e poi saprò come far felice la gente. Sa­ranno tutti felici, ma nessuno lo sarà come me. Sol­tanto qui, la sera, quando siete al balcone, ho co­minciato a capire che potrei essere felice come nes­sun altro. Vi conosco, non si può non conoscervi. Vi capisco, come capisco il bel tempo, la luna, i sentieri di montagna. È cosi semplice. Non so dire con precisione a cosa pensiate, ma so che i vostri pensieri mi darebbero gioia come il vostro viso, le vostre trecce, le vostre ciglia. Grazie. Grazie di aver scelto quella casa, di essere nata e di vivere nel mio stesso tempo. Cosa farei se non vi avessi incon­trato. Mi fa paura pensarlo!

La ragazza                       - Avete recitato a memoria?

Lo scienziato                   - Io... Io...

La ragazza                       - Continuate.

Lo scienziato                   - Mi avete rivolto la parola!

La ragazza                       - Sono parole vostre, o le avete ordi­nate a qualcuno?

Lo scienziato                   - Scusate, ma la vostra voce mi ha colpito tanto che non riesco a capire.

La ragazza                       - Siete abile a evitare la risposta. È possibile che siate voi il poeta. Ma forse, no. Non importa, lasciamo andare. Mi annoio, oggi. Come potete sopportare di star chiuso tutto il giorno in una stanza? È uno studio?

Lo scienziato                   - Scusate?

La ragazza                       - È uno studio, o il guardaroba, o un salotto o una delle sale?

Lo scienziato                   - Soltanto la mia stanza. La mia unica stanza.

La ragazza                       - Siete un mendicante?

Lo scienziato                   - Sono uno scienziato.

La ragazza                       - Be'. Avete un viso molto strano.

Lo scienziato                   - Perché?

La ragazza                       - A sentirvi, sembra che non mentiate.

Lo scienziato                   - Infatti, non mento.

La ragazza                       - Tutti mentono.

Lo scienziato                   - Non è vero.

La ragazza                       - Si, è vero. Forse non mentono a voi, perché avete solo una stanza. Ma a me mentono sempre. Mi faccio proprio pena.

Lo scienziato                   - Ma cosa dite. Vi fanno del male? Chi?

La ragazza                       - Sapete fingere cosi bene attenzione e bontà che ho voglia di confidarmi con voi.

Lo scienziato                   - Siete tanto infelice?

La ragazza                       - Non so. Si.

Lo scienziato                   - Perché?

La ragazza                       - Cosi. Sono tutti dei vili.

Lo scienziato                   - No. Questo lo dicono coloro che hanno scelto la via più orrenda. Senza pietà soffo­cano, schiacciano, calunniano, saccheggiano. Per chi mai avere pietà? Tanto sono tutti dei vili.

La ragazza                       - Allora, c'è qualcuno che non lo è?

Lo scienziato                   - Si.

La ragazza                       - Mi piacerebbe che fosse cosi. Ho una tremenda paura di trasformarmi in una rana.

Lo scienziato                   - Come, in una rana?

La ragazza                       - Conoscete la favola della principes­sa rana? Non la raccontano com'è. In realtà è tutta diversa. Lo so di certo. La principessa rana è mia zia.

Lo scienziato                   - Zia?

La ragazza                       - Si. Una zia di primo grado. Rac­contano che un uomo per amore l'avesse baciata nonostante il suo aspetto orrendo. E la rana si tra­sformò in una bellissima donna. È cosi?

Lo scienziato                   - Mi pare di si.

La ragazza                       - In realtà la zia era una splendida ragazza, e ha sposato un mascalzone che fingeva d'a­marla. E i suoi baci erano cosi freddi e disgustosi che la ragazza si è trasformata in una fredda e disgu­stosa rana. A noi della famiglia, la cosa dispiacque molto. Dicono che fatti del genere succedano più spesso di quanto si creda. Soltanto, la zia non era riuscita a nascondere il suo disgusto. Non sapeva fingere. Terribile. Non è vero?

Lo scienziato                   - Si, è molto triste.

La ragazza                       - Vedete! E se anche a me toccherà lo stesso? Dovrò pure sposarmi anch'io. Siete sicu­ro che non siano tutti dei vili?

Lo scienziato                   - Assolutamente sicuro. Sono uno storico.

La ragazza                       - Magari! Però non vi credo.

Lo scienziato                   - Perché?

La ragazza                       - Non credo a nessuno e a niente.

Lo scienziato                   - No, non può essere. Avete un co­lorito cosi sano e gli occhi cosi vivi... Non credere a niente, è la morte.

La ragazza                       - Eh, io capisco tutto.

Lo scienziato                   - Capire tutto, anche questo è la morte.

La ragazza                       - A questo mondo è sempre la stessa cosa: quelli hanno ragione, questi hanno ragione, al­la fine a me è tutto indifferente.

Lo scienziato                   - Tutto indifferente, ma questo è ancora peggio della morte. Non potete pensarla cosi. No! Quanta amarezza mi avete procurato.

La ragazza                       - Tutto indifferente. Tutto mi sembra indifferente. Adesso, non mi guarderete più ogni sera?

Lo scienziato                   - Lo farò. Le cose non sono sem­plici come sembra. Mi era parso che i vostri pensieri fossero pieni d'armonia, come voi. Ma ora che li ho scoperti, non mi sembrano quelli che m'aspettavo... Tuttavia... tuttavia... vi amo...

La ragazza                       - Mi amate?

Lo scienziato                   - Vi amo.

La ragazza                       - Ecco... capivo tutto, non credevo in niente, mi era tutto indifferente. E ora si è fatta una gran confusione.

Lo scienziato                   - Vi amo.

La ragazza                       - Andatevene... Anzi, no... Si, andateve­ne e chiudete la porta... No, me ne vado io... Ma... se domani sera, oserete... oserete non venire al balcone, io... io... ordinerò... no, io sarò semplicemente rattri­stata. (Si dirige verso l'interno e si gira) Non so neanche come vi chiamate.

Lo scienziato                   - Mi chiamo Christian-Teodor.

La ragazza                       - Arrivederci, Christian-Teodor, caro. Non sorridete. Non crediate d'avermi abilmente ingannato. No, non prendetevela, lo dico cosi... Quan­do mi avete detto tanto semplicemente di amarmi, mi sono sentita riscaldare nonostante il mio vestito di tulle. Non osate parlarmi. Basta! Se direte anco­ra una parola, mi metterò a piangere. Arrivederci. Che infelice, sono, signore! (Esce)

Lo scienziato                   - Ecco... Mi pareva che bastasse un attimo per capire tutto e adesso mi pare che mi ba­sti un attimo per smarrirmi in un labirinto. Ho pau­ra che la ragazza sia davvero la principessa. "Sono tutti vili, in questo mondo è sempre la stessa cosa, mi è tutto indifferente, non credo in niente": Che sintomi precisi di anemia perniciosa, comune alla gente viziata, cresciuta in un calore artificiale da ser­ra! Lei... Tuttavia, l'ho riscaldata con le mie parole d'amore. Allora ne ha abbastanza, di sangue nelle vene. (Ride) Sono sicuro, sono sicuro che tutto fi­nirà molto bene. Ombra, mia buona, obbediente om­bra! Giaci ai miei piedi cosi docile. La tua testa è voltata verso la porta da cui se n'è andata la ragaz­za. Perché non ti decidi, e non vai da lei? Cosa ti costa? Potresti andare a dirle: "Sono tutte sciocchez­ze. Il mio signore vi ama, vi ama tanto che sarà tut­to magnifico. Se siete la principessa-rana, tornerete alla vita e vi trasformerete in una meravigliosa ra­gazza." Insomma, lo sai cosa devi dirle, siamo cre­sciuti insieme. (Ride) Va'! (Lo scienziato si allonta­na dalla porta. L'ombra dello scienziato si stacca da lui. Scivola in tutta la sua lunghezza sul balcone di fronte. Scivola dentro la porta, lasciata semiaperta dalla ragazza) Cos'è? Ho una strana sensazione alle gambe... e in tutto il corpo... Io... che sia malato? Io... (Ondeggiando, si lascia cadere nella poltrona, suona. Entra di corsa Annunziata. Ad Annunziata) Annunzia­ta. Dovevate aver ragione.

Annunziata                      - Era la principessa?

Lo scienziato                   - No! Mi sono ammalato. (Chiude gli occhi)

Annunziata                      - (corre verso la porta) Padre! (En­tra Pietro)

Pietro                               - Non urlare. Non lo sai, che tuo padre è sempre dietro le porte ad origliare?

Annunziata                      - Non me ne ero accorta.

Pietro                               - Ah, non ti accorgi di tuo padre?! A que­sto punto! Ebbene? Perché sbatti gli occhi. Ti metti a frignare?

Annunziata                      - È ammalato.

Pietro                               - Permettete, signore, che vi aiuti ad an­dare a letto.

Lo scienziato                   - (si alza) No, Faccio da me. Non toccatemi, per favore.

Pietro                               - Di che avete paura. Non vi mangio.

Lo scienziato                   - Non lo so. Sono diventato im­provvisamente cosi debole! (Si dirige verso il para­vento, dietro al quale sta il letto)

Annunziata                      - (.A voce bassa, con terrore) Guarda!

Pietro                               - Cosa, ancora?

Annunziata                      - Non ha l'ombra.

Pietro                               - Come? Davvero non... Maledetto clima! E come avrà fatto? Si diffonderà la voce. Penseran­no che sia un'epidemia... (Lo scienziato sparisce die­tro il paravento) Non una parola. Capito?

Annunziata                      - (vicino al paravento) Ha perso i sensi.

Pietro                               - Meglio. Corri dal dottore. Il dottore lo metterà a letto per un paio di settimane, e nel frat­tempo gli crescerà un'altra ombra. E nessuno ne saprà niente.

Annunziata                      - L'uomo senz'ombra, è una delle fiabe più tristi del mondo.

Pietro                               - T'ho detto che gli crescerà un'altra om­bra. Se la caverà... Corri! (Annunziata scappa) Dia­volo... meno male che quell'imbrattacarte è impegna­to con la signora e non ha fiutato niente. (Entra Ce­sare Borgia)

Cesare Borgia                  - Buona sera!

Pietro                               - Ah, siete già qui... Diavolo! Dov'è la vo­stra femmina?

Cesare Borgia                  - È andata a un concerto.

Pietro                               - Al diavolo tutti i concerti!

Cesare Borgia                  - Lo scienziato ha perso i sensi?

Pietro                               - Si, maledetto lui.

Cesare Borgia                  - Avete sentito?

Pietro                               - Cosa?

Cesare Borgia                  - La sua conversazione con la prin­cipessa.

Pietro                               - Si.

Cesare Borgia                  - Risposta succinta. Perché non maledite tutti, non sparate, non gridate?

Pietro                               - Nelle faccende serie, sono calmo.

Cesare Borgia                  - Pare che sia davvero la princi­pessa.

Pietro                               - Si, è lei.

Cesare Borgia                  - Dunque, voi desiderate che sposi la principessa.

Pietro                               - Io? Io lo mangerò alla prima occasione.

Cesare Borgia                  - £ necessario mangiarlo. Si, si, è necessario. Secondo me è il momento più adatto, è più facile mangiare la gente quando è malata o ri­posa. Cosi non si sa chi sia stato, e si possono con­servare ottimi rapporti.

Pietro                               - L'ombra.

Cesare Borgia                  - Cosa, l'ombra?

Pietro                               - Dobbiamo trovare la sua ombra.

Cesare Borgia                  - Perché?

Pietro                               - Ci aiuterà. Non gli perdonerà in tutta la sua vita di essere stata la sua ombra.

Cesare Borgia                  - Si, ci aiuterà a mangiarlo.

Pietro                               - L'ombra è assolutamente contraria allo scienziato.

Cesare Borgia                  - Ma... se poi risultasse più forte di quanto occorre...

Pietro                               - Macché. L'ombra non dimenticherà se l'aiutiamo a entrare fra la gente. Ci adoperiamo pu­re a mangiarlo.

Cesare Borgia                  - Si, bisogna mangiarlo. È necessa­rio.

Pietro                               - Silenzio! (Entra di corsa Annunziata)

Annunziata                      - Andate via di qua! Cosa fate qui?

Pietro                               - Figlia! (Estrae la pistola) Del resto, an­diamo in camera mia. Parleremo li. Viene il dottore?

Annunziata                      - Si, di gran fretta. Dice che è un caso serio.

Pietro                               - Bene. (Esce con Cesare Borgia)

Annunziata                      - (guardando dietro il paravento) Io lo sapevo! Un viso tranquillo, buono, sembra che stia sognando di passeggiare sotto gli alberi. No, non gli perdoneranno di essere un uomo buono! Succederà qualcosa! Succederà qualcosa!

ATTO SECONDO

Il parco. Una piazzetta cosparsa di sabbia, circon­data da alberi potati. In fondo un padiglione. Il mag­giordomo e il suo aiutante si danno da fare sulla scena.

Il maggiordomo               - Metti il tavolo qui. E qui le pol­trone. Sul tavolo metti gli scacchi. Ecco, è tutto pronto per la riunione.

L'aiutante                        - Ma dite, signor maggiordomo, per­ché i signori ministri si riuniscono qui nel parco, e non nel palazzo?

Il maggiordomo               - Perché il palazzo ha le pareti, capito?

L'aiutante                        - No.

Il maggiordomo               - E le pareti hanno le orecchie, capito?

L'aiutante                        - Adesso, ho capito.

Il maggiordomo               - Bene. Metti i cuscini su questa poltrona.

L'aiutante                        - È per il signor primo ministro?

Il maggiordomo               - No, è per il signor ministro del­le finanze. È molto malato.

L'aiutante                        - Cos'ha?

Il maggiordomo               - È il più grande uomo d'affari del paese. I concorrenti lo odiano ferocemente, e l'anno scorso uno di loro ha tentato di ucciderlo. Ha deciso di avvelenare il signor ministro delle finanze.

L'aiutante                        - Che orrore!

