L’ospite

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L’OSPITE

Carlo Rizzi

L’OSPITE

Commedia in tre atti

L’OSPITE

ATTO I

Scena I

Soggiorno di una casa borghese.

Sulla parete di destra, partendo dal fondo, prima porta che dà sulla cucina, una credenza, seconda porta che dà sull’ingresso.

Sulla parete di sinistra: portafinestra angolare con serramento all’inglese, prima porta che dà sulla camera matrimoniale, mobile basso con bar e televisore, seconda porta che dà sulle camere dei ragazzi, libreria.

La parete di fondo è bianca. Solamente due appliques con due quadri sotto. Ampio spazio bianco tra i due quadri.

Davanti alla porta della cucina, un tavolo da pranzo con sei sedie, dello stesso stile della credenza.

Dal centro della scena verso sinistra, la zona soggiorno: un divano-letto è appoggiato alla parete, due poltrone formano una U con questo. Ai lati tavolini bassi con lampade.

Si apre il sipario. Paola è in scena. Sta leggendo un libro, seduta su una poltrona, al centro della scena. Non appare molto concentrata. Spesso si distrae, gli occhi perduti nel vuoto. Poi torna a leggere. Infine rinuncia e getta il libro sul divano con un gesto di stizza.

Paola                           E’ un’ora che leggo la stramaledetta pagina e ne so meno di prima!  (Appoggia la testa alla spalliera della poltrona e resta immobile, con gli occhi fissi al soffitto. Entra Roberto, s’avvicina e scorge il libro. Lo indica e ghigna)

Roberto                      Con chi stai litigando, oggi?

Paola                           Hegel. Ovvero, il più barboso mattone della storia della filosofia.

Roberto                      Già. Davvero una pizza! Vuoi un aiuto?

Paola                           Sarebbe tempo sprecato. Non riesco a concentrarmi. Ho la mente vuota e mi sento a pezzi.

Roberto                       Che t’è successo? L’ultimo tuo ragazzo t’ha piantato?

Paola                           Ragazzi! Te li raccomando! Bambini: non sanno parlare che di calcio e dell’ultimo disco di Sting.

I due ragazzi si guardano in silenzio. Paola ha un’aria disperata. Roberto le si avvicina e le  accarezza la testa.

Paola                           Che vita del cazzo! Te l’ho detto: mi sento arida, svuotata…                                 tutto mi è indifferente. Le gente, poi! Mi sembrano tutti morti                           che camminano.

Roberto                      Che disastro!

Paola                           E’ così che mi sento: un disastro! Come fai, tu, a prendertela                                 tanto calma? Le tue condizioni non dovrebbero essere tanto                                diverse dalle mie.

Roberto                      Se devo essere sincero, sto peggio di te.

Paola                           A vederti non si direbbe: eccoti lì, tranquillo e sorridente.

Roberto                       Non lasciarti ingannare dalle apparenze. Il mio aspetto tranquillo è solo una facciata. In realtà, non so cosa mi riserva il futuro, proprio come a te. Solo che ho deciso di non preoccuparmi. Prima di farlo, devo chiarirmi le idee. E, per il momento, so che è del tutto inutile desiderare soluzioni al di fuori della mia portata.

Paola                           Parli bene, tu, che sei già fuori da questa merda di scuola. Dove trovo, io, la forza di arrivare alla fine?

Roberto                       Non so come aiutarti. Ci sono passato anch’io, ti ricordi? E sono andato avanti per forza d’inerzia. Sapevo di dover trovare qualche ragione valida per continuare, ma inutilmente. In seguito mi sono detto che nella vita bisogna fissarci delle mete… non traguardi irraggiungibili, intendo, ma mete possibili, adatte alle nostre forze, ai nostri poveri mezzi. Il senso di frustrazione che provi deriva dal non avere mete da fissare.

Paola                           Mete! Ma se non so neppure perché sono al mondo!

Roberto                       Nessuno lo sa, credo. Ma non è questo il punto. Bisogna guardare dentro noi stessi e scoprire chi siamo e chi vorremmo essere. La nostra personale espressione viene prima di ogni altra cosa, e soprattutto prima di quello che gli altri ci indicano come “nostro bene”.

Paola                           Non è facile, quando si brancola nel buio, quando non c’è niente   a rischiararti il cammino, non dico qualche certezza, ma neppure uno straccio di sogno, di utopia. Come faccio a studiare, se non so perché devo farlo? Parli di mete, di traguardi raggiungibili: quali sono i tuoi?

Roberto                      Rimettermi a dipingere.

Paola                           (Rianimandosi un po’)  Evviva! Era ora!

Roberto                       E’ una meta possibile, per me, visto che è l’unica cosa che credo di saper fare

Squilla il telefono. Roberto va a rispondere.

Roberto                       Pronto? Sì, è qui, te la passo. (Tende la cornetta a Paola) E’ per te.

Paola                           Chi è?

Roberto                      Uno dei tuoi amici.

Paola                           (Visibilmente seccata, prende il telefono) Chi parla? (Pausa) Ah, sei tu, dimmi. (Pausa) Veramente, non ne avrei voglia. (Ascolta e infine sospira, rassegnata) Va bene, alle nove. (Restituisce il telefono a Roberto, che riattacca) Ecco, vedi? Questa compagnia è una vera palla, eppure mi lascio coinvolgere lo stesso.

Roberto                       Non è poi tanto grave: a volte è meglio stare con gli altri, anche se sono noiosi, che soli.

Entra Anna. E’ vestita per uscire. Parla frettolosamente.

Anna                           Salve, ragazzi, esco, arrangiatevi per il pranzo con quello che                                 c’è in frigo. E non prendete impegni, per stasera: vostro padre                              ha un ospite e mi ha chiesto di dirvi che ci vuole tutti presenti.                          Ciao. (Esce)

Paola                           (Guarda Roberto e allarga le braccia) Vedi? Tutto un casino. Chi va, chi viene… ognuno fa quello gli pare. Il babbo se ne va al mattino e rientra la sera. Chi ne sa niente? Si limita a lanciare ordini a distanza. Quella (indica la porta da cui è uscita Anna) se ne va per gli affari suoi. Che affari, poi? Mistero. Arrangiatevi, dice…

Roberto                      La faccenda ha i suoi lati positivi: ti costringono a cavartela da                              sola.

Paola                           Ma è il loro disinteresse che mi fa male, la loro indifferenza…                               Ognuno pensa a se stesso.

Roberto                      Ok. Prendiamone atto e impariamo a contare solo sulle nostre                                forze.

Paola                           Siamo davvero a questo punto?

Roberto                       E che speravi? In fondo, siamo soli su questa Terra. Ognuno è preso dai suoi problemi e non ha tempo di curarsi degli altri. Anche il nostro cuore finisce per inaridire, incapace di esternare sentimenti. Hai notato? Sembriamo tutti come se avessimo subito un torto: imbronciati, offesi, diffidenti…

Paola                           (Di slancio)  Ma io ti voglio bene, fratellino!

Roberto                      Anch’io te ne voglio, ma quante sono le occasioni in cui ce lo                                verifichiamo, in cui ce lo diciamo?

Paola                           Poche, hai ragione. E’ che spesso si dà un fatto per scontato, lo si considera come un dato acquisito, che si accantona, come se non avesse più bisogno d’essere verificato, messo alla prova.

Roberto                      Ehi! Vuoi dire che hai scoperto di non volermi, poi, così tanto                               bene?

Paola                           Non mi riferivo a te. E’ a mamma e a papà che stavo pensando. Il nostro è un rapporto così freddo, distaccato… Scommetto che se dicessi loro, a un tratto, brutalmente: “voi non mi amate!” cadrebbero dalle nuvole. Ma che dici? Sei pazza?        Protesterebbero. Come potremmo non amarti? Sei la nostra bambina! Ma se potessi replicare: bene, vediamolo, questo vostro amore, proviamo di che lega è fatto, se è d’oro o di metallo vile. Sai, allora, che disastro!

Roberto                      Non hai torto. I sentimenti sono come le piante, bisognerebbe                               innaffiarli, nutrirli…

Paola                           E’ così. Invece assomigliamo sempre più a dei crostacei. Ci rinserriamo dentro un guscio che non permette a noi di uscire e agli altri di entrare. E scambiamo tutto ciò per pudore. In realtà è solo paura, insicurezza….(Pausa) Dovresti conoscere i miei amici! Si ha la netta sensazione che ognuno reciti una parte. Anche tra noi, dico, che ci conosciamo! Capisci, adesso, perché mi annoiano? Nessuno mai è se stesso.     

Roberto                      Se devo essere sincero, non mi sono mai piaciuti.

Paola                           Presi a piccole dosi, non sono poi così male: eppoi, la piazza non offre di meglio. Ma tutti insieme, che strazio! Sempre le stesse parole, gli stessi gesti, che si ripetono all’infinito. Si fa anche l’amore con la stessa mancanza di fantasia, così, perché è una cosa che si usa fare, imposta da un copione lesso, stracotto… Alla fine ti rendi conto che, insieme al tuo corpo, stai gettando via anche l’anima.

Squilla il telefono. Roberto sospira e va a rispondere.

Roberto                       Sì. Ciao. (Pausa) No, la mamma è fuori. (Pausa) D’accordo, glielo dirò appena rientra. Ciao. (Riattacca) Era il babbo. L’ospite ha confermato. Dobbiamo dire alla mamma di preparare una buona cenetta. Beh, se non altro, ceneremo tutti insieme e decorosamente. Non capita tutti i giorni. Questa casa sembra un self-service!             

La scena si chiude con un breve oscuramento.

Scena II

La luce che rischiara la seconda scena è diversa: è quella del pomeriggio inoltrato. Le lampade del soggiorno sono accese. La scena è vuota. Squilla il telefono. Entra Anna, frettolosa e furtiva. Risponde, concitata, tenendo bassa la voce.

Anna                           Pronto? (Pausa) L’avevo immaginato. Quante volte devo dirti di non chiamare a casa? (Pausa) No, no, il rischio d’essere scoperti è troppo alto! Evitiamo i guai, se è possibile, va bene? (Pausa) No, stasera niente da fare: abbiamo gente a cena. (Pausa) Un amico di Giulio in arrivo dal Sudamerica. (Pausa) C’è di strano che non si vedono da venticinque anni. (Entra Roberto. La madre gli volge le spalle e non si accorge della sua presenza.   Il ragazzo si ferma, in ascolto) Non essere sciocco! Come puoi pretendere che pianti tutto per venire da te! Devo anche preparare la cena… e Giulio, lo sai, tiene troppo all’immagine, al quadretto familiare perfetto. (Pausa) Va bene, d’accordo, domani sera al solito posto. (Pausa) Ma sì, verrò, ciao. (Riattacca. Si volta e scorge Roberto. I due si guardano. Anna ha un’aria decisamente colpevole)

Roberto                      (Piatto, senza rabbia, né sarcasmo) Bene. Così abbiamo                                        scoperto la vera natura dei tuoi bridge con le amiche.

Anna                           Ascolta, vorrei spiegarti…

Roberto                       Non c’è niente da spiegare. Sei adulta, quindi devi sapere quello che fai.

Anna                           Fosse vero! E’ tutto così complicato, invece!

Roberto                       In ogni modo, non mi devi alcuna spiegazione. Chi sono, io, per giudicarti? Non mi sfiora neppure, l’idea. Così, stai tranquilla: anche se non hai trovato un alleato, hai in me uno spettatore neutrale, che osserva e tace… soprattutto tace. Potrai tranquillamente continuare a giocare a bridge, in tutti i modi in cui ti piacerà giocarlo. (Si volta ed esce. La madre alza una mano per fermarlo, poi rinuncia. Quindi pare afflosciarsi, si siede e si prende la testa tra le mani. Entra Paola.)

Paola                           Che cos’hai?

Anna                           Niente. (Sospira) Mal di testa.

Paola                           Non ci voleva. Ti ha detto Roberto dell’ospite di stasera e della cena                                che bisogna preparare?

Anna                           Sì, sì, lo so.

Paola                           Chi è, il tipo?

Anna                           Un amico di gioventù, un compagno di liceo, credo. Ne so                                    quanto te. Papà non ne ha mai parlato.

Paola                           Uhm! L’uomo del mistero. Sono curiosa. E tu?

Anna                           (Poco convincente, distratta) Anch’io.

Suonano alla porta.

Anna                           Vai ad aprire, dev’essere papà.

Paola esce di scena. Di lì a poco rientra, con Giulio. Non si ferma. Prosegue ed esce, dalla porta che va nella sua camera. Giulio ha una bottiglia di spumante sotto il braccio e il giornale in mano. Deposita la bottiglia sul tavolo e getta il quotidiano su una poltrona. Poi si toglie l’impermeabile e lo mette sulla spalliera della stessa poltrona.

Giulio                         Credevo di trovarti in cucina.

Anna                           (Freddamente)  E’ tutto pronto.

Giulio                          Bene. (Guarda l’orologio)  Sono quasi le sette. Fra poco Marco sarà qui. Sono impaziente. Chissà come sarà cambiato!

Anna                           (Quasi tra sé) Chi non lo è? Tutti lo siamo e, generalmente in                                peggio.

Giulio                         (Astiosamente)  Parli per te?

Anna                           (Alza gli occhi e si rende conto d’aver parlato ad alta voce) Ho detto tutti. Tu, forse, pensi d’essere lo stesso di vent’anni fa?

Giulio                          (Forzatamente faceto) Mah! Qualche capello in meno, qualche chilo in più… qui soprattutto (si tocca i fianchi) come si dice… la fascia del benessere… le maniglie dell’amore…

Anna                           (Seria, un po’ triste) Se i cambiamenti fossero solo esteriori! Sei l’ombra di quello che ho conosciuto. Ogni volta che ti guardo, mi chiedo dove sia finito il ragazzo che sognava di diventare scrittore. Oh, certo, la penna la usi, ma ti serve solo per reclamizzare pannolini, detersivi o spazzolini da denti.

