L’ultima carta

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L’ULTIMA CARTA

L’ULTIMA CARTA

Dramma poliziesco in tre atti

DI  GIUSEPPE ROMUALDI

PERSONAGGI

MARIA D’ANTEC

ELVIRA DAMOUR

SIGNORA BOILOT

GIACOMO DELVILLE

LE PORTE

AVVOCATO LASCARD

CARLO REVERS

BARONE CARLO DE CRUCY

DOTTOR BELVAL

SARCOT

BRIGADIERE

GERARD

VECCHIO COMMESSO DI STUDIO

UN AGENTE

AGENTI DI POLIZIA IN BORGHESE E IN DIVISA

 

Commedia formattata da

Questa commedia di Giuseppe Romualdi appartie­ne ad un genere poliziesco forse più dignitoso di tanti altri che ci è capitato di conoscere. « L'ul­tima carta », mentre nulla ha da invidiare a quel­le

inglesi o americane malamente adattate da ro­manzi, possiede intanto la buona qualità d'esser nata direttamente per il teatro; quindi le propor­zioni delle sue scene sono ben calcolate, j perso­naggi di scorcio non sorpassano la propria mi­sura, cioè restano di scorcio, e si sente che i tagli sono stati calcolati mentre s'immaginava l'azione e non già adattati a scorciare proporzioni da libro. Ma Giuseppe Romualdi è un vecchio autore dram­matico, ohe ormai conosce il mestiere e ce lo fa sentire. Particolare che se da un lato scopre le in. tenzionj dell'autore, resta però sempre conforte­vole, come ogni eccesso di tecnica; e sapete che in questi ultimi tempi, in tutte le arti il valore della tecnica sì viene rivalutando come giusta reazione ai nostri primitivismi rivoluzionari, sa­crosanti e benedetti ognora. In questa commedia i personaggi sono fecondi, chiari, dimostrativi, destri e sorprendenti, come tanti avvocati che vo­gliono impressionare i giurati, dal « TEVERE ».

L'ufficio dell'Ispettore Capo di Polizia. Ar­redamento elegante, ma semplice. Grande tavolo da lavoro, coperto di carte, libri e fascicoli che l'Ispettore consulta durante l'interrogatorio, an­notando qua e là, e prendendo appunti sul suo taccuino. E' sera.

(Sono in scena: l'Ispettore Belville, elegante, energico, intelligentissimo. Egli è seduto al suo tavolo. Innanzi a lui, anche seduto, è Gerard, vecchio commesso di studio del notaio Bor­deaux; saccente, sempre offeso del mancato ri­conoscimento della sua importanza.

(In piedi è la signorina Maria Dantec, la go­vernante del Notaio, donna sui cinquanVanni, vestita correttamente di scuro; aria di signora decaduta che tiene sempre a ricordare in ogni gesto la passata condizione. Romantica e - meno in poche battute di grande sincerità - melodrammatica).

L'Ispettore                    - Dunque ancora scrupoli, eh?...

Maria                             - Come dice?

Gerard                           - (a Maria) Il signor Ispettore vor­rebbe sapere...

L’Ispettore                    - (interrompendo) Quel che de­sidero sapere lo chiedo da me.

Gerard                           - Scusi, credevo...

L'Ispettore                    - Già, lei, era una specie di fac­totum del povero notaio, è vero?

Gerard                           - (con importanza) Ero nel suo stu­dio da venticinque anni, si figuri.

L'Ispettore                    - Curioso studio il vostro.

Gerard                           - Perchè?

L'Ispettore                    - Grandi stanze, mobili di stile, e tre persone in tutto...

Gerard                           - Uno studio all'antica, sissignore. Si figuri che in nostra assenza il signor Notaio apriva la porta d'ingresso da se. Non amava facce nuove. Ed aveva ragione, mi pare...

L'Ispettore                    - Ah! Perchè anche voi pensate che il giovanotto... eh?

Maria                             - (sentenziosa) Io dico che nessuno può con sicurezza affermare quando non ha visto. Questo fa parte della buona educazione - per chi ne ha ricevuta. - Ed io, signor Ge­rard, l'ho ricevuta!

L'Ispettore                    - Ah! già! Un bel funerale e non se ne parli più, vero?

 Maria                            - lo non dico questo... ma cercare non significa credere...

L'Ispettore                    - Capperi! Anche la filosofia!

Gerard                           - E poi, signorina Mary, ci sono gli indizi... che diamine!

L'Ispettore                    - Ha capito eh? Lo sa che sono gli indizi, lei?

Maria                             - Sì che lo so...; ma gli indizi non debbono diventare sospetti.

L'Ispettore                    - Ogni indizio si risolve in un sospetto. Sono padre e figli; indissolubili.

Maria                             - Quando il sospetto è sbagliato, non impedisce poi di vedere l'indizio vero?

L'Ispettore                    - Psicologia giudiziaria? Brava!

Maria                             - Il buon senso e la coscienza hanno i loro diritti. Almeno questo mi è stato insegnato.

L'Ispettore                    - Ma quando poi mi rivolgo pro­prio al suo buon senso, e le chiedo una osser­vazione, un rilievo, un giudizio... ecco che lei tace e si rifiuta.

Maria                             - Il buon senso mi consiglia di ta­cere...

L'Ispettore                    - Ma perchè?

Maria                             - Perchè una parola di più può diven­tare un'accusa contro...

L'Ispettore                    - Contro?

Maria                             - Contro chi può non essere colpevole.

L'Ispettore                    - Ah! l'ha detto, finalmente! Ella crede che il giovanotto sia innocente come l'acqua, è così?

(Gerard fa un gesto come per dire: è pazza!)

Maria                             - Non ho detto questo, signore. Non ho il diritto di dirlo.

L'Ispettore                    - Ma lo pensa... questo è evi­dente.

Maria                             - lo domando a lei : debbo dire quello che ho visto e sentito, oppure anche quello che penso?

L'Ispettore                    - Tutto, le ripeto, tutto!

Gerard                           - Sì, la signorina Mary ha sempre avuto una qualche simpatia... oh! perfettamente onesta, intendiamoci... col signor Revers.

L'Ispettore                    - Io non dico di no! Ma la sim­patia c'è... è evidente.

Maria                             - Revers somiglia ad un mio fratello, perduto da giovane... Non si può negare che ha una figura distinta.

L'Ispettore                    - Commovente! Ma intanto que­sta sua disposizione di spirito le fa dimenticare qualche circostanza che potrebbe essere grave per lui.

Maria                             - No, signore; le giuro che...

L'Ispettore                    - Ma senza volerlo, senza voler­lo. Ella non sa gli scherzi che ci combina lo spi­rito.

Maria                             - Il signore vuol parlare del subco­sciente.

L'Ispettore                    - Straordinario! Straordinario! Il subcosciente! Ma che studi ha fatto lei?

Maria                             - Signore, ho avuto un'educazione - ai miei tempi si studiava - ed ho letto, quanto ho potuto...

L'Ispettore                    - Ma che ha letto?

Maria                             - Il povero signor notaio era un cu­rioso tipo... un eccentrico...

Gerard                           - (interrompendo) No, non precisa­mente un eccentrico.

L’Ispettore                    - (con severità) L'ho pregata di tacere...

Gerard                           - (offeso) Ma io conoscevo il notaio meglio di lei. (Indicando la donna). .

Maria                             - Ho detto eccentrico, perchè non sa­prei come definirlo diversamente. Era profon­damente buono... e sembrava un tiranno...; vi­veva lontano dal mondo, e voleva che alla sua bi­blioteca giungessero tutte le voci del mondo... aveva clienti ricchi e importanti.., e non voleva nel suo studio quasi nessuno.

L'Ispettore                    - E, così, ella ha letto moito nello studio.

Maria                             - Certo! Non avevo nulla da fare qua­si tutto il giorno.

L'Ispettore                    - Allora, dunque, deve cono­scere gli scherzi del subcosciente. Se una circo­stanza ci appare, sulle prime, grave contro una persona che ci è cara, a poco a poco, siamo in­dotti a respingerla...

Maria                             - E' il refoulement di Freud, sissi­gnore.

L'Ispettore                    - Colossale! E se ella sa tutto questo, deve saperne anche molto intorno al­l'assassinio del notaio.

Maria                             - Non capisco, signore, che rapporto vi sia fra il signor Freud e il povero notaio; ma sono pronto a dirle quello che so (solennemen­te) e, se poi lo crederà opportuno, potrò dirle anche quello che penso... ma temo...

L'Ispettore                    - Che cosa?

Maria                             - Che forse ella non ne sarà contento,

L'Ispettore                    - Come sarebbe a dire?

Maria                             - Ella, ora, ha messo la mano su quel giovanotto, c'è qualche cosa contro di lui, il problema è risolto!... Se invece non le apparirà più tanto semplice, sarà costretta a cercare al­trove, e questo...

L'Ispettore                    - E' noioso. Ha ragione. Ma in­tanto sentiamo. Lei, per esempio (a Gerard), lei, spero, non mi dirà che l'amico somigliava a qualche persona di famiglia.

Gerard                           - (con un sospiro di soddisfazione, fe­lice di parlare) No, signore, per me non era affatto simpatico.

L'Ispettore                    - Meno male! E perchè?

Gerard                           - Era una faccia nuova nello studio (abbassando la voce) e poi, aveva un'amante.

L’Ispettore                    - (rivolto alla governante) Ah! Che ne dice? (La governante si stringe nelle spalle, per dire che la cosa non ha importanza).

Gerard                           - Ed io lo so con sicurezza. Lei vuol sapere come lo so? Ecco: è semplicissimo. Ogni giorno, appena poteva, appena il signor notaio era uscito, Revers si attaccava al telefono, e parlava... parlava... rideva... e si arrabbiava. Qualche volta, signore, (con la faccia di chi an­nunci una mostruosità) buttava baci dentro il microfono.

L'Ispettore                    - Beh! A venticinque anni!

Gerard                           - Ma nello studio, signore! nello stu­dio! Lo sa che da noi non venivano che signore anziane? E poi, qualche volta, appena telefona­to, si metteva a ballare...; uno scandalo, creda, un vero scandalo!

L'Ispettore                    - E questa amante, voi, l'avete veduta?

Gerard                           - (misterioso) Credo di averla veduta, sissignore. Un giorno che uscii per una commis­sione, una signorina, nei pressi del portone, mi domandò se lui...

L'Ispettore                    - Del giovanotto?

Gerard                           - Certo, sissignore. Se il signor Re­vers ero nello studio.

L'Ispettore                    - Bella?

Gerard                           - (con enfasi) Bellissima, e molto elegante. Era agitata, nervosa. Le risposi che Revers non era ancora venuto. E lei rimase lì, certamente ad aspettarlo.

L'Ispettore                    - E non avete mai domandato a Revers chi fosse?

Gerard                           - Eh, ci ho provato.

L'Ispettore                    - E che ha risposto?

Gerard                           - (come chi riveli un segreto) Mi ha detto che era... una dea!

L'Ispettore                    - Veneie!

Maria                             - Oh! l'ho veduta anch'io, una sera, quella povera dea. Venne a chiedermi, piangen­do, se, quel giorno, il giovanotto era stato nel­lo studio. Gerard non ha mai veduto signore ve­ramente eleganti. Era vestita benino, ma non davvero elegantissima.

L'Ispettore                    - Ella dice questo perchè ha ca­pito che una donna elegantissima non poteva essere la fidanzata di un commesso di notaio.

Maria                             - Certo. Ella potrebbe credere che per mantenere quella donna, egli avesse...

L'Ispettore                    - Rubato al notaio. Precisamen­te. Perchè, con tutta la sua psicanalisi, ella non deve dimenticare che l'assassinio del notaio è stato preceduto da un furto commesso da Re­vers.

Gerard                           - E questo è certo.

Maria                             - Revers ha ammesso già di aver ru­bato?

L'Ispettore                    - Non lo abbiamo ancora preso, signorina Dantec, né, poi, sarà tanto sciocco. Egli comprende perfettamente, che, trovato il ladro, è trovato l'assassino.

Gerard                           - E poi, chi vuole che abbia rubato, scusi? (alla governante) o lei, o io, o Revers. A studio non c'erano altri. Ha rubato lei? (La go­vernante ha uno sguardo di commiserazione per Gerard) Io non avrei aspettato di aver settanta anni per rubare. Dunque?

Maria                             - (dopo un leggero indugio) Non pos­so negare, che c'è qualche indizio grave a carico di Revers. Io, naturalmente, non ho troppa espe­rienza in materia. Eppure...

L'Ispettore                    - Ma scusi; hanno udito, loro, o non hanno udito il notaio accusare Revers?

Gerard                           - (con importanza) Le ripeto, signor Ispettore, il notaio cercava una busta che doveva contenere valori importanti. Era sul tavolo, e improvvisamente sparì.

L'Ispettore                    - Prima di accusare, il notaio fece ricerche?

Gerard                           - Diligentissime, signore. Anche di là, nella sua camera da letto. (Alla Governante) E' vero?

Maria                             - Sì, venne, ed era agitatissimo. Direi troppo agitato per cercare con ordine. Borbot­tava: «Ladro, ladro! Abbiamo accolto un ladro nella casa! Un ladro nello studio di un notaio». E gli tremavano le mani. Non aveva, certo, la bella freddezza del gentiluomo. Era convinto prima ancora di aver cercato.

Gerard                           - Storie! Cominciò a borbottare quando non trovò la busta sul tavolo, ne sotto, ne nei cassetti, ne nella cassaforte. Dove avrebbe dovuto cercare ancora? Passò nella stanza da letto: nulla! E fu allora, che chiamò Revers nel suo ufficio.

L'Ispettore                    - E mentre il notaio cercava, il giovanotto che contegno teneva?

Gerard                           - Oh, un contegno da schiaffi, signo­re. Ecco! Seguitava a scrivere alcune note, e a fumare la sua sigaretta. Gli dissi : « Pare che il signor notaio non trovi una busta con denari » e calcai la voce. Mi guardò come se lo avessi insul­tato; gettò ancora un buffo di fumo, poi disse: « Tutto questo mi lascia assolutamente indiffe­rente. Ha capito? ». E riprese a fumare e a scri­vere.

Maria                             - Già! e non mi sembra questo il con­tegno di un ladro!

L'Ispettore                    - Cara signorina, lasci scrivere dagli scienziati quale sia il contegno classico del ladro... Per noi un ladro è colui che ha rubato! (Al vecchio) E quando il notaio lo chiamò?

Gerard                           - Si alzò di scatto. Ma era diventato bianco in faccia. Posò la sigaretta, ed entrò nel­la stanza del signor notaio. Ed io vidi, signore, che aveva i pugni serrati.

L’Ispettore                    - (alla governante) Che gliene pare, eh?

Maria                             - Ma questo, signore, è il contegno di un gentiluomo offeso ; il ladro è invece un essere vile, strisciante.

L'Ispettore                    - Ma faccia il piacere! Li co­nosce lei i ladri ehe sono anche capaci di uc­cidere? Li ha visti mai? No! Ed allora non si metta a fare anche la criminalista. Dio benedetto! (A Gerard) E che cosa si disse di là, nella stanza?

Gerard                           - Il signor Notaio non lo accusò di aver rubato. Oh! no! Gli disse soltanto che non avevamo più bisogno del suo lavoro. Che in quel momento non aveva tempo, che perciò fosse tornato la sera, per fare i conti.

L'Ispettore                    - E lui?

Gerard                           - Oh! nulla! Tornò nella stanza nostra, prese il cappello, e andò via.

L'Ispettore                    - Senza una parola?

Gerard                           - Disse soltanto: « A questa sera! ». Ma non so, veramente, se fosse un saluto a me, o se voleva significare altra cosa.

L'Ispettore                    - E la sera, ella lo vide?

Gerard                           - (pieno di mistero) Ecco, ecco il terribile signore. Venne un'ora più tardi del so­lito, e si mise a cercare carte nel cassetto del suo scrittoio. Alcune ne strappò...

L'Ispettore                    - Dove le mise?

Gerard                           - Gittò i pezzi nel cestino; sono an­cora lì. Altre ne pose in tasca. Poi appoggiò la fronte ai pugni, e restò così, senza muoversi più, finche il signor Notaio non lo chiamò.

L'Ispettore                    - Era irritato il Notaio in quel momento?

Gerard                           - No, in coscienza no. Gli disse sol­tanto: « Puoi entrare » ed a me: ce Tu, Gerard, puoi andare».

L'Ispettore                    - Fu una imprudenza andarsene, vi pare?

Gerard                           - Volevo restare, ma egli ripetè: « Ti ho detto che puoi andare ». E stette sulla porta per vedere se fossi uscito.