Il maggiordomo               - Non rattristarti prima del tem­po. Il signor ministro delle finanze l'ha saputo e ha comprato tutti i veleni in vendita nel paese.

L'aiutante                        - Che fortuna!

Il maggiordomo               - Non rallegrarti prima del tem­po. Allora l'assassino è andato dal ministro delle fi­nanze e gli ha offerto un prezzo altissimo per i ve­leni. Il signor ministro delle finanze ha agito in modo del tutto naturale, da vero politico. Ha calcolato il ricavo e ha venduto tutta la riserva di veleni. Il vi­gliacco ha avvelenato il ministro. Tutta la famiglia di sua eccellenza si è compiaciuta di morire di atro­ci sofferenze. Anche lui, da allora ha appena un bar­lume di vita, ma ha guadagnato netto il duecento per cento. Gli affari sono affari. Capito?

L'aiutante                        - Adesso ho capito.

Il maggiordomo               - Ecco. Allora è tutto pronto? Le poltrone. Gli scacchi. Oggi qui si terrà una riunione particolarmente importante.

L'aiutante                        - Che cosa ve lo fa pensare?

Il maggiordomo               - In primo luogo, perché s'incon­trano solo due ministri, il primo ministro e il mini­stro delle finanze. In secondo luogo perché faranno finta di giocare a scacchi invece di fare la seduta. Tutti sanno cosa vuol dire. I cespugli brulicheranno di curiosi.

L'aiutante                        - E se i curiosi udranno quello che di­cono i signori ministri?

Il maggiordomo               - I curiosi non sapranno niente.

L'aiutante                        - Perché?

Il maggiordomo               - Perché i signori ministri si inten­dono a mezze parole. Potrai capire molto, tu, dalle mezze parole! (Si sprofonda d'un tratto in un inchi­no) Ecco, arrivano. È tanto tempo che presto ser­vizio in questo palazzo che la mia schiena si piega da sola all'arrivo dei personaggi altolocati. Non li vedo ancora, non li sento, e già mi piego. Per que­sto sono il capo della servitù. Capito? Inchinati. Più giù!... (Il maggiordomo si piega fino a terra. L'aiu­tante lo imita. Dai due lati della scena, da destra e da sinistra, entrano contemporaneamente il primo ministro e il ministro delle finanze. Il primo ministro è di media statura, con pancetta e calvizie, e i po­melli rossi, ha passato i cinquanta. Il ministro delle finanze, lungo, rinsecchito, si guarda attorno con ter­rore, è zoppo a tutt'e due le gambe. Lo sostengono due robusti lacchè. I ministri si avvicinano contem­poraneamente al tavolo, si siedono contemporanea­mente e si mettono subito a giocare a scacchi. I lacchè che hanno accompagnato il ministro delle finanze, dopo averlo fatto sedere, si allontanano si­lenziosi. Il maggiordomo e il suo aiutante restano in scena, impettiti)

Il primo ministro              - La salute?

Il ministro delle finanze - Pess.

Il primo ministro              - Affari?

Il ministro delle finanze - Maliss.

Il primo ministro              - Perché?

Il ministro delle finanze - Concorr. (Giocano in silenzio)

Il maggiordomo               - (sussurra) Vedi, te lo dicevo che s'intendono a mezze parole.

Il primo ministro              - Avete sentito della princi­pessa?

Il ministro delle finanze - Si, mi han riferito.

Il primo ministro              - Quello scienziato straniero ha rapito il suo cuore.

Il ministro delle finanze - Rapito? Un momento. Lacchè! No, non voi... il mio lacchè. (Entra uno dei lacchè che l'avevano accompagnato) Lacchè, avete chiuso tutte le porte, quando siamo usciti?

Il lacchè                           - Tutte, vostra eccellenza.

Il ministro delle finanze - Anche quella di ferro?

Il lacchè                           - Signorsì.

Il ministro delle finanze - E quella di rame?

Il lacchè                           - Signorsì.

Il ministro delle finanze - E quella di ghisa?

Il lacchè                           - Signorsì.

Il ministro delle finanze - E avete distribuito le trappole? Ricordate bene che risponderete con la vita del minimo ammanco.

IL lacche                         - Lo ricordo bene, vostra eccellenza.

Il ministro delle finanze - Potete andare. (Il lac­chè esce) Vi ascolto.

Il primo ministro              - Alla vista dei consiglieri se­greti di turno, la principessa tre giorni fa si guardo a lungo nello specchio, poi si mise a piangere e dis­se:   - (Tira fuori un taccuino e legge) "Ahimè, inutile rovina!" e per la quinta volta mandò a chiedere no­tizie dello scienziato. Sapendo che non era accaduto niente di particolare la principessa batté i piedi e sussurrò:(legge) "Vada al diavolo!" Ma oggi gli ha dato appuntamento al parco. Ecco. Vi pia?

Il ministro delle finanze - Non mi pia proprio niente. Chi è questo scienziato?

Il primo ministro              - L'ho esaminato nei più pic­coli particolari.

Il ministro delle finanze - Un ricattatore?

Il primo ministro              - Peggio...

Il ministro delle finanze - Ladro?

Il primo ministro              - Peggio.

Il ministro delle finanze - Un avventuriero, un furbo, un imbroglione?

Il primo ministro              - Magari...

Il ministro delle finanze - Ma in fin dei conti, chi è?

Il primo ministro              - Un uomo semplice e ingenuo.

Il ministro delle finanze - Scacco al re.

Il primo ministro              - Arroccato.

Il ministro delle finanze - Scacco alla regina.

Il primo ministro              - Povera principessa! Un ri­cattatore sapremmo smascherarlo, un ladro acciuf­farlo, un furbo e un imbroglione, batterlo con l'a­stuzia, ma questo... Il modo di fare della gente sem­plice e onesta qualche volta è cosi misterioso!

Il ministro delle finanze - Bisogna correre o ammazzerà quell'uomo.

Il primo ministro              - Non c'è altra via d'uscita.

Il ministro delle finanze - Tutta la città è già al corrente?

Il primo ministro              - Al corrente, eccome!

Il ministro delle finanze - Lo sapevo. Ecco per­ché la gente previdente trasferisce l'oro all'estero in tale quantità. L'altro giorno un banchiere ha man­dato all'estero persino i suoi denti d'oro. E ora non fa che andare e tornare da quel paese. In patria non ha più niente per masticare.

Il primo ministro              - Secondo me il vostro ban­chiere ha dimostrato un eccessivo nervosismo.

Il ministro delle finanze - È fiuto! Davvero non c'è un organismo più sensibile del mondo degli affari. Soltanto il testamento del re, ha causato sette fallimenti, sette suicidi, e la borsa è scesa di sette punti. E adesso... Cosa succederà adesso? Nessun mu­tamento, signor primo ministro. La vita deve conti­nuare col ritmo di un orologio.

Il primo ministro              - A proposito, che ora è?

Il ministro delle finanze - Il mio orologio d'oro, l'ho mandato all'estero, e se lo portassi d'argento correrebbe la voce che sono fallito, e la cosa provo­cherebbe panico nel mondo degli affari.

Il primo ministro              - Possibile che non sia rimasto più oro nel nostro paese?

Il ministro delle finanze - Ce n'è, più di quanto occorra.

Il primo ministro              - E da dove viene?

Il ministro delle finanze - Dall'estero. All'estero il mondo degli affari è preoccupato per la propria situazione interna e trasferisce l'oro da noi. Cosi andiamo avanti. Dunque, tiriamo le somme. Corrom­piamo lo scienziato.

Il primo ministro              - O lo ammazziamo.

Il ministro delle finanze - In che modo?

Il primo ministro              - Nel modo più garbato. Do­potutto in questa faccenda c'entra un sentimento co­me l'amore! Io sono del parere di liquidare lo scien­ziato in maniera amichevole.

Il ministro delle finanze - Amichevole?

 Il primo ministro             - Si. Per questo e necessario trovare un uomo con cui il nostro scienziato possa fare amicizia. Un amico sa cosa gli piace, e con che cosa lo si può comprare. Un amico sa cosa de­testa e cosa possa colpirlo come la morte. Ho dato ordine in cancelleria perché gli trovino un amico.

Il ministro delle finanze - È terribile.

Il primo ministro              - Perché?

Il ministro delle finanze - Be', lo scienziato è un forestiero, e bisognerebbe fargli venire un amico dall'estero. E dove faccio rientrare questa spesa? Quando non tornano i conti il mio ragioniere capo versa lacrime amare. Singhiozzerà come un bambi­no, poi cadrà in delirio. E per qualche tempo so­spenderà la distribuzione dei soldi. A tutti. Anche a me. Anche a voi.

Il primo ministro              - Davvero? Non è piacevole. È in gioco il destino di tutto il regno. Come si fa?

Il ministro delle finanze - Non lo so.

Il primo ministro              - E chi lo sa?

L'aiutante                        - (facendosi avanti) Io.

Il ministro delle finanze  - (balzando in piedi) Cosa c'è? Comincia?

Il primo ministro              - State tranquillo, vi prego. Se una volta o l'altra comincerà, non partirà da un lac­chè di palazzo.

Il ministro delle finanze - Allora non è una ri­volta?

Il primo ministro              - No. È soltanto audacia. Chi siete?

L'aiutante                        - Sono la persona che cercate. Sono l'amico dello scienziato. Il suo intimo amico. Non siamo mai stati separati da quando eravamo in cul­la, fino a qualche giorno fa.

Il primo ministro              - Sentite, amico, sapete con chi state parlando?

L'aiutante                        - Si.

Il primo ministro              - Perché non mi chiamate: "Vostra eccellenza?"

L'aiutante                        - (con un profondo inchino) Scusate, vostra eccellenza.

Il primo ministro              - Siete forestiero?

L'aiutante                        - Sono venuto al mondo in questa cit­tà, vostra eccellenza.

Il primo ministro              - E tuttavia siete amico di uno scienziato straniero?

L'aiutante                        - Sono proprio la persona che cercate. Lo conosco più di chiunque altro, e lui non mi co­nosce per niente, vostra eccellenza.

Il primo ministro              - Strano.

L'aiutante                        - Se lo gradite, vi dirò chi sono, vo­stra eccellenza.

Il primo ministro              - Parlate. Perché vi guardate attorno?

L'aiutante                        - Mi permette, l'eccellenza vostra, di scriverlo sulla sabbia?

Il primo ministro              - Scrivetelo. (L'aiutante scrive qualcosa sulla sabbia. I ministri leggono e si scam­biano un'occhiata) Cosa avete de?

Il ministro delle finanze - È l'uomo adà. Ma siate prù. Altrimenti ci chiederà un gran pré.

Il primo ministro              - Bene. Chi vi ha fatto entrare in servizio al palazzo?

L'aiutante                        - Il signor Cesare Borgia e il signor Pietro, vostra altezza.

Il primo ministro              - (al ministro delle finanze) Sa­pete chi sono?

Il ministro delle finanze - Si. Sono orchi di as­soluta fiducia.

Il primo ministro              - Bene, amico mio, ci pense­remo su.

L'aiutante                        - Mi permetto di ricordarvi che siamo nel sud, vostra eccellenza.

Il primo ministro              - E con questo?

L'aiutante                        - Nel sud tutto cresce cosi in fretta, vostra eccellenza. Lo scienziato e la principessa si sono parlati per la prima volta solo due settimane fa e da allora non si sono più visti. Ma guardate come è cresciuto il loro amore, vostra eccellenza. Non dovete arrivare in ritardo, vostra eccellenza.

Il primo ministro              - Vi ho detto che dobbiamo pensarci. Fatevi da parte. (I ministri pensano) Ve­nite qui, mio caro. (L'aiutante esegue) Dopo aver molto pensato, abbiamo deciso di affidarvi un inca­rico nella cancelleria del primo ministro.

L'aiutante                        - Grazie, vostra eccellenza. Secondo me, con lo scienziato bisogna comportarsi cosi...

Il primo ministro              - Cosa vi prende, mio caro. Cominciate ad agire prima di essere ufficialmente confermato? Siete pazzo! Non sapete cos'è la can­celleria?

L'aiutante                        - Scusate, vostra eccellenza. (Scoppio di risa dietro le quinte)

Il primo ministro              - Arrivano i villeggianti. Ci di­sturberanno. Andiamo nel mio ufficio dove compire­mo le formalità necessarie. Dopo di che, d'accordo, vi staremo ad ascoltare.

L'aiutante                        - Grazie, vostra eccellenza.

Il ministro delle finanze - Lacchè! (Entrano i due lacchè) Portatemi via. (Escono. Si spalancano le porte del padiglione ed entra il medico, un gio­vane estremamente tetro e concentrato. È circonda­to da villeggianti vestiti di abiti leggeri ma fastosi)

Prima villeggiante            - Dottore, perché sotto il gi­nocchio mi capita di provare una sensazione, simile alla meditazione?

Il medico                         - Sotto quale ginocchio?

Prima villeggiante            - Sotto il destro.

Il medico                         - Passerà.

Seconda villeggiante       - E perché quando mangio, fra l'ottavo e il nono piatto mi vengono pensieri ma­linconici?

Il medico                         - Quali, per esempio?

Seconda villeggiante       - Be', improvvisamente mi viene voglia di ritirarmi in un deserto e di darmi alle preghiere e al digiuno.

Il medico                         - Passerà.

Primo villeggiante           - Dottore, perché dopo il qua­rantesimo bagno non mi piacciono più le donne ca­stane?

Il medico                         - E chi vi piace, adesso?

Primo villeggiante           - Una bionda.

Il medico                         - Passerà. Signori, mi permetto di ri­cordarvi che l'ora della cura è finita. Sorelle di mi­sericordia, siete libere. Sorelle di svaghi, tocca a voi.

Una sorella di svaghi       - Chi vuole il pallone, chi vuole la corda? Cerchietti, cerchietti, signori. Chi vuole giocare a rincorrersi? O a nascondersi? O al gatto e al topo? Il tempo passa, signori, esultate, si­gnori, giocate! (/ villeggianti se ne vanno, giocando. Entra lo scienziato con Annunziata)

Annunziata                      - Dottore, ha comprato un intero vas­soio di caramelline.