Giulio                         (Piccato) A parte il fatto che questa penna ti dà da mangiare,                                sarà meglio cambiare discorso e non parlare dei cambiamenti                             avvenuti: l’argomento non ti è favorevole.

Anna                           Non cominciamo, adesso. Non ho proprio voglia di litigare.                                   Vado in cucina, è meglio (si alza).

Giulio                         Ecco, brava, vai in cucina e chiama Paola perché prepari la                                     tavola.

Anna, stizzita, afferra l’impermeabile, s’affaccia alla porta delle camere e chiama Paola. Poi attraversa la scena, per andare in cucina.

Giulio                         E metti lo spumante in frigo.

Anna afferra con malagrazia la bottiglia ed esce di scena. Giulio si siede in poltrona e apre il giornale. Entra Paola.

Paola                           La mamma mi ha chiamato?

Giulio                         Sì. Apparecchia la tavola.

Paola si avvicina alla credenza, apre un cassetto ed estrae una tovaglia. Durante il dialogo che segue, dalla stessa credenza tira fuori piatti, bicchieri, posate, tovaglioli etc.

Paola                           (Mentre apparecchia) Pa’?

Giulio                         (Senza alzare gli occhi dal giornale) Uhm?

Paola                           Come si chiama il tuo amico?

Giulio                         Marco.

Paola                           E’ stato tuo compagno di scuola?

Giulio                         Sì. Di liceo.

Paola                           E da allora non vi siete più visti?

Giulio                         (Alza gli occhi) No. Ha lasciato l’Italia dopo la maturità. E’                                   partito e non è più tornato. Questa, per quanto ne so, è la prima                           volta, dopo quasi venticinque anni.

Paola                           E… ha fatto fortuna?

Giulio                         Mah? Chi lo sa? Di certo lo sapremo stasera. (Si rimette a                                      leggere, ma ogni tanto alza gli occhi e osserva Paola, che                                              continua ad armeggiare con piatti e posate. La ragazza                                         indossa una minigonna audace e una camicetta trasparente,                                  aperta sul seno)  Ti pregherei d’indossare qualcosa di più                                       decente.

Paola                           Uffa! Perché?

Giulio                         Non mi sembra la tenuta più adatta ad accogliere un ospite.

Paola                           Dài! Non avrà mica fatto il missionario, il tuo amico, in                                          Sudamerica!

Giulio                          Cos’abbia fatto in Sudamerica non lo so, ma, se lo ricordo bene, tutto può aver fatto, meno che il missionario.

Paola                           Ah! Davvero? Che tipo era?

Giulio                          (Sospira e piega il giornale) Beh, diciamo… un tipo bizzarro, pieno d’idee curiose, sulla vita e sul mondo…e poi, sì, decisamente ateo… almeno a quei tempi. E se non ha avuto folgorazioni sulla via per Damasco, dovrebbe esserlo ancora.

Paola                           E, magari, anche donnaiolo…

Giulio                          Non molto, a dire il vero. Piaceva alle donne, questo sì, ma a lui sembravano non interessare granché. Aveva altre cose per la testa: politica, filosofia, arte…

Paola                           E non vi siete mai scritti?

Giulio                         No. Quando partì, tagliò ogni ponte alle sue spalle.

Paola                           Si fermerà da noi?

Giulio                          Ha telefonato da un albergo, qui in città, preannunciandomi la sua visita, ma non mi ha detto altro. Quindi, non conosco le sue attuali condizioni, né i suoi programmi. Vedremo. Piuttosto, com’è andata a scuola, oggi?

Paola                           (Guarda il padre, stupita) Come? Ah! Così così…

Giulio                         Risposta evasiva.

Paola                           E’ che non me l’aspettavo. Da quando t’interessi di come vado a scuola?

Giulio                         Sono informato, invece: tramite tua madre.

Paola                           Figurarsi! Comunque, visto che siamo in argomento, t’informo che sono scoppiata. Vorrei mollare tutto.

Giulio                         Non dire sciocchezze! Sei a due passi dal traguardo. Mollare                                 proprio adesso! Non pensi al tuo futuro?

Paola                           Di che futuro parli? Non c’è futuro, per noi. Guarda Roby: è un                            disoccupato cronico. E fra pochi mesi, se m’andranno bene gli                           esami, cosa di cui dubito, anch’io andrò ad arricchire l’esercito                                    dei diplomati senza lavoro.

Giulio                         C’è sempre l’università.

Paola                           Già! Così possiamo prolungare i tempi di parcheggio. Toglitelo dalla testa. L’idea di rimettermi sui libri mi dà il voltastomaco. Eppoi, che risolverei? Da quello dei diplomati, passerei all’esercito dei laureati senza lavoro. Ci vedi qualche differenza?

Giulio                          Non sono d’accordo. Una laurea ti darebbe qualche possibilità in più. E, comunque, per quanto riguarda tuo fratello, non credo che voglia davvero cercarsi un lavoro. Se lo volesse veramente, l’avrebbe già trovato.

Paola                           Come no? Scaricare le casse di frutta ai mercati generali.

Giulio                         Potrebbe, che so, frequentare qualche corso d’informatica…

Paola                           Aaahh! Roby può avere il nome di un robot, ma è lontano dai                               robot anni-luce.

Giulio                         Comunque, qualcosa deve pur decidersi a fare! Non penserà di                             restare in casa, in attesa che il lavoro cerchi lui.

Paola                           Certo che la farà. Tornerà alla pittura, e questa volta seriamente.

Giulio                          Oh, no. Ancora  sogni! Quando deciderà di crescere? (Sbuffando, riapre il giornale e si rimette a leggere)

Paola                           (Tra sé) Visto che questo mondo ha ben poco in serbo per noi,                              non ci resta che sognare. Che altro?

Suonano alla porta. Giulio si alza di scatto ed esce di scena. Fuoricampo s’odono voci festose. Paola è rimasta con una posata a mezz’aria, in attesa. Giulio rientra in scena, con Marco. Questi ha la figura del protagonista: alto, asciutto, spavaldo. Ha l’aria scanzonata, sicura di sé. Lo sguardo franco, vagamente beffardo, irridente. Parla italiano correttamente ma ha l’abitudine, ogni tanto, di esprimersi in spagnolo. Quasi sempre, in questi casi, si rivolge a se stesso.

Marco                         E questa splendida signorina?

Giulio                         (Con orgoglio)  E’ mia figlia Paola.

Marco                         Que linda! (La osserva bene, da capo a piedi, soffermandosi visibilmente sulle gambe e sul seno. Paola è imbarazzata) Caro Giulio, vedi? Non è necessario girare il mondo per fare qualcosa di buono.

Giulio                         Già. (Sorride, anch’egli imbarazzato) E tu? Non sei sposato?                                 Non hai figli?

Marco                         (Sghignazza) Altroché! Non c’è uomo al mondo più sposato di                              me, se si esclude qualche califfo. Quanto ai figli, ne ho tanti da                                 non riuscire a contarli! Ma questa “chica” è davvero un fiore.

Paola arrossisce e s’affretta a collocare la posata che ancora teneva in mano.

Paola                           Vado a chiamare la mamma.

Giulio                         Brava, e chiama anche Roberto. (A Marco) Roberto è l’altro                                  mio figlio, il maggiore.

Paola, turbata, quasi corre alla porta delle camere e chiama a voce alta Roberto, poi attraversa tutta la scena, con un’andatura impacciata, lisciandosi la gonna e chiudendosi la camicetta, sotto lo sguardo divertito di Marco, e scompare in cucina. Marco sospira, si guarda attorno, poi guarda Giulio.

Marco                         Venticinque anni, vero?

Giulio                         Uhm! Più o meno.

Marco                         Un bel po’ di tempo! Si potrebbe dire: un’intera vita.

Giulio                          Già. (Anch’egli visibilmente impacciato, china il capo e distoglie lo sguardo) Vieni, accomodati, ti preparo un aperitivo. Su, siediti (indica una poltrona, poi si avvicina al mobile basso e si china per prendere una bottiglia e dei bicchieri).

Marco                         (Ride) Sei sempre il solito, abbassi gli occhi quando ti si guarda in faccia.

Giulio                         (Imbarazzato, sorridendo) Sono ancora lo stesso timidone, sì.

Entrano Paola e Anna, provenienti dalla cucina e, quasi contemporaneamente, Roberto, dalla porta delle camere.

Giulio                         Ecco Anna, mia moglie; e Roberto, mio figlio.

Marco si alza agilmente dalla poltrona, s’avvicina ad Anna, le prende la mano e gliela bacia galantemente. Il suo gesto, sebbene demodé, viene compiuto con naturalezza.

Marco                         (Non cessando di guardare Anna negli occhi) I miei complimenti, Giulio. Una splendida donna.

Anna                           (Ritira la mano, imbarazzata) Grazie.

Marco                         (All’indirizzo di Roberto) E un bel pezzo d’uomo.

Roberto accenna a un inchino e porge la mano, che Marco stringe vigorosamente.

Marco                         (A Giulio) Una meravigliosa famiglia. Davvero! Sai una cosa?                               Devo confessare che, allora, non avrei dato un soldo bucato per                                     la tua pelle. In senso evolutivo, ti consideravo un esemplare                              della specie destinato a soccombere. Sognatore, un po’ vacuo,                               senza particolare talento… Sono contento d’essermi sbagliato.

Giulio                          (Forzatamente scherzoso, ma in fondo piccato) Ah, è così che la pensavi? E io che credevo che fossimo amici!

Marco                         E lo eravamo! Ciò non toglie che ti avrei voluto diverso, più                                  forte.

Giulio                         Su, basta parlare di noi. Parlaci di te, piuttosto. Siamo tutti                                    curiosi.

Marco                         Vorresti che ti raccontassi i venticinque anni della mia vita che                              non conosci in cinque minuti? Non basterebbe tutta la notte.

Giulio                         Ma non puoi neanche tacere. Qualche notizia sul tuo passato,                                sulle tue attuali condizioni, è d’obbligo.

Marco                         Vuoi sapere se sono ricco? Se, come si dice, “ho fatto fortuna”?

Giulio                         Ecco: ora ti riconosco. Come allora, diretto, senza fronzoli, nel                              centro del problema. Sì, è vero, voglio sapere come ti è andata.                                   E’ normale, no? Ma non solo questo. Non m’è passata neppure                           per la mente che tu fossi qui per una stoccata.

Marco                         (Sghignazza) Il fatto che tu ne parli dimostra il contrario. Tranquillo: ho soldi a palate, non so neppure io quanti. Vi             ritrovate tra le mani il più ricco degli zii d’America. (Tutti ridono. Giulio sembra il più sollevato) Ma non m’avevi offerto un aperitivo? Forza, allora: e fàllo abbondante.

Anna                           Bene. Mentre voi bevete, io torno in cucina. La cena è quasi                                  pronta.

Roberto e Paola si siedono sul divano, ammiccando, ambedue affascinati dall’ospite. Anche marco si siede.

Giulio                          (Mentre prepara l’aperitivo) Non riesci a condensare la tua vita in poche parole?

Marco                         Lo farò quando sarà presente anche tua moglie. Non sarebbe                                 gentile escluderla dalla conversazione.

Giulio                         D’accordo. Nel frattempo, di che parliamo?

Marco                         Ma di voi, naturalmente. Di te, Giulio: che fai?

Giulio                          Lavoro in pubblicità. Da anni, ormai. Art director in un’agenzia.

Marco                         Art director. Suona bene. Che significa?

Giulio                          Niente di speciale. Mi occupo di campagne pubblicitarie, tutto qui.

Marco                         Uhm! (A Roberto e a Paola) E voi?

Roberto                       Mi sono diplomato l’anno scorso, ma non ho ancora un impiego. Non è facile trovare qualcosa da fare: cercano solo gente con esperienza. Così, vivo alle spalle del babbo, con grande rammarico d’entrambi, in attesa di una buona occasione.

Paola                           Io, invece, sto facendo l’ultimo anno di liceo, e spero che sia davvero l’ultimo, perché non ne posso più. Credo di aver toccato il fondo.

Marco                         Capisco…

Giulio                          (Cercando di minimizzare) Non la metterei giù tanto dura: nel caso di Roberto, deve solo decidersi a prendere qualche iniziativa. Quanto a Paola, nella migliore delle ipotesi è una semplice crisi di maturazione; nella peggiore, un po’ di stanchezza e di esaurimento.

Marco                         Vedo che, oltre che artdirector, fai anche lo psicologo…

Roberto                      Dilettante, però. E minimalista.

Marco                         Parli difficile, per me. So solo che una condizione come quella di Paola può dipendere dalla perdita di motivazioni. Come si può far bene una cosa se non si sa perché si fa?

Roberto                      Questa è senz’altro una diagnosi più seria.

Giulio                          (Vagamente impermalito) Mi fa piacere che vi troviate d’accordo. Ma mi soprendi, Marco: dovresti ormai conoscere abbastanza la vita da averne preso le misure e le distanze. Il mio   non è facile psicologismo: se sei, come dici, un uomo di successo, questo successo deve esserti costato qualcosa in termini d’impegno, di sacrificio e di libertà individuale.

Marco                         Se misuri il mio successo dall’entità dei miei conti in banca, sei fuori strada. Questo tipo di successo non m’è costato troppa fatica: è stata la conseguenza, non completamente voluta, di una scelta di vita; anzi, per essere più preciso, del mio desiderio d’avventura. Insomma, è venuto da sé. La scelta primaria è stata quella di vivere pericolosamente, di compiere esperienze singolari, non ordinarie. Poi, però, ti rendi conto che non è sufficiente dare un assetto personale alla tua vita, perché qualsiasi cosa tu faccia, di consistente o addirittura di meraviglioso, non influenza minimamente il corso degli eventi. Il mondo va per suo conto, e vorresti fare qualcosa per fargli cambiare direzione, anche se non sai cosa…

Giulio                         E’ per questo che sei tornato?

Marco                         Sei acuto. In un certo senso, è proprio così. Ho lasciato la mia fattoria, dove allevo cavalli, buoi e bambini, dove ho appreso a misurare il tempo in secoli e lo spazio in giornate di cammino a cavallo, dove passo le mie ore migliori a scolpire figure in ogni roccia che affiora dalla terra…sai, Giulio, nel “llano” il cielo è immenso…sarà perché più ci si avvicina all’equatore, minore è la curvatura della Terra: l’orizzonte sembra non avere mai fine… là, l’uomo riacquista una dimensione perduta, una dimensione titanica, senza legami o regole ordinarie… ma che ha a che vedere con la vita del resto del mondo? A che e a chi serve la perfetta riuscita di una soluzione, se viene realizzata in un enclave sperduta, in un angolo di mondo sconosciuto ai più?

Roberto                      A quelli che ci vivono.

Marco                         Questo può andar bene ai miei contadini. Io, caro Roberto, che                             so cosa avviene nel resto del mondo, mi sento come chi si alza                                   da tavola sazio, mentre fuori la gente muore di fame.

Giulio                          Non sei proprio cambiato! Con te non si può chiacchierare piacevolmente del più e del meno: con te si assiste sempre a una conferenza al vertice con, all’ordine del giorno, la salvezza del mondo.

Roberto                       Mentre con te non si affronta mia un problema in modo definitivo. Con te, ogni volta che si prova a colpire più a fondo,   si ricevono solo risposte scontate.

Paola                           Già, è tipico di mio padre aggirare gli ostacoli: una frase fatta                                per ogni occasione. E quando non ha argomenti, e di solito non                                   li ha, i problemi lui li supera d’autorità.

Giulio                         (A Marco)  Li senti? Eh, una volta i padri avevano ben altro                                  peso!

Marco                         E’ vero. Una volta. Oggi, non più. E vivaddio! Siamo modelli superati. Hai sentito? Ti accusano di non affrontare direttamente i problemi. Che interesse può avere, per un giovane, la filosofia del quieto vivere?

Anna                           (Entra col vassoio degli antipasti) A tavola!

Giulio                          (Scherzoso, ma con un certo sforzo) Arrivi a proposito. I tuoi figli si sono alleati con l’uomo che viene dal caldo: m’hanno processato e condannato. Grazie al cielo il tuo arrivo e la cena m’hanno salvato dalla sedia elettrica.

Anna                           L’ho sempre detto: sei abilissimo nello svicolare. (Tutti ridono) Davvero! Riesce sempre a salvarsi, in extremis!

Giulio                         Tu quoque! Ma allora è proprio una congiura.

Mentre la scena si oscura, gli attori ridono e si siedono a tavola.

Scena III

La scena è la stessa. Anna e Paola stanno sparecchiando. Giulio, Marco e Roberto si siedono in poltrona.

Marco                         Grazie per l’ottima cena. Erano anni che non gustavo la saporita cucina italiana.

Giulio                         Cosa mangi dalle tue parti: serpenti e alligatori?

Marco                         Ti dirò: in tutti questi anni non mi sono mai molto preoccupato                              di cosa mi finisse sotto i denti. Mi sono nutrito, ecco: avevo                              altro da fare.

Giulio                         Finalmente veniamo al punto. Cosa?

Marco                         (Sorride) Impaziente di ascoltare la mia storia?

Giulio                         E curioso. Tutti lo siamo, credo.

(Gli altri assentono e si siedono, in attesa.)

Marco                         Vedrò d’essere breve. Partito dall’Italia, ho trovato lavoro, a Caracas, in un’impresa di costruzioni. Dopo qualche anno, ho piantato tutto e sono andato in cerca di diamanti. Ho passato cinque anni d’inferno ai confini con il Brasile, tra i cercatori, in una terra che chiamano Eldorado, ma che non è tanto dorata, vi assicuro: un territorio senza leggi, dove si rischia la pelle ogni giorno. Per un po’ di polvere d’oro o per qualche diamante grezzo c’è gente pronta a farti a fettine a colpi di machete. Poi mi sono ammalato: ho preso l’ameba, una brutta infezione intestinale. Un amico mi ha salvato, riportandomi in fretta a Caracas, dove m’ha curato e strappato a una morte certa. Oltre alla mia carcassa, ha portato in salvo i diamanti che eravamo riusciti a trovare. Con il ricavato della vendita abbiamo comprato in società una grande fattoria nel llano, la lussureggiante prateria venezuelana; e abbiamo messo su famiglia, sposando ragazze del luogo. Poi… lui è morto. Un morso di serpente. Era solo, e lontano. La fattoria è grande, circa duemila ettari… uno ci si può perdere. L’ho cercato… e cercato…l’ho trovato dopo tre giorni. Stecchito. Era appoggiato al tronco di una grande acacia. S’era seduto all’ombra, per morire in pace.  Sembrava che m’aspettasse. Gli dovevo una vita, non sono riuscito a pagare il mio debito, che resta insoluto per l’eternità. Ho preso con me la sua donna e i suoi quattro figli. Era tutto ciò che potevo fare per lui. L’ho sepolto alla fattoria, sotto una pianta di cacao, dalla quale nessuno, da allora, osa raccogliere frutti.

Alcuni secondi di commosso silenzio.

Giulio                         Era italiano?

Marco                         Pedro? No, non era italiano, era un negro venezuelano forte come un toro e buono come il pane. Le ingiurie che il mondo riserva ai neri lo attraversavano senza rendere opaca la sua luminosità, la sua trasparenza. Le rintuzzava con un sorriso, sempre pronto e disarmante. Sebbene avesse ucciso un paio di farabutti, là, all’Eldorado, non ho mai conosciuto persona più mite. Lo amavo molto, Pedro, moltissimo. Era come un fratello, per me. Di lui, v’ho detto, non mi restano che i figli, che ora sono i miei, e la moglie… anch’essa mia.

Giulio                         Ho capito bene? Hai due mogli?

Marco                         Già. E le amo tutte e due, in egual misura. Ti sembra strano, eh?

Giulio                         Beh, sì. Non ci sono delle leggi che vietano la bigamia?

Marco                         Oh, le leggi! La mia fattoria è così lontana dal mondo cosiddetto civile che nessuno si preoccupa di quello che avviene entro i suoi confini.

Giulio                         E la tua prima moglie?

Marco                         Ha un gran cuore e una buona testa. Ha sentito ch’era giusto e ha capito. Inoltre, là le relazioni tra la gente sono concepite in modo diverso…

Giulio                         Incredibile. Non pensavo che potessero accadere cose simili.

Marco                         Non tutto ciò che è primitivo e errore. Il nostro tanto decantato progresso s’è lasciato dietro di sé non poche cose buone.

Anna                           Non se riuscirei ad adattarmi a un fatto del genere, a dividere mio                                                marito con un'altra donna.

Marco                         Anna, ti do del tu e ti faccio una domanda diretta: hai per caso un amante?

Anna                           Ma… che dici?!

Roberto                      No, Marco: lei ha l’hobby del bridge.

Anna                           (Lancia un’occhiataccia al figlio. Poi, a Marco) No, non ce l’ho un amante e anche se l’avessi, pensi che lo confesserei?

Marco                         (Ride) Bueno…però facciamo l’ipotesi che tu abbia un amante: solo l’ipocrisia non rivelerebbe una situazione simile alla mia. Non vivresti con due uomini contemporaneamente? E per farlo ti sfiniresti in sotterfugi, menzogne… Mia moglie ha semplicemente reso ufficiale quello che di solito si cerca di tenere nascosto.

Roberto                       E’ la promiscuità che dà fastidio a mia madre, la promiscuità ufficializzata. E’ una questione di stile, che diamine!

Anna guarda Roberto con occhi carichi di rimprovero e di preghiera. Marco se ne avvede e sorride.  Anna, per nascondere il proprio disagio, si alza.

Anna                           (A Marco) Vuoi bere qualcosa?

Marco                         Uno scotch non mi dispiacerebbe. Questa è una brutta abitudine americana che non sono riuscito a evitare.

Giulio                          Dunque, tornando alla tua storia, vivi in questa grande fattoria con due mogli e…quanti figli?

Marco                         Sette. Quattro neri come la notte, i figli di Pedro, e tre di colore incerto, crepuscolare comunque, i miei: questo, se v’interessa il colore della pelle. Inoltre la comunità comprende una ventina di braccianti con le relative famiglie, e una piccola tribù di indios che vive sulla riva del fiume.

Giulio                         Selvaggi?

Marco                         (Sorride) No, civilizzati: credono nel dio dei missionari… e in molte altre divinità più antiche. Inutile dire che non capiscono il senso della parola “proprietà” e io li lascio vivere tranquilli, in un territorio che i loro avi hanno calpestato molto tempo prima che arrivassero i bianchi.

Giulio                         E quanti capi hai?

Marco                         La consuetudine vuole che il numero dei capi non superi il numero degli ettari, perché ogni capo abbia almeno un ettaro d’erba di cui nutrirsi. Quindi, circa duemila.

Giulio                         (Fischia) Un capitale!

Marco                         Sì, ma fluttuante, come il dollaro.

Paola                           Hai anche figlie?

Marco                         Certo. Dei magnifici sette, tre sono bambine.

Paola                           E chi si cura della loro istruzione?

Marco                         Io. Sono padre, tutore e maestro. La scuola più vicina dista cinquanta chilometri. Ce li porto una volta all’anno, a fare gli esami.

Paola                           Pensi di averne ancora?

Marco                         No (ridacchia), ma non si può mai dire. Là non si usano contraccettivi. Comunque, se dovesse succedere, la terra è una madre generosa, da quelle parti, e riesce a sfamare tutti, con abbondanza.

Giulio                          Un po’ irresponsabile, mi sembra. Non temi future lotte per la spartizione dell’eredità?

Roberto                      Ma senti a che va a pensare!

Marco                         Se ci saranno, vorrà dire che sarò stato un cattivo padre e un pessimo maestro.

Roberto                      Sei unico, papà!

Giulio                          Sono solo pratico: ogni figlio che nasce fa scemare il valore del patrimonio.

Roberto e Paola sbuffano, insofferenti.

Marco                         Non mi sono mai posto il problema, ma probabilmente vostro padre ha ragione. Almeno finché il mondo darà tanta importanza al denaro. Comunque, laggiù la vera ricchezza è la terra, se la si lavora: di per sé non è una grossa moneta di scambio. Ce n’è ancora così tanta! Ma l’eredità che lascerò sarà, spero, d’altra natura: un modo diverso di concepire la vita e un modo più sano di viverla. In una parola: la qualità della vita piuttosto che il conto in banca. Le due cose da noi non sono interdipendenti.

Giulio                         Mentre da noi sì, purtroppo.

Anna                           Perché parli come se la cosa ti contrariasse? Non vivi per il conto in banca, tu?

Giulio                          (Fortemente ironico)  Cara Anna, la tua osservazione mi stupisce. La qualità della tua vita è sempre dipesa dal mio conto in banca: attingervi è sempre stato il tuo sport preferito.

Anna                           Hai mai sentito parlare di comportamenti sostitutivi?

Marco                         Esta pegando duro, la chica! Andiamo sul difficile.

Giulio                          Non farci caso. In questa casa la Bibbia e il Vangelo sono stati sostituiti da Konrad Lorenz e dall’etologia applicata. Si tirano fuori citazioni dal cilindro come conigli bianchi, ma spesso è difficile trovarvi un po’ di senso comune.

Anna                           Ce n’è, eccome! Solo che non ti fa comodo vederlo!

Marco                         Mujer enojada, mujer dañada. (Ride) Donna arrabbiata, donna rovinata, mi diceva un giorno un indio. Gli avevo chiesto perché, ogni volta che lo incontravo, era così pieno di “chicha” da non riuscire a tenersi in piedi. Mi spiegò che la sua donna faceva la civetta con i giovani della tribù. La sua dignità di “macho” era compromessa. L’unica soluzione al problema era una soluzione a cui non era più in grado di ricorrere, mi disse: il bastone. Antes tenia que usar otra verga! Un’altra specie di bastone dovevo usare, prima.

Tutti ridono, anche Giulio, sebbene con evidente sforzo.

Giulio                         Divertente aneddoto, ma perché ce l’hai raccontato?

Marco                         (Esageratamente perplesso) Francamente, non lo so. Qualcosa in ciò ch’è stato detto m’ha richiamato alla mente l’episodio. Non fateci caso.

Anna è chiaramente imbarazzata. Paola e Roberto si guardano e si fanno cenni d’intesa.

Paola                           Che cos’è la “chicha”?

Marco                         Una bevanda alcolica che preparano le donne indie masticando a lungo chicchi di mais e lasciando fermentare la poltiglia ottenuta.

Paola                           Che schifo!

Marco                         (Ridendo) Sono senz’altro d’accordo con te.           

Paola                           E tu l’hai bevuta?

Marco                         Qualche volta, sì.

Paola                           Pensare a tutta quella roba masticata…brrrr…

Marco                         Oh, sai, l’alcol purifica, sterilizza…ma, a parte questo, è decisamente cattiva.

Giulio                          Eppure mi piacerebbe sapere la vera ragione di questo tuo racconto. Ho l’impressione che, in qualche modo, tu abbia voluto accomunarmi a quell’indio. Se è così, vorrei affermare che ho ben poco da spartire, io, con un indio dell’Amazzonia.

Marco                         Non è un indio dell’Amazzonia, ma fa lo stesso… e la soluzione a cui faceva riferimento non è praticabile, da queste parti. Sì, sono d’accordo: hai poco da spartire con un indio; messi a confronto sembrate abitanti di due pianeti diversi.

Roberto                       Già. Ma quale dei due è l’alieno? Domanda da un milione di dollari.

Ridono tutti, meno Giulio.

Giulio                          Senz’altro lui. Io sono figlio del mio tempo e della civiltà dominante. Sono pronto a scommettere che anche il peso del mio cervello è superiore al suo. E’ un ramo secco, lui, inutile, che il progresso finirà per potare.

Marco                         (Molto ironico) Pobre indiecitu, continua a pescare nel fiume, piange la sua donna perduta, si ubriaca e non sa d’essere un ramo secco che finirà per alimentare il grande falò del progresso.