L'Ispettore                    - Il portone era chiuso?

Gerard                           - Oh, no! il portone si chiude alle dieci. E non erano ancora le nove, quando uscii.

L’Ispettore                    - (alla governante) E lei, che cosa sa, lei?

Maria                             - Nello studio il Notaio mi aveva pre­gato di non mettere mai piede. Non sapevo che Revers sarebbe tornato la sera, per fare i conti.

L'Ispettore                    - Non mi farà credere, che, alle nove di sera, dormisse già.

Maria                             - No, ma stavo per coricarmi; ella mi costringe, signore, ad usare verbi ripugnanti          - quando sentii delle voci alterate nello stu­dio. Ma chi gridava era soltanto il Notaio.

L'Ispettore                    - E diceva?

Maria                             - Riconobbi la voce, ma non distinsi le parole.

L'Ispettore                    - E l'altro... non parlava?

Maria                             - No, signore. Era soltanto la voce del Notaio, concitata, che si sentiva. Ma egli era irritatissimo: oh! per un nonnulla!

L'Ispettore                    - E questo è tutto?

Maria                             - No, signore. C'è qualche altra cosa. Io avevo sbrigato un po' tutte le mie faccende; ed ero... (col sospiro di chi compia una sacrificio nel pronunziare la parola) a letto. Era pas­sata una mezz'ora; la voce di là non la sentivo più; quando all'improvviso udii distintamente: « Vada via! vada via! Le dico di andar via! ». E, poco dopo, il tonfo della porta che si chiu­deva come fosse stata sbattuta con rabbia.

L'Ispettore                    - Subito dopo quelle grida?

Maria                             - Quasi subito.

L'Ispettore                    - E se ne restò a letto? Ma, scusi, ella udì un grido, un tonfo di porta sbat­tuta, e non pensò nulla e continuò a dormire?

Maria                             - Mi dia il tempo di parlare, signore. Non potevo continuare a dormire, perchè non avevo mai cominciato.

L'Ispettore                    - Non badi alle sottigliezze della logica, cara signorina Dantec.

Maria                             - Ho l'abitudine di precisare, signo­re! Nel tonfo riconobbi la mano del Notaio.

L’Ispettore                    - (ironico) Aveva un timbro speciale quel tonfo?

Maria                             - No, ma l'avevo udito altre volte... quando lui aveva chiuso con rabbia.

L'Ispettore                    - Oh! ho capito. Ella vuol dire, che se chi chiuse la porta era il Notaio, l'as­sassino non può essere stato Revers, che era uscito.

Maria                             - Certamente; senza dubbio alcuno. Quando la porta fu chiusa, il Notaio era an­cora vivo.

L'Ispettore                    - Per il tonfo della porta? È un po' poco!

Maria                             - L'ho veduto, signore.

L'Ispettore                    - L'ha veduto, quando? Signo­rina Dantec, badi, questo è veramente impor­tante.

Maria                             - Appena udito il tonfo mi alzai, mi gettai naturalmente addosso una vestaglia, ed accorsi. Tra la mia camera da letto e la stanza d'ingresso, c'è un salotto, e la camera da pran­zo. Prima di aprire l'uscio della camera di in­gresso, udii suonare il campanello. L'Ispettore     - Quale?

Maria                             - Quello della porta d'entrata, na­turalmente. Aprii l'uscio. Il Notaio usciva al­lora dalla sua stanza di studio, e si dirigeva verso la porta.

L’Ispettore                    - (guardandola fisso)           - È certa lei di quello che dice?

Maria                             - Come vuole che non sia certa? Gli domandai: « Che cosa ha? », ed egli rispose: « Vada a coricarsi, lei. Che cosa fa qui? ». Non era un uomo molto fine - oh! no! E la mia situazione non era molto dignitosa. Richiusi l'uscio e, tornando verso la mia camera, lo udii che chiedeva: « Chi è? ».

L'Ispettore                    - E chi rispose?

Maria                             - Non lo udii. Ma la porta fu aperta.

L'Ispettore                    - E poi?

Maria                             - Mi avviai verso la mia camera; poi, non so neanche io perchè tornai indietro, un momento, per guardare chi fosse entrato.

L'Ispettore                    - E lo vide?

Maria                             - Ne vidi il dorso. Portava un pa­letot grigio scuro. Entrò insieme col Notaio nel­l'ufficio. Io non avevo più ragione di curiosità; mi coricai e mi addormentai quasi subito.

L'Ispettore                    - Le pareva che i due si co­noscessero di già?

Maria                             - Oh! a quell'ora, il Notaio non avrebbe aperto ad uno sconosciuto.

(Entra il brigadiere Sarcot, in borghese).

L'Ispettore                    - Che c'è, Sarcot?

(// brigadiere si avvicina all'Ispettore e gli mormora qualche parola all'orecchio).

L'Ispettore                    - Dio sia ringraziato! (Ai due) Passino di là. (Al brigadiere) Li faccia atten­dere nella saletta centrale.

Gerard -                        - Ha ancora bisogno di noi?

L'Ispettore                    - Certamente. Ma debbo prima provvedere ad altro.

Maria                             - (con importanza) È permessa una osservazione?

L'Ispettore                    - Dica. Si sbrighi.

Maria                             - Il signor Notaio è stato ucciso di­nanzi alla cassaforte.

L'Ispettore.                   - E che significa questo? Ella ha troppa simpatia per questo Revers, signorina Maria.

Maria                             - (con sussiego) Credevo che fosse utile ricordare, che il signor Notaio è stato uc­ciso dinanzi alla cassaforte.

L'Ispettore                    - Quel che è utile e non utile ricordare, lo lasci giudicare da noi. Per ora vada di là, e cerchi anche di ricordare un'altra cosa...

Maria                             - Che cosa, signore?

L'Ispettore                    - Che Revers somiglia troppo ad un suo fratello... e che è della sua stessa città...; vada... vada.

(Gerard esce guardando la donna con un'aria di trionfo. La governante si stringe nelle spalle, come se non avesse capito).

L’Ispettore                    - (al brigadiere) Dove l'ha tro­vato?

Sarcot                            - Ho saputo che era fidanzato... o amante, di una ragazza dei Grandi Magazzini « Aux Printemps ». Gli ho teso la trappola alla porta della bella. C'è caduto.

L'Ispettore                    - Ha tentato fuggire?

Sarcot                            - No, ma si è fatto pallidissimo; ed ha detto: « Ho capito ».

L'Ispettore                    - E lungo la strada?

Sarcot                            - Neanche una parola. Un sorriso di sfida continuo.

L'Ispettore                    - Perquisito?

Sarcot                            - Nessun'arma.

L'Ispettore                    - Denari?

Sarcot                            - Centotrenta franchi.

L'Ispettore                    - Lo portino qui.

(Il brigadiere esce, e poco dopo torna accom­pagnando Revers. È giovane. Ha sul viso an­cora e sempre il suo sorriso di sfida e di di­sprezzo).

L'Ispettore                    - Finalmente. È tutto il giorno che lo cerchiamo.

Revers                           - Me ne duole per il fiuto dei suoi cagnotti.

L'Ispettore                    - Ma, come vede, i cagnotti fi­niscono sempre per trovare... Specialmente quando sulla pista c'è l'odore d'una femmina.

Revers                           - Non capisco, signore, perchè, per colpire me, ella debba insultare una donna.

L’Ispettore                    - (ironico) Fidanzata?

Revers                           - Qualunque cosa sia; è una donna.

L'Ispettore                    - Capperi! Cavalleria di quella antica, coll'elmo e col cimiero.

Revers                           - Buona educazione soltanto, credo.

L'Ispettore                    - Conosco il trucco. Aggredire prima di essere attaccato. Atteggiamento di sfida, che nasconde la paura. Bluff! - co­nosce il poker?

Revers                           - (ironico) Se ha full, scopra il suo giuoco.

L'Ispettore                    - Cioè, se ho le prove? Me le darà lei! E prima di quanto pensa.

Revers                           - Ella si rimette dunque alla mia generosità?

L’Ispettore                    - (improvvisamente, per coglierlo all'impensata) Dov'era ieri sera, dalle nove alle dieci?

Revers                           - Se mi ha fatto portar qui, è segno che lo sa.

L'Ispettore                    - Precisamente.

Revers                           - E allora perchè me lo domanda come per cogliermi alla sprovvista? Sistema vec­chio stile, signor Ispettore. Non sarebbe più semplice dire: « Alle nove di ieri sera, ella era nello studio del Notaio Bordeaux ».

L’Ispettore                    - (guardandolo fisso negli occhi) E può darmi qualche notizia circa l'assassi­nio del Notaio?

Revers                           - (dà un balzo e spalanca gli occhi. Si protende col corpo in avanti come per udire meglio; una lieve pausa di stupore) Che cosa ha detto?

L’Ispettore                    - (freddo e ironico) Le ho chie­sto - con sistema vecchio stile - se può for­nirci qualche notizia circa l'assassinio del si­gnor notaio Bordeaux.

Revers                           - (sempre con lo stupore dipinto sul volto) Il notaio è stato assassinato?

L'Ispettore                    - Ieri sera. Il suo cadavere è stato trovato dal suo collega Gerard, questa mattina, alle nove nel suo studio. Il perito ha stabilito, con sicurezza, l'ora in cui è stato colpito.

Revers                           - (che si è riavuto dalla sorpresa) Ella vuole impressionarmi, signore; per appro­fittare del mio sbigottimento.

L'Ispettore                    - A che fine?

Revers                           - Per strapparmi l'ammissione di un furto, che io non ho commesso.

L'Ispettore                    - Quale furto? Precisi.

Revers                           - Il furto della busta con i valori della signora Baronessa De Crucy.

L'Ispettore                    - Toh! Ella sa che si tratta dei valori della signora De Crucy.

Revers                           - Certo che lo so. Quella busta ieri fu cercata per tutta la giornata.

L'Ispettore                    - Già ma, per quel che ne so, il Notaio non fece questo nome.

Revers                           - Come vuole che non lo facesse! E poi guardi qua. Ecco il certificato che volle rilasciarmi ieri sera.

L’Ispettore                    - (lee^e) « Certifico che il si­gnor Carlo Revers ha prestato per un mese ot­timo servizio, e lo lascia per lo smarrimento avvenuto di un deposito della signora Baronessa De Crucy ».

L'Ispettore                    - Ed ella ha accettato questo certificato, come un grazioso ricordo del No­taio?

Revers                           - Sì, perchè volevo che un giorno se ne vergognasse! Sono sicuro che nessuno ha rubato quella busta.

L'Ispettore                    - Ma ella stessa dice che fu cer­cata dappertutto.

Revers                           - Già altra volta, il Notaio credette di aver smarrito un documento, e fu ritrovato. Solamente, allora non si sospettò di furto per­chè non si trattava di denaro.

L'Ispettore                    - E non le sembra strano, che la sera stessa di quello smarrimento, il Notaio sia stato assassinato?

Revers                           - (dopo un attimo di silenzio, durante il quale ha scrutato il volto impassibile del­l'Ispettore) Ma dunque è vero? Non è una sua insidia?

(// Commissario sta per rispondere, poi con l'imnrovvisa mossa di chi si decida per cosa di­versa da quella iniziata, suona un campanello e a Sarcot che si presenta sulla porta:)

L'Ispettore                    - Le fotografie sono state svi­luppate?

Sarcot                            - Sissignore.

L'Ispettore                    - Le porti.

(Via Sarcot).

Revers                           - Quali fotografie, di che cosa?

(L'Ispettore gli fa cenno di attendere. Il bri­gadiere toma portando tre grandi fotografie; l'Ispettore le guarda una dopo l'altra).

L'Ispettore                    - Chiarissimo. (Mostrerà a Re­vers le prime due con molta tranquillità, come chi sappia di far vedere cosa di poca o nessuna importanza; metterà invece la terza sotto gli occhi di Revers con mossa rapidissima, mentre studierà sul volto del giovane l'impressione che gli avrà prodotto).

L'Ispettore                    - Guardi!

Revers                           - (prendendo tra le mani la prima foto­grafia) Lo scrittoio del Notaio.

L’Ispettore                    - (ritira dalle mani del Revers la prima fotografia e gli mostra la seconda) E questa?

Revers                           - (c. s.) La cassaforte. La riconosco per il busto della Repubblica.

L'Ispettore                    - È il destino di quel povero busto! Testimonio silenzioso di tanti delitti. (Ritira dalle mani di Revers la seconda foto­grafia, e improvvisamente gli scopre l'altra). E questa?

(Revers la guarda, tende le mani per pren­derla, e non può. Ripete ancora una volta il gesto inutilmente. Si porta le mani al colletto come se soffocasse).

L'Ispettore                    - Voi sudate eppure i calori­feri non sono accesi.

Revers                           - (mormora come non avesse la forza di parlare) Il Notaio! Il Notaio! ma è im­possibile!

L'Ispettore                    - Cosa crede? che sia un trucco fotografico? (Una pausa). Ella non si regge, vuol sedere?

Revers                           - (coti uno sforzo riesce a ricomporsi e a padroneggiarsi. Vuol riprendere evidentemente il tono e l'aspetto spavaldi dei primi momenti, ma non ci riesce) Ebbene? Che cosa si vuol da me se il Notaio è stato ucciso?

L'Ispettore                    - Si vuol sapere se lei ce ne può dire qualche cosa anche perchè lei è stato l'ultimo a vedere l'ucciso.

Revers                           - Non è vero.

L'Ispettore                    - Non mi ripeta la storia del campanello.

Revers                           - Quale campanello?... Mi permetta un momento. Sono ancora stordito. Mi aspet­tavo un'accusa di furto. E improvvisamente mi si parla di assassinio.. Ella dice ce la storia del campanello ». Che significa?

L'Ispettore                    - Lasci stare. Mi racconti quello che sa.

Revers                           - Mi faccia riordinare le idee. Ecco qui: Io sono entrato dal signor Notaio Bor­deaux...

L'Ispettore                    - Questo lo sappiamo. E sap­piamo anche del sospetto del furto. Ecco: co­minci da questo punto.

Revers                           - Sissignore. Egli sospettò di me. Ma non mi accusò esplicitamente. Mi disse sol­tanto che era un sospetto; e che dovevo ricono­scere che il sospetto era ragionevole.

L'Ispettore                    - E l'invitò a tornare alla sera per i conti.

Revers                           - Ma fu allora che mi disse di avere il sospetto, la sera. Cercò ancora, presente me. Non fu possibile trovar la busta. Ma non fu aspro con me...

L'Ispettore                    - Come? Non parlò adirato?

Revers                           - Signore, ella non mi crederà; ma egli era adirato più contro se stesso, che contro di me.

L'Ispettore                    - Non capisco.

Revers                           - Pareva adirato quasi più dal fatto di dover dirmi che egli mi sospettava un ladro, anziché del furto stesso. Egli era violento, ma buono.

L'Ispettore                    - E come la lasciò?

Revers                           - Non ci furono scene, signore; mi creda.

L'Ispettore                    - Non è sincero. Il Notaio fu udito gridare: « Vada via! Le ho detto: vada via ».

Revers                           - È vero. Deve averlo udito la si­gnorina Mary, non è così?

L'Ispettore                    - Eh, già, la signorina Mary ha udito troppo e troppo poco. Dunque?

Revers                           - È vero che gridò così; e fu per quel certificato. Io gli dissi che ciò equivaleva ad una sentenza di condanna, e che significava ridurmi alla fame. Egli allora stette quasi per cedere; poi si irrigidì e cominciò a gridare: « Vada via ». Temeva, che avrebbe finito per cedere. Per questo gridava.

L'Ispettore                    - E lei uscì subito?

Revers                           - Certo. Compresi che in quel mo­mento non avrei ottenuto nulla.

L'Ispettore                    - E chi l'ha veduto uscire?

Revers                           - Non lo so; ero come trasognato.

L'Ispettore                    - Il portiere non l'ha veduto?

Revers                           - È un vecchio politicante. Quando ha in mano un giornale della sera, non vede più nessuno. Questo glielo potranno dire tutti nel palazzo.

L'Ispettore                    - E non incontrò nessuno per le scale?

Revers                           - Nessuno. Cioè... aspetti... ho una impressione... certo, sì, ora ricordo... che, saliva su... certo sì; e si fermò dinanzi alla porta del Notaio... un signore, oh! come non l'avevo ricordato?... con gli occhiali che mi parvero turchini... (cercando prima nella me­moria, e poi decisamente) Biondo... e con i fa­voriti biondi. L'ho visto bene, perchè portava il cappello in mano, come se fosse accaldato. Lo rivedo... ora lo rivedo...

