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(1936)

Un atto di Sabatino LOPEZ

da 7 COMMEDIE IN UN ATTO

Rizzoli Editore Milano - 1967

PERSONAGGI

MATTEO  ALDROVANDI

LUCE

GORTANI

LA CUOCA

Milano.  Un mattino di novembre avanzato.


La stanza terrena che è studio e salotto del cavalier Aldrovandi, sino a pochi mesi or sono fortunato e operoso agente di cambio.

(La scrivania, dietro la quale siede Matteo, è quasi libera di carte: a un angolo un apparecchio telefonico. Indietro, attorno a un tavolinetto, una poltrona di cuoio e sedie. Nulla di polveroso o cadente, ma nulla di troppo nuovo e chiassoso. Libri e riviste in una larga scansia.)

MATTEO        (è solo. Sessantenne, canuto, roseo, mio­pe, sofferente ma non invalido, curvo sopra un giornale, con la lente di ingrandimento ricerca la possibile soluzione di uno schema di parole in­crociate)  Cinque lettere: "Piacque, fatale, a gio­vane famosa". (Ripete per aiutarsi.)  "Piacque, fa­tale..." - Comincia con effe... Effe, effe, effe...

GORTANI       (di dentro)    Posso entrare?

MATTEO        (senza levare il capo)   Chi è? Gortani? - Avanti!

GORTANI       (trentenne, elegante, tra il commesso e l'impiegato di concetto. Entra e si ferma sulla por­ta per non disturbare. A mezza voce)  Buon­giorno.

MATTEO        Buongiorno. Sono subito da lei. - Effe... Fa... Fa... Faone. (Depone la lente.)  Ho trovato: Faone.

GORTANI       Parole incrociate? - Non si stanca gli occhi?

MATTEO        Qualcosa bisogna pur fare, e per me que­sta è una ginnastica, la ginnastica svedese del mio cervello. Motivo per cui mi ci esercito di matti­na. (Reciso, quasi aggressivo)  Be'! mi dica: chi era Faone?

GORTANI       Come, chi era?

MATTEO        Sì, chi era. - Non lo sa, anzi lo ha di­menticato, perché certo una volta lo sapeva. Fao­ne fu un bellissimo giovane... (scherzoso)  quasi quanto lei, del quale la poetessa Saffo - esse im­pura - secondo la leggenda s'innamorò invano. Tra­scurata, incompresa, giù un salto in mare, e spari travolta.

GORTANI       (leggero di tono)  Povera donna, finì male.

MATTEO        Era una passionale: le cosiddette passio­nali sono un guaio, vero, Gortani? Ma la mitolo­gia, che è la grande miniera di questi giochi di pazienza, è piena di donne che per insania o per disperazione si gettano nell'acqua, o nel fuoco o... (Con serietà comica)  Anche Ino è finita a quel modo.

GORTANI       Anche Ino! - Mai sentita nominare.

MATTEO        Sicuro: Ino, figlia di Cadmo, impazzì e nel delirio si precipitò e fu sommersa col figlio Melicerte che teneva in braccio. Tutte notizie rin­frescate tra ieri e oggi sul dizionario mitologico. (Sorride.)  Lei non immagina quante mai cose si imparano o, dimenticate, tornano a galla da me­morie lontane, in questa ricerca di soluzioni alle parole incrociate.  (Allontanando il fascicolo e la matita)  Modesto conforto e innocente distrazione alla solitudine di un agente di cambio in ritiro, ovverosia di un malinconico disoccupato. - Sieda, Gortani. Sieda e mi dica, lei che viene di fuori: fa freddo?

GORTANI       (non sa bene)    Sì e no.

MATTEO        Quanti gradi? - Non ha guardato. - Umi­do? - Saperlo per le mie gambe: per le sue, tutto va bene ugualmente.

GORTANI       C'è un po' di nebbia, ma stamani era più fitta: ora tende a schiarirsi.

MATTEO        Speriamo. - È andato al Lirico, ieri sera? No! Dica la verità, (malizioso)  aveva di meglio? Aveva di meglio, beato lei. Allora non mi sa dire.

GORTANI       Il giornale registra...

MATTEO        (si è messo gli occhiali)  Applausi, l'ho visto. Ovazioni al tenore. Ma lei di suo non mi sa dire nulla.

GORTANI       Anche il signor Cantelli ha trovato ec­cellente l'esecuzione.

MATTEO        Ma Cantelli è stonato e sordo. Ed è ri­masto ai tempi di Paisiello. Non di Rossini, di Paisiello. E nemmeno di Paisiello: più indietro, più indietro. - Quando l'ha visto, Cantelli?

GORTANI       Ora, alla banca, dove sono andato per l'assegno alla signorina.

MATTEO        Bravo, che se n'è ricordato. L'ha potuto ritirare?

GORTANI       (apre il portafogli, ne trae un assegno bancario, lo porge)     Sì, cavaliere, l'ho qui.

MATTEO        Bravo, faccia vedere. (Allunga il brac­cio, lo prende, abbassa gli occhiali e ripiglia la len­te   d'ingrandimento.)    Giusto.   (Ripiega   l'assegno, lo mette sotto un fermacarte.)  Almeno la prima volta, consegnare un assegno: è più elegante. Que­st'altro mese, denari alla mano: è più comodo. An­che per la signorina. Ma un assegno... è più signo­rile: come il pagamento di una parcella, non come un salario, uno stipendio. (Con gli occhi miopi chiede l'approvazione di chi l'ascolta.)  Capisce?

GORTANI       Capisco.

MATTEO        Ecco: c'è un'arte anche nel modo di por­gere denari e doni. - Avete un regalo da offrire? Raccomandate al negoziante, e curate personal­mente, soprattutto l'astuccio. Prima di ogni cosa,

il vestito.      (Sorride.)  Impari: lezione pratica di vi­ta da parte di uno che ha molto vissuto...

GORTANI       (seguita)    ... e che molto vivrà.

MATTEO        Non me l'auguri:  sono tanto seccato. La Borsa?

GORTANI       Ferma. Settantadue e quaranta...

MATTEO        Come ieri alla chiusura.

GORTANI       Navigazioni, piccolo rialzo.

MATTEO        Non m'importa più. - Si ricorda che m'ha venduto anche le ultime? Ora lei va per i fatti suoi e torna alle due: se schiarisce, se è asciutto, facciamo quattro passi, anche sei, anche otto, per dare un po' d'olio ai motori. Altrimenti chiacchierata a piè fermo. Ora aspetto la signo­rina. La signorina Luce: bel nome, no? - E lei, la ragazza, come la trova?

GORTANI       Poco l'ho vista e poco le ho parlato.

MATTEO        Non chiedo un giudizio: l'impressione.

GORTANI       (come una cosa qualunque)  Carina.

MATTEO        Ho capito, non le piace..

GORTANI       Perché? mi pare un po' fredda, un po' uomo...

MATTEO        Diciamo seria. Donna, ma seria. E leg­ge e parla con molta intelligenza e molta finezza. - A più tardi.

GORTANI       Buon appetito a suo tempo.

MATTEO        Grazie.

(Gortani esce. Matteo si toglie gli occhiali, ne appanna i cristalli, li pulisce col fazzoletto che trae dal taschino della giacca, li ri­mette su.) 

Questa benedetta vista...

(Suona due volte e aspetta.) 

Fumare no, leggere no...

LA CUOCA     (entra)    Ha chiamato me?

MATTEO        Direi: due colpi... Gortani è appena usci­to... - Non state a preparare il caffè, perché la si­gnorina non lo gradisce. - Ecco fatto. - Nessun in­vitato né a colazione né a pranzo. Dunque, prov­vedere e apparecchiare per me solo. Allegria! Mez­zo pollo stamani e mezzo stasera: ce ne avanza. (Aspro)  Ma che sia pollo pollo: non cane o gatto o topo come sabato scorso. (Raddolcito)  La bim­ba? come sta la bimba?

LA CUOCA     (sorride contenta)  Va meglio, grazie. È senza febbre.

MATTEO        Ve lo avevo detto ieri che non era il ca­so di spaventarsi? Vecchia sapienza: i bimbi pre­sto si ammalano e pres... (Un orologio suona le undici. Matteo si interrompe e dice energico) 

Via!

(La cuoca esce. Matteo batte le mani, canticchia)

"Ah, ah, ah - l'amore così fa  l'amore se ne va".

(Suonano alla porta.) 

Tac: al cronometro.

LA CUOCA     (rientra)  È la signorina, la signorina Luce.

MATTEO        (soddisfatto)  Vede, la puntualità? Venga avanti la signorina.

