L’ultima notte di Marlowe

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L’ULTIMA NOTTE DI MARLOWE

Commedia in tre atti

di ANNIBALE NINCHI

PERSONAGGI

Cristoforo Marlowe

Il vecchio ciabattino

Stamberga

Ingram Fritzer

1° Berretto rosso

2° Berretto rosso

Caterina

Tommy

1° Attore

2° Attore

Lo sceriffo

Drake

Gertrude

Il cortigiano

La regina Elisabetta

Lord Cecil

Il conte Essex

Don Remigio.

L'azione si svolge in una notte del 1594, durante il Regno della Regina Elisbetta.

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

Un vasto stanzone a pianterreno, il quale serve da dormitorio e da bottega al vecchio ciabattino padre di Marlowe. Un angolo è riservato agli arnesi del me­stiere. Sul fondo, a destra, un tendone bucherellato nasconde il misero giaciglio del vecchio. Un'altra ten­da logora, a sinistra, nasconde un pagliericcio coperto di panni pesanti. In fondo una finestra con inferriata. Nei sobborghi di Londra, durante il regno della Re­gina Elisabetta.

(Il ciabattino e il garzone lavorano e cantano. Il vecchio è alticcio e malato)

Garzone                        - "Sempre vergine e matura",

Ciabattino                     - (con voce fioca) "La Regina Elisa­betta",

Garzone                        - "è già stanca del suo amante".

Ciabattino                     - "O è lei che gli misura"

Garzone                        - "del piacere la ricetta?"

Ciabattino                     - (smette di cantare) Sto male.

Garzone                        - Che avete?

Ciabattino                     - Mi ballano tutti i semi della zucca... E la voce mi cambia direzione... E qui, (indica il petto) come un carbone acceso.

Garzone                        - Fa brutti scherzi il vino. Andate a letto.

Ciabattino                     - (indicando le scarpe che ha deposte sul deschetto) E chi me le rattoppa? Dammi lesina e trincetto.

Garzone                        - Li, davanti a voi. (Sbadiglia)

Ciabattino                     - Non sbadigliare! Canta e batti.

Garzone                        - (ricanta) "La Regina Elisabetta... (e batte)

Ciabattino                     - Chi più batte, alfine vince, dice quel cancheraccio di mio figlio. Fa il poeta, lui!

Garzone                        - E il commediante.

Ciabattino                     - Bei mestieri! Io vendo e compro chio­di, spago, e ossi di bestia intera, e mi chiama foratacchi. Lui invece vende ciarle, vento, fumo, e t'ar­raffa bei scellini.

Garzone                        - Scellini? Lord Southampton gli ha sco­dellato otto "nobili" per quel suo "Ebreo di Malta".

Ciabattino                     - E dove lo butta il suo guadagno?

Garzone                        - Alla Taverna della Daga.

Ciabattino                     - Già, con le vestali di Pichthateh, co­me chiama quelle cialtrone, coi suoi colleghi scam­pati alla forca. (Torcendosi dal dolore) Maledetti crampi! Dammi la bottiglia. È la migliore medicina. (// garzone gliela dà. Dopo aver bevuto) Guadagnavo anch'io, i miei pezzi d'oro, con su stampata la zucca del defunto Re.

Garzone                        - (sbirciando la bottiglia) Che Dio non abbia in gloria.

Ciabattino                     - (dopo aver bevuto) Conciavo a grasso, allora, bei gropponi di vitello che poi tingevo col nero diavolo... (Strappando la bottiglia al garzone che si era messo a bere) ... che ti porti! Bacco m'ha tradito.

                                      - (Ribeve. Mostrando una vecchia scarpa tutta buchi) E adesso devo rassegnarmi a questa cornutaglia. Guarda qui questa slabbrata! Ha strofinato i vicoli più luridi di Londra e rivuole la verginità. (Ribeve)

Garzone                        - (con voce tenera accennando alla bottiglia) E un'ingollatina anche per me?

Ciabattino                     - "Consumatum est", direbbe il poeta che m'è nato da una botte. Ha studiato il latino, lui, e anche da prete, e bestemmia come John il taver­niere!

Garzone                        - (sbadigliando) Che non può pagare.

Ciabattino                     - Per questo viene qui. (il garzone co­mincia ad appisolarsi) Non dormire.

Garzone                        - Ho sonno.

Ciabattino                     - Pungiti il culo con quest'ago. Quel bastardo, dorme qui stanotte: torna al nido, quando gli va male. Non ha più nemmeno un "pence". Ahi! Mi ripigliano le fitte.

Garzone                        - Volete che rimanga?

Ciabattino                     - (lamentandosi) Puzzi troppo.

Garzone                        - Non sarà la peste?

Ciabattino                     - Ti venga il cacasangue!... Dormi sem­pre in piazza?

Garzone                        - Ho cambiato domicilio. Lo sceriffo m'ha permesso di russare sotto i ponti.

Ciabattino                     - (c. s.) Se mi muore il cane, ti do il suo posto nel cortile.

Garzone                        - Ho fortuna questa sera.

Ciabattino                     - Apri la finestra, non respiro più.

Garzone                        - Tempo da lupi.

Ciabattino                     - Cambierò un po' l'aria, non bastava­no i miei rutti.

Garzone                        - Allora, posso andare?

Ciabattino                     - Aspetta, dammi il braccio.

Garzone                        - (mentre lo sorregge, canticchia) "La Regina Elisabetta..."

Ciabattino                     - (avviandosi) Bestia! Ti può sentire la ronda!... Ohelà!... Il pavimento prende il posto del soffitto... Ahi!... Non pigiarmi sotto il braccio!... Pia­no!... Cosi!... Venite amiche pulci, sono tutto vostro. (Scompare nel fondo dietro il tendone. L'orologio della torre batte la mezzanotte)

Garzone                        - Mezzanotte! (Dopo aver tentato la bot­tiglia vuota) È più vuota del mio ventre! Se l'è sco­lata tutta. (Si avvia per uscire, ma dopo avere sol­levato il chiavistello e aperto un battente della porta per infilare la chiave nella toppa e chiuderla, viene spinto dentro violentemente da un uomo ammantel­lato, con un occhio coperto da una benda nera)

Fritzer                           - (minaccioso) Torna dentro, gufo!

Garzone                        - (indietreggia impaurito) Aiu...!!

Fritzer                           - Se gridi ti scuoio!

Garzone                        - (Scambiandolo per Marlowe cui assomi­glia prodigiosamente) Ah, siete voi sir Cristoforo?

Fritzer                           - Che?!

Garzone                        - Perché siete bendato?

Fritzer                           - Per chi mi prendi, topo di chiavica?

Garzone                        - Vi giuro che...

Fritzer                           - Gli somiglio, lo so. Ma se mi scambi ancora con quel saltimbanco...

Garzone                        - (impaurito) No, non siete chi mi sta davanti, ma soltanto... chi volete voi.

Fritzer                           - Adesso sputi chiaro. E tu chi sei, lom­brico?

Garzone                        - La valanga della fame.

Fritzer                           - Il tuo nome?

Garzone                        - Pidocchio, baco, verme, come più vi piace. Ma mi chiamano Stamberga.

Fritzer                           - Sei intonato qui. E se strisci dritto, pen­serò a sfamarti.

Garzone                        - La mia ventraia, ventricolerà tutta per voi.

Fritzer                           - (buttandogli una moneta come l'offa al ca­ne) Toh!

Garzone                        - (prendendola a volo e mugulando per la gioia) Posso abbaiare di riconoscenza?

Fritzer                           - (ridendo divertito) Somiglio ancora a quel tuo...!

Garzone                        - (negando col capo) Bu! bu!

Fritzer                           - Dammi la chiave, adesso.

Garzone                        - Quale?

Fritzer                           - Quella che infilavi nella toppa.

Garzone                        - C'è rimasta, è li.

Fritzer                           - (estraendola) Bene.

Garzone                        - Che volete fare?

Fritzer                           - (intascandola) Rispondi, cimice, e non interrogare. Da quando non vedi quel figlio di put­tana che hai scambiato con mia Reverenza?

Garzone                        - E chi se ne ricorda? Dall'ultimo boc­cone che mi ha dato, o meglio buttato come voi...

Fritzer                           - Bada, se menti!... Quando viene qui?

Garzone                        - Quand'ha la borsa vuota.

Fritzer                           - E non l'hai vista qui, quella gazza della Cate?

Garzone                        - E chi è?

Fritzer                           - Solo un castrato come te lo può ignora­re. È la più scaltra strizzacuori del convento.

Garzone                        - Come? Sareste?...

Fritzer                           - (ghigna) Un padre cappuccino che rac­coglie candide agnellette, per invischiare certi ca­proni inuzzoliti, che poi spello dalla coda. E non voglio perdere la Cate. Da sola, riempiva la mia bor­sa, quanto le altre messe insieme. E m'è scappata con quel cialtrone che da solo fa una forca. Lo cerco da una settimana! E pago bene le mie spie! Ma dove guardi, basilisco?

Garzone                        - (indicando la finestra) Non vedete?

Fritzer                           - (si china sul davanzale) Giù la zucca! (E lo costringe ad imitarlo)

I Birro                           - (alza la lanterna al disopra dell'inferriata per spiare nell'interno dello stanzone) Nessuno!...

II Birro                          - Fa' luce li, sotto la tenda.

I Birro                           - Non è venuto ancora.

II Birro                          - E sei certo che verrà, con quella sua baldracca?

I Birro                           - Le ho fatto aprire il becco. L'ho sbor­niata. Verrà coi commedianti della Rosa. Il suo poeta non ha più un testone per pagare l'oste...

II Birro                          - E non potevamo, all'uscita del teatro?...

I Birro                           - Protetto com'è da Lord Pembroe?

Fritzer                           - (mostrandosi) Lo sceriffo verrà in per­sona ad arrestarlo. Aspettate il mio segnale. Là, die­tro il convento. Ve lo darà quest'amorino. (Indica il garzone) Andate! (I due birri salutano militarmente)

I Birro                           - Agli ordini di Vostra Reverenza.

Fritzer                           - Ti basta, per credere chi sono?

Garzone                        - (imitando il tono del birro) Agli ordini di Vostra Reverenza.

Fritzer                           - (alludendo a Marlowe) Non potrà sgu­sciarmi via.

Garzone                        - Ma metterà il paletto.

Fritzer                           - (spezzandolo con l'impugnatura della daga) Ecco fatto. (Si odono voci avvicinarsi)

Garzone                        - Eccoli, son loro! Li riconosco dalle voci.

Fritzer                           - Presto, fila. Mi farai da battistrada. (Escono)

(Voci interne precedute da allegre risate.)

Tommy                          - Avanti, levami 'sto piombo.

I Attore                         - L'ha data a te la chiave.

 Tommy                         - Ficcami la mano dentro la saccoccia. Sbrigati! (Indicando la donna) Pesa più dei suoi pec­cati. (Entrano tre attori, uno dei quali regge sul suo grosso ventre Caterina, ubriaca, e un altro, un cesto di provviste)

Voci                              - Che tanfo!

—Che spelonca!

—E dorme qui, Cristoforo?

Tommy                          - Quando la fortuna gli volta il deretano.

Voce                             - Dove la metto questa cacatessa? (Indica Caterina)

I Attore                         - (indica il pagliericcio) Fa' piano, non svegliarla. Se apre lo zipolo siam fritti!

Caterina                        - (appena Tommy, l'attore grasso, cerca di deporta sul letto, si sveglia. È briaca) Chi sei tu, vescicone?

Tommy                          - Tuo genero, non vedi?

Caterina                        - Che cianfrogni?

Tommy                          - La pura verità. Tu, sei sposa a Bacco, io sono suo figlio, ergo son tuo genero.

Caterina                        - (indicando gli altri due) E quelli?

Tommy                          - Formiamo il famoso triumvirato della grande compagnia che fino a ieri apparteneva all'Am­miraglio e a Lord Southampton. Ma dopo la lite che il tuo Cristoforo ebbe con entrambi, saremo travasati nelle nobili mani di Lord Pembroke, nostro nuovo protettore autorizzato.

I Attore                         - Cosi speriamo almeno.

Caterina                        - E che mestiere fate?

Voce                             - Il più nobile: recitiamo senza maschera.

Caterina                        - Ma, dove sono?

Tommy                          - In casa dell'illustre ciabattino, padre di Cristoforo Marlowe, il più grande poeta d'Inghilterra.

I Attore                         - Dopo Shakespeare.

II Attore                       - E Beniamino Johnson.

Tommy                          - Discuteremo.

Caterina                        - Chi mi ha portato qui?

Tommy                          - Dal tuo Cristoforo, avemmo l'ordine di strapparti alle grinfie del tuo illegittimo padrone, emerito ruffiano; il quale, come sai, non si stanca di braccarti da quando Cristoforo t'ha rubata a lui.

I Attore                         - E stasera lo festeggeremo per la dupli­ce vittoria di poeta e attore. Non hai mai assistito alla tragica vicenda del suo Faust? Trionfa da due settimane al Teatro della Rosa.

Caterina                        - Io trionfo a letto. (Ridendo sguaiata a Tommy) E tu che parte fai, trippone?

Tommy                          - (con grottesca terribilità) Di Belzebù!

Caterina                        - Con quella pancia? (Continua a ridere) E dove hai messo le tue corna?

Tommy                          - Le custodiva in casa, la mia tenera con­sorte. Sono vedovo.

Caterina                        - Siete tre baggei.

Tommy                          - E non vuoi sapere come il gran Marlowe ha sostituito questa sera il celebre suo interprete, en­trato nella ciurma dissidente?

Caterina                        - Che roba è?

Tommy                          - Cosi vengono chiamati i puritani. Po­vero Edward! È già entrato nel convento, qui di fronte.

Caterina                        - Me ne infischio.

Tommy                          - (a Caterina) Non lo ricordi in Tamerlano, in "Re Edoardo"? Le due grandi sue interpreta­zioni. Nel "Faust", s'era cosi immedesimato nella par­te, da prendere per vere le mie corna di cartone, e i razzi che mi uscivano dalla bocca.

I Attore                         - E quando l'orologio della torre, nella finta Norimberga, scoccava l'ora del castigo, cominciò ad urlare come fosse colto da licantropia.

Caterina                        - Da che?

I Attore                         - Quand'uno urla come un lupo.

II Attore                       - L'abbiamo portato in chiesa per farlo esorcizzare.

Tommy                          - È sempre stato pauroso. Caterina - Basta! Ho sonno.

Tommy                          - Aspetta, e ridi ancora. Una volta gli puntai, per gioco, un archibugio scarico sul petto.

I Attore                         - E lo sparo lo fece col sedere. (Tutti ridono)

Tommy                          - Cadde lo stesso a terra tramortito, (c. s.)

II Attore                       - E quel colpo gli servi da purga, (c. s.)

Caterina                        - (grida) Ho sonno!... Basta!

Tommy                          - Ecco l'alcova, mia sovrana. (Indica il pagliericcio)

II Attore                       - Se vuoi degnarti. (Le mostra, con Tom­my, le mani intrecciate a guisa di sgabello)

Caterina                        - Ci so andare con le mie gambe. (Le mostra con orgoglio)

Tommy                          - Stupende!

I Attore                         - Statuarie!

II Attore                       - Perfette!

Tommy                          - È di coscia lunga come piace a me. (Vorrebbe accarezzarle)

Caterina                        - Non toccarle, o calcio!

Tommy                          - (Caterina beve ancora) Basta, non bere più, e mangia invece, qui con noi... Era il più inno­cente degli agnelli... (Lo mostra) ... Senti che fragran­za!... Comprato in west Smithfleld.

I Attore                         - Ancora caldo. Agnus Dei qui tollis pec­cata mundi.

II Attore                       - Brindiamo a Venere Anadiomène!

Tommy                          - Uscita dal vino, questa volta.

Caterina                        - (fissando Tommy, ride fragorosamente) Una volta ho conosciuto un trippone come te... Non riusciva a togliersi le brache...

Tommy                          - (accenna a provare il contrario) Ma io... (Caterina continua a ridere, poi si abbandona di schianto sulla poltrona) È bell'andata!

I Attore                         - E non la sveglieranno nemmeno le trom­be del giudizio.

Tommy                          - Portiamola sul letto. (La portano sul pagliericcio. Il battitoio della porta viene percosso con violenza)

II Attore                       - Chi è?

Tommy                          - Aspetta, guarda prima.

II Attore                       - Dove?

Tommy                          - Dalla spia.

II Attore                       - (dopo aver guardato) È lui! (Apre, entra Cristoforo Marlowe: giovane, bello, aitante, beffardo. Ansima come per una lunga corsa)

Marlowe                        - Chiudete!

Tommy                          - Che hai?

Marlowe                        - Presto! A doppio giro.

Tommy                          - Hai corso?

Marlowe                        - Come un cinghiale coi cani alle calca­gna. (Siede)

Tommy                          - Chi t'inseguiva?

Marlowe                        - (con lo sguardo fisso, dopo una lunga pau­sa) Ombre! Fantasmi!... Sperduti nella nebbia!... Fuochi fatui... di pensieri... morti... e rinati d'improv­viso! Di giorno, li spaventa il clamore della strada... Ma di notte, ti fischiano all'orecchio, beffardi ritor­nelli.

I Attore                         - Ma che dici?... Ah! Ho capito.

Marlowe                        - No, non ho bevuto ancora... vedo... chia­ro, tutto!... Il muro nero, affumicato, come l'ultima notte che ho dormito qui... È già un mese! Tutto è come allora! Il tempo si è fermato qui... Ragnatele... vasi rotti... tacchi, suole... scarpe, scarpe vecchie, sbrindellate... e mio padre che ronfa, chissà, forse da allora! Non son briaco, e devo riconoscerlo, quella megera, ha tutto indovinato!! ! Si, ho voluto interrogare una indovina. Tutto ha indovinato: la conver­sione del mio grande interprete... (Ride) Un vecchio attore che diventa frate!... La mia sostituzione di stasera!... L'alterco coi due Lords! La vostra presen­za qui!... E Cate? (Si sente anche il suo russare)

Tommy                          - Fa già da controcanto al vecchio.

Marlowe                        - Ha indovinato tutto, quella strega... L'accettazione di Lord Pembroke... Si, sarà lui il no­stro protettore. Per questo ho ritardato. Per discutere il contratto. Nessuno è entrato qui, prima di voi?

II Attore                       - No, che noi sappiamo.

Marlowe                        - Questa non l'ha imbroccata!

Ma tutto il resto...

I Attore                         - E Lord Pembroke?

Marlowe                        - Ha firmato... Ma ormai per me!

Tommy                          - Racconta.

II Attore                       - Come è andata?

Marlowe                        - (beve) ...Volete... una storia semplice od ornata?... Con ricami o senza?

I Attore                         - La verità, semplicemente.

Marlowe                        - La verità? E chi la può abbrancare? Si colora come fa il camaleonte. La verità? Domandatela a Pilato "Quid est veritas"? Ognuno di noi può staccarne un pezzo... Ce n'è per tutti!... Per i ciechi, per i sordi, gli increduli... i veggenti... (A Tommy) O i semplicioni come te. Si trasforma come faceva Prò­teo... ch'era anch'egli un indovino. Ho interrogato una sibilla, e da lei ho saputo... "In ogni secolo," ha co­minciato con voce remota ed abissale, "esistono nel mondo, almeno sette uomini, identici fra loro. Diffi­cilmente possono incontrarsi; ma se questo accade, uno di loro deve accoppare l'altro. È un antico oroscopo." Ebbene, domani, all'alba, qui, disteso, freddo, muto, troverete il mio corpo irrigidito. L'orbo che non ho mai veduto, ma che mi somiglia, dicono, co­me (a Tommy) le tue orecchie a quelle d'un onàgro... È lui che mi dovrà colpire. (Tutti restano col fiato sospeso. Scoppiando in una gran risata) Dite la veri­tà, il nero vermiciattolo della paura, v'è entrato già nelle budella.

I Attore                         - Ti venga l'impetigine, ho il fiato mozzo.

II Attore                       - Io sputo secco.

Marlowe                        - (indicando Tommy) Lui invece, guar­datelo, continua a ingozzarsi in santa pace.

Tommy                          - Il mio lardo, Io sai, mi protegge da qual­siasi emozione. E poi mi piacciono le storie delle streghe. D'inverno, accanto al fuoco...

Marlowe                        - "Summum bonum medicinae sanitas."

Tommy                          - Che vuol dire?

Marlowe                        - Che estremo scopo dell'arte è la sa­lute del corpo.

Tommy                          - Non è dunque vera la tua storia?

Marlowe                        - Ho mescolato l'apocrifo col vero, come fa nei suoi vangeli Nicodemo.

Tommy                          - E chi è?

Marlowe                        - Il discepolo di Pietro.

Tommy                          - Il figlio del fornaio?

Marlowe                        - Vedi, Tommy, se Sansone, invece della mascella d'asino, avesse con la tua combattuto i fili­stei, certo ne avrebbe uccisi il doppio.

Tommy                          - E adesso, ingozzati con noi.

Marlowe                        - Si, voglio entrare ben nutrito nel buio della terra. (Comincia a mangiare) E mentre voi, in barba all'ordinanza del defunto Enrico Vili, che con­dannava alla prigione e alla berlina, commedianti, ruffiani, ladri e vagabondi, come gente dannosa al consorzio umano, sfoggerete nuove livree fiammanti con lo stemma dei Pembroke ricamato sulla spalla, io farò ingrassare i vermi partoriti dal mio ventre!

Tommy                          - Consolati, annafferemo di singhiozzi i nostri requiem.

Marlowe                        - "Carpe diem", è il nostro motto.

I Attore                         - Brindiamo dunque al bianco stendardo del Teatro della Rosa!

Tutti                              - Urrah!

Tommy                          - Piano! Sveglierete il vecchio.

II Attore                       - Non ci può sentire.

Marlowe                        - Londra! Nessun paese supera la tua gaiezza tetra! E nessuna notte è più adatta delle tue, per mascherare il vizio, e farlo poi risplendere in pieno giorno, anche se la tua fitta nebbia sale dal fiume ed empie la città.

Tommy                          - Però; tu, baccelliere, "magister artium", non dovresti burlarti, come fai delle sibille.

I Attore                         - Fra gli antichi egizi, assiri, caldei, ba­bilonesi, la negromanzia, non era forse madre degli oracoli?

II Attore                       - E non fu una pitonessa che predisse la sua morte a Saul?

I Attore                         - E nel tuo Faust, non invochi i morti?

II Attore                       - E Simon mago dove lo metti?

I Attore                         - E i responsi scritti nelle foglie, non erano dettati dal divino Apollo alle sue sacerdotesse?

II Attore                       - Varrone infatti ne cita una dozzina: la Frigia, la Samia, l'Eritrea...

I Attore                         - E Virgilio, non scrisse pagine immortali sulle vergini indovine?

Marlowe                        - La mia, però, da mezzo secolo era già stata spulzellata. Ma, non m'affogate nel pozzo della vostra scienza. Lasciate che prima di sparire da que­sto basso mondo, io possa annegarmi nel buon vino, fra le braccia della mia Catina. (La guarda dalla tenda)

Tommy                          - Moriva dal sonno, disgraziata.

I Attore                         - Narraci dunque l'epica storia della tua sibilla.

Marlowe                        - (a Tommy, offrendogli il bicchiere) Riempimelo bene! (E lo tracanna d'un fiato) Dopo i sette giorni goduti alla taverna di John Bull con la mia Cate, una gran malinconia mi pesava sulla carne sazia.

Tommy                          - Vorrei provarla anch'io. (Beve)

Marlowe                        - Ero triste come un teatro vuoto, o come il funerale d'un lebbroso seguito solo dal suo cane: o se preferite, come la forca all'alba, quando piove, col suo bravo inquilino inzuppato e ciondoloni.

Tommy                          - È allegra la tua storia!

Marlowe                        - E vado dalla strega! "Quando la nebbia del Tamigi si dissolverà al primo vento del mattino," sentenzia la mia pitonessa, "rendi l'anima di bronzo." (Rivolto a Tommy) "Tu nascesti da un ricco Lord e da una prostituta!"

Tommy                          - Io no!

I Attore                         - E lei che parla, babbuino!

Marlowe                        - "Da tua madre ereditasti lussuria e ri­bellione."

Tommy                          - Questo è vero.

Marlowe                        - "Venisti al mondo in un giorno fosco, durante l'anno bisestile della peste, che ti contagiò prima che ti partorisse."

Tommy                          - L'ho avuta anch'io, ma d'un'altra specie.

Marlowe                        - "La porta della tua casa, fu segnata da una croce livida e vermiglia, al rintocco di campane funebri."

Tommy                          - Già pregusto la mia pelle d'oca.

Marlowe                        - "E mentre il tuo vero padre, un ricco Lord..."

Tommy                          - Era becco dunque il ciabattino?

I Attore                         - Finiscila, gaglioffo!

Marlowe                        - "...scomparve con tutti i suoi milioni, tua madre fu condotta alla fossa comune di tutti gli appestati."

Tommy                          - Ho le setole già tutte accapponate!

Marlowe                        - "Tenebre fittissime erano all'ingresso della voragine di calce, rischiarata da una fumante torcia resinosa..."

Tommy                          - Stupendo!

Marlowe                        - "Sul Tamigi che ne bagnava l'orlo, la nebbia si rigò di sangue e dalla gola dei bronzi inti­rizziti, usci l'urlo dei cinocefali."

Tommy                          - E chi sono?

I Attore                         - I nipoti delle scimmie.

II Attore                       - Però, collabori con la tua megera.

Tommy                          - Non l'interrompere, è in gran vena.

Marlowe                        - "Una cometa furibonda, vagabondavain cielo, scintillando sul povero tuo tetto e, mentre squassava la sua coda gialla e fosforescente, tu ap­pena nato..." (A Tommy) Sempre io, zuccone "...mo­stravi da un abbaino il pugno chiuso."

Tommy                          - Ma insomma chi ti accopperà?

I Attore                         - Non hai capito ancora? L'orbo che gli somiglia...

Tommy                          - Come le mie orecchie a quelle del so­maro, lo ricordo.

I Attore                         - Bada, quello è un osso duro. Tutti lo sanno nel rione.

II Attore                       - E sai chi lo protegge coi suoi birri?

Marlowe                        - Lo sceriffo, lo so: hanno affari in­sieme.

I Attore                         - Sveglia la Cate e vieni via con noi.

II Attore                       - (a Tommy) Anche tu persuadilo a se­guirci.

Tommy                          - La vergogna mi peserebbe più di questo lardo. (Si indica)

I Attore                         - E che vorresti?...

Tommy                          - Fargli da scudo con tutta la mia trippa.

I Attore                         - (a Marlowe) Perché ridi?

Marlowe                        - Indovinate con chi dovrò passare quest'ultima mia notte?

Tommy                          - Coi due Lords già pentiti d'averci ab­bandonato, dopo il crescente successo del tuo Faust.

Marlowe                        - Più su! Più su!

Tommy                          - Col Lord tuo padre, che ti lascia i suoi milioni.

Marlowe                        - Non voli alto, uccello di palude!

Tommy                          - Rinuncio, la mia pancia è senza fantasia.

Marlowe                        - Con la vergine Regina!

I Attore                         - La grande Elisabetta?!

II Attore                       - Magnifico!

Tommy                          - E la spulzellerai?

Marlowe                        - La strega non s'è voluta pronunciare. (Vede il paletto in terra) Ma cos'è?

Tommy                          - Non vedi? Un chiavistello.

I Attore                         - Te l'ha schiodato Belzebù.

II Attore                       - È di casa, qui.

Marlowe                        - Possiamo interrogarlo; ormai sono in confidenza con l'Averno.

I Attore                         - Non scherzare, e lascia in pace i diavoli.

Marlowe                        - Li evocherò con le parole del mio Faust.

Tommy                          - Bada, Lucifero ha trasformato il povero Edward in un frate.

Marlowe                        - Parli da uomo, oppure da buffone?

Tommy                          - Mangiano, lo vedi, nello stesso piatto.

Marlowe                        - Spegni, il buio è l'ossigeno del dia­volo. (Tommy obbedisce, si ode un lamento nel buio)

Tommy                          - Qualcuno si lamenta.

Marlowe                        - Spiriti erranti!

Tommy                          - No, è il vecchio!... Vuol dormire.

Marlowe                        - Silenzio! Parla il Dottor Faust: "Ora che l'ombra fosca della notte, / cercando anela il volto d'Orione / piovigginoso, balza su dal mondo / antartico nel cielo, e il firmamento / appanna col suo respir di pece. / Avanti, avanti Faust. / Inizia i sortilegi!" (Si sentirà un gran colpo. Tutti allibiscono e restano senza voce. Lungo silenzio seguito dal pia­gnucolare di Tommy impaurito. Stupito suo malgra­do) Hanno risposto!

Tommy                          - (con voce tremante) Chi?

Marlowe                        - Gli spiriti!

Tommy                          - (c. s.) Te l'avevo detto, lascia in pace i morti.

Marlowe                        - Aspetta, alza lo stoppino. (Indicando il lume a petrolio)

Tommy                          - Che vuoi fare?

Marlowe                        - Voglio accertarmi.

I Attore                         - Di che?

Marlowe                        - (indica una vecchia cassapanca) Guar­date!

II Attore                       - Cos'è?

Marlowe                        - Un piede!

I Attore                         - No!

II Attore                       - Si!

Tommy                          - (coprendosi gli occhi con le mani per lo spavento) Di Satana?

Marlowe                        - (mostrando una forma di calzolaio) Guardala, balordo!

Tommy                          - Cos'è?

Marlowe                        - (mostrandola) Una vecchia forma. L'ha lanciata il vecchio.

Tommy                          - Datemi un sorso. Mi sento rinascere i capelli.

Marlowe                        - Silenzio! Rievocherò l'Averno.

Tommy                          - Non spegnere però!

Marlowe                        - "Più non temere, Faust, sii tenace / Sint mihi dei Acherontis propitii! / Ignis, àeris, aquae, terrae spiritus, salvete! / Surgit Mephisto-philis!" (Si udrà un secco e stridente rumore di ser­ratura. La porta si spalanca e minaccioso appare Fritzer. Tutti, meno Marlowe, hanno un brivido)

Tommy                          - (senza voce per lo spavento) Stavolta è proprio lui!

Fritzer                           - Chi è fra voi, Cristoforo Marlowe?

Marlowe                        - E tu chi sei?

Fritzer                           - Mi chiamo Ingram Fritzer.

Tommy                          - L'orbo!

I Attore                         - È infatti il tuo ritratto.

Marlowe                        - (sbalordito) È vero! Guardandolo, mi sento orbo anch'io.

Fritzer                           - (avanzando terribile) E lo diventerai, se non mi rendi Cate. Avrai cosi l'onore di assomi­gliarmi in tutto, mio sudicio doppione.

Marlowe                        - (beffardo e calmissimo) Ti sbagli, mio sosia ripugnante! Sei tu la svista del Grande Stam­patore. E non occorre studiar metoposcopia per in­dovinare fra noi il falso duplicato.

Fritzer                           - Parli diffìcile; t'ha cresciuto il parroco?Ingoierai la tua spavalderia.

Marlowe                        - Bada, ho uno stomaco di struzzo.

Fritzer                           - Ho rotto corna più dure delle tue.

Marlowe                        - Ma t'han lasciato il segno.

Fritzer                           - È da un pezzo che ti cerco.

Marlowe                        - Arrivi un po' in ritardo.

Fritzer                           - T'avevo preceduto. (Mostrando il paletto che raccatta) Te l'ho schiodato io.

Marlowe                        - (colpito) Perdio! Devo ridare alla mia strega il credito perduto.

Fritzer                           - (a Marlowe) Dov'è Cate?

Marlowe                        - Non te l'hanno detto le tue spie? (Ai compagni) Si, è anche agente segreto della polizia.

Fritzer                           - E nipote dello sceriffo, se ti è utile sa­perlo.

Marlowe                        - Quale onore, per noi tutti!

Fritzer                           - E non dovrai aspettarlo.

Marlowe                        - Conosco il tuo degnissimo parente, mi fece imprigionare...

Fritzer                           - Per debiti, e rivolta a mano armata. Anch'io conosco la tua storia.

Marlowe                        - E allora scambiamoci i blasoni, o Cre­so dei bordelli! (Presentandolo) Ingram Fritzer, ruf­fiano, rapinatore, ladro, patentata spia e legittimo proprietario di postriboli, coi quali si è arricchito. E, agli addobbi del suo onore, aggiungerò che se fu bollato al pollice dal boia, oggi lo assiste invece, nel suo delicatissimo mestiere.

Fritzer                           - E ti potrò impiccare, se non mi rendi Cate, e vuoi dormire in pace.

Marlowe                        - "Si vis pacem, para bellum."

Fritzer                           - Non mi fotti col tuo portoghese. Siete in quattro e, per ora, la partita non è uguale, quan­tunque me li patullerei a calci tutti e tre, questi tuoi funamboli da fiera.

Tommy                          - Provati, Sansone!

Fritzer                           - (a Marlowe) Dove hai nascosto quella slandra?

Marlowe                        - (indicandola) Nel suo regno! (Frappo­nendosi a Fritzer che vorrebbe slanciarsi) Ma non è facile svegliarla.

Fritzer                           - Se riesco a roncigliarla, te la faccio esporre in piazza sulla pubblica carretta, puoi avvi­sarla.

Marlowe                        - Ma torna presto, cambiamo ancora do­micilio.

Fritzer                           - Non mi farò aspettare. (Vedendo entra­re lo sceriffo) E come vedi, in buona compagnia.

Sceriffo                         - (ai due berretti rossi che s'intravedono nel fondo) Aspettatemi, pronti al mio segnale. (/ due scompaiono)

Marlowe                        - (a Fritzer, indicando lo sceriffo) Il de­gnissimo tuo zio?

Sceriffo                         - (a Fritzer, severo) Come?

Marlowe                        - Lo millantava, poco fa.

Fritzer                           - Mente, com'è suo costume...

Sceriffo                         - (a Marlowe) Renderai conto anche di questo.

Marlowe                        - Capisco, sarebbe una gran macchia.

Sceriffo                         - (a Fritzer) Esci tu!

Marlowe                        - E torna al lupanare.

Fritzer                           - (a Marlowe) T'aspetto! Ai piedi della forca!

Sceriffo                         - Fuori! (Fritzer s'inchina profondamen­te. Piano a Fritzer) Idiota! (Fritzer esce)

Sceriffo                         - Ed ora a noi.

Marlowe                        - Son tutto vostro.

Sceriffo                         - Non era facile scovarti.

Marlowe                        - Son protetto bene.

Sceriffo                         - Da un nuovo Lord, lo so.

Marlowe                        - Pembroke, ai vostri ordini.

Sceriffo                         - Tengo alla corda eccellenti bracchi. Ma ho voluto io stesso venire di persona.

Marlowe                        - (ironico) Non meritavo questo privi­legio.

Sceriffo                         - Te ne compiacerai per poco. (Ai treattori) E voi, che fate qui?

Tommy                          - Nutrivamo il corpo, (accennando allatavola) come Vostra Reverenza può arguire da questipochi resti.

Sceriffo                         - A quest'ora?

Marlowe                        - È la sola concessa ai commedianti.

Sceriffo                         - A qualunque ora, gli assembramenti sono proibiti.

Marlowe                        - Ma qui siamo al chiuso e autorizzati.

Sceriffo                         - In casa di un eretico? (Indica Marlowe)

Marlowe                        - Ci scusi, Vostro Onore, ma eretico è chi professa una fede contraria alla cattolica, e anche noi siamo tutti protestanti come Sua Sacra Maestà la gran Regina.

Sceriffo                         - Tu hai pubblicamente negato l'esistenza di qualunque Dio.

Marlowe                        - Bisognerà provarlo.

Sceriffo                         - T'invito intanto a seguirmi, se non vuoi ch'io chiami i miei berretti rossi.

Marlowe                        - Ebbi già l'onore della loro scorta, quando fui citato a comparire alla sessione di New-gate, che mi salvò da una aggressione, alla quale il Vostro falso nipote, uscito poco fa, non era del tutto estraneo, dicono le voci.

Sceriffo                         - Sai che cosa spetta ai calunniatori?

Marlowe                        - Ho molte prove.

Sceriffo                         - Ma fosti condannato.

Marlowe                        - Per falsità dei testimoni.

Sceriffo                         - A pochi giorni di prigione.

Marlowe                        - Vostro Onore ignora come ci si annoia.

Sceriffo                         - Questa volta ci resterai più a lungo.

Marlowe                        - Per quale accusa?

Sceriffo                         - Non avrei l'obbligo di fartelo sapere, ma per te farò eccezione. Sei accusato d'immoralità ed empietà, come libero spirito, derisore della Bibbia e partecipe ostinato ad ogni movimento sovversivo. Devo ospitarti dunque senza indugio nella "Torre".

Marlowe                        - Anticamera sicura della morte. Accet­terei il grazioso invito, se non dovessi preferirne un altro, molto più urgente, con una Maestà più sacra della tua Regina.

Sceriffo                         - Renderai conto di quest'ultima be­stemmia.

Marlowe                        - Davanti al Tribunale dell'eternità, dove anche tu comparirai, per essere giudicato di tutti i tuoi legittimi delitti. Ah, già, m'ero scordato. (Ai tre attori indicando lo sceriffo) Anche lui, ha elencato la mia strega: ma fra i personaggi secondari di que­st'ultima mia notte. (Sulla soglia appare Drake e ascolta)

Sceriffo                         - T'invito a seguirmi docilmente, se non vuoi che col mio fischio...

Marlowe                        - (strappandoglielo) Ma prima, voglio baloccarmi con questo tuo gingillo.

Sceriffo                         - Ti denuncerò come ribelle!

Marlowe                        - È quello che ti sfido a fare, timbrata ceralacca! Non muoverti, o t'inchiodo come una far­falla!

Sceriffo                         - Vi citerò tutti come complici. (A Drake che è entrato) Chi sei tu? Largo! Sono lo sceriffo.

Drake                            - T'ho riconosciuto, dal grugno e dalla pa­landrana.

Sceriffo                         - E tu chi sei?

Drake                            - (beffardo) Un uomo che può rubare, sac­cheggiare, incendiare e accoppare, senza dover ren­dere conto a te, né a nessun giudice togato e im­parruccato.

Sceriffo                         - (a Marlowe) È della tua masnada?

Marlowe                        - (sincero) È la prima volta che lo vedo.

Sceriffo                         - (a Drake) E allora ti ordino...

Drake                            - (sorridente) Non puoi.

Sceriffo                         - Chi può impedirmelo?

Drake                            - Il mio contr'ordine.

Sceriffo                         - Sei ubriaco o pazzo?

Drake                            - Lo vedrai. Guardami bene. (A Tommy) Allungami quel lume. (Tommy obbedisce e gli illu­mina il volto. Allo sceriffo) Non mi riconosci? Ca­pisco, troppa gente hai fatto condannare nella tua lunga carriera d'aguzzino. E allora rinfrescherò la tua memoria. Quand'ero mozzo sulla nave ammira­glia... mi facesti fustigare a sangue, e rinchiudere per un paio d'anni, nella più umida prigione di Londra, per tre galline, che non avevo rubato. Oggi che rubo quintali d'oro e impicco chi non me lo consegna spon­taneamente, sarò io che farò arrestare te, se non t'inchini fino a terra per toccare con le corna i miei stivali.

Sceriffo                         - Nessuna legge vi darà il diritto...

Drake                            - Di strafottermi di te? Te lo provo subito. E poi che il caos ti fa inciampare ancora fra i miei tacchi, ti dirò chi sono: mi chiamo Francesco Drake.

Marlowe                        - Il gran navigatore?!

Drake                            - (a Marlowe) Puoi chiamarmi il gran pi­rata. Fra corsari, poeti e commedianti, non c'è molta differenza e ci s'intende subito.

Marlowe                        - (allo sceriffo) E a te, non dice nulla il suo gran nome?

Sceriffo                         - Io rappresento la legalità, e il mio do­vere...

Drake                            - È d'inchinarti ancora, se non vuoi che ti faccia conoscere il mio nerbo. (Lo brandisce)

Sceriffo                         - E osereste?

Drake                            - Staffilarti a sangue per impattarla fra noi due.

Sceriffo                         - Aiu...!

Drake                            - Non gridare. Li ho congedati io, i tuoi berretti rossi. Ma per farti obbedire spontaneamente, voglio farti un po' di storia. Quando tu aspiravi a diventar birro, io combattevo già sui mari spagnoli e portoghesi. E mentre tu ti gingillavi con la bilancia adulterata della legge, io saccheggiavo le coste del Messico e delle Antille per tornare a Londra con le stive cariche dei bei lingotti d'oro che oggi fanno dell'Inghilterra la nazione più ricca della terra... Aspetta a sbalordirti. Con le mie ciurme, forzo lo stretto di Magellano e guido all'arrembaggio le mie navi, dal Pacifico al Capo di Buona Speranza e, primo fra gl'inglesi, compio il giro del mondo conosciuto. Ti basta? O vuoi sapere ancora che a Cadice spoglio trenta navi e un anno dopo incendio gran parte della "Grande Armada" per meritarmi di abitare nel palaz­zo di quella gran canaglia del fu Riccardo III?

Sceriffo                         - (inchinandosi ipocritamente) Le vostre imprese, Milord, costringono qualunque patriota ad ammirarvi, ma il mio dovere mi obbliga...

Drake                            - Ad obbedire ad un membro del Parla­mento che metterà sotto il tuo sporco naso quest'ordi­ne, (lo estrae) firmato dal primo ministro segretario di Stato. (Consegnandogli il foglio) Leggi forte.

Sceriffo                         - (legge forte) "Sua Sacra Maestà, la Gran Regina Elisabetta, invita a Corte il poeta Cri­stoforo Marlowe. Francesco Drake, Pari del Regno, sarà latore del presente invito. Lord Cecil. Londra 20 Aprile 1594."

Drake                            - E adesso puoi rompere le righe. March! (Lo sceriffo esce stecchito, dopo un nuovo inchino)

Drake                            - (a Marlowe rimasto pensoso) E tu? Non salti dalla gioia? Sei atteso a corte, dalla grande Elisabetta!

Marlowe                        - (sempre più colpito) È tutto vero dun­que?

Drake                            - Che?

Marlowe                        - Ascoltatemi!...

Drake                            - Non qui. Ma in portantina. Le regine, non amano aspettare. E poi c'è gran festa a Corte e dob­biamo presentarci almeno brilli. Presto, indossa i tuoi abiti migliori.

Marlowe                        - (indicando i suoi) Non ne ho altri.

Drake                            - Le piacerai lo stesso. T'ho ascoltato poco fa a teatro. Bravo! (Gli dà un colpo sulla spalla) Eli­sabetta era nel mio palco mascherata. E alla fine batteva forte le sue cosce per la grande ammirazio­ne. "Ecco, perdio, un poeta!" ripeteva. E ha ordinato a Lord Cecil di farti subito scovare e di condurti a Lei. L'incarico è toccato a me, per tua fortuna. (A Tommy) Tu eri Belzebù!

Tommy                          - In carne solamente.

Drake                            - (a Marlowe rimasto pensoso) Scuotiti, che hai?

Tommy                          - Una strega gli ha predetto... che dovrà morire all'alba e finora...

Drake                            - Buffonate! Su vieni! Con Elisabetta non penserai a tristezze.

Marlowe                        - Ma se ritorna l'orbo... (Indicando il letto dove dorme Caterina)

Tommy                          - T'aspetteremo.

Drake                            - Se Sua Sacra Corona non ti ospiterà nel suo gran letto, o io sulla mia nave. A Londra non spira vento favorevole per te, ho sentito. Domani ri­parto per le Antille. All'imboccatura del Tamigi, troverai tre della mia ciurma. All'ora sesta piglieremo il largo.

Marlowe                        - Se non sarò crepato. Non mi resta dunque che diventar corsaro.

Drake                            - Oh, bada, non essere gelatinoso con la Gran Regina. Non è una donna quella, ma un negrie­ro come me. E chissà che per te non scordi il bel-l'Essex. Avanti, vieni! Cosa aspetti?

Tommy                          - Va', Cristoforo. Noi, restiamo a guardia.

Marlowe                        - Badate, non torna solo l'orbo.

Tommy                          - Dovrà passare sul mio lardo.

Drake                            - Sei pieno di coraggio!

Tommy                          - Ma è la paura che mi frega.

Drake                            - Andiamo! (Esce ridendo con Marlowe)

ATTO SECONDO

Vasta sala sontuosa. A sinistra, un'ampia vetrata. A destra, un grande arco conduce all'alcova reale. Nel centro, in fondo, un monumentale camino acceso. In mezzo alla scena, un ricco tavolo, al cui lato, una spinetta mostra i suoi legnetti ornati di eleganti lin­guette di penne di corvo. Si ode una musica da ballo, seguita da allegre risate.

(Entra la Grande Elisabetta danzando con un ele­gante cortigiano. Il ricco e pesante abito di gala, la fa sembrare una tartaruga nel suo guscio)

Elisabetta                      - (andando a sdraiarsi su una poltrona) Si, danzi bene ma la tua eloquenza è solo nelle gam­be. Muovi un po' la lingua, adesso.

Cortigiano                     - La vera ammirazione è muta, Mae­stà. (S'inginocchia)

Elisabetta                      - Rendila ciarliera. Siamo soli, senza testimoni, a pochi passi dal mio letto verginale. Su, coraggio, un poco d'ardimento. Esprimi il tuo grande amore, con una bella frase. Sentiamo, che cosa provi accanto alla tua Sovrana? Che vorresti, insomma?

Cortigiano                     - Perdere la testa... per questa scolla­tura, mia Regina.

Elisabetta                      - Perdila, perdila, non t'aiuterò a ri­trovarla.

Cortigiano                     - E se non temessi d'apparirvi troppo audace...

Elisabetta                      - E diventalo! Amo i temerari.

Cortigiano                     - E allora... (Vorrebbe abbracciarla)

Elisabetta                      - Adesso esageri. Sei troppo sbrigati­vo... Non bruciare le tappe... (Va alla spinetta e fa trillare alcune note) Adorna prima il tuo ardimento, con qualche bel fronzolo verbale. T'aiuterò, vediamo. La mia spinetta ti potrà ispirare. (Si mette a suonare gaiamente) Hai scelto un'ottima serata per osare la conquista della tua Regina. Ma devi guadagnartela. Ho galoppato sul mio baio un paio d'ore, sono sfug­gita a un attentato, ho applaudito al Teatro della Rosa un gran poeta; ho danzato, bevuto, fumato, sono eccitatissima, per essere tua in carne e ossa. Ossa regali, ma sempre ossa. Dunque?... Sei pronto?...

Cortigiano                     - E me lo domandate, Sacra mia Co­rona?

Elisabetta                      - Sacra, si, ma che ha una gran voglia di diventar profana. (Entra Lord Cecil. Scorgendolo) Ed ecco il guastafeste. (Al cortigiano) Tu, però, non disperarti, ti ritenterò. (Il cortigiano si inchina ed esce)

Elisabetta                      - Zoppichi, mio buon cane fedele?

Cecil                              - Perdonatemi, Maestà, se non m'inginoc­chio per baciare come sempre la vostra bella mano, ma questa gotta torna a molestarmi e mi costringe a chiedervi il permesso di sedere.

Elisabetta                      - Noi, Milord, non facciamo assegna­mento sulle vostre gambe malandate, ma sulla vostra testa equilibrata. Ma chi ti spinge qui, a quest'ora? Che notizie porti?

Cecil                              - Quel criminale giunto a Londra, per col­pirvi...

Elisabetta                      - Ebbene?

Cecil                              - È stato già arrestato.

Elisabetta                      - È un'ottima notizia.

Cecil                              - (mostrandole una lama acuminata) Edecco l'arma.

Elisabetta                      - (ammirandola) Stupenda! Degna di uccidere un sovrano. L'adoprerò come tagliacarte.

Cecil                              - Siate più prudente nelle vostre gite quo­tidiane.

Elisabetta                      - Mio caro, meglio morire, che vivere rinchiusa per paura. Ma, continua la tua cronaca. L'inizio non poteva essere migliore.

Cecil                              - Non però quello che segue. Il contagio è scoppiato nuovamente.

Elisabetta                      - Il servizio sanitario comunica tre casi di peste solamente.

Cecil                              - E ho già ordinato di isolarli.

Elisabetta                      - E di segnare ogni porta sospetta, con la croce?

Cecil                              - Insieme alla chiusura dei teatri, certo, Maestà.

Elisabetta                      - Che c'è ancora?

Cecil                              - (esitando) Non so se...

Elisabetta                      - E parla! Con me, puoi dire tutto, lo sai bene.

Cecil                              - Il vostro bel cugino...

Elisabetta                      - Quale? Mi sbucano parenti da ogni parte. (Beve e fuma)

Cecil                              - Il giovane Roberto Devereux, conte d'Essex...

Elisabetta                      - Ne ha fatte ancora delle sue?

Cecil                              - Purtroppo, Maestà.

Elisabetta                      - E sputa fuori! Con te, ci vuole il ca­vatappi!

Cecil                              - È stato sconfitto nuovamente.

Elisabetta                      - Non mi meraviglia.

Cecil                              - E le sue avventure al campo...

Elisabetta                      - Le conosco. Sono diventate prover­biali.

Cecil                              - Ma forse Vostra Sacra Corona ignora...

Elisabetta                      - Che cosa? Avanti!... Hai, perdio, la gotta anche alla lingua? Che cosa ignoro?

Cecil                              - Gli ultimi suoi scandali con le spose degli insorti.

Elisabetta                      - È un modo come un altro di sotto­mettere i ribelli. Che c'è ancora? Hai paura di scal­fire il mio pudore verginale? Con te, non ho peli sulla lingua. Dunque dà pure pane al pane. Tanto, vergine non sono più da un pezzo, a dispetto della storia, an­che se questo soave, ma mortificante appellativo, mi resterà incrostato nei manuali per le scuole. Corag­gio, dunque! Il mio gagliardo favorito... E, non fare quella faccia!... Anche i muri ormai lo sanno che entrava autorizzato nel mio letto, o se preferisci, nel mio talamo deserto. Che cosa ha combinato dun­que con le femmine irlandesi? Quello è capace di far partorire anche i mariti.

Cecil                              - Vostra Maestà, certo non conosce il nu­mero complessivo delle nostre perdite, nelle sue varie imprese militari.

Elisabetta                      - Sentiamole.

Cecil                              - Ventimila uomini, Maestà!

Elisabetta                      - Non ti disperare. Gli daremo modo di fabbricarne altrettanti, col mio esercito di dame. È un gran perpetuatore della nostra razza, il bel cugino. Tutti gli Essex furono famosi nell'arrotondare la circonferenza delle loro amanti entro, e anche prima, delle prescritte tre stagioni.

Cecil                              - (con paterno rimprovero) Maestà!

Elisabetta                      - (ridendo) Vecchio puritano! Del re­sto, la colpa è tutta nostra. Certo!... Dovevamo sapere che quello stordito non conosce nessuna tattica di guerra, ma soltanto strategia d'alcova. Dov'è quel no­bile stallone?

Cecil                              - È giù in cortile.

Elisabetta                      - ... Sfrontato! E da chi ha saputo... che ero ancora sveglia?

Cecil                              - (indicandole) Dalle finestre illuminate. E poi, ha molti amici a Corte.

Elisabetta                      - Troppi, troppi. Ma, parliamo d'altro. (Indicando i fogli che Cecil ha in mano) Che co­s'hai li?

Cecil                              - Le note che mi chiedeste sul conto di quel Marlowe che Vostra Maestà si ostina... a voler rice­vere.

Elisabetta                      - Sentiamole.

 Cecil                             - (leggendo) "Figlio d'un ciabattino..."

Elisabetta                      - (interrompendolo) Riassumile, ti prego.

Cecil                              - Non è facile; la litania dei suoi peccati è più lunga della barba di Noè.

Elisabetta                      - Ho sempre amato i grandi peccatori.

Cecil                              - (indicando i fogli) Ma questo, è uno dei peggiori arnesi di tutto il vostro Regno, Maestà, e vi supplico...

Elisabetta                      - Di stare in guardia, ho capito.

Cecil                              - L'augusto vostro padre non era cosi tenero con questi teatranti.

Elisabetta                      - Perché non erano ancora nati né Gu­glielmo Shakespeare, né un Thomas Kyd, né... que­sto Marlowe, di cui ho il grave torto di non ricor­dare il nome.

Cecil                              - Cristoforo, Maestà.

Elisabetta                      - Già, l'ironia del caso, ha voluto met­ter Cristo... nel suo foro.

Cecil                              - Dio ci scampi!

Elisabetta                      - Vivi in pace, vecchio mio. (Prenden­do l'arma rimasta sulla spinetta) Se attentasse alla mia vita, saprei adoprarla, lo sai bene. (Entra Ger­trude) Ma, non è scritto ch'io debba precederlo nel gran viaggio da cui nessuno è mai tornato.

Gertrude                       - Segno che si sta benone.

Elisabetta                      - E adesso (a Cecil) precedimi anche tu, non nella tomba, beninteso, ma sotto le lenzuola. È tardi, e non devi abusare, come fai, della tua età.

Cecil                              - Vi confesso però che vi obbedisco a ma­lincuore.

Elisabetta                      - E che nessuno venga a disturbarmi.

Cecil                              - Bene, Maestà. (S'inchina ed esce)

Elisabetta                      - Tu sapevi che il conte Essex era tor­nato?

Gertrude                       - E aspetta l'occasione per implorare dalla vostra instancabile indulgenza...

Elisabetta                      - Che cosa?

Gertrude                       - Di rivedere ai vostri vetri il solito segnale.

Elisabetta                      - (fìngendo) Quale?

Gertrude                       - Quando spegnevate le lampade per far­gli ugualmente trovare al buio la via del vostro cuore. Aspetterà pazientemente.

Elisabetta                      - Inutilmente, questa volta.

Gertrude                       - Bene, Maestà. (Si avvia)

Elisabetta                      - Aspetta. Fa freddo giù in cortile?

Gertrude                       - È tutto intirizzito, Maestà.

Elisabetta                      - Manigoldo!... Ipocrita!... (Dandole il plaid che ha sottomano) Dagli questo. E non si stan­chi d'aspettare.

Gertrude                       - Bene, Maestà. (Si avvia nuovamente)

Elisabetta                      - Prima però farai entrare il tuo poeta. Ma non mangiarmelo con gli occhi.

Gertrude                       - L'uomo, non vale certo meno, Maestà.

Elisabetta                      - È vero che sai a mente interi brani del suo "Faust"?

Gertrude                       - E non vi nascondo che lo seguirei an­che all'inferno.

Elisabetta                      - Puoi ordinarti il passaporto.

Gertrude                       - Ma avrei bisogno del suo visto. (Entra Drake)

Elisabetta                      - Ed ecco il mio negriero! (A Gertru­de) Quello, vedi, non fa tante cerimonie.

Drake                            - È il privilegio che Vostra Maestà mi ha concesso regalmente.

Elisabetta                      - E ne usi piratescamente, a quanto pare.

Drake                            - Per Vostra gloria, Maestà.

Elisabetta                      - E un poco anche per la tua. (Ridono insieme. A Gertrude che si gratta una coscia) Ti pru­de ancora?

Gertrude                       - (indicando Drake) Sfido, con quelle sue manacce!

Drake                            - Però, che massaggio salutare!

Elisabetta                      - E il dottor Faust?

Drake                            - È giù nella gran sala e aspetta un mio segnale.

Elisabetta                      - Glielo darà Gertrude. (Gertrude s'in­china) Guardala, è raggiante. (Gertrude esce)

Drake                            - Ve lo porto un po' alticcio. L'ho fatto bere alla Taverna di Brainford.

Elisabetta                      - Ci intoneremo meglio. Anch'io ho bevuto.

Drake                            - Ma lui ha preso una bordata! E gli cingola la chiglia con tutte le sue coste.

Elisabetta                      - E perché l'hai fatto bere?

Drake                            - Per ridargli un po' di pepe.

Elisabetta                      - Non selvatico, speriamo, che mantie­ne in castità.

Drake                            - Ci vuol altro per i suoi trent'anni. S'era ammosciato per la profezia d'una indovina. Gli ha predetto che l'avrebbero accoppato entro stanotte, nella stamberga di suo padre.

Elisabetta                      - Il mago Faust, ha dunque paura del­le streghe?

Drake                            - Dice che s'è avverato in tutto quello che la sua chiromante gli aveva preannunciato. Ma, ec­colo, guardate. (Appare Marlowe, preceduto da Ger­trude che non gli stacca mai lo sguardo e gli manda baci silenziosi)

Elisabetta                      - (a Marlowe) Vieni, vieni avanti, illu­stre dottor Faust di Norimberga. Sbuchi dall'inferno dove t'han trascinato Belzebù e Lucifero alla fine della tua storia tragica che abbiamo applaudito, e dove certo hai lasciato i crogioli, le storte e gli alam­bicchi, coi cerchi, i simboli e le cifre della tua stre­goneria.

Drake                            - E dove tornerà, come vi ho detto...

Elisabetta                      - Ah, già, Drake mi ha parlato della tua megera. Ma rincuorati, il mio vino rende eterni. (A Drake) Versagli da bere.

Drake                            - (colmandogli una coppa) Sentirai che roba! Vin delle Canarie.

Elisabetta                      - (a Marlowe rimasto sulla soglia) Be'?, che fai cosi impalato? E perché ti guardi at­torno con quell'aria trasognata? Credi proprio alle sibille?

Marlowe                        - (con tono misterioso) Di spiriti è po­polata l'aria, e i maggiori avvenimenti, furon sempre preannunciati da prodigi e profezie.

Elisabetta                      - Delle streghe?

Marlowe                        - Bene accette dai demòni, che trattano come amanti e come dèi.

Drake                            - Anche a me avevano predetto che sarei crepato a cinquant'anni di dissenteria, sulla mia nave. Ma eccomi a cinquantatré suonati, più vivo d'uno squalo.

Elisabetta                      - (a Marlowe ridendo) La tua pito­nessa t'ha detto almeno l'ora del trapasso?

Marlowe                        - Allo spuntar del sole.

Elisabetta                      - E,... se piove?

Marlowe                        - Il dito della meridiana dovrà segnare l'ora sesta.

Elisabetta                      - Abbiamo tempo allora. Bevi intanto. So che onori Bacco.

Drake                            - (indicando Marlowe che tracanna d'un fiato la sua coppa) Ma venera anche più le sue sacer­dotesse.

Elisabetta                      - (a Marlowe) Fumi?

Marlowe                        - Ho tutti i vizi, grazie.

Elisabetta                      - (a Drake) Dagli i sigari. (A Marlowe indicando Drake) Me li ha portati dall'isola delle tartarughe. (A Marlowe) Ma vieni fuori dalla zona d'ombra. Voglio guardarti bene. (Marlowe obbedi­sce, e la sua figura è illuminata dal gran torciere. Ammirata) Per il Demogòrgone, progenitore degli Dèi, ecco un bel campione! Non t'avrei riconosciuto cosi ringiovanito! Eri ben truccato. Ho ammirato anche l'attore, poco fa. Conoscevo già il poeta. (A Drake) Ma non gli hai insegnato a inginocchiarsi, quando parla con la sua Sovrana?

Drake                            - Non ne ho avuto il tempo, Maestà.

Elisabetta                      - Però, nelle sue tragedie, fa parlar due Re. Dunque, (a Marlowe) conosci il rituale.

Marlowe                        - Io non miro al guscio delle cose, ma alla loro polpa.

Elisabetta                      - (severa) Forma e sostanza, è per me la stessa cosa, e le mie parole sono legge ferma per i sudditi.

Marlowe                        - Le mie, invece, sono mobili, aeree, guizzanti, come i fuochi d'artificio quando piovono dal cielo.

Elisabetta                      - (stupita a Drake) Ma..., ha bevutomolto?

Drake                            - Gli ho gargarizzato l'ugola, come faccio al capociurma, prima di lanciarlo all'arrembaggio.

Elisabetta                      - E tu certo, non sei cerimoniere adat­to, per foggiare un cortigiano.

Marlowe                        - Né io ho scarpe foderate con scorza di cocomero. E poi, so che tu, alla regola, preferisci l'eccezione.

Elisabetta                      - (scoppiando a ridere) Ah! Ah! Mi dai del tu?

Marlowe                        - Come i credenti a Dio.

Elisabetta                      - (lusingata) Ah!

Marlowe                        - O come i romani a Cesare.

Drake                            - E chi è?

Elisabetta                      - Un pirata come te.

Drake                            - Ah, già, ricordo.

Elisabetta                      - Ma quello rubava in terra ferma. (Di­vertita) Ah! Ah! Mi piace questo masnadiere

Drake                            - Ne ero certo, Maestà.

Elisabetta                      - (a Marlowe) Hai sentito, a teatro, i miei applausi?

Marlowe                        - Sfido, troneggiavano.

Elisabetta                      - (a Drake) Gli hai detto che battevo le mie cosce?

Marlowe                        - Ossequenti alla Corona.

Elisabetta                      - Eppure quella grassona che hai vedu­to e ti mangiava coi suoi occhi, voleva superarmi con le sue.

Marlowe                        - È imprudente gareggiare con chi re­gna.

Elisabetta                      - Infatti, gliele ho fatte batter cosi forte...

Drake                            - Ha dato a me l'incarico.

Elisabetta                      - ... da coprire gli impotenti suoi guaiti, con le omeriche risate di tutta la mia Corte. (Alzan­do il suo bicchiere) E adesso, "nunc est biben-dum!" (A Marlowe) Alla tua musa!

Marlowe                        - (imitandola) Al tuo Regno!

Elisabetta                      - (A Drake) È ardito questo figlio del­la suola.

Drake                            - È certo di crepar fra poco, e sputa chiaro. Ma io devo chiedervi licenza, Maestà. Sono atteso a bordo per impiccare un ladro non autorizzato.

Elisabetta                      - (indicando Marlowe) E mi lasci sola con questo ammaliatore?

Drake                            - Mi ringrazierete.

Elisabetta                      - Quando ti rivedrò?

Drake                            - Al mio ritorno dalle Antille.

Elisabetta                      - Coi tuoi sacchi pieni d'oro.

Drake                            - Se m'imbatto in qualche galeone, Maestà.

Elisabetta                      - Mi parlerai delle tue nuove scorrerie.

Drake                            - Dite pure ruberie, non sono permaloso.

Elisabetta                      - Va' ad appendere il tuo ladro, e fa' sventolare la nera tua bandiera, vittoriosa in ogni mare.

Drake                            - (inginocchiandosi e baciandole la mano) Dio salvi la Regina!

Elisabetta                      - Addio! (Va al camino per riattizzare il fuoco)

Drake                            - (a Marlowe) Addio, poeta!

Marlowe                        - Salve, pirata!

Drake                            - Se non crepi, vieni a bordo. (Esce)

Elisabetta                      - (seguendo con lo sguardo già annebbia­to dalle abbondanti libagioni, Drake) Gran ladro­ne, quello! Ma coi suoi furti, mi ha riempito le casse dello Stato, letteralmente vuote all'inizio del mio Re­gno. (Accorgendosi che Marlowe fissa l'arma lasciata sul tavolo) Cosa guardi? Ah, questa? (La prende) Era destinata a me. Non è il primo attentato alla mia vita dopo la bolla pontificia che mi dichiarava ere­tica e decaduta dai miei diritti al trono. Ma parlia­mo di te, del tuo teatro. Per questo, ti ho invitato. (Prendendo le carte lasciate da Cedi) Qui, c'è il tuo ritratto. Vuoi conoscerlo?

Marlowe                        - A che scopo? Hai con te l'originale.

Elisabetta                      - (tendendogliele) È, interessante. Leggi.

Marlowe                        - (legge) "Figlio d'un ciabattino, termina gli studi al Benet-College di Cambridge col titolo di 'magister-artium', dopo aver rinunciato a farsi prete."

Elisabetta                      - È vero?

Marlowe                        - Verissimo: ho preferito altre sottane.

Elisabetta                      - (prendendogli le note) Continuo io.

                                      - (Legge) "Violento, manesco, pronto all'ira, ateo, tur­bolento"... Come? Credi alle streghe e non in Dio?

Marlowe                        - Le ho più sottomano.

Elisabetta                      - (legge) "Superbo, sensuale, appartiene a quella brigata spavalda e avventurosa di arditi ta­lenti universitari che frequentano, ogni notte, postri­boli e taverne"... (Lo guarda aspettando una smentita)

Marlowe                        - Son cosi bene riscaldate.

Elisabetta                      - "... dove dopo teatro si ubriacano coi loro associati vagabondi e tagliaborse d'ogni specie." Ti ritrovi?

Marlowe                        - Un poco attenuato.

Elisabetta                      - Non ami dunque le mie leggi?

Marlowe                        - Ragnatele per le mosche, non per cala­broni come me.

Elisabetta                      - E davanti a me, tu osi?

Marlowe                        - Dire quel che penso. Mi resta poco da campare.

Elisabetta                      - (rileggendo) "Figlio d'un ciabattino"...

Marlowe                        - Per il mondo, non per la natura.

Elisabetta                      - Perché? Tua madre l'ha cornificato?

Marlowe                        - Cosi ha affermato prima di morire.

Elisabetta                      - E chi è il tuo vero padre?

Marlowe                        - Un Pari del tuo Regno.

Elisabetta                      - (divertendosi) E il nome del tuo Lord?

Marlowe                        - Mia madre l'ha farfugliato mentre ago­nizzava. Non l'ho potuto intendere.

Elisabetta                      - (c. s.) Devi essere bugiardo più del mio dentista.

Marlowe                        - Ogni poeta deve ornare la menzogna con l'oro della fantasia.

Elisabetta                      - (c. s.) Nelle tue vene dunque scorre sangue blu?

Marlowe                        - Mescolato a quello d'una lavandaia.

Elisabetta                      - (c. s.) Il tuo Lord non l'ha mai con­dotta a Corte?

Marlowe                        - Troppi panni sporchi, ripeteva.

Elisabetta                      - Vorrei ammirarti adesso nella tua doppia qualità di attore e di poeta.

Marlowe                        - Sono pronto.

Elisabetta                      - Mi piace il tuo Teatro della Rosa, col giardino pieno di rosai e la bandiera bianca che sven­tola all'ingresso. Più volte t'ho applaudito.

Marlowe                        - Ma i tuoi applausi, non partivano dal cuore.

Elisabetta                      - E anche il tuo modo di allestire gli spettacoli mi piace. Quel ragazzo con la candela in mano e col cartello su cui è scritto "questa è la luna", o quel fanale che da solo rappresenta un'osteria, mi parlano alla fantasia, molto più delle scene sfarzose dei teatri del Cigno o della Fortuna. Fammi ascoltare dunque l'ultimo brano del tuo Faust, col quale sei riu­scito a convertire, mentre lo recitava          - (c'ero anch'io a teatro), il tuo famoso interprete che forse a quest'ora pregherà per te nella sua cella.

Marlowe                        - Ai tuoi ordini, Regina. (Si alza, ribeve, e poi comincia): "Non hai che un'ora, Faust, / e poi sarai dannato. / Fermatevi, sfere del cielo / perenne­mente in moto! / Fermati, tempo inesorato! / Non giunga mai la mezzanotte!'Oh lente, lente currite, noctis equi!' Ma le stelle tramontano, / il tempo vola / e l'orolo­gio batterà spietato / l'ultima mia ora! / Potessi in­nalzarmi sino a Dio! / Dove sei mio Redentore? / Non c'è!... Non c'è!... E Dio minaccia irato!... / Som­mergetemi voi, colline e monti, / e a capofitto giù piombatemi / nel buio orrendo delle vostre viscere! / Oppure travolgetemi / nell'oscura foschia del tempo­rale! / Per poi lanciarmi dall'arcobaleno / su, su, nel gran sereno, / con l'anima / purificata al cielo! / Ma l'ora già precipita... / e vola sul quadrante! / Non per pietà di me, signor Iddio, / ma per amor di Cristo, che, col suo sangue, / ha riscattato il mondo, / abbre­via la mia pena e non volerla / eterna! / No!... No!... Non c'è pietà per i dannati! / Beati i bruti, / dissolti nella terra! / E maledetto chi mi generò! / No, Faust, te stesso maledici! E il torvo / spirito / che ti rubò la luce! / Ecco, già sento... gli ultimi rintocchi!... / Mutati in aria, Faust! / Mutati in goccia d'acqua! / Confonditi, dissolviti / nell'oceano immenso, sino ai più neri abissi! / Non fissarmi cosi..., occhio tremen­do... / di Dio implacato! / Vipere!... Serpi, non mi attorcigliate!... / Pietà... Pietà di me... orrido inferno!" (Con voce naturale) E qui, vien trascinato via. (Vuota il bicchiere)

Elisabetta                      - (dopo una pausa con sincera e crescente ammirazione) Ti avevo già ammirato, ma come hai potuto invocare con tanta sincerità quel Dio che neghi?

Marlowe                        - Solo chi domina la sua finzione, può esprimerla con magistero d'arte. E anche tu, quando siedi in trono...

Elisabetta                      - Non sono commediante, ma Regina!

Marlowe                        - E come può regnare l'una senza l'altra? Ti confesserò che scrivendo il brano che hai ascolta­to, pensavo al vecchio prete che m'insegnò a pregare. Passava per un santo, nonostante il tuo divieto a di­ventarlo, e... (Qualcuno bussa all'uscio)

Elisabetta                      - (stupita e sdegnata) Chi è?... Chi osa?

Voce interna                 - Aprite, Maestà.

Elisabetta                      - È Gertrude. Entra balorda,... non è chiuso. (Appare Gertrude sulla soglia, ansante e tre­mante)

Elisabetta                      - (investendola) Che vuoi?

Gertrude                       - (inginocchiandosi) Perdonate, Sacra Maestà...

Elisabetta                      - (troncandole la parola) Chi ti dà l'ar­dire?...

Gertrude                       - Il vostro medico... mi manda...

Elisabetta                      - Incontro ai miei ceffoni?

Gertrude                       - ... ad annunciarvi...

Elisabetta                      - A quest'ora?!

Gertrude                       - ...di avere già accertato...

Elisabetta                      - La tua... o la sua bestialità?

Gertrude                       - ... Il contagio della pestilenza... che sem­brava ormai domato...

Elisabetta                      - Ebbene?

Gertrude                       - E diventato già moria.

Elisabetta                      - Lo sapevo, grossa mucca da macello.

Gertrude                       - Ma... credevo...

Elisabetta                      - (brandisce lo staffile) Che cosa?... Non t'è bastato il massaggio di quel mio negriero?... O vuoi ancora che con questo...

Gertrude                       - (indietreggiando impaurita) No!...

Elisabetta                      - Ti ho visto prima... confabulare con quel vecchio canchero del mio ministro... a cui la got­ta è arrivata già al cervello. Non è la prima volta che mi fa spiare... e ti fa origliare agli usci... Ti paga be­ne, so anche questo... Vagli a dire di serbare il troppo zelo per la sua podagra... E tu non t'arrischiare mai più, se non chiamata...

Gertrude                       - Si, Maestà.

Elisabetta                      - Fila, adesso!

Gertrude                       - (inginocchiandosi) Vostra grazia mi per­doni... ma...

Elisabetta                      - (minacciosa) Via!

Gertrude                       - Vorrei... soltanto...

Elisabetta                      - Ruzzolare per le scale?

Gertrude                       - (raccogliendo tutto il suo coraggio, bal­betta) Milord, Conte d'Essex...

Elisabetta                      - (cercando di colpirla) Miserabile ruf­fiana,... per questo eri venuta!

Gertrude                       - (sfuggendola) No!... Vi giuro!...

Elisabetta                      - (c. s.) Il resto era una scusa!... Anche lui ti paga.

Gertrude                       - No, sull'anima mia!...

Elisabetta                      - In natura, come fa con tutte.

Gertrude                       - (ripiombando ginocchioni) È giù... e aspetta...

Elisabetta                      - Di scaldarsi nel mio letto... Vagli a di­re... Ma... aspetta... (Giungono dalle scale le gaie note d'un ballabile) Ah!... Ballano ancora!... È un gran bal­lerino... il bel cugino... Balla tu con lui, vescica... Ba­da però... quello t'ingravida col fiato!... Fuori dai piedi, adesso! (Gertrude che durante tutta la scena ha scam­biato abilmente con Marlowe, non vista, un'eloquente mimica invitante, fugge simulando un gran spavento)

Elisabetta                      - Hai visto, non c'è pace per chi regna. (Va al camino)

Marlowe                        - E meno ancora per chi serve. (Beve)

Elisabetta                      - Ma con te, voglio scordare la corona e diventare soltanto donna. Non bere più e vieni ac­canto al fuoco.

Marlowe                        - (le siede accanto fissandola ambiguamente) È bello qui.

Elisabetta                      - (eccitata) Ti piace questa mia reggia avvolta nella nebbia e nel silenzio che impongo con un cenno? E a me piace il torbido mondo dei tuoi drammi. Sai scuotere tu, con l'ardimento delle tue parole. Ti metti di fronte alla società come un nemico. Non credi tu, alle favole della mia purezza. La mora­le è anch'essa una mia suddita impaurita. Puoi dun­que parlare con me, come con Drake. Si, guardami con questi tuoi occhi di stregone. Tu, sei il mago, son la tua megera. Che cosa aspetti per osare? Ti sarà fa­cile incantarmi. Mi piaci e sono ebbra. Si, si continua a fissarmi con questo tuo sguardo... ambiguo, come la mia verginità. "Ambigua virgo" mi chiamano, lo sai... Nei tuoi occhi c'è una luce che mi affascina e mi of­fende... Nessuno mi ha mai guardato cosi... Tutti s'in­ginocchiano per parlarmi, hai visto. Tu invece te ne stai qui, seduto a gambe larghe, come fossi nella ta­verna di John Bull che Drake mi ha descritto col suo linguaggio pittoresco,... avvezzo come te ai lupa­nari, dove non si parla in versi, come nei tuoi dram­mi, ma nel gergo furfantesco di quei luridi angiporti. Anche tu lo puoi usare... È un privilegio che concedo ai prediletti. E tu sei già... fra questi, l'hai capito... Devi avere un fiuto, tu!... I tuoi malevoli biografi, mi hanno sempre trattenuto dall'invitarti a Corte. Ma adesso... voglio illuminare il tuo cammino col sole della gloria.

Marlowe                        - (beffardo) Quale? Quella che mi viene offerta dai battimani d'una platea di pescivendoli e facchini? O dal disprezzo che i Pari del tuo Regno, ostentano per gli istrioni o i cantastorie, come si de­gnano chiamarci? Li vedo dalla scena, sbadigliare an­noiati in qualche palco, o sedere alla ribalta per deri­dere gli attori meno esperti, costretti dalla fame a sopportare i loro lazzi, fra le sghignazzate di tutta la marmaglia che rigurgita in platea. La tua gloria? La cedo per il primo piatto di lenticchie che mi venga offerto dai tuoi Lords analfabeti, in cambio del di­ritto di farsi credere gli autori delle mie applaudite cicalate in prosa o in versi. "Carmina non dant pa­nerà" lo sai bene. È questa dunque la gloria che mi offri? O quella che il tempo sfilaccerà come un cencio frusto dopo lo scoppiettio di qualche lustro? Di noi non resterà che un rivolo di polvere quando la bef­farda cortigiana che tutti chiamano la Fama, si stan­cherà di fornicare con le stupide illusioni. Di vero non c'è neppure la morte dunque, dopo la breve vacanza che concede a chi crede d'esser vivo.

Elisabetta                      - La profezia della tua strega ti conta­gia. Dimmi invece quello che nessuno, nemmeno il mio negriero, ha mai osato. Che cosa si bestemmia contro me, nei vostri trivi?

Marlowe                        - Non suono il filiscorno.

Elisabetta                      - Che vuol dire?

Marlowe                        - Fare la spia, nel gergo che ti piace.

Elisabetta                      - Ti chiedo solo anonime bestemmie.

Marlowe                        - Dovrei stonare col coro dei tuoi adula­tori.

Elisabetta                      - Amo le dissonanze. (Va alla spinetta e ne martella nervosamente i tasti) T'aiuterò coi trilli della mia spinetta. Avanti! Ardisci! Osa!

Marlowe                        - (dopo breve pausa) Tu sei regina, la vi­ta t'appartiene dei tuoi sudditi, il plauso corona ogni tuo gesto, le trombe della gloria ti rintronano le orec­chie; l'obbedienza cieca, segue ogni tuo passo; la tua volontà è sovrana nel tuo regno. Persino Dio, deve ob­bedire ai tuoi ministri, in aperta ribellione col Capo Romano della Chiesa. La morte stessa, diventa docile strumento ai tuoi voleri. Nessuna forza umana può op­porsi alla tua sovranità. Perché vuoi che ti punga con l'ortica della calunnia, che nasce nel briaco tribunale delle mie taverne?

Elisabetta                      - Ai sovrani, è utile sapere i pensieri dell'infima plebaglia. Dunque, avanti! Mi chiamano la rèproba, la scomunicata, è vero?

Marlowe                        - Non sazia mai di adulazioni...

Elisabetta                      - Sono donna, e per di più regina... Che si dice ancora?

Marlowe                        - Che negli accessi d'ira, staffili a sangue la tua servitù.

Elisabetta                      - (martellando i tasti) Per questo, è docile e obbediente.

Marlowe                        - E a una tua ancella, distratta nel ser­virti a mensa, dai un colpo cosi forte sulla mano col coltello, da costringerla a farsela amputare.

Elisabetta                      - (c. s.) L'ho sorpresa a letto col mio palafreniere.

Marlowe                        - Questo prova che avevate tutte e due gli stessi gusti.

Elisabetta                      - (c. s. ridendo) Non ci avevo pensato. Che altro sputano quelle tue lumache?

Marlowe                        - Che, costretta a farti togliere dal tuo dentista, un molare guasto, obbligasti un vescovo del­la tua curia, a farsene strappare uno sano, per infon­derti coraggio.

Elisabetta                      - Non l'obbligai, è falso. L'offerse spon­taneo alla sua Sovrana.

Marlowe                        - Che è anche il Capo supremo della Chie­sa protestante.

Elisabetta                      - Ma queste sono le mie arcinote pecu­liarità domestiche... Vorrei sapere quelle intime, segre­te... C'è tutta una leggenda su di esse. Su, coraggio, in­trepido cronista. (Suona sempre più nervosamente) Tanto, quello che mi ruba la calunnia, me lo ridarà la storia. Avanti, ardito portavoce. Non t'hanno detto, per esempio, che una grossa natta, fiorita dalla lue pater­na, deforma le mie gambe? E allora. (Alzandosi le sot­tane) Ammirale! E diventa il loro esaltatore!

Marlowe                        - (ammirato suo malgrado) Regali, vera­mente!

Elisabetta                      - E non si ride della mia verginità?

Marlowe                        - (eccitato dal vino e dal proprio ardimento)Tutt'altro!... Approvano la tua ostinazione a com­ memorarne la memoria, sostituendo a turno nel tuo letto i maschi più gagliardi.

Elisabetta                      - (ride e suona, già completamente ebbra)Guai a perderne i contatti. Su, vuota il sacco delle tue immondizie. Nel fango, la mia corona brilla me­ glio. Su, accelera con me il crescendo. Assordami col gracidare di quel tuo pantano. Tanto, saprai che co­ me Capo della Chiesa, posso peccare a mio talento, e assolvermi da sola. È un diritto che mi viene dall'au­ gusto genitore.

Marlowe                        - Tuo presunto, ma non vero padre.

Elisabetta                      - Becco come il tuo?

Marlowe                        - Le corna, sono le gran livellatrici.

Elisabetta                      - E da chi nacqui allora?

Marlowe                        - La voce pubblica lo mormora, non io.

Elisabetta                      - Ti autorizzo a diventarne l'eco. Da chi nacqui dunque?

Marlowe                        - Da un connubio mostruoso.

Elisabetta                      - Come Pasifae dal toro? Ah! ah!... Ave­va ragione Drake! Mi diverti. Continua. Precipitiamo insieme nei gorghi della impurità! Anche il vizio ha i suoi bagliori come la virtù!... Avanti, incalza, accen­di, arroventa queste tue bestemmie! Mi scoppiano d'in­torno come i lapilli e la cenere infuocata che seppellì Pompei. Mi eccitano al delirio come una Baccante. Che altro si racconta di questa Messalina? Non rispettano almeno la Sovrana?

Marlowe                        - L'accusano d'inaudite crudeltà.

Elisabetta                      - Sentiamole.

Marlowe                        - Non sazia d'avere per tre lunghi lustri rinchiuso in un castello la tua gran rivale, regina co­me te, hai dimenticato che ogni anno dura centinaia di giorni, eterni per una prigioniera.

Elisabetta                      - Lascia in pace i morti.

Marlowe                        - E dopo averle strappato dal capo la co­rona, l'hai infamata in mille modi, trasformandole il figlio, che la natura ti ha negato, nel più abbietto e docile strumento del tuo odio.

Elisabetta                      - (con voce cupa e minacciosa) Maledet­to commediante!

Marlowe                        - Reciti anche tu sul palcoscenico del mondo, la più gran commedia del tuo tempo.

Elisabetta                      - (c. s.) Quale, pezzente?

Marlowe                        - Firmando la sentenza di Maria Stuarda che la consegnava al boia, e fingendo poi la più abile sorpresa, all'annuncio dell'esecuzione.

Elisabetta                      - (c. s.) Lasciali, ti ripeto, nel sepolcro i morti!

Marlowe                        - Anche quelli che ordinasti di squartare, fare a pezzi, e poi buttare ai cani, per aver tentato diliberare la tua cattolica rivale?

Elisabetta                      - Dopo avermi uccisa, ignobile istrione! (Allunga la mano per impugnare l'arma sul tavolo)

Marlowe                        - Persino il carnefice ebbe pietà dei sup­pliziati, fra i quali anche un fanciullo. E ne affrettò la morte.

Elisabetta                      - (brandendo l'arma) Sei tu che accusi adesso, non la tua masnada! (Cercando di colpirlo) Doveva predirtela qui, l'ultima tua notte, quella strega!

Marlowe                        - (disarmandola) Per questo, stavo bene in guardia. Sei troppo frettolosa nelle tue condanne. Dammi il tempo almeno di comporre la mia palinodia, che come sai, è un canto di ritrattazione.

Elisabetta                      - (avvicinandosi al cordone d'allarme) Ti consiglio di affrettarla.

Marlowe                        - Aspetta, sii paziente. E autorizza la mia musa, a mettersi in capo la corona per essere degna della sua regina. (Si mette in capo il vassoio di metal­lo che contiene l'anfora del vino che si verserà) Co­mincio col brindare alla grande Elisabetta, altissima fra tutti i sovrani della terra, e che nessuno supera per altezza d'animo e d'ingegno. Tu appartieni all'In­ghilterra, come l'Inghilterra appartiene a te. Il tuo secolo porta già il tuo nome. Tu hai sostituito alle astratte contemplazioni dei cattolici, la libertà della tua mente. Tu hai liberato la tua patria dalle carceri del Medio-Evo, e hai spalancato porte e finestre, ai sof­fi del Rinascimento. Tu, dopo la vittoria sulla Grande Armata, hai assicurato un lungo periodo di pace alla vecchia Europa. Per te, il tuo regno riposa sulla più gran tranquillità. Che importa se fondata sulle altrui sventure. Non per nulla leggi e approvi Machiavelli. I tuoi navigli guidano le ciurme dei corsari ad esplo­rare il mondo, e tornano carichi d'oro e di bottino. I tuoi poeti, e oggi anch'io fra questi, innalzano il tuo nome nei cieli della gloria, e Londra, per te, è diven­tata la metropoli del mondo. E se io fossi il tuo Plu­tarco, ripeterei solo per te che l'alloro non può venir colpito dalla folgore. Ecco quel che ho raccolto, nel fondo del bicchiere!

Elisabetta                      - Hai parlato bene, anche se non distin­guo l'istrione dal poeta.

Marlowe                        - Si prestano il mestiere, giocolieri della verità.

Elisabetta                      - Sento frigger l'ironia nella tua voce. Ha mille maschere il tuo volto, e sceglierò quella che più mi piace. Al dolciume ormai stantio delle mie lodi, preferisco l'asprezza di questo tuo ardimento. Vieni accanto al fuoco... e spegni quel torciere...

Marlowe                        - Ai tuoi ordini, Regina. (Spegne)

Elisabetta                      - Ha bisogno del buio, questa mia follia.

Marlowe                        - Per sentirci uguali.

Elisabetta                      - E per diventare con te, solo abbando­no. (Con voce arrochita dal desiderio) Dove sei?... Ten­di le mani.

Marlowe                        - (allontanandosi abilmente) Eccole!... Guidami tu, con la tua voce.

Elisabetta                      - Aspetta!... Qualcuno sta origliando... spalanca l'uscio! Presto!... (Si ode un grido soffocato al di là dell'uscio) Sgualdrina!... Ancora lei! ...Rincor­rila!... Portamela qui!...

Marlowe                        - (che non aspetta altro) Volo, Regina! (Scompare rapido, guidato dagli ultimi guizzi del ca­mino)

Elisabetta                      - (cercando lo staffile) Maledetta ca­gna!... Ti guarirò per sempre!... (Cercando lo scudiscio) Dov'è, dove l'ho messo?... (L'ha trovato) Eccolo!... E t'assicuro che ' dovrai guaire!... (Dall'uscio rimasto aperto, entra Essex. Scorgendone l'ombra proiettata dal camino sulla parete e credendolo Marlowe) Come? Sei già qui?... Non l'hai raggiunta?

Essex                             - (stupito) Chi, Sacra Maestà?

Elisabetta                      - (sbalordita dall'inatteso suono della vo­ce) Quella vescica gonfia... di Gertrude.

Essex                             - Non l'ho più vista, da quando è venuta giù in cortile a dirmi...

Elisabetta                      - Ma tu..., chi sei?

Essex                             - Il tuo fedele amante. Ho visto ai vetri...

Elisabetta                      - Il mio segnale, intendo!

Essex                             - Il sospirato buio che aspettavo e...

Elisabetta                      - (scoppia in una clamorosa ilarità) Ah! ah! ah! Capisco!... E allora... certo... E adesso?... Ah!ah! (Poi per dominare la scabrosa situazione) Qui c'era un supplicante... ostinato come te... Per questo ho ritardato a... Non l'hai incontrato li nel corridoio?

Essex                             - Mi pare, si... Ho visto un'ombra scivolare... nella stanza...

Elisabetta                      - Di Gertrude?!

Essex                             - Appunto!... La conosco e...

Elisabetta                      - (il suo riso è ormai convulso) Natu­ralmente! (Dalle scale giungono le note di un balla­bile furibondo) Senti?... Ballano ancora!... È notte di gaudio, questa!... E non ci resta che imitarli!...

Essex                             - Certo.

Elisabetta                      - Sei tutto intirizzito... Chiudi a chiave... e poi riattizza il fuoco... La legna è là, nell'angolo... Faremo una gran fiamma!...

Essex                             - (si dirige a tastoni nell'angolo indicato) Si, mia adorata!... Elisabetta!

Elisabetta                      - (mormora a se stessa) Del resto poi, fra un pessimo guerriero e un gran poeta, la differen­za al buio... (E si mette a danzare freneticamente per la sala, illuminata dai morenti bagliori del camino)

ATTO TERZO

La scena del primo atto.

(Tommy è a cavalluccio d'una scranna)

Caterina                        - (esce ancora insonnolita dalla tenda di si­nistra stropicciandosi gli occhi. Dal tendone di destra giunge un sommesso salmodiare) Ancora?... (Sbadi­glia) Che borbotta?

Tommy                          - Non borbotta, prega.

Caterina                        - Per chi?

Tommy                          - Pel moribondo.

Caterina                        - (guardando verso lo stanzone) Si busche­rà un malanno, spiaccicato cosi sul pavimento, alla sua età.

Tommy                          - Confida in Dio.

Caterina                        - Per me, è stato sempre sordo. (Dal cor­tile giunge l'uggiolare d'un cane) Maledetta bestia!... Ricomincia?

Tommy                          - I cani, fiutano la morte dei padroni, as­sicura il tuo Cristoforo.

Caterina                        - (volgare) Mio? Quand'ha la borsa piena. (Sentendo un fioco rantolare) Ma che accidente ha?

Tommy                          - Oramai. (Fa un gesto eloquente) Ne avrà per poco.

Caterina                        - E perché ha voluto il prete?

Tommy                          - Oh bella, per i Sacramenti.

Caterina                        - Non era meglio il medico?

Tommy                          - È per via dell'anima.

Caterina                        - Che s'ha da far crepare il corpo?

Tommy                          - Quand'è suonata l'ora...

Caterina                        - (guardando dove agonizza il vecchio ciabat­tino) E adesso, cosa fa?

Tommy                          - Riceve l'olio santo.

Caterina                        - (sbadiglia) Cos'è?

Tommy                          - Per l'Estrema Unzione.

Caterina                        - A che gli serve?

Tommy                          - Per l'anima t'ho detto.

Caterina                        - Dove si ficca?

Tommy                          - Chi?

Caterina                        - Quest'anima?

Tommy                          - Fuori dal corpo.

Caterina                        - Non l'ho mai saputo. (Sbadiglia) E Cri­stoforo dov'è?

Tommy                          - Quante volte devo dirtelo? Dalla vergine Regina.

Caterina                        - Ah già. E cosa fa da quella vecchia?

Tommy                          - Proverà a ringiovanirla.

Caterina                        - A sessant’anni?

Tommy                          - Lui ci prova.

Caterina                        - Ma, è vergine davvero?

Tommy                          - Sono in molti già a saperlo.

Caterina                        - A sessant’anni? Avrà le ragnatele. (Si riode l'uggiolare del cane) Maledetto! Ricomincia? Buttagli un secchio d'acqua.

Tommy                          - Povera bestia!

Caterina                        - Voglio dormire, è tardi.

Tommy                          - E l'alba ormai.

Caterina                        - (udendo il passo cadenzato d'una pattuglia) Chiudi!... Presto!...

Tommy                          - Che ti piglia?!

Caterina                        - (spaventata) La ronda!... Chiudi... Se mi pescano. La manda l'orbo! È, l'amico d'ogni birro. Mi accopperà di botte... (Qualcuno bussa alla porta. Terrorizzata) Non aprire! (Il battitoio ripete i colpi)

Tommy                          - Calmati, ho rimesso già la spranga!... (Alla porta) Chi è?

Voce                             - Stamberga.

Tommy                          - E’ il suo garzone. (Indica la tenda)

Caterina                        - Di chi?

Tommy                          - Del moribondo. Lo conosco.

Voce                             - Aprite. (Tommy va ad aprire. Sulla soglia, appare Stamberga)

Stamberga                     - (agitato) Dov'è?

Tommy                          - Chi?

Stamberga                     - Sir Cristoforo?

Tommy                          - Non è tornato ancora.

Stamberga                     - Ditegli che non si farà aspettare.

Tommy                          - Ma chi?

Stamberga                     - L'orbo!... E furibondo!... Vuole la Ca-te!... Viene armato. (Sentendo il rantolo del vecchio) Ma chi c'è di là?

Tommy                          - Il tuo padrone.

Stamberga                     - Rantola?

Tommy                          - L'hanno già sacramentato. È in agonia.

Stamberga                     - Che sia la peste?

Tommy                          - Che ti pigli! (Fa le corna)

Stamberga                     - Dite a suo figlio, che sto con l'orbo, per non crepar di fame, ma appena posso..

Tommy                          - Ti nutre bene, almeno?

Stamberga                     - Per ora, a schiaffi, ma se filo come vuo­le lui, m'ha promesso di cambiarli in calci, perché il muro me lì renda. Vi avvertirò quando si muoverà per venire qui... Scappo!... Se mi trova, quello m'accoppa. (Fugge. Si riode la ronda)

Caterina                        - Ritornano! (Resta in attesa ansiosa, ma il passo cadenzato va morendo)

Tommy                          - S'allontanano, sei sorda?

Caterina                        - E la pattuglia del porco buon costume. (Sputa in direzione) Maiali! Più del mio mestiere!

Tommy                          - (sconcertato) E perché lo fai?

Caterina                        - Mi sfami tu, babbeo?

Tommy                          - Quando hai cominciato?

Caterina                        - (sbadiglia) Ho sonno.

Tommy                          - Sfogati, ti farà bene.

Caterina                        - (dopo averlo guardato) Devi essere un buon gnocco, tu. Quand'ero al servizio d'un vecchiac-cio che vendeva grano al mio paese,...

Tommy                          - Di dove sei?

Caterina                        - Del Devonshire.

Tommy                          - Oh bella! Anch'io!

Caterina                        - Quel maiale, per forza mi voleva. Ma mi piaceva Tommy.

Tommy                          - (offrendosi) Eccomi qua.

Caterina                        - (respingendolo) Il garzone del droghie­re. A tutti può accadere, noh?

Tommy                          - A me, nessuno m'ha drogato mai.

Caterina                        - Del resto anche tu mi piaci.

Tommy                          - Con questa pancia?

Caterina                        - E sai perché?

Tommy                          - Io? No, davvero.

Caterina                        - Perché assomigli a Flora.

Tommy                          - E chi è?

Caterina                        - La cagna pregna che avevo al mio paese.

Tommy                          - Io sono sterile, però.

Caterina                        - Una notte, il vecchio, mi trova a letto...

Tommy                          - Flora?

Caterina                        - Tommy, stupido.

Tommy                          - Rieccomi.

Caterina                        - Fanno a botte, e Tommy lo lascia mez­zo morto. Che avresti fatto tu?

Tommy                          - Avrei cercato di salvare l'altra metà.

Caterina                        - Io prendo i miei stracci in fretta e m'in­cammino senza un soldo, per venire a Londra...

Tommy                          - Una bella marcia!

Caterina                        - Con la pancia vuota. Che avresti fatto tu?

Tommy                          - L'avrei riempita.

Caterina                        - Cammino tutta notte, e all'alba sentoun trotto, alle calcagna; mi volto, e chi ti vedo a ca­vallo?

Tommy                          - Una strega sulla scopa. Girano di notte.

Caterina                        - (sputando) Due berretti rossi.

Tommy                          - Fanno sempre effetto.

Caterina                        - "Dove vai a quest'ora?" dice il primo, un buzzone come te. "A Londra," gli rispondo, "in cerca di fortuna." "L'hai trovata," dice lui, "sdraiamoci sul­l'erba." E dopo aver fatto con me la bestia a quattro zampe, dice all'altro che gli teneva il cavallo per la briglia: "Non mi son scordato di te, sai, camerata." E quel caprone, mi costringe a far da capra anche con lui.

Tommy                          - E come finisce la tua storia?

Caterina                        - Pioveva quando arrivo a Londra. Non ho fortuna quando piove.

Tommy                          - E io, nemmeno col sole.

Caterina                        - M'infilo dentro un vicolaccio, dove trovo l'orbo, e da quel giorno, faccio per lui, da vischio ai maschi, per non crepar di fame.

Tommy                          - Sembra una storia vera. (Il cane ha ces­sato il suo lamento. Dal tendone esce il vecchio prete che era al capezzale del morente. È, una larva d'uomo)

Sacerdote                      - Venite, è già spirato. (E torna dov'era)

Tommy                          - Vieni anche tu.

Caterina                        - A far che?

Tommy                          - A vestire il morto.

Caterina                        - Io spoglio solo i vivi. (Sbadiglia) Vacci solo, ho ancora sonno. (Tommy raggiunge il vecchio prete che riprenderà le preghiere dei defunti. Si odono i primi rintocchi delle campane. Caterina s'addor­menta)

Marlowe                        - (entra. É brillo. Si guarda attorno) Nes­suno? (Intravede Caterina) Ah, ci sei? Brava! Ancora sveglia?... (Siede) Accidenti... sono stanco... Bella, però di notte, Londra, per un ubriaco. Ma non barcollo... Guarda! (Si alza) ...Mi reggo come fa la gru, con una gamba sola... (Ride) Quale vuoi? Puoi sceglierla... (Ri­siede) Senti, come... risciacqua la mia pancia!... Ho bevuto dalla gran Regina... come uno scolabrodo, quan­do lo levi dal bollore... Ma poi son fuggito! Non t'ho tradito, giuro... con quella vecchia parca... Ho preferito Gertrude, lardellata come Tommy. Che femmina però!... Il suo fiato sa di gelsomino... Quello dì Elisabetta invece, sa di carie e vino... E quando ride, ti mostra la gialla rastrelliera dei suoi denti!... (Ride) Le tremano i bargigli della gola, rugosa come quella del tacchino. Vuoi ridere anche tu?... Il figlio del vecchio ciabattino, è uscito puro e immacolato dai tentacoli di quella piovra inuzzolita... Correvo a per­difiato per le vie di Londra!... Bella di notte!... L'ho già detto?... Non importa!... La nebbia sdraiata sul Tamigi, racconta al fiume i suoi misteri bigi... Anche briaco inciampo nella rima... L'acqua risponde con lo sciacquio dei ponti... Le vie deserte e buie, guidano il silenzio nelle case... silenzio felpato, di velluto... Aspet­ta, ho perso il filo... Cosa dicevo?... Ah, si, correvo... No, non correvo, galoppavo, pedinato dalla falce della luna... che ho visto sanguinare sul tronco macellato d'un ladro giustiziato... Il cuore è ancora là, in mostra, come dal beccaio. Mi ascolti, Caterina? Correvo dun­que, inseguito dagli ultimi fantasmi intirizziti, batti­strada del destino... Martellavo il selciato coi miei tac­chi, svegliando echi non sospettati ancora... Lo crede­resti, Cate?... Anche la nebbia fuggiva impaurita... co­me l'ombra che mi precedeva degli ultimi fanali an­cori accesi... Ed entro in un vicolo, più nero del car­bone... Ah già, era questo!... E mi imbatto nella ronda, ancella notturna della legge. (Caterina russa) "Chi sei?" mi chiede un lanterna... "Sono un poeta e torno dal palazzo della gran Regina"... E recito i miei ver­si... Ma non dico che nella regale alcova, non ho vo­luto lasciare la mia prosa... Non ridi?... Non mi ap­plaudi?... Peccato, era un bel pezzo!... Se non crepo, lo ficco dentro un mio dramma nuovo... Ronfi?... Ho avuto un bel successo... Non importa, "Ego te absol-vo, foemina universalis". (Caterina russerà più forte. Entra Tommy)

Tommy                          - Eri già qui?

Marlowe                        - E sono ancora.

Tommy                          - Con chi parlavi?

Marlowe                        - (indicando Caterina) Col ministro delsonno, e tutti i suoi papaveri.

Tommy                          - Bada, l'orbo non si farà aspettare.

Marlowe                        - All'ora sesta, grugniva la mia strega.

Tommy                          - Non tarderà a suonare.

Marlowe                        - E mi troverà... (Indicando Caterina) con lei ben intrecciato.

Tommy                          - Ha sempre dormito da quando sei partito con quel tuo corsaro...

Marlowe                        - M'aspetta a bordo, me l'ha detto, ma voi, che avete fatto?

Tommy                          - Io sono corso a chiamare il prete per tuo padre.

Marlowe                        - Il prete?

Tommy                          - Ho dovuto lasciarla sola con il moribondo.

Marlowe                        - Te l'ha almeno rianimato?

Tommy                          - Se fosse entrato l'orbo... (Indicando Cate­rina) Aspetta, la rimetterò a dormire. (La riprende in braccio e la depone sul pagliericcio)

Caterina                        - (a Tommy nel dormiveglia) Caro vesci-cone.

Tommy                          - (a Marlowe) Tuo padre è morto.

Marlowe                        - Defunto allora... inesistente?... O trasmi­grato, se anche tu credi, come gli Egizi, i Pitagorici, o gli Indiani, alla metempsicosi.

Tommy                          - Ti ha ricordato nelle sue preghiere, vuoi vederlo?

Marlowe                        - Il morto? No, prima aspetto il vivo. Ma chi biascica di là?

Tommy                          - Il prete. Me l'ha fatto rivestire.

Marlowe                        - Perché? Era spogliato?

Tommy                          - Sei ubriaco?

Marlowe                        - E dove l'hai pescato?

Tommy                          - Chi?

Marlowe                        - Il prete?

Tommy                          - Nel convento dirimpetto, dove Edward ha già indossato il saio.

Marlowe                        - E cosa aspetti... a farmeli vedere?... Prete e trapassato... La morte lo sai, mi ha sempre affascinato. (Tommy tira il tendone. Appare il defunto con ai piedi del letto, il vecchio sacerdote che prega)

Marlowe                        - (dopo aver fissato a lungo il morto) Po­vero ciabattino!... Hai finito di tirare le tue vecchie cuoia!... E sei fuggito da questo tetro carcere, dove, per tanti anni, hai rattoppato le sbrindellate ciabatte del rione... Dico bene? (È preso dall'estro funerario) Povero ciabattino, che inchiodavi il tuo corpo stre-menzito a quel deschetto, tarlato come te. E curvavi la tua schiena, cortigiana dello spago... Dico bene?... D'ora in poi, adulerai soltanto i vermi, affamati abi­tatori del tuo nuovo carcere, dove l'amico falegname t'inchioderà per sempre. (Tommy non può trattenere un singhiozzo) Aspetta, non frignare. Non è finito l'epicedio... Non sai cos'è?... Non importa, quello che igno­riamo, ha il fascino e l'aureola dell'inconoscibile. (E riprende con rinnovata lena oratoria) Povero ciabatti­no!... Nelle gelide notti senza fuoco, non sognerai più la lesina e il martello che ti procuravano fedeli sbor­nie, smaltite fra colla, suole, tacchi... Sempre tacchi, e ancora tacchi, in questo tuo buio smaltitoio. Dormi dunque in pace, onesto ciabattino! (A Tommy) Ecco, adesso frigna. (Indicando il tendone) E poi, tira il sipario. (Tommy tira la tenda. Scorgendo il vecchio prete rimasto fuori dal tendone) E tu,... chi sei? (Il prete non risponde e sorride tristemente) Non lo vuoi dire?... O non lo sai?... Anche a me succede dopo aver bevuto.

Sacerdote                      - ... Guardami, Cristoforo.

Marlowe                        - ... Sai il mio nome?... Chi te l'ha inse­gnato?... (A Tommy) Allungami quel lume. (Tommy obbedisce. Dopo aver illuminato il volto del sacerdote) Ah, questa poi! Te, non t'aveva elencato, la mia stre­ga!... E se non fossi brillo, direi...

Sacerdote                      - Che non mi vedi per la prima volta.

Marlowe                        - Vangelo sacrosanto! Ma, di dove sbu­chi?... E... cosa guardi?

Sacerdote                      - (semplicemente) Il buio, da tanti anni.

Marlowe                        - Cieco?

Sacerdote                      - (sorridendo tristemente) Come i giudizi

umani.

Marlowe                        - Ho capito, ti alleni alla notte eterna.

Sacerdote                      - ... Piena di stelle.

Marlowe                        - (subendone l'antico prestigio) Vi riconosco adesso!... Siete?... Non m'inganno!...

Sacerdote                      - Il tuo vecchio Don Remigio!

Marlowe                        - Che m'insegnò a credere e a pregare... l'ho detto alla Regina.

Sacerdote                      - Non sei stupito di vedermi?

Marlowe                        - Certo... ma... Sarete ormai decrepito.

Sacerdote                      - E il caso, che io chiamo sempre Dio...

Marlowe                        - Siete ostinato.

Sacerdote                      - ...ha voluto che Tommy...

Marlowe                        - (abbracciandolo) Il mio trippone?

Sacerdote                      - ...venisse a chiamarmi per tuo padre, e ti trovasse qui...

Marlowe                        - Con mezza sbornia addosso. Ma se to­gliete l'ebbrezza a questa porca vita, che cosa vi rima­ne? Un gelido compasso, per misurare il raggio che va dal centro... (Sbadiglia) alla periferia di questi miei sbadigli... (A Tommy) Dico bene... Gli hai detto che questa notte, sarà l'ultima per me? (Sbadiglia)

Sacerdote                      - (amaramente) Sei tu, il mio piccolo Cristoforo che sentivi, ricordi?... un gran sole illumi­narti l'anima, quando pregavi con me nella mia chie­sa? Non ti riconosco!

Marlowe                        - Neanch'io, ve l'assicuro. Eppure non mi stanco di cercarmi. E non mi trovo mai. Anche se ten­to ricantare nostalgiche canzoni, o sbadigliare antiche noie, o far rinascere sogni svaniti, tumulti addormen­tati. (Sbadiglia) ... Ho un gran sonno. Fra poco, ve­drete, mi addormento anch'io... Però, siate sincero, ...non parlo bene per un ubriaco? Ma se tento di apri­re lo scrigno delle mie illusioni, mi trovo fra le dita, una chiave falsa e arrugginita. Questa frase, l'ho mes­sa in uno dei miei drammi... Ma non ricordo quale... Conoscermi?... Quando?... Come?... Se m'arroventano i fuochi della vita, o i suoi geli mi fan rabbrividire?... Saper chi sono?... Dovrei campar mill'anni e far tirar le somme dal mio decrepito destino... che voi, chiama­te Dio, e io, il demonio!... (Sbadiglia) E non saprei lo stesso, se dovevo nascer serpe, oppure uccello,... vit­tima o carnefice, postulante o re... No, non potremo mai sapere se siamo l'intruglio di colpe mostruose commesse in altre vite che oggi rigalleggiano fra tor­bidi barlumi incapaci di distinguere le gioie di una innocenza ormai perduta. (Sbadiglia) Scusate, è que­sta sbornia che mi spinge su dal ventre gli sbadigli... (Con improvvisa impennata lirica) Ma mi accende anche fosforici pensieri!... È la sbornia di un poeta, non quella di un trippaio. I miei drammi li ho sem­pre scritti dopo aver bevuto. Solo il vino, credetemi, può mostrarci i mille volti che avemmo nel fluire tem­pestoso del fiume che rotola dal fondo, la ghiaia di tutti i disinganni, come dopo il temporale, rotolan dal mare, le onde già sfibrate che vanno a frangersi alla riva. E qui, un applausetto, non ci starebbe male. Ma purtroppo i miei trent'anni non bastano a illumi­nare la mia effimera esistenza, anche quando quella bagasciona della speranza, vorrebbe accalappiarmi nel­la sua gran rete. (A Tommy) Gli hai raccontato la pro­fezia della mia strega?

Sacerdote                      - Tutto so di te, della tua vita. Ero an­ch'io in platea, quando il tuo famoso interprete...

Marlowe                        - S'è convertito?... Ma non saprete mai de­gli esseri che m'hanno preceduto... Li rappresento tut­ti. Prossimi e remoti. Celibi o ammogliati. Casti o puttanieri. Si sono avvicendati nel mio sangue, capaci delle più turpi azioni. E se talvolta mi piange la pietà, qui, dentro il petto, ecco le antiche furie svegliarsi e scatenarsi... Nessuna forza può arrestarle... nessuna minaccia, intimorirle... Nessuna preghiera può pla­carle... E allora chi potrà distinguere gli angeli, dai demoni?

Sacerdote                      - Le parole del Vangelo che sapevi a mente: ricordale "Se avrai la fede, muoverai persino i monti." Chi le ha pronunciate, ha trasformato il mondo.

Marlowe                        - Ma non bastano a sciogliermi gli enigmi che oggi mi trapanano il cervello. No, il martirio del vostro uomo-dio, non basta più...

Sacerdote                      - Alla presunzione della tua mente. Non è col pensiero, che puoi arrivare a Dio. (Caterina farà capolino dalla tenda)

Marlowe                        - E nemmeno con le vostre fiabe. Mi sono sgocciolato i miei trent'anni, godendo dalla nascita,lattime, fregola e miseria, condite con le sbornie di tutti i vizi e tutte le illusioni. Le virtù m'aspettano marcite nella fossa. Non c'è che volgo al mondo. E finché resteranno uomini, non cesserà la guerra fra di loro. Gli ultimi due, si sbraneranno implacabilmen­te. E il vincitore, vedendo la propria ombra minaccio­sa, si avventerà ferocemente contro, colpendola e col­pendosi, sino a restare entrambi, immobili per sem­pre. Il martirio del vostro Dìo, è durato poche ore, mentre il mio, dura da quando sono al mondo. E se dovessi rinascere dalle mie ceneri, come voi mi nar­ravate del favoloso uccello, maledirei chi m'ha sco­dellato in questa porca terra, spinto soltanto dalla foia che ci rende uguali ai bruti. Ecco quello che pensa il vostro antico allievo. (Sbadiglia lungamente e siede)

Sacerdote                      - E non t'accorgi, povero Cristoforo, co­me negando, affermi la tua disperazione? (Caterina scende dal letto e ascolta)

Marlowe                        - Bestemmia! Impreca! E vedendo voi, cosi ridotto, a questa larva d'uomo, m'urla nel petto il demonio della ribellione.

Sacerdote                      - No, è l'angelo del pianto. Tra le due forze opposte, c'è un comune rapporto di dolore. Tu non lo avverti, ma si tendono le mani.

Marlowe                        - (accasciandosi sulla scrania) Per darvi la vertigine.

Sacerdote                      - Delle grandi altezze. (Marlowe si ab­bandona sul tavolo appoggiando il capo sulle mani) Quanta miseria umana! Cristo non fu martirizzato per poche ore, come tu bestemmi, ma per secoli di perse­cuzione. E anche oggi, gli uomini non cessano di ri­conficcargli i chiodi nelle piaghe sempre aperte. Mi ascolti?

Tommy                          - (risponde per lui) Vi ascolta, si.

Sacerdote                      - Ma da quando il cuore mi ragiona qui nel petto, non ho mai udito parole più stupende del Vangelo. Nessuna voce mi è mai sembrata più lucen­te e convincente. Solo un Dio poteva esprimersi cosi. Il sole d'amore che irraggia da quel libro, riscalderà in eterno, ogni cuore umano. E a chi tentasse di strap­pare l'aureola che circonda il capo di Gesù, resterebbe fra le dita la divina raggerà del martirio per folgorar­gli l'anima e il pensiero. Dalla croce, comincia il suo trionfo e dal Calvario nasce la pietà, sorella del per­dono. (Non sentendo nessuna reazione chiede) Mi ascolti?

Tommy                          - (vedendolo spossato e curvo sul tavolo, ri­sponde ancora per lui) Vi ascolta, si. (Caterina so­praffatta dalla commozione, singhiozza sommessa­mente)

Sacerdote                      - (attribuendola a Marlowe) Piangi? E allora devi ricordare quando mi chiedevi come na­scessero le correnti che vanno sino a Dio. E io ti ri­spondevo: come i venti, che dalle calme tropicali, si dilatano sino all'Equatore, dove si compie il miste­rioso moto delle stelle. Ti bastava allora la risposta. L'hai scordato? (Aspetta inutilmente)

Tommy                          - (dopo una pausa) Dorme, era sfinito.

Sacerdote                      - (dopo una pausa) Le mie parole, gli arriveranno ugualmente anche nel sonno. (Caterina va ad inginocchiarsi ai suoi piedi, baciandogli le mani. Stupito) Chi è? Chi sei?

Caterina                        - (fra le lacrime) Meno di un verme.

Sacerdote                      - (dolcemente) Che vuoi?

Caterina                        - (implorante) Prendetemi con voi.

Sacerdote                      - (stupito) Con me?

Caterina                        - Si, solo voi... potreste...

Sacerdote                      - Dimmi.

Caterina                        - ... Capire...

Sacerdote                      - (dopo breve pausa) Sai pregare?

Caterina                        - No, soltanto maledire.

Sacerdote                      - Entreremo in chiesa.

Caterina                        - Mi butteranno fuori.

Sacerdote                      - Da quella casa, nessuno è stato mai cac­ciato. Vieni. (La rialza e si incammina mormorando) Gli ultimi saranno i primi. Per loro è il Paradiso.

Tommy                          - (cercando di nascondere la propria commo­zione) Ma per me... dovranno allargare tutte le por­te.

Sacerdote                      - (fermandosi sulla soglia, guidato da Cateri­na e alludendo a Marlowe, dirà a Tommy) Mi scor­davo. Dagli queste. (E snoda dal fazzoletto alcune monete d'oro) Me le ha date il vecchio, prima di morire. Era il risparmio di tutta la sua vita. (Tommy le prende) Addio. (Esce con Caterina)Giungono i primi sentori del mattino. Galli, lattivendolo, suono delle ore, e di nuovo, l'uggiolare del cane. Tommy spegne la lucerna, si fa il segno della croce passando davanti al morto e si avvia verso il cortile. Ma la porta d'ingresso, viene spinta con vio­lenza e sulla soglia appare, minacciosa l'alta figura di Fritzer.

Fritzer                           - (a Tommy) Dov'è?

Tommy                          - Chi cercate?

Fritzer                           - Quel cane!

Tommy                          - Non gridate. (Indicando il tendone) La c'è un morto.

Fritzer                           - Non mi basta.

Tommy                          - Ma che volete?

Fritzer                           - Non lo sputo a te. (Scorgendo Marlowe, vorrebbe lanciarglisi contro) Ah, ci sei!

Tommy                          - (frapponendosi) No!

Fritzer                           - (estrae dalla cintura un grosso nerbo) Lo vedi questo?

Tommy                          - (tentando la celia) È coda d'ippopotamo, o la vostra.

Fritzer                           - (respingendolo brutalmente) Levati dai piedi, doppio porco.

Tommy                          - Non toccatelo!

Fritzer                           - E allora te lo sveglierò. (Dà col nerbo, un forte colpo sul tavolo)

Marlowe                        - (svegliandosi e stropicciandosi gli occhi, lo riconosce e dice calmissimo) Ben venuto, gran ruffiano. Ti aspettavamo. (A Tommy) Vero? (A Fritzer) Ormai tu sei di casa. Per noi, sei l'orbo, il guercio, il bercio, o il bercilocchio che è tutt'uno. (A Tommy) Vero?

Tommy                          - Certo.

Marlowe                        - (sempre calmissimo) Sei venuto a pren­derti la Cate? Gran puttana quella! E vuoi intascare il prezzo? E giusto. Ma prima veniamo ai patti.

Fritzer                           - I tuoi patti? Il diavolo li firma.

Marlowe                        - (fremendo) Dov'è?

Marlowe                        - (sempre calmissimo) La Cate? Lo sa­prai. Ma perché non vesti di scarlatto?

Fritzer                           - Hai masticato elleboro, che ti ballonzola il cervello?

Marlowe                        - Ah già, da un pezzo i ruffiani, non ve­stono di rosso.

Tommy                          - (tenendogli bordone) Han lasciato questo onore agli sceriffi.

Marlowe                        - Però, gli dona quella benda.

Tommy                          - È vero, lo rende misterioso.

Fritzer                           - (a Tommy) Scimmione ammaestrato, qui non sei a teatro.

Marlowe                        - Dove sguinzagli il tuo branco di pulzelle, insigne mediatore d'amore pubblici e privati.

Fritzer                           - (estraendo lo stocco dalla guaina) Vedre­mo adesso, chi di noi puzzerà prima.

Marlowe                        - (girando attorno al tavolo per staccare dal muro un lungo punteruolo) Dal tuo fiato, è diffici­le sbagliarsi. (Brandendolo) Ma chi vive fra il letame, non può sentirne il lezzo.

Fritzer                           - Dov'è Cate?

Marlowe                        - Nel suo regno, a letto. (Frapponendosi a Fritzer che vovrebbe slanciarsi) Aspetta! Ragionia­mo prima. Te l'ho trattata da Regina. Ho speso per lei un intero fiorino di Edoardo, che vale, come sai, molti scellini.

Fritzer                           - Pisciami intanto tre sovrane.

Marlowe                        - (a Tommy) Non gli hai detto che soffro di ritensione monetaria? (Tommy ride in falsetto)

Fritzer                           - (investendolo) E allora, ti strigherò a do­vere.

Marlowe                        - (affrontandolo) Cerca però di non an­darmi contropelo. (A Tommy che si accinge a dargli man forte armato della paletta che ha tolto dal cami­no) Non muoverti! Lo voglio per me solo, il disonore di battermi con lui.

Fritzer                           - (avventandogli colpi su colpi) E io quel­lo d'accopparti... Per questo sono venuto... Senza scorta.

Marlowe                        - (parando allegramente) E te ne sono grato... M'hai fatto già smaltire la mia sbornia.

Fritzer                           - (c. s.) La paura fa spesso quest'effetto.

Marlowe                        - