L’ultima avventura

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L’ULTIMA AVVENTURA

Commedia in tre atti

Di SANDRO MARAI

Versione in italiano di Mario de Vellis

PERSONAGGI

IL PROFESSOR PIETRO KADAR

ANNA, sua moglie

LA DOTT.SSA ERNESTINA PALOS

IL DOTTOR ZOLTAN, assistente di Pietro

IL DOTTOR SZEKERES

UN GIORNALISTA

ELISABETTA

UN CAMERIERE

UNA CAMERIERA

A Budapest, oggi. Nello studio del professor kadar, in un pomeriggio

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Scena fissa: la sala nella quale il professore Pietro Kadar riceve i suoi ammalati, arredata con lusso un po' vistoso. Caminetto, scaffali con libri, grande scrivania, una ottomana, sedie a braccioli: tutto è ricco e fastoso. Al fon­do ampia finestra che dà su un giardino e dalla quale si scorgono alberi da frutta fio­riti. Primavera. A destra due porte che comu­nicano una con la saia d'aspetto e V alti a con la sala da pranzo. A sinistra una porta dalla quale si accede al laboratorio ed una porticina tappezzata che comunica con lo spogliatoio nel quale è anche il lavabo. L'ambiente, più che un gabinetto medico, sembra uno studio-sa­lotto; soltanto l’apparecchio Roentgen situato al fondo, ed una vetrina coi ferri, rivelano che qui si ricevono anche gli ammalati. Piante fio­rite e molti fiori nei vasi.

Ernestina                       - (ha 38 anni. Un viso molto intel­ligente; non è bella, ma nemmeno brutta. Tutto in lei denota un carattere forte e un temperamento passionale. Ha in mano un quadèrno e detta) Scrivete, per favore... Il­lustre professore Gesa Beke, vi comunico i dati dell'analisi: globuli rossi quattro mi­lioni 200 mila, pigmenti 1,01, globuli bian­chi 6.200... (Il telefono squilla) Pronti... Sì, studio del professor Kadar... No, parla la dottoressa Palos... Impossibile! Domani?... (Ad Elisabetta) Datemi l'agenda... (Annota con una matita nell' agenda) Domani nel po­meriggio., alle cinque, va bene? (Riattacca e mette a posto l'agenda sulla scrivania) Di­cevamo... globuli bianchi...?

Elisabetta                      - 6.200...

Ernestina                       - Me lo darete poi per la firma. L'indirizzo è: Via Dellibab 30. Avete se­gnato per domani il consulto Darvas?

Elisabetta                      - H dottor Zoltan ha telefonato che il consulto è stato rimandato.

Ernestina                       - Rimandato? Perché ?

Elisabetta                      - Ha detto soltanto di non aver tempo.

Ernestina                       - Non ha tempo! Da quanti anni lavorate con noi, Elisabetta?

Elisabetta                      - Da cinque anni, dottoressa.

Ernestina                       - Siete venuta quasi insieme col dottor Zoltan... Vi siete accorta anche voi che il dottor Zoltan è cambiato?

Elisabetta                      - Che intendete dire, dottoressa?

Ernestina                       - Fa i capricci... rimanda gli ap­puntamenti. ..

Elisabetta                      - Ha tanto da fare! È l'unica cosa di cui mi sono accorta...

Ernestina                       - Se non vi siete accorta di altro, ragazza mia... (Cava dalla borsetta lo spec­chietto, la cipria e il rossetto e si fa il viso) Sono le due passate... alle quattro comince­ranno le visite e non hanno ancora fatto co­lazione.

Elisabetta                      - Pare che la festa all'Università si prolunghi...

Ernestina                       - Sono intervenuti tutti, perfino il Ministro. (Ad un tratto, turbata) Sentite,. Elisabetta, prima che gli altri tornino, vor­rei domandarvi qualche cosa. Siete capace di tacere?

Elisabetta                      - Sapete che so tacere!

Ernestina                       - Mi fido di voi. Sapete benissimo che tra me e il dottor Zoltan esistevano certi rapporti...

Elisabetta                      - Non lo so benissimo, ma lo so.

Ernestina                       - Insomma, lo sapete... L'unica persona in questa casa che lo ignora, è forse il professore. Credo che neanche per un estra­neo dovesse essere uno spettacolo molto se­reno...

Elisabetta                      - Penso che l'amore degli altri non sia mai uno spettacolo sereno per un'anima solitaria. Però c'è stato un tempo in cui vi ho vista calma e felice.

Ernestina                       - Felice? Forse, per qualche mo­mento... Ma calma, mai! Dunque... voi sa­pete tutto di noi due?

Elisabetta                      - So' soltanto quello che non pos­so fare a meno di sapere. In questa casa tutti sono sempre stati molto buoni con me, e io ho deciso di ricambiare tanta bontà col silenzio e con la discrezione..

Ernestina                       - Credete che la moglie del profes­sore sia informata... di quello che c'è tra noi?

Elisabetta                      - Le donne sanno molte cose an­che se non ne hanno le prove.

Ernestina                       - La signora Anna è interamente assorbita dagli obblighi mondani; non ha tempo di occuparsi d'altro, e comunque non avrei potuto chiedere il suo consenso quando la nostra... come si dice?... la nostra rela­zione è cominciata. Avete detto che c'è stato un tempo in. cui mi avete vista calma e felice.:.

Elisabetta                      - Cosi mi è sembrato.

Ernestina                       - No, felice non sono stata mai. Ero troppo preoccupata: non sapevo se ave­vo il diritto di accettare dalla vita un regalo così grande!

Elisabetta                      - Perché non ne avreste avuto il diritto?

Ernestina                       - Perché non sono bella e ho tre anni di più dell'uomo che amo.

Elisabetta                      - Cinque anni fa nessuno lo avreb­be creduto.

Ernestina                       - Grazie per la vostra sincerità. Non dovete però fraintendermi: non è una innamorata delusa che discorre con voi. Non accuso nemmeno l'uomo che amo e che una volta mi amava. Perché , anche voi, non è vero?... credete che una volta mi amasse?

Elisabetta                      - (con convinzione) Ne sono con­vinta, dottoressa!

Ernestina                       - Vi ringrazio molto per ciò che mi dite. (Le si avvicina, le prende la testa tra le mani e la bacia sulle due guance) Vedete? ...qualche volta anche un vecchio cammello come me si commuove. (Indicando con un gesto la stanza) Vado peregrinano inquesto deserto e di tanto in tanto mi piace di constatare che la mia vita ha avuto un certo significato, un contenuto. So' bene che quell'uomo mi ha tradita durante questi cinque anni... ma mi avete mai vista soffrire di gelosia?

Elisabetta                      - Veduta, mai... piuttosto ho in­tuito...

Ernestina                       - Per qualche tempo ho anche cre­duto sul serio che avremmo potuto sposarci. Oggi mi vergogno perfino di averlo pensato. Ma ora si tratta di altro. Voi giudicate con severità il dottor Zoltan...

Elisabetta                      - (fredda) Non ho nessun diritto di giudicare gli assistenti del professore! (Con uno sfogo) Io qui non sono nulla e nessuno! I miei anni di liceo sono stati sprecati! Sono poco più di una domestica istruita che deve badare alle pentole in un laboratorio invece che in una cucina. In tutto questo una sola cosa mi interessa.

Ernestina                       - Oh con quanta passione parlate! Che cosa vi interessa, dunque?

Elisabetta                      - Qui, cara dottoressa, ho ritro­vato la pace dell'anima. In questa casa ho il mio pane e una vita degna di un essere umano. Io dunque non ho problemi femmi­nili da risolvere, cara dottoressa! Però ho conosciuto un sentimento che mi soddisfa pienamente: la gratitudine.

Ernestina                       - Temete per la pace del professore?

Elisabetta                      - Non temo altro! Pare che senza sentimenti non si possa vivere... Guardate: non sono una ragazzina esaltata e neanche una dattilografa innamorata del suo princi­pale; ma stimo il professore, gli voglio bene. E perciò vi dico: prima di fare qualsiasi cosa, pensate alla tranquillità spirituale del nostro professore.

Ernestina                       - Perché credete che ciò che mi strugge possa turbarla?

Elisabetta                      - (un po' imbarazzata) Perché tut­to quello che accade qui ha un'immensa im­portanza per lui. Ha due assistenti che sti­ma: voi e il dottor Zoltan. Se queste due persone si dividono, il lavoro ne sarà tur­bato.

Ernestina                       - State tranquilla: sarò l'ultima per­sona che turberà la pace e il lavoro del pro­fessore. Dovete capirmi: non sono preoccu­pata perché una nuova donna è apparsa all'orizzonte... a questo sono abituata, anzi mi sono rassegnata. Ma ora sento che ac­cade qualche cosa di nuovo in lui, come se si accingesse a prendere una grande decisio­ne. Non avete notato nulla di particolare?

Elisabetta                      - (imbarazzata) Di particolare? No... Potrei anzi dire che non ho notato nulla di nuovo.

Ernestina                       - Non lo sapete, o non lo volete dire?

Elisabetta                      - Non ho nulla da dire.

Ernestina                       - Ho capito. È superfluo pregarvi di non parlare del nostro colloquio?

Elisabetta                      - È superfluo.

Ernestina                       - Ma se in seguito vedrete o senti­rete qualche cosa che potrebbe turbare la pace del professore... posso pregarvi di av­vertirmi?

Elisabetta                      - Ve lo prometto.

Ernestina                       - Ho fiducia che sarete mia alleata se tra queste mura dovesse accadere qualche cosa.

Elisabetta                      - Vi aiuterò in tutto per rispar­miare delusioni al professore.

Ernestina                       - È questo il vostro segreto?

Elisabetta                      - Questo e null'altro.

Ernestina                       - Grazie. Ed io terrò per me il mio segreto. Potete essere tranquilla. Quando bi­sognerà agire, non sarò né pusillanime né de­bole. (Altro tono) Sono arrivati altri tele­grammi?

Elisabetta                      - Suono per il cameriere... (Suona. Entra il cameriere. Elisabetta via).

Cameriere                      - (su un vassoio d'argento porta let­tere e telegrammi. Nell'altra mano ha un gran fascio di fiori) Desiderate, dottoressa?

Ernestina                       - Volevo appunto la posta... (Pren­de le lettere) Quei fiori metteteli sul caminet­to insieme con gli altri... (Il cameriere ese­guisce) È venuto qualcuno stamattina?

Cameriere                      - Vi sono due signori che aspettano in salotto. Uno è un giornalista e l'altro un medico. Ecco i loro biglietti da visita. (Li consegna).

Ernestina                       - (legge) Paolo Kardos del Corriere del Mezzogiorno... Dottor Szekeres... (Alza le spalle) È molto tempo che aspettano?

Cameriere                      - Circa mezz'ora.

Ernestina                       - (guarda i biglietti, scrolla di nuovo il capo) Fate passare il signor Kardos... (Cameriere via).

Kardos                          - (entra da destra. È un giovane ben vestito, distinto che si presenta correttamente e con aria disinvolta) Permettete... Paolo Kardos, redattore del Corriere del Mezzo­giorno.

Ernestina                       - Dottoressa Ernestina Palos. Desi­derate parlare col professore?

Kardos                          - Sì, se è possibile. Ho sentito che dovrebbe rientrare presto.

Ernestina                       - Potrei sapere di che si tratta?

Kardos                          - Vorrei intervistarlo.

Ernestina                       - I giornali di stamane hanno già parlato ampiamente della sua carriera. Il professore ha una grande stima della stampa ma non concede volentieri interviste.

Kardos                          - Lo so, lo so. Tutti dicono sempre così, ma poi tutti finiscono per lasciarsi in­tervistare. L'articolo di oggi, sul mio gior­nale, l'ho scritto io... (Consegna a Ernestina una copia del giornale) Vedete... qui è fo­tografato mentre il ministro gli stringe la mano...

Ernestina                       - Interessante. Ma è necessario pub­blicare un secondo articolo?

Kardos                          - Scusate... il professore è l'uomo del giorno. L'inaugurazione di una nuova Clini­ca è un avvenimento molto importante... e il pubblico desidera conoscere tutti i parti­colari.

Ernestina                       - Forse potrei rispondere anch'io alle vostre domande.

Kardos                          - Siete a parte delle sue ricerche?

Ernestina                       - Sono la sua collaboratrice e la sua segretaria.

Kardos                          - Allora posso dire anche a voi di che si tratta. Sfogliando delle vecchie collezioni di giornali, ho trovato per caso il nome del professore. Venticinque anni fa, due giovani medici, lui e... (Cerca nel suo taccuino) e un certo Szekeres, avrebbero trovato un nuo­vo metodo per l'analisi del sangue. Ne siete informata?

Ernestina                       - Il professore non me ne ha mai parlato.

Kardos                          - Venticinque anni fa tutti i giornali pubblicarono la notizia e le riviste mediche se ne occuparono ampiamente... Ma in se­guito, della cosa non si sentì più nulla. Ora che al professore è affidata la direzione della nuova Clinica, vorrei chiedergli qualche in­formazione della sua scoperta.

Ernestina                       - Non credo che il professore sareb­be propenso a rispondere alle vostre doman­de. Nel campo medico non si può parlare di scoperte. La scoperta è sempre un fatto sen­sazionale che risveglia le diffidenze. Nel campo mèdico non si fanno scoperte, ma con­statazioni. Credo che fareste meglio a non parlarne al professore.

Kardos                          - Ma è una cosa di interesse generale!

Ernestina                       - Se il professore non ha più ripar­lato di un'idea che venticinque anni fa oc­cupava la sua mente, avrà avuto le sue buo­ne ragioni.

 Kardos                         - Dunque, non sareste disposta a sot­toporre il mio questionario al professore?

Ernestina                       - No, scusate... conosco il profes­sore e conosco anche il mio dovere.

Ernestina                       - Non posso impedirvelo.

Kardos                          - Cercherò l'altro protagonista della sensazionale scoperta, il dottor... dottor... (Guarda il taccuino) Szekeres. Forse lui non avrà dimenticato un fatto così importante, messo poi a tacere.

Ernestina                       - Andate a trovarlo, andate...

Kardos                          - Buon giorno, dottoressa.

Ernestina                       - Piacere... (Kardos esce. Rimasta sola, guarda i biglietti da visita, suona, en­tra il Cameriere) Fate passare il dottor Sze­keres... (Il Cameriere esce. Entra Szekeres. È un uomo di 54 anni con gli occhiali e i capelli brizzolati. Appare incerto, ma cerca di nascondere la sua goffaggine con un con­tegno troppo risoluto. Indossa un vestito gri­gio che però non gli sta bene: è nuovo fiammante ma evidentemente è stato comperato bell’e fatto. Sotto il braccio sinistro stringe una borsa piena di carte).

Szekeres                        - Dottor Szekeres, da Szeged.

Ernestina                       - Dottoressa Ernestina Palos. Mi rincresce di avervi fatto aspettare.

Szekeres                        - Non fa nulla. Il mio treno non parte che alle 6. Spero che frattanto Pietro tornerà a casa.

Ernestina                       - Eravate amici col professore?

Szekeres                        - Abbiamo fatto insieme l'università. Anzi, per un certo tempo, abbiamo abitato nella stessa camera ammobiliata nel sobbor­go Giuseppe. E voi, dottoressa, è da molto che lavorate con lui?

Ernestina                       - Da quasi dieci anni. Ma per esse-. re sincera, soltanto oggi, per la prima volta, ho sentito il vostro nome.

Szekeres                        - Non c'è da meravigliarsi. Ad un certo punto ognuno di noi è andato per la sua strada.

Ernestina                       - Però, una volta, col professore, vi dedicaste a talune ricerche...

Szekeres                        - Ve ne ha parlato lui?

Ernestina                       - Mai... non vi ha neppure accen­nato. Ho letto qualche cosa nei giornali. La stampa in questi ultimi giorni si è occupata ampiamente del suo lavoro e del suo contri­buto alla scienza medica...

Szekeres                        - (mostrando vivo interesse) È molto interessante ciò che mi dite, cara collega. Difatti Pietro Kadar ed io, venticinque an­ni fa, lavorammo intorno ad un progetto comune. Credevo che ormai nessuno se ne ricordasse... Kadar ha sempre taciuto su questo argomento, non è vero?

Ernestina                       - Taciuto?... Direi piuttosto che non ne ha parlato. (Altro tono) Saprete cer­to che proprio stamane è stata inaugurata la nuova Clinica che sarà diretta dal pro­fessore. Non sarebbe meglio rimandare il vostro incontro ad un momento più op­portuno?

Szekeres                        - Devo ripartire oggi stesso. Se è possibile, preferirei aspettare.

Zoltan                           - (l'assistente, entra da sinistra. È un giovane di 35 anni) Buon giorno... (Si ac­corge di Szekeres) Scusatemi... credevo che foste sola.

Ernestina                       - È rientrato anche il professore?

Zoltan                           - Il professore mi ha chiesto di prece­derlo e di accompagnare la sua signora, ma sarà qui subito.

Ernestina                       - Non vi conoscete?... dottor Sze­keres compagno di scuola del professore, dot­tor Zoltan assistente del professare      (/ due si stringono la mano). Il professore sarà qui a momenti. Comunque riferirò il vostro desi­derio. Intanto se volete accomodarvi di là...

Szekeres                        - Certo, certo, volentieri. (Se-nza ma­lignità) Ho già aspettato venticinque anni per quest'incontro, posso aspettare ancora una mezz'oretta. (Esce).

Zoltan                           - Che vuole quello lì?... chi è?

Ernestina                       - Il solito ex compagno di scuola che viene fuori dal passato... Pretende di aver contribuito alla prime scoperte... (Bre­ve pausa. Altro tono) Erano in molti?

Zoltan                           - C'erano tutti. Il Ministro ha fatto un lungo discorso e il professore ha parlato ancora più a lungo. Vado in laboratorio. Oggi farò colazione qui. Prima però vorrei dare ancora un'occhiata alle mie note perché le più importanti le porterò via con me... per qualche giorno.

Ernestina                       - Le note rimangono qui.

Zoltan                           - Che significa questo tono?

Ernestina                       - (gli sta di fronte) Questo tono si­gnifica che non credo più alle tue parole. Sono sulla buona strada e presto saprò la verità. Significa che con le note vorresti por­tar via il frutto del nostro lavoro di cinque anni, e che io ti impedirò di farlo... significa che mi tradisci e che lo so.

Zoltan                           - Non sei mai stata gelosa in cinque anni... Che succede ora?... che cos'hai?

Ernestina                       - Ho sempre saputo tutto in que­sti cinque anni... ma tacevo perché ti ama­vo. Tacevo perché sentivo di dover fare qual­che sacrificio per tenerti... ma ormai non ho più il tempo di aspettare. Voglio sapere con chi mi tradisci.

Zoltan                           - Credi che sia proprio questo il mo­mento per una domanda così assurda?

Ernestina                       - Credo che sia proprio il momento giusto. Sento da due mesi crescere il peri­colo... sento che tutto quello,su cui ho pun­tato la vita, qualcuno vuole distruggerlo... e da due giorni lo so con certezza.

Zoltan                           - (spaventato) Non puoi saper nulla...

Ernestina                       - Non posso assistere senza aprir bocca alla rovina di tutta la nostra vita. Tu ti prepari a fuggire. Non negarlo! Oh come sei diventato pallido! È vero? Oseresti negare di aver già fatto il passaporto?

Zoltan                           - Hai forzato il cassetto della mia scri­vania?

Ernestina                       - Sì, l'ho forzato e ho fatto anche qualche altra cosa. Pensa ciò che vuoi... di­sprezzami... ma tanto facilmente non ti li­bererai di me. Chi è la donna? Rispondi!

Zoltan                           - Hai perduto la testa e sei cattiva.

Ernestina                       - Sono una donna che ti ha dato la sua pace e la sua felicità e che una volta si illudeva di poter essere tua moglie. So be­nissimo che non mi ami... non temere, non ti scongiuro di amarmi... sento che qualche cosa si è spezzato... e miracoli non ne ac­cadono. Ma non tollero che mi pianti in que­sto modo!

Zoltan                           - Sei completamente fuori strada. Ascoltami. Sì, è vero, devo partire...

Ernestina                       - Con una donna... confessalo. Ti prepari ad una fuga. Posso anche capirlo. In amore bisogna sempre pagare... come si può... con la moneta che si ha... Chi paga con la gioventù, chi paga con la intelligenza. Ma oggi io non posso più tacere, perché c'è qualcuno che vuol portarmi via una cosa senza la quale non sono capace di vivere...

Zoltan                           - Non sai ciò che dici! Qual'è la cosa senza la quale non puoi vivere?

Ernestina                       - La stima verso di te. C'è stato un tempo in cui mi sono ribellata dispera­tamente... In seguito mi sono educata alla rassegnazione. Mi bastava rimanerti vicina... non chiedevo altro. E per questo ho dato tutto. Non costringermi a fare i conti.

Zoltan                           - Sicuro che ti costringo. Facciamoli! C'è stato un tempo nel quale mi hai aiutato ed io non voglio restare tuo debitore.

Ernestina                       - Oh come sei magnanimo! Mi da­rai un assegno come liquidazione, non è vero? E te ne andrai per il mondo con un'altra, mentre io rimarrò qui col tuo as­segno... Ti sei figurato che le cose si sareb­bero svolte così, eh?

Zoltan                           - Nessuna mia parola ti dà il diritto di pensare che voglio liberarmi di te.

Ernestina                       - Mentisci di nuovo! Sono mesi che non mi hai dedicato un'ora. La tua vita è piena di misteri. Però mentisci non solo a me, ma anche al professore, all'unico uomo che si è sempre mostrato buono, altruista e generoso con te. Il mio vero dolore è di aver dato tutto ad un uomo che ha perduto il senso della dignità.

Zoltan                           - Basta su questo argomento! (Si av­via verso la porta) Quando ti sarai calmata discuteremo le condizioni della nostra sepa­razione.

Ernestina                       - Non te ne andare! Ti scongiuro per tutto ciò che hai di sacro nella vita, ti scongiuro di non andartene via così! Ho il presentimento che tu vada verso la tua ro­vina. Non desidero che salvarti.

Zoltan                           - Un giorno forse capirai. Non potevo fare diversamente e non sono quell'uomo in­degno che mi giudichi.

Ernestina                       - Allora agirò e ti aiuterò tuo mal­grado! (Pausa) Dirò tutto al professore.

Zoltan                           - Sei impulsiva ed ingiusta! Bada che mi difenderò con ogni mezzo!

Ernestina                       - Sei un debole... e sono costretta ad essere forte anche per te. Gli parlerò oggi stesso. (Durante questa battuta entrano il professor Kadar e Szekeres, seguiti dal ca­meriere. Kadar ha 54 anni, alto, snello, di aspetto quasi giovanile. Ha molta cura di sé. I capelli, lisciati all'indietro sono già briz­zolati. Sotto il soprabito indossa il tait. Ha in mano il cilindra. £ un uomo molto di­stinto con l'aria del gran signore. Il came­riere prende il suo soprabito ed il cilindro ed esce).

Kadar                            - Permettimi di presentarti i miei col­laboratori.

Szekeres                        - Ci siamo già presentati poco fa.

Kadar                            - Pregheremo la dottoressa ed il collega Zoltan di passare nel laboratorio dove certo avranno qualche cosa da fare. E mia moglie?

Zoltan                           - La signora si è ritirata nelle sue stanze e ha detto di avvertirla quando sa­reste tornato.

Kadar                            - Vi prego, dottoressa, telefonatele che sono rientrato e che le chiedo di avere an­cora un po' di pazienza. (A Zoltan) Oggi farete colazione con noi.

Zoltan                           - Grazie, professore. Come volete. (Er­nestina e Zoltan escono).

Kadar                            - Sono contento di rivederti proprio nel giorno in cui raggiungo la mèta. Hai letto nei giornali della mia nomina?

Szekeres                        - Dappertutto se ne parla.

Kadar                            - Venticinque anni fa... ti ricordi?... ci trovammo uno di fronte all'altro. Però si trattava di una battaglia di idee... un duel­lo duro, serrato, fra due uomini, due scien­ziati che difendono le proprie convinzioni.

Szekeres                        - Anch'io la penso allo stesso modo, e se vi è stata qualche asprezza, te l'ho per­donata.

Kadar                            - Suppongo però che non sia stato sol­tanto lo spirito del perdono a condurti da me. Tu vivi in provincia?

Szekeres                        - Sì, tra povera gente. E anch'io sono povero. Dunque, come vedi, non ho bi­sogno di nulla. Però sono contento che tu finalmente abbia avuto la giusta ricompensa del lavoro iniziato insieme venticinque anni fa. Io sono rimasto indietro lungo la strada... ma l'idea era mia.

Kadar                            - Mi parli con molta durezza, caro ami­co! Devi sapere che un'idea non ha nessun valore se non si può realizzare. Questo è l'importante. E del resto il successo è un fenomeno che dipende dall'insieme di molti elementi. Tu che vivi in solitudine non puoi saperlo... ma se credi che io sia tuo debi­tore, dimmi che cosa ti devo.

Szekeres                        - Non sono venuto a chiedere: sono venuto a dare.

Kadar                            - Se mi accusi, accusami chiaramente; se vuoi chiedere, chiedi francamente.

Szekeres                        - Credo di aver trovato quello che

cercavamo.

Kadar                            - (lo fissa, poi corre alla porta del labo­ratorio e la chiude) Parla più piano.

Szekeres                        - Non ho sufficiente materia clinica. Oggi non sono ancora in grado di provarlo, ma già da parecchi anni sono persuaso che avevo ragione io. La tesi era giusta: non è il segreto della malattia che bisogna svelare ma quello della perfetta salute. Il problema non è di sapere perché un individuo si am­mala: ma di sapere perché « non » si am­mala.

Kadar                            - La vita risponde alla tua domanda.

Szekeres                        - Allora... dobbiamo chiedere una ri­sposta anche alla scienza! Il processo della vita è un miracolo più grande della malattia e della dissoluzione.

Kadar                            - (crolla le spalle) La vita è breve; i ma­lati sono molti, sono impazienti e soffrono. Non m'intendo di miracoli!

Szekeres                        - Hai rinunziato alle ricerche?

Kadar                            - Un medico, finché vive, ricerca ed impara. Io non corro più dietro alle chimere!

Szekeres                        - Le chiami chimere, ora? Eppure, venticinque anni fa, credevamo fermamente che in quelle chimere si nascondesse il segreto della realtà!

Kadar                            - Chiamo chimera ogni desiderio che non si può tradurre in realtà.

Szekeres                        - (breve pausa. Altro tono. Indica la sud borsa) Qui dentro, nei miei quaderni, ho annotato tutte le osservazioni fatte du­rante un quarto di secolo! Ora tu hai una Clinica e hai degli ammalati; hai la possi­bilità di osservare e di sperimentare. Hai tempo. Non ti porto scoperte sensazionali. Il male del quale cercavamo il segreto non ha una profilassi particolare. Devi continua­re a lavorare col bisturi e coi raggi. Però devi tener conto anche delle mie osserva­zioni. In venticinque anni ho esaminato più di seicento ammalati,

Kadar                            - E a quali conclusioni sei giunto?

Szekeres                        - Bisogna mobilitare consapevolmen­te le forze della natura umana affinchè l'or­ganismo possa difendersi dal male.

Kadar                            - Non è una tesi nuova! Direi anzi che oggi è di moda. E come intendi mobilitare tali forze?

Szekeres                        - Educando l'individuo ad una pron­tezza di reazione fisica e spirituale. Insom­ma, si tratta di preparare l'organismo a di­fendersi con un cosciente gioco d'insieme di tutte le sue attività.

Kadar                            - (con leggero sarcasmo) In sostanza, vorresti lottare contro dei tumori con un si­stema di vita?

Szekeres                        - (con passione) Un organismo già ammalato posso curarlo soltanto col bisturi e coi raggi; ma un organismo che ha la pre­disposizione alla malattia, lo posso preparare a questo duello mortale. I componenti di un'intera famiglia, di cui un membro è stato vittima del male, sono esposti al pericolo come soldati di prima linea. Col mio sistema, li educo alla sorveglianza e alla cautela. Ti chiedo soltanto questo: cerca di introdurre nelle famiglie degli ammalati che saranno ricoverati nella tua Clinica, il metodo di vita di cui ho tracciato qui le regole. Ora hai la possibilità di farlo. Occorre spiegare, con­trollare., non siamo ancora vecchi, non è ve­ro? Se la fortuna ci assiste, possiamo avere ancora venti anni di esperienze e di osser­vazioni.

Kadar                            - Venti anni! Puoi assicurarmi che il tuo metodo, anche a me, al medico, darà ancora venti anni di vita?

Szekeres                        - Non sei sano?

Kadar                            - Credo di esserlo. Lavoro, mi piace il mio lavoro e mi piace la vita. Ma non ho più grandi idealità.

Szekeres                        - Sono gli anni della crisi, questi.

Kadar                            - Si dice così... (Altro tono, cortese ma che allontana) In te, naturalmente, non si scorgono neanche le tracce della crisi. Si ca­pisce... la tranquilla vita di provincia... Sei sposato?

Szekeres                        - Non ho ripreso moglie.

Kadar                            - Scusami. Mi ricordo che allora eri fi­danzato. Sei divorziato?

Szekeres                        - Dopo cinque anni di matrimonio ho divorziato. In quel tempo ho creduto che fossimo felici... invece un giorno sono venuto a sapere che la donna con la quale vivevo non era degna della fiducia che avevo ripo­sto in lei.

Kadar                            - Ti ha lasciato? Se n'è andata con un altro?

Szekeres                        - È andata via con un uomo che po­teva offrirle soltanto quella dubbia e pas­seggera avventura che la gente meschina chiama felicità.

Kadar                            - Hai sofferto molto?

Szekeres                        - In principio, sì; poi la ragione è subentrata al sentimento e mi sono rifugiato nel lavoro che mi ha confortato di tutto.

Kadar                            - Tu sei uno studioso che vuol sollevare i veli dal volto della vita; io invece sono un medico che vuole alleviare le sofferenze.

Szekeres                        - Ora però consenti che anch'io aiuti i tuoi ammalati. Non ti prometto miracoli, ma ti garantisco l'esattezza delle mie osser­vazioni. Sei l'unico medico che, nella sua Clinica, potrà controllare i miei dati. Non ti chiedo di condividere né il tuo lavoro né le tue vittorie; però non varrei che andasse perduta, senza lasciar traccia, un'opera alla quale ho dedicato tutto me stesso e che ho pagata con la felicità della vita e la tran­quillità dello spirito.

Kadar                            - E ne valeva la pena?

Szekeres                        - La tua domanda mi sorprende. Na­turale che ne valeva la pena! Non mi è ve­nuto mai e poi mai in mente che in una questione simile si potesse scendere a com­promessi.

Kadar                            - (in tono sereno e con un certo calore) Così parla lo scienziato che ha fede negli uomini; ma io tratto ogni giorno con degli ammalati...

Szekeres                        - Sento nella tua voce il malconten­to. Eppure sei uno dei medici più ricercati dell'Ungheria. Mi sorprende sentirti parlare come un uomo deluso dalla vita.

Kadar                            - Io deluso?... Non sono mai corso die­tro alle chimere... ho conosciuto soltanto la realtà.

Szekeres                        - Ho visto tua moglie... è molto bella. Mi fa piacere che almeno tu abbia tro­vato la felicità.

Kadar                            - Felicità? È un fenomeno col quale non mi sono mai imbattuto nel mio gabi­netto medico. Invece ho incontrato una cosa che è per lo meno altrettanto preziosa: la fede incrollabile, senza limiti, che non ci ab­bandona in nessun momento della vita. Hai visto mia moglie... fra noi due il compito più grave se l'è assunto lei.

Szekeres                        - E sarebbe?

Kadar                            - La comprensione e la sopportazione.

Szekeres                        - Ma tu vivi nell'agiatezza, nel lus­so... Quando hai cominciato questa vita? Dopo il tuo matrimonio?

Kadar                            - Perché me lo domandi quasi in tono di rimprovero? Tutto quello che ho, l'ho gua­dagnato col lavoro assiduo e coscienzioso. Mi invidi forse?

Szekeres                        - Anzi... ti compatisco! Ti compa­tisco di essere arrivato a questo punto. Quanta fatica... quanta pena... quante pre­occupazioni! A che ti giova essere un me­dico in voga ed avere l'anticamera sempre affollata di ammalati? Guadagni un patri­monio, ma devi anche spendere un patri­monio! Fai la vita di un banchiere e la fai perché hai bisogno di denaro... o tu o qual­che altra persona...

Kadar                            - Accusi mia moglie, forse?

Szekeres                        - Non la conosco abbastanza... ma dalla tua voce capisco che lo fai per lei.

Kadar                            - È una colpa amare qualcuno alla nostra età?... sentire il bisogno di dare, di dare continuamente? Sì, tutto quello che vedi lo faccio per lei. Può darsi che il no­stro lusso sia un po' eccessivo; ma se con tutte le mie forze cerco di abbellire questa vita passeggera con un po' di splendore pas­seggero, chi tradisco io?

Szekeres                        - Forse il tuo lavoro.

Kadar                            - Sei un giudice spietato!

Szekeres                        - Tua moglie è molto più giovane di te?

Kadar                            - Di ventiquattro anni.

Szekeres                        - E non ti sei mai reso conto che il vostro legame è una inutile ribellione con­tro le leggi della natura? Tu hai sacrificato l'essenza del tuo lavoro per poter servire un essere che ti è caro. Ora anch'io ti doman­do: ne valeva la pena?

Kadar                            - Può darsi che la mia vita abbia per­duto quel profondo contenuto, col quale, viceversa, tu bai riempito pienamente la tua. Però ho avuto in cambio un sentimento, forse meno elevato di quello che costituisce la base della tua vita, ma che riempie per­fettamente la mia. Non mi sento solo, ecco.

Szekeres                        - Allora non ho più nulla da chie­dere.

Kadar                            - (breve pausa) Ti confesso che non ero preparato ad un simile colloquio, tanto me­no in un giorno fausto come questo nel quale la Nazione mi ha colmato di tutti gli onori. Ti sei presentato qui come la personifica­zione della coscienza e mi hai rivolto delle domande dolorose. Anch'io sovente ho di­scusso con me stesso di questi problemi, ma la natura ha parlato con un linguaggio più potente e ho dovuto arrendermi.

Szekeres                        - Io mi sono ritirato venticinque anni fa perché ho riconosciuto il tuo talento e mi sono sentito inferiore al compito. Accanto al genio c'è sempre un servo grigio... quello che ero io per te. Ma ora, sentendo che hai una Clinica, un'officina, sono ritornato an­cora una volta per ammonirti, per ricordarti che sei l’uomo al quale la natura ha dato la misteriosa facoltà di poter creare. Io sono la coscienza. Lontani l'uno dall'altro, non siamo capaci di creare, perciò oggi ti sono ricomparso davanti.

Kadar                            - Che desideri?

Szekeres                        - Per me, nulla; da te, molto. Pro­babilmente dovrai sacrificare una gran par­te della tua clientela personale per ottenere dei risultati nel nostro comune lavoro. So di chiedere molto, ma non posso esigere di meno.

Kadar                            - Ormai forse è troppo tardi... Chi sa se potremo ancora... (Altro tono) Comun­que, posso chiederti di affidarmi i tuoi ap­punti? Non ho bisogno di assicurarti che cu­stodirò gelosamente il tuo segreto e che farò tutto quanto mi sarà possibile perché quel segreto si trasformi un giorno in una realtà per la quale il genere umano ti colmerà di benedizioni.

Szekeres                        - Non ho bisogno della benedizione degli uomini. È solo la mia coscienza che può punirmi o premiarmi.

Kadar                            - (sorridendo, con cordialità; gli posa la mano sulla spalla e lo accompagna verso la porta) Non disprezzare la benedizione de­gli uomini. Le sofferenze hanno fatto di te un uomo orgoglioso... Non guardarmi così se­veramente. Se mi permetti, nel momento dell'addio, sarò io il tuo giudice: tu parli di giustizia e di dovere, ma nelle tue parole si sente l'orgoglio. Anche la virtù può dive­nire pericolosamente orgogliosa. Non ho una grande opinione degli uomini, però sento che abbiamo un destino comune. Vedi?... sono più modesto di te. Non disprezzo la grati­tudine che può venirmi dall'anima di un uomo.

Szekeres                        - E cosa ti dà questa gratitudine?

Kadar                            - Forse quel tanto che non mi fa sen­tire perfettamente solo nella grande avven­tura della vita e della morte.

Szekeres                        - Non posso rinunziare a quel biso­gno spirituale che chiami orgoglio.

Kadar                            - Allora continuerai a soffrire.

Szekeres                        - Aspetto la tua risposta.

Kadar                            - (sorride) Non tarderà, non tarderà... e sarà sincera come può essere sincero un uomo che non conosce la verità assoluta, ma conosce il dubbio e la relatività delle cose umane. (Gli stringe la mano. Szekeres esce. Kadar ridiscende in scena e con un gesto stanco si asciuga la fronte. Poi va alla scrivania, sfoglia gli appunti di Szekeres. In questo momento entra il cameriere).

Cameriere                      - La signora chiede quando desi­derate far colazione.

Kadar                            - Dite alla signora che fra qualche mo­mento si può servire. (Il cameriere si avvia) Aspettate. Pregate il dottor Zoltan di ve­nire da me. (// cameriere esce. Dopo breve pausa entra Zoltan. Kadar gli va incontro, gli porge la mano. È molto cordiale, però finge) Sono contento che proprio oggi i miei collaboratori siedano al mio desco. Ritengo però che durante la colazione non potremo parlare dell'argomento che più di tutto vi in­teressa.

Zoltan                           - Vi sono molto grato, professore. Anch'io preferisco parlarne a quattr'occhi.

Kadar                            - Non ho dimenticato le nostre intese. Il Ministro oggi è stato particolarmente be­nevolo. Mi sono intrattenuto a lungo con lui anche per quanto riguarda il personale della nuova Clinica e credo di potervi comunicare una notizia importante.

Zoltan                           - Se me lo consentite, vorrei fare una domanda...

Kadar                            - La domanda l'ho già fatta io in vece vostra e con ottimo risultato. Non ho agito soltanto per altruismo: il nuovo campo di lavoro moltiplicherà i nostri compiti. Quan­do ho esposto al Ministro i miei progetti, l'unica obiezione fattami è stata che forse siete troppo giovane. Quanti anni avete adesso?

Zoltan                           - Trentacinque.

Kadar                            - L'età più bella. Siete abbastanza ma­turo per la responsabilità che vi assumete e si può sperare che non vi inorgoglirete troppo. Credo di potervi assicurare che la vostra libera docenza è cosa fatta. Ho la parola del Ministro. Gli ho detto che affiderò a voi la direzione del laboratorio della nuova Clinica.

Zoltan                           - La vostra bontà mi commuove e pro­prio per questo devo dirvi...

Kadar                            - Niente gratitudine, caro amico. Posso inoltre confidarvi una notizia ancora più im­portante della vostra nomina.

Zoltan                           - Non vorrei abusare maggiormente della vostra fiducia e perciò permettetemi di dichiararvi subito che mi sento inadatto all'incarico che volete affidarmi.

Kadar                            - (serio. Come allontanando con un ge­sto) È già cosa fatta. (Altro tono) E ora vi svelo il segreto: il Ministro mi ha pro­messo che la Clinica sarà dotata del nuovo cannone-radium.

Zoltan                           - (con sincero entusiasmo) Quello di Brusselle? Di trecentomila?

Kadar                            - Quello di Brusselle, con un grammo e mezzo di radium. Ora potete spiegarvi la mia soddisfazione e i miei timori. Sono ac­cresciute le possibilità di cura, ma dovremo sopportare il peso dell'immensa fama che acquisterà la nostra clinica. A dirigere tale lavoro ho scelto voi.

Zoltan                           - Tutto questo mi rende ancora più doloroso dirvi ciò che devo dirvi.

Kadar                            - Credo di comprendervi : temete che le vostre occupazioni scientifiche vi toglieran­no la possibilità di formarvi una clientela privata. Voi non siete ricco. Avete una fa­miglia alla quale provvedere. Eppure non dovete esitare... Abbiate fiducia in me. Si troverà il modo di risarcirvi. Ci penso io... vi cederò a poco a poco una parte dei miei ammalati. Non è escluso che un giorno, quando io non ci sarò più, voi diventiate il titolare della Clinica. Mi spiego la vostra in­certezza, ma credo che non dobbiate esitare nemmeno per un attimo.

Zoltan                           - Ormai veramente non c'è più da esi­tare! (Breve pausa) Vi sono profondamente grato... ma non posso accettare quanto mi offrite... anzi, devo anche rinunziare al mio attuale incarico presso di voi.

Kadar                            - (alza la testa, lo guarda fisso. Freddo) E che cosa vi induce ad una tale decisione?

Zoltan                           - Potrei dire che mi sento impari al compito, ma non cerco pretesti. Vi dico con la sincerità impostami dalla vostra fiducia che vi sono costretto da motivi di carattere personale.

Kadar                            - Il vostro rifiuto mi procura una delle sorprese più dolorose della mia carriera.

Zoltan                           - (molto imbarazzato) Non avevo al­tra ambizione nella vita che di poter rima­nere con voi. So di rinunziare a tutto quello per cui vale la pena di lavorare... eppure non posso fare diversamente.

Kadar                            - Rendetevi conto... non avete il diritto di farlo...! Che cosa vi può costringere a get­tar via una fortuna?

Zoltan                           - Non posso rispondere alla vostra do­manda.

Kadar                            - Eppure ho il diritto ad una risposta. Nessuno si può permettere di respingere l'amicizia altruistica di un uomo. (Altro to­no) Che vi è accaduto?... qualche inciden­te?... avete delle preoccupazioni finanziarie?

Zoltan                           - Non ho né crediti né debiti.

Kadar                            - Qualcuno vi ha offeso qui o in Cli­nica?

Zoltan                           - Tutti mi si mostrano cortesi ed amici.

Kadar                            - Forse il lavoro che vi offro non è di vostra soddisfazione?

Zoltan                           - Non potrei trovare in nessun posto nulla di più bello e di più interessante.

Kadar                            - Lo credo anch'io! (Pausa) E allora si tratta dell'eterno problema. Siete diventato schiavo di una donna. È vero?

Zoltan                           - È vero.

Kadar                            - Ora non dovrei chiedere altro. Ep­pure non mi posso rassegnare. Vi volete spo­sare? Allora dovreste afferrare con due mani l'occasione che vi si offre. Non vi volete spo­sare? Avete bisogno di denaro e di libertà d'azione? Vi offro entrambi. Dov'è la don­na per amore della quale valga la pena di rinunziare allo scopo più alto della "vita?

Zoltan                           - E siete voi che me lo domandate?

Kadar                            - Che intendete dire?

Zoltan                           - (imbarazzato) Voi che conoscete le debolezze umane, dovete capire meglio di chiunque altro come qualche volta il destino possa costringere un uomo a rinunziare a tutto per adempiere al suo dovere.

Kadar                            - Debolezze... destino! Che grandi pa­role! Ma la vita macina le grandi parole, le polverizza! La vita distrugge e ricostruisce tutto in noi. Non lo sapete ancora?

Zoltan                           - Lo so, professore. La vita ha co­struito in me qualche cosa e ora distrugge la mia carriera.

Kadar                            - Disgraziato! Difendetevi, dunque! (Gli si avvicina e gli parla a bassa voce con im­peto) È vostro dovere difendervi! Capisco tutte le grandi passioni umane: in un uomo che si annulla per ubbidire al proprio de­stino, c'è una certa grandezza. Ma altro è il destino e altro è un banale incidente. Di solito si rimane vittima di un banale inci­dente. Siete certo che la svolta dinanzi alla quale vi trovate sia proprio il destino?

Zoltan                           - Tutti i segni esteriori ed intimi mi costringono a crederlo.

Kadar                            - Allora è veramente una grande sven­tura! Vi compiango con tutto il cuore! (Sie­de. Pausa) E quali sarebbero i vostri pro­getti?

Zoltan                           - Accetto l'invito dell'Istituto Charpentier. Me ne vado in Francia.

Kadar                            - (come colpito, porge più attenzione) Partite per la Francia? Permettetemi una do­manda... « lei » vive all'estero?

Zoltan                           - No. Vive qui, a Budapest.

Kadar                            - Ed è escluso che possiate rimanere qui ambedue?

Zoltan                           - Assolutamente escluso... non c'è nul­la da fare! Devo andar via!

Kadar                            - Con che tono di delusione lo dite! Un uomo che si prepara alla più grande e più felice impresa della sua vita, non parla così.

Zoltan                           - Parla così chi si accinge a compiere il suo dovere!

Kadar                            - Voi avete un solo dovere: vivere per la vostra professione. Ecco l'unico vostro dovére.

Zoltan                           - Che fareste voi, al mio posto?

Kadar                            - È difficile rispondere. Ho passato i cinquanta anni!

Zoltan                           - Ma che avreste fatto venti anni fa, alla mia età? Perdonate se ve lo chiedo.

Kadar                            - Ho preteso da voi sincerità, dunque anch'io devo essere sincero. (Pausa) Una vol­ta anch'io mi trovai di fronte a questo arduo problema: scegliere tra un legame sentimen­tale, ed il vero compito imposto dalla mia pro­fessione.

Zoltan                           - Se non sono troppo indiscreto, vorrei chiedere come lo risolveste.

Kadar                            - Alla -vostra domanda risponde tutta la mia vita! (Lo guarda a lungo, poi all'im­provviso) E con questo, naturalmente, ho risposto anche alla domanda di prima. Vi compiango ma mi devo rassegnare a perder­vi. Quando partirete?

Zoltan                           - Domani.

Kadar                            - Domani?! Ma vi occorre il passapor­to... della divisa estera...

Zoltan                           - Ho già provveduto ad ogni cosa. (Molto impacciato) Ho il passaporto... il de­naro...

Kadar                            - Strano... Proprio tre giorni fa abbia­mo scelto insieme la vostra nuova stanza di lavoro... e mentre facevamo tanti bei pro­getti voi correvate dietro al visto del passa­porto! (Pausa) Voi, da settimane mi tradite! Perché ?

Zoltan                           - Forse per risparmiarvi una delusione.

Kadar                            - Eppure non me l'avete risparmiata! Vi siete comportato male: mi avete ingan­nato e tradito. Ed è peggio che se mi aveste derubato !

Zoltan                           - Non ho commesso nessuna disonestà. Soltanto sono stato debole... (A voce più bassa) Lei è più forte di me...

Kadar                            - (con passione) Voi avete abusato della mia fiducia ascoltando le mie confidenze... siete un prevaricatore perché frodavate tran­quillamente e con sicurezza e intanto vi pre­paravate a fuggire. Siete un prevaricatore, sì... uno uomo disonesto! E tutto per una donna! Chi è questa donna?

Zoltan                           - Non posso dirvelo.

Kadar                            - Ecco... d'un tratto diventate cavalie­re ed eroe. Ma con me non vi siete compor­tato cavallerescamente. Voglio parlare io con quella donna. Forse si potrà ancora evitare il peggio. Lei… lei è una donna maritata?

 Zoltan                          - Non posso rispondere neanche a que­sta domanda. ,

Kadar                            - Allora sì, è maritata. (Pausa) Mi spie­go la vostra discrezione; ma ora siete da­vanti al vostro superiore, al vostro giudice. Voi siete ammalato... e non è soltanto un modo di dire... Questo genere di amore è una malattia, una forma di pazzia. Mi auto­rizzate a raccontare tutto a mia moglie?

Zoltan                           - (sbigottito) A quale scopo, professore?

Kadar                            - Forse una donna può essere ancora di aiuto dove un uomo fallisce. Mia moglie è buona e intelligente... E se parlasse mia mo­glie con quella signora? Che ne pensate?

Zoltan                           - Vi prego, professore, permettetemi di andare... sto attraversando l'ora più difficile della mia vita.

Kadar                            - Capisco che devo abbandonarvi al vo­stro destino! Qualche volta un uomo sano è in condizioni più disperate di un ammalato. Vi guidi la vostra coscienza lungo la strada difficile per la quale vi siete avviato. (Zoltan si inchina, altro tono) Allora... farete cola­zione con noi... E di tutto il resto parleremo stasera in Clinica. Avete ragione, è meglio non dir nulla a mia moglie.

Zoltan                           - (quasi smarrito) Scusatemi, professo­re... non posso più tacere... questo tergiver­sare non è da uomo. Ho dovuto agire così per forza di cose... ma ora non ne posso più... devo dirvi la verità... (Si interrompe).

Kadar                            - (indicando Anna che entra, alza l'in­dice alle labbra con gesto significativo) Non una parola di più! (Si volge verso Anna). Scusami, cara, come al solito sono molto in ritardo.

Anna                             - (È una bella donna sulla trentina, inte­ressante, un po' pallida, con gli occhi lu­cidi, quasi di febbre. Indossa un abito da mattina, elegantissimo. Evidentemente anco­ra lo stesso che aveva per l'inaugurazione della clinica). Se vuoi riposare un po' prima che comincino le visite, dovremmo andare subito a colazione.

Kadar                            - Si può servire. Vado a togliermi que­sto abito solenne. Scusami se ti lascio un momento. (Zoltan e Anna stanno muti l'uno di fronte all'altro. Kadar fa un piccolo cenno di saluto con la testa ed esce per la prima porta a destra).

Anna                             - (molto agitata, ma immobile e a voce sommessa) Gliel'hai detto?

Zoltan                           - (stesso gioco) Non m'è riuscito. Gli ho detto soltanto che vado via.

Anna                             - E di me non hai mai parlato?

Zoltan                           - Proprio quando mi accingevo a farlo, sei entrata tu.

Anna                             - Che ha risposto quando ha saputo che te ne andavi?

Zoltan                           - Mi ha detto che sono o pazzo o ladro.

Anna                             - (guardando fisso davanti a se) O pazzo o ladro.. (Pausa. D'improvviso) Glielo di­rò io.

Zoltan                           - Non sai neppure che cosa significhi quello che ti proponi di fare. In quell'uomo c'è una forza che disarma. Lo guardi e ti si stringe la gola. È una sensazione strana!

Anna                             - Perché sei un debole. Gli parlerò io, oggi stesso... subito dopo colazione. Non an­dar via. E durante la colazione discorri... mo­strati disinvolto. La dottoressa... si è accor­ta di nulla?

Zoltan                           - Sa che parto. Però non sa che parto con te.

Anna                             - Per questa sera dovrà saperlo anche lei. Tutti dovranno saperlo!

Zoltan                           - Non hai paura?

Anna                             - Di che?

Zoltan                           - (indica verso la porta dalla quale Ka­dar è uscito) Di ferire mortalmente... forse di uccidere addirittura un essere umano? I

Anna                             - O lui, o te, o me. (Altro tono, con ansia) E ora ti domando una cosa... ma ri­fletti bene prima di rispondere. Mi ami?

Zoltan                           - In questo momento quasi ti odio.

Anna                             - (quasi sollevata) Nella nostra situazio­ne è lo stesso. Affidati a me.

Zoltan                           - Oramai non posso fare altro.

Cameriere                      - (entra, si inchina verso Anna) Si­gnora... siete servita. (Anna, Zoltan e il Cameriere escono uno dietro l'altro dalla pri­ma porta a destra).

SIPARIO

ATTO SECONDO

 La stessa scena del I atto. Dopo colazione. Quando il sipario si alza la cameriera spinge in scena un tavolino a rotelle sul quale è una macchinetta elettrica per preparare il caffè.

Anna                             - Mettilo lì, davanti al caminetto. Chiudi le persiane e accendi la luce. Grazie. (La ca­meriera eseguisce ed esce. Kadar entra da destra; ha cambiato il suo abito dell'atto precedente con un abito scuro a giacca, va direttamente alla scrivania, prende un gior­nale e gli occhiali, poi va a sedere davanti al caminetto. Anna si occupa del caffè). Non hai più molto tempo per riposarti.

Kadar                            - (col giornale sulle ginocchia prende un sigaro e accende). Non sono stanco. Che te ne è parso della cerimonia di stamane?

Anna                             - Quanta gente c'era! E tutti si mostra­vano pieni di entusiasmo. Sai?... la moglie del Ministro vorrebbe che andassi martedì prossimo da lei per il tè.

Kadar                            - Si capisce che andrai.

Anna                             - Forse... (Ad uno sguardo interrogativo di Kadar) Volevo dire... se non accade nulla di nuovo...

Kadar                            - Dovresti andarci. Il Ministro mi è amico. Ha dei grandi progetti e vuole che si facciano le cose molto bene.

Anna                             - Un uomo politico cerca dovunque il successo e spera che tu sarai uno dei suoi successi.

Kadar                            - (sorridendo) Siete soli in due a cre­derci; tu e il Ministro.

Anna                             - Sai benissimo che molti credono in te, e forse questo è il segreto dei tuoi successi; sei capace di ridestare la fede.

Kadar                            - (posa il giornale e la guarda attraverso il fumo del suo sigaro) Non in tutti. Qualche volta abbiamo delle strane delusioni... natu­ralmente sempre dove meno ce le aspettiamo.

Anna                             - Hai avuto qualche dispiacere?

Kadar                            - Ho avuto una delusione, ècco tutto.

Anna                             - Puoi dirmi di che si tratta?... se non è un segreto professionale...

Kadar                            - Non è precisamente un segreto profes­sionale. Però non vorrei turbare proprio oggi la tua serenità con una notizia spiacevole. (Con calore) Perché , comunque, oggi è gior­no di festa... Non ti pare?

Anna                             - Giorno di festa?... che grandi parole adoperi!

Kadar                            - Sei di cattivo umore. Qualche cosa ti è dispiaciuta... ti ha fatto male?

Anna                             - Niente mi ha fatto male. Festeggiava­no anche me, perché la cortesia vuole così. (Un po' ironica) Te l'ho detto che la moglie del Ministro mi ha invitata al tè. Questo giorno segna l'inizio dei tuoi grandi successi mondani.

Kadar                            - Può darsi che ora qualche cosa Gam­biera nella nostra vita. E appunto di questo volevo parlarti.

Anna                             - Anch'io credo che la nostra vita da oggi in avanti cambierà.

Kadar                            - Successi e delusioni.,. Oh! non ne sono mancati oggi. Sai a che pensavo stamane mentre il Ministro parlava? A come sarebbe bello fare le valigie e partire insieme per tre o quattro settimane...

Anna                             - Sai benissimo che ora non possiamo partire!

Kadar                            - Stamane non supponevo neppure che sarebbe stato impossibile! Certo le difficoltà non mancano : bisogna arredare la nuova Cli­nica, avviare il lavoro... Eppure pensavo che la cosa più intelligente sarebbe stata di con­cedermi una festa di quattro settimane con te in riva al mare. La vita è stata generosa con me e io devo dimostrarle la mia grati­tudine per i suoi doni: mi ha dato salute, possibilità di lavoro e, sopratutto te.

Anna                             - Salute e lavoro sono veramente doni... ma una creatura umana... una donna... e proprio io...? Credo che tu stimi il dono al di là del suo vero valore. Ho avuto da te più di quanto io stessa ti abbia dato.

Kadar                            - Oh! Sai benissimo di avermi dato tutto quello che una creatura umana può dare.

Anna                             - Il regalo è mancato. La vita si è mo­strata spietata.

Kadar                            - Pensi alla morte del nostro bambino?

 

Anna                             - Negli ultimi anni ho dovuto pensarci spesso... cercavo di capire il perché di tante cose... di capire.

Kadar                            - Non vorrei confortarti con parole vuo­te, ma spiegarti soltanto il sentimento che oggi mi riempie l'animo. Sai che cosa sei stata tu per me? La sorgente della mia forza!

Anna                             - Esageri. Non mi intendo del tuo la­voro.

Kadar                            - E non mi piacerebbe neanche che te ne intendessi. Il potere femminile è invisi­bile e misterioso; soltanto gli sciocchi lo di­sprezzano. Tu vivi e irradi come il radium! Quando ti incontrai, la mia vita superò una crisi decisiva; non avevo più fede nel mio lavoro : ti vidi e ricominciai a lavorare. Devo essertene grato. Ora è arrivato il giorno nel quale dovevo dirtelo. La sorte ci ha eletti per servire insieme l'umanità. Ecco il tuo compito.

Anna                             - Sono una donna: non voglio servire l'umanità, ma un solo uomo!

Kadar                            - Se era questo che volevi, ti è riuscito, credimi... Stamane ho avuto la sensazione che la vita avesse ancora dei grandi progetti su noi. Te lo dico io, l'unico uomo che ti ama!

Anna                             - Come ti è stato difficile pronunziare queste parole!

Kadar                            - Perché non mi piace parlare dei miei sentimenti... Le parole li sciupano un po'... e mentre se ne parla sono già mutati. Ma oggi, per la prima volta, ho sentito che do­vevo parlare, perché nella nostra vita qual­che cosa non è perfettamente in ordine... e ho sentito che avremmo dovuto andarcene insieme nel Mezzogiorno per un certo tempo.

Anna                             - Ma intanto è accaduto qualche cosa che ha distrutto questo bel progetto...

Kadar                            - Sì... di ritorno dalla Clinica, qui mi attendeva una sorpresa.

Anna                             - Forse il tuo fanatico compagno di scuola? ,

Kadar                            - Non solo lui... per quanto avrei ri­nunziato volentieri ad incontrarlo.

Anna                             - Che voleva?

Kadar                            - Una specie di resa dei conti del pas­sato. È stato duro ed ingiusto! Ma quando se n'è andato, ho capito che qualche volta un giudice severo non nuoce... anzi fa ve­dere tutto con maggior chiarezza, il passato ed il presente. Mi ha accusato di non aver lavorato con sufficiente energia.

Anna                             - Ma se gli ultimi dieci anni sono stati un'unica giornata di lavoro, per te!

Kadar                            - Ha disapprovato il genere di lavoro al quale mi sono dedicato; ha detto che mi ero lasciato sedurre dal denaro e dal suc­cesso... e tutto questo per una donna...

Anna                             - ...che sarei io...?

Kadar                            - Sì.

Anna                             - ...ed anche tu ne sei convinto?

Kadar                            - E’ un'accusa ridicola ed infantile. Tut­ti hanno avuto ciò che potevano esigere da me: anche i miei ammalati.

Anna                             - Ma tu hai mai pensato di avere rinun­ziato a qualche cosa per me?

Kadar                            - Non ho rinunziato a nulla. Ho vis­suto con te e per i miei ammalati.

Anna                             - Guardami... tu non sei capace di men­tire. Dimmi: in questi ultimi anni sei stato veramente soddisfatto, felice?

Kadar                            - (si alza, va al caminetto, si appoggia alla mensola e guarda la cenere del suo si­garo) Soddisfatto...? Felice...? (Calmo) Ho vissuto... ecco tutto.

Anna                             - Hai vissuto...? Vuol dire che hai fatto un compromesso. Avresti potuto chiedermi di rinunziare alla nostra vita di lusso e di se­guirti nella solitudine per poterti dedicare esclusivamente alla tua missione.

Kadar                            - In un certo momento ci ho anche pensato.

Anna                             - E perché non me ne hai mai parlato?

Kadar                            - Perché temevo che ti dispiacesse mu­tar vita. Non te ne ho parlato perché com­presi che tu, per me, avevi più importanza del mio lavoro.

Anna                             - Me lo dici come una confessione?

Kadar                            - Accettalo come una confessione.

 

Anna                             - E se ti dicessi che non posso accettare un tale regalo? Che non permetto che, per causa mia, rinunzi alla tua grande missione..?

Kadar                            - Ti risponderei che non ho più una grande missione.

Anna                             - Lo sai che con queste parole giudichi anche te stesso?

Kadar                            - Lo so. Non desidero altro che conti­nuare il mio lavoro e prepararmi al compito più difficile della vita...

Anna                             - ...che sarebbe la morte?

Kadar                            - La morte?... Oh, la morte la conosco molto bene e non la temo. Il più difficile compito dell'uomo non è la morte, ma l'in­vecchiare. Non c'è parte più difficile che invecchiare con onestà... senza turbamenti... senza disperazione... dignitosamente.

Anna                             - Lo dici a me o a te stesso?

Kadar                            - A tutti e due

Anna                             - Mi inviti ad invecchiare come se mi invitassi a fare un viaggio in compagnia tua. E perciò hai un così grande bisogno di me?

Kadar                            - Non abbiamo bisogno di nessuno quando siamo di fronte al destino. Nei mo­menti decisivi di quella grande avventura che è la vita, ognuno di noi rimane solo. Ma ti sono grato di avermi assistito con fe­deltà in questi ultimi anni, anche quando intorno a noi sentivo raffreddarsi la casa e la vita.

Anna                             - Credo che non sia troppo tardi per cambiare tutto questo.

Kadar                            - Anch'io lo credo... e perciò ritengo che sarebbe bene partire. Ho pensato ad un pae­saggio soleggiato... da molto tempo non ve­diamo il mare...

Anna                             - Anch'io ho pensato la stessa cosa... ma credo che sarebbe meglio se partissi senza di te.

Kadar                            - Vuoi partire sola? (Fa un passo verso Anna e la guarda negli occhi con molta at­tenzione) Non vuoi venire con me in qualche posto?

Anna                             - Non giudicarmi ingrata, ma ti sei già abbastanza sacrificato per me.

Kadar                            - Non so a quali sacrifici alludi. Di te ero sicuro... della vita dubitavo...

Anna                             - Ogni giorno- che passava, mi allonta­navo sempre più da te. Non è colpa di nes­suno... è fatta così la nostra vita. Osserva da vicino, col microscopio, uno dei nostri giorni; un giorno qualunque. La mattina esci di casa prestissimo perché il telefono comin­cia a squillare: sono i tuoi ammalati che si lamentano. Torni raramente a casa per la nostra colazione. Oh! le mie colazioni soli­tarie!... Ti aspetto fino alle tre... allora suo­na il telefono e la voce del tuo assistente mi comunica che neanche quel giorno puoi ve­nire. Nel pomeriggio hai le tue visite... di sera qualche volta andiamo a teatro o in so­cietà, ma i tuoi ammalati riescono a rin­tracciarti anche lì, e spesso devo tornarme­ne a casa sola. Ecco! da otto anni viviamo così!

Kadar                            - Io soltanto so che cosa ho perduto in questi otto anni!

Anna                             - Qualche volta, quasi quasi, credo che tu viva non per me, ma per un'idea fissa. Da te ho avuto tutto, ma ti ho perduto! E poi... sai chi sono io?... sai che cosa suc­cede in me, intorno a me? Sai che sono stata ammalata e che ho dovuto chiamare un medico ?

Kadar                            - Cosa hai avuto?

Anna                             - Nulla! Capogiri... un malessere inde­finibile... e non-mi è neanche venuto in mente che avrei potuto disturbare te. Nella nostra casa tutto procede secondo un orario come in una fabbrica o in un'officina. Qui tutto è laboratorio, agenda e telefono... qui tutti camminano in punta di piedi avvian­dosi verso uscite segrete. Odio questa casa!

Kadar                            - Se la odi, è un odio artificioso. Cre­devo che fossi più vicina al mio lavoro.

Anna                             - Quando avrei potuto avvicinarmi al tuo lavoro? Qui tutto è mistero e sussurrio... segreti professionali, segreti degli ammalati, segreti degli appunti... Su tutto c'è un si­gillo e il silenzio!

Kadar                            - Se mi avessi detto subito ciò che pro­vavi, avrei potuto risparmiarti  tante pene, avrei potuto portare altrove il mio gabinetto.

Anna                             - E il tuo gabinetto medico avrebbe por­tato via anche te! Sarebbe tornato a casa soltanto un ospite che qualche volta sarebbe entrato in queste stanze per discorrere cor­tesemente. Non ci inganniamo! Sono co­stretta a dirti che la vita che facciamo non ha più nessun senso e mi rincresce di dover­telo dire proprio oggi.

Kadar                            - Non te ne rammaricare. Sembra che oggi sia il giorno delle confessioni eccezio­nali... come se ognuno gettasse via la ma­schera che ha portato finora. Parla tranquil­lamente: non c'è altra guarigione che la sin­cerità.

Anna                             - L'hai già detto spesso in questa stanza?

Kadar                            - Spesso... e quasi sempre invano.

Anna                             - Allora oggi c'è una persona che ti ri­sponde sinceramente, che ti dice: non posso più continuare questa vita, voglio che i no­stri rapporti mutino.

Kadar                            - Le tue parole non mi sorprendono. Nel mio intimo aspettavo da molto tempo la tua confessione. Può darsi che tu abbia ragione, che qualche cosa sia finita, che fra noi due qualche cosa si sia guastata. Può darsi che dovremo cambiare il nostro si­stema di vita.... ma una cosa non si può cambiare: la legge misteriosa che ha legato il tuo destino al mio.

Anna                             - E se mi ribellassi a questa legge? Se ti dicessi che devo abbandonarti perché non posso più sopportare la solitudine che mi circonda?

Kadar                            - Allora comincerei a discutere col de­stino. Oh! ho già discusso molte volte col destino, qui dentro... ma sento nella tua voce qualche cosa di estraneo. Ho la netta sensazione che proprio ora che vuoi lasciar­mi, hai maggior bisogno di me.

Anna                             - Lo dici come un medico, lo direbbe al suo ammalato. (A voce alta, con passio­ne) Non mi trovo più bene in questa vita!

Kadar                            - (si alza, le si pianta davanti, le afferra i polsi e la guarda fisso) Ripeti ancora!

Anna                             - Ripetere?... non capisco. Che vuoi da me? (Più piano) Non posso dirti altro che... non mi sento bene in questa vita.

Kadar                            - (la guarda a lungo) Hai già detto ad un medico le stesse parole?

Anna                             - Non lo so. Perché hai voluto che le ripetessi?

Kadar                            - (cerca di mostrarsi disinvolto) Un ca­priccio... non ci badare! La tua voce era così appassionata... non sapevo che fossi tal­mente infelice accanto a me!

Anna                             - Non sei l'uomo dei capricci. Neanche io. C'è voluto molto tempo prima di accor­germi che non ne potevo più...!

Kadar                            - (ripete con molta calma) C'è voluto molto tempo per accorgerti che non puoi più vivere accanto a me... (Si raddrizza, con tono premuroso) Allora raccontami.

Anna                             - Adesso mi parli nuovamente con tono professionale !

Kadar                            - Proprio col tono di un medico! Perché prima, quando mi hai detto che non ti sentivi bene in questa vita, c'era qualche cosa nella tua voce che ti assolveva da ogni responsabilità.

Anna                             - Perché mi guardi così attentamente? Cosa c'era nella mia voce?

Kadar                            - Quella frase, qui dentro, l'ho sentita spesso. Sai...? entrano... si seggono... e poi dicono: « Sapete, professore... io non ho nulla; però non mi sento bene »... e a me questo non piace! Chi parla così non è per­fettamente sano! (Si alza, con gesto molto deciso afferra la mano di Anna e le domanda quasi con severità) Che hai?

Anna                             - (lo guarda con gli occhi sbarrati) Non so di essere ammalata!

Kadar                            - Siedi qui, accanto a me... così... (Si seggono vicini. Kadar con gesto medico le prende il polso) Come è frequente il tuo pol­so! Sei agitata?

Anna                             - Molto.

Kadar                            - Dormi male?

Anna                             - Sempre.

Kadar                            - Da mesi?

Anna                             - Forse da sei mesi.

Kadar                            - All'alba ti svegli, ti siedi sul letto, premi la mano sul cuore e guardi nel buio con una sensazione di angoscia...

Anna                             - Per molto tempo, per ore, rimango se­duta così. Il cuore mi batte a precipizio ed ho paura.

Kadar                            - Prendi qualche cosa... per dormire...

Anna                             - Delle compresse... qualche volta due, qualche volta tre...

Kadar                            - Chi ti ha dato il sonnifero? A me non lo hai mai chiesto, e del resto non te lo avrei neanche'dato!

Anna                             - Me lo sono procurato... (Un po' dura) Me l'ha dato un medico.

Kadar                            - Te l'ha dato un medico?! (Con indi­gnazione scherzosa, ma tuttavia serio) In casa mia va e viene un medico, dà dei son­niferi a mia moglie ed io non ne so niente. Chi è questo medico?

Anna                             - Me lo domandi con tanta severità che non ho il coraggio di dirti il suo nome.

Kadar                            - Lo conosco?

Anna                             - Sì, lo conosci.

Kadar                            - È il dottor Zoltan?

Anna                             - Sì.

Kadar                            - Ah! Dunque è il dottor Zoltan... (Fa, qualche passo su e giù, indignato) Ma che succede in casa mia?

Anna                             - Non te la prendere con lui. Sono stata io a chiedergli un sonnifero perché non ne potevo più di tante notti di angoscia. Sa­pevo di poter avere fiducia in lui perché tu lo consideri un ottimo medico.

Kadar                            - Devo confessarti che la mia fiducia in lui si è scossa. Non lo considero più un ottimo medico.

Anna                             - Ancora ieri parlavi di affidargli la di­rezione della nuova Clinica.

Kadar                            - Ieri sì, ma intanto ho dovuto consta­tare che non merita la mia fiducia. È stata una delle più tristi sorprese della mia vita. Vorrei aver compassione di lui, ma ormai vedo chiaro... non lo compiango: lo detesto!

Anna                             - Lo detesti perché mi ha prescritto dei sonniferi?

Kadar                            - Lo detesto perché mi ha ingannato e mi ha tradito. Non credo che possa essere un buon medico.

Anna                             - L'uomo ti ha deluso e ora dubiti an­che de} medico.

Kadar                            - Non c'è dubbio... è sempre così. Un uomo senza carattere non può essere un uomo di valore.

Anna                             - Sei troppo severo. Sono stata io a chiedergli di visitarmi... e non una volta sola! Non ti volevo disturbare, non volevo turbare la tua tranquillità. Si vede che il segreto professionale lo ha costretto a ta­certi tutto.

Kadar                            - Conosco abbastanza i doveri profes­sionali, e non occorre che il dottor Zoltan si mostri più corretto di me. Se tu, per de­bolezza, non mi hai detto nulla, era suo do­vere informarmi. Me ne renderà conto.

Anna                             - Ma lo vuoi capire che sono stata io a scongiurarlo di non parlarti?

Kadar                            - E tu lo vuoi capire che in lui non stimo più né l'uomo né il medico? Zoltan è un avventuriero.

Anna                             - Non hai il diritto di parlare così di una persona che non conosci abbastanza.

Kadar                            - Perché lo difendi ? Gli avevo accor­dato la massima .fiducia, volevo affidargli i miei ammalati, la mia Clinica. Lo trattavo quasi come un figlio... vedevo in lui la crea­tura che la vita mi ha negato... il mio ere­de... eppure mi ha ingannato, mi ha tra­dito. E sai perché ... per chi lo ha fatto? Per una volgare avventura e per una cattiva donna!

Anna                             - Che ti ha detto?

Kadar                            - Ha confessato di essere diventato lo schiavo di una donna perversa che lo strap­pa al suo lavoro per trascinarlo lontano in un'avventura pericolosa. E lui getta via tut­to per obbedire ad una creatura corrotta.

Anna                             - Come sai che è corrotta?

Kadar                            - Non può essere diversamente. Se aves­se un'anima nobile e dei sentimenti puri, an­che avvampando dalla passione non distrug­gerebbe la sua vita. (Con intimità, con pas­sione) Senti... Zoltan, naturalmente, non ha fatto nomi... Ti confesso che quando ho sa­puto del suo tradimento, l'ho trattato senza riguardi. Però mi fa pietà, perché è un uomo d'ingegno che è divenuto vittima di una donna senza cuore. Che ne dici...? e se gli parlassi tu...?

Anna                             - (si preme una mano sul cuore) Io...?

Kadar                            - So che ti era affezionato. Non protestare. Non sarebbe uomo se non avesse sentito qualche cosa per te... stima, ammira­zione; forse anche gelosia... perché io gli sono superiore, sono più forte, posseggo tut­to ciò che lui brama. Sì, credo che c'è stato un tempo nel quale era anche un po' inna­morato di te. Forse egli stesso non se ne rendeva conto, perché è difficile conoscere la vera natura di un sentimento. Ma qual­che cosa c'era tra voi, tra noi, in questa casa... come una sottilissima congiura che ci legava uno con l'altro e ci metteva uno contro l'altro. E tu sapevi di questa congiura?

Kadar                            - (fa un gesto con la mano, semplice, tran­quillo) Naturale che lo sapevo. Mi odiava perché gli ho fatto del bene e ora mi tra­disce. È sempre così.

Anna                             - Tu credi che esista soltanto il tradi­mento?

Kadar                            - Una donna che distrugge una vita non può essere fatta di materia nobile.

Anna                             - Forse distrugge qualche cosa in una vita per ricreare poi un uomo!

Kadar                            - Con quanta passione difendi una sco­nosciuta! O forse la conosci?

Anna                             - Vuoi che ti dica tutto quello che so di lei?

Kadar                            - (la guarda con attenzione, poi con un gesto che allontana) Non voglio indagare nei segreti altrui... (Altro tono) Dunque,... il dottor Zoltan ti ha visitata, ti ha curata... e io non ne ho saputo nulla... L'etica me­dica mi proibisce di criticare la diagnosi di un collega, ma in un caso simile non' bado molto all'etica e ti dico francamente che non credo al giudizio di un medico in­capace di curare il morbo che attenta alla sua stessa vita. Spero che in me avrai al­trettanta fiducia quanta ne hai in lui. Anch'io ti visiterò. Non protestare. Hai chia­mato un altro medico, non ti sei fidata di me. Ma non lo sai che sono io l'unico uomo e l'unico medico che può aiutarti?

Anna                             - Con quanta sicurezza lo dici!

Kadar                            - Lo dico con sicurezza perché ti co­nosco.. Io sono l'unico uomo che ti conosce.

Anna                             - (si siede) Ascoltami. Devo dirti qual­che cosa.

Kadak                           - Non ti stancare. Un'ammalata non de­ve mai stancarsi con parole superflue. Qui comando io! Stenditi e chiudi gli occhi... Ora mi seggo accanto a te e prendo la tua mano. Non dire neanche una parola. Dirò io tutto ciò che è necessario. Parlerò anche per te. Tra noi qualche cosa si è guastata. La professione, la vita, mi portavano lon­tano da te... Avevi bisogno di qualcuno... hai allungato la mano verso la prima mano che si stendeva verso di te. Avevi bisogno di un medico che si occupasse di te, che ascoltasse le tue piccole lagnanze... Allora è venuto un medico, ti ha dato dei consigli, ti ha prescritto delle polverine, e ti ha con­fortata... Non è così?

Anna                             - Sì. sì. E ora in che modo vorresti aiu­tarmi?

Kadak                           - Prima di tutto ti visiterò seguendo le norme della mia professione... (Apre un ar­madio a muro, lentamente si toglie la giacca ed indossa il camice bianco, si pianta dinan­zi ad Anna, guarda l'orologio da polso) Le quattro e mezzo! Si possono cominciare le visite!

Anna                             - Vorresti visitarmi come se fossi un'am­malata?

Kadar                            - Se voglio aiutarti, non posso farne a meno.

Anna                             - Mi sei davanti come un estraneo! Non ti ho mai visto così! Ora sei come un...

Kadar                            - Di' pure: come un medico!

Anna                             - Ho quasi paura di te. Perché mi guar­di così attentamente?

Kadar                            - Forse ciò che è accaduto in questa casa è dipeso dal fatto che non sempre ti ho guardata con tanta attenzione. (Prende uno stetoscopio. Ormai è soltanto ed intera­mente medico) Slacciati il vestito...

Anna                             - Slacciarmi? (Fa un gesto come di di­fesa) Altrimenti non mi potresti visitare?

Kadar                            - Sarebbe difficile! (Anna con gesti len­ti si slaccia il vestito. Kadar intanto avvi­cina una sedia girevole, vi fa sedere Anna e le rimane accanto assorto) Per favore, sie­diti qui. Negli ultimi tempi sei molto di­magrita?

Anna                             - Sì. Ho perduto sei chili.

Kadar                            - Lo hai voluto tu? Hai seguito un regime?

Anna                             - Non ce n'è stato bisogno.

Kadar                            - Lo credo, lo credo... (Parla con disin­voltura, in tono naturale, proprio come un medico con l’ammalato) La tua vita non è mutata in nulla eppure hai perduto sei chili di peso...

Anna                             - Sì, sei o sette... in tre mesi.

Kadar                            - Chinati un po' in avanti... (Comin­cia a battere sulla schiena di Anna. L'ascol­ta con lo stetoscopio)... respira profonda­mente... così... ancora... trattieni il respi­ro... respira... ancora...

Anna                             - Com'è severa la tua voce!

Kadar                            - (scherzoso e tuttavia serio) Un me­dico non deve fare del sentimento quando ascolta il cuore del suo ammalato. Non av­verti nessun dolore?

Anna                             - No... non ho mai sentito dolori.

Kadar                            - Provi una sensazione di angoscia?

Anna                             - Sì, ma credo che sia soltanto un po' di nervosismo...

Kadar                            - Naturale che è nervosismo. Tossisci qualche volta?

Anna                             - Te ne sei accorto? Sì, qualche volta ho un po' di fossetta... Due o tre settimane fa ho preso un raffreddore e non me ne sono ancora liberata.

Kadak                           - Ipersensibilità primaverile. Niente di preoccupante... Il dottor Zoltan ti ha visi­tata e non ha trovato nulla?

Anna                             - Ha detto di non aver trovato nessuna alterazione nell'organismo.

Kadar                            - Lo credo! Hai un cuore eccellente... i polmoni perfettamente liberi... Neanche io trovo nulla. Ti sei dimagrita molto: ma a questo si può rimediare facilmente. Stenditi qui... (Le applica il bracciale per misurare la pressione) Ti ha visitata in casa sua o alla Clinica?

Anna                             - Mi ha visitata qui, in questa stanza.

Kadar                            - Nel mio gabinetto ? ! Coi miei stru­menti?!

Anna                             - Sì. Non andare in collera; gliel'ho chie­sto io.

Kadar                            - (osserva il misuratore della pressione) No no, neanche per sogno! Perché dovrei andare in collera? Nulla di più naturale che, nel mio gabinetto, coi miei strumenti, un estraneo visiti mia moglie. Almeno ti ha esa­minata anche coi raggi?

Anna                             - Ha detto che non era necessario.

Kadar                            - (parla in tono di conversazione, ma in­tanto non smette di esaminare Anna nean­che per un attimo) È una prova di delica­tezza molto simpatica da parte sua. Vero è che aveva tutti i motivi per essere così de­licato... il dottor Zoltan non si intende di raggi Roentgen. Sai... (Frattanto guarda l’apparecchio della pressione)... l'apparecchio Roentgen è molto complesso. Non basta fare la radioscopia, bisogna anche saperla inter­pretare. E questo è assai più difficile!

Anna                             - (rimane distesa e parla col tono dell'am­malata che conversa e che si abbandona alla volontà del medico) Sei così bravo, tu! Quando, durante le ore di visita, attacchi l'apparecchio Roentgen, la luce si abbassa all'improvviso. Sembra che le lampade sus­sultino... e io allora, stando in camera mia, penso che in quel momento leggi nei segreti di un estraneo, penetri nella sua più miste­riosa intimità, che a nessuno è dato vedere. In questo pensiero c'è qualche cosa di so­vrumano e di spaventevole...

Kadar                            - In generale, ciò che si vede non è molto rasserenante... E qui... (Tocca la nuca di Anna)... ti fa male?

Anna                             - È un punto sensibile, ma non troppo... (Si capisce che non vuol rispondere con pre­cisione) ... e penso ancora che forse un giorno qualcuno mi guarderà dentro coi raggi e co­noscerà qualche cosa di me che fino a quel momento io stessa ignoravo.

Kadar                            - Non bisogna sopravalutare l'impor­tanza delle macchine! Nel nostro intimo sap­piamo tutto di noi stessi, anche senza l'aiuto degli strumenti. (Le accende la lampadina elettrica davanti agli occhi per esaminare i riflessi) Non trovo nulla, proprio nulla! Al­zati, per favore... così... stendi le braccia in avanti… così, diritte. Ora avvicinati a me con gli occhi chiusi come si faceva da bam­bini giocando a mosca cieca.

Anna                             - (con gli occhi chiusi, con le braccia stese va verso di lui e sorride) Sai...? è proprio come il vecchio gioco: brancolo nel buio e vengo a cercarti.

Kadar                            - Non ne ho mai dubitato!  (L'osserva con molla attenzione, si capisce che ora lo interessano soltanto i sintomi patologici) An­cora un passo... così... grazie. E ti senti spesso stanca?

Anna                             - (c. s.) Stanca?... sì, stanca, eppure così stranamente... così stranamente eccitata...

Kadar                            - Sei anemica, non c'è dubbio. Mettiti ora qui, davanti all'apparecchio.

Anna                             - (si guarda intorno, turbata) Vuoi far­mi la radioscopia?

Kadar                            - Naturale! Come potrei fare diversa­mente?

Anna                             - Non so. Nessuno mi ha mai visitata così. È necessario, assolutamente?

Kadar                            - (va all' armadietto Roentgen. Con gesti lenti si mette grembiale e guanti di piombo) Alla fine, una volta, devo pur vederti com­pletamente e nel tuo intimo...

Anna                             - (guarda Kadar. Con rispetto e commo­zione) Ora, con quel grembiale e quei guan­ti, rassomigli ad un cavaliere del Medio Evo che indossa la corazza, pronto a scendere in lizza. Sì, ora quasi mi fai paura! Per la prima volta nella mia vita qualcuno mi vede integralmente.

Kadar                            - (con gesto risoluto spegne la luce elet­trica. La stanza ora è al buio) Qualche vol­ta non nuoce guardare in faccia quello che è dentro di noi.

Anna                             - (sta davanti alla macchina) Ma per  farlo ci vogliono i raggi!

Kadar                            - I raggi... o molto, ma molto corag­gio! (Attacca l'apparecchio si vede uno scher­mo giallo di cellophan dietro il quale batte il cuore di Anna. La macchina ronza piano) Ti prego, respira profondamente.

Anna                             - Vedi il mio cuore, ora?

Kadar                            - Sì, lo vedo. Ecco l'aorta. Perfetta e regolare. Respira ancora più profondamente...

Anna                             - Che vedi nel mio cuore?

Kadar                            - Eh... un cuore umano. Vedo il cuore di una donna sensibile ed irrequieta...

Anna                             - Che c'è in questo cuore?

Kadar                            - Probabilmente tutto ciò che un cuore umano cela: fedeltà e prontezza di sacrifi­zio, passione e desiderio di vendetta... mol­to, molto bisogno di affetto... tutto quello che occorre per essere una creatura umana... Girati un po' a sinistra... basta. Grazie.

Anna                             - Ora mi vedi come nessuno mi ha vi­sta mai...

Kadar                            - Credo di vederti così anche senza i raggi: come nessuno ti ha vista mai!... Un po' a destra, per favore... basta.

Anna                             - Se vedi tutto, allora devi anche vedere se nel mio cuore c'è qualche cosa che è più forte di me... qualche cosa che è più potente della mia volontà.

Kadar                            - (con tono strano, ottuso, senza un tre­mito eppure con profonda commozione) Vedo che nel tuo cuore c'è qualche cosa più potente della tua volontà.

Anna                             - (nel buio, come se parlasse dall'altra sponda) Ho paura di questo buio strano. Vorrei scongiurarti di salvarmi... curarmi e riportarmi a te.

Kadar                            - Tranquillizzati... farò tutto quello che è in mio potere per aiutarti. (Altro tono) Grazie, abbiamo finito. (Accende tutta la luce).

Anna                             - (sta davanti all'apparecchio. Alza con gesto lento le mani e si copre il volto) Per la prima volta nella vita mi vergogno. Spie­gami questa mia sensazione.

Kadar                            - (a passi lenti va alla scrivania e si siede. Gioca col tagliacarte. Il suo volto è mortal­mente serio) Soltanto della menzogna e della viltà bisogna vergognarsi; della realtà non ci si deve mai vergognare. Vestiti.

Anna                             - (ha la camicetta in mano. Con sponta­neo pudore va dietro il paravento dove ri­mane a vestirsi e ad aggiustarsi i capelli) Che cosa hai saputo di me?

Kadar                            - (serio, senza pathos) La verità.

Anna                             - (esce dal paravento) E qual'è la verità?

Kadar                            - Siedi qui. (Indica la poltrona vicina alla scrivania) La verità è che devo rendere giustizia al dottor Zoltan. Non è un cattivo medico: vede bene anche senza i raggi.

Anna                             - Alludi alla sua diagnosi?

Kadar                            - La sua diagnosi era esatta. Anch'io ho trovato quello che ha trovato lui e nien­te altro.

Annna                           - Lo hai detto come se pronunziassi una sentenza.

Kadar                            - Non hai motivo di temere di questa sentenza. Ti ho visitata, sei sana. Ho visto il tuo cuore, in ogni significato della parola, e ti ho trovata pura e senza peccato.

Anna                             - (con un sorriso timido) Anche questo rivela la Roentgen?

Kadar                            - (cerca anche lui di sorridere) La Roentgen rivela soltanto i segreti del corpo; è compito del medico dedurre i segreti dell'anima dalle rivelazioni del corpo.

Anna                             - Dimmi sinceramente: sono ammalata?

Kadar                            - Se me lo domandasse un'estranea le risponderei che è perfettamente sana; ma a te non posso dire la stessa cosa. Tu attra­versi una crisi e il tuo corpo ne risente... direi che si modella quasi sulla crisi dell'anima. Tu temi di lasciarti sfuggire la vi­ta... o meglio qualche cosa che la rende­rebbe più piena... un sentimento, la feli­cità... o quello che si chiama così.

Anna                             - Perché parli con tono sprezzante della felicità?

Kadar                            - Perché conosco la materia di cui è fatta, so che è deteriorabile come ogni ma­teria umana, e tuttavia mi dico che nessuno ha il diritto di privare un altro di quella nebulosa chimera che si chiama felicità.

Anna                             - Cosa vuoi fare di me?

Kadar                            - Naturalmente anche per me sarebbe più facile se anch'io potessi prescriverti pol­verine o calmanti: ma ti dico francamente che non ho gran fiducia in questi medicinali. Qualche volta bisogna decidersi e operare.

Anna                             - Ho bisogno di un'operazione...?

Kadar                            - Sì, hai bisogno di un'operazione. Non temere: devi partire e devi partire senza di me.

Anna                             - È la soluzione che avevo proposto io, prima. Sono entrata in questa stanza decisa a dirti la verità, ma ora che mi hai visitata e mi hai parlato, sono incerta. Sei molto buono... La bontà è l'arma più pericolosa che un uomo possa adoperare contro un al­tro... Sono senza forze contro la tua bontà.

Kadar                            - Non sono buono. Sono un egoista, vo­glio tenerti per me, riconquistarti, e non c'è che un modo solo: ridarti la libertà. Allon­tanati da me, cerca nel mondo quello che ti pare di non aver trovato in questa casa. Sei libera. Soltanto gli uomini liberi possono co­noscere se stessi, i loro veri desideri. Devi partire. L'operazione è urgente... Tornerai da me quando l'avrai superata.

Anna                             - È certo che tornerò da te?

Kadar                            - (molto duro, rauco) È certo come la morte!

Anna                             - Oh come sono tetri i tuoi paragoni! Sei medico fino all'anima. Mentre mi inco­raggi a guarire e mi spingi verso la salute, pronunzi il nome della morte.

Kadar                            - Non devi temerla, questa parola! É crudele, ma conoscendola meglio si sente che racchiude una certa dolce forza. Vorrei farti coraggio, darti animo per affrontare questa strada che non si può evitare, perché vera­mente non esiste un rimedio migliore della sincerità, del taglio netto. Perciò ti man­do via.

Anna                             - E ora che sai già tutto, credi ancora che l'operazione sia tanto urgente?

Kadar                            - Nulla è più urgente! Devi partire sta­sera stessa, come volevi.

Anna                             - Perché dici che volevo partire stasera?

Kadar                            - (va alla scrivania e prende una busta dal cassetto) L'Ufficio Viaggi per isbaglio ha mandato a me il tuo biglietto di vagone-letto ed il tuo passaporto col visto francese. Sii forte. È il momento dell'operazione. Cer­chiamo di superarlo. (Le porge passaporto e biglietto) Ecco... i biglietti, il passaporto, il vagone-letto fino a Nizza per stasera.

Anna                             - Quando li hai avuti?

Kadar                            - Ieri, nel pomeriggio. Me li hanno con­segnati in Clinica.

Anna                             - Ma ieri abbiamo passato la serata in­sieme... siamo stati a teatro... abbiamo ce­nato fuori. Sei stato gentile e premuroso con me come sempre. Un'ora fa mi hai detto che volevi portarmi al mare... mi hai visi­tata come il medico visita un ammalato. Mi hai spinta ad essere sincera... hai detto che tornerò a te... che è certo come la morte... e dal pomeriggio di ieri sai che voglio la­sciarti, che ho già preso i biglietti... che ho il visto... sai tutto e taci! Sei gentile, pre­muroso e da 24 ore serbi nel tuo tiretto le prove della mia fuga! (Erompe) Mi fai or­rore! È inumano ciò che hai fatto !

Kadar                            - Forse il mio silenzio è stato inumano... ma può darsi invece che sia stato profonda­mente umano... tristemente e meschinamen­te umano. Ho taciuto e parlavo d'altro perché qualunque azione tu potessi commettere io non l'avrei mai considerata un tradimen­to. Sì, credevo di poter compiere un mira­colo tacendo in queste 24 ore e parlando di altre cose, per poi chiederti di darmi un po­sto in quello scompartimento del vagone-letto che stasera ti porterà verso Nizza. Ma oramai ho capito che miracoli non se ne fanno.

Anna                             - Quando l'hai capito?

Kadar                            - Quando eravamo dinanzi all'apparec­chio Roentgen.

Anna                             - E cosa ti ha mostrato l'apparecchio?

Kadar                            - Nulla di interessante per il medico... però in un attimo, mi ha fatto vedere qual'è veramente l'essenza della vita, il suo signi­ficato. Ho capito che invano, da 24 ore, di­sperato e deciso a tutto, recitavo la mia parte più difficile. Invano tentavo di tenerti por me. Ho capito che dovevi andar via, e ho abbandonato la lotta. Va!

Anna                             - È questa l'operazione?

Kadar                            - Sì, è questa.

Anna                             - E non c'è rimedio?

Kadar                            - Non c'è rimedio.

Anna                             - Se ora mi dici una sola parola, se mi dici soltanto: «rimani»... io rimango per sempre.

Kadar                            - Non ho più il diritto di pronunziare una tale parola. Ti dico: va. E ti dico an­cora un'altra cosa, ma non dimenticarla, e scolpiscila nel tuo animo...

Anna                             - Dimmelo.

Kadar                            - Ti aspetto.

Anna                             - È così certo che tornerò?

Kadar                            - Certo come è certo che le stelle splen­dono sul mondo disperato. Al più tardi, fra sei mesi, sarai di nuovo da me e rimarrai qui per sempre.

Anna                             - Ma allora perché non mi trattieni con la forza?

Kadar                            - Non esiste forza capace di legare i sentimenti umani. (Le va vicino, le prende il volto tra le mani) Va, va... come volevi. Non puoi agire diversamente. E per conge­darti da me, lasciami ancora guardare il tuo volto, l'unico al mondo che conosco vera­mente. Un giorno svanirà questo maligno incanto e allora tornerai.

Anna                             - Quale viatico mi dai per il mio lungo viaggio ?

Kadar                            - La mia certezza nella tua innocenza. Non sei colpevole, sei soltanto una vittima.

Anna                             - Giurami che potrò sempre tornare da te, in qualsiasi momento.

Kadar                            - Ti aspetterò sempre e potrai tornare sempre.

Anna                             - Sai tu cosa c'è ora nel mio cuore? Quanta vergogna, quanta selvaggia irrequie­tezza? Sono davvero una donna infedele e cattiva che va in cerca di un'avventura?

Kadar                            - Avventura?... che grande parola, ca­ra! La vita e la morte non sono che un'unica avventura.

Anna                             - Ti rivedrò ancora in questa vita?

Kadar                            - Mi rivedrai quando vorrai.

Anna                             - Un solo gesto della tua mano, una tua sola parola, basterebbe a trattenermi.

Kadar                            - Nessuna parola e nessun gesto avreb­bero il potere di trattenerti.

Anna                             - E allora non mi odierai mai?

Kadar                            - Mai.

Anna                             - Che sarà ora di me?

Kadar                            - Tutto avverrà come il destino ha di­sposto.

Anna                             - Allora, addio!

Kadar                            - A modo mio pregherò Dio di essere dolce e clemente con te! (Anna esce. Breve pausa durante la quale Kadar rimane im­mobile in mezzo alla scena con la testa alta, quasi protesa, fissando davanti a sé con espressione seria. Poi va alla scrivania si siede, nasconde il viso tra le mani. Per un attimo appare accasciato e invecchiato. Si toglie le mani dal viso, con un gesto ener­gico prende il ricevitore del telefono interno e dice duro e risoluto) Mandatemi il dottor Zoltan

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

L'azione continua. Kadar siede immobile da­vanti alla scrivania con le braccia conserte.

Zoltan                           - (si ferma sulla soglia e si inchina ri­gido) Mi avete chiamato, professore?

Kadar                            - Sono contento di avervi trovato an­cora qui! Sedete...

Zoltan                           - Grazie. (Non si muove).

Kadar                            - (brusco) Vi ho detto di sederei

Zoltan                           - (offeso) Come volete...

Kadar                            - (gli sta di fronte con le braccia conserte e lo fissa) Chi ha proposto di partire per la Francia? Voi o mia moglie?

Zoltan                           - Sono stato io a consigliare questa so­luzione.

Kadar                            - Prima o dopo la visita medica?

Zoltan                           - Dopo.

Kadar                            - Quando l'avete visitata per la prima volta?

Zoltan                           - Tre mesi fa.

Kadar                            - E che cosa le avete trovato?

Zoltan                           - Nulla di speciale.

Kadar                            - Avete fatto l'esame del sangue?

Zoltan                           - Non ce n'era bisogno.

Kadar                            - L'avete visitata con la Roentgen?

Zoltan                           - Non c'era ragione.

Kadar                            - Può darsi... però sarebbe stato ro­stro dovere di farlo!

Zoltan                           - I sintomi accusati dall'ammalata... dalla signora... non mi obbligavano a farlo.

Kadar                            - Avete mancato al vostro dovere.

Zoltan                           - (tremando dall'agitazione, ma ormai anche lui freddo e duro) Assumo la responsabilità delle mie azioni. So di dovervi ren­der conto di ciò che ho fatto perché vi ho offeso come uomo. Se volete soddisfazione secondo le solite convenienze sociali mi ten­go a vostra disposizione. Del resto... lascio il mio posto di lavoro... mi allontano dall'Ungheria. Ma c'è una cosa che non per­metto né a voi né a nessun altro: di dubi­tare della mia onestà professionale. Sono l'unico a giudicare quale sia il mio dovere quando un ammalato si rivolge a me.

Kadar                            - E io sono l'unico a giudicare se un medico è coscienzioso o no, se adempie ai suoi doveri verso un ammalato, specialmente se l'ammalato è mia moglie.

Zoltan                           - Mi ritenete un medico poco scrupo­loso?

Kadar                            - Sì.

Zoltan                           - La vostra è un'offesa! Siete disposto a documentarla?

Kadar                            - Su questo punto deciderò a suo tem­po... in un giorno che non sarà precisamente domani, ma che non è troppo lontano.

Zoltan                           - E cioè?

Kadar                            - Entro sei mesi... forse un po' prima... in nessun caso più tardi.

Zoltan                           - Domani vado via. Naturalmente po­trei rimandare la partenza; ma non capisco perché dovrei aspettare sei mesi...

Kadar                            - Anche a questa domanda risponderò a suo tempo. Però devo constatare che an­cora una volta non avete detto la verità. Voi non partite né domani né dopodomani ma stanotte col direttissimo della Riviera.

Zoltan                           - Mi accorgo che non conoscete esat­tamente le cose.

Kadar                            - Credo di conoscerle e forse con mag­giore precisione di quanto non sospettiate.

Zoltan                           - Mi rincresce che il nostro commiato avvenga così; ma è giunto il momento in cui non posso più vedere in voi il mio superiore, ma un uomo come me... col quale mi è le­cito trattare da pari a pari... e dal quale ho il diritto di esigere che conosca finalmente la verità e la affronti.

Kadar                            - Non sapete che grandi parole pronun­ziate! Osate negare di avere abusato della fiducia che tutti vi dimostravano in questa casa... e di esservi preparato a fuggire con una disgraziata, approfittando della sua de­bolezza?

Zoltan                           - Sì, oso negarlo! Tutto questo è ve­ro... eppure non è vero. La donna che voi chiamate disgraziata, non merita il vostro apprezzamento perché non ha nulla da rim­proverarsi. È esatto: abbiamo dei progetti comuni per l'avvenire, e in tale situazione un uomo non può proclamarsi innocente. Ma neanche io sono colpevole nel senso che voi immaginate. La vostra vita coniugale era già cessata, si era dissolta. Ho sempre rispet­tato la vostra casa e non l'ho offesa neppure con un pensiero meno onesto. Vostra moglie non è stata mai infedele! Voi avete lasciato sola la sua anima... ed essa si è rifugiata in me. La forza del nostro incontro è stata tale, da abolire ogni possibilità di vivere tutti e tre insieme sotto lo stesso tetto. Abbiamo de­ciso di abbandonare tutto e di ricominciare una nuova vita. Ognuno paga il suo scotto come può : io, lasciando il mio tranquillo po­sto di lavoro, la mia famiglia, il mio avve­nire assicurato... lei, gli agi e le comodità di questa casa fastosa che per lei non è più una casa, per seguirmi nell'incertezza dell'avvenire. Oggi vi avremmo comunicata la nostra decisione. Lei parte per Nizza e aspet­ta lì il divorzio; io vado a Parigi nell'Isti­tuto che mi ha invitato. Non la rivedrò che il giorno in cui diverrà mia moglie. Dettate pure le vostre condizioni!

Kadar                            - Prima di tutto, non acconsento al di­vorzio.

Zoltan                           - Non acconsentite?! Allora create una situazione immorale.

Kadar                            - Non mi interessa più la morale come è comunemente intesa dalla gente. Anch'io ho le mie opinioni sulla morale.

Zoltan                           - Non riesco a seguire il filo dei vostri pensieri... (Pausa) Voglio dare il mio nome alla donna che abbandona la vostra casa.

Kadar                            - Ed io insisto perché porti il mio nome anche dopo di avere abbandonata la mia casa... Perché porti il mio nome finché vi­ve... e anche dopo... in vita e in morte.

Zoltan                           - Anche se non vive più nella vostra casa?

Kadar                            - Anche se non vivrà più in casa mia. Non è tutto. Mia moglie non può viaggiare sola. Devo pregarvi di accompagnarla nel suo viaggio, questa notte stessa.

Zoltan                           - Credo di non aver sentito bene! Ave­vo offerto l'unica soluzione onesta che un uomo al posto mio può offrire. So di procu­rarvi un dolore... non c'è separazione senza dolore. Ma è certo che agli occhi del mondo il mio contegno è onesto.

Kadar                            - Agli occhi del mondo, sì, ma non ai

miei!

Zoltan                           - Ora mi dovete una spiegazione! La condizione che ponete è un'offesa per la don­na che porta ancora il vostro nome!

Kadar                            - E lo porterà finché vivrà. (Calmo, triste, lucido) Per tutto quello che è accaduto, siete disposto a pagare soltanto un prezzo modesto: riparazioni cavalleresche... deco­rose condizioni di divorzio... Io però esigo di più! Esigo che, dal momento in cui Arma uscirà dalla mia casa, voi non la lascerete mai più sola. L'accompagnerete, rimarrete accanto a lei, qualunque cosa accada.

Zoltan                           - Per quanto sia assurdo che proprio voi lo desiderate... vi dò la mia parola.

Kadar                            - Grazie! Eh lo so... sarebbe molto più semplice comportarsi cavallerescamente e al­lontanarsi a testa alta da una casa dove è crollato irrimediabilmente tutto quello per cui vale la pena di vivere. Voi pagherete invece, e pagherete un prezzo che raramente, un uomo ha pagato per un'avventura.

Zoltan                           - Chiamate avventura il nostro legame?

Kadar                            - L'ultima avventura, sì. Non dobbia­mo aver paura delle parole. E dovete ras­segnarvi anche a questo... che mentre Anna sarà lontana, provvedere io a tutto ciò che occorre per la sua vita.

Zoltan                           - Vi proibisco di continuare...

Kadar                            - (calmo) Non potete proibirmi nulla. Anna avrà bisogno di molto denaro, forse assai più di quanto non immaginiate! Di­sporrò che aprano un conto corrente per voi.

Zoltan                           - Fate di tutto per umiliarmi. Capisco che mi odiate, ma non avete il diritto di of­fendere una signora che sarà mia moglie.

Kadar                            - Non vi odio e non voglio offendere nessuno. Voi parlate continuamente di adem­piere ai vostri doveri... anch'io ho dei do­veri... forse non così cavallereschi e non così brillanti come i vostri, ma per me sono egualmente sacri. Dunque... affrontiamo il problema finanziario. Baderete affinché An­na, in questi mesi, abbia tutto quello a cui era abituata e di cui avrà bisogno, e stia nel miglior ambiente e con le maggiori co­modità. Ecco per quale ragione faccio aprire un conto corrente al vostro nome a Parigi.

Zoltan                           - Non toccherò mai quel denaro!

Kadar                            - Un giorno lo toccherete. (Fa un gesto di fastidio) Se volete, consideratelo come un prestito. Quando poi verrà il momento fare­mo i conti.

Zoltan                           - Voi parlate di mesi, ma io parlo della vita!

Kadar                            - Siete medico e dovete sapere che, qualche volta, queste due parole hanno lo stesso significato.

Zoltan                           - A che pensate?

Kadar                            - A nulla di speciale... Un'altra condi­zione è che prendiate alloggio in un grande albergo. Non vi meravigliate! Sì, avete sen­tito bene... e non soltanto perché Anna sia circondata dal lusso... No no... neanche un grande albergo è il posto dove Anna può star bene. Dovrete cercare qualche altra co­sa, se non subito dopo l'arrivo, dopo qual­che settimana. Vi darò io un indirizzo.

Zoltan                           - Ora, non so di che cosa stupirmi mag­giormente... se del vostro sangue freddo, del­la vostra indifferenza o...

Kadar                            - (segna un indirizzo su un foglio strap­pato dall'agenda) ...o del mio cinismo. Vo­levate dire questo? Ditelo pure. È una casa tranquilla e discreta.

Zoltan                           - (legge l'indirizzo) Ma è l'indirizzo di una casa di cura?...

Kadar                            - È a Neuilly... un posto calmo, deli­zioso. Naturalmente anche voi vi alloggerete. La casa di Neuilly non la spaventerà. Il me­todo di cura è molto discreto...

Zoltan                           - Perché ... secondo voi avrà bisogno di cure cliniche?

Kodar                            - Subito subito, forse no. Ad ogni modo segnatevi l'indirizzo di Mezier.

Zoltan                           - Ma... Mezier, è un chirurgo...

Kadar                            - Un ottimo chirurgo, ed è un mio ca­rissimo amico. Gli scriverò oggi stesso per raccomandargli Anna.

Zoltan                           - Voi sapete qualche cosa che io igno­ro. Ditemi.... Anna è ammalata?

Kadar                            - (come se pronunziasse una sentenza) Il segreto professionale è obbligatorio non soltanto per voi, ma anche per me.

Zoltan                           - Fra noi non possono esservi segreti!

Kadar                            - (con tono gelido, inappellabile) Ho sempre avvertito i miei assistenti che quando si visita un ammalato, il quale accusa di­sturbi generici, bisogna fare la massima at­tenzione. Non c'è indagine o ricerca che pos­sa essere trascurata.

Zoltan                           - E voi permettete ad un'ammalata, che entro sei mesi, come voi stesso dite, potrebbe aver bisogno di un intervento chi­rurgico, di allontanarsi, di partire per l'este­ro...?

Kadar                            - Naturalmente posso permetterlo sol­tanto se durante il viaggio ha l'assistenza di un medico.

Zoltan                           - Devo intendere che inizierò il mio viaggio con una creatura mortalmente am­malata?

Kadar                            - Vi ripeto che anche io ho il dovere di serbare il segreto.

Zoltan                           - Il vostro dovere di medico e di uomo è di confidarmi questo segreto che io ignoro.

Kadar                            - (calmo e spietato) Siete non soltanto disonesto, ma anche codardo! Sono due cose che spesso vanno insieme. Un'ora fa dice­vate di voler compiere il vostro dovere: ora vi costringo io a farlo! Accompagnerete mia moglie nel suo viaggio... e se tutto finirà... darò disposizioni perché sia riportata in pa­tria. Voglio che anche dopo porti il mio nome. Perciò non divorzio. Orinai sapete tut­to. Oramai potete compiere il vostro dovere.

Zoltan                           - Mi mandate in viaggio di nozze con una moribonda?

Kadar                            - È mio dovere soddisfare gli ultimi suoi desideri.

Zoltan                           - E adesso... potete dirmi che cosa ha?

Kadar                            - Vi ricordate di quella giovane donna che tre settimane fa portarono qui da Arad?

Zoltan                           - L'ho assistita io... e io le ho chiuso gli occhi.

Kadar                            - Le due diagnosi sono identiche.

Zoltan                           - (dopo una pausa, con voce strozzata) Quanto tempo potrà vivere ancora Anna?

Kadar                            - Se la morfina sarà dosata con umani­tà,., ancora sei mesi.

Zoltan                           - E costringete me, proprio me, a do­sarle la morfina in questi ultimi sei mesi?

Kadar                            - Sì.

Zoltan                           - E non è possibile farla rimanere qui, vicino a noi?

Kadar                            - Non è più possibile! Vi impongo di partire con lei.

Zoltan                           - (affranto) Non ho nessuna attenuante. Non mi punite così severamente!

Kadar                            - Non conosco più pietà. Avrete ciò che speravate dalla vita... avrete le due più grandi avventure: l'amore e la morte.

Zoltan                           - Se non avete pietà di me, abbiatela almeno per Anna. Forse possiamo ancora aiutarla, qui, in casa... voi ed io.

Kadar                            - Non mercanteggio con voi. Entrambi dobbiamo fare il nostro dovere: voi parten­do con lei e io dandole la libertà e questa illusione di felicità che essa brama e che io so che è l'ultima.

Zoltan                           - Ma è una strada che conduce alla morte!

Kadar                            - Non posso fare altro.

Zoltan                           - E non la rivedrete più?

Kadar                            - Non potrò più rivedere quel volto co­me l'ho visto prima, quando mi sono con­gedato da lei e aveva negli occhi la luce della vita e della felicità.

Zoltan                           - E l'altro volto... lo cedete a me...?

Kadar                            - L'avete voluto voi.

Zoltan                           - Avete altre istruzioni da darmi?

Kadar                            - Scriverò io a Mezier.

Zoltan                           - Anna non sa nulla della sua malattia?

Kadar                            - Nulla. E farete in modo che ignori fino all'ultimo, fino a quando avrà coscien­za. Ecco... vi ho detto tutto. Da voi non desidero altro in vita mia.

Zoltan                           - Farò il possibile per accontentarvi...

(Si inchina ed esce. Pausa).

Ernestina                       - (entra) Sono quasi le cinque, pro­fessore.

Kadar                            - Che volete? (Come tornando in sé) Ah si... sono in ritardo. A chi tocca?

Ernestina                       - (Gli consegna la cartella clinica dell'ammalato) Il primo è il generale Darvas.

Kadar                            - Il generale... già già... (Legge il fo­glio) Avete portato i risultati degli esami?

Ernestina                       - Manca soltanto il cardiogramma.

Kadar                            - C'è molta gente, oggi?

Ernestina                       - Abbiamo otto appuntamenti. Alle 5 il generale Darvas,.. alle 5,30 la moglie del direttore dell'Ospedale di Kaposvar... alle 6 la moglie di Sua Eccellenza...

Kadar                            - Alle 6,30 il falegname della strada ac­canto ammalato di stomaco. E poi alle 7... alle 7,30... Va bene. (Pausa, passeggia due volte su e giù per la stanza, poi guarda Er­nestina e dice con calma) Dottoressa, vi de­vo affidare un incarico sgradevole.

Ernestina                       - Sapete che accetto sempre con pia­cere qualunque incarico, professore.

Kadar                            - Vi prego... avvertite i miei ammalati che non posso riceverli.

Ernestina                       - Oggi non si fanno visite? Ho ca­pito, professore. Rimanderemo gli appunta­menti a domani, a dopodomani....

Kadar                            - Non correte tanto con le date. Pregate tutti di rivolgersi ad altri. Io non visito più ammalati.

Ernestina                       - Sospendente le visite. Ho capito, va bene. Dirò agli ammalati che, dovendo partire, il professore sospende le visite per qualche giorno.

Kadar                            - Non vorrei illudere i miei ammalati. Non si tratta di qualche giorno...

Ernestina                       - Vi accingete ad un lungo viaggio?

Kadar                            - Non parto, non parto. Rimango qui, in questa casa, ma senza ammalati.

Ernestina                       - Già... volete dedicarvi completa­mente al lavoro clinico e rinunziare alla clientela privata...

Kadar                            - Rinunzio alla clientela privata e non voglio dedicarmi al lavoro clinico.

Ernestina                       - Allora significa... che non volete più fare il medico?

Kadar                            - Significa proprio questo.

Ernestina                       - Mandate all'aria il gabinetto?

Kadar                            - Mando all'aria tutto, sì. Non voglio più vedere nessuno.

Ernestina                       - E non vi occuperete nemmeno della direzione della Clinica?

Kadar                            - Rinunzio anche a quella. Vi prego, scrivetemi una lettera per il Ministro... Dite che non posso accettare la mia nomina.

Ernestina                       - E con quale motivazione devo giustificare la vostra decisione?

Kadar                            - Motivi personali gravi e imprevisti.

Ernestina                       - Ho capito, professore. Sarà fatto. (Pausa). Confesso di essere sconvolta.

Kadar                            - Il vostro posto alla Clinica vi sarà mantenuto. Che influenza può avere la mia decisione sui vostri progetti?

Ernestina                       - Ora mi vergognerei di parlarne. Voi oggi avete deciso su cose tanto gravi, che non oso farmi avanti con le mie piccole preoccupazioni. Abbandonate all'improvviso la vostra professione... rinunziate alla dire­zione della Clinica per la quale vi eravate preparato con tanto entusiasmo... Negli ul­timi anni spesso mi avete detto che essa rappresentava il coronamento della vostra vita..';'che era come una cupola su un gran­de edificio...

Kadar                            - Ah! ho detto così?... già... vanità e ambizione. Non possiamo fare progetti di cupole finché non abbiamo coscienziosamen­te collaudato le fondamenta dell'edificio.

Ernestdna                      - Ma stamattina stessa avete preso in consegna la Clinica...

Kadar                            - Stamattina, si... stamattina non pre­vedevo che l'uragano potesse essere così vio­lento.

Ernestina                       - E credete sul serio che uno scien­ziato come voi possa abbandonare tutto... ammalati, lavoro, ricerche?

Kadar                            - Lo credo. Non potrei fare diversa­mente... (Allarga le braccia con un gesto di rassegnazione, poi padroneggiandosi le incro­cia di nuovo, piano) ... perché sono stato bocciato. E quando si è bocciati bisogna ras­segnarsi.

Ernestina                       - Voi, il celebre mèdico, bocciato?

Kadar                            - Il medico e l'uomo, colui che vi sta davanti. Colui che stamattina col petto cari­co di onorificenze stava orgogliosamente al centro di una fiera della vanità mondiale, è stato bocciato in modo vergognoso nella sua vita privata e nella sua professione. L'uo­mo può compiere un delitto non soltanto con ciò che fa, ma anche con ciò che « non » fa, per distrazione o per indifferenza. Ho perduto il diritto di intervenire nella vita della gente; ho perduto il diritto di occu­parmi degli altri, di consigliarli. (Breve pau­sa, altro tono) Vi prego, comunicate la mia irrevocabile decisione ai miei superiori e ai miei ammalati.

Ernestina                       - Senza dubbio vi siete deciso ad abbandonare tutto per una grave delusione.

Kadar                            - Delusione...? Una parola troppo blan­da! Un completo crollo! È crollata tutta la mia fede negli uomini e nella vita.

Ernestina                       - Qualcuno ha abusato della vostra fiducia?

Kadar                            - Sono stato derubato di tutto, cara dottoressa. Guardatemi bene. Sulla scrivania c'è il mio decreto di nomina... questi gior­nali sono pieni di fotografie mie e di arti­coli che mi esaltano... (Apre un tiretto) Qui dentro ci sono centinaia di telegrammi di congratulazioni e di augurio... ecco le mie onorificenze... Questo è il libretto di conto  e questa è la mia casa… guardatevi intorno... Eppure qui dentro oggi io sono un mendicante...!

Ernestina                       - (è commossa. Si preme la bocca con un fazzoletto) Ora davvero non oso più par­lare della mia delusione, che mi sembra così meschina, eppure mi fa soffrire quanto la vo­stra profonda disperazione.

Kadar                            - Raccontatemi tutto. Chi sa... anche se non sono più capace di soccorrere me stesso, forse potrei soccorrere un altro.

Ernestina                       - Il dottor Zoltan vi ha informato che qui lascia tutto... e parte?

Kadar                            - Sì, sì, me l'ha detto.

Ernestina                       - Che abbandona il suo lavoro, i suoi esperimenti e se ne va via...

Kadar                            - Press'a poco era questo il significato delle sue parole.

Ernestina                       - Potrei chiedervi se vi ha anche detto che lascia non soltanto il lavoro e la professione, ma anche una persona... una donna?

Kadar                            - Chi sarebbe quella donna?

Ernestina                       - Io, professore.

Kadar                            - Voi?... No, non ne sapevo nulla. Per voi rappresentava molto il dottor Zoltan?

Ernestina                       - Era l'unica mia ragione di vita.

Kadar                            - Capisco... (Pausa) Sento molta pietà per voi. Ma se lo amavate tanto, perché non avete cercato di trattenerlo?

Ernestina                       - Ho fatto di tutto... ma oramai non sono più giovane... ho tre anni più di lui. Ero rassegnata a perderlo, ma la mia disperazione era di vederlo correre verso la sua rovina, trascinato da una forza irresi­stibile... o da una creatura malvagia... e al­lora ho pensato di chiedervi aiuto.

Kadar                            - Oramai non posso più far nulla.

Ernestina                       - Vi ha detto chi è la donna che lo ha strappato a me... alla sua professione?

Kadar                            - Naturale. Comunque, sono venuto a sapere chi è la signora con la quale voleva partire... quella che chiamate una creatura malvagia.