L’Ispettore                    - (sarcastico) Naturalmente ella saprà descrivermi anche come fosse vestito.

Revers                           - Ella si burla di me! No, non so dirlo.

L'Ispettore                    - E questo tale suonò il cam­panello?

Revers                           - Certo, signore: avrà suonato il campanello.

L'Ispettore                    - Meno male che non afferma di averlo udito...; e mi dica ancora: ella oggi ha cercato di telefonare alla signorina Dantec?

Revers                           - (dopo qualche esitazione) Sì... ma  mi ha risposto sempre una voce di uomo, che non conosco, che la signorina era uscita.

L'Ispettore                    - E perchè non ha mai dato il suo nome, telefonando?

Revers                           - Temevo che il Notaio avrebbe sgridato la signorina...

L'Ispettore                    - Molto affettuosa con lei, vero, la signorina Dantec?

Revers                           - Sì, è stata sempre molto gentile con me.

L'Ispettore                    - Ne sa il perchè?

Revers                           - (esitando) No.

L'Ispettore                    - Gielo dirò più tardi, quando la signorina Mary avrà sviluppato meglio il suo giuoco.

(Squilla il telefono).

L’Ispettore                    - (telefonando) Allò... Sì. Com­missariato Fiume... sono io personalmente... Ah! buona sera... No; ella sa benissimo che non posso risponderle in proposito. Ma, scusi; come l'ha saputo?... Ah!... Ah! sì? tanto me­glio; sebbene credo di essere a buon punto. Certo... venga pure... tra pochi minuti?... be­nissimo... antivederla. (Riattacca il ricevitore; a Revtrs) Ed ora non crede di dirmi qualche cosa della sua fidanzata?

Revers                           - No; la prego di non parlare con quel tono ironico. Vede, io non sorrido più. Ma non parli di quella poveretta con quel tono. Ella è veramente la mia fidanzata.

L'Ispettore                    - Ed allora mi dica almeno dove ha passato la notte.

Revers                           - A casa mia. Dove vuole che l'ab­bia passata?

L'Ispettore                    - Da che ora?

Revers                           - Da mezzanotte in poi.

L'Ispettore                    - No, no. Prima di mezzanotte. Questo interessa.

Revers                           - Ho passeggiato.

L'Ispettore                    - Solo?

Revers                           - Solo. Ero troppo turbato per an­dare in un caffè. Pure mi sentivo sicuro che la busta sarebbe stata ritrovata... ma ora, ora? (Estrae il fazzoletto per asciugarsi la fronte).

L’Ispettore                    - (arrestandone il gesto) Un mo­mento! Mi dia quel fazzoletto (glielo strappa di mano). Questo è sangue.

Revers                           - (è come inebetito; guarda il fazzoletto e l'Ispettore e non trova parole).

L'Ispettore                    - Vuole spiegare?

Revers                           - (come in un sogno) Non lo so... non lo so...

L'Ispettore                    - Mostri le mani...

Revers                           - (è come un automa. L'Ispettore gli prende le mani, le osserva; poi afferra Revers per un braccio e chiama:)

L'Ispettore                    - Sarcot!

(Appare sull'uscio il brigadiere).

Sarcot                            - Comandi.

L’Ispettore                    - (consegnandogli Revers) In

 camera di sicurezza. E perquisite immediata­mente la camera di lui, quella della fidanzata e... (dopo qualche esitazione) la stanza della signorina Dantec, la governante. Il vecchio Ge­rard può andare. La governante resti.

(Il brigadiere porta via Revers. L'Ispettore siede un momento al tavolo; accende una siga­retta, si rovescia sulla sedia, fumando un po', poi si ricompone. Forma un numero telefo­nico).

L'Ispettore                    - Allò... centralino Ministero Interno numero di S. E. Direttore di Polizia. Allò... Commissario Fiume... Sì, Eccellenza... certo, credo di aver messo la mano sull'assas­sino... No, per fortuna tutto è molto semplice; farò pervenire immediatamente il rapporto... Se Ella crede, ora si può dare un comunicato alla stampa... Ne sono assolutamente certo... Grazie, Eccellenza. (Mentre l'Ispettore telefo­na, entra il brigadiere Sarcot, che si ferma ri­spettosamente sulla porta attendendo. Appena l'Ispettore ha riattaccato il ricevitore:)

Sarcot                            - Signor Ispettore...

L'Ispettore                    - Che c'è, Sarcot?

Sarcot                            - L'avvocato Lascard; dice che ha te­lefonato poco fa.

L'Ispettore                    - Ah! già! introduca.

(// brigadiere esce e rientra poco dopo intro­ducendo l'avv. Lascard. Esce nuovamente).

Lascard                         - Il signor Ispettore?

L'Ispettore                    - In persona. Ma noi ci cono­sciamo, avvocato.

Lascard                         - Ella fu testimone nel processo La Riviere...?

L'Ispettore                    - Precisamente.

Lascard                         - Oh! mi perdoni di averla, per un momento, dimenticato. Ma mi passano davanti tanti volti durante il giorno...

L'Ispettore                    - Capisco, capisco... Ella dun­que viene?...

Lascard                         - Perchè non si inizi una procedura contro un innocente.

L'Ispettore                    - Parla dell'assassinio del No­taio Bordeaux?

Lascard                         - Le ho già detto, per telefono, che avevo una cosa molto importante da rivelarle.

L'Ispettore                    - Mi permette, anzittutto, una curiosità, avvocato?

Lascard                         - Sono disposto a rispondere a tutte le sue domande, entro certi limiti.

L'Ispettore.                   - Quali?

Lascard                         - Quelli segnati dalla mia coscienza di professionista.

L'Ispettore                    - Ma ella viene qui come testi­mone o come difensore di qualcuno?

Lascard                         - Le ripeto che vengo come un cit­tadino, che vuole evitare da una parte uno scacco alla polizia, e dell'altra una tortura ad un innocente. Ma ho doveri da rispettare.

L'Ispettore                    - Non capisco quali possano essere.

Lascard                         - Oh! è facile indovinarli. Quelli che derivano dalla mia qualità di avvocato. Il segreto su alcuni punti.

L'Ispettore                    - Spero che non sia un suo se­greto dirmi come ha saputo che è stato com­messo un assassinio, di cui i giornali non hanno ancora parlato.

Lascard                         - L'ho saputo perchè è venuto da me, a consultarmi, la persona che ha ucciso.

L’Ispettore                    - (con un balzo) Che dice?

Lascard                         - Le ripeto: è venuta da me la persona che ha ucciso.

L'Ispettore                    - Stia tranquillo, avvocato, l'as­sassino è qui; in camera di sicurezza, e le prove sono certe.

Lascard                         - (con molta serietà) La persona che ha ucciso, in questo momento, è in viaggio, lungo una delle vie del mondo.

L'Ispettore                    - E allora ella avrà, credo, il dovere di declinarne il nome.

Lascard                         - No, signor Ispettore. Quella per­sona è venuta a consultarmi come avvocato, si è confidato a me; il nostro segreto professionale è ferreo, quanto quello del confessore.

L'Ispettore                    - Come? Il segreto professio­nale? Ma io me ne infischio, scusi!

Lascard                         - Se ne infischi pure, come lei dice, ma non è lei che può sciogliermene.

L'Ispettore                    - E chi può farlo?

Lascard                         - Nessuno, ali'infuori della persona che me l'ha confidato.

L'Ispettore                    - Sicché, ella può veder pro­cessare e condannare un innocente, senza inter­venire e dichiarare che il colpevole è un altro.

Lascard                         - Come vede, nei limiti che mi sono consentiti, io intendo adempiere a questo do­vere di coscienza; anche perchè sono stato auto­rizzato a farlo.

L'Ispettore                    - Dall'uccisore?

Lascard                         - Dalla persona che ha ucciso.

L'Ispettore                    - Che differenza c'è, scusi?

Lascard                         - M'accorgo che ella non ha notato che io non ho sempre detto: la persona che ha ucciso; perchè non posso né voglio darle il benché minimo indizio, a cominciare dal sesso.

L'Ispettore                    - E questa tale persona le ha detto?

Lascard                         - Mi ha autorizzato a venir da lei, per dirle che il giovane Revers è innocente.

L'Ispettore                    - E come ha fatto a sapere che Revers è stato arrestato?

Lascard                         - Non lo so e non lo ha detto! Ma prendo atto che non mi ha ingannato, se Re­vers è già in istato di arresto.

L’Ispettore                    - (dopo aver riflettuto, ridendo) Senta: sarebbe una trappola magnifica per lei e per me.

Lascard                         - Quale?

L'Ispettore.                   - Ci sarebbe da ridere e da far ridere, alle nostre spalle, tutta la stampa.

Lascard                         - Non riesco a capirne il perchè.

L'Ispettore                    - Ma immagini, per un mo­mento, che questo Revers abbia un complice fuori di qui. Egli si presenta a lei, e lo incarica di venir qui a dire che Revers non è il colpe­vole; perchè l'assassino è lui.

Lascard                         - Mi pare che si esporrebbe a un bel rischio.

L'Ispettore                    - Ma a nessuno, avvocato, a nessuno. Lei è legato al segreto professionale e non può rivelare il nome della persona; ma, d'altra parte, io dovrei verbalizzare la sua di­chiarazione; e questo basterebbe a ingenerare il dubbio, e a distruggere tutto il complesso delle prove che ho raccolto.

Lascard                         - Prove? non credo. Al massimo, indizi; e gli errori giudiziari sono tutti, e sem­pre, nati dagli indizi male interpretati.

L'Ispettore                    - Ebbene sia come ella crede. Gli indizi saranno vagliati dal Magistrato. Ma la sua dichiarazione io non la raccolgo a ver­bale, se ella non si decide a dir tutto.

Lascard                         - Le ripeto che io posso dirle che l'arrestato è innocente, perchè me l'ha esplici­tamente dichiarato la persona che ha commesso il delitto. Posso aggiungere - ed è la sola ec­cezione che mi è consentita - che tale persona non ha mai avuto e non ha alcun rapporto con Revers. Ella non intende avvalersi di questa mia dichiarazione? Faccia come meglio crede. Ma ritengo che assume una troppo grave ed inutile responsabilità.

L'Ispettore                    - Perchè inutile?

Lascard                         - Perchè, uscito di qui, io ripeterò, per iscritto, quanto le ho dichiarato, a S. E. il Ministro degli Interni, ed a S. E. il Direttore Generale della Polizia.

L’Ispettore                    - (dopo aver riflettuto un momen­to) Senta, avvocato, io sono disposto... (Squilla il telefono) Mi permetta un momento! (Prende il ricevitore) Allò... sì, Eccellenza, sono io... certamente; è in camera di sicurez­za... avrà il rapporto domattina...; no, non ho ancora fatto alcuna comunicazione alla stampa... Come? che dice?... scusi, Eccellenza, vuole avere la bontà di ripetere... ma sarà un altro fatto indipendente dal primo... Possibile? Vengo subito da lei... no; no; naturalmente non lo rilascio... sì, subito, Eccellenza! (L'Ispettore resta per un momento col ricevitore in mano. L'avv. Lascard è indifferente, sembra quasi che non abbia udito. L'Ispettore riattacca il rice­vitore e con nel volto il principio di una amara delusione, dice:) Avvocato Lascard, comincio a credere che ella abbia ragione.

Lascard                         - Ho finito sempre con l'aver ra­gione nella mia vita.

L'Ispettore                    - Un altro assassinio è stato commesso.

Lascard                         - Eccesso di lavoro per lei!

L'Ispettore                    - Ferita triangolare alla tem­pia. Lo stesso colpo e la stessa arma che hanno ucciso il Notaio.

Lascard                         - Quando?

L'Ispettore                    - Questa sera.

Lascard                         - Ma a che ora presso a poco?

L'Ispettore                    - Dalle 19 alle 19 e mezzo, pare. Revers era già arrestato alle 18.

Lascard                         - La persona che ha ucciso il No­taio, non può aver commesso altro delitto.

L'Ispettore                    - Come può dirlo?

Lascard                         - Perchè a quell'ora era già par­tito. E può dirmi il nome di quest'altra vit­tima?

L'Ispettore                    - La vecchia baronessa De Crucy.

Lascard                         - (balza in piedi tremante) Cosa dice? Cosa dice? Non è possibile! la baronessa De Crucy? abitante in Via di Vaugirard?

L'Ispettore                    - In Via di Vaugirard, precisa­mente. Ma che ne sa lei? che ne sa?

Lascard                         - Uccisa dalle 19 alle 19 e mezzo? Le ripeto che è impossibile.

L'Ispettore                    - La comunicazione è precisa, l'ora è stata controllata.

Lascard                         - (ricade a sedere pesantemente, e na­sconde il volto fra le mani).

L'Ispettore                    - Ma che cosa ha, avvocato?

Lascard                         - (dopo aver risollevato un momento il volto e guardato l'Ispettore con lo sbalordi­mento negli occhi) La baronessa De Crucy! (Riabbassa il volto sulle mani) Che orrore! che orrore!

L’Ispettore                    - (piegandosi su di lui, come per approfittare di quello smarrimento) Chi? Chi?... ella ha il dovere di dirlo. Ora deve parlare!

Lascard                         - (ha un primo slancio di sincerità. Guarda in volto l'Ispettore) Signor Ispet­tore... (poi qualche cosa più forte di lui lo vince; resta con gli occhi fissi; le mani abban­donate sui ginocchi, il mento sul petto) Non posso! Non posso!

FINE DEL PRIMO ATTO

 

ATTO SECONDO

Un salotto in casa della Baronessa De Crucy. Mobili di stile.

La signora Boilot          - Sì, signorA. La mia amica aveva due telefoni... uno personale, nel suo boudoir, ed uno per la casa; nel vestibolo, eredo.

L'Ispettore                    - Due numeri differenti?

La signora Boilot          - Completamente indi­pendenti. Io l'avevo chiamata alle 19 per chie­derle la conferma di un appuntamento per oggi, alle corse.

L'Ispettore                    - Con quale telefono?

La signora Boilot          - Col suo personale.

L'Ispettore                    - Ed era calma, rispondendole?

La signora Boilot          - Oh! Al contrario, si­gnore. Si sentiva chiaramente che era affannata e irritata.

L'Ispettore                    - Non gliene disse la ragione?

La signora Boilot          - Mi disse soltanto : « So­no esasperata, cara, proprio esasperata », e mi pregò di chiamarla più tardi, perchè ancora non poteva dirmi se era confermato, o meno, 1 ap­puntamento.

L'Ispettore                    - Ed ella chiamò, naturalmente,

 La signora Boilot         - Certo. Mezz'ora dopo. Chiamai più volte perchè il telefono risultava sempre occupato.

L'Ispettore                    - Infatti, il ricevitore è stato trovato staccato.

La signora Boilot          - E fu allora che chiamai all'altro telefono. Venne la cameriera. Mi disse che la Baronessa non era uscita dalla sua stan­za; ma che si era picchiato con ogni forza al­l'uscio, senza risposta. Più tardi mi comunicaro­no l'orribile notizia.

L'Ispettore                    - Ella sentì riattaccare il rice­vitore, quando parlò con la sua amica?

La signora Boilot          - Nettamente, signore.

Laporte                         - Dunque fu staccato più tardi dal­l'assassino. Perchè?

L'Ispettore                    - Per far credere a chi avesse telefonato di nuovo che la Baronessa era sem­pre nella sua stanza, occupata a telefonare. L'assassino doveva guadagnare tempo; è na­turale. Ma perchè quella esasperazione? Ella, signora, non può darci un indizio? La sua ami­ca non le aveva mai parlato di nulla?

La signora Boilot          - La nostra, signore, era un'amicizia mondana. Non avevamo una vera intimità.

L'Ispettore                    - E non può dirci altro?

La signora Boilot          - Nulla più di quel che le ho detto... anzi... io mi sento qui in un vero di­sagio... l'idea che di là... se volesse avere la cortesia...

L'Ispettore                    - Certo, signora, ella è libera. Soltanto dovrò ancora importunarla più tardi.

La signora Boilot          - Ancora qui?

L'Ispettore                    - Oh, no! Al mio ufficio.

La signora Boilot          - Quando vorrà, allora.

L'Ispettore                    - Grazie; e ci scusi, la prego.

La signora Boillot         - È un dovere, signore. (Inchini. Esce).

L'Ispettore                    - Coincide con quanto ha depo­sto la cameriera.

Laporte                         - Anche per l'esasperazione.