Giulio                          Il tuo sarcasmo non mi tocca. E ti prego di non travisare il mio pensiero. E’ un fatto obbiettivo, una cruda necessità storica, certo deplorevole…

Marco                         Deplorevole? Ma è un vero disastro! Cancellare dalla faccia della terra quegli indios è come amputarsi!

Giulio                         Ma io non voto per il loro sterminio, che diamine!

Roberto                       Che cosa consiglieresti, allora? Di chiuderli in un giardino zoologico?

Marco                         Non esagerare. Concediamo a tuo padre un minimo di credito.

Giulio                          Come avrai notato, non è facile ottenerne, di credito, neppure in famiglia. E quello che voglio dire è semplicemente questo: che il mondo è quello che è, e brutto o bello che sia, devi ballare al suono della sua musica. E se, per seguirne il ritmo, devi rinunciare a sogni e ad aspirazioni, allora ci rinunci…e buonanotte.

Roberto                      Che squallore!

Giulio                         (Scatta) Proprio tu parli? Tu, a cui non è mai mancato niente?

Roberto                       Siamo alle solite. Ogni volta che discutiamo, finiamo sempre nel solito imbuto: tu mi mantieni, quindi hai per forza ragione. Tu mi mantieni, quindi hai il diritto di dirmi cosa fare della mia vita. Non prendi neppure in considerazione il mio desiderio di compiere scelte diverse, di cercare una mia via…

Giulio                          (Sbuffa) Tua sorella mi ha detto che tua intenzione darti alla pittura. Se è questa la tua via, non vedo l’originalità della mossa. Quello che affermo è che il mondo sembra avere più bisogno di tecnici che di artisti.

Roberto                       Mia sorella è una chiacchierona, ma ha riferito la verità. Mi metterò a dipingere e lo farò proprio per contrastare la tendenza del mondo a trasformarci in tante api operaie.

Marco                         Muy bien dicho, carajo!

Breve pausa

Giulio                          E’ una strana serata, questa. Credevo d’incontrare un vecchio amico,        che non vedo da venticinque anni, per parlare con lui dei vecchi tempi… e invece ne esce un dibattito dove si cerca di mettere sotto accusa il nostro modo di vivere. Più che un vecchio amico, perdio, mi sembra d’aver accolto in casa un provocatore.

Roberto                      (Quasi tra sé) O un catalizzatore… chissà!?

Marco sghignazza

Anna                           Non essere scortese, Giulio. Marco non ha nessuna colpa se le nostre tensioni scelgono i momenti meno opportuni per scatenarsi. E’ inutile voler presentare un quadro falso per vero. I coloro non sono freschi e genuini come nell’originale. Capisco che tu abbia desiderato presentare la tua famiglia a un vecchio amico nella luce migliore, ma la rappresentazione è stata cattiva  e gli attori pessimi.

Paola                           (Quasi strillando) Ma sì! Cos’è questa ipocrisia?! Questa famiglia è un casino. E’ bene che si sappia. Altro che quadretto idilliaco: belve pronte e sbranarci, ecco quello che siamo!

Giulio                          Ma che diavolo sta succedendo? Siamo forse preda di un attacco d’isteria collettiva? Bambina mia…

Paola                           Macché bambina! Tua, poi! Hai sempre avuto altro a cui pensare, tu! Mi hai mai ascoltato? Hai mai cercato di capire i miei problemi?

Giulio                          Non capisco, Marco. T’assicuro che tutto questo, per me, è un’assoluta novità.

Marco                         Su, non è successo niente di tragico.

Giulio                          E’ tutto così confuso, imprevisto. (Si volge verso Paola, ha uno slancio verso di lei, ma si trattiene) Credevo che tu sapessi di poter contare su di me (la ragazza sbuffa, insofferente) in ogni momento. (Guarda l’orologio) Forse è meglio chiudere qui questa disgraziata serata. (A Marco) Non ti ho chiesto quali sono i tuoi programmi. Se vuoi restare con noi, puoi dormire qui, in questo divano.

Marco                         Per la verità, ho già una stanza, in albergo…

Anna/Paola                 (All’unisono)  Resta!

Anna                           Ci fai piacere. So anche che, per qualche oscuro motivo, è importante per tutti noi che tu ti fermi in questa casa.

Paola                           Sono d’accordo. C’è qualcosa di magico in te.

Marco                         Magico? (Ride) Che esagerazione!

Paola                           Ma no, non esagero. Che cos’è, se non una magia, quello che è accaduto stasera? Per la prima volta, abbiamo parlato! Sei arrivato e noi abbiamo tirato fuori i rospi che covavamo nello stomaco. Come hai fatto? I tuoi indios t’hanno trasmesso qualche loro segreto?

Marco                         (Ridendo con aria furbina) E’ vero, un vecchio brujo m’ha insegnato qualcosa…

Paola                           Un bruco?

Marco                         (Sghignazza) No, non un verme colorato che striscia sulle foglie, ma un “brujo”, uno stregone. M’ha insegnato un po’ di voodoo, a pilotare i sogni e a masticare foglie di coca quando mi sento depresso. Quanto a estrarre rospi dallo stomaco della gente, no, questo no; non ha incluso la materia nelle sue lezioni.

Pausa

Giulio                         Bene. Allora è deciso. Resti con noi.

Marco                         Se è questo che desiderate, accetto. Vivere in albergo, per un allevatore del “llano” è deprimente. Non è troppo, il disagio, per voi?

Anna                           Il disagio maggiore l’abbiamo già affrontato: quello di parlare. Ha detto bene Paola. Se la tua presenza ha generato questa sorta di miracolo, dal fatto che tu resti non potrà derivarci che bene.

Roberto                      Ci hai come destati da un lungo sonno.

Paola                           Ci hai costretti ad aprire gli occhi.

Anna                           Non ti resta che prenderci per mano e insegnarci a guardare alle cose con occhi nuovi.

Giulio                          (Scioccamente allegro) Caro Marco, ti sei preso una brutta gatta da pelare.

Marco                         Chissà. (Perplesso) Il problema è che sono un eremita che, dopo anni di meditazione nel deserto, decida di tornare tra la gente. Il suo mondo interiore è ricco, ma l’abuso di solitudine lo ha reso impacciato. La folla lo mette a disagio e le parole, che nella solitudine del deserto non hanno echi, adesso acquistano un peso e un’energia nuovi, provocano effetti imprevedibili, colpiscono, come frecce, dolorosamente…

Roberto                       Il buon medico non piange con il paziente se la medicina che prescrive è amara.

SIPARIO (Fine I atto)

ATTO II

Scena IV

La stessa. Il divano s’è trasformato in letto. L’illuminazione è discreta. Marco è solo, seduto sul bordo del divano-letto. E’ ancora vestito. In attesa. Entra Roberto con un pigiama in mano.

Roberto                      Tieni. Dovremmo avere la stessa taglia.

Marco                         (Lo prende)  Andrà benissimo, grazie.

Roberto                       (Accenna ad andarsene. Poi si ferma, impacciato) Hai sonno? Puoi perdere cinque minuti con me?

Marco                         (Sorridente) No, non ho sonno. Sì, posso perdere cinque minuti.

Roberto                      (Si siede in poltrona) Vorrei parlare un po’ con te, da solo.

Marco                         Un segreto?

Roberto                       (Si schermisce) No, nessun segreto, ma l’argomento annoierebbe gli altri.

Marco                         Ok. Spara.

Roberto                      Hai detto: scolpivo ogni roccia che affiorava dalla terra…

Marco                         Ci avrei scommesso!

Roberto                      Vorrei saperne di più.

Marco                         (Un attimo d’indecisione) Perché no? (Pausa, per raccogliere le idee. Si alza e si mette a misurare la stanza e continua a farlo anche quando parla) Una frenesia durata anni. Una specie di attacco creativo prolungato. Hai presente i graffiti preistorici? Molti di quegli ignoti artisti sfruttavano i chiari-scuri delle rocce, le protuberanze, le crepe, ogni particolarità del sasso per costruirvi attorno la figura. E’ successo anche a me. Un giorno stavo osservando una roccia che affiorava tra i bambù e la sua forma mi richiamò l’immagine di una donna accovacciata sulle ginocchia, in atteggiamento di preghiera. Mi venne l’idea di completare quell’immagine appena abbozzata. Ciò che il caso stava suggerendo all’immaginazione, le mani avrebbero trasformato in una forma finita. Iniziato il lavoro, mi resi ben presto conto che il senso di quello che stavo facendo non risiedeva nel risultato che avrei ottenuto, ma nel lavoro in sé, nel piacere che mi dava il creare forme dalla materia bruta: la rotondità di una natica, un seno prosperoso, una ciocca di capelli, l’ovale di un volto. Centellinavo la forma, prediligendo il particolare forse a scapito dell’insieme, e molte di quelle sculture finirono per non avere forme identificabili, ma risultarono solo un insieme di particolari.

Roberto                      Delle chimere, dunque.

Marco                         Press’a poco. Ma non m’importava, perché era il lavoro in sé che m’appagava completamente. L’opera terminata veniva subito accantonata, non più degnata d’uno sguardo. Correvo a un’altra roccia e mi ci sedevo davanti, in attesa che mi lanciasse il suo messaggio. Un’esperienza eccitante: la pietra, con un muto linguaggio di linee, pareva che mi dicesse: guarda bene: dentro di me si nasconde il volto misterioso di un’india; oppure, ancora: ti prego, artista, metti a nudo il culo poderoso di questa donna matura, che preme per la voglia di offrirsi…

Roberto                      Straordinario!

Marco                         Uhm! Ma sterile, a lungo andare.

Roberto.                     Come!

Marco                         E’ un monologo, capisci? Un monologo che esclude tutto e tutti.

Roberto                      Chissà. Forse è proprio questo il senso dell’arte.

Marco                         Sì, se questo vuol dire non asservirla a quello che il mercato vuole o la gente chiede di ricevere. Ma, secondo me, è un mezzo che l’uomo ha usato fin dagli albori della civiltà per comunicare. Quelle mie sculture sorgono in un angolo sperduto della Terra, piantate profondamente nel terreno e del tutto intrasportabili. Inoltre, sono un discorso che ho fatto con me stesso. Del tutto egoistico. Oh, sì, i miei contadini ridacchiano quando le vedono: mira, una mano! Pùchica, el trasero de una mujer! Poi scuotono la testa e passano oltre. Sicuramente pensano: loco de un gringo! Quien sabe porqué pierde su tiempo haciendo esas tonterias! E hanno ragione: perché perdere tempo con quelle sciocchezze, con tutto quello che c’è da fare in fattoria! Solo gl’indios le apprezzano moltissimo e mi considerano una specie di grande stregone, perché, secondo loro, sono capace di rivelare al mondo il dio che si nasconde in tutte le cose, anche in quelle inanimate.

Roberto                      E’ un modo molto poetico di definire l’arte.

Marco                         Poetico e…primitivo. Siamo uomini civilizzati e l’arte ha perso la sua primitiva connotazione magica. Oggi ha altri scopi: aprire le menti, per una maggiore  comprensione del presente e del futuro. Chiarire, correggere gli errori, smascherare falsi ideali, sputtanare i moderni santoni della politica, i guru dell’economia e della globalizzazione. L’arte dev’essere lo spauracchio del potere e restare sempre vigile affinché il potere non la usi ai suoi fini. E, per questo, libera! E forte, tanto da poter resistere alle lusinghe del denaro, del facile successo, dell’effimera gloria. Deve servire ad affrancare gli uomini e preservare la loro individualità minacciata. Se non serve a questo, è come le mie statue, magari belle, ma certamente inutili, oggetti sperduti nella savana, in una terra dove nessuno mette piede e che nessuno mai vedrà. E se non serve a questo, anche la tua pittura finirà sulle pareti del soggiorno di qualche casa privata, nascosta alla vista di tutti, atto di creazione dimenticato e inutile.

Roberto                       Che dovrei fare? Dipingere murales, visto che nessuno mi dà da affrescare una cattedrale?

Marco                         (Scoppia a ridere) E’ un’idea. Il concetto è quello. L’arte deve scuotere, provocare un terremoto nelle coscienze. Guai quando diventa linguaggio criptico, usato da un ristretto numero d’iniziati, quando si fa massoneria, oggetto d’intese private. E guai quando l’artista strizza l’occhio all’amico o al critico compiacente!

Roberto                       Faccio fatica a capirti, perché ho sempre pensato che il linguaggio dell’arte fosse un linguaggio per iniziati.

Marco                         Bisogna sforzarsi per renderlo comprensibile a tutti.

Roberto                      Si può ottenere i risultati cui tendi anche con la predicazione.

Marco                         (Scoppia a ridere di nuovo) Più che giusto! Ma a ognuno il suo! Tu affermi di voler fare il pittore e non il predicatore. Io dico che, in ogni caso, occorre battersi per l’uomo, per la sua libertà, per la sua individualità.

Roberto                      Non saprei neppure da dove incominciare.

Marco                         Ci vogliono maturità e consapevolezza. E bisogna anche essere sereni… e tu non mi sembri sereno. Che cos’è successo con tua madre? Perché la punzecchi?

Roberto                       (Tituba) Beh, l’ho sorpresa, proprio oggi, al telefono e ho udito parole che non avrei dovuto udire. (Pausa) Credo che abbia un amante.

Marco                         Questo l’avevo capito. Ma perché la ferisci? Vuoi punirla?

Roberto.                      Non lo so. Forse l’idea che tua madre possa essere considerata un oggetto sessuale contiene ingredienti amari, difficili da digerire. Faccio di tutto per non vedere quel tanto di sporco che mi trasmette l’immagine di lei a letto con uno sconosciuto, ma non ce la faccio…e divento cattivo. (Pausa) Mah!? Spero solo che non si butti via e che la sua relazione valga la pena d’essere vissuta. Non la vedo più felice, però…

Marco                         Mai essere pessimisti. L’amore è una grande medicina.

Roberto                      Amore? E se fosse solo sesso?

Marco                         Meglio, amico mio, meglio! (Ride) Il sesso, preso a dosi massicce, ha un alto valore terapeutico. L’importante è non macchiarlo con sensi di colpa.

Pausa. Roberto non sembra convinto.

Marco                         Non ci credi?

Roberto                       Non ho sufficiente esperienza. Anzi, la materia mi è quasi del tutto sconosciuta e l’argomento, non so perché, mi mette a disagio.

Marco                         (Tra sé) Que pena! Que sea marica? (A Roberto) Dico, ehi, ti piacciono le donne, vero?

Roberto                      (Confuso e impacciato) Ma sì, certo!

Marco                         Allora, come si spiega il tuo disagio? Hai fatto fiasco, per caso? (Roberto tace, pare seccato) Su, su, fa conto d’essere dal dottore. Di che ti vergogni? Siamo tra uomini, no?

Roberto                      Va bene. Sì. Ho fatto fiasco.

Marco                         Sempre? Dico…ogni volta?

Roberto                       (Imbarazzatissimo) Non sono impotente, se è questo che vuoi sapere. Però è successo proprio con l’unica donna a cui tengo.

Marco                         E’ brutta?

Roberto                      Tutt’altro! E’ bellissima.

Marco                         Descrivimela.

Roberto                       Se ci tieni: è alta, più o meno come me, ha gli occhi e i capelli neri. Abbia la stessa età e…

Marco                         (Lo interrompe) Aaahh! Non me ne frega niente. Ti sembra questo il modo di descrivere una donna? Ti ho chiesto di parlarmi della ragazza di cui sei innamorato e tu mi scodelli una scheda segnaletica per la polizia.

Roberto                      Non capisco: Luisa è una bella ragazza, molto intelligente…

Marco                         Me ne compiaccio, ma non c’entra niente l’intelligenza, per il momento. Ricordi? Stavamo indagando circa il tuo fiasco. E’ la sessualità il problema. Che cosa ti dice il suo corpo? Come ti parla? Quali sensazioni provi nel guardarlo, nel toccarlo? La sua pelle è liscia? Oppure coperta di fine peluria? E i suoi seni? Sono boccioli, limoni, pere o papaie? E come sono le sue natiche? Sensibili? E le labbra? Carnose? La sua lingua è viva? E i capezzoli, erettili? Insomma, l’hai guardato bene il suo corpo almeno una volta? Il pube si estende come una foresta o è solo un piccolo boschetto? E il suo sesso, si protende, offrendosi spavaldamente… o è nascosto, ritroso, rivolto verso il basso? (Pausa) Vuoi che continui? Posso durare in eterno nel descriverti una donna.

Roberto                       (Ridendo, confuso) No, no, basta, per carità. So rispondere, sì e no, a un paio delle domande che hai fatto.

Marco                         E ti meravigli se hai fatto fiasco?

Roberto                       Eppure, viviamo un buon rapporto. Sul piano intellettuale ci troviamo molto bene.

Marco                         Il che non guasta, ma non ha molta importanza in questo contesto. Sesso e intelletto sono come classi contigue, spesso incommensurabili. Da una parte la carne, con le sue leggi antiche, dall’altra la mente, la razionalità, la coscienza. Quando l’intelletto pretende d’integrare la sessualità, compie un’indebita ingerenza. La mente è razionalità, logica, consapevolezza; il sesso è invece magia, prerazionalità mistero.

Roberto                      Ho capito. Che devo fare, però? Ci tengo, a Luisa!

Marco                         Onestamente, non so se il vostro rapporto sia recuperabile. Potete senz’altro provare: nella peggiore, o migliore, delle ipotesi tu finirai tra le braccia della prima donna che sarà capace di toglierti i pantaloni con i denti e lei in quelle di un uomo che saprà farla sciogliere come una cucchiaiata di zucchero in un bicchiere d’acqua calda.

Roberto                       (Dopo una pausa meditativa) Qualche consiglio? Che devo fare per non perderla?

Marco                         Non esistono strategie preconfezionate, mi dispiace. La soluzione che cerchi è un evento spontaneo. Quello che posso suggerirti, per quel che vale, è: guarda a Luisa come a una donna, a una femmina della tua specie. Impara a vederla come una preda, con gli occhi di un maschio della stessa specie. Devi apprestarti a divorarla, a nutrirti della sua carne. Fai in modo che la “bestia” che è in voi si desti.

Roberto                      Non siamo troppo civilizzati, per questo?

Marco                         E’ vero. Ma un buon rapporto amoroso prevede un cammino a ritroso nel tempo, alla ricerca dei buoni istinti, dell’animalità primitiva perduta.

Roberto                       (Sospira) Forse ho capito quello che intendi. Chissà, forse sono ancora in tempo…

Marco                         Te lo auguro. (Pausa) E, per quanto riguarda tua madre, anche lei è in attesa che qualcuno la desti: solo che, per lei, sta per scadere il tempo. Capisci? Trattala con benevolenza. Non merita il tuo disprezzo, ma tutta la tua comprensione.

Roberto                       D’accordo. In fondo vorrei solo che fosse felice. (Pausa) Bene. (Si alza) Vado adesso, s’è fatto tardi. E grazie per la chiacchierata.

Marco                         De nada, amigo, y buenas noches.

Roberto                      Buonanotte (esce).

Roberto esce dalla porta che va alla sua camera. Dalla porta della matrimoniale entra quasi subito Anna. E’ in camicia da notte. Tiene gli occhi bassi, timorosa e imbarazzata.

Anna                           Ho sentito tutto.

Marco                         Ah!

Anna                           Mi vergogno tanto.

Marco                         D’aver origliato?

Anna                           No. E’ per quello che ha detto Roberto. Dio, che sciocca sperare di farla franca! Mi sento spregevole e disgraziata.

Marco                         Se hai davvero ascoltato, dovresti aver capito che Roberto non ti odia: è solo preoccupato per te e ti vorrebbe felice.

Anna                           E’ che non solo affatto. La mia relazione è frutto della noia, della rabbia, del desiderio di vendetta… tutti motivi sbagliati, che rendono sbagliata tutta la faccenda.

Marco                         Perché non le dài un taglio?

Anna                           Perché non ci riesco. Sono troppo debole. Dio, come mi vergogno! Bugie, sotterfugi, sensi di colpa, per qualcosa che non sento, poi, qualcosa d’inadeguato, di pretenzioso. Alla mia età! Capisci? Ho due figli adulti. No, non si dovrebbe pensare a certe cose, alla mia età!

Marco                         Sciocchezze! (Si alza, le si avvicina e la prende per le spalle) Sei ancora una splendida donna, desiderabile (le accarezza i fianchi) con un corpo ancora rigoglioso, capace d’ispirare passione e di dare piacere a un uomo.

Anna                           (Ritraendosi, turbata) Che fai?! Che dici!? No, dovrei rassegnarmi, una buona volta: invecchiare serenamente, prendere atto della stagione finita. Questo, sì, sarebbe saggio.

Marco                         No, sarebbe una capitolazione. Uno spreco! Sei bella, lo sai, lo accerti ogni giorno guardandoti allo specchio. Vedo il tuo corpo scultoreo, i seni sodi, un ventre ancora piatto…

Anna                           Ma che dici! Sei pazzo.

Marco                         Perché? Perché chiamo le cose con il loro nome? Guardami negli occhi. Che vi leggi?

Anna                           Qualcosa che mi fa paura.

Marco                         Il mio desiderio ti mette solo a disagio. Perché è lo stesso tuo desiderio.

Anna                           E’ questo che non voglio. Hai sentito Roberto? C’è qualcosa di sporco in me. Ha ragione: ogni volta che uso questo corpo è come se morissi un poco…

Marco                         (Quasi tra sé) I sensi di colpa uccidono la gioia, l’ho sempre detto!

Anna                           Penso ai ragazzi, sì: ogni volta è come se li abbandonassi.

Marco                         I ragazzi! E Giulio?

Anna                           Mah…Giulio… non s’interessa molto a ciò che faccio.

Entra Giulio

Giulio                         E’ vero. Non m’interessa quello che fai.

Marco                         Avete tutti lo stesso vizio in questa casa: quello d’incollare l’orecchio alle porte?

Giulio                          Sì, riconosco che è una brutta abitudine, ma proficua, a volte, se ne vengono a sapere delle belle!

Anna                           Che frittata!

Giulio                         Ti sbagli: sono sempre stato al corrente dei tuoi tradimenti.

Anna                           Davvero?! (Marco si siede sul divano e si dispone ad assistere alla disputa) E perché non hai mai detto niente?

Giulio                         Mi chiedi perché non ho mai fatto scenate? Dovresti conoscermi.

Anna                           Ecco! Odioso anche in questi frangenti. La tua indifferenza è offensiva.

Marco                         E’ una persona civile, lui!

Giulio                          Tanto civile da lasciarla libera di vivere la sua vita come più le piace. E’ un problema suo e della sua coscienza, almeno finché la cosa non turbi la serenità dei figli. Questo non lo sopporterei.

Anna                           (A Marco) Vedi? Pensa ai figli, ma a me non pensa…forse non ci ha mai pensato…e la mia vita è stata un letto orfano, vuoto…

Giulio                          Ti pregherei di lavare i panni sporchi in privato. Non hai il minimo senso della decenza!

Anna                           Basta! Perché insisti nel voler nascondere la realtà delle cose? Marco sa tutto.

Giulio                          Già, sa tutto, E perché? Chi è, Marco? Che cosa o chi rappresenta perché d’un tratto sia diventato il nostro confessore o il nostro giudice? Da chi ha ricevuto questo mandato? E’ un perfetto estraneo. Ho conosciuto un ragazzo, venticinque anni fa, che mi era amico. Lo rivedo adulto e stento a riconoscerlo. Siamo obbiettivi: non abbiamo nient’altro in comune che qualche anno di vita, che appartiene a un lontano passato. E questo ti sembra sufficiente a far sì che intervenga nella nostra vita e vi getti scompiglio?

Marco                         (Si alza, sorridendo, sicuro di sé) Non sono né il vostro confessore né il vostro giudice. Sono stato invitato a restare, con una certa insistenza, forse non da te, ma dai tuoi familiari. Se vuoi che me ne vada non hai che da dirmelo.

Anna                           Scusalo, Marco. E’ così ottuso da non vedere fino a che punto si spinga la sua scortesia.

Giulio                          Ma sì, scusami. Ma cerca anche di capire. (Indica Anna) Il nostro è un rapporto complesso, con molti lati oscuri, e non può essere liquidato in poche battute.

Marco                         Ti faccio notare che mi limito a rispondere alle vostre domande. Non ho chiesto io d’essere interrogato, ma se qualcuno mi fa una domanda, io, se posso, rispondo. Forse le mie non sono risposte canoniche, ma devi scusarmi: in tanti anni di vita selvatica ho perso l’abitudine ai luoghi comuni.

Giulio                          Va bene. Una domanda te la faccio anch’io. Chi sei, tu, veramente?

Marco                         (Scoppia a ridere e fa la voce grossa, mefistofelica) Lucifero.

Giulio                         Non sento odore di zolfo.

Marco                         Allora, diciamo l’arcangelo Gabriele.

Giulio                         Non vedo le ali.

Marco                         E’ vero, mentivo: sono uno zombi.

Giulio                         Hai un aspetto troppo florido. Basta con gli scherzi.

Marco                         Ok, d’accordo. Sono Marco. Ci siamo incontrati tanti anni fa e                             abbiamo fatto un tratto di strada insieme.

Giulio                          (Si versa da bere) Aspettavo un vecchio amico. E’ venuto. Ho cercato di dare di me l’immagine migliore. Mi ha smascherato. (Pausa) La tua, più che una visita, è una nemesi.

Marco                         Accidenti! Osservazione davvero acuta!

Giulio                          Lasciami finire. (Beve) Sei Marco, lo so, in fondo ti riconosco, riconosco il tuo carattere, estroverso, dominante. Ricordo anche come tutti del gruppo subivamo il tuo fascino. Ci avevi soggiogati. A pensarci bene, però, la nostra amicizia era un cocktail ben scecherato   d’amore e d’odio.

Marco                         Dici davvero?

Giulio                          E’ così. Ci avevi imposto un giogo e di questo t’eravamo grati. C’infondeva sicurezza. Ricordo che la tua partenza ci getto nel panico e nello sconforto. Fu davvero una grande perdita ma…sì, anche una liberazione. Da quel momento la vita ha preso a scorrere sulla nostra pelle in presa diretta.

Anna                           (Fortemente ironica) Con quali risultati!

Giulio                          Tant’è! (Beve) Siamo cresciuti: è un fatto. E ognuno di noi ha potuto finalmente compiere i suoi errori pagando di tasca propria. Ti sembra poco? (Beve fino a scolare il bicchiere. Lo riempie) Ma ecco che il grande condottiero ritorna, dopo un quarto di secolo. E che fa? Va dal suo luogotenente, o devo dire ordinanza, e lo fa scattare sull’attenti.

Marco                         Dài, non esagerare:

Giulio                          Non esagero. Gli dà una buona strigliata. Il tapino s’è creato faticosamente qualcosa che assomiglia a una tana, dove spera di passare inosservato e di superare indenne le bufere della vita. Con l’ausilio di pessimi attori, mette in scena un’altrettanto pessima rappresentazione, per far colpo sul suo capitano. Ma lui non si lascia trarre in inganno: smantella subito la ridicola messinscena e mette a nudo tutte le magagne. Evviva! Bravo! (Beve ancora) Ecco il motivo della mia domanda. Chi sei? Davvero Lucifero? Sei venuto per la mia anima? E’ tua, potrai usarla come scendiletto, soffiartici il naso o appenderla nel cesso come carta igienica.

Marco                         Hai finito di sparare cazzate?

 

Giulio                         Ho finito.

Anna                           Non farci caso, Marco: non ha mai retto bene l’alcol.

Marco                         Non credo che sia sbronzo. Anche se, sai, in vino veritas… acuta analisi, devo dire. Vedi, Giulio, quando si è giovani non ci si rende conto di quello che possono provocare i sassi che gettiamo in uno stagno e che quelle che a noi sembrano ondine, per altri risultano maremoti? Non pensavo di aver violentato, allora, le vostre esistenze. Tiravo diritto…

Giulio                         E noi ti seguivamo.

Marco                         Mi sembrava naturale. Non mi ritenevo un capobranco.

Giulio                         Ma lo eri.

Marco                         Ammettiamolo pure. Ma oggi? Non ho fatto niente, questa sera, per provocare tragedie. Se di tragedia si tratta, questa era nell’aria. Sono semplicemente piombato tra voi nel momento sbagliato… o in quello giusto, secondo i punti di vista.

Anna                           (A Giulio) In fondo dovresti essergli grato, se il suo intervento, casuale o voluto, ti ha costretto a prendere coscienza. Invece, quello che sei riuscito a fare, è stato insultare un amico.

Giulio                         Amico, poi! Dopo venticinque anni!

Marco                         Perché dici così? Eppure ti sono davvero amico. A differenza di chi resta, chi parte e cambia sistema di vita, la continuità dei ricordi s’interrompe, ma, nello stesso momento, il passato s’avvalora e si rafforza. Ho protetto per tutti questi anni la nostra amicizia come crisalide nel bozzolo. Solo che, a quanto pare, la mia è rimasta troppo a lungo crisalide e la tua è da troppo tempo farfalla. Non sono più tanto sicuro di riconoscerti. Ti vedo amaro e rassegnato. Irto di spine, pronto ad attaccare anche chi, come me, ti si è avvicinato con le migliori intenzioni. Se non fosse tanto tardi me ne tornerei in albergo.

Anna                           Ci mancherebbe altro!

Giulio                          Ma sì, non badare a quello che ho detto. Forse ho bevuto un sorso di troppo. Puoi restare in questa casa quanto vuoi, se hai l’animo di sopportare un vecchio brontolone come me. (Posa il bicchiere ormai vuoto) Bene, dormi tranquillo, mio specialissimo ospite. Buonanotte.

Marco                         Buonanotte.

Anna                           Buonanotte.

Marco                         (Allusivo, ad Anna) Arrivederci.

Anna e Giulio escono. Anna segue Giulio, che scompare per primo. Anna, prima di uscire di scena si volge e lancia un’occhiata carica di sottintesi all’indirizzo di Marco, che sorride.

La scena si oscura.

Scena V

La stessa. E’ passato poco tempo. Marco è in pigiama, sta piegando i suoi vestiti e li appoggia su una sedia. Entra Anna. E’ agitata e furtiva.

Anna                           Marco…

Marco                         Vieni, t’aspettavo. Ho sperato che venissi, che trovassi il coraggio…

Anna                           L’ho trovato, sì. Ho sentito che era necessario, importante, portare a termine quello che era stato appena iniziato. (Prende per mano Marco, lo fa sedere sulla sponda del divano, si siede anche lei e gli accarezza il viso) Mi sento sfrontata. Ti sto imponendo la mia presenza, un problema imprevisto per te, forse indesiderato. E’ come se penetrassi a forza nella tua vita. Esigo che mi si accetti e lo esigo sfacciatamente. Ma ho fretta. Non so perché, ma sento che arrivare fino in fondo a… tutto questo, è urgente.

Marco                         Vai pure avanti.

Anna                           (Gli accarezza il viso e scende poi ad accarezzargli il petto, infilando le mani sotto il pigiama) E’ come se ti avessi aspettato da sempre. E riconosco il tuo corpo come se l’avessi già conosciuto. Vedi? Lo tocco senza imbarazzo. Sì: mi sembra di recitare un copione antico. Sento in me una forza che non riesco a contrastare, una forza che proviene da molto lontano. Eppure, mi sembra così… enorme quello che stiamo facendo!

Marco                         A cosa ti riferisci?

Anna                           Tradire Giulio sotto il suo stesso tetto!

Marco                         Tradimento! Una parola grossa. Vuoi crescere e, per crescere, sei costretta a trasgredire, ad abbandonare gli ordinari rapporti tra le cose.

La scena comincia a oscurarsi

Anna                           Non posso fare a meno di sentirmi riprovevole… ma non riesco a staccarmi da te. E’ così bello perdersi!

Marco                         Perché è l’unico modo per ritrovarsi.

La scena si fa buia. Fino alla fine delle scena il dialogo viene trasmesso in cassa, con l’eco delle voci tipico del “fuoricampo”. Sulla parte bianca del fondale, come ombre cinesi, vengono proiettate due silouettes che mimano, come danzando, posizioni d’amore.  In sottofondo, un pianoforte (Notturno di Chopin?).

Anna                           Abbracciami. Devo rivivere tutta la mia vita in una notte, rimediare agli sprechi, imparare di nuovo a cantare una canzone dimenticata.

Marco                         Sei bella. Il tuo seno è dolce come un mango maturo.

Anna                           Che miele, le tue parole. Tenere e dolci, come la tua pelle. Il tuo corpo è forte, non sente il peso degli anni. Insegnami il tuo segreto: mostrami come si fa a fermare il tempo.       

Marco                         Ci si nasconde in una sua smagliatura e lo si guarda scorrere al di fuori di noi. Ci si gioca a rimpiattino, trovando rifugio nel maggior numero possibile di attimi eterni, eterni come quelli che stiamo vivendo, quelli che il tempo, questo nostro inseparabile compagno dabbene, si lascia rubare, graziosamente prodigo. Ma dobbiamo essere abili: la sua compiacenza è solo apparente: sa che il conto, alla fine, quello dei minuti, delle ore e dei giorni deve tornare.

Anna                           Se è così come dici, e cioè che stiamo rubando tempo al tempo, come potrò farne buon uso, di quei minuti, quelle ore, quei giorni?

Marco                         Lascia che il tuo corpo parli e agisca per te. La musica che deve danzare è una melodia antica, che conosce da sempre.

Anna                           Sì. Grazie al cielo, sono ancora in grado d’essere donna, fino in fondo. Ancora pochi anni e il mio corpo sarebbe andato distrutto, la carne si sarebbe fatta molle, la pelle sarebbe avvizzita. Invece, ora l’età         mi aiuta. Con Giulio, all’inizio, tutto è rimasto incompiuto, inattuato: ero così giovane! Ah, l’inesperienza! Chi mai c’insegna ad essere compiutamente donne?

Le ombre cinesi sono esplicite, al limite della decenza. Entra Giulio. La musica cambia e si carica di tensione. La scena è così buia che il nuovo entrato dev’essere centrato dalla luce di uno spot, tenue, come se la figura emanasse luce propria. E’ in veste da camera e ha una pistola nella mano destra. La punta verso il divano, ma non si decide a sparare. Il braccio trema per la tensione. Infine Giulio, affranto, china la testa, impotente e sconfitto, abbassa l’arma ed esce di scena. Le ombre cinesi continuano ad amarsi. I due eventi, da un lato Giulio, dall’altro gli amanti, si muovono in due dimensioni distinte, senza possibilità di venire in contatto.

Scena VI

La stessa. E’ mattino. Marco si è alzato presto. Piega le lenzuola, tira su il letto e ricostituisce il divano. La luce è livida, perché l’alba è precoce. Marco si muove lentamente, quasi a disagio, come se si sentisse fuori posto. S’avvicina alla finestra e guarda fuori, attraverso il vetro.

Marco                         Tutti dormono. La città dorme, incurante delle prime luci, il tempo migliore. La gente stenta a svegliarsi, in città. Forse non vorrebbe svegliarsi mai, per non affrontare il disagio di vivere.

Entra Paola. E’ scarmigliata, lo sguardo allucinato, come se fosse terrorizzata. Guarda dietro di sé. Come se qualcuno le stesse inseguendo. Non si rende conto della presenza di Marco. Corre a nascondersi dietro una poltrona, tremante. Marco le si avvicina.

Marco                         Che ti succede? (Paola non risponde: si guarda intorno smarrita. Marco si china su di lei e le accarezza i capelli). Cosa c’è? Hai visto un fantasma? (Paola annuisce e lo guarda come se solo in quel momento si rendesse conto della sua presenza) Hai avuto un incubo? (Paola annuisce ancora, lentamente, rabbrividendo) Non vuoi raccontarmelo? Sai, questo è il modo migliore per liberarsene. (Paola si alza e si siede in poltrona. Guarda Marco fissamente, in silenzio) Su, scuotiti, reagisci. Sei sveglia, adesso. E io sono Marco, ricordi? (Paola annuisce, sorridendo timidamente) Che cosa hai sognato?       

Paola                           Ero…ero sola, in mezzo a un deserto. All’inizio mi sembrava una cosa normale: ero curiosa. Poi ho cominciato ad avere paura, perché non riuscivo a camminare. A ogni passo sentivo la sabbia che mi franava sotto i piedi e li riportava al punto di partenza. Era chiaro che non sarei più uscita da quel deserto. Mai più. Poi, ad un tratto, alle mie spalle ho scorto un ragno gigantesco, che puntava verso di me. La paura è diventata terrore. Con la coda dell’occhio lo vedevo avvicinarsi e mi sforzavo di correre, ma inutilmente. La sabbia franava e non riuscivo a guadagnare neppure un centimetro, a quel mostro, che avanzava, inesorabile come la morte, con le sue enormi zampe pelose e gli occhi che mi osservavano con le loro mille facce. Il cuore sembrava che volesse scoppiarmi, mi mancava l’aria, soffocavo per l’ansia e lo sforzo. La bestiaccia mi stava ormai sopra, quando mi sono svegliata e sono riuscita a fuggire.

Pausa

Marco                         Come va, ora?

Paola                           (Rabbrividisce) Se ci penso, mi sento ancora morire dalla fifa.

Marco                         (L’abbraccia) Senti il calore della mia pelle? Sei tornata tra i vivi. Sei nella tua casa, ora. Lascia il sogno e riprendi contatto con la realtà. (La accarezza e  lei si abbandona tra le sue braccia. Marco la solleva e la porta via).

Esce di scena con Paola in braccio, attraverso la porta che conduce alle camere dei ragazzi.

La scena resta per un attimo vuota. Entra Giulio. E’ affranto, con il volto tormentato, la barba lunga, gli occhi allucinati.

Giulio                          (Si guarda attorno) Dove sarà? Eppure dovrebbe essere qui. Se ne fosse andato, almeno! Il minimo che potrebbe fare, se avesse un po’ di dignità. Amico!  Puah! Lei, poi! Senza una briciola di ritegno! Cagna! Buttarsi tra le braccia del primo venuto! Come si fa, dico? Lo aveva appena conosciuto e…giù, a rotolarsi sul letto, come una volgare troia! Avrei dovuto ucciderli. Perché non l’ho fatto? Perché? (Pausa) Ma basta, basta! E’ finita. Via, devono andarsene. Eh, no! Non resteranno un minuto di più sotto il mio tetto. (Pausa) Che cosa ho fatto per meritarmi tutto questo? Che razza d’uomo sono se una persona qualunque si sente autorizzata a entrare in casa mia e ad andare a letto con mia moglie? Un due di briscola, l’ultimo dei lacchè… Perché ad alcuni tutto è consentito e ad altri tutto è vietato? Oh, se solo avessi immaginato… Non avrebbe messo piede in casa mia!

Entra Anna. In camicia da notte. Risplende.

Anna                           Giulio! Che fai alzato a quest’ora?

Giulio                          (La guarda in cagnesco) Non ho motivo di dormire il sonno del giusto, io. Devo scontare i miei peccati. Tu piuttosto: sei qui per il dessert?

Anna                           Che vuoi dire? Dov’è Marco?

Giulio                          (Con disprezzo e acrimonia) Non c’è, vedi? Dov’è? All’inferno, spero!

Anna                           Dio! Che hai fatto?

Giulio                          (Ride, follemente) Pensi che lo abbia gettato dalla finestra? O strangolato? O, magari, che gli abbia sparato? (Estrae la pistola dalla tasca della veste da camera) Non me ne sarebbero mancati i mezzi… vedi? (mostra la pistola)… né l’occasione. Eravate al di là di quel mirino, tutti e due. (Prende la mira) Bang. Bang. Facile. Un gioco da ragazzi. Sarei libero, adesso. (Anna si porta le mani alla bocca, gli occhi sbarrati) Vi ho risparmiati. Perché? Sono stato magnanimo. (Pausa) Bugia! Solo vile, il solito spregevole vigliacco. (Ridacchia) Mi consolerò pensando d’essere in credito di due vite.

Anna                           Giulio…Giulio…mi dispiace.

Giulio                          (Non ascolta: procede nel suo vaniloquio) Eravate là…vi ho lasciati nel vostro truogolo, a sguazzare nel fango. Vi ho graziati. (Ripone con cura maniacale la pistola nella tasca. Poi sembra tornare in sé) Che cosa ci è successo? Com’è stato possibile, tutto questo? Tutta colpa di quel… farabutto!

Anna                           Non c’è colpa, in quello che è accaduto. Doveva accadere. Marco è stato solo l’occasione.

Giulio                          No! Non posso accettare che la mia famiglia venga distrutta così, da un giorno all’altro. Siamo stati insieme ventitré anni: una vita!

Anna                           Sì, ma che vita!

Giulio                          Eh, no! Nessuna giustificazione per il tuo comportamento. Non ti permetterò di giocare con le parole. I fatti, mia cara, i fatti, da qui in avanti, e questi sono contro di te, contro di voi. Quello che avete fatto è… tremendo, inconcepibile, indegno!

Anna                           Dio! Eppure, tutto ha una spiegazione. Sono io che non riesco a trovare le parole giuste. Sono così impreparata. Ci vorrebbe Marco!

Giulio                          (Isterico) Ancora lui! Non voglio più vederlo! Non voglio più sentirlo nominare!

Anna                           Dov’è? Che ne hai fatto?

Giulio                          (La guarda con occhi folli e un sorriso cattivo) Temi d’aver perso il tuo nuovo amante? Lo cerchiamo insieme? Guarda sotto il divano. Chissà, forse s’è andato a nascondere per la vergogna. Guardiamo nel ripostiglio, tra le scope? Oppure nel bagno? Pensa che bello se fosse annegato nella vasca o si fosse impiccato al tubo della doccia. Sarebbe una fine degna, per un Giuda come lui!

Anna                           Giulio, ti prego, torna in  te.

Giulio                          Ma, sono in me! Perfettamente lucido… così lucido da dirti che ho fatto il giro di tutta la casa e il satanasso manca all’appello. Gli unici due letti che non ho controllato sono quelli dei nostri figli.

Anna                           Non dire assurdità. Sei ammalato. Vedi tradimento dappertutto e sporchi ogni cosa che tocchi.

Giulio                          Ti sbagli. E ti dirò di più: in base alle tendenze del tuo caro amico, scommetto che è nel letto di Paola che si sta rotolando, in questo momento.

Anna                           Sciocchezze. Anche se fosse con Paola, nella sua stanza, non significherebbe niente. Perché fai apparire la cosa come la più schifosa delle ipotesi?

Giulio                          Ah, vuoi dire che quell’uomo, come un buon medico, sta cercando di curare le tendenze edipiche di tua figlia?

Anna                           Non esagerare, adesso. La spiegazione sarà sicuramente più semplice e, soprattutto, più innocente.

Entrano Paola e Marco. Paola, ancora in camicia da notte, una camicia da notte molto ridotta e sexy, tiene per mano Marco. E’ ben pettinata, radiosa e sorridente.

Paola                           Siete caduti dal letto? Forse anche per voi, come per me, questo è un giorno meraviglioso? Mi sembra d’essere rinata, d’aver aperto gli occhi per la prima volta. Sai, papà, quest’uomo è davvero speciale.

Mentre Paola parla, Anna guarda fissamente Marco, ma non è ostile. Giulio, invece, lo guarda con odio, con le labbra strette e le mani in tasca. Non permette quasi a Paola di terminare la sua battuta: estrae la pistola e spara, ferendo Marco alla spalla sinistra. L’uomo porta la mano alla spalla e la ritrae sporca di sangue. Anna e Paola gridano all’unisono, gettandosi su Giulio, in un estremo tentativo di fermarlo. Poi corrono in aiuto di Marco, che è caduto in ginocchio e si stringe la spalla ferita.

Marco                         (Tra sé) Un poco mas allà y me mata, ese hij-e-puta! Oltre ad essere un fesso patentato, sei anche un pessimo tiratore.

Giulio                          (Svuotato) Neppure una volta, nella vita, sono riuscito a far bene una cosa.

Pausa.

Marco                         (A Giulio) Perché?

Giulio lo guarda come se non lo vedesse.

Marco                         Perché l’hai fatto?

Giulio                          E me lo chiedi? Entri in casa mia, ti porti a letto prima mia moglie, poi mia figlia… che dovevo aspettare, per fermarti?

Marco                         Sei cieco. E meschino. Cosa t’ha fatto pensare che tra me e Paola sia accaduto qualcosa di sconveniente?

Giulio                          Non venirmi a dire che sei andato da lei solo per raccontarle una fiaba perché non ci crederei.

Paola                           (Gelida come un ice-berg) Ti preoccupi se tua figlia è andata a letto con qualcuno in casa tua? Dov’eri quando ha fatto la stessa cosa in casa d’altri? Credevi di avere una figlia ancora vergine? Ti sei mai preoccupato se lo fosse o d’informarti quando non lo fosse più stata? Perché, ad un tratto, la vita sessuale di tua figlia, della quale non ti è mai importato un fico, ha assunto per te tanta importanza da farti addirittura sparare a un uomo?

Giulio                          (Incerto) Volevo difenderti, difendere questa casa, questa famiglia…

Paola                           Difendermi? Non essere ridicolo! L’unico giorno della mia vita in cui qualcuno m’ha fatto sentire donna, la prima volta nella mia vita in cui qualcuno ha infuso in me sicurezza e speranza, insegnandomi a non buttare al vento la mia vita… tu me lo guasti, con la tua stupidità e la tua… pistola!

Giulio                          (Getta via la pistola come se gli bruciasse tra le dita)    Insomma, devo sapere. Hai fatto l’amore con lui?

Paola                           Possibile che non capisci che questo è un dettaglio senza importanza? Non meriti risposta.

Anna                           (Solleva la testa dalla ferita di Marco. A Paola) Non perdere tempo con lui e vai a prendere acqua ossigenata e bende. Bisogna pensare alla ferita.

Paola esce proprio mentre entra Roberto, assonnato.

Roberto                      Che succede? Ho sentito un colpo. Marco! Cos’è accaduto?

Marco                         (Con un sorriso forzato) Tuo padre ha fatto un po’ di tiro a segno.

Roberto                      (Al padre) Di’, t’ha dato di volta il cervello?

Giulio                          (Stancamente, si siede su una sedia, lontano dagli altri) Sì, forse sono uscito di senno. Dev’essere così. Perché è tutto storto. Il mondo è alla rovescia. Mia moglie si fa sbattere da un altro, ma chi ha sbagliato sono io. Mia figlia va a letto con un uomo che potrebbe esserle padre, ma dice che è un dettaglio senza importanza. Un dettaglio! Poi confessa d’aver frequentato più letti che giorni di scuola… e probabilmente considera anche questo un dettaglio. Sì, figlio mio, sono matto. Non c’è altra spiegazione.

Roberto                      Ma tu hai sparato a Marco!

Giulio                          Ho sparato a Marco? Beh, sono matto, no? Nella mia follia, l’ho ritenuto responsabile dello sfacelo della mia famiglia. Ma anche qui devo essere fuori strada: lo sfacelo l’ho causato io; lui ha semplicemente messo le cose a posto.

Roberto                       Davvero, non sei in te, papà. Ma come! Rivedi un amico dopo venticinque anni e gli spari addosso?

Giulio                          Amico? Lui? Allora deve possedere un ben strano concetto dell’amicizia.

Marco                         Eppure ti sono davvero amico!

Giulio                          Io, no. E sai perché? Perché non si può essere amici di un uomo che non si vede da venticinque anni. L’amicizia va coltivata, giorno dopo giorno, deve nutrirsi di presenza, d’interessi comuni, di reciproca simpatia e di rispetto. Che cosa abbiamo, noi, in comune, invece? Un po’ di passato. Un’età così lontana… Dovevamo farci una sbicchierata: questo ritenevo che si dovesse a quel nostro passato. Non abbiamo ricordato neppure un evento, di quei tempi. Neppure un amico, del gruppo, è stato citato. Dovevi rappresentare il passato e invece sei penetrato a forza nel nostro presente, l’hai violentato, profanato. Ma il presente, il mio presente, non ti appartiene. Perché hai invaso la mia attualità? Non ti ho invitato a farlo.

Marco                         Tu, forse, no, ma loro, sì, tutti e tre, in un modo o nell’altro…

Giulio                         Li hai plagiati. Hai approfittato della loro debolezza. Li hai presi,                          arraffati come un volgare ladro!

Marco                         (Sofferente) Le medaglie hanno sempre due facce. Chi ha dato? Chi ha preso? (Pausa) Sono stanco, Giulio. Quello che offri ai tuoi ospiti (si tocca la spalla) non favorisce la conversazione.

Rientra Paola, con una bacinella, garza e medicamenti.

Anna                           (Mentre pulisce la ferita) La pallottola è molto in profondità.

Roberto                       (Si avvicina) Fatemi dare un’occhiata. (Guarda) Sì: è vicina all’osso della clavicola. Per me, ci vuole l’ospedale.

Marco                         Non basterebbe un amico medico? Evitiamo complicazioni…

Anna                           A cosa ti riferisci?

Marco                         Ferita d’arma da fuoco. Polizia, domande, interrogatori…

Roberto                       Ma anche un medico sarebbe obbligato a denunciare d’aver curato una ferita d’arma da fuoco.

Marco                         Forse potrebbe lasciar perdere se gli dico che mi sono ferito da solo.

Anna                           (A Giulio) Invece di star lì, imbambolato, come uno stupido, perché          non chiami Alfonso? Dìgli che c’è stato un incidente e di portare i suoi ferri. (Giulio è incerto; resta seduto) E che ne diresti di ringraziare Marco, per la sua disponibilità? Sai che potresti passare dei guai, per questo colpo di pistola?

Giulio                         (Ironico) Ah, devo ringraziare Marco. Grazie, Marco.

Marco                         Sei cieco. Vuoi capire che non era mia intenzione far violenza a nessuno?

Giulio                         Ah, no? Neppure a me?

Marco                         Verso di te ha una sola colpa: quella d’averti trascurato…

Giulio                         E meno male!

Marco                         … ma eri il meno disponibile, il più sicuro e orgoglioso, arroccato nelle tue posizioni. C’era chi aveva bisogno di aiuto immediato, chi lo chiedeva e lo aspettava da tempo. Magari da te, padre e marito. Ho risposto io, a quei richiami, e ho tralasciato il tuo, così profondo dentro di te da non essere udibile. Capisci? Non ho scorto brecce nelle tue difese. Sei barricato. Ti terrorizza l’idea di denudarti, di portare alla luce le tue ferite nascoste.

Anna                           Già! Lui preferisce ferire!

Giulio                          No. Mi sono solo difeso. Perché tu mi hai mosso guerra. Una guerra subdola, vile. Sei un lupo che ha indossato la pelle dell’agnello. Hai invaso il mio territorio e ti sei mangiato i miei capi migliori.

Marco                         Loro non sono pecore, ma persone: hanno una volontà propria e un concetto preciso della loro libertà. E io non ho mangiato nessuno, por Diòs!

Giulio                          Non so cosa sia successo con Paola, ma ho visto con i miei occhi che cosa avveniva con Anna. Chiami anche tu, questo tipo d’incontri, partite di bridge?

Roberto                      Questa poi!

Marco                         E’ vero: questa notte Anna ed io ci siamo amati. Ah, lo so, perché si possa guardare con simpatia due persone che si amano, una stupida tradizione c’impone di sublimare l’evento attribuendogli caratteri di sacralità. Ma vi assicuro che, nel nostro incontro, non c’è stato niente di sporco. Assolutamente niente.

Giulio                         E noi dovremmo crederti sulla parola?

Marco                         E’ così. Anna era una donna confusa, prima. Una donna sola e confusa, e nessuno si è mai preoccupato. Che avesse un amante, o più amanti, ma fuori di casa. Che andasse a cercare un po’ di calore, un po’ di quell’amore che non trovava tra queste mura: ma fuori, purché lo facesse con discrezione, senza scardinare la consolante immagine di una famiglia unita. Chi s’è mai chiesto se fosse felice? La visione di lei tra le braccia di un estraneo, era una visione repellente. Pensavate a lenzuola sporche, a corpi indecenti nella loro nudità. Via, allora! Via quelle brutte immagini di Anna, la madre, la moglie, intenta a giocare un gioco perverso. Chi s’è mai chiesto che cosa stesse cercando? O se quell’errore potesse essere evitato? Ognuno è rimasto chiuso nel proprio orgoglio ferito e ha preferito considerarsi vittima di quell’errore e non la possibile causa.

Giulio                         Una donna, moglie e madre, ha delle responsabilità.

Paola                           Sì, ma anche il diritto di essere felice.

Roberto                       (Abbraccia con slancio la madre) E la mamma non ha avuto una vita felice: tutti ne siamo responsabili.

Marco, seduto in poltrona, si affloscia, tenendo la mano sulla ferita. Ha gli occhi chiusi.

Paola                           Vedi quest’uomo che hai quasi ucciso? Mi ha insegnato ad aprire il mio cuore alla vita. E’ un uomo totalmente disponibile, e disarmato. Alla mamma ha dato quello che non ha mai avuto: amore. A me, la fiducia in me stessa.

Roberto                      E a me la chiarezza di idee.

Giulio                         A me, invece, non ha dato che dolore.

Marco                         (Stancamente, sempre con gli occhi chiusi) Il dolore è spesso una buona terapia. Apri gli occhi. Le persone che ti circondano hanno ritrovato se stesse. Da questo momento sarà più facile per te amarle.

Giulio                          Come potrò di nuovo amare Anna? E’ un’altra persona, non la riconosco. Il nostro dialogo s’è interrotto da così tanto tempo! Ciò nonostante credevo d’averla al mio fianco, una compagna solida, su cui fare affidamento. Invece mi sbagliavo. Il suo corpo, presente, la sua anima assente, lontana. Com’è potuto accadere? Mah? La vita, le preoccupazioni per le scadenze, la scuola dei figli, il lavoro… eh, da noi è duro mettere insieme il pranzo con la cena! Non abbiamo piante di banane ai bordi delle strade, noi! Qui si viene distolti dal problema della sopravvivenza e si finisce per appassire, dentro e fuori. Un deserto sterile, inospitale, è spesso il nostro cuore. Un ammasso di muscoli torpidi, flaccidi, il nostro corpo. Hai notato la pelle? Macchiata, opaca, ci ricopre come un sudario. Avvizziamo, in queste nostre orribili città. Moriamo tutti, di una morte lenta, precoce. L’amore è un gioco per gente sana, rigogliosa. M’hai osservato bene? Sono una semplice unità produttiva. Ben altra cosa è il tuo corpo, pulsa di vita, profuma di vento e sembra non subire le ingiurie del tempo. La tua, Marco, è concorrenza sleale. Sei un alieno proveniente da altri mondi…

Marco                         (Solleva la mano dalla ferita e la mostra, macchiata di sangue) Ti sbagli, amico mio: sono un uomo come te, e sanguino come un vitello scannato. Non c’è più tempo, per il tuo amico medico; se non chiamate subito un’ambulanza finirò per guardare l’erba dalla parte delle radici.

Il sipario cala mentre Paola corre al telefono.

ATTO III

Scena VII

Una stanza d’ospedale. Marco, a letto, è attaccato a una flebo. Ha la barba lunga, il volto emaciato, il petto nudo, la spalla fasciata. Accanto a lui un medico, serio e preoccupato, usa lo stetoscopio e legge la temperatura da un termometro.

Dottore                       Non riesco a capire: gli antibiotici non producono alcun effetto.

Marco                         Non si preoccupi, dottore: ho la pelle dura.

Dottore                       Il suo ottimismo mi rallegra. Aiuta molto, sa? La natura ha bisogno di buona predisposizione. Se un paziente ha voglia di vivere, è già per metà guarito.

Marco                         Intanto, però, questa maledetta febbre m’ha ridotto uno straccio.

Dottore                       Pazienza. Ci sarà tempo per recuperare le forze. Ora dobbiamo sconfiggere l’infezione. Se non regredisce nelle prossime ventiquattro ore, cambieremo antibiotico.          

Entra Anna. Si avvicina a Marco, si china su di lui e lo bacia.

Anna                           (Al medico)  Come sta?

Dottore                       Non bene, purtroppo.

Anna                           E’ una ferita così grave?

Dottore                       Questa è la cosa strana: è una ferita di poco conto. Eppure… il suo fisico sembra non reagire agli antibiotici…

Anna                           Posso restare un po’ con lui?

Dottore                       Direi di sì, purché non lo affatichi troppo.

Il medico esce. Anna si siede sul bordo del letto.

Anna                           Come mi dispiace! Mai avrei ritenuto Giulio capace di arrivare a tanto.

Marco                         Già. Sempre il solito insicuro.

Anna                           Grazie al cielo, altrimenti ti avrebbe ucciso.

Marco                         Piuttosto, mi sarei aspettato che venisse a trovare la sua vittima.

Anna                           E’ sparito. Da quando sei uscito di casa in barella, non solo non m’ha rivolto la parola, ma se n’è andato e non è più tornato.

Marco                         Se torna, dìgli che non pretendo scuse formali. E digli anche che capisco il suo gesto.

Anna                           Il problema è un altro, credo… Forse si vergogna… o forse cova ancora del malanimo.

Marco                         Peccato. Non ci resta che seppellire una lunga, anche se poco fruttuosa, amicizia.

Anna                           Beh: io devo ringraziare il cielo che ci fosse, altrimenti non ti avrei conosciuto. Ho riflettuto molto. Dio, pensare a com’ero! Schiava, succube delle circostanze. La realtà, intorno, poteva darmi ordini, che eseguivo senza capire, senza ribellarmi. Tutte scelte obbligate, le mie. E fughe inutili, trasgressioni che mi lasciavano in bocca l’amaro della delusione e della colpa. Il caos era tale da inquinare persino l’amore di una madre per i suoi figli. Ero così confusa, e perduta, da considerarli un intralcio. Dovevo essere pazza. C’è da chiedersi come siano potuti crescere sani, con genitori come noi.

Marco                          Non denigrarti troppo.

Anna                           Non esagero, t’assicuro. Non abbiamo alcun merito, noi, se non sono finiti su una panchina del parco uccisi da un’overdose. La sorte ci ha premiati con un dono che non abbiamo meritato. Adesso vogliono andarsene, crearsi una loro vita; e Giulio si opporrà. Io, invece, dico che abbiamo perduto ogni diritto. Da che cosa dovremmo proteggerli, ora, se non siamo stati in grado di farlo prima? Che cosa potremmo insegnare loro, ora, se siamo stati tanto cattivi maestri, prima? Siamo stati così…inadeguati, e colpevoli, da uccidere forse anche l’amore che avrebbe potuto unirci.

Marco                         Non dire così. I tuoi figli non possono non amarti!

Anna                           Forse adesso, e grazie a te. Tu hai permesso che il nostro amore venisse alla luce.

Marco                         (Sorridendo a fatica) Bene, ora posso morire contento.

Anna                           Perché parli di morire? Tu devi vivere. Io ho bisogno di te.

Marco                         No, Anna. Puoi camminare con le tue gambe, ora. Non ti servo più. Oh, sarebbe bello tenerti ancora tra le braccia, non lo nego, ma non importante come lo è stato questa notte. Ripeterci, significherebbe accordarci premi superflui.

Anna                           Forse hai ragione. Ma è così bello amarti!

Marco                         Improprio: è così bello amare.

Anna                           Non è facile rinunciare a te.

Marco                         Ma necessario: la mia vita è altrove, lo sai. Due donne e un mucchio di bambini mi aspettano.

Anna                           Li invidio.

Marco                         Non devi. Anche tu hai chi ti aspetta.

Anna                           (Vagamente ironica)  Giulio?

Marco                         E i tuoi figli.

Anna                           Vorrei partire con te.

Marco                         Sarebbe un errore.

Anna                           (Stizzita) Ah, lo so! Ma… come vorrei recuperare il tempo perduto! Adesso, ogni giorno che passa, mi sembra sprecato, se non posso viverlo con te. Ho passato l’intera mia vita in attesa.

Marco                         Recupera Giulio.

Anna                           Lo sento ormai lontano, dietro di me, fermo a un’epoca che non mi appartiene più. Hai visto, no? Il mio distacco, questa crescita repentina, sono stati scambiati per tradimento.

Marco                         Amalo e vedrai che, prima o poi, capirà.

Anna                           Non credo che me lo permetterà. Non riuscirà a cambiare. Io, invece, sarei pronta a seguirti, a indossare abiti completamente nuovi. Potrei vivere nel deserto, nelle tue savane, tra i tuoi indios. Non rimpiangerei nulla della mia vecchia vita. (Si alza dal letto e fa qualche passo nella stanza)  Sono cresciuta, sì. Della vita di un tempo non ricordo più nulla. Ho detto di un tempo? Ma è passato solo un giorno!  (Anna non se ne avvede, ma Marco sta male, respira a fatica; abbandonato sul cuscino, sembra che non sia più in grado di sentirla) E non sono più neppure tanto sicura di voler recuperare Giulio. Che avremmo ancora da dirci? Che cosa, ancora, ci accomuna? (Pausa)  No, no, a ognuno il suo spazio, a ognuno l’intera responsabilità delle sue scelte di vita. Non ho bisogno di lui, ora che so vivere in piena autonomia. Dovremmo creare un legame nuovo, un nuovo sentimento, creare nuovi gesti per comunicarlo…improbabile, non credi? (Si volta, vede Marco ansante, con gli occhi chiusi, e accorre al suo capezzale) Marco! Dio! Ma tu stai male!

Marco                         E’ la febbre. Sale…sale…

Anna                           Chiamo il dottore.

Marco                         A che servirebbe? (Delira) Ho ceduto troppa energia, tutta quella che avevo accumulato in tanti anni. Ora il mio corpo è debole, incapace di reagire alla vostra peste… Ahi, ese olor a podrido, la puzza di morte, ahora tiene sentido…sì, ha un senso..

Anna                           Che dici? Delira…presto! Un dottore! (Cerca vicino al capezzale e preme un bottone. S’ode fuori campo il suono di un campanello. Anna tiene premuto il pulsante fino all’ingresso di un’infermiera)

Infermiera                   Ehi, basta, ho sentito! Che succede?

Anna                           Sta male, molto male. La prego, faccia qualcosa.

L’infermiera s’avvicina a Marco e gli posa una mano sulla fronte. Il malato si lamenta. L’infermiera esce. Rientra quasi subito con una borsa del ghiaccio. Sbrigativa, s’avvicina all’infermo e gli pone, quasi con malagrazia, la borsa sulla testa.

Anna                           Tutto qui?

Infermiera                   C’è ben poco da fare. I vecchi sistemi, poi, sono sempre i migliori.

Anna                           Il dottore ha detto che gli avrebbe somministrato un nuovo antibiotico.

Infermiera                   Se l’ha detto, lo farà.

Esce

Anna                           (Borbotta, mentre si china su Marco) Stupida. Come al solito, non valutano la pelle degli altri un soldo bucato. Darei la mia inutile vita, per vederlo guarire.

Marco                         Nessuna vita è inutile.

Anna                           Sei in te, allora.

Marco                         Sì, il ghiaccio… per, no sirvo para nada, inchiodato in questo letto.

Anna                           Guarirai presto, vedrai.

Marco                         Comincio a dubitarne. E’ come se l’aver vissuto tanto a lungo in ampi spazi m’abbia reso inadatto a quelli angusti.

Marco chiude gli occhi. Anna si siede sul bordo del letto e passa amorevolmente una pezza umida sul viso di Marco. Entra Giulio. Disfatto. Vagamente brillo. Si avvicina al letto. I due coniugi si guardano in silenzio.

Anna                           Ti sei degnato, alla fine! (Giulio allarga le braccia in un gesto rigido, un po’ comico) Perché sei qui? (Giulio ripete il gesto) Sei venuto ad ammirare il tuo capolavoro?

Giulio                          Perché mi rimproveri? Ho cercato di difendermi e non ho avuto molto successo, mi pare.

Anna                           Ah, ti rammarichi di non averlo ucciso?

Giulio                         No, non fino a questo punto. Anzi, sono contento di averlo solo                            ferito.

Anna                           Eppure, sta morendo. E tu ne sei il responsabile.

Giulio                          Non ne sono del tutto sicuro. Non gli ho procurato che un graffio. Se muore, è per qualche altra ragione.

Anna                           E sarebbe?

Giulio                          Non lo so. E’ per quello che è, per quello che è diventato. (Con aria furbina) O, chissà, per quello che ha fatto.

Anna                           Non parlerai sul serio!

Giulio                          Perché? Non vedi anche tu, in tutto questo, una certa giustizia? E’ come se il caso… il fato, si diceva una volta…avesse operato per mettere a posto le cose, per far ordine, capisci?

Anna                           No, non capisco. E non voglio stare a sentirti. Con che coraggio tiri in ballo la… provvidenza, quando è stata la tua mano a colpire? Guardalo! Lo riconosci? E’ un tuo amico, che tu hai offeso profondamente.

Giulio                          Accidenti! Te lo ripeto: le sue attuali condizioni hanno ben poco a vedere con la mia offesa. Quell’uomo è una stranezza… una mutazione.

Anna                           Oh, sì, è speciale, infatti.

Giulio                          Speciale? Strano, ti dico. Sai? Ho provato ad analizzare ciò che è avvenuto…

Anna                           Davanti a una bottiglia di wisky?

Giulio                          (Ridacchia) Si vede? Si, lo confesso, davanti a una bottiglia a volte si ragiona meglio. Comunque, ti dicevo, ho provato: non c’è spiegazione. Il suo intervento è stata tutta un’anomalia. Incongruo, dall’inizio alla fine. E’ piombato su di noi come un falco e ci assaliti con gli artigli delle sue parole, parole affilate come una lama…(ridacchia di nuovo, una risatina da sbronzo) arma antica, d’altri tempi, anacronistica, primitiva…

Anna                           Già. Tu invece distribuisci pallottole!

Giulio                          Sono civilizzato, io! Ma è ben poca cosa un po’ di piombo in una spalla, se si paragona allo sfacelo che ha provocato lui senza usare altre armi che la lingua (Anna, suo malgrado, sogghigna) Ah! Dimenticavo! Con te ha usato anche qualcos’altro.

Anna                           Riesci sempre a sporcare quello che tocchi. Perché non vuoi capire che quello che è avvenuto tra noi ha un’importanza secondaria. Un contatto, puro e semplice. E’ tutto il resto che conta. E’ quello che ho attinto da lui, importante! E’ stato come una sorgente di forza, di chiarezza e di luce, per me… e anche per i tuoi figli. E il risultato è che noi, grazie a Marco, siamo cresciuti, mentre tu sei rimasto il piccolo uomo di sempre.

Giulio                          Piccolo uomo? Forse. Ma vivo. (Pausa) Noi piccoli uomini abbiamo sviluppato una prodigiosa capacità di adattamento. Guarda invece il tuo grande uomo. Grinzoso come una prugna secca. Si sta consumando. Un altro giorno e di lui non resterà che il fantasma.

Anna                           No! Guarirà. Recupererà, tornerà come prima.

Giulio                         Glielo auguro, ma sembra del tutto improbabile. E sai perché?                               Perché la natura corregge sempre i suoi errori.

Marco                         Così, anch’io, come i miei indios, sono un ramo secco da bruciare?

Giulio                          Ah, la voce dall’oltretomba. Mi dispiace, amico. Forse sarebbe stato meglio, per te, restare nel passato. Il presente, il nostro presente non ti si addice.

Marco                         Comincio a pensare che tu abbia ragione. Forse il mio è stato un atto di superbia. Ho preteso che mi si accogliesse, che mi si accettasse… (Incomincia a delirare) Come un limone, ho dato il mio succo, ho elargito la polpa di un frutto maturo, ho dissetato il mondo alla mia fonte…ora non ho più niente da dare… l’albero non ha più frutti, la fonte è secca…

Anna                           Delira.

Marco                         E’ vero. Ma accusa.

Anna                           Accusa? Che dici! Vaneggia.

Giulio                          Sì, ma ci ha detto che tutti abbiamo preso. Vuoi sapere la verità, fino in fondo? (Ridacchia, sbronzo) L’avete vampirizzato.

Anna                           Ma di quale verità vai cianciando? Proprio tu, dovresti tacere: era un tuo amico e l’hai ridotto così. Non ho sentito una parola di scusa, di pentimento, dalle tue labbra. Il mostro sei tu!

Giulio                          Pentirmi? Ma non ho nessuna colpa. L’hai sentito, no? Chi l’ha spremuto come un limone? Chi si è dissetato alla sua fonte? Non io.

Anna                           Che faccia tosta! Vuoi dire che la colpa è nostra? Chi ha sparato la pallottola che l’ha ferito?

Giulio                          Pochi grammi di piombo sono il minore dei suoi mali. La colpa è vostra.

Anna                           No! Tua!

Giulio                         No. Vostra!

Anna                           Ti ripeto: tua! Tua! Tua!

Giulio                         Ssstt. Zitta. Non vedi? Ci stiamo disputando un cadavere.

Infatti Marco è evidentemente morto. Gli occhi chiusi, un braccio abbandonato fuori dal bordo del letto.

SIPARIO