Ernestina                       - Potete dirmi il suo nome?

Kadar                            - Non posso dirvelo.

Ernestina                       - Sareste disposto a parlare con lei per impedire una simile pazzia?

Kadar                            - Non sono disposto.

Ernestina                       - E permetterete che un uomo si rovini per una banale avventura?

Kadar                            - Ogni uomo ha il suo destino segnato! Che potrei fare io? Però posso darvi un pic­colo conforto: il dottor Zoltan ci abbando­na, è vero, ma non precisamente come voi credete... parte in condizioni ben diverse... Gli ho affidato un compito professionale.

Ernestina                       - (avida) Allora rimarrà qui ancora qualche tempo?

Kadar                            - Non rimane. Parte per accompagnare un ammalato... l'ultimo ammalato del quale voglio ancora occuparmi... e che non può viaggiare senza l'assistenza d'un medico.

Ernestina                       - Sicché... parte ma non con la donna con la quale aveva deciso...

Kadar                            - È così, press'a poco. Se può esservi di conforto, dottoressa, sappiate che la don­na con la quale parte non è più la stessa...

Ernestina                       - Oh che sorpresa! Allora il vostro intervento gli avrebbe fatto cambiare idea?

Kadar                            - Potete sperarlo, dottoressa... anzi, posso assicurarvelo : è proprio il mio inter­vento che gli ha fatto cambiare idea.

Ernestina                       - Non immaginate che valore ab­biano per me le vostre parole! Sicché... for­se posso anche sperare che un giorno... più tardi... il dottor Zoltan tornerà...

Kadar                            - Può darsi che un giorno ritorni qui... da me verrà certamente... da voi, forse. La cosa non dipende più da me.

Ernestina                       - Mi avete ridato la forza. Rico­mincio a vivere e a respirare perché spero. Posso sapere chi è l'ammalato che il dottor Zoltan deve accompagnare?

Kadar                            - Chi è l'ammalato? Già già... dovete saperlo. Allora, per il nostro archivio, pren­diamo nota del decorso della sua malattia... (Ernestina subito va a sedere alla macchina da scrivere) ...saranno le ultime annotazioni di questo gabinetto medico.

Ernestina                       - (mette un foglio alla macchina, con calore) Eppure spero che non saranno le ultime. Anche in me rinasce la fede che in questa casa tutto tornerà a posto.

Kadar                            - Abbiate fiducia, cara dottoressa, abbiate fiducia finché la vita ve lo permette. Non c'è altro modo di sopportare l'esisten­za. Scrivete dunque... non dimenticate nul­la... Anzitutto la data di oggi, giorno della visita... (Ernestina scrive) ...il nome de­ll’ammalato... signora Anna Kadar, moglie del professor Pietro Kadar... (Ernestina smette di scrivere e guarda verso Kadar che davanti al caminetto, con le braccia conserte le volge le spalle) Avete scritto?

Ernestina                       - Non so se ho capito bene...

Kadar                            - Avete capito bene, dottoressa. Vi pre­go, continuiamo. Età... anni trenta...

Ernestina                       - (scrive lentamente e con incertezza) Anni trenta...

Kadar                            - Negli ultimi tre mesi ha perduto sei chili di peso. Accusa un malessere generale, capogiri, insonnia, tosse notturna, inappe­tenza. Dimagrimento violento e rapido... as­senza di dolori...

Ernestina                       - Assenza di dolori... (Mentre scri­ve) Posso farvi una domanda, professore?

Kadar                            - Vi sarei grato se non mi domandaste nulla, dottoressa. Continuiamo il nostro la­voro...

Ernestina                       - (come un automa) ...come abbia­mo fatto sempre...

Kadar                            - L'esame dell'ammalato rivela in modo inequivocabile una alterazione del polmone sinistro...

Ernestina                       - (alza lo sguardo) In modo ine­quivocabile?...

Kadar                            - La radioscopia conferma l'esito dell'esame. Specie della malattia...

Ernestina                       - Specie della malattia.

Kadar                            - (segna qualche cosa su una pagina del suo taccuino) Basta segnare con le inizia­li... (Con un gesto rapido e deciso strappa il foglio dal taccuino e lo tiene davanti agli occhi di Ernestina) Ecco... scrivete! (Erne­stina guarda e piano batte due tasti sulla macchina da scrivere; alza una mano da­vanti agli occhi e fa un cenno con la testa come per dire che ha capito tutto, poi si­lenziosamente comincia a piangere. Sevèro). Vi prego, dottoressa, non piangete.

Ernestina                       - (si alza come un automa. Nella si­nistra tiene il foglio e nella destra stringe il fazzoletto. Si asciuga gli occhi) Perdonatemi professore.

Kadar                            - Vi sentite male?

Ernestina                       - Non lo so. In questo momento non so nulla. (Si raddrizza e dice commossa e disperata) Per amor di Dio! Che cosa è accaduto qui?

Kadar                            - Parlate di Anna?

Ernestina                       - Di Anna... di noi... di noi tutti... Quando siete venuto a sapere...?

Kadar                            - Mezz' ora fa. Mezz'ora fa ho saputo che Anna è mortalmente ammalata... che forse non avrà sei mesi di vita.

Ernestina                       - Mezz'ora fa!... sapevate di dover perdere l'unica creatura che amate e io, in­tanto, venivo a disturbarvi con le piccole miserie dei miei sentimenti!

Kadar                            - I vostri sentimenti e questa tragedia in un punto si incontrano. Non senza ra­gione faccio accompagnare quella giovane e sventurata donna dal dottor Zoltan.

Ernestina                       - Ma lui sa che Anna...?

Kadar                            - Ora lo sa.

Ernestina                       - E ha tanto coraggio da partire?

Kadar                            - Non può fare altro. Deve obbedire ai miei ordini... sono legati per ordine mio... sono legati per la vita e per la morte... la donna che io amavo e l'uomo che amavate voi, dottoressa.

Ernestina                       - E Anna lo ama?

Kadak                           - Anna ama la vita che deve abbando­nare. Amore e morte qualche volta sono com­plici e si aiutano l'un l'altro porgendosi la mano. Alla fine della nostra carriera dove­vamo imparare anche questo.

Ernestina                       - Farei qualunque sacrificio per esservi di aiuto.

Kadar                            - È impossibile porgersi aiuto a vicen­da. Nei momenti supremi tutti rimaniamo soli. Non posso chiamare un medico per il mio dolore... devo sopportarlo.

Ernestina                       - Bisogna sopportarlo! (Sospira) So­no le cinque e mezzo. Che devo dire a quei disgraziati che aspettano?

Kadar                            - La verità... di cercarsi un altro me­dico perché io non voglio più curare nessuno.

Ernestina                       - Questa è l’ora della disperazione, professore. Ma passerà, passera. Non potreste rimanere sordo e inattivo quando i sofferenti vi supplicheranno di aiutarli.

Kadar                            - (freddo quasi sprezzante) Perché dovrei far guarire degli estranei quando nessuno è capace di far guarire l'unica persona che amo? Perché dovrei soccorrere gli altri, quan­do nessuno soccorre la sola persona che conti nella mia vita? Dite loro che non intervengo più nelle sorti umane. (Altro tono) Non ve ne abbiate a male, ora vorrei rimanere solo.

Ernestina                       - Perdonatemi... ero così turbata e addolorata... (È già sulla soglia) ...ho dimen­ticato di dirvi che quel dottore è di nuovo qui... Devo mandar via anche lui?

Kadar                            - Quale dottore?

Ernestina                       - Il vostro amico, il dottor Szeke­res. È in sala d'aspetto con gli ammalati.

Kadar                            - Vi ha detto che cosa vuole?

Ernestina                       - Pare che abbia ancora qualche cosa di importante da dirvi. Nient'altro. Devo mandarlo via?

Kadar                            - No no. Forse anch'io dovrò dirgli qualche cosa di importante che prima non sapevo. Fatelo passare, vi prego. (Ernestina esce).

Szekeres                        - (entra. È agitato) Ti ringrazio di ricevermi di nuovo mentre la tua sala di aspetto è piena di ammalati.

Kadar                            - La mia assistente mi ha detto che hai qualche cosa d'importante...

Szekeres                        - Devo dirti la verità. Ero già alla stazione... all'improvviso mi son reso conto di qualche cosa che prima non vedevo chia­ramente. Ho sentito il bisogno di torna/re, di parlarti, di dirti la verità.

Kadar                            - Quale verità?

Szekeres                        - Ho compreso di non essere stato sincero con te, prima. Tutta la mia vita è stata dolore e menzogna. Sei stato tu che hai scelto la strada migliore.

Kadar                            - Io?...

Szekres                          - Tu hai scelto il sentimento, l'affet­to. Hai ripudiato la fredda vanità... ti sei dedicato ad un solo essere umano invece che a tutta l'umanità. Hai avuto ragione tu.

Kadar                            - E sei tornato per dirmi questo?

Szekeres                        - Non si può vivere soltanto per un vano e falso concetto di gloria. Sono tornato per confessarti che la mia vita è stata vuota, sterile. La mia tragedia coniu­gale mi ha talmente offeso che, nel mio do­lore, mi sono allontanato dal mondo. Non credevo più all'amore. Ma non è vero che il lavoro e il dovere bastino a riempire una esistenza... non è vero che si può vivere sol­tanto per un'idea. Sono stato codardo è or­goglioso come tutti coloro ai quali manca l'amore. Ed ero venuto qui a piantarmi da­vanti a te per chiederti conto del tuo lavoro, degli eroismi compiuti, del tuo spirito di ab­negazione, compiacendomi di rappresentare la parte del moralista e giudicandoti come se ne avessi avuto il diritto... Ah! ah...

Kadar                            - Non ho dubitato neanche per un at­timo che la tua concezione della vita fosse più nobile e più elevata!

Szekeres                        - Uscendo di qui, stamani, mi sen­tivo serrare la gola. Era la menzogna di cui è satura la mia vita che cominciava a soffocarmi. Uscendo ho incontrato tua mo­glie. Si è fermata un attimo e mi ha fissato quasi senza vedermi. Il suo viso era rag­giante di felicità. È stato allora che ho compreso. Ripeto: tu hai seguito la strada mi­gliore, perché non hai scelto il genere umano e il bel ruolo, ma una donna e la felicità.

Kadar                            - (calmo, sènza ironia, ripete serio) Io ho seguito la strada migliore perché ho scel­to una donna e la felicità.

Szekeres                        - Volevo dirti soltanto questo.

Kadar                            - (quando Szekeres è già arrivato alla porta, di colpo si alza dalla poltrona e al­lunga una mano verso di lui, con voce rauca) Rimani.

Szekeres                        - I tuoi ammalati aspettano...

Kadar                            - Non aspetteranno più molto. Rimani ancora un momento... Giacché sei tornato apposta per... per farmi conoscere la verità, come tu dici... questa inaspettata... sì, ina­spettata e sorprendente verità... (Si alza, guarda fisso Szekeres) Prima mi avevi chie­sto qualche cosa...

Szekeres                        - Ti chiedevo di compiere un sacri­fizio! (Con amara ironia) Proprio io! Io che in un momento decisivo della vita non ho avuto abbastanza coraggio per compierlo! Dimentica la mia visita: ora non ti chiedo più nulla.

Kadar                            - Da quando mi hai lasciato... da quan­do sei andato via da questa casa... dove hai incontrato una persona... una persona col viso raggiante di felicità... in questa casa sono accadute molte cose. Intanto ho deciso di esaudire il tuo desiderio. Rinunzio alla mia clientela privata. In avvenire lavoreremo insieme, riprenderemo il nostro lavoro dove l'abbiamo lasciato venticinque anni fa. Hai voglia di farlo?

Sezekeres                      - Non ho il diritto di chiedertelo, ma se lo farai, non avrò vissuto e sofferto inutilmente.

Kadar                            - Lo farò. E allora forse veramente un giorno ci convinceremo di non avere vissuto e sofferto inutilmente.

Szekeres                        - Perché ? Anche tu hai sofferto?

Kadar                            - Il 'vero contenuto della vita non si misura col tempo. Qualche volta una sola mezz'ora ci procura tutti quei dolori che abbiamo sempre cercato di evitare...

Szekeres                        - Puoi confidarmi che cosa è acca­duto qui in queste poche ore?

Kadar                            - (lo accompagna verso la porta appog­giandogli una mano sulla spalla) Non do­mandarmi nulla... L'avvenire ti risponderà. Ora parti... va dai tuoi ammalati e se non ti sentirai più legato a nulla, torna da me e insieme riprenderemo il nostro lavoro.

Szekeres                        - Tornerò più presto di quanto non credi.

Kadar                            - Ormai il tempo per me non ha più né valore, né significato. (Lo accompagna fino alla porta. Sulla soglia si lasciano senza prof­ferire parola con una stretta di mano. Quan­do Szekeres è andato via, Kadar rimane ancora un momento nel vano della porta, volgendo la schiena al pubblico, con le spal­le curve e la testa china. Dal laboratorio en­tra Ernestina. Kadar si volge lentamente) Avete mandato via gli ammalati dottoressa?

Ernestina                       - Non è stato facile, professore. La signora di Sua Eccellenza si è offesa e vi telefonerà... il generale è andato in collera e certamente vi scriverà una lettera...

Kadar                            - Risponderemo alla lèttera e alla tele­fonata e faremo del nostro meglio per cal­marli... Sicché se ne sono andati tutti?

Ernestina                       - Tutti, eccetto uno... quel povero falegname che voi stesso avete invitato a venir qui dall'Ambulatorio per esaminarlo più attentamente. D'unico che non poteva andar via perché ha avuto un attacco.

Kadar                            - (subito) Di là... in sala d'aspetto...?

Ernestina                       - Si, un momento fa. Ma ora sta già un po' meglio. Per fortuna non c'era più nessuno quando si è sentito male. Elisabetta mi ha aiutata a stenderlo sull'ottomana e così si è calmato.

Kadar                            - (serio, commosso) È un incidente che sconvolge i miei propositi... Non crederete sul serio che un ammalato che ha avuto un attacco nel mio gabinetto io lo lasci andar via senza neppure visitarlo! Dite alla signo­rina di preparare la stanza e dite all'amma­lato che lo ricevo subito.

Ernestina                       - (confusa) Ne ero sicura, profes­sore... (Sembra che voglia dire qualche co­sa. Breve pausa. Esce. In questo momento silenziosamente entra Elisabetta. Va in pun­ta di piedi verso l'ottomana. Ha sul braccio un piccolo cuscino e un lenzuolo che stende sull'ottomana).

Kadar                            - (mentre sta preparando una siringa) Per favore, Elisabetta, datemi un ago nuovo per la siringa.

Elisabetta                      - Subito, signor professore.

Kadar                            - (si rimbocca le maniche del camice, va a lavarsi le mani e intanto dice) E poi, dite alla dottoressa di telefonare per le fia­lette che abbiamo ordinato stamane.

Elisabetta                      - Le hanno portate poco fa.

Kadar                            - (si asciuga le mani) Tanto meglio, Datemele subito insieme con l'ago. (Riat­tacca l'asciugamano, si rimette a posto le maniche. Solo adesso guarda Elisabetta che è anche lei al centro e lo fissa) Desiderate qualche cosa?

Elisabetta                      - (guarda con gli occhi sbarrati Ka­dar immobile. È mortalmente pallida e dice con le labbra tremanti) Non desidero nulla, signor professore...

Kadar                            - (la fissa con attenzione) Avete bisogno di qualche cosa? ...perché siete così palli­da...? non vi sentite bene?

Elisabetta                      - (c. s.) Non ho nulla, signor pro­fessore. Soltanto...

Kadar                            - Dite, dite... avanti!

Elisabetta                      - Soltanto vi chiedo perdono... mi vergogno terribilmente di essere cosi inetta...

Kadar                            - Non vi capisco. Quando siete stata inetta?

Elisabetta                      - Sempre, signor professore... per tutta la vita. Si è inetti quando non si rie­sce a far nulla per coloro che amiamo... (Si volge ed esce in fretta, a testa china, quasi fuggendo. Kadar rimane solo. Segue con lo sguardo Elisabetta e sul volto ha un'espres­sione di stupore. Alza le spalle e scrolla la testa. Non si è reso conto che ora è uscita dalla stanza l'unica persona che veramente lo ama. Un po' curvo, come prima - pare che  questo oramai sarà l'atteggiamento che prenderà sempre - attraversa la stanza. Si ferma davanti alla porta della sala d'aspetto, tossisce piano, chino preme la maniglia, apre a metà la porta e volgendosi verso la sala di aspetto invisibile, dice con lentezza e mac­chinalmente) Prego... chi è primo...

FINE