L'Ispettore                    - Già. Ma ha rapporto con l'as-

La signora Boilot          - È un dovere, signore, sassinio? Non bisogna, per l'incerto lasciare una traccia che ha elementi concreti. Ho bisogno an­che di te, Laporte. Tu hai fiuto!

Il Perito                         - Ella ritiene ancora che quel Re-vers sia colpevole?

L'Ispettore                    - Ah! Se lei lo avesse visto non appena gli strappai il fazzoletto dalle mani! Una confessione...

Laporte                         - Mi pare strano che abbia conser­vato quel fazzoletto! Aveva avuto tanto tempo per farlo sparire.

L'Ispettore                    - Ma se ne era accorto? Le mac­chie non erano grandi; erano sfuggite anche a Sarcot che l'aveva perquisito. E poi le mani, dica lei, dottore, che carattere avevano quelle lesioni?

Belval                            - (calmo, freddo) Lesioni tipiche da colpi d'unghia.

L'Ispettore                    - Vedi?

Laporte                         - E le macchie del fazzoletto non possono spiegarsi appunto con le lesioni?

L'Ispettore                    - Ma le graffiature come le spieghi?

Laporte                         - Revers non ha detto nulla?

L'Ispettore                    - Ma non ha tentato nemmeno di spiegarle. « Non lo so! Non lo so ».

Il Perito                         - E a che scopo avrebbe ucciso?

Laporte                         - E la busta valori della baronessa de Crucy?

L'Ispettore                    - Quello è un altro imbroglio, Laporte. La busta è stata ritrovata.

Laporte                         - Ah!

L'Ispettore                    - Già, e precisamente nella cas­saforte. Sebbene con una busta diversa dall'ori­ginale.

Laporte                         - E' certo?

L'Ispettore                    - Tutte le buste portano indi­cazioni scritte dal vecchio commesso dello stu­dio, Gerard. La busta della De Crucy non porta indicazione alcuna.

Belval                            - Ma se Revers ha rimesso a posto la busta con i denari, perchè avrebbe ucciso?

L'Ispettore                    - Perchè così distruggeva ogni possibilità d'accusa per il furto, e quindi per l'omicidio.

Il Perito                         - E tra il furto della busta valori De Crucy; l'uccisione del notaio presso cui era depositata; e l'assassinio della Baronessa nessu­na relazione?

L'Ispettore                    - Come no? Sono tre momenti diversi dello stesso piano.

Il Perito                         - Ma quando Revers fu arrestato, la Baronessa era ancora viva. E' il solo dato certo.

L'Ispettore                    - Persone diverse, dunque, le­gate dallo stesso interesse.

Laporte                         - Ma l'arma? L'arma adoperata per uccidere la Baronessa è identica a quella che ha freddato il Notaio.

L'Ispettore                    - Chi può dire che fosse iden­tica?

Belval                            - Le ferite sono prodotte entrambe da un'arma triangolare.

L'Ispettore                    - E' l'arma di moda della delin­quenza. E' scelta perchè produce ferite con po­co sangue.

Belval                            - Eh! Lo so, che diamine, lo so! Ma le due ferite presentano due lati del triangolo netti, ed uno con una specie di slabratura, che non può essere prodotta se non da una piccola imperfezione di uno dei tre fili della lama. Que­sta imperfezione identica in due armi diverse, è quasi impossibile. L'arma è stata la stessa.

L'Ispettore                    - E non può il secondo assassino essersi servito dell'arma prestatagli dal Revers?

Laporte                         - Uhm! Mi pare poco possibile.

L'Ispettore                    - Ma è fatto apposta, Laporte, è fatto apposta. Il complice, contro cui non abbia­mo nessun indizio, ha atteso, per colpire, che Revers fosse arrestato; ed ha adoperato la stessa arma, per dimostrare che chi aveva ucciso la Baronessa era quello stesso che aveva ucciso il Notaio. E poiché, quando la Baronessa è stata colpita, Revers era già in arresto, questi, ad on­ta di tutti gli indizi contro di lui, è innocente.

Laporte                         - Troppa finezza!

Belval                            - E che ragione avrebbe avuto questo secondo omicida di interessarsi tanto per il Re­vers?

L'Ispettore                    - La paura di essere denunziato da Revers se non lo avesse aiutato. Ah! per me che ho visto la faccia di Revers, tutto questo è un giuoco, e purtroppo il giuoco è riuscito.

Laporte                         - Ancora non si può dire.

L'Ispettore                    - Ma sì, ma sì che è riuscito! Io solo, qui, che ho veduto Revers, sostengo che lui è l'omicida o almeno uno degli omicidi; loro due dubitano. E' evidente.

Laporte                         - Ma la deposizione della gover­nante?

L'Ispettore                    - Laporte, la signorina Dantec è la zia di Revers.

Laporte                         - La zia?

L'Ispettore                    - E' la sorella della madre. Ho avuto dal primo momento le generalità di Re­vers. Egli è figlio di Giorgio Revers e della fu Margherita Dantec. E' nato a Brest. E la gover­nante si chiama Maria Dantec, ed è nativa di Brest. Una buona famiglia decaduta.

Laporte                         - Allora, se è così, deve aver concor­dato la sua deposizione col nipote, a proposito dell'uomo che questi dice di avere...

L'Ispettore                    - Incontrato lungo le scale, pre­cisamente. La Signorina Dantec ha stabilito l'ac­cordo col nipote la notte stessa del delitto.

Laporte                         - In casa del Notaio?

L'Ispettore                    - Subito dopo il delitto, non può essere diversamente. La mattina non si sono visti.

Laporte                         - Potrei parlarle, signor Ispettore?

L'Ispettore                    - Questa notte l'ho trattenuta e ho dato ordine che la portassero qui questa mattina. (Va sulla porta di fondo e chiama) Sarcot!

Sarcot                            - (sulla porta) Comandi, signor Ispet­tore.

L'Ispettore                    - Faccia entrare la signorina Mary Dantec.

Sarcot                            - Ma non è qui, signor Ispettore.

L'Ispettore                    - E' restata all'ufficio, allora. Telefoni che la portino subito.

Sarcot                            - Sissignore. (Esce).

Belval                            - Se non hanno più bisogno dell'ope­ra mia, ha diverse faccende da sbrigare.

L'Ispettore                    - Ci faccia avere, al più presto, almeno le conclusioni scritte della perizia.

Belval                            - Oggi stesso.

L'Ispettore                    - E quelle sulle lesioni alle mani di Revers.

Belval                            - Avranno anche quelle. (Una pausa). Hanno notato che le lesioni sono soltanto sul dorso della mano sinistra?

L'Ispettore                    - E vuol dire?

Belval                            - È un dato da tener presente. Vo­glio dire soltanto questo.

L'Ispettore                    - Ma che cosa ne vuol dedurre?

Belval                            - Per dedurne qualche cosa ho ne­cessità di rivedere il cadavere del Notaio e l'ar­restato.

L'Ispettore                    - Dottore, noi siamo vecchi ami­ci, non voglia chiudersi con noi in un riserbo professionale, che capirei con altri.

Belval                            - Non è già riserbo; è rispetto per la sua funzione.

L'Ispettore                    - Cioè?

Belval                            - Se fra tanti elementi di dubbio ne gittassi uno anch'io, in questo momento, tutte le loro ricerche ne sarebbero ostacolate. Perciò desidero una certezza.

L'Ispettore                    - Ed allora si affretti, finché il cadavere è ancora visibile. Revers è in camera di sicurezza. E ci dia qualche notizia appena può.

Belval                            - Al più presto. Mi permettono?

L'Ispettore                    - S'accomodi, dottore. (// dotto­re saluta ed esce. Intanto Sarcot è riapparso sulla soglia).

L'Ispettore                    - Ebbene, Sarcot?

Sarcot                            - (confuso) Signor Ispettore. Dall'uf­ficio rispondono che c'è una donna, ma non è Maria Dantec.

L'Ispettore                    - Se ne è andata? Io avevo da­to ordine che fosse trattenuta ieri sera.

Sarcot                            - (e. s.) Ha approfittato della presen­za di un'altra donna; il piantone ha lasciato usci­re lei ed ha trattenuto l'altra.

L'Ispettore                    - Ma è enorme, Sarcot, è enor­me! (Sarcot si stringe nelle spalle).

L'Ispettore                    - Bisogna ricercarla subito.

Sarcot                            - Ho già telefonato al suo domicilio.

L'Ispettore                    - In casa del notaio Bordeaux?

Sarcot                            - Precisamente, signor Ispettore.

L'Ispettore                    - Ebbene?

Sarcot                            - Gli agenti di guardia hanno risposto che non si è veduta affatto.

L'Ispettore                    - Lo dicevo io. Ma bisogna tro­varla, ad ogni costo.

Sarcot                            - Manderò Brechard. L'ha già vista.

L'Ispettore                    - Sì, Brechard, va bene. (Sarcot via). Laporte, questa fuga della governante è decisiva. Revers è uno degli esecutori. Ma l'altro?

Laporte                         - Revers intanto lo tiene. E Revers le darà l'altro.

(Sulla porta di destra appare una signorina. E' bionda, bella, vestita con semplicità elegan­te. Ha l'aria di chi sia cresciuta in un ambiente molto fine. Vedendo degli sconosciuti fa per ri­tirarsi).

Vivì                               - Scusino...

 L'Ispettore                   - No, no; non ci disturba af­fatto.

Vivì                               - Non ho trovato nessuno di là.

L'Ispettore                    - Di dove è entrata? Scusi?

Vivì                               - Dalla porta del giardino. Io entro sem­pre di là.

L'Ispettore                    - E cercava?

Vivì                               - La mia madrina.

L'Ispettore                    - La signora Baronessa?

Vivì                               - Già. Ho ricevuto un telegramma che non ho capito.

L'Ispettore                    - Ma scusi, lei dove abita?

Vivì                               - Loro sono ospiti della madrina?

L'Ispettore                    - Siamo suoi ospiti, certamente; signorina...

Vivì                               - Elvira. Ma mi chiamano tutti Vivi. Non è accaduto nulla alla madrina?

L'Ispettore                    - Perchè ha questo sospetto?

Vivì                               - Mah! Ho ricevuto un telegramma... Loro conoscono l'avvocato Lascard?

L'Ispettore                    - Certamente, signorina. Non è l'avvocato di fiducia della Baronessa?

Vivì                               - Già, ecco; appunto. Non mi ha mai te­legrafato così. Già, di telegrammi ne ricevo così pochi io...

L'Ispettore                    - Se siamo in grado di spie­garle...

Vivì                               - Oh! Nulla: mi consigliava di venire di urgenza. Sono partita subito. Per solito, di là incontravo sempre qualcuno, ma oggi le stanze sono deserte. Perchè?

L'Ispettore                    - Ha trovato noi; noi non siamo nessuno.

Vivì                               - Già; ma io cercavo la madrina.

L'Ispettore                    - L'ama molto lei la sua ma­drina?

Vivì                               - Certo. Ma ho soprattutto un gran ri­spetto per lei... l'ho veduta così poco...

L'Ispettore                    - E come mai?

Vivì                               - Sono stata educata in collegio; per molti anni. Poi sono tornata al mio paese; si sta meglio laggiù.

L'Ispettore                    - Un po' lontano dal mondo!

Vivì                               - Oh! Ora con la radio... Piace loro la radio?

L'Ispettore                    - Quando non spara troppo, sì.

Vivì                               - Ma da noi non spara mai; c'è tanta quiete, laggiù; si sente benissimo. Tutte le sere ci addormentiamo quando suona la mezzanotte, a Londra, all'orologio di Westminster. Che bel suono! L'hanno mai sentito?

L'Ispettore                    - Oh! sì, un bellissimo suono.

Vivì                               - A me piace prendere le città del Sud; Algeri, Barcellona, Palermo. Chiudo gli occhi e mi sembra di essere laggiù. Le chitarre e le voci sono così vicine, qualche volta, che sembra di sentire il profumo degli aranci.

L'Ispettore                    - Le stazioni del Nord, invece...

Vivì                               - Sono sempre troppo... non so come di­re... troppo serie... Ogni tanto predicano.

L'Ispettóre                    - Un po' noiose, insomma. Vivi - Sì : un poco noiose.

L'Ispettore                    - Sicché, se ne vive contenta laggiù... Avrà un giardino immagino.

Vivì                               - Oh, bellissimo! Ma quest'anno c'è sta­ta una vera invasione di formiche. Quelle pic­cole, piccole, sa, sono voracissime.

L'Ispettore                    - E improvvisamente ecco que­sto telegramma dell'avvocato Lascard...

Vivì                               - Proprio. E non ho capito. La mia ma­drina mi aveva scritto pochi giorni fa, che, tra poco, avrei avuto ventun anno, e che mi ser­bava una grande sorpresa... che avrei dovuto, ora, amarla di più... proprio come una vera mamma. Ed ora l'avvocato Lascard mi telegrafa di venire subito.

L'Ispettore                    - Immagino, sarà per la grande sorpresa.

Vivì                               - Forse! Ma non capisco perchè non mi ha telegrafato la madrina stessa.

L'Ispettore                    - La madrina è fuori per il mo­mento.

Vivì                               - (stupita) E loro sono qui?

L'Ispettore                    - L'attendiamo. Vuole attender­la con noi?

Vivì                               - Volentieri, ma...

L'Ispettore                    - Non ci conosce. È giusto. (Pre­sentandosi) Il Dottor Belville... (presentando Laporte) e il dottor Giacomo Laporte.

Vivì                               - (inchinandosi) Allora attenderemo.

L'Ispettore                    - Vogliamo telefonare all'avvo­cato Lascard?

Vivì                               - Non vorrei disturbarlo. E' sempre molto gentile con me, ma ha tante cose da fare...

L'Ispettore                    - Ma vedrà che avrà piacere di sapere che lei è qui. Dottor Laporte, vuol te­lefonare?

Vivì                               - Grazie. Gli dica, per favore, che io sono arrivata, ma che se lui non può, non im­porta. Ma, vedranno, verrà lo stesso. (Laporte esce di scena per un momento).

L'Ispettore                    - Sicché, non ha proprio alcuna idea di questa sorpresa?

Vivì                               - Non riesco a capire che rapporto pos­sa avere con i miei ventun anno. Sono molti, vero?

L’Ispettore                    - (comicamente grave) Tanti! Tanti! Ma a me sembrano pochi; guardi (mo­stra i capelli grigi) quanti fili grigi.

Vivì                               - Per un uomo è un'altra cosa.

Laporte                         - (rientrando in scena) L'avvocato Lascard è uscito. Ma sembra che sia diretto pro­prio qui. Ho dato ordine di introdurlo subito.

Vivì                               - Grazie, signore. Ma a chi ha dato ordine? Chi c'è di là? Non ho visto neppure Clemy. Se permettono... (Si alza per uscire).

L’Ispettore                    - (fermandola) No, la prego, si­gnorina.

Vivì                               - (stupita) Perchè?

L'Ispettore                    - Non abbiamo deciso di atten­dere qui la baronessa?

Vivì                               - Sì; ma non c'è ragione che io non va­da di là. Io sono quasi in casa mia, signori.

L'Ispettore                    - Ebbene, noi dobbiamo pregar­la di non andare... non ci domandi di più.

Vivì                               - (improvvisamente si è fatta seria in vol­to. C'è, ora, fermezza nella voce) Ah! no! Scusino. Io vengo qui, trovo le stanze sul giar­dino deserte... la servitù assente... qui nel pri­mo salotto incontro loro, che non conosco... mi si dice che la madrina non c'è... Ora mi si im­pedisce di andare di là... non capisco, signori,

L'Ispettore                    - La prego, signorina, per il suo bene, non insista.

Vivì                               - (con ferma energia) Il mio bene non può dipendere dal non sapere che cosa si faccia di là... (C'è, ora, nel volto e nella voce il so­spetto). A meno che il telegramma dell'avvocato Lascard non fosse un tranello.

L'Ispettore                    - Oh! che cosa pensa? E come si è cambiata improvvisamente.

Vivì                               - Io non so se sono cambiata, signore. Quel che so è che esigo mi si dica ciò che av­viene di là; e dove è la mia madrina. (Sarcot appare sulla porta e fa un segno a Laporte. Que­sti esce con lui).

Vivì                               - Ed ecco là un'altra faccia sconosciuta. Signore, io la prego ancora una volta di dirmi quanto le ho chiesto.

L'Ispettore                    - Ebbene sia. Tanto, vedo che lei non è la timida ragazza che mi era apparsa prima. Tanto meglio.

Vivì                               - E' accaduta una disgrazia?

L'Ispettore                    - Peggio.

Vivì                               - Come peggio?

L'Ispettore                    - Un assassinio!

Vivì                               - La madrina? Assassinata la madrina?

L’Ispettore                    - (con tono di un rimprovero tri­ste) L'ha voluto sapere ad ogni costo.

Vivì                               - (rimane sulla sedia, con le mani in grem­bo; e lo sguardo fisso innanzi a se. Una pausa).

L’Ispettore                    - (parla mentre Vivi continua a guardare fissa nel vuoto).             - E' stato ieri sera. E non abbiamo che una traccia... o quasi nulla! Ella, forse, ci potrà dare qualche indizio; vuo­le? Io ho veduto che ella sa essere una donna... Il delitto si collega ad un altro. Ed è dei più strani; dei meglio combinati... E' in grado di rispondermi?

Vivì                               - Un momento... un momento solo...

L'Ispettore                    - E' giusto. Pensi che il modo migliore di dimostrare il suo affetto alla madri­na, è di aiutarci a scoprire l'assassino.

Vivì                               - (si è riavuta. E' decisa a concorrere co­me può nell'indagine) Io so essere una donna, signore. Aveva ragione. Mi domandi. Ma potrò dirle poco.

L'Ispettore                    - Perchè?

Vivì                               - Le ripeto che io vedevo raramente la madrina. Perciò avevo per lei un grande ri­spetto... ma che non aveva avuto ..modo di cam­biarsi in tenerezza.

L'Ispettore                    - E sa la ragione per la quale la Baronessa si interessava tanto di lei?

Vivì                               - Signore, da quando sono nata, io so­no stata circondata di tutti gli agi, ma tenuta lontana da questa casa. I vecchi che mi hanno adottata, hanno, fino ad oggi, evitato di parlare della mia nascita. Ma so essere figlia di ignoti. Questo è quanto posso dirle. Vede, che ho co­raggio.

L'Ispettore                    - Ed allora è necessario pensare che la sorpresa dei ventun anno doveva riferirsi a qualche cosa che riguarda il suo stato di fa­miglia.

Vivì                               - Qualche volta ci ho pensato anch'io.

L'Ispettore                    - Da quanto tempo la sua ma­drina le aveva scritto di questa sorpresa?

Vivì                               - Oh! da pochi giorni solamente.

L'Ispettore                    - Ed ella, quando compie i suoi ventun anno?

Vivì                               - Proprio domani, signore. Per ciò, ho creduto che il telegramma dell'avvocato Lascard mi chiamasse d'urgenza.

L'Ispettore                    - E' molto importante.

Vivì                               - Che cosa, signore?

L'Ispettore                    - Che la Baronessa sia stata uc­cisa ventiquattro ore prima che ella compisse ventun anno.

(Laporte rientra in iscena).

Laporte                         - Indovini chi è venuto?

L'Ispettore                    - Chi?

Laporte                         - La signorina Dantec!

L'Ispettore                    - L'hanno trovata per la strada?

Laporte                         - Ma che! E' venuta tranquilla, tranquilla, con quella sua faccia di principessa offesa. E si è messa a sedere in anticamera. Tro­neggia, come se fosse stata sempre lì.

L'Ispettore                    - Laporte, è necessario trovare una traccia sicura prima che la stampa... Io giuoco il mio posto!

Laporte                         - Revers lo tiene, e Revers ci darà in mano l'altro.

L'Ispettore                    - Ma bisogna far presto!

(Appare Sarcot sulla porta).

Sarcot                            - Il dottor Belval. Può entrare?

L'Ispettore                    - Avanti, avanti.

Belval                            - Ho creduto di tornare appena ho potuto, perchè loro non continuassero le indagi­ni con un dato non esatto.

L'Ispettore                    - Cioè?

Belval                            - (guardando Vivi) Posso?

L'Ispettore                    - Parli, parli pure.

Belval                            - Alludo alle lesioni sulle mani di Revers. È come prevedevo; le lesioni sono sol­tanto sul dorso della mano sinistra. Sono pro­dotte da unghie appuntite...

L'Ispettore                    - Ebbene?

 Belval                           - Il Notaio non aveva quasi unghie. Mentre è il Revers che ha le unghie appuntite.

L'Ispettore                    - E che ne deduce?

Belval                            - E' facile. E' il Revers stesso che con le unghie della destra, si è graffiato il dorso!) della mano sinistra... in un momento di esaspe- i\ razione contenuta...

L'Ispettore                    - Oh! Ma via! Chi le può da-re questa sicurezza?...

Belval                            - Un dato è certo: le unghie del no- j taio non possono aver prodotto quelle lesioni. Se questo, caro Ispettore, non coincide con le sue ipotesi, posso esserne dolente, ma non posso far ricrescere le unghie del notaio, e farle ap-puntire da una manicure.

Vivì                               - (agitata) Scusino... di quale notaio parlano?

L'Ispettore                    - Del notaio Bordeaux, signori­na. Lo conosceva?

Vivì                               - (e. s.) Ucciso anche lui?

L'Ispettore                    - Ventiquattro ore prima che fosse uccisa la sua povera madrina.

Vivì                               - (levandosi, atterrita, tremante) Ma allora è per me! E' proprio per me che hanno ucciso.

L'Ispettore                    - Come, per lei? Si calmi; si calmi... che vuol dire?

Vivì                               - Il notaio Bordeaux era quello che mi rimetteva sempre il denaro della madrina. E' stato per me; non abbiamo più alcun dubbio. E' stato per me! (Ricade sulla sedia e si nascon­de il volto tra le mani).

L'Ispettore                    - Per Dio! Si comincia a intra­vedere qualche cosa. Finalmente! Ma perchè, signorina, per lei? Perchè?

Vivì                               - (dopo avere un momento esitato, come per aver cercato in se stessa) Non lo so... non so dirlo... ma ho la certezza che io sono la cau­sa di tutto.

(Sulla porta appare Mary, col suo solito sor­riso).

Mary                             - Scusino, signori... so che non è di­stinto...

L’Ispettore                    - (spazientito) Cosa vuole lei, ora? Chi l'ha chiamata? Com'è entrata così, senza farsi annunciare?

Mary                             - Mah! Non mi pare che siano i mo­di... Se ho abusato chiedo scusa. Ma il signor Sarcot, di là, ha creduto di lasciarmi sola...

L'Ispettore                    - Che offesa! Vero? E che cosa vuole?

Mary                             - Volevo chiedere se avessero ancora qualche cosa da domandarmi.

L'Ispettore                    - E perchè, ieri sera, se ne andò così alla chetichella?

Mary                             - Alla chetichella? Io detti la buona sera al signore che era lì, nella stanza, con noi. E noti che nessuno me lo aveva presentato!

L'Ispettore                    - Ma io le avevo detto di re­stare.

 Mary                            - E' vero, ma poi quel signore disse che ella era molto occupato...

L'Ispettore                    - Ed ella finse di credere che poteva andarsene. Sarà; ma la sa lunga, lei.

Mary                             - Una donna come me? (Piccolo gesto di disgusto e di protesta).

L'Ispettore                    - E dove ha passato la notte? A casa del notaio non è stata.

Mary                             - Come vuole che tornassi lì? La not­te dopo...? Oh! no! Sono stata in albergo. Poi, stamattina, sono andata a chiedere un parere ed una notizia all'avvocato Lascard.

L'Ispettore                    - Come? come? All'avvocato Lascard?

Mary                             - (solenne, romantica, melodrammatica) Sì; sono andata a chiedergli se una gentil­donna ha il diritto di essere creduta quando dice una verità, sia pure in vantaggio di un suo ni­pote. Questo - signore - era il parere.

L'Ispettore                    - Perchè Revers è suo nipote, vero? Lei non l'aveva detto.

Mary                             - Oh! guai se il povero notaio avesse saputo che Revers era mio nipote! Era così stra­no, poveretto. Mio nipote è un buon figliuolo! Di ottima razza! Un po' poeta... Un po'... nelle nuvole... sebbene nato in Brettagna. Tutti così i Revers di Brettagna.

Laporte                         - E la notizia?

Mary                             - Questa. Se la mattina, quando l'av­vocato si recò dal notaio, questi gli parlò della busta valori smarrita. Volevo precisare l'ora della sparizione. Era utile, no?

L'Ispettore                    - L'avvocato Lascard era 6tato dal notaio, al mattino?

Mary                             - Veniva spessissimo. Perchè l'avvoca­to curava gli interessi della Baronessa di Crucy. E il notaio aveva molti depositi della Baronessa.

L'Ispettore                    - E che le ha detto l'avvocato?

Mary                             - Che il notaio cercò appunto quella busta, mentre parlava con lui, e che non la tro­vò. Dunque mio nipote non l'aveva rubata.

L'Ispettore                    - Che prova ne ha?

Mary                             - Eh! E' facile. L'aw. Lascard, venne, al mattino alle otto e mezzo; Revers e Gerard, il commesso, ogni mattina, vengono alle nove. Dunque, quando la busta era sparita, Revers non era ancora venuto allo studio. E' semplice, no?

L'Ispettore                    - L'aveva rubata la sera prima. E' semplice, no?

Mary                             - No! perchè il notaio gridava : « Sta­mattina l'ho vista... stamattina... ». Lo chiedano a Gerard.

L'Ispettore                    - E chi dice che l'avvocato Las-card sia veramente venuto alle otto e mezzo?

Mary                             - Oh, signore! Ella mi tratta come non dovrebbe! Possono domandarlo a lui stesso. L'avvocato è un galantuomo; e già lo ha ammes­so, parlando con me.

L'Ispettore                    - Prima dell'avvocato c'erano stati altri dal notaio?

Mary                             - Non lo so, perchè alle otto, natural­mente, io ero in Chiesa, signore.

L'Ispettore                    - Mi dica un po'. Lei dice di aver veduto l'uomo a cui aprì il Notaio, dopo che suo nipote era uscito...

Mary                             - Alle spalle, signore. Ho veduto un paletot... un bel paletot... grigio scuro... che potrei riconoscere...

L'Ispettore                    - Eh! Se avessimo il paletot...

Mary                             - Ma le assicuro che è riconoscibilis­simo. E' molto lungo ed ha una martingala.

L'Ispettore                    - Cosa vuole! Non possiamo mica mostrarle tutti i paletots con martingala della città.

Mary                             - Peccato! Perchè chi portava quel paletot è l'assassino.

L'Ispettore                    - Era biondo?

Mary                             - (una pausa; sul volto di Mary è un grande stupore) Era biondo quel signore?

L'Ispettore                    - Suo nipote non gliel'ha detto?

Mary                             - (raggiante) Non me l'ha detto. Ma ella può immaginare che gioia mi dà questa no­tizia. Biondo davvero?

L'Ispettore                    - Così assicurava suo nipote.

Mary                             - Oh! ma che bellezza, signore, che bellezza!

L'Ispettore                    - Che cosa?

Mary                             - Che quell'uomo portasse i capelli biondi. Mio nipote, naturalmente, l'ha vista quando l'ha incontrato per le scale. È la più bella notizia che mi potesse dare, signore.

L'Ispettore                    - Ma che fa? Impazzisce?

Mary                             - Ah! No! Non sarebbe corretto, si­gnore! Creda, quei capelli mi rendono felice.

L'Ispettore                    - Ma ci vuol dire perchè, in­somma?

Mary                             - Oh! Se metto in relazione il paletot che ho visto io, con i capelli che ha veduto mio nipote, credo che potrò trovare chi ha ucciso. Ma ho molto da girare; molto da guar­dare, signori. Per ciò, se non posso essere utile per altro...

Vivì                               - (interrompendo) Scusi... il notaio Bordeaux, le ha mai parlato di me?

Mary                             - Oh! signorina, il Notaio non mi par­lava mai di nessuno. Non era un uomo molto fine, oh! no! E lei, chi è, signorina?

Vivì                               - Sono la figlioccia della Baronessa de Crucy.

Mary                             - Ah! È venuta per il testamento! Ella è ricca, oramai.

L'Ispettore                    - Quale testamento?

Mary                             - Il testamento della signora Baro­nessa.

L'Ispettore                    - Per Dio! Un momento. Ella sa che la Baronessa aveva lasciato la sua pro­prietà alla figlioccia?

Mary                             - (con ingenuo stupore) Loro non lo sapevano?... Ah! Ora mi spiego la sorpresa... Certamente la signora Baronessa De Crucy aveva lasciato tutto il suo alla signorina... Elvira D'Amour... se non sbaglio...

L'Ispettore                    - Ma come lo sa, lei?

Mary                             - Veramente lo so per la manìa di andar leggendo, sempre, tutto quello che trovo. Si figuri, che qualche volta, se, mentre sfac­cendo, apro un libro...

L’Ispettore                    - (interrompendola) Lasci stare. Ci dica come sa che la signora Baronessa aveva lasciato tutto il suo alla figlioccia.

Mary                             - Perchè l'ho letto nel diario del notaio, un giorno che lo dimenticò sulla scri­vania. Non l'hanno trovato? Ordinariamente lo teneva nella cassaforte... hanno rubato anche quello?... Bisogna sempre ricordare che il No­taio è stato ucciso dinanzi alla cassaforte.

L'Ispettore                    - Laporte, fammi la cortesia di tornar tu nell'ufficio del Notaio. Guarda bene tra tutti i documenti repertati nella cassaforte; cerca questo diario...

Mary                             - Rilegato in cuoio... e si chiude con un fermaglio, credo d'argento. È un lavoro fio­rentino... fine, molto fine!

L'Ispettore                    - Cerca anche il repertorio. Se veramente un testamento della Baronessa De Crucy è stato rubato, una conclusione è già possibile.

Laporte                         - Sta bene.

'L'Ispettore                    - E telefona subito, ti prego, appena avrai una notizia da comunicarmi.

(Laporte saluta ed esce. Sulla soglia s'incon­tra con Sarcot che entra).

Sarcot                            - (annunciando) L'avvocato Lascard. Può entrare?

L'Ispettore                    - Ma subito.

(Sarcot esce e rientra, subito dopo, accom­pagnando Lascard).

Lascard                         - Oh! signorina Vivi...

L'Ispettore                    - Buon giorno, avvocato. La prego di risparmiare i convenevoli. La signo­rina sa tutto; è una buona e forte creatura. È inutile rivolgerle parole di compianto. Ab­biamo bisogno di una notizia che ella può e deve darci.

Lascard                         - Se non è contro i miei doveri di professionista...

L'Ispettore                    - Rispetto il suo segreto. Ma per quello che non è venuto a sua conoscenza nella sua qualità di avvocato ella deve parlare.

Lascard                         - Mi interroghi.

L'Ispettore                    - È vero che, ieri mattina, ella era nello studio del notaio Bordeaux?

Lascard                         - Alle otto e mezzo circa.

L'Ispettore                    - Ad ora così mattutina?

Lascard                         - Era necessario cominciare a pre­parare i dati occorrenti per un atto molto im­portante.

L'Ispettore                    - Si può sapere quale?

Lascard                         - Si trattava di un atto di donazione, dell'intera proprietà della Baronessa De Crucy, alla sua figlioccia, in occasione del com­pleanno di questa.

L'Ispettore                    - La signorina compie ventunanni proprio domani?

Lascard                         - Precisamente; e, per domani, l'atto doveva essere pronto. Non fu poi ini­ziato, perchè il Notaio non trovò più una bu­sta che, la sera prima, aveva tolto dalla cassa­forte. Una busta contenente precisamente va­lori e documenti della Baronessa De Crucy.

L'Ispettore                    - Come spiega questa genero­sità principesca della Baronessa, per la sua fi­glioccia?

Lascard                         - La pregherei di esimermi dal ri­spondere. È affidato anche questo al mio ri­serbo e le assicuro che è perfettamente inutile alle sue indagini.

L'Ispettore                    - Ho capito! Ella sa che la Baronessa avesse fatto testamento a favore della signorina?

Lascard                         - Certamente! La povera Baronessa non poteva far donazione del suo, prima che la signorina Vivi fosse maggiorenne; e, per ciò, le aveva, per testamento, lasciato tutto il suo, pel caso di sua morte prima della maggiore età della signorina.

L'Ispettore                    - Testamento depositato presso il notaio Bordeaux?

Lascard                         - Senza alcun dubbio.

L'Ispettore                    - Sicché, presso lo studio, deve trovarsi o il testamento o una indicazione di esso sui registri!

Lascard                         - Fu un deposto fiduciario. Può non esservi traccia alcuna.

L'Ispettore                    - Dunque c'era un testamento che forse è sparito; il notaio che lo custodiva è stato ucciso; e la Baronessa che si apprestava a fare un atto di donazione, è stata assassinata. Avvocato: chi è il parente più prossimo della Baronessa?

Lascard                         - Non capisco... che cosa intenda chiedermi.

L'Ispettore                    - Le chiedo semplicemente e categoricamente: se la Baronessa fosse morta senza testamento, chi avrebbe ereditato la sua fortuna?

Lascard                         - (titubante) Sono costretto a ri­conoscere che l'erede sarebbe stato il Barone Carlo De Crucy, suo nipote.

L'Ispettore                    - Non aveva altri parenti la Baronessa, i quali potessero concorrere nella eredità?

Lascard                         - No, signore. Il Barone De Crucy è l'ultimo e il solo discendente della grande famiglia.

Vivì                               - Loro pensano a Carlo De Crucy? No... non dicano questo... non lo dicano...

L'Ispettore                    - Signorina, la giustizia ha esi­genze inesorabili.

Vivì                               - No, no. È troppo orribile questo.

L'Ispettore                    - Ed io non permetterò il sal­vataggio di nessuno. Mi si capisca bene, da tutti. (Chiamando) Sarcot!

(Sarcot appare sulla porta).

L'Ispettore                    - Telefoni immediatamente in casa del Barone De Crucy e lo preghi di ve­nire qui, in casa della zia, per una comunica­zione urgente. Se è fuori casa si faccia dire dove può essere trovato.

(Sarcot esce. Lunga pausa, durante la quale tutti tacciono attendendo con atteggiamenti dif­ferenti. L'Ispettore passeggia nervosamente per la scena).

Sarcot                            - (sulla porta) Signor Ispettore...

L'Ispettore                    - Ebbene, Sarcot?

Sarcot                            - Il cameriere dice che il Barone è partito, ieri sera, in auto.

L'Ispettore                    - Per dove?

Sarcot                            - Il cameriere assicura che, per so­lito, il Barone non dice mai dove si reca.

L'Ispettore                    - Ebbene, Sarcot, sarà lei che si recherà, immediatamente, in macchina con gli agenti che ha qui disponibili, in casa del barone De Crucy. Getti all'aria tutto; non ri­sparmi nulla; né cuscini, ne tappeti. Sequestri tutto quello che le sembra sospetto. E in pochi minuti. Via.

Sarcot                            - Sta bene. (Esce).

L'Ispettore                    - Avvocato Lascard, chi le ha fatto la confessione è il signor Barone De Crucy; non è vero?

(Lascard non risponde).

Vivì                               - Non dica questo, signore, non lo dica.

L'Ispettore                    - Lasci stare, figliuola, lasci stare. Ella non sa a che può spingere una aspet­tativa di ricchezza delusa.

Vivì                               - No, mi ascolti. Il barone De Crucy non aveva bisogno di fare questa orribile cosa.

L'Ispettore                    - Perchè è ricco? Ma si è ro­vinato! E lo sa lei quanto ha perduto al giuoco?

Vivì                               - Ma non per questo...

L'Ispettore                    - Perchè allora? Perchè doveva forse fare il solito matrimonio restauratore?

Vivì                               - Perchè credo che la Baronessa, mia madrina, lo destinava...

L'Ispettore                    - A chi? a lei? Ma non s'il­luda, povera figliuola. Il barone De Crucy può perdere al giuoco una fortuna; può assassinare sua zia, per poter giuocare e perdere ancora, ma non può sposare quella buona e brava fi­gliuola che si chiama Elvira D'Amour.

Vivì                               - Se sapesse che male, che male mi fanno le sue parole, signore!

L'Ispettore                    - Perchè ella gli aveva creduto, vero, signorina Vivi?

Vivì                               - Perchè io l'amo, signore.

L'Ispettore                    - Sta bene. Anche questo è un suo atto di coraggio. Ma scusi: chi poteva avere interesse a sopprimere la zia, proprio alla vi­gilia in cui stava per spogliarsi della sua pro­prietà? Chi poteva avere interesse a sopprimere un testamento che lo diseredava? Chi a par­tire, quasi nell'ora stessa in cui sua zia era uccisa, per speculare sulla possibilità di un alibi?             - Avvocato Lascard, scusi, vuol dirci se ha veduto il barone De Crucy, ieri, prima che partisse?

Lascard                         - Rispondere significherebbe darle la possibilità, per via di eliminazioni, di in­durmi a rivelare quello che, per me, è un se­greto d'onore.

L'Ispettore                    - Ma intanto non l'esclude.

Lascard                         - lo escludo soltanto che Revers sia colpevole, perchè questo mi è stato assicurato. Se anche ella mi chiederà, ora, se escludo che la signorina Vivi, che qualunque altro, sia col­pevole, mi rifiuterò di rispondere.

L'Ispettore                    - Innocente Revers! Così attesta il vero colpevole! Quanta cavalleria in questo assassino! Non pare anche a lei, signorina Mary?

Mary                             - Ella crede ancora, signore, che io possa capire di tali orribili cose?

L'Ispettore                    - E... questo, avvocato, ella può dirmelo! Come spiega che, in questa casa, nessuno ha veduto entrare l'assassino ne uscire? Come spiega che alle 19 la Baronessa era an­cora viva, mentre alle 21 fu trovata, dalla ca­meriera, uccisa nella sua stanza; uccisa senza un grido, senza una lotta, nulla?

Lascard                         - Non ho il dovere di spiegarmelo, signor Ispettore. Non è il mio ufficio.

L'Ispettore                    - Ma di rispondere nella qua­lità di teste, sì.

Lascard                         - Ripeto: mi interroghi.

L'Ispettore                    - Ella sa che, le camere della Baronessa erano attigue ad un appartamento, con ingresso libero su una scala diversa da quella del palazzo?

Lascard                         - Certamente; lo so.

L'Ispettore                    - Sa che, in quell'appartamen­to, c'era una porta di comunicazione con le camere della gentildonna?

Lascard                         - Lo so.

L'Ispettore                    - Sa a disposizione di chi la Baronessa teneva quell'appartamento?

Lascard                         - (con esitazione, come se parlasse suo malgrado) Del nipote, barone De Crucy.

L'Ispettore                    - E sa chi aveva la chiave della porta di comunicazione?

Lascard                         - (c. s.) Carlo De Crucy!

L'Ispettore                    - E il barone Carlo De Crucy non è suo cugino?

Lascard                         - Sua madre e la mia, signore, era­no cugine.

L'Ispettore                    - Ed ecco la ragione della confessione a lei. Come vede, la polizia non è sem­pre quella che non sa nulla. Mi mancava un elemento, e me l'ha dato prima quella povera figliuola, e, poi, lei, signor avvocato.

Lascard                         - (con la solita impassibile tranquil­lità) Un De Crucy, signore, può forse ucci­dere, per impedire che gran parte della ric­chezza familiare vada in altre mani; ma ella crede che possa anche rubare oggetti preziosi con la volgarità di un ladro volgare?

L'Ispettore                    - Ma ancora non sappiamo se ci sia stato veramente un furto.

Lascard                         - Io non so come definire la scom­parsa di una magnifica collana, e del denaro che, con certezza, mi consta, era presso la Baronessa.

L'Ispettore                    - Può avere avuto bisogno ur­gente di denaro. Giuocava tutte le notti!

Lascard                         - Posso documentare, che, ogni volta che mio cugino mi ha chiesto somme... anche importanti...

L'Ispettore                    - Eh! Avvocato, crede che non si sappia? Ma ogni pazienza ha un limite, via!

Lascard                         - (con fierezza tranquilla) Sono in condizioni economiche tali, che questo limite era molto lontano da essere raggiunto, signor Ispettore Belleville.

L'Ispettore                    - Ella ha abbandonato il suo segreto professionale, allora?

Lascard                         - Non me ne sono accorto.

L'Ispettore                    - Ella difende suo cugino, quindi afferma che, almeno suo cugino, oltre Revers, è innocente.

Lascard                         - No, signor Ispettore. Io discuto circa la logicità o meno di alcune sue ipotesi. Mio cugino, può essere innocente o colpevole: ma quelle sue ipotesi sono certamente in­fondate.

Un Agente                    - (appare sulla porta) Signor Ispettore; telefona il brigadiere Sarcot. Vuol sapere se può comunicare a me.

L'Ispettore                    - No; vengo io. (Si ferma un momento, indeciso, e poi a Mary) E lei venga con me.

(Mary esce dì scena, col volto della gran . dama offesa).

Mary                             - (mormora) Che modi!...

Lascard                         - (a Vivi, a bassa voce) Ella ha sempre fiducia nella innocenza di Carlo, vero, signorina Vivi? (Vivi rialza il viso con improv­visa speranza). Non bisogna perderla fino alla fine; si ricordi.

Vivì                               - Ella crede alla sua innocenza, av­vocato?

Lascard                         - Ed ella non ci crede più, vero? (Vivi abbassa la testa, torcendosi le mani). Eb­bene no; non bisogna abbattersi! Ma è neces­sario che non sia arrestato. Anche se inno­cente, la verità giudiziaria è lentissima. Se lo arrestano sarà lo scandalo, e lo terranno chi sa per quanto tempo.

Vivì                               - (a voce bassa, soffocata, piena di ama­rezza) Ma è vero... capisce? è vero... che, quando mi vedeva, mi chiamava, scherzando, l'ereditiera... ma aveva un sorriso... cattivo... oh! sì!... cattivo... (Abbassa la testa sul brac­cio. Lascard l'accarezza a lungo sui capelli). Ella conosce l'assassino, avvocato, ella lo sa... è stato tanto buono con me, sempre... mi tolga questo tormento dall'animo...

Lascard                         - Sì, cara, farei tutto per lei... ma non posso tradire tutta la mia vita di profes­sionista...

Vivì                               - Ma io... come resto io? In ogni caso, io, come resto?

Lascard                         - Perchè?

Vivì                               - Ho ventun anno. I vecchi che mi ospitavano vivevano col sussidio di... mia ma­dre...   - posso dirlo, adesso, è vero?             - di mia madre. Ma ora?

Lascard                         - (con intenzione) Ebbene... se me lo prometterà... Io considererò che il destino ha affidato a me il suo avvenire... Ella sa quanta tenerezza ho sempre avuto per lei... Mi capisce, Vivi? Mi capisce? (Non riesce più a contenersi. È alle spalle della ragazza. Si curva su lei, e la bacia sui capelli prendendole il viso fra le mani).

Vivì                               - (balza in piedi. Fissa a lungo l'uomo, con gli occhi ingranditi dallo stupore e da una comprensione improvvisa. Poi a voce bassa e soffocata dalla emozione:) Avvocato Lascard! (Si porta le mani alle tempie) Lei? Lei?

Lascard                         - (a voce bassa anche lui) Che co­s'ha? Che cos'ha?

Vivì                               - (piomba a sedere e nasconde il viso tra le mani) Mio dio! Mio dio!

(Mary riappare sulla soglia e si ferma a guar­dare un momento. Lascard riacquista la sua calma perduta un attimo. Mary melodramma­tica si avvicina a Vivi, la carezza sui capelli. Ma, non appena la ragazza è sfiorata dalla ma­no, scatta in piedi con un gesto di disgusto).

Vivì                               - Non mi toccate... non mi toccate.

(La voce dell'Ispettore chiama fuori della scena).

L'Ispettore                    - Avvocato Lascard!

Lascard                         - (a voce bassa, affannosa) Signo­rina Vivi, per il bene di tutti, si calmi. La scongiuro.

L’Ispettore                    - (rientrando) Avvocato La­scard, si tenga pure il suo segreto! In casa del barone De Crucy è stata trovata una parrucca bionda. Revers aveva ragione.

(L'avvocato Lascard ha sul volto uno stupore doloroso. Vivi dà in un nuovo scoppio di pianto mormorando ancora tra i singhiozzi: « No, No ». Mary balza trasfigurata e si attacca al  braccio dell'Ispettore, in preda ad una stra­na esaltazione. Ogni sfumatura di comicità è in lei sparita. Ha nella voce la commo­zione).

Mary                             - La parruc­ca! Mi guardi, signore, mi guardi. Io sono qui mentre è stata trova­ta... Mi guardi bene. Tutto dipende da quel­la... Tutto è nulla, tut­to è nulla;         - e sfug­girà il barone e sfug­giranno tutti, senza quella... ed io sono qui, ora; ma guardi bene. Ed in casa del barone io non ho mes­so piede.

L'Ispettore                    - È impazzita davvero? Davvero è pazza, si­gnorina Mary?

Mary                             - Io le dico: chiuda quella parruc­ca come un tesoro nel­la cassaforte più sicu­ra, e ci metta dinanzi due soldati! Mi ascol­ti, mi ascolti: tutto è nulla senza quella!

L’Ispettore                    - (dopo aver guardato la don­na)     - Signori: escano, li prego. Escano tutti. Ho da parlare da solo con la signorina Mary.

Vivì                               - E con me? Signore, con me? Non ha più nulla da chie­dere a me?

L'Ispettore                    - Più tardi, signorina Vivi, più tardi. Ora si calmi.

(Escono tutti).

(L'Ispettore, non ap­pena son tutti usciti, torna verso Mary; la fissa negli occhi).

L'Ispettore                    - Eb­bene?

FINE DEL SECONDO ATTO

ATTO TERZO

La scena rappresenta un salotto nella «. Villa dei Glicini » del barone De Crucy. Mobili mo­derni. La camera ha tre porte; una, nel fondo, è formata da una ampia vetrata che apre su una veranda. Le altre due, una a destra ed una a sinistra. All'alzarsi del sipario la stanza è completamente al buio.

(Sulla vetrata del fondo, un poco chiara, per la luce di una lampada lontana, appare un'om­bra. Squilla due volte un campanello. Breve pausa. Si ode aprire la comune: la stanza si illumina. L'avv. Lascard è ancora con la mano sull'interruttore. Seduto a cavalcioni di una se­dia, in un angolo della stanza, è l'Ispettore Belleville).

L'Ispettore                    - Avvocato Lascard, ha voluto interrompere il mio pisolino.

Lascard                         - (volgendosi di scatto) Lei qui?

L'Ispettore                    - Come vede. Ma sono così stanco. Pensi, da guarantott'ore mai un mi­nuto di riposo. M'ero addormentato...

Lascard                         - Dolentissimo di averla disturbata.

L'Ispettore                    - Questa villa di suo cugino è veramente quella che ci vuole per un uomo stanco. Una quiete, un silenzio!...

Lascard                         - E Giovanni?

L'Ispettore                    - Il cameriere? Era un po' troppo affezionato al barone. E poi, desiderava tanto passare una notte in città!

Lascard                         - Scusi, Ispettore. Forse le do­mando troppo... come mai?

L'Ispettore                    - Sono qui? Glielo dirò subito. Noi esercitiamo il nostro mestiere alla moderna. Niente misteri. Ho pensato che, essendo già stata passata qui una perquisizione, lei e suo cugino avrebbero scelto proprio questa villa per rivedersi.

Lascard                         - S'inganna. Ero venuto perchè credo di aver lasciato qui, oggi, un mio fasci­colo di carte. Forse è scivolato dalla macchina quando l'hanno riparata in garage...

L'Ispettore                    - E possibile.

Lascard                         - Vado a vedere. (Apre la porta vetrata; nel vano si inquadra la figura di un agente).

Lascard                         - (rivolgendosi di scatto all'Ispettore) Che significa?

L'Ispettore                    - Avvocato, io aspetto suo cu­gino, ma lo aspetta anche lei.

Lascard                         - (con una improvvisa e fredda deci­sione sul volto e nella voce) Sta bene. Ed allora, che cosa decide?

L'Ispettore                    - Attendere il Barone, con tutti i riguardi che gli sono dovuti, specialmente in casa sua.

Lascard                         - Ella non ha alcun mandato del­l'Autorità Giudiziaria. Questo che ella compie è un arbitrio.

L'Ispettore                    - Nella vita si giuoca un po' sempre, avvocato. Se perderò pagherò la mia posta.

Lascard                         - (sedendosi) Ed allora, giuoche-remo, signor Ispettore.

(Sarcot appare sulla porta vetrata del fondo. Saluta militarmente, senza parlare).

L'Ispettore                    - Bene, Sarcot. Mi raccomando.

(Sarcot si ritira).

L’Ispettore                    - (a Lascard) Ed ecco il terzo giuocatore, avvocato Lascard.

Lascard                         - Tanto meglio. La partita sarà in­teressante.

(Sulla porta vetrata appare De Crucy. Gio­vane, vestito da automobolista, elegantissimo; monocolo. Egli è a volte cauto, a volte impe­tuoso. Ha il volto disfatto dall'ansia e dalla veglia).

De Crucy                      - (vedendo che Lascard non è solo, ha un moto di diffidenza e di sorpresa) Il signore?

L'Ispettore                    - Dott. Belleville, Ispettore di polizia.

De Crucy                      - (ricomponendosi) Non ho ve­duto le sue guardie.

(La porta vetrata si illumina come se sulla veranda stessa sia stata improvvisamente accesa una lampada. E sulla vetrata si profilano le ombre di due agenti in divisa, che passeggiano avanti e indietro. L'ombra di Sarcot, in bor­ghese, è immobile dinanzi alla porta).

L'Ispettore                    - Stia tranquillo. Non saremo disturbati (indicando con la mano le ombre).

De Crucy                      - La trappola è chiusa. Tanto meglio.

L'Ispettore                    - Giuocatore brillante, sempre!

De Crucy                      - E qui la posta è la vita.

L'Ispettore                    - Credo di sì.

De Crucy                      - (freddamente) La partita è tra me e l'avvocato Lascard?

L'Ispettore                    - Consideri anche me un giuo­catore. De Crucy      - E che giuoca anche lei? L'Ispettore          - La mia carriera, e per me vale come la vita.

Lascard                         - Carlo, ricordati che non c'è nulla ancora che dimostri una tua responsabilità.

L’Ispettore                    - (ironico a De Crucy) Lo sente l'avvocato: « Prudenza, cugino De Crucy, pru­denza! nulla ancora ti accusa in modo evidente. Qualche indizio; qualche sospetto; e in base a questo soltanto non si può mandare un De Crucy sulla ghigliottina. La carretta del Terrore è arrugginita nel museo ».

De Crucy                      - Prima di uscire di qui ci sarà chi pagherà la sua posta. Ne sia sicuro.

L'Ispettore                    - Allora iniziamo la partita. Vuole?

De Crucy                      - (accomodandosi il monocolo) Bene - coupez! signor Ispettore.

Lascard                         - Prima di tagliare le carte, voglio che mio cugino sappia che, dalle mie labbra non è mai uscita una parola contro di lui.

L'Ispettore                    - Oh! È perfettamente vero. Giuoco leale, signori. Io dò le carte e invito.            - Signor barone De Crucy, alle ore 19 di una certa sera la Baronessa sua zia è stata chiamata al telefono da una sua amica intima.

De Crucy                      - È vero: ho udito il telefono ed ho veduto mia zia andare nel suo boudoir, dove appunto è il telefono.

L'Ispettore                    - Ella comincia, intanto, con l'ammettere che a quell'ora era con sua zia.

De Crucy                      - Perfettamente, signor Ispettore. Ed era con me anche il cugino Lascard.

L’Ispettore                    - (a Lascard) Esatto?

Lascard                         - (scrollando le spalle e con il tono della commiserazione) Povero Carlo!

L'Ispettore                    - Lo pensavo! (A De Crucy) Ha udito che cosa sua zia dicesse?

De Crucy                      - Non potevo udire. Noi eravamo nel salotto, perchè, ripeto, Lascard era con me; la porta era chiusa, come probabilmente chiusa era la porta del boudoir. Non potevamo udire.

L'Ispettore                    - Ed allora, l'informerò io. L'amica di sua zia notò che la voce della Baro­nessa era affannata. Gliene chiese la ragione, e la Baronessa rispose che era veramente esaspe­rata. Per lei?

De Crucy                      - Per me.

 L'Ispettore                   - Posso domandarle a propo­sito di che?

De Crucy                      - Oh! Dio! non è molto lusin­ghiero, ma lo dirò. Io sono uno scapestrato, un debosciato, se vuole. Un corrotto, un sagomato dall'alcool e dal giuoco. Ma non riesco a rico­noscermi le brillanti qualità di un assassino.

L'Ispettore                    - Questo non risponde alla mia domanda.

De Crucy                      - Era necessario tuttavia premet­terlo per spiegarle tutto. Io avevo abusato della firma di mia zia su una grossa cambiale. Oh! Non ne esageri l'importanza morale. Era mia zia...

Lascard                         - (con grande freddezza) È una carta audace, De Crucy. Ed io non posso più» ormai, tacere ciò che ho conosciuto come te­stimone.

L'Ispettore                    - Ebbene, parli finalmente.

Lascard                         - (con esitazione) Eppure no; de­sidero, formalmente, essere liberato da De Crucy, dal mio obbligo di silenzio.

De Crucy                      - È un bluff! non hai carte, Las-card. Io non ti ho chiesto nessun segreto, nes­sun silenzio, se non quello naturalmente che si riferiva alla cambiale.

Lascard                         - (freddamente, ma fermamente) Esigo una esplicita autorizzazione a parlare.

De Crucy                      - (ironico) La tua oratoria, per solito, non ha bisogno di eccitanti.

Lascard                         - Attendo.

De Crucy                      - Parla pure.

Lascard                         - (sorpreso dolorosamente) De Crucy, io non capisco il tuo contegno nei miei riguardi. Io ho affermato sempre la tua inno­cenza.

De Crucy                      - Hai affermato con le parole; ma hai permesso con i fatti che tutti i sospetti cadessero su me.

Lascard                         - I fatti io non potevo distruggerli; avevano la loro vita, indipendente da ogni mia volontà.

De Crucy                      - E quali? Vuoi specificare?

Lascard                         - (fissando il cugino con intenzione) Qualcuno è venuto a dirmi se era possibile in­durre, per denaro, il notaio Bordeaux a bru­ciare il testamento della baronessa De Crucy.

De Crucy                      - (con indifferenza) È possibile, ma non mi riguarda.

Lascard                         - La stessa persona, avendo io affer­mato che il Notaio era incorruttibile, più tardi, si è recato nello studio del Notaio, e vi ha ru­bato una busta che aveva ritenuto contenesse il testamento, perchè portava scritto il nome della baronessa De Crucy.

De Crucy                      - Ed allora la persona è definita, perchè proprio tu ti sei recato dal Notaio, per preparare l'atto di donazione della zia alla sua figlioccia.

Lascard                         - È vero; ma quando io entravo nello studio, quella persona ne usciva.

De Crucy                      - Ed era?

Lascard                         - (quasi con tristezza) Mio cugino, il barone Carlo De Crucy.

De Crucy                      - (senza uno scatto, freddamente, ironico sempre) Lascard comincia a barare. Non sono mai stato nello studio del Notaio. Si trovi qualcuno che mi ha veduto! Lo studio del Notaio era forse deserto?

Lascard                         - Tu sei andato alle otto, perchè sapevi benissimo che i commessi non arrivavano che alle nove. Quand'io uscii infatti, alle otto e mezzo, essi non erano ancora giunti.

De Crucy                      - Ah! Perciò sei andato così pre­sto, Lascard?

Lascard                         - Ma io l'ho ammesso subito, per­chè non avevo ragioni per nasconderlo; tu in­vece ti ostini a negarlo. E, poiché lo vuoi ad ogni costo, ti prego di esporre all'Ispettore la tua condizione economica.

De Crucy                      - Una rovina più vasta e defini­tiva, di quella che puoi saper tu.

Lascard                         - Ed allora quale sarebbe stata la tua vita senza l'eredità della zia?

De Crucy                      - Probabilmente sempre la stessa.

Lascard                         - Un matrimonio? Con Vivi no, perchè la baronessa De Crucy era la madre, ed aveva paura, oramai, che la sposassi tu. Perciò aveva fatto un nuovo testamento proprio in fa­vore di Vivi, e si preparava l'atto di donazione.

De Crucy                      - Ma tra me e Vivi...

Lascard                         - Ah! no! caro. Perchè la zia avrebbe posto, come condizione alla ricchezza ed al suo affetto di madre, che Vivi giurasse di non sposarti. E questo tu lo sapevi.

De Crucy                      - (con uno scatto che non riesce a contenere) Hai il coraggio di affermare que­sto, Lascard?

L’Ispettore                    - (con cortesia e fermezza) Av­vocato Lascard, ella oramai può dire tutto quello che deve. E stia tranquillo, il signor ba­rone De Crucy ha già compreso che qui non si è disposti a permettergli atti di violenza. Con­tinui.

De Crucy                      - Domando scusa, Ispettore. So che al tavolo da giuoco si rivela il signore. E la signorilità del tappeto verde è la freddezza. Non lo dimenticherò più.

Lascard                         - (continuando il racconto) Lo vidi dunque, al mattino, che usciva dal Notaio. Questi l'aveva avvertito che l'atto di donazione era imminente. La sera di quel giorno, tardi, verso le nove e tre quarti venne a trovarmi. Potranno interrogare il mio cameriere. Era come un pazzo.

L’Ispettore                    - (a De Crucy) È vero?

De Crucy                      - È vero.

L'Ispettore                    - E perchè quella visita?

De Crucy                      - Mia zia, poco prima, mi aveva telefonato. Sapeva della cambiale, che le avevano presentata per il pagamento.

Lascard                         - Si è trovata nessuna cambiale presso la vecchia Baronessa?

L'Ispettore                    - Nessuna.

De Crucy                      - Già infatti, hai avuto tutto il tempo di toglierla tu, scomparsa mia zia.

L'Ispettore                    - Ma chi l'aveva presentata al pagamento?

De Crucy                      - Come vuole che sappia io per quante mani era girata quella cambiale? Come vuole che indovini chi l'ha presentata?

L'Ispettore                    - Ma chi aveva prestato il de­naro a lei lo saprà, no?

De Crucy                      - Uno strozzino : Staff ard, il crou­pier di una bisca.

Lascard                         - Che ha ancora presso di sé la cambiale non pagata, e con la firma della Ba­ronessa, molto bene imitata.

De Crucy                      - (contenendosi a stento) Glie-l'hai ridata tu, non è vero? È così, perchè ho visto io stesso nelle mani di mia zia la cambiale di lei già ritirata.

L'Ispettore                    - Non mi pare possibile.

De Crucy                      - (che comincia a dar segni d'insof­ferenza) Non le pare possibile? Uno stroz­zino!?... Una cambiale di 150.000 lire, con la firma falsa di mia zia? Una cambiale che si può presentare di nuovo all'erede falsario? Come non le sembra possibile?

L'Ispettore                    - Sarà. Vedremo. Continui, av­vocato.

Lascard                         - Era, ripeto, come un pazzo. Mi confessò che era tornato dal Notaio, perchè nella busta rubata non aveva trovato     - come sperava            - il testamento. Che aveva richiesto al Notaio un suo documento, ed appena il Notaio aveva aperto la cassaforte...

De Crucy                      - (interrompendolo) Signor Ispet­tore, io ho passato quasi tutta la notte al cir­colo. Questo si potrà verificare.

L'Ispettore                    - L'abbiamo già verificato... ella arrivò al circolo alle dieci di sera; il No­taio fu ucciso poco dopo le nove.

De Crucy                      - (smarrito) Ma io alle nove... dove fui alle nove?... alle nove... dove fui?

L'Ispettore                    - Credo che le sarà sempre dif­ficile precisare, dove sia stato alle nove.

Lascard                         - Il giorno dopo tornò da me.

L'Ispettore                    - A che ora?

Lascard                         - Nel pomeriggio, sul tardi. Aveva saputo dell'arresto di Revers. Fui io che volli essere autorizzato da lui a dichiarare, almeno, che Revers era innocente.

De Crucy                      - Motivo sentimentale, umanita­rio, veramente chicl... o non fu soltanto perchè volevi che i sospetti cadessero su me, e non su altri?

Lascard                         - (scrolla le spalle) Compresi che il furto del testamento gli sarebbe stato inutile finché era in vita la Baronessa. Pensai che la disperazione di perdere un patrimonio poteva spingerlo ad un altro atto di violenza. Mi feci giurare che nulla avrebbe tentato contro la zia...; che sarebbe partito; ... gli promisi che, in compenso, lo avrei salvato per quel che ri­guardava il Notaio. Ebbi il torto di fidarmi. Questa è l'arma con cui ha colpito... (estraendo un pugnale).

L'Ispettore                    - E lei come l'ha?

Lascard                         - Egli l'aveva lasciata qui, nella villa. L'ho trovata quest'oggi, e l'ho presa. Vo­levo nasconderla perchè l'assassinio di De Crucy è lo scandalo, che colpisce anche i parenti più lontani.

De Crucy                      - Arma bellissima a disposizione di chiunque volesse prenderla nel mio studio, in città.

Lascard                         - Infatti. Guardi sul manico, signor Ispettore.

L’Ispettore                    - (esaminando il pugnale) C D. C. Carlo De Crucy. Le sue iniziali, barone

De Cruct                       - Ha pensato a tutto. (Rivolgen dosi a Lascard) Ebbene, ad onta di tutto que sto, non riuscirai ad ingannare nessuno. Per che, vedi, sei proprio tu, l'assassino del Notaio e della povera zia; soltanto tu.

L’Ispettore                    - (a De Crucy) Ma perchè avrebbe ucciso lui? Sappia dirci almeno questo.

De Crucy                      - Non lo so. Mi sono spezzata la testa per capirlo. Non lo so. Ma è lui che ha accumulato tante prove su me. È dunque lui che ha ucciso.

L'Ispettore                    - Posso assicurarle che l'avvo­cato Lascard ha fatto sempre il possibile per­chè si credesse alla di lei innocenza.

De Crucy                      - (sarcastico ma eccitandosi a poco a poco, sempre più) Naturalmente... natu­ralmente! Ma fu lui che venne in casa apposta per indurmi ad andare dalla zia per placarla. Fu lui che volle passare dall'appàrtamhento che la zia aveva messo a mia disposizione.

L'Ispettore                    - E dove naturalmente non abitava.

De Crucy                      - No, perchè mi ripugnava por­tarvi donne, mentre ero diviso dalle stanze di mia zia, da una semplice porta.

L'Ispettore                    - Meno male. Dunque l'avvo­cato Lascard volle passare per il suo apparta­mento.

De Crucy                      - Sì, per paura, disse, che la zia avesse dato ordine ai servi di non ricevermi. Fu lui, che, appena la zia si irritò, quando era al telefono, mi indussse a fuggire, dicendomi che la telefonata poteva essere della Polizia; che lui sarebbe restato per evitare tutto, ma che intanto era prudente allontanarmi dalla città... La povera zia era effettivamente indi-gnatissima, veramente parlò di denunzia, ed allora io partii; e lui restò...

 L'Ispettore                   - Ma come poteva l'avvocato Lascard sperare che lei tacesse tutto questo? Come non avrebbe pensato che, arrestato lei, a poco a poco la verità non sarebbe stata sco­perta?

De Crucy                      - Ed appunto per questo non voleva che io fossi arrestato.

L'Ispettore                    - Eh! Non poteva mica sperare che ella restasse latitante tutta la vita!...

De Crucy                      - (come per una improvvisa ispira­zione, battendosi la fronte) Ha ragione... ha ragione... è vero, è vero... è così. Ora capisco tutto... tutto. (A Lascard) Ma non ti è riuscito, demonio!

L'Ispettore                    - Che cosa ha capito?

De Crucy                      - Questa notte egli doveva com­piere la sua opera... su me... su me, signor Ispettore... questa notte doveva avvenire il mio suicidio. Capisco tutto!... Ha ucciso con un an­tico pugnale che chiunque è passato per il mio studio, in città, avrebbe attestato d'aver vi­sto... Egli ha in tasca una mia lettera in cui gli dicevo che tutto avrei tollerato ma non il diso­nore...; egli deve aver rubato anche la mia ri­voltella che non ho trovato più... Un buon colpo qui, nel silenzio di questa camera, la mia rivoltella nella mia mano, tutte le prove con­tro di me...; il suicidio! Lo frughi, lo frughi, signor Ispettore... egli deve avere la mia ri­voltella.

Lascard                         - (con freddezza, estraendo una rivol­tella e consegnandola all'Ispettore) Oh! lo sa bene De Crucy! Gliela tolsi quando mi sembrò un pazzo e volli impedirgli l'atto di violenza che, questa notte, invece, volevo imporgli per­chè risparmiasse alla sua famiglia lo scandalo di un processo.

De Crucy                      - (è sbalordito; si sente stretto dalle prove; mormora) È diabolico! È diabolico! (ma evidentemente è vinto).

L’Ispettore                    - (con sincera ammirazione) Due magnifici giuocatori. Ogni colpo è parato. Ho l'impressione di una lanterna cieca che im­provvisamente si accende, e improvvisamente si spegne. Così, appena mi sembra di aver colto una verità... è sparita. Questa notte capisco la necessità degli antichi giudizi di Dio. Ma voglio andare via con una sicurezza. C'è una voce che deve essere udita. (Chiamando) Sarcot! (Sarcot apre la porta a vetri ed appare sulla soglia) Sarcot, preghi la signorina Vivi di entrare.

(Sarcot via).

Lascard                         - (con uno scatto di sorpresa) La signorina è qui?

L'Ispettore                    - È il momento delle spiega­zioni, avvocato.

Lascard                         - È un agguato contro di me.

L'Ispettore                    - Tutti i punti devono essere chiariti. (Su una delle porte interne appare Vivi) Venga, venga! È un'ora tormentosa, lo so. Ma la signorina Vivi è piena di coraggio. (Vivi si avanza sulla scena).

Vivì                               - Ne avrò ancora, signore.

L'Ispettore                    - Ella mi ha accennato ad una sua idea...

Vivì                               - Preferisco esporre fatti. Non voglio assumere una responsabilità troppo grave, né tacendo, ne parlando di quella che può essere una mia idea. E Dio conceda che sia soltanto un'idea.

L'Ispettore                    - È necessario dire tutto.

Vivì                               - Tutto.

L'Ispettore                    - Senza falsi pudori.

Vivì                               - Non ne avrò. Del resto l'avvocato Lascard non negherà una sola delle mie affer­mazioni.

Lascard                         - Le ammetto tutte; prima ancora che le pronunzi. Anzi, intendo risparmiarle il fastidio e la fatica di un racconto. Io ho avuto per lei, sempre, da quando è tornata dal Col­legio e l'ho incontrata presso la sua madrina, un sentimento profondo, vero...

(A mano a mano che il dialogo procederà, l'avvocato Lascard sarà più turbato).

L'Ispettore                    - Ma di che natura, avvocato? Questo è importante.

Lascard                         - Dica la signorina, se mai una volta io sia venuto meno al rispetto che le dovevo.

Vivì                               - Fino a ieri, mi era sembrata una te­nerezza paterna, è vero.

L'Ispettore                    - E ieri?

Vivì                               - Improvvisamente sentii che era qual­che cosa di diverso.

Lascard                         - Perchè le offrii la mia devozione, quando ella si sentì sola ed ormai povera?

Vivì                               - Non so dire perchè. Ma è così. Oh! non potevo ingannarmi. Ed allora tante parole, che prima mi erano sembrate di scherzo, acqui­starono un altro significato. Mi erano sembrate buone, le sentii improvvisamente false. Ebbi un impeto di disgusto, come per qualche cosa di viscido che mi avesse camminato addosso.

Lascard                         - Ammetto che, molte volte, ho na­scosto nello scherzo il mio sentimento vero.

Vivì                               - E perchè non mi vedeva una volta, senza parlarmi di Carlo De Crucy, come di un essere capace di ogni bassezza?

Lascard                         - Perchè io sapevo chi era Carlo De Crucy e vedevo, con infinita amarezza, la sua simpatia per lui.

Vivì                               - È stato dunque per lei che la ma­drina mi impose di non vedere più Carlo.

Lascard                         - È stato per me!

De Crucy                      - E che diritto avevi tu di far questo?

Lascard                         - (fissando De Crucy, e lentamente) Pur che non fosse stata tua moglie, l'avrei uc­cisa.

 L'Ispettore                   - Avvocato, è una frase pericolosa.

Lascard                         - Sia. Non è l'ora delle confessioni . questa? Ho avuto per la signorina un sentimento che ha riempito la mia vita di ogni giorno. Ho cercato tutti i pretesti per avvicinarla. Ho posto alla mia passione la maschera dell'amicizia devota. Ho vigilato la sua vita col tormento nell'anima. Ho avuto impeti d'odio desolato, quando ho sentito che ogni sua sim-patia si rivolgeva verso un uomo che non po­teva renderla felice. Ma per questo son dìvezfl tato un assassino? Rispondete! Per questo ho distrutto tutta una lunga vita di probità?

Vivì                               - Ella un giorno mi disse: « Il destino! è contro di me. Oh! se ella fosse povera! ».

Lascard                         - Non ridevo, come sempre?

Vivì                               - Ma, subito dopo, non rise più. Ed io oggi son povera. Ecco il ricordo che mi è balenato quando ella mi ha proposto di provve­dere alla mia vita.

Lascard                         - (si esalta a poco a poco - si che, da ultimo, sembri che egli parli per rivelare una verità più forte di ogni accorgimento) Ah! ho capito. Ora ho capito. Ella pensa che questo mio amore fosse tale, che io avrei, per esso, dimenticato me stesso, tradito la fiducia di una mia vecchia cliente - ucciso un uomo per distruggere un testamento - ucciso ancora per impedire una donazione. Così, così, in una furia di devastazione, travolto da una forza demo­niaca, perchè ella fosse povera, sola, abbando­nata, costretta ad accettare quel che per amore non avrebbe mai potuto. Sì che un giorno po­tessi dirle: « Son giunto a te attraverso il de­litto, attraverso la rovina della mia vita, abbat­tendo tutto, distruggendo ogni ostacolo, come una forza selvaggia che non ha trovato altra via. Tu misura da questo la mia passione. Quel che ti sembrava tranquillità, era tormento cupo di ogni attimo della mia vita, quello che ti sem­brava riserbo era paura del ridicolo ». Questo pensate, non è vero?

(Una pausa).

L'Ispettore                    - Avvocato, questa è una con­fessione.

Lascard                         - (riprendendosi, dominando di nuovo freddo e misurato) Questo, signori, è il ro­manzo che voi avete pensato. Io ho avuto per la signorina Vivi un sentimento di simpatia vi­vissima e le ho offerto di aiutarla quando l'ho vista desolata per le condizioni in cui veniva improvvisamente a trovarsi. Ma la signorina Vivì - uscendo dal romanzo e tornando nella vita   - dica se anche lei non ha creduto che Carlo De Crucy fosse l'assassino. (Vivi curva la testa senza rispondere). Dica se Carlo De Crucy più volte non l'abbia chiamata l'« ereditiera » con un cattivo sorriso ironico sulle labbra.

 De Crucy                     - Ella può dir questo, signorina Vivi?

(Vivi tace guardandolo come per farsi perdo­nare il sospetto avuto).

L’Ispettore                    - (a De Crucy) Questo non è vero?

De Crucy                      - È vero che l'ho chiamata l'« ere­ditiera »... perchè mia zia non ne faceva mi­stero. È falso che io sorridessi ironicamente... o, almeno, è stato male interpretato il mio sorriso.

Lascard                         - Già... perchè bisogna decidere quale testa debba cadere nel paniere. Se quella scarnita dalla deboscia, o quella incanutita dal lavoro. Scegliere, se abbia ucciso chi ebbe una grande tenerezza per una ragazza; o colui che, senza quel delitto, era ridotto ad una grande miseria senza alcuna dignità. È tempo di de­cidersi, non è vero, Ispettore Belleville?

L'Ispettore                    - È vero. Torniamo alla nostra partita. Avvocato, il suo racconto del delitto è semplice, chiaro, convincente. Un solo punto mi lascia ancora in dubbio.

Lascard                         - Mi interroghi.

L'Ispettore                    - Ecco. Non capisco come il Barone alle 9 di sera potesse uccidere il Notaio, venire da lei senza alcuna necessità a confes­sarglielo, ed alle dieci trovarsi al circolo.

Lascard                         - Necessità l'aveva. Perchè egli sa­peva benissimo che, conosciuto l'assassinio del Notaio e la sparizione del testamento, io avrei immediatamente capito chi era l'autore. Ve­nendo da me come avvocato, egli mi legava al silenzio. Volle poi trovarsi al circolo alla so­lita ora. Infatti, la prima cosa che ha detto, è questa.

L'Ispettore                    - Risposta degna di lei. Ma come poteva il De Crucy tanto rapidamente mettersi in abito da sera, per recarsi al circolo non più tardi del solito?

Lascard                         - Ma quando venne da me era già vestito.

L'Ispettore                    - Allora aveva compiuto il de­litto quando già era pronto col suo frack?

Lascard                         - Non c'è alcun dubbio. Egli aveva ancora, nella tasca, la parrucca che gli era ser­vita, evidentemente, per non essere riconosciuto da qualcuno che, eventualmente, l'avesse in­contrato.

L'Ispettore                    - Infatti, quel povero Revers disse che aveva incontrato per le scale, mentre scendeva, un uomo biondo e col capo scoperto, perchè si vedesse meglio, naturalmente, che era proprio biondo: ma non badò come fosse vestito.

Lascard                         - Era già in abito da sera, le ri­peto, Ispettore!

L'Ispettore                    - Uhm! Un uomo in frack, per quella scala... Revers o qualche altro lo avrebbe certo notato.

 Lascard                        - Non credo, perchè egli era tutto coperto con la sua pelliccia.

L’Ispettore                    - (con raddoppiata attenzione, e come se dalla risposta dipendesse la sorte di De Crucy) È sicuro che il De Crucy indos­sasse una pelliccia?

Lascard                         - Sicurissimo. La sua pelliccia.

L'Ispettore                    - Sta bene. (Avvicinandosi alla porta di destra e chiamando) Signorina Dantec, vuole avere la bontà...

Mary                             - Sono qui, signor Ispettore.

L'Ispettore                    - La partita è giunta ad un punto che occorre un atout per decidere. E lo attendo da lei. Lei è stata nello studio dell'av­vocato?

Mary                             - Mi pare di averglielo detto. Ho aspet­tato tanto nell'ingresso, ma il tempo è passato presto, perchè son rimasta affascinata a guar­dare un magnifico paletot grigio scuro sull'at­taccapanni.

L'Ispettore                    - Perchè?

Mary                             - (come scusandosi) Quel paletot io l'avevo già visto.

L'Ispettore                    - Certamente, l'avvocato fre­quentava lo studio del Notaio.

Mary                             - No; non indosso all'avvocato. Io gli conoscevo un paletot chiaro, che pure pendeva dall'attaccapanni.

L'Ispettore                    - Ed allora?

Mary                             - L'avevo visto sulle spalle del signore che entrò nello studio del Notaio, la sera che fu ucciso. Guardando quel paletot nello studio dell'avvocato, ebbi un brivido, mi parve pro­prio di rivedere l'assassino.

(Lascard scatta in piedi. De Crucy rialza la testa che aveva tenuto da qualche tempo ab­bassata).

L'Ispettore                    - Avvocato Lascard, non si al­larmi, è una coincidenza. Non ha valore. La partita continua.

Lascard                         - Oh! non mi allarmo affatto. Di paletots grigi credo ne esistano parecchi.

Mary                             - Lo pensai anch'io! Perciò volli guar­dare meglio. E vidi un'altra cosa curiosa. Sul collo c'era qualche filo biondo. Oh! guarda, dissi tra me: che siano capelli? Ma l'avvocato è grigio...

Lascard                         - Era proprio mio quel paletot?

Mary                             - Così mi assicurò il suo commesso di studio; perchè io subito gli chiesi chi c'era da lei. Avevo pensato che l'assassino fosse ve­nuto a consultarla come avvocato.

Lascard                         - Questa donna mentisce.

Mary                             - (offesa; piena di dignità) Ah! ella dimentica, avvocato, a chi parla.

L'Ispettore                    - E non presentava altro quel paletot?

Mary                             - No, non mi pare: o meglio, ora che ricordo: qualche altro filo biondo era pure vi­cino alla tasca di sinistra... (Ridendo, come se dicesse una enormità) Toh! - dissi - e come mai questi capelli son vicini alla tasca?

Lascard                         - Questa donna non è la zia di Revers?

Mary                             - E non me ne vergogno affatto, sa. Sono i Revers di Brettagna!

Lascard                         - Ebbene, ella mentisce.

Mary                             - (offesa) Ancora?

Lascard                         - Mentisce, perchè, credendo di salvare suo nipote, ha attaccato i fili biondi di cui parla sul mio paletot.

L'Ispettore                    - Carta pericolosa, avvocato! La signorina Dantec dichiarò di aver veduto la sera del delitto un paletot grigio non ap­pena fu interrogata...; prima ancora, cioè, di vedere il suo nell'ingresso dello studio.

Lascard                         - Sia pure. Ma avendo saputo che l'uomo incontrato da Revers lungo le scale era biondo, ha truccato il mio paletot.

L'Ispettore                    - Questo non è assolutamente possibile. La parrucca fu sequestrata in casa del Barone. La signorina Dantec non l'ha mai vista.

Lascard                         - E che significa, scusi?

L'Ispettore                    - Non ha ricevuto stamane due nuovi clienti? Uno imputato di bancarotta frau­dolenta; e l'altro di ferimento?

Lascard                         - Ebbene?

L'Ispettore                    - Erano miei agenti. E mentre l'uno consultava lei su bilanci e cambiali, l'al­tro, nella camera di ingresso, ha potuto racco­gliere tutti i capelli biondi che erano ancora sul famoso paletot, così, come scherzando, sotto il naso del suo commesso.

Lascard                         - Non capisco.

L'Ispettore                    - È tanto facile, via! Se i ca­pelli sequestrati in casa sua sono identici a quelli della parrucca sequestrata in casa di De Crucy, la sorte è decisa. Ed è Vatout che at­tendo, avvocato Lascard. (Chiamando) Sarcot! (Ed a Sarcot che si presenta) Hanno portato nulla dalla città?

Sarcot                            - Questa busta, signor Ispettore. Un motociclista, due minuti fa.

L’Ispettore                    - (dopo aver guardato l'indirizzo, legge) « Istituto Polizia Scientifica ». Avvo­cato Lascard... è la perizia...

(Lascard si slancia sulla rivoltella che prima l'Ispettore aveva posato sul tavolo. Il suo volto ha gittato la maschera. Ma l'Ispettore è più ra­pido di lui ed allontana, con un colpo della mano, la rivoltella, mentre Sarcot, che è rimasto in scena, si lancia alle spalle di Lascard e lo immobilizza, insieme con altri due agenti ac­corsi al grido di Sarcot: « Brechard... Carré ». Durante la scena Vivi fugge per una delle porte del fondo. Mary si rincantuccia in un angolo).

 L'Ispettore                   - Avvocato Lascard, nei delitti anche i maestri hanno il momento che li tra­disce. Ella non sapeva di essere stato veduto col paletot. Questo lo ha perduto.

 (Lascard è con gli occhi fissi a terra, mutq le mascelle serrate).

L'Ispettore                    - E la perizia non esiste Guardi (mostrando la busta): è vuota. Quandi vennero i miei agenti nel suo studio il suo ca> -meri ere aveva spazzolato il paletot. Ma io ho pensato che fosse un fatto troppo abituale per­chè le fosse riferito. Non avevo carte... e Vatout, in fondo, me l'ha dato lei.

Lascard                         - (con un soffio) Perchè non mi uccide?

L'Ispettore                    - Sarcot: la vettura è pronta?

Sarcot                            - Pronta.

L'Ispettore                    - Ed allora: via! Ed occhio lungo la strada, mi raccomando. Badi, può étm sere che sia il demonio!

Sarcot                            - (con un largo sorriso, uscendo coni Lascard e gli altri agenti) Ma io metto i ferri! anche al demonio, signor Ispettore!

(Escono di scena).

L’Ispettore                    - (a Mary) Ha visto se è riu-scito, eh, signorina Mary!

Mary                             - Che paura. Madonna santa, che paura!

L'Ispettore                    - Ed ora si vada a riprendere il suo Revers.

Mary                             - Sì? Me lo ridaranno subito?

L'Ispettore                    - Subito, Vada, vada.

Mary                             - Sì, vado.

(Mary si avvia, poi si ferma sulla soglia e si volge. E evidente che non è del tutto soddi­sfatta).

De Crucy                      - (tendendo la mano all'Ispettore) Signor Ispettore, vuol permettermi di rin­graziarla?

L'Ispettore                    - Se sapesse che rischio ha corso lei! Ma è passato. Ora non sciupi questa nuova ricchezza. Perchè ormai è lei soltanto l'erede. Ma sua zia voleva, invece, che fosse una buona e brava figliuola che le vuol bene... che è di là e piange... bisogna che non pianga più, ha capito?

De Crucy                      - (sorridente) Ho capito, Ispet­tore.

L'Ispettore                    - Vada dunque... e glielo dica...

De Crucy                      - (si avvia verso la porta destra).

Mary                             - (dal fondo della scena timidamente) Signor Ispettore...

L'Ispettore                    - E lei? è ancora qui?

Mary                             - Signor Ispettore... Non è molto cor­retto... lo so... ma vorrei...

L'Ispettore                    - Che cosa?

Mary                             - (melodrammatica, con enfasi) Darle un bacio... signor Ispettore.

L’Ispettore                    - (leva le braccia in alto a signi­ficare l'enormità della cosa) Oh!

FINE