Lo scienziato                   - Ma le ho date tutte ai monelli.

Annunziata                      - Fa lo stesso! Possibile che un ma­lato compri tutti quei dolci?

Il medico                         - (allo scienziato) Mettetevi contro sole. Cosi la vostra ombra è cresciuta, ormai è normale. Era prevedibile: nel sud tutto cresce cosi in fretta. Come vi sentite?

Lo scienziato                   - Mi sento completamente guarito.

Il medico                         - Voglio ascoltarvi ugualmente. No, non è necessario che togliate la giacca, ho l'udito mol'to sensibile. (Prende lo stetoscopio sul tavolo del pa­diglione) Bene. Respirate. Respirate. Respirate pro­fondamente. Pesantemente, respirate. Ancora una volta. Guardatevi intorno chiudendo un occhio. Fate segno di lasciar correre. Ancora una volta. Stringe­tevi nelle spalle. Bene. (Si siede e si fa pensieroso. Lo scienziato prende dalla tasca della giacca un pac­co di lettere. Fruga fra gli scritti)

Annunziata                      - Allora, cosa dite, dottore, com'è la situazione?

Il medico                         - Pessima.

Annunziata                      - Ecco, vedete, e lui mi diceva che era completamente guarito.

Il medico                         - Si, è completamente guarito. Ma la situazione è pessima. E andrà ancora peggio, finché non imparerà a chiudere un occhio sul mondo, a la­sciar correre, e a stringersi nelle spalle.

 Annunziata                     - Come fare, dottore? Come si può insegnarglielo? (Il medico si stringe nelle spalle in silenzio) Rispondetemi dottore, vi prego. Tanto non vi lascerò in pace, sapete bene quanto sono testarda. Cosa deve fare?

Il medico                         - Avere cura di sé.

Annunziata                      - Ma lui sorride.

Il medico                         - Si, succede.

Annunziata                      - È uno scienziato, è intelligente, è più vecchio di me, ma qualche volta lo prenderei a sculaccioni. Parlategli un po'! (77 medico fa un gesto con la mano come a dire: meglio lasciar correre) Dottore!

Il medico                         - Ma non vedete che non mi sta a sen­tire? Ha ficcato il naso nelle sue lettere.

Annunziata                      - Sono le lettere della principessa. Signore! Il dottore vuole parlarvi e voi non lo state a sentire.

Lo scienziato                   - Come, non ho ascoltato? Ho sen­tito tutto.

Annunziata                      - E non dite niente?

Lo scienziato                   - Si, si, dirò qualcosa.

Annunziata                      - Signore!

Lo scienziato                   - Subito! Non mi riesce di trovare... (Bisbiglia) Ha scritto: "Sempre con voi" o "Per sempre con voi?"

Annunziata                      - (si lamenta) Vi sparerò!

Lo scienziato                   - Si, si, d'accordo.

Il medico                         - Christian Teodor, voi siete uno stu­dioso. Ascoltatemi, finalmente; dopotutto sono un collega.

Lo scienziato                   - Si, si, scusate. (Mette via le let­tere)

Il medico                         - Nelle leggende popolari sull'uomo che ha perso la sua ombra, nelle monografie di Chamisso e del vostro amico Hans Christian Andersen si rac­conta che...

Lo scienziato                   - Non ricordiamo quello che vi si racconta... Per me sarà diverso.

Il medico                         - Rispondetemi come si risponde a un medico: avete intenzione di sposare la principessa?

Lo scienziato                   - Certo.

Il medico                         - Ho saputo che il vostro sogno è di fare felice più gente che potete.

Lo scienziato                   - È vero anche questo.

Il medico                         - Non possono essere vere le due cose insieme.

Lo scienziato                   - Perché?

Il medico                         - Perché sposando la principessa diven­tate re.

Lo scienziato                   - Proprio qui sta la faccenda, io non diventerò re. Noi rifiuteremo la corona. Tutto andrà bene, vedete? Lo spiegherò a chiunque me lo chiederà, e lo ficcherò nella testa anche a chi non ha nessuna curiosità di saperlo; il potere reale non ha senso, è ben misera cosa. Per questo ho rifiutato il trono.

Il medico                         - E la gente vi capirà?

Lo scienziato                   - Certo. Glielo dimostrerò con un esempio efficace. (Il medico fa il solito gesto con la mano, in silenzio) All'uomo si può spiegare tutto. Se capisce l'alfabeto, non può non capire una cosa molto più semplice, soprattutto se lo riguarda da vicino. (/ villeggianti attraversano, giocando, la scena)

Il medico                         - (indicandoli) Anche quelli vi capi­ranno?

Lo scienziato                   - Certo. In ogni essere c'è qualcosa di vivo. Bisogna saper toccare ciascuno nel vivo. Ecco tutto.

Il medico                         - Bambino! Io li conosco bene. Sono i miei pazienti.

Lo scienziato                   - E che malattie hanno?

Il medico                         - Sazietà acuta.

Lo scienziato                   - Un male grave?

Il medico                         - Si, per quelli che li circondano.

Lo scienziato                   - Perché?

Il medico                         - La sazietà acuta, contagia improvvi­samente anche la gente per bene. Un uomo ha one­stamente guadagnato tanti soldi. E d'un tratto appare un sintomo funesto: il particolare sguardo in­quieto e avido dell'uomo già al sicuro. Comincia la sua fine. Da quel momento è sterile, cieco e crudele.

Lo scienziato                   - Ma voi avete tentato di spiegar­glielo?

Il medico                         - Proprio in questo senso volevo met­tervi in guardia. Guai a chi li spinge a pensare a qualcosa che non sia il denaro. Vanno in bestia. (Passano correndo i villeggianti)

Lo scienziato                   - Guardate, sono allegri.

Il medico                         - Sono in vacanza. (Entra in fretta Giulia Giuli)

Giulia                               - (al medico) Eccovi, finalmente. Siete guarito perfettamente?

Il medico                         - Si, Giulia.

Giulia                               - Ah, è il dottore.

Il medico                         - Si, sono io, Giulia.

Giulia                               - Perché mi guardate come una lepre in­namorata? Levatevi di torno! (Il medico fa per ri­spondere, ma poi entra nel padiglione, alzando le spalle) Dove siete, Christian-Teodor?

Lo scienziato                   - Eccomi.

Giulia                               - (avvicinandosi a lui) Si, siete voi. (Sor­ride) Come sono contenta di rivedervi. Cosa v'ha detto quel miserabile dottore?

Lo scienziato                   - M'ha detto che sono guarito. Ma perché, miserabile?

Giulia                               - Ah, lo amavo, un tempo, e la gente che ho amato poi la detesto terribilmente.

Lo scienziato                   - È stato un amore infelice.

Giulia                               - Peggio. Ha una moglie cattiva e disgu­stosa che gli fa una paura mortale. Lo si poteva baciare solo sulla nuca.

Lo scienziato                   - Perché?

Giulia                               - Era sempre voltato per vedere che non ci fosse la moglie. Ma basta parlare di lui. Sono venuta per... per mettervi in guardia, Christian-Teo­dor. Correte un grave pericolo.

Lo scienziato                   - Non è possibile. Sono cosi felice...

Giulia                               - Si, ma correte un grave pericolò.

Annunziata                      - Non sorridete, signora, vi scongiu­ro, altrimenti non possiamo capire se scherzate o fate sul serio e potrebbe essere la nostra rovina.

Giulia                               - Non badate se sorrido. Nel nostro circo­lo, quello della gente autentica, si sorride sempre ad ogni buon conto. Cosi, qualsiasi cosa tu dica, la puoi girare come vuoi. Dico sul serio, Christian-Teodor, correte un grave rischio. Vi aspetta una disgrazia.

Lo scienziato                   - Quale.

Giulia                               - Ve l'ho detto, che al nostro circolo viene spesso anche un ministro?

Lo scienziato                   - Si.

Giulia                               - È il ministro delle finanze. Viene al cir­colo per me. Mi fa la corte ed è sempre li li per farmi una proposta di matrimonio.

Annunziata                      - Quello? Ma se non può neppure camminare!

Giulia                               - Lo conducono dei lacchè elegantissimi: è tanto ricco! L'ho incontrato ora e mi ha chiesto dove andavo. Quando ha sentito il vostro nome ha aggrottato la fronte, Christian-Teodor.

Annunziata                      - Che spavento!

Giulia                               - Al circolo possediamo tutti un'arte: sappiamo leggere perfettamente sui visi dei nostri alti funzionari. Persino io, con la mia miopia, ho letto ora sul viso del ministro che si sta complot­tando qualcosa contro di voi, Christian-Teodor.

Lo scienziato                   - E complottino pure!

Giulia                               - Eh, mi avete guastato l'umore, queste due settimane. Chissà perché venivo a trovarvi! Sto diventando una borghese sentimentale. È cosi sec­cante! Annunziata portatelo via.

Lo scienziato                   - Perché?

Giulia                               - Ora verrà il ministro delle finanze e io userò tutte le mie arti per sapere cosa complottano. Vedrò anche di salvarvi, Christian-Teodor.

Annunziata                      - Non so come ringraziarvi, signora.

Giulia                               - Non una parola a nessuno, se mi siete veramente riconoscente. Andate via.

Annunziata                      - Andiamo, signore.

 Lo scienziato                  - Annunziata, sapete bene che devo vedere qui la principessa.

Giulia                               - Manca ancora un'ora. Andatevene, se amate la principessa e avete pietà di me.

Lo scienziato                   - Arrivederci, povera Giulia. Come siete preoccupate tutt'e due! Io invece so che andrà tutto benissimo.

Annunziata                      - Sta venendo... Signora, vi scon­giuro...

Giulia                               - Silenzio! Ve l'ho detto che farò il pos­sibile. (Lo scienziato e Annunziata escono. Appare il ministro delle finanze sorretto dai lacchè)

Il ministro delle finanze - Lacchè, fatemi sedere accanto a quella affascinante signora. Sistematemi in una posizione adatta a una leggera, sottile con­versazione. (/ lacchè obbediscono) Bene. Adesso an­date. (/ lacchè escono) Giulia, ho intenzione di ral­legrarvi.

Giulia                               - Lo potete fare facilmente.

Il ministro delle finanze - Maliarda! Circe! Afro­dite! Abbiamo parlato adesso di voi nell'ufficio del primo ministro.

Giulia                               - Birichini!

Il ministro delle finanze - Ve l'assicuro, ed era­vamo tutti d'accordo. Siete una ninfa dotata di sen­so pratico e di intelligenza.

Giulia                               - Adulatori!

Il ministro delle finanze - Abbiamo deciso di farci aiutare da voi in una faccenda.

Giulia                               - Quale faccenda? Se non è difficile, sono disposta a qualunque cosa.

Il ministro delle finanze - Una sciocchezza. Do­vete aiutarmi a liquidare Io scienziato straniero Teodor-Christian. Lo conoscete, no? Allora ci aiute­rete? (Giulia non risponde) Lacchè! (Compaiono i lacchè) In posizione di estrema sorpresa! (/ lacchè obbediscono) Giulia, sono estremamente sorpreso. Perché mi guardate come se non sapeste cosa ri­spondere?

Giulia                               - È vero, non so cosa rispondere. Queste due settimane mi hanno distrutto.

Il ministro delle finanze - Non capisco.

Giulia                               - Anch'io non mi capisco.

Il ministro delle finanze - Rifiutate?

Giulia                               - Non so.

Il ministro delle finanze - Lacchè. (/ lacchè en­trano di corsa) In posizione di estremo sdegno! (/ lacchè obbediscono) Sono estremamente sdegnato, si­gnora Giulia Giuli! Cosa significa? Non vi sarete in­namorata di quel pezzente? Silenzio! In piedi! In prima! Davanti a voi non c'è un uomo, ma un mi­nistro delle finanze. Il vostro rifiuto dimostra che non avete rispetto per il nostro ordinamento. Zitta! Tacete! In tribunale!

Giulia                               - Aspettate!

Il ministro delle finanze - Non aspetterò! "Oh, perché non sono un praticello!" Solo adesso ho ca­pito cosa volevate dire. Un'allusione ai contadini che hanno poca terra. Eh? Vero? Ma io vi... Io vi... Do­mani i giornali smonteranno pezzo per pezzo voi, il vostro modo di cantare, la vostra vita privata. Lacchè battete un piede. (/ lacchè battono il piede) Non i vostri piedi, idioti, il mio! (/ lacchè ubbidi­scono) Arrivederci ex-celebrità.

Giulia                               - Aspettate!

Il ministro delle finanze - Non aspetterò!

Giulia                               - Guardatemi.

Il ministro delle finanze - Abbiate la cortesia di chiamarmi "vostra eccellenza".

Giulia                               - Guardatemi, vostra eccellenza.

Il ministro delle finanze - Allora?

Giulia                               - Possibile non riusciate a capire che per me siete un uomo prima che ministro delle finanze?

Il ministro delle finanze  - (lusingato) Su, su, basta.

Giulia                               - Parola d'onore. Vi pare che possa dire subito di si a un uomo?

Il ministro delle finanze - Afrodite. Allora ci vo­gliamo mettere d'accordo?

Giulia                               - Adesso vi do una risposta. Si.

 80

 Il ministro delle finanze        - Lacche, bisogna ab­bracciarla. (/ lacchè abbracciano Giulia) Idioti! Io, voglio abbracciarla. Cosi. Cara Giulia, grazie. Doma­ni emanerò un decreto in cancelleria per dichiarar­mi vostro primo protettore. Lacchè! Fatemi sedere vicino a questa Afrodite. Disponetemi in posizione di estrema spensieratezza. Anche voi, Giulia, mette­tevi in posizione di spensieratezza, ma ascoltatemi con tutte e due le orecchie. Allora, fra qualche mi­nuto troverete qui lo scienziato che parlerà vivace­mente con un funzionario degli affari speciali. E voi, con una scusa qualsiasi vi porterete via lo scienziato per venti minuti. Solo questo.

Giulia                               - Solo questo?

Il ministro delle finanze - Vedete com'è sempli­ce? Saranno proprio quei venti minuti a perderlo. Andiamo dal gioielliere, voglio comprarvi un anello di immenso valore. Andiamo. Lacchè! Portateci via. (Se ne vanno. Entrano l'aiutante, Pietro e Cesare Borgia)

L'aiutante                        - Buongiorno, signori.

Pietro                               - Ma ci siamo già visti stamattina.

L'aiutante                        - Vi consiglio di dimenticare che ci siamo già visti stamattina. Io non dimenticherò mai che a suo tempo mi avete trovato, mi avete siste­mato al palazzo e mi avete aiutato a diventare qual­cuno. Ma voi, signori, dimenticatevi una volta per tutte chi ero e tenete a mente solo chi sono.

Cesare Borgia                  - Chi siete, adesso?

L'aiutante                        - Sono un funzionario degli affari spe­ciali presso la cancelleria di sua eccellenza, il primo ministro.

Cesare Borgia                  - E come ci siete riuscito? Che for­tuna, il diavolo vi porti! Che storia!

L'aiutante                        - Ho raggiunto questa posizione con le mie sole forze. Per questo ripeto, dimenticate quello che ero.

Pietro                               - Dimenticare, è possibile. Ma se si liti­gasse non so se ricorderemo di dover dimenticare.

Cesare Borgia                  - è difficile dimenticarlo. Ma per il momento si può tacere. Avete capito l'allusione?

L'aiutante                        - Vi ho capito, signore. Non litighere­mo finché tacerete. E adesso ascoltatemi con atten­zione. Mi hanno affidato la pratica n. 8989. (Mostra una cartella) Eccola.

Pietro                               - (legge) La pratica del matrimonio della principessa.

L'aiutante                        - Si. In questa cartella c'è tutto. La principessa, lui e voi, il presente e il futuro.

Cesare Borgia                  - Non mi importa chi sia destinato a sposare sua maestà, come del resto in genere non mi interessano le cose terrene, come si dice, però...

L'aiutante                        - Destinati a sposarla, siete voi due.

Pietro                               - Diavolo! Come tutti e due?

Cesare Borgia                  - Io e lui?

L'aiutante                        - Si. È necessario lasciare una possi­bilità di scelta alla principessa.

Cesare Borgia                  - Ma siete voi che dovete giudi­care.

Pietro                               - Di chi diavolo può aver bisogno la prin­cipessa, se ci sono io.

L'aiutante                        - Silenzio! Decisione ultima. Propongo io, e la principessa sceglie. Pietro, portate via vo­stra figlia. Devo parlare con lo scienziato e lei gli fa la guardia come un intero battaglione.

Cesare Borgia                  - Annunziata s'è innamorata e Pie­tro è cieco come dev'essere un padre.

Pietro                               - Diavolo! Li ammazzo tutti e due!

Cesare Borgia                  - Sarebbe ora!

Pietro                               - Satana! Fate apposta a provocarmi! Mi arrestano per omicidio e voi restate l'unico fidan­zato, È questo che volete?

Cesare Borgia                  - Si, è questo. Un desiderio asso­lutamente naturale. Arrivederci!

Pietro                               - No, voi non ve ne andate. So dove vo­lete andare.

Cesare Borgia                  - Dove?

Pietro                               - Volete mangiarmi a tutti i costi. Ma non riuscirete. Non mi allontanerò da voi di un solo passo.

 L'aiutante                       - Zitti. Sta arrivando. Mettiamoci d'ac­cordo cosi. Chi di voi diventerà re pagherà all'altro un buon contributo. Lo nominerà, per esempio, pri­mo segretario del re, o capo della guardia. Guardate, sta venendo. È tutto allegro.

Cesare Borgia                  - E in che modo gli parlerete?

L'aiutante                        - Parlo a ciascuno la sua lingua. (En­trano lo scienziato e Annunziata)

Lo scienziato                   - - Che magnifica giornata, signori!

Pietro                               - Si, niente male, giorno maledetto! An­nunziata, a casa!

Annunziata                      - Papà...

Pietro                               - A casa! O finirà male, per te e per qual­cun altro. Non hai neanche detto alla cuoca cosa deve preparare per cena.

Annunziata                      - Per me fa lo stesso.

Pietro                               - Cosa dici, mostro! Signor Cesare Borgia, venite a casa con noi amico mio, o parola d'onore tirerò fuori il pugnale. (Escono. L'aiutante, che du­rante le ultime parole s'era tenuto da una parte, si avvicina allo scienziato)

L'aiutante                        - Non mi riconoscete?

Lo scienziato                   - Scusate, no.

L'aiutante                        - Guardatemi bene.

Lo scienziato                   - Come mai? Mi pare di conoscervi e di conoscervi bene, però...

L'aiutante                        - Quanti anni abbiamo vissuto in­sieme?

Lo scienziato                   - Ma cosa dite?

L'aiutante                        - Ve lo assicuro. Vi ho seguito per an­ni senza staccarmi mai, ma voi solo raramente mi davate un'occhiata distratta. Nonostante qualche vol­ta fossi più alto di voi, alto fino ai tetti delle case: come nelle notti di luna.

Lo scienziato                   - Allora, siete...

L'aiutante                        - Silenzio. Si, sono la vostra ombra... Perché mi guardate con sospetto? Tutta la vita vi sono stato attaccato, dal giorno della vostra nascita.

Lo scienziato                   - Ma si, semplicemente io...

L'ombra                           - Siete arrabbiato con me perché v'ho abbandonato? Siete stato voi a chiedermi di andare dalla principessa. Io vi ho obbedito subito. Siamo cresciuti insieme fra la stessa gente. Quando dice­vate "mamma", io ripetevo questa parola senza suono. Amavo le persone che amavate voi, e i vostri ne­mici erano i miei. Quando eravate ammalato non potevo alzare la testa dal cuscino. Guarivate e gua­rivo anch'io. Possibile, che dopo una vita intera di tale amicizia possa diventarvi nemico?

Lo scienziato                   - No, certo! Sedetevi, vecchio amico. Mi sono ammalato, senza di voi, ma ora sono guarito... sto molto bene. Oggi è una giornata cosi bella. Sono felice, la mia anima è aperta, ecco cosa vi dico, per quanto, lo sapete bene, non mi piacciano queste parole. Ma voi mi avete semplicemente com­mosso... E cosa avete fatto, voi, in questi giorni. An­zi, diamoci del tu, è meglio.

L'ombra                           - (porgendo la mano allo scienziato) Gra­zie. Sono rimasto la tua ombra, ecco cosa ho fatto in questi giorni.

Lo scienziato                   - Non ti capisco.

L'ombra                           - Mi hai mandato dalla principessa. Pri­ma mi sono sistemato come capocameriere del pa­lazzo, poi sono salito sempre più in alto, e da oggi sono funzionario degli affari speciali presso il primo ministro.

Lo scienziato                   - Poveretto. Posso immaginare co­me sarà duro per te fra quella gente. Perché l'hai fatto?

L'ombra                           - Per te.

Lo scienziato                   - Per me?

L'ombra                           - Non puoi credere che odio terribile ti circondi da che ti sei innamorato della principessa, e la principessa di te. Sono tutti pronti a mangiarti, ti mangerebbero anche in questo momento, se non ci fossi io.

Lo scienziato                   - Cosa dici!

L'ombra                           - Sono in mezzo a loro, per salvarti. Han­no fiducia in me. Mi hanno affidato la pratica N. 8989.

Lo scienziato                   - Cos'è questa faccenda?

 81

 L'ombra                          - La pratica del matrimonio della prin­cipessa.

Lo scienziato                   - Non può essere.

L'ombra                           - Per fortuna questa pratica è in mani fidate. È stato il primo ministro a mandarmi da te. Mi ha incaricato di comprarti.

Lo scienziato                   - Comprarmi? Per quanto? (Ride)

L'ombra                           - Sciocchezze. Ti promettono gloria, ono­ri e ricchezze se rinunci alla principessa.

Lo scienziato                   - E se non mi lascio comprare?

L'ombra                           - Ti ammazzeranno oggi stesso.

Lo scienziato                   - Non credo affatto di poter morire, proprio oggi.

L'ombra                           - Christian, amico mio, fratello, ti am­mazzeranno, credimi. Loro, non conoscono i sentieri sui quali abbiamo corso nella nostra infanzia, il mu­lino presso cui parlavamo col folletto delle acque, dove abbiamo incontrato la figlia del professore e ce ne siamo innamorati, tu di lei, io della sua ombra. Non immaginano che sei una persona viva. Per loro sei un ostacolo come un ceppo o un tronco. Credimi, prima che sorga il sole, sarai morto.

Lo scienziato                   - Cosa mi consigli, allora?

L'ombra                           - (prende una carta dalla borsa) Firma qui.

Lo scienziato                   - (legge) "Io, sottoscritto, decisa­mente, fermamente e definitivamente rinuncio al ma­trimonio con la principessa, erede al trono, se in cambio riceverò gloria, onori e ricchezza." Davvero mi proponi di firmarlo?

L'ombra                           - Firma, se non sei un bambino, se sei un vero uomo.

Lo scienziato                   - Ma cosa ti prende?

L'ombra                           - Devi capire. Non abbiamo altra via d'u­scita. Da una parte siamo noi tre, dall'altra ministri, consiglieri segreti, funzionari del regno, polizia ar­mata. In una battaglia aperta, avremo la peggio. Credimi, sono sempre stato più vicino alla terrà di te. Ascoltami. Questa carta li placherà. Questa sera prenderai una carrozza, nessuno ti seguirà. E nel bosco, vi saliremo, io e la principessa. Fra qualche ora, saremo liberi. Capito? Liberi. Ecco l'inchiostro, ecco la penna, firma.

Lo scienziato                   - Va bene. Adesso verrà la princi­pessa e mi consiglierò con lei. Se non ci sarà altra via d'uscita firmerò.

L'ombra                           - Non si può aspettare. Il primo ministro mi ha dato solo venti minuti di tempo. Non crede che riuscirò a comprarti e considera la nostra con­versazione una semplice formalità. Ha già pronti "gli assassini di turno. Stanno li in attesa di ordini. Firma.

Lo scienziato                   - Non ne ho nessuna voglia.

L'ombra                           - Sei anche tu un assassino. Se rifiuti di firmare questa misera carta, ammazzi me, il tuo migliore amico, e la povera principessa indifesa. Non potremo sopravvivere alla tua morte.

Lo scienziato                   - Va bene. Va bene. Da qui, firme­rò. Soltanto... Mai più in vita mia mi avvicinerò ai palazzi... (Firma la carta)

L'ombra                           - Ecco anche il timbro reale. (Timbra. Entra di corsa Giulia. L'ombra si fa modestamente da parte)

Giulia                               - Christian! Sono rovinata.

Lo scienziato                   - Cos'è successo?

Giulia                               - Aiutatemi.

Lo scienziato                   - Sono pronto... Ma come? State scherzando?

Giulia                               - No. Ah, sorrido? Lo faccio per abitu­dine. Venite subito con me. Andiamo.

Lo scienziato                   - Vi giuro che non posso muovermi. Adesso viene la principessa.

Giulia                               - È una faccenda di vita o di morte!

Lo scienziato                   - Ah, indovino di che cosa si tratta. Avete saputo dal ministro delle finanze che pericolo sto correndo e mi volete avvertire. Grazie Giulia, ma...

Giulia                               - Oh, voi non capite niente. ...Allora, re­state. No! Non voglio essere umana, sentimentale, borghese. Non ho nessuna intenzione di avvertirvi. La faccenda riguarda me. Christian, scusate... Venite con me, o sarò rovinata. Se volete mi metto in gi­nocchio. Andiamo!

Lo scienziato                   - Va bene. Dico solo due parole al mio amico. (Si avvicina all'ombra) Senti, ora viene la principessa.

L'ombra                           - Si.

Lo scienziato                   - Dille che verrò fra qualche mi­nuto. Non posso rifiutarmi di seguire questa donna. È successa una disgrazia.

L'ombra                           - Va' tranquillo. Spiegherò tutto alla principessa.

Lo scienziato                   - Grazie. (Escono)

L'ombra                           - Maledetta abitudine. Mi fanno male le braccia, le gambe, il collo. Mi veniva continuamente voglia di ripetere ogni suo movimento. È pericolo­so... (Apre la cartella) Bene, bene... Punto quarto: eseguito... (Si immerge nella lettura. Entrano la prin­cipessa e il consigliere segreto. L'ombra si alza in tutta la sua lunghezza. Guarda fisso la principessa)

La principessa                  - Consigliere segreto, dov'è? Per­ché non è qui?

Consigliere segreto          - (sussurrando) Verrà subito, principessa, e andrà tutto benissimo.

La principessa                  - No. È una disgrazia terribile. Tacete. Non capite niente. Per voi che non siete in­namorato è facile dire che andrà tutto benissimo! Dopotutto sono una principessa, e non so aspettare. Cos'è questa musica?

Il consigliere segreto       - Viene dal ristorante, prin­cipessa.

La principessa                  - E perché nel ristorante c'è sem­pre musica?

Il consigliere segreto       - Per coprire il rumore del­la masticazione, principessa.

La principessa                  - Lasciatemi in pace. Ma com'è questa faccenda! (Rivolgendosi all'ombra) Ehi; voi, perché mi guardate con gli occhi spalancati?

L'ombra                           - Devo parlarvi, e non oso, principessa.

La principessa                  - Chi siete?

L'ombra                           - Sono il suo miglior amico.

La principessa                  - Di chi?

_ L'ombra                        - Della persona che state aspettando, prin­cipessa.

La principessa                  - Davvero? Perché allora tacete?

L'ombra                           - La mia risposta vi sembrerà audace, principessa.

La principessa                  - Non importa. Parlate.

L'ombra                           - Tacevo perché la vostra bellezza mi ha colpito.

La principessa                  - Non è audace. Vi ha mandato lui?

L'ombra                           - Si. Mi ha pregato di dirvi che verrà subito, principessa. Una faccenda molto importante l'ha trattenuto. Va tutto bene, principessa.

La principessa                  - Ma verrà presto?

L'ombra                           - Si.

La principessa                  - Allora, torno a essere allegra. Volete intrattenermi fino al suo arrivo? (L'ombra tace) Dunque? È imbarazzante ricordarvelo. Ma io sono la principessa. Sono abituata a essere intrat­tenuta.

L'ombra                           - Va bene. Eseguo l'ordine. Vi racconterò dei sogni, principessa.

La principessa                  - Sono interessanti, i vostri sogni?

L'ombra                           - Vi racconterò i vostri sogni, principessa.

La principessa                  - I miei?

L'ombra                           - Si. L'altra notte avete sognato che le pareti del vostro palazzo si erano trasformate im­provvisamente in onde marine. Avete gridato: "Chri­stian," e lui è apparso in una barca e vi ha teso la mano.

La principessa                  - Ma non l'ho raccontato a nes­suno, questo sogno.

L'ombra                           - E vi siete trovata nel bosco. D'un trat­to sbucò fuori dai cespugli un lupo. E Christian dis­se: "Non aver paura, è un lupo buono," e lo acca­rezzò. Ecco un altro sogno. Cavalcavate in un cam­po. L'erba continuava a crescere fino a diventare co­me un muro intorno a voi. Vi sembrava cosi bello, cosi straordinariamente bello, che siete scoppiata a piangere e vi siete svegliata in lacrime.

La principessa                  - Ma come fate a saperlo?

L'ombra                           - L'amore fa miracoli, principessa.

La principessa                  - L'amore.

L'ombra                           - Sono tanto infelice, principessa. Vi amo.

La principessa                  - Davvero? Consigliere!

Il consigliere segreto       - Si, principessa.

La principessa                  - Chiamate... No, allontanatevi di cinque passi. (// consigliere conta cinque passi) Io...

L'ombra                           - Volevate chiamare la guardia, princi­pessa. E senza sapere voi stessa perché, gli avete or­dinato di allontanarsi di cinque passi.

La principessa                  - Voi...

L'ombra                           - Io vi amo, principessa. E voi lo sen­tite. Sono cosi pieno di voi che la vostra anima m'è chiara come se fosse la mia. Vi ho raccontato solo due vostri sogni, ma li ricordo tutti. So anche i vo­stri sogni paurosi, quelli ridicoli e anche quelli che si possono raccontare solo in un orecchio.

La principessa                  - No...

L'ombra                           - Se volete vi racconterò quel sogno che vi ha colpito. Ricordate? In quel sogno non c'era lui, non c'era Christian, ma un altro uomo con un viso sconosciuto, e proprio questo vi piaceva. E con lui...

La principessa                  - Consigliere, chiamate la guardia!

Il consigliere segreto       - Obbedisco, principessa.

La principessa                  - Per il momento fatela stare li; dietro i cespugli. (All'Ombra) Parlate ancora. Vi ascolto perché... semplicemente perché mi annoio ad aspettarlo.

L'ombra                           - La gente non conosce la parte in om­bra delle cose. Ma proprio nell'ombra, nella penom­bra, nel fondo, si nasconde l'aspetto più saliente dei nostri sentimenti. Nel fondo della vostra anima, ci sono io.

La principessa                  - Basta! Sono tornata improvvisa­mente in me. Ora vi farò arrestare e stanotte sarete decapitato.

L'ombra                           - Leggete questo. (Prende dalla cartella la carta che lo scienziato ha firmato. La principessa la legge) È un uomo gentile, simpatico, ma troppo piccolo. Vi ha convinto a scappare con lui perché aveva paura di diventare re. E vi ha venduto. Vi­gliacco!

La principessa                  - Non credo a questa storia.

L'ombra                           - Ma qui c'è il timbro reale. Ho corrotto il vostro miserabile fidanzato, vi ho preso d'assalto. Date ordine di tagliarmi la testa.

La principessa                  - Datemi il tempo di riprendermi. Forse, neppure voi mi amate. Come sono infelice!

L'ombra                           - E i sogni? Li avete dimenticati i sogni? Come li ho saputi, i vostri sogni? Solo l'amore fa questi miracoli.

La principessa                  - Si, è vero...

L'ombra                           - Addio, principessa.

La principessa                  - Voi... Voi andate via? Come vi permettete? Avvicinatevi. Datemi la mano... Questo... tutto questo... è cosi... cosi interessante... (Si bacia­no) Io... io... non so neanche come vi chiamate.

L'ombra                           - Teodor Christian.

La principessa                  - Che bello! È quasi... quasi la stessa cosa... (Si baciano. Entra di corsa lo scien­ziato e si ferma impietrito)

Il consigliere segreto       - Vi consiglio di andarvene. La principessa sta dando udienza a uno dei suoi sudditi.

Lo scienziato                   - Luisa!

La principessa                  - Andatevene, uomo miserabile.

Lo scienziato                   - Cosa dici, Luisa?

La principessa                  - Avete firmato una dichiarazione con cui rinunciate a me.

Lo scienziato                   - Si... ma...

La principessa                  - Guardia! (Sbuca dai cespugli la guardia) Accompagnateci al palazzo. (Escono. Lo scien­ziato si lascia cadere sulla panchina. Dal padiglione esce in fretta il medico)

Il medico                         - Lasciate perdere. Lasciate perdere, su­bito, se non volete diventare matto.

 Lo scienziato                  - Ma sapete cos'è successo?

Il medico                         - Si, ho le orecchie molto sensibili. Ho sentito tutto.

Lo scienziato                   - Com'è riuscito a farsi baciare?

Il medico                         - L'ha sbalordita. Le ha raccontato tutti i suoi sogni.

Lo scienziato                   - E come li sapeva, i suoi sogni?

Il medico                         - Ma i sogni e le ombre sono parenti stretti. A quanto pare sono gemelli.

Lo scienziato                   - E voi sentivate tutto e non siete intervenuto.

Il medico                         - Siete matto? È un funzionario degli affari speciali. Vi rendete conto che ha un terribile potere?... Ho conosciuto un uomo di coraggio. Si av­ventava col coltello contro gli orsi, una volta affrontò persino un leone a mani nude. È vero che da quell'ul­tima partita di caccia non è più tornato. Ebbene, quell'uomo svenne una volta che urtò per caso un consigliere segreto. È una paura tutta particolare. Non c'è da stupirsi se ho paura di lui. No, io non sono intervenuto, in questa faccenda, e voi, lasciate andare.

Lo scienziato                   - Non posso.

Il medico                         - Ma cosa potete fare?

Lo scienziato                   - Lo annienterò.

Il medico                         - No. Ascoltatemi, voi non sapete, e del resto nessuno al mondo sa che io ho fatto una grande scoperta. Ho trovato una sorgente d'acqua viva aci­dula. Qui vicino. Proprio dietro al palazzo. È un'ac­qua che guarisce tutte le malattie della terra, e risu­scita persino i morti se sono buoni. E sapete quali sono state le conseguenze? Il ministro delle finanze mi ha ordinato di nascondere la sorgente. Se guari­remo tutti i malati, chi verrà più da noi? Ho lottato violentemente contro il ministro, allora mi si son messi contro tutti i funzionari. Per loro è tutto indif­ferente, la vita, la morte, le grandi scoperte. Proprio per questo hanno avuto la meglio. E io ho lasciato perdere tutto. E ho cominciato immediatamente a vivere meglio. Lasciate andare anche voi, e vivete come faccio io.

Lo scienziato                   - Che scopo avete nella vita?

Il medico                         - Eh, qualche scopo c'è... Un malato guarito, la moglie che se ne va per due giorni. Hanno scritto sul giornale che, nonostante tutto, da me si spera qualcosa.

Lo scienziato                   - Solo questo?

Il medico                         - E voi vivete per procurare la felicità al maggior numero di persone? E pensate che i fun­zionari vi lasceranno vivere? La gente stessa non lo sopporterebbe. Lasciate perdere. Guardatelo dalla fi­nestra, questo mondo folle e infelice.

Lo scienziato                   - Non posso. (Dietro le quinte suono di tamburo e di trombe)

Il medico                         - È lui che torna. (Si ritira in fretta nel padiglione. Entra una grande schiera di guardie, con suonatori di trombe e di tamburi. Alla testa, l'Ombra, in frac nero e sfavillante camicia bianca. Il corteo si ferma in mezzo alla scena)

L'ombra                           - Christian, do due o tre ordini, poi mi occupo di te. (Entra, affannato, il Primo Ministro. Poi di corsa i lacchè sorreggendo il Ministro delle finan­ze. Pietro e Cesare Borgia avanzano sottobraccio)

Il primo ministro              - Cosa significa, tutto questo? Abbiamo già deciso tutto.

L'ombra                           - E io ho deciso per conto mio.

Il primo ministro              - Ma, ascoltate...

L'ombra                           - No, ascoltate voi, mio caro. Sapete con chi parlate?

Il primo ministro              - Si.

L'ombra                           - Perché, allora, non mi chiamate eccel­lenza? Siete già stato in cancelleria?

Il primo ministro              - No, io ero a pranzo, vostra eccellenza.

L'ombra                           - Allora, passate di là. La pratica N. 8989 è espletata. In fondo è stata aggiunta una dichiara­zione della principessa e il mio ordine N. 0001. Vi è stabilito che mi si deve dell'Eccellenza, finché non assumeremo un nuovo titolo più degno di noi.

Il primo ministro              - Le carte sono tutte in regola?

 L'ombra                                   - Sì.

Il primo ministro              - Allora non ci resta niente da fare. Mi congratulo con voi, eccellenza.

L'ombra                           - Aggrottate la fronte, Ministro delle fi­nanze?

Il ministro delle finanze - Non so come la pren­derà il mondo degli affari. In fondo siete della casta degli scienziati. Ci saranno dei mutamenti, e noi non possiamo sopportarlo.

L'ombra                           - Nessun mutamento. Cosi stanno le cose e cosi resteranno. Niente piani, niente programmi, niente aspettative. Ecco le mie conclusioni scienti­fiche.

Il ministro delle finanze - In questo caso mi con­gratulo con voi, eccellenza.

L'ombra                           - Pietro! La principessa ha scelto il suo fidanzato. Ma non siete voi.

Pietro                               - Al diavolo, eccellenza, l'importante è che ne sia ripagato.

L'ombra                           - Cesare Borgia! Neanche voi, divente­rete re.

Cesare Borgia                  - Mi resta solo una cosa: scrivere le mie memorie, eccellenza.

L'ombra                           - Non amareggiatevi. Io so apprezzare i vecchi amici che mi conoscevano quando ero ancora un semplice funzionario degli affari speciali. Voi, sa­rete nominato segretario del re. Voi, capo della guar­dia reale. ( Pietro e Cesare Borgia si inchinano) Si­gnori, la seduta è tolta. ( Tutti escono facendo un in­chino. L'Ombra si avvicina allo scienziato) Visto?

Lo scienziato                   - Si.

L'ombra                           - E cosa ne pensi?

_ Lo scienziato                - Ecco: devi subito rifiutare la prin­cipessa e il trono, o io ti costringerò a farlo.

L'ombra                           - Ascolta, uomo miserabile: domani io darò una serie di ordini, e tu resterai solo contro tutti. Gli amici ti volteranno le spalle con disgusto. I nemici rideranno di te. E tu striscerai da me per chiedere pietà.

Lo scienziato                   - No.

L'ombra                           - Vedremo. A mezzanotte fra martedì e mercoledì, verrai al palazzo e mi farai avere un bi­glietto: "Mi arrendo. Christian Teodor." E io accon­sentirò ad assegnarti un incarico presso la mia illu­stre persona. Guardie, seguitemi! ( Suono di tamburi e di trombe. L'Ombra esce seguita dal corteo)

Lo scienziato                   - Annunziata, Annunziata! ( Annun­ziata entra di corsa)

Annunziata                      - _ Eccomi. Signore! Forse... darete ascolto ai consigli del medico? Lascerete perdere tut­to? Scusate... Non prendetevela. Io vi aiuterò. Vi sarò utile. Sono molto fedele, signore!

Lo scienziato                   - Annunziata, che fiaba triste!

ATTO TERZO

QUADRO I

È notte. Ardono le fiaccole. Ardono i lampioncini sui cornicioni, le colonne e i balconi del palazzo. Folla, agitata e rumorosa.

Un uomo molto lungo     - A chi devo raccontare cosa vedo. Due soldini soltanto. A chi devo raccon­tare. Oh, com'è interessante!

Un uomo piccolo             - Non ascoltatelo. Date ascolto a me. Io passo da per tutto. Io so tutto. Le ultime novità. Due soldini soltanto. Come si sono incon­trati, come si sono conosciuti e come è stato liqui­dato il primo fidanzato.

Prima donna                    - Da noi si dice che il primo fidan­zato era un uomo assai buono.

Seconda donna                - Come, assai buono? L'ha rifiutata per un milione.

Prima donna                    - Si? Possibile?

Seconda donna                - Lo sanno tutti. Lei gli fa: "Scioc­co, a fare il re non guadagneresti meno!" E lui: "Già, ma c'è anche da lavorare!"

 Prima donna                   - Gente simile si dovrebbe annegarla!

Seconda donna                - Davvero! Fare il re, per lui, è faticoso. Dovrebbe provare a fare i lavori di casa!

Un uomo molto lungo     - A chi devo raccontare cosa vedo dalla finestra? Nel corridoio sta passando il lacchè di corte. E... Chi vuole sapere cosa sta suc­cedendo, ancora? Due soldini soltanto.

Un uomo piccolo             - Chi vuole il ritratto del nuovo re, a busto intero? Con la corona in testa. E un dolce sorriso sulle labbra. E la benevolenza negli occhi.

Un uomo della folla        - Abbiamo il re. Adesso la nostra vita migliorerà.

Un altro uomo della folla       - Perché mai?

Primo uomo                     - Ti spiego subito. Vedi?

Secondo uomo                - Cosa?

Primo uomo                     - Vedi chi c'è?

Secondo uomo                - Non è il capo della guardia?

Primo uomo                     - Certo, è lui, travestito.

Secondo uomo                - Già vedo. ( A gran voce) Abbiamo il re, adesso vinceremo. ( A voce bassa) Si è trave­stito, ma gli sono rimasti gli stivali militari con gli speroni. ( Forte) Oh, come fa bene al cuore!

Primo uomo                     - ( a gran voce) Ma si, non era vivere senza il re. Ci struggevamo di nostalgia.

La folla                            - Viva il re Teodor I! Urrà! ( Si disper­dono piano piano sbirciando Pietro. Pietro resta solo. Dalla parete si stacca la figura di un uomo col man­tello)

Pietro                               - Novità, caporale?

Il caporale                        - Nessuna. Tutto calmo. Ho fermato due individui.

Pietro                               - Perché?

Il caporale                        - Uno invece di "viva il re" gridava "viva il re...ttile".

Pietro                               - E l'altro?

Il caporale                        - L'altro è il mio vicino.

Pietro                               - E cosa ha fatto?

Il caporale                        - Niente di speciale. Ha uno schifoso carattere. Chiamava mia moglie "cocomero". È un pezzo che volevo sistemarlo. E a voi com'è andata, signor capo?

Pietro                               - Tutto calmo. La gente esulta.

Il caporale                        - Permettetemi di farvi un appunto, signor capo. Gli stivali.

Pietro                               - Cosa, gli stivali?

Il caporale                        - Avete ancora dimenticato di cambia­re gli stivali. Gli speroni tintinnano.

Pietro                               - Davvero? Ma guarda!

Il caporale                        - Il popolo indovina chi siete. Vedete che vuoto s'è fatto attorno.

Pietro                               - Già... Del resto... Tu sei dei nostri, te lo posso confidare: sono uscito apposta in stivali con gli speroni.

Il caporale                        - Non può essere!

Pietro                               - Si. Meglio che mi riconoscano altrimenti sentirei cose da non dormire per tre notti.

Il caporale                        - Già, può capitare.

Pietro                               - Con gli stivali sto molto più tranquillo. Cammini, gli speroni tintinnano, e intorno a te senti solo le cose che si devono sentire.

Il caporale                        - Si, è giusto.

Pietro                               - Per loro è semplice, stanno in cancelle­ria. Hanno solo a che fare con delle carte. Ma io, in mezzo al popolo?

Il caporale                        - Si, il popolo...

Pietro                               - ( sottovoce) Sai cosa ti dico? Il popolo vive per conto suo.

Il caporale                        - Ma no!

Pietro                               - Puoi credermi. Qui il sovrano festeggia l'incoronazione, le nozze solenni sono imminenti, e il popolo cosa non si concede? Ragazzi e ragazze si baciano a due passi dal palazzo, negli angoli più bui, al N. 28 alla moglie del sarto son venute le doglie. C'è un grande avvenimento nel regno, e lei grida come se non fosse successo niente! Il vecchio mani­scalco al numero 3, ha preso su, ed è morto! Il pa-laz20 è in festa e lui se ne sta in una bara e se ne infischia. Questo è disordine.

Il caporale                        - A che numero si partorisce? Vado a dare la multa.

 

Pietro                               - Non sta qui la faccenda, caporale. Mi fa paura che si permettano di comportarsi cosi. Cos'è questa testardaggine, eh, caporale? E se improvvisa­mente, tutti insieme, cosi quieti e testardi... Ehi, tu, cos'hai?

Il caporale                        - Io niente...

Pietro                               - Guarda amico... Sta' sull'attenti! (Il ca­porale si mette sull'attenti) Io t-ti... Vecchio diavolo... Fai lo sbracato? Ti metti a ragionare! Ma guarda, questo Jean Jacques Rousseau! Che ora sono?

Il caporale                        - Manca un quarto a mezzanotte, si­gnor capo.

Pietro                               - Ricordi cosa bisogna gridare a mezza­notte in punto?

Il caporale                        - Signorsì, signor capo.

Pietro                               - Io vado in cancelleria. Riposerò, mi cal­merò, leggerò qualche carta e tu annunzia quello che devi, non dimenticarlo! ( Esce. Entra lo scienziato)

Lo scienziato                   - Sono molto belle queste luci. Mi sembra di non aver mai avuto tanta chiarezza in vita mia. Vedo tutte le fiammelle insieme, e ogni fiammella in particolare. Amo tutte le fiammelle in­sieme, e ogni fiammella in particolare. So che all'al­ba vi spegnerete amiche mie, ma non dovete dispia-cervene. Dopotutto avete brillato, e brillato allegra­mente, e questo nessuno può togliervelo.

Un uomo avvolto nel mantello dalla testa ai piedi    - Christian!

Lo scienziato                   - Chi è? Ma... il dottore

Il medico                         - Mi avete riconosciuto cosi facilmente... (Si guarda attorno) Mettiamoci in un angolo. Non guardatemi. Ma no, mi risuonano le orecchie e mi pareva fossero gli speroni. Non prendetevela. Ho una famiglia numerosa.

Lo scienziato                   - Non me la prendo affatto. (Avan­zano verso il proscenio)

Il medico                         - Vorrei sapere, come medico, se avete deciso di arrendervi.

Lo scienziato                   - No. Sono un uomo coscienzioso. Devo andare a dirgli quello che so.

Il medico                         - Ma è un suicidio.

Lo scienziato                   - È probabile.

Il medico                         - Vi scongiuro, arrendetevi.

Lo scienziato                   - Non posso.

Il medico                         - Vi faranno tagliare la testa.

Lo scienziato                   - Non credo. Da una parte una vita viva, dall'altra l'Ombra. Tutte le mie nozioni scien­tifiche dicono che l'ombra può vincere solo per breve tempo. Il mondo si sostiene su di noi, sulla gente che lavora. Addio!

Il medico                         - Ascoltate, le persone con cui ti metti a lottare sono terribili, ma quando sei in pace con loro, ti sembrano sopportabili.

Lo scienziato                   - Questo, mi volevate dire?

Il medico                         - No. Forse sono impazzito, ma non posso vedervi entrare li disarmato. Zitto. Ricordate queste parole: "Ombra, riprendi il tuo posto!"

Lo scienziato                   - Non vi capisco.

Il medico                         - In questi giorni non ho fatto che fru­gare in tutti i trattati sulle persone che hanno perso la loro ombra. In uno dei suoi studi, l'autore, un pro­fessore di fama, consiglia questo mezzo: il padrone dell'ombra deve gridarle: "Ombra, riprendi il tuo posto." Allora per qualche tempo l'ombra diventa ombra di nuovo.

Lo scienziato                   - Ma cosa dite? Davvero? è mera­viglioso. Cosi tutti vedranno che è un'ombra. Ve Io dicevo che gli sarebbe andata male! La vita è contro di lui. Noi...

Il medico                         - Neppure una parola su di me... Addio! (Esce in fretta)

Lo scienziato                   - Benissimo. Mi preparavo a morire con onore, ma vincere è meglio. Vedranno che è un'ombra, e capiranno... In una parola capiranno tutto... Io... (Giunge di corsa una folla di gente) Cosa succede?

Primo uomo                     - Arriva il caporale con la tromba.

Lo scienziato                   - Perché?

Primo uomo                     - Deve fare una comunicazione... Ec­colo... Silenzio...

 Il caporale                       - Christian Teodor! Christian Teodor!

Lo scienziato                   - Cosa succede! Mi vien quasi paura.

Il caporale                        - Christian Teodor! Christian Teodor!

Lo scienziato                   - (ad alta voce) Sono qui.

 Il caporale                       - Avete il messaggio per il re?

Lo scienziato                   - Eccolo.

Il caporale                        - Seguitemi.

QUADRO II

Sale del palazzo reale. 1 cortigiani stanno seduti a gruppi. Conversazioni sommesse. Il maggiordomo e l'aiutante offrono un rinfresco.

Primo cortigiano              - (canuto, con un bellissimo viso triste) Prima il gelato lo servivano a forma di agnellini, leprotti, gattini. Il sangue si agghiacciava nelle vene quando dovevi mangiare la testa alla dolce e indifesa creatura.

Prima dama                     - Ah, si, si. Anche a me il sangue si agghiacciava nelle vene. Il gelato è cosi freddo!

Primo cortigiano              - Adesso servono gelati a forma di frutti bellissimi. È molto più umano.

Prima dama                     - Avete ragione. Che buon cuore! Co­me stanno i vostri simpatici canarini?

Primo cortigiano              - Ah, uno, Gocciolina d'oro, ha preso un raffreddore e una tosse, che quasi mi am­malo dal dolore. Adesso sta meglio. Vorrebbe anche riprendere a cantare. Ma io non glielo permetto. (Entra Pietro)

Pietro                               - I miei omaggi! Cosa stanno mangiando i signori?

Secondo cortigiano         - Gelato, signor capo della guar­dia reale.

Pietro                               - Ehi, una porzione per me. Ma presto, per il diavolo! Più grande, demonio.

Secondo cortigiano         - Vi piace tanto, il gelato, si­gnor capo?

Pietro                               - Lo detesto. Ma se lo danno bisogna pren­derlo, maledetto lui!

Il maggiordomo               - Dolcini alla crema rosa! Chi ne gradisce, signori cortigiani? (Sottovoce, al lacchè) Pri­ma ai duchi, poi ai conti, poi ai baroni. Ai duchi sei a testa, ai conti quattro, ai baroni due, quello che resta agli altri. Non fate confusione.

Un lacchè                        - E quanti, ai nuovi segretari reali?

Il maggiordomo               - Sei e mezzo. (Entra Cesare Borgia)

Cesare Borgia                  - Buon giorno, signori. Guardatemi. Dunque? Vi piace la mia cravatta, signori? È più che moderna. Sarà di moda solo fra due settimane.

Terzo cortigiano              - Ma dove l'avete trovata quest'opera d'arte?

Cesare Borgia                  - Molto semplice. Le cravatte me le fornisce un ammiraglio della flotta reale. Me le porta dall'estero e quando sbarca le nasconde nel suo berretto a tre punte.

Terzo cortigiano              - Che geniale semplicità.

Cesare Borgia                  - Come segretario reale, posso farvi avere una dozzina di cravatte. Signori, voglio ralle­grarvi. Venite con me e vi mostrerò i miei apparta­menti. Mogani, porcellane cinesi. Volete dare un'oc­chiata?

I cortigiani                       - Certamente. Moriamo dall'impazien­za. Come siete amabile, signor segretario reale. (Ce­sare Borgia esce seguito dai cortigiani. Entra Annun­ziata con Giulia Giuli)

Giulia                               - Annunziata, siete in collera con me! Non negatelo. Adesso che siete la figlia di un funziona­rio importante, leggo chiaramente nel vostro viso: siete in collera con me. E perché?

Annunziata                      - Ah, veramente, ho altro in testa.

Giulia                               - Pensate sempre a lui, allo scienziato?

Annunziata                      - Si.

Giulia                               - Credete davvero che possa vincere?

Annunziata                      - Mi è indifferente.

Giulia                               - Avete torto. Siete ancora una ragazza. Non sapete che il vero uomo è quello che vince. È terribile soltanto il fatto che non si è mai sicuri su chi vincerà alla fine. Christian Teodor, è cosi strano... Avete sue notizie?

Annunziata                      - È un tale guaio! Ci siamo trasferiti al palazzo e mio padre ha ordinato ai lacchè di non lasciarmi uscire. Neppure mandare una lettera al si­gnor scienziato, posso. Penserà certamente che l'ho abbandonato. Cesare Borgia, ogni giorno, lo distrugge sul giornale, mio padre legge e gongola tutto. E io leggo e mi viene da piangere. Adesso, passando per il corridoio ho urtato Cesare Borgia e non mi sono neanche scusata.

Giulia                               - Non l'ha neppure notato, credetemi.

Annunziata                      - È probabile. E voi sapete qualcosa dello scienziato, signora?

Giulia                               - Si. I miei amici ministri mi raccontano tutto. Christian Teodor è completamente isolato, ma nonostante tutto se ne va in giro sorridente.

Annunziata                      - È spaventoso!

Giulia                               - Davvero. Come si fa a comportarsi cosi in tali circostanze. È inconcepibile. Mi sono organiz­zata una vita facile e garbata e adesso, improvvisa­mente, quasi soffro. Soffrire, non è nel nostro co­stume. (Ride forte e con civetteria)

Annunziata                      - Cos'avete, signora?

Giulia                               - Stanno tornando i cortigiani. Signor mi­nistro, eccovi, finalmente! Mi stavo annoiando, senza di voi. Salve! (/ lacchè conducono il Ministro delle finanze)

Il ministro delle finanze - Uno, due, tre, quat­tro... Bene. Tutti i brillanti sono a posto. Uno, due, tre... Anche le perle. E i rubini. Salve, Giulia. Dove andate?...

Giulia                               - Oh, la vostra presenza mi emoziona troppo... La gente può accorgersene.

Il ministro delle finanze - Ma i nostri rapporti sono autorizzati dal decreto...

Giulia                               - Lo stesso... Io mi allontano. È più ele­gante. (Si allontana)

Il ministro delle finanze - È divina! Lacchè, mettetemi vicino alla parete. Disponetemi in posi­zione di uomo completamente soddisfatto degli av­venimenti. Presto! (/ lacchè eseguono) Via! (/ lacchè escono. Il primo ministro con l'aria di passeggiare, si avvicina al ministro delle finanze. Questi, sorri­dendo, a voce bassa) Come vanno le cose signor pri­mo ministro?

Il primo ministro              - Tutto bene, a quanto pare. (Sorride)

Il ministro delle finanze - Perché a quanto pare?

Il primo ministro              - Durante i lunghi anni di ser­vizio ho scoperto una legge tutt'altro che piacevole. Proprio adesso che la vittoria è in nostro pugno, la vita alza la testa.

Il ministro delle finanze - Alza la testa?... Avete chiamato il boia di corte?

Il primo ministro              - Si. È qui. Sorridete. Ci ten­gono d'occhio.

Il ministro delle finanze  - (sorride) E la scure e il patibolo?

Il primo ministro              - Li ho fatti preparare. Il pa­tibolo è stato sistemato nel salotto rosa vicino alla statua di cupido, mascherato di non-ti-scordar-di-me.

Il ministro delle finanze - Cosa può fare lo scienziato?

Il primo ministro              - Niente. È solo e senza forze. Ma questa gente onesta e ingenua a volte si com­porta in maniera cosi imprevedibile...

Il ministro delle finanze - Perché non l'avete fatto giustiziare subito?

Il primo ministro              - Il re si oppone. Sorridete. (Si allontana, sorridendo. Entra il consigliere segreto)

Il consigliere segreto       - Signori cortigiani, ralle­gramenti! Sua maestà con l'augusta fidanzata muove i suoi passi regali verso di noi. È motivo di grande giubilo. (Tutti si alzano. La porta si spalanca. Entra l'Ombra conducendo sotto braccio la principessa)

L'ombra                           - (con garbato e maestoso gesto della mano) Sedetevi.

I cortigiani                       - (in coro) -            - Non ci sediamo.

L'ombra                           - Sedetevi.

 I cortigiani                      - Non osiamo.

L’ombra                           - Sedetevi.

I cortigiani                       - Se insistete. (Si siedono)

 

L’ombra                           - Primo Ministro!

II primo ministro             - Eccomi, Maestà!

L’ombra                           - Che ore sono?

Il primo ministro              - Manca un quarto a mezza­notte, maestà.

L’ombra                           - Potete andare.

La principessa                  - Dove siamo. In che sala?

L’ombra                           - Nella sala piccola del trono, principessa. Vedete?

La principessa                  - Non vedo altro che te. Non ri­conosco le stanze nelle quali sono cresciuta, la gente con cui ho vissuto per tanti anni. Ho voglia di cac­ciare via tutti e rimanere sola con te.

L’ombra                           - Anch'io.

La principessa                  - Sei preoccupato?

L’ombra                           - Si. Ho promesso di concedere il mio perdono a Christian se viene dì sua volontà a mez­zanotte. È uno sventurato, ma gli sono stato amico per molti anni...

La principessa                  - Come puoi pensare ad altri che a me? Fra un'ora avranno luogo le nozze.

L’ombra                           - Ma è grazie a Christian che ci siamo conosciuti!

La principessa                  - E vero. Come sei buono Teodor! Certo che dobbiamo perdonarlo. È uno sventurato, ma tu gli sei stato amico per tanti anni.

L’ombra                           - Consigliere segreto!

Il consigliere segreto       - Eccomi, maestà.

L’ombra                           - Verrà un uomo, ora, con cui voglio parlare in privato.

Il consigliere segreto       - Obbedisco, maestà. Signori cortigiani! Sua maestà si compiace di concedere udienza in questa sala a uno dei suoi sudditi. Lui felice! (I cortigiani si alzano ed escono con grandi inchini)

La principessa                  - Pensi che verrà?

L’ombra                           - E cosa può altro fare? (Bacia la mano alla principessa) Ti chiamerò appena l'avrò conso­lato e calmato.

La principessa                  - Io vado, caro. Che uomo straor­dinario, sei! (Esce seguendo i cortigiani. L'Ombra apre la finestra. Tende l'orecchio. Nella stanza ac­canto battono le ore) Mezzanotte. Adesso verrà. (Fuo­ri, molto lontano, si sente il caporale gridare)

Voce del caporale            - Christian Teodor! Christian Teodor!

L’ombra                           - Cosa succede? Mi viene quasi paura!

Voce del caporale            - Christian Teodor! Christian Teodor!

Voce dello scienziato      - Sono qui.

Voce del caporale            - Avete un messaggio per il re?

Voce dello scienziato      - Eccolo.

Voce del caporale            - Seguitemi.

L'ombra                           - (chiude la finestra e si siede sul trono) Io posso allungarmi sul pavimento, alzarmi sulla pa­rete e cadere dalla finestra nello stesso tempo. E lui, ha questa elasticità? Se mi stendevo sul selciato, gli zoccoli dei cavalli non mi facevano nessun male. E, poi, lui, saprebbe adattarsi come me all'ambiente? In due settimane ho conosciuto la vita mille volte meglio di lui. In silenzio, come un'ombra, entravo dovunque, spiavo, sbirciavo e ascoltavo, e leggevo le lettere degli altri. Conosco tutto il lato in ombra delle cose. E adesso sono seduto sul trono, e lui è ai miei piedi. (Si apre la porta, ed entra il capo della guardia)

Pietro                               - La lettera, maestà.

L’ombra                           - Datemela. (Legge) "Sono venuto. Chri­stian Teodor." Dov'è?

Pietro                               - Fuori dalla porta, maestà.

L’ombra                           - Fatelo entrare. (Il capo della guardia esce. Entra lo scienziato. Si ferma di fronte al trono) Allora, come vanno le cose, Christian Teodor?

Lo scienziato                   - Vanno male, Teodor Christian.

L’ombra                           - Perché male?

Lo scienziato                   - Sono rimasto assolutamente solo.

L’ombra                           - E i tuoi amici?

Lo scienziato                   - Hanno ascoltato delle calunnie sul mio conto.

L’ombra                           - E quella ragazza che amavi?

Lo scienziato                   - Ora è la tua fidanzata.

L’ombra                           - Di chi è la colpa, Christian Teodor?

Lo scienziato                   - La colpa è tua, Teodor Christian.

L’ombra                           - Ecco un vero discorso fra l'uomo e l'ombra. Consigliere segreto! (Entra di corsa il con­sigliere segreto) Fate entrare tutti. Presto. (Entra la principessa e si siede accanto all'Ombra. Entrano i cortigiani e si dispongono a semicerchio. Fra di loro, il medico) Sedetevi.

I cortigiani                       - Non ci sediamo.

L’ombra                           - Sedetevi.

I cortigiani                       - Non osiamo.

L’ombra                           - Sedetevi.

I cortigiani                       - Se insistete... (Si siedono)

L’ombra                           - Signori, davanti a voi c'è un uomo che voglio fare felice. È sempre stato uno sventurato. Finalmente, per fortuna sua, sono salito al trono. Lo nomino la mia ombra. Congratulatevi con lui, si­gnori cortigiani. (I cortigiani si alzano e si inchinano) Lo elevo al rango e all'onore dei segretari reali.

II maggiordomo              - (mormorando ad alta voce) Pre­parategli sei dolcini e mezzo.

L’ombra                           - Non siate in imbarazzo, Christian Teo­dor. In principio vi sarà un po' duro, ma io vi darò qualche buona lezione del tipo di quelle che hai avuto in questi giorni. E diventerai una vera ombra, Christian Teodor. Prendi il tuo posto ai nostri piedi.

Il primo ministro              - Maestà, la vostra nomina non è ancora legalizzata. Se permettete do ordine al capo della guardia di condurlo via fino a domani.

L’ombra                           - No. Christian Teodor! Prendi il tuo po­sto ai nostri piedi.

Lo scienziato                   - Assolutamente no, signori! Ascol­tatemi con la stessa serietà con cui io parlo. Ecco la vera ombra. La mia ombra. La mia ombra si è im­possessata del trono. Avete udito?

Il primo ministro              - Lo sapevo, maestà!

L'ombra                           - (tranquilla) Silenzio, primo ministro. Parla, sventurato! Assisterò all'ultima sventura della tua vita.

Lo scienziato                   - Principessa. Io non v'ho mai rifiu­tata. Lui ha ingannato e imbrogliato voi e me.

La principessa                  - Non voglio parlare con voi.

Lo scienziato                   - Ma mi avevate scritto che eravate disposta ad abbandonare il palazzo e a venire con me dove avessi voluto.

La principessa                  - Non voglio, non voglio, non voglio parlare con voi.

Lo scienziato                   - Ma sono venuto per voi, princi­pessa. Datemi la mano e scappiamo. Essere la moglie di un'ombra vuol dire trasformarsi in una brutta e disgustosa rana.

La principessa                  - Dite delle cose spiacevoli. Perché devo ascoltarvi?

Lo scienziato                   - Luisa.

La principessa                  - lo non parlo.

Lo scienziato                   - Signori!

Il consigliere segreto       - Vi consiglio di non ascol­tarlo. La gente raffinata si limita a non notare il mo­do di comportarsi di una persona maleducata.

Lo scienziato                   - Signori! Questo essere crudele sarà la vostra rovina. È al vertice del potere, ma è vuoto. E già ora sta soffrendo e non sa cosa fare. Comincerà a tormentarvi tutti con la noia e con l'ozio.

Primo cortigiano              - La mia piccola allodola man­gia dalle mie mani. E il mio piccolo stornello mi chiama papà.

Lo scienziato                   - Giulia. Eravamo cosi amici. Voi sapete chi sono. Ditelo a loro.

Il ministro delle finanze - Giulia vi adoro, ma se vi permettete di eccedere vi schiaccerò.

Lo scienziato                   - Giulia, ditelo.

Giulia                               - (guardando lo scienziato) L'ombra, sie­te voi!

Lo scienziato                   - Possibile che stia parlando come in un deserto...

 Annunziata                     - No, no. Mio padre ha minacciato di ammazzarvi. Per questo tacevo. Signori, ascoltatemi (Indica l'ombra) Ecco l'ombra! Parola d'onore! (Una leggera agitazione fra i cortigiani) L'ho vista io al­lontanarsi dal signor scienziato. Io non mento. Tut­ta la città sa che sono una ragazza onesta.

Pietro                               - Lei non può essere testimone.

Lo scienziato                   - Perché?

Pietro                               - Perché è innamorata di voi.

Lo scienziato                   - È vero, Annunziata?

Annunziata                      - Si, perdonatemi. Tuttavia ascolta­temi, signori.

Lo scienziato                   - Basta cosi, Annunziata. Grazie. Ehi, voi! Non avete voluto credermi, allora crederete ai vostri occhi. Ombra! Riprendi il tuo posto. (L'om­bra si alza a fatica e lottando con se stessa si avvi­cina allo scienziato)

Il primo ministro              - Guardate! Ripete tutti i suoi movimenti! Guardia!

Lo scienziato                   - È un'ombra. È semplicemente un'ombra. Sei un'ombra, Teodor Christian?

L’ombra                           - Si, sono un'ombra, Christian Teodor! Non credete, è una menzogna. Ti farò giustiziare!

Lo scienziato                   - Non oserai, Teodor Christian.

L'ombra                           - (cade) Non oserò Christian Teodor!

Il primo ministro              - Basta! Mi è tutto chiaro! Questo scienziato è pazzo! E la sua malattia è con­tagiosa. Il sovrano si è ammalato, ma guarirà. Lac­chè, portate via il sovrano. (I lacchè eseguono l'or­dine. La principessa gli corre dietro) Guardie! (En­tra il caporale con un manipolo di soldati) Prende­telo! (Circondano lo scienziato) Dottore! (Esce dal gruppo dei cortigiani il medico. Il primo ministro gli indica lo scienziato) È pericoloso?

Il medico                         - (alza le spalle) È un pezzo che gli dico che era una follia.

Il primo ministro              - La sua follia è contagiosa?

Il medico                         - Si. Io stesso, per poco non me ne la­sciavo contagiare.

Il primo ministro              - È curabile?

Il medico                         - No.

Il primo ministro              - Dunque, è necessario farlo decapitare.

Il consigliere segreto       - Sarebbe triste, sarebbe disumano tagliare la testa a un povero pazzo. Io protesto contro l'esecuzione, ma è necessario fare subito una piccola operazione alla testa del pove­retto. Una operazioncina medica non guasterà la festa.

Il primo ministro              - Ben detto.

Il consigliere segreto       - Il nostro illustre medico, come si sa, è un terapeuta, non un chirurgo. Perciò, in questo caso, per amputare l'organo malato, io consiglio di ricorrere ai servizi del signor boia di corte.

Il primo ministro              - Signor boia di corte!

Il primo cortigiano           - È questione di un momen­to. (Si alza. Parla con la sua interlocutrice, infilan­dosi i guanti bianchi) Vi prego di scusarmi. Torno subito, e vi racconterò come ho salvato la vita ai miei poveri conigli. (Al primo ministro) Sono pronto.

Annunziata                      - Lasciatemi congedare da lui. Addio Christian Teodor!

Lo scienziato                   - Addio, Annunziata!

Annunziata                      - Hai paura, Christian Teodor?

Lo scienziato                   - Si. Ma non chiedo grazia. Io...

Il primo ministro              - I tamburi!

Pietro                               - I tamburi! (Suona il tamburo)

Il primo ministro              - Avanti, march!

Pietro                               - Avanti march!

Il caporale                        - Avanti, march! (La guardia esce e trascina via lo scienziato. Il boia li segue)

Il primo ministro              - Signori, vi prego, fatevi al balcone a guardare i fuochi d'artificio. Intanto vi sa­ranno preparate bevande fresche e calmanti. (Tutti si alzano e si dirigono all'uscita. Restano in scena Annunziata e Giulia)

Giulia                               - Annunziata, io non potevo agire diver­samente. Perdonatemi.

Annunziata                      - E perfettamente sano, e improvvisamente deve morire.

Giulia                               - Anche per me è terribilmente, terribil­mente spiacevole, credetemi. Ma che mascalzone, quel dottore! Tradire cosi un suo buon conoscente!

Annunziata                      - E voi?

Giulia                               - Non è un confronto da fare. Quel mise­rabile dottore non aveva niente da perdere. Ma io amo talmente la scena. Piangete?

Annunziata                      - No. Piangerò quando sarò nella mia stanza.

Giulia                               - Bisogna imparare a scacciare dalla men­te quello che ci fa soffrire. Un leggero movimento del capo, e basta. Provate.

Annunziata                      - Non voglio.

Giulia                               - Inutile. Non guardatemi male. Vi giuro, sono pronta a uccidermi, tanto mi dispiace per lui. Ma questo resti fra noi.

Annunziata                      - È ancora vivo?

Giulia                               - Certo, certo. Quando sarà tutto finito, si udranno i colpi di tamburo.

Annunziata                      - Io non credo che non ci sia niente da fare. Vi scongiuro, Giulia, fermiamo tutto. Biso­gna andare là... in fretta!

Giulia                               - Zitta! ( Entra in fretta il medico)

Il medico                         - Colpa1!

Il maggiordomo               - Vino al dottore!

Giulia                               - Se mi date la parola che tacerete, ten­terò di aiutarvi...

Annunziata                      - Non lo dirò a nessuno. Parola d'o­nore. Ma in fretta!

Giulia                               - Non occorre assolutamente fare in fret­ta. Il mio sistema servirà solo quando tutto sarà finito. Tacete. Attenzione. (Si avvicina al medico) Dottore!

Il medico                         - Si, Giulia.

Giulia                               - Io so a cosa state pensando...

Il medico                         - Alla colpa...

Giulia                               - No. All'acqua...

Il medico                         - Non sono in grado di scherzare, ades­so, Giulia.

Giulia                               - Sapete bene che non sto scherzando.

Il medico                         - Lasciatemi calmare un attimo.

Giulia                               - Purtroppo non è possibile. In questo mo­mento, a un nostro comune conoscente... insomma mi capite.

Il medico                         - Cosa posso fare, io?

Giulia                               - E l'acqua?

Il medico                         - Che acqua?

Giulia                               - Ricordate quando eravamo cosi amici... Una volta, splendeva la luna, scintillavano le stelle, e voi mi raccontaste di aver scoperto una sorgente viva, che avrebbe guarito tutti i malati, e persino risuscitato i morti se erano buoni.

Annunziata                      - Dottore, è vero? C'è un'acqua si­mile?

Il medico                         - Giulia scherza, come sempre.

Annunziata                      - Voi mentite, lo vedo. Io adesso vi ammazzo!

Il medico                         - Ne sarei molto lieto.

Annunziata                      - Dottore, voi domani vi sveglierete, ma lui non si sveglierà più. Lui vi chiamava amico, compagno.

Il medico                         - Sciocca, infelice ragazza! Cosa posso fare, io? L'acqua è chiusa da sette porte con sette catenacci, e le chiavi le ha il ministro delle finanze.

Giulia                               - Non credo che non ve ne siate tenuta una bottiglietta in caso di disgrazia.

Il medico                         - No, Giulia! Sono una persona per bene. Neppure una goccia, mi sono tenuto per me, dal momento che non posso guarire gli altri.

Giulia                               - Miserabile.

Il medico                         - Il ministro delle finanze vi ama. Chie­detegli le chiavi, Giulia.

Giulia                               - Io? Egoista! Vuole rovesciare tutto ad­dosso a me.

Annunziata                      - Signora!

Giulia                               - Non una parola di più. Io ho fatto tutto quello che potevo.

Annunziata                      - Dottore!

Il medico                         - Cosa posso fare, io?

Il maggiordomo               - Sua maestà! (La sala si riempie di cortigiani. Lentamente entra l'Ombra con la prin­cipessa. Si siedono sul trono. Il primo ministro fa un cenno al maggiordomo) Ora, la cantante di sua maestà, Giulia Giuli, che si trova sotto la protezione di sua eccellenza il ministro delle finanze, canterà la fresca e rasserenante canzone: "Non conta perdere la testa."

L’ombra                           - Non conta perdere la testa... Benissimo!

Giulia                               - (fa un profondo inchino al re. Si inchina leggermente ai cortigiani. Canta) Viveva nel mondo una libellula, era una gran civetta, con gli occhi suoi leggiadri, le mosche spesso inceneriva. Essa amava ripetere: 'non conta perdere la testa'... (Il rombo dei tamburi interrompe la canzone)

L'ombra                           - (balza in piedi e vacilla) Acqua! (Il maggiordomo si precipita verso l'Ombra poi si fer­ma impietrito. La testa dell'ombra le cade dalle spalle. L'Ombra decapitata siede immobile sul trono)

Annunziata                      - Guardate!

Il ministro delle finanze - Come mai?

Il primo ministro              - Mio dio! Questo non l'ave­vamo calcolato. È la sua ombra. Signori, voi al pa­lazzo reale, dovete essere allegri, allegri, qualunque cosa accada.

La principessa                  - (si avvicina di corsa ai ministri) Subito! Subito! Subito!

Il primo ministro              - Che cosa, maestà?

La principessa                  - Subito, rimettetelo insieme, subito! Non voglio, non voglio!

Il primo ministro              - Principessa, vi scongiuro, smettetela.

La principessa                  - Ma cosa direste voi se il vostro fidanzato perdesse la testa?

Il consigliere segreto       - L'ha persa per amore, principessa.

La principessa                  - Se non lo aggiustate, ordinerò di decapitarvi tutti. Tutte le principesse del mondo hanno dei mariti interi, e io, guardate che porche­ria!...

Il primo ministro              - L'acqua della sorgente.

Il ministro delle finanze - Per chi? Per questo individuo? L'acqua della sorgente risuscita solo i buoni.

Il primo ministro              - Ci tocca resuscitare il buono. Ah, non vorrei proprio.

Il ministro delle finanze -       - Non c'è altra via d'u­scita. Dottore! Seguitemi. Lacchè, accompagnatemi,            - (Esce)

Il primo ministro              - Calmatevi, principessa. Siste­meremo tutto. (// primo cortigiano entra, togliendo­si i guanti. Si arresta notando il re decapitato)

Il primo cortigiano           - Scusate... Ma questo chi l'ha fatto? Basta uscire dalla stanza mezz'ora e ti por­tano via il lavoro... Intriganti! (Si spalanca la porta e un piccolo corteo attraversa la scena. Davanti il ministro delle finanze sostenuto dai lacchè. Dietro quattro soldati portano un'enorme botte. La botte ha dei bagliori, dalle fessure si sprigionano lingue di fuoco. Sul pavimento stillano gocce luccicanti. Dietro alla botte, il medico. I sei attraversano la sce­na e scompaiono)

Giulia                               - Annunziata! Avevate ragione.

Annunziata                      - Perché?

Giulia                               - Lui, vincerà! Adesso, vincerà. Hanno portato l'acqua della sorgente. Tornerà in vita.

Annunziata                      - E che vantaggio hanno a resusci­tare un uomo buono?

Giulia                               - Perché possa vivere il cattivo. Siete for­tunata, Annunziata.

Annunziata                      - Non ci credo, succederà ancora qualcosa, siamo alla corte.

Giulia                               - Ah, io temo, che non succederà più niente. Possibile che venga di moda l'uomo buono? È cosi complicato!

Cesare Borgia                  - Signor capo della guardia reale!

 

Pietro                               - Cosa c'è ancora?

Cesare Borgia                  - I cortigiani ci guardano storto. Non sarebbe meglio che ce la svignassimo?

Pietro                               - Al diavolo! Capiranno ancora di più.

Cesare Borgia                  - Ci siamo legati a uno sventurato.

Pietro                               - Non gliela perdonerò mai, possa io es­sere maledetto!

Cesare Borgia                  - Perdere la testa in un momento cosi importante!

Pietro                               - Smargiasso! E davanti a tutti per di più! Si fosse ritirato nel suo gabinetto privato, e l'avesse persa li, fin che gli piaceva. Animale!

Cesare Borgia                  - Assolutamente privo di tatto.

Pietro                               - Asino.

Cesare Borgia                  - Bisognerà mangiarlo. Assoluta­mente.

Pietro                               - Eh, si, è necessario. (Rombo dei tamburi. Sulle spalle dell'Ombra, ricompare improvvisamente la testa)

Cesare Borgia                  - Mi rallegro, vostra maestà!

Pietro                               - Urrà, vostra maestà!

Il maggiordomo               - L'acqua, maestà!

L’ombra                           - Perché è cosi vuota la sala? Dove sono tutti? Lisa? (Entra di corsa la principessa seguita dai cortigiani)

Principessa                       - Come ti sta bene la testa, caro!

L’ombra                           - Lisa, dov'è?

La principessa                  - Non so. Come ti senti, caro?

L’ombra                           - Mi fa male deglutire.

La principessa                  - Ti farò una compressa per la notte.

L’ombra                           - Grazie. Ma dov'è, lui? Chiamatelo qui. (Entrano di corsa il primo ministro e il ministro delle finanze)

Il primo ministro              - Perfetto. Tutto a posto.

Il ministro delle finanze - Nessun cambiamento.

Il primo ministro              - Maestà, fatemi la grazia, muo­vete la testa.

L’ombra                           - Dov'è?

Il primo ministro              - Perfetto. La testa funziona! Urrà! Tutto a posto.

L’ombra                           - Vi ho chiesto: dov'è?

Il primo ministro              - E io vi ho risposto: tutto a posto, maestà. Ora sarà chiuso in carcere.

L’ombra                           - Ma voi siete impazzito! Come osate anche soltanto pensarlo? Guardie!

Pietro                               - Guardie!

L’ombra                           - Andate, pregatelo, supplicatelo di veni­re qui.

Pietro                               - Pregarlo e supplicarlo, avanti march! (Esce col corpo di guardia)

La principessa                  - Perché lo chiamate, Teodor Chri­stian?

L’ombra                           - Io voglio vivere.

La principessa                  - Ma avete detto che è un mise­rabile.

L’ombra                           - È tutto vero, ma io non posso vivere senza di lui. (Entra di corsa il medico)

Il medico                         - Si è rimesso. Ascoltate, tutti voi: si è comportato come un pazzo, è andato avanti dritto senza lasciarsi piegare, è stato giustiziato, ed ecco, è vivo, vivo come nessuno di voi.

Il maggiordomo               - Sua eccellenza il signor scien­ziato. (Entra lo scienziato. L'Ombra balza in piedi e gli tende la mano. Lo scienziato non gli presta nessuna attenzione)

Lo scienziato                   - Annunziata!

Annunziata                      - Eccomi.

Lo scienziato                   - Annunziata, non mi hanno lascia­to terminare il discorso. Si, Annunziata, ho avuto paura di morire. Sono cosi giovane!

L’ombra                           - Christian!

Lo scienziato                   - Taci. Ma sono andato a morire,

Annunziata                      - Per vincere, bisogna andare anche a mo­rire. Ecco, ho vinto. Andiamo via di qui. Annunziata.

L’ombra                           - No! Resta con me Christian. Vivrai a corte. Neanche un capello cadrà dalla tua testa. Vuoi che ti nomini primo ministro?

Il primo ministro              - Ma perché proprio primo? Il ministro delle finanze è malato.

Il ministro delle finanze - Malato, io? Guardate. (Salta agilmente per tutta la sala)

Il primo ministro              - È guarito!

Il ministro delle finanze - A noi, uomini d'affari, nel momento di grande pericolo, ci crescono le ali ai piedi.

L’ombra                           - Vuoi che li cacci via tutti, Christian? Io lascerò governare te, entro limiti ragionevoli, si capisce. Ti aiuterò a rendere felice la gente. Non vuoi rispondermi? Lisa! Ordinagli...

La principessa                  - Taci, vigliacco! Cosa avete fatto, signori! L'unica volta che ho incontrato nella mia vita, un uomo buono, voi vi siete gettati su di lui come mastini. Via, vattene di qui, ombra! (L'Ombra scende lentamente dal trono e si addossa alla parete avvolgendosi nel manto) Potete restare in qualun­que posa da impietosire. Non mi farete pena. Si­gnori! Non è più il mio fidanzato. Mi ..sceglierò un altro fidanzato.

Il consigliere segreto       - Questa è una bella no­tizia.

La principessa                  - Ho capito tutto, Christian, caro. Ehi, capo delle guardie, prendetelo! (Indica, l'Ombra)

Pietro                               - Avanti. Prendetelo. (Si avvicina all'Om­bra)

Il primo ministro              - Vi aiuterò io.

Il ministro delle finanze - Anch'io, anch'io!

Cesare Borgia                  - Abbasso l'ombra! (Afferrano l'Om­bra, ma l'Ombra non c'è. Il mantello vuoto pende dalle loro mani)

La principessa                  - È scappato...

Lo scienziato                   - Si è nascosto, per mettersi an­cora una volta sulla mia strada. Ma io lo ricono­scerò, ovunque, lo riconoscerò. Annunziata, datemi la mano, e andiamo via di qui.

Annunziata                      - Come ti senti, Christian Teodor, caro?

Lo scienziato                   - Mi fa male a deglutire. Addio, si­gnori!

La principessa                  - Christian Teodor, perdonami, do­potutto ho sbagliato solo una volta. Ma sono stata castigata; dimentichiamo tutto. Resta, o portami via con te. Mi comporterò molto bene. Vedrai.

Lo scienziato                   - No, principessa.

La principessa                  - Non andartene. Che infelice, so­no! Signori, pregatelo.

I cortigiani                       - Ma dove volete andare?

I cortigiani                       - Restate...

I cortigiani                       - Fermatevi un po' per favore...

I cortigiani                       - Dove volete andare cosi di fretta? È tanto presto, ancora.

Lo scienziato                   - Scusate, signori, ma io sono mol­to occupato. (Prende Annunziata per la mano e si avvia)

La principessa                  - Christian-Teodor! Fuori piove. È buio. E qui dentro è caldo e confortevole. Do ordine di accendere tutte le stufe. Fermati.

Lo scienziato                   - No. Ci copriremo di più e parti­remo. Non tratteneteci, signori.

Cesare Borgia                  - Lasciatelo, lasciatelo! Ecco le vo­stre soprascarpe, signor professore.

Pietro                               - Ecco il mantello. (Ad Annunziata) Di' una buona parola per tuo padre, mostro!

II caporale                       - La carrozza è alla porta.

Lo scienziato                   - Annunziata, in viaggio!

 

FINE