(La cuoca dà il passo a Luce, e sta per uscire. Matteo la ferina di lontano.) 

Un momento!  (A Luce)  Sì o no il caffè?

LUCE             No, grazie.

MATTEO        (alla cuoca, soddisfatto)  Ve l'avevo det­to? (La congeda.)  Via!

LUCE             (si leva il cappello, e lo depone con la bor­setta sopra il tavolino di fondo, dà una scossa ai capelli corti. È semplice ma elegante)  Buongior­no, cavaliere.

MATTEO        (brusco)  Buongiorno, ma non mi dica cavaliere. Lo sa che non gradisco: non me lo fac­cia ripetere ancora una volta.

LUCE             E come la devo chiamare?

MATTEO        Signor Aldrovandi, signor Matteo... tut­to, meno che cavaliere. Sono troppo vecchio per così poco. Arrembato anche nelle onorificenze, mi son fermato sul primo scalino.

LUCE             Come vuole lei.

MATTEO        Segga. (Ma Luce non siede ancora.)  E non badi né alle parole né al tono. Ho dormito male. Cioè, ho sognato. Segga. (Luce siede.)  E a me non piacciono né gli intingoli né i contorni. Lesso? lesso. Arrosto? arrosto. Sonno? sonno. E basta. Stanotte nel sogno c'è entrata anche lei.

(Un brevissimo "Oh!" di Luce.) 

Ma sì! (Ora sorride.)  Non s'inorgoglisca: semplice comparsa o po­co più. Diciamo figurante. Sicuro: nel sogno io le domandavo chi sa che cosa, e lei, non so se a pro­posito o a sproposito - rida -, prima alzava una gamba, poi l'altra. (Scuote la testa.)  Io dico!

LUCE             (sta allo scherzo)    Bel modo di sognarmi...

MATTEO        Preciso: le gambe erano coperte. Anche nel sogno. Gambe... in abito da passeggio. . È fred­do fuori?

LUCE             Non posso dire, perché non ci ho badato.

MATTEO        Nemmeno lei. Sì, perché ho domandato anche a Gortani e... (Si interrompe.)  Un momen­to, prima che mi dimentichi. Oggi finisce il mese da che lei, signorina - signorina Luce - come devo dire? - mi fa da segretaria? Anche - da lettrice? Anche - mi fa compagnia? Anche. Diremo "si di­sturba ogni giorno per me". Parlo bene? - Il pe­riodo di prova è terminato con soddisfazione, ose­rei sperare, reciproca. Assoluta da parte mia. La sua presenza per me, che sono oramai solo qui dentro, per tante ore della giornata, è uno svago, un ristoro: è, diciamo, l'oasi nel deserto. - Parlo proprio bene. - E dunque, per darle una piccolis­sima prova del mio gradimento, (trae di sotto al pressacarte l'assegno)  al compenso stabilito ho creduto di dovere aggiungere... vedrà lei. (E por­ge l'assegno.)

LUCE             La ringrazio, ma poiché si era stabilito pri­ma... Non è il caso.

MATTEO        Andiamo, non si faccia anche pregare: ci comprerà un ninnolo per sé, per una persona che le sia cara. Lei ha la mamma, vero?, e dunque...

LUCE             Va bene, non insisto. (Prende l'assegno, si alza e va a chiuderlo nella borsetta.)

MATTEO        Brava. E spero di ripetere e magari ag­giungere molte altre volte ancora. - Ecco fatto.

LUCE             (dal tavolino) Non ha da dettarmi nulla, oggi?

MATTEO        (tra serio e scherzoso) Nemmeno le mie ultime volontà.

LUCE             Allora si legge?

MATTEO        Si legge. Legge lei. Siamo arrivati mol­to avanti, mi pare.

LUCE             All'ultimo capitolo. Oggi si finisce. (E mo­stra il volume che ha preso in mano.)

MATTEO        Vuol dire che mi consiglierà lei o, me­glio ancora, sceglierà lei per me un qualche altro libro piacevole.

LUCE             Stavo per portargliene uno che mi pare mol­to grazioso: fra la storia e il romanzo. Ma all'ul­timo momento, distratta, l'ho lasciato all'albergo.

MATTEO        Oh, senti senti... Lei sta ancora all'al­bergo?                  

LUCE             (che si è riseduta alla scrivania)   Sissignore.

MATTEO        Ancora sulle spese all'albergo? Ma scu­si, non per farle i conti addosso, le conviene?

LUCE             Non mi conviene.

MATTEO        Perché non ha preso, invece, una came­ra, non si è trovata una pensione?

LUCE             Perché fin qui si trattava di una prova, per lei e per me. Dunque un mese. E forse nemme­no un mese: poteva essere una settimana, tre gior­ni... Certamente: se io non fossi piaciuta a lei, o lei non fosse piaciuto a me.

MATTEO        (leggero di tono)   Oh oh!

LUCE             Senza dubbio. Il suo annuncio nel giornale diceva: (chiude gli occhi, quasi leggesse) "Cercasi giovane signora o signorina disposta trattenersi due ore per giorno come segretaria lettrice..."

MATTEO        Lo ha imparato a memoria?

LUCE             (senza interrompersi accenna di sì) "Pre­sentarsi di persona". E venni di persona. Ma era scritto nei patti, e lei me lo ripeté a voce, anche il mese di prova, sicché non mi conveniva fissare una camera o una pensione prima della conferma.

MATTEO        Va bene: da parte mia, ha sentito, la con­ferma è venuta esplicita adesso. E da parte sua?

(Luce tace. Matteo domanda incredulo)

Ci sono delle difficoltà?

LUCE             Poi: glielo dirò poi. (Batte sul libro.) Quan­do avremo finito di leggere qui.

MATTEO        (stupito)   Non me lo può dire adesso?

LUCE             Prima di andarmene, glielo prometto.

MATTEO        (non capisce) Bah! (Poi, come se tro­vasse la spiegazione) Capisco, lei non è di Milano, non ha parenti qui a Milano... Io, ripeto, non ho alcun diritto di entrare nei fatti suoi.

(Luce accenna di no col capo.)

Ma dico, se lei non può contare che sul mio assegno... Sì, su quel poco che io le dò, capisco che...

LUCE             Farò anche dell'altro.                                                                                         

MATTEO        Ah! ecco.

LUCE             Sono una brava dattilografa, svelta.

MATTEO        Non ne dubito. E ha già trovato?

LUCE             Non ho cercato, finora.

MATTEO        No? - Ah già! se questo incarico da me era provvisorio... Prima di combinare anche con altri... (Si interrompe.) Ora che son fuori degli affari, non avvicino molte persone, ma conosco gente... Sì, in Borsa, nel campo bancario, ero qual­cuno, e quindi potrei aiutarla nella ricerca, se crede...

LUCE             Dopo, ne parliamo dopo. (Apre il volume.) Si ricorda, Malvina ha detto: "Io non voglio che tu mi segua: tu non devi legare il mio al tuo de­stino"... Romanzo all'antica, sentimenti all'anti­ca... (Si accinge a riprender la lettura.)

MATTEO        Che bella voce, la sua! Calda, timbrata, voce da teatro. E io me ne intendo, perché una volta cantavo. Dilettante, sa... - Lei non ha mai cantato?

LUCE             Io no. Mia madre, una volta, cantava. (E chiude il libro.)

MATTEO        Ah ecco! E forse le avrà insegnato lei a leggere, la mamma.

(Luce accenna di sì.)

Ecco fatto. Sicuro: quando io ero giovane mi facevo sentire nei salotti e mi applaudivano. Ho canta­to anche in teatro, ma di rado, per qualche straor­dinaria occasione, per beneficenza: e non faccio per dire, sì, ce n'erano dei peggio di me. Avevo una bella vocetta di tenore leggero, aggiunga un po' di grazia...

(Luce lo fissa, lo fissa.)

Romanze, sa: Elisir d'amore, Don Pasquale, Barbiere, repertorio vecchio, romantico. Gusti di allora. (Sospi­ra.) Ah! lei non può credere l'effetto che mi fa a ripensare: "Io, proprio io ho cantato! Io che filavo la nota... Io che sospiravo...". Mah! roba, quando ci torno con la mente... (S'interrompe.) Perché mi guarda a quel modo?

LUCE             A che modo?

MATTEO        Scava, scava. Ho capito: cerca nel vec­chio rugoso di adesso...

LUCE             Rugoso poi no.

MATTEO        Vecchio sì.

LUCE              A momenti:  in questo minuto no.

MATTEO        Comunque lei cerca sulla mia faccia e nella mia voce, e non li trova, i vezzi spenti di Lindoro e di Nemorino.

LUCE             (pare che si decida a parlare) Senta piut­tosto, io le vorrei chiedere... No, le dirò poi.

MATTEO        Ma quante cose ha da dirmi lei, oggi! Dovrebbe fermarsi a colazione con me. Starà ma­le, perché c'è poca roba, ma posso anche provvede­re al rinforzo. Mando giù la cuoca... ecco fatto. (E sta per suonare.)

LUCE             (gli ferma la mano) Dopo, vedremo dopo. Dunque, lei cantava. Con molto successo.

MATTEO        Non le folle in delirio. Successo mon­dano, di salotto.

LUCE             (seria, lenta)  I cuori, toccava i cuori.

MATTEO        "I cuori, i cuori...": così al plurale e in­determinato, passo ai suoi occhi come un ridicolo vanesio.   "I cuori..."; sì, una signora straniera... complice il bel canto italiano... Oh Dio! avventure di passaggio... Bisogna pensarmi tanti anni fa... quando lei non era nata.  Quanti anni ha lei?

LUCE             Ventisette.

MATTEO        Tanti? Ossia pochi, ma credevo anche meno.

LUCE             Io ventisette - e lei sessantuno.

MATTEO        Per... indovinato. O gliel'hanno detto?

LUCE             L'ho sempre saputo.

MATTEO        L'ha sempre... (Sorride.)  Oh guarda, glie­l'hanno insegnato a scuola? Non credevo di esse­re un personaggio storico.

LUCE             No, no - volevo dire che non lo so da oggi: lo so da quando lessi l'avviso.

MATTEO        (scherzoso)  "Cercasi giovane signora o signorina disposta..."

LUCE             Precisamente. Poiché nella richiesta erano stampati nome, cognome, indirizzo del richieden­te, il meno che potessi fare, e feci, era cercar di conoscere le altre generalità: luogo e data di na­scita, professione, stato di famiglia... Lei ha com­piuto sessantun'anni il 17 agosto.

MATTEO        (sorride)  Esatto: e una volta che l'ha sa­puto, non l'ha più dimenticato.

LUCE             (fredda, ormai quasi immobile)  Perché ho buona memoria.

MATTEO        Me n'ero già accorto: attenta, memore e puntuale. Tac! scoccano le undici, battono anco­ra, e lei ogni giorno suona alla mia porta. Ma anch'io, sa, nel mio piccolo, per i miei affari ero come lei: esigevo e mantenevo la massima pun­tualità. Virtù necessarie, di prim'ordine per una intelligenza che non sia di prim'ordine... Parlo del­la mia.

LUCE             (tranquilla, ferma, come seguitando)  Lei è nato a Modena in via Emilia 48 il 17 agosto: pio­veva a rovescio. A un tratto d'improvviso scoppiò un fulmine, e sua madre...

MATTEO        (balza in piedi)  Lei come sa questo? Que­sto non è detto nei fogli dello Stato civile! Come lo sa?

LUCE             Lo so.

MATTEO        Come lo sa? Me lo deve dire.

LUCE             Lo so. Lei non si turbi e non si spaventi. Stamani mi sono impegnata mentalmente con me stessa: "Oggi glielo dico", e son qui a mantenere l'impegno. Per ora si contenti di una semplice in­formazione: sì, è una notizia che può avere la sua importanza per lei e per me. (Sempre tranquilla ma lenta, quasi sillabando)  Io sono la sua figliola.

MATTEO        Che dice? Lei è pazza! Io non ho mai avuto figli.

LUCE             Resti calmo, cavaliere, calmo. E si assicuri che io non sono qui per rivendicare diritti o per tentare ricatti. No, no: soltanto perché sappia e si regoli come crede. Se vuole che io seguiti, segui­to; se preferisce che mi fermi per oggi, o non se ne parli più, chiudo la bocca, e silenzio con tutti. Come vuol lei. Io, per scrupolo di coscienza, della mia coscienza, ho detto quello che dovevo: mi ba­sta. (Brevissimo silenzio.)  Posso cominciar la lettura?

MATTEO        (allunga il braccio e toglie brusco il li­bro di mano a Luce)  Non facciamo buffonate, via il libro e parli: sentiamo cosa m'inventa, ades­so. Io non ho mai avuto figlioli.

LUCE             (calma)  Lei ha deciso: preferisce che vada avanti e completi l'informazione. Benissimo: pro­cederò per accenni e per gradi, e poi occorrendo darò le prove assolute.

MATTEO        (scuote il capo, dolente più che adirato)  È pazza, è pazza!

LUCE             Lei, cavaliere... (Si corregge.)  Ah, scusi... lei, signor Aldrovandi  va bene così? -, ventotto anni fa, d'autunno, a Bologna, era abbonato al Tea­tro Comunale per la stagione d'opera, poltrona di seconda fila numero dodici. (Si ferma.)  Ha tro­vato il millesimo? Si ricorda? Ci si ritrova?

MATTEO        (fra turbato e seccato)  Poltrona dodici o tredici o quattordici...

LUCE             No: dodici, non mi sbaglio.

MATTEO        (con un parlare tutto spezzato a incisi, balzi e ritorni)  Sì, ammetto: ero abbonato. Pol­trona dodici, quattordici, quello che vuole lei, am­mettiamo, e poi? Questo che dimostra, che signifi­ca? Che ci ha che fare con la sua invenzione? Do­ve vuole arrivare?... Ammettiamo, ammetto senz'altro. Anche la data: ventotto anni fa. Tutto co­me vuole lei. Sono stato abbonato per tanti anni di seguito perché il teatro di musica, l'opera liri­ca era la mia passione. Ma questo...? Forse... Ma sì, deve èssere così: sua madre... o lei nella sua smania di chiedere d'informarsi - lo ha confes­sato adesso - ha domandato... o ha saputo da qual­che persona... Ma non posso immaginare chi... Me lo dirà lei. Eh, sì, cara signorina, me lo deve dire.

LUCE             Certo che glielo dirò, dirò tutto. E vede co­me sono tranquilla, io? non ho l'aspetto o il con­tegno di una allucinata. E dunque stia tranquillo anche lei, che non corre nessun pericolo. È vero che io so di lei da parecchi anni, mentre lei sa di me soltanto da pochi minuti, e questo spiega il no­stro differente stato d'animo, ma...

(S'interrompe. Prima lenta, man mano si anima e accelera, ma senza collera.) 

Per l'esattezza che piace tanto a lei quanto a me, io so da quando mia madre -mamma - giudicò che fosse opportuno, doveroso, dirmi che avevo un padre anch'io, né peggiore né migliore della media comune degli uomini, e che questo padre che io non avevo mai conosciuto era libero e vivo. Questo soprattutto: che era vivo. E quel giorno, pacata, placata - sentirà poi - mia ma­dre mi disse senza lacrime: "Papà tuo si chiama Matteo Aldrovandi ed è agente di cambio a Milano".

MATTEO        (sbalordito)  Ma come? Sua madre le disse?...

LUCE             (prosegue senza badargli)  Da quel giorno un suo ritratto giovanile, che era rimasto chiuso in una scatoletta misteriosa per me fino allora, da quel giorno il ritratto è sul cassettone di camera nostra... Perché mamma ed io abbiamo sempre dor­mito nella medesima camera. Tutte le mattine, fino a che io sono venuta qui a Milano da lei - è un mese: ieri è stato un mese - io, appena balza­ta dal letto, davo un'occhiata a quel ritratto e mi soffermavo un momento per dirgli: (gentile)  "Buongiorno, papà". Mamma avrebbe voluto che ora io me lo portassi dietro. "No, perché? Tu, tienlo tu. Tanto io lo vedrò di persona ogni giorno". È un ritratto di allora, di quando... Lei è in abito da sera: marsina, guanti bianchi, fiore all'occhiel­lo, baffi arricciati.  Era un bell'uomo, lei.

MATTEO        (ansioso)    Tua madre, dunque... Vai avanti!

LUCE             (si raccomanda con gentilezza)  No, guardi, non mi dia del tu. Né lei a me, né io a lei: lei non è ancora del tutto persuaso, io non so ancora nulla di definito: se questa sua paternità l'ammet­te, se, anche ammessa, vuol tenerla chiusa per sé. - È meglio, almeno per ora, rimanere nei rappor­ti consueti. Se lei non crede, o trova più conve­niente non credere, lei frena i suoi palpiti, io fre­no i miei. Ventisette anni che andiamo avanti co­sì: si può seguitare, no?

MATTEO        Ma il nome, il nome di sua madre?...

LUCE             Il nome vero, quello che io porto, che le ho detto quando sono venuta da lei: Maria Luisa Bermani. (Il nome non dice nulla a Matteo.)  Il nome d'arte, quel solo che lei ha conosciuto allora, quan­do mamma cantava al Comunale di Bologna... Malù Capuleti.

MATTEO        (crede e non crede)  No!... Malù... Malù Capuleti tua ma... E non ne ho saputo più nulla! Rinasce, rivive... come, come...? Ma è una riappa­rizione, una risurrezione!

LUCE             Dica pure: "è un fantasma", perché da quel tempo è sparita. E lei - ecco, le spiego - l'ha fat­ta sparire.

MATTEO        (quasi fosse un'accusa, la respinge)  Io? io?  (A mezza voce, perché è tutto il passato che ritorna)  Malù... la mia cara Malù... bionda... sottile.

LUCE             Bionda non più: appena qualche filo, una ciocca. La voce sì, sempre quella, fresca e ven­tenne. Il resto... troppo dolore.

MATTEO        E sarei stato io a procurarlo?  Io che... No, no. Fu lei che disparve. Lei. Come se io fossi morto.

LUCE             (lo tronca a mezzo)  Silenzio. Questa sì, è storia e sa di fiaba. Lei chiuda gli occhi. E silen­zio. Vuol sapere?

MATTEO        Questa è la sua voce... è la sua voce!

LUCE             Silenzio. Devo raccontare la fiaba? Sì, ecco­la qua la fiaba che è storia: - C'era una volta una bimba nata per cantare. I suoi parenti, gente pra­tica e solida, non avrebbero voluto che si espones­se alla vista e al giudizio di tanta gente a lei igno­ta, raccolta nei teatri apposta per sentir lei, che girasse come una zingara per il mondo... ma come si fa? Quando si è nati per cantare si canta. E la bimba non appena fu donna e maggiorenne si pre­se un altro nome poiché ì suoi non volevano che portasse il suo vero, perché era anche il loro, e cantò, cantò, cantò... Tutti la guardavano perché era anche bella, ma lei non vedeva nessuno, non si accorgeva di nessuno finché una volta capitò a Bologna - per cantare - e vi conobbe un uomo più anziano di lei ma non troppo, che era come uno della sua vecchia famiglia perché uomo di affari, e un po' uno della sua famiglia nuova perché can­tava anche lui. E i due si amarono. Tanto si amarono.

MATTEO        Sì,  Luce,  molto, molto, ti giuro!

LUCE             Poi, lei dové partire, andar fuori d'Italia per­ché aveva firmato i contratti. E i due si scrissero tante cose, tante belle cose, tante dolcissime co­se: "Io penso a te. Soltanto a te. Io non sogno che te. Tu sola per me...". Verità e bugie di cui è sem­pre intessuto l'amore. Ma un giorno lei ebbe, con un battito piccolino, la conferma di quello che era stato un sospetto... una paura e una speranza. Ero io... io che mi annunziavo. E fu un'altra don­na, trasfigurata da quell'annunzio. Ruppe ogni trattativa, disciolse ogni impegno di scrittura, la­sciò il teatro ed il canto, tornò in Italia e corse a Bologna alla casa del suo bene, sicura di lui, che ancora non sapeva, in quanto gli aveva taciuto, volutamente, sino all'ora della certezza. Ora sì, pote­va dirgli che il loro amore si era fatto sangue, carne... sangue, carne che era di loro due e non poteva essere che di loro due. - Che accadde? Che mammà - sente con quanto orgoglio lo dico  mammà non volle annunziarsi o farsi annunziare. Per gustare la gioia della sorpresa, dell'imprevisto, ar­rivò di sera, tardi, una bella sera di maggio, e at­tese alla porta di quella casa. E vide... non vista, il suo uomo: "io non sogno che te, tu sola per me" che apriva il portone, lo richiudeva, saliva le scale tenendosi sempre a braccio una donna, che era poi la straniera... quella straniera. (Ha cambiato voce e atteggiamento.)  Se le occorre il nome, posso dire anche il nome.

MATTEO        (con un grido)    No, Luce, no!

LUCE             Vede? Offesa, beffata, straziata, scomparve e non tornò più, non cantò più; si rinchiuse nel suo silenzio e nella sua casa. I suoi erano ricchi, la ribelle tornava sottomessa... la perdonarono. Mammà da allora non visse più che di me, della sua bimba che chiamò Luce; luce, la sua luce, la sola luce. - L'arte, i sogni, le vanità, la gioia del canto, tutto spento, tutto giù. Su, in alto, io: la sua bimba, il suo tesoro. Tesoro suo, tutto suo, esclusivo perché non lo volle dividere con colui che ormai le pareva indegno di averlo. - Sensibi­lità morbosa, reazione eccessiva, smisurata, fol­le? • Tutte le donne  tutte le mamme specialmen­te - sono un poco folli: lei un po' di più perché era un'artista. . Più tardi, molto più tardi, quando... mi disse, mi domandò incerta, esitante: "Lu­ce, vuoi che tentiamo? che provi?" "No, mamma, perché? stiamo tanto bene così, noi due sole." Era vero.

MATTEO        Ah sì? io sono l'intruso, l'indegno - io che non immaginavo, che non potevo sapere e non sapevo... E perché oggi a un tratto hai parlato?

LUCE             No, a un tratto no. La tentazione già na­scosta era sgusciata fuori e si impose per quel giornale con quell'annunzio che pareva un invi­to... Il nome, il cognome, l'indirizzo, la richiesta di una giovane lettrice. "Ora o mai più." Sono venu­ta a conoscere mio padre. Anche io, in qualche modo, a vedere senza esser vista.

MATTEO        E sia. Ma dimmi ora questo: perché non hai parlato fino dal primo giorno?

LUCE             (con la sfumatura di un triste sorriso)  Per­ché noi due - lei e io - dovevamo passare un esa­me tutti e due prima di essere ammessi; io da lei, lei da me. Lo diceva anche l'annunzio: un mese di prova. Lei poteva essere, scusi, un dimentico o un rancoroso, o anche peggio... e allora? - Si di­ce: "Ma una figlia non deve mai giudicare suo pa­dre". È vero, ma io (triste)  finora sono così poco sua figlia! - Però oggi, dopo un mese, posso rispon­dere, sicura, a una domanda che mi ero fatta: "Ve­di? sono quasi vecchi, un po' logori, un po' soli, lui, lui specialmente: non faresti il loro bene?... Non ti piacerebbe riavvicinarli, vedere le loro mani confondersi... e tu, tu in mezzo...".

(La com­mozione la prende d'un tratto alla gola, dà in un grande scoppio di pianto e si abbatte sulla scrivania.)

MATTEO        (balza in piedi, gira la scrivania, va in­contro alla figlia, le cinge la vita, le parla dietro le spalle, la invoca)  Luce... Luce... Luce anche mia, anche per me. Calmati: hai troppo preteso dalle tue forze... Tranquilla... Come dicevi tu a me or ora... tranquilla... Se ancora si può, sarei tanto contento! Magari, magari riallacciarmi a un passato così lontano e così bello.. Con un filo nuovo - tu il filo - rifare il nodo. - Ma lei... che di­rà la mamma di tutto questo? (E attende timido, col viso ansioso.)

LUCE             (ora si è placata, si asciuga gli occhi, la voce si è rifatta dolce)  Sentiamo subito: mammà è qui con me da ieri, all'albergo.

MATTEO        È con te?

LUCE             Sì, l'ho voluta io - così  perché ho sentito che era bene che ci fosse. (Lo guarda ora rispet­tosa e timida negli occhi.)  Se io avessi sbagliato, saremmo andate via insieme e qui non sarei tor­nata mai più. (Sorride felice.)  Ma non ho sbaglia­to. (Ha messo una mano sull'apparecchio telefo­nico.)  Albergo Italia?... Il portiere?... Bravo: mi dia la camera 56... (E aspetta. A Matteo)  È così sem­plice!... (Parla all'apparecchio con voce grave, commossa)  Mamma, sei tu?... Sì, cara, ho parlato... Papà... (lo guarda)  è contento: tu sei contenta? (Si volge a Matteo sorridendo.)  Ha detto di sì. (Gli porge il microfono.)  Le vuoi parlare tu?

MATTEO        (fa un passo, è all'apparecchio, sorride, balbetta, poi più chiaro)  Malù... Malù... Senti, Malù...

LUCE             (che gli è dietro, accenna a sfiorargli i capelli con la mano, poi china il capo su di lui, lo bacia leggermente sulla nuca, sul collo).

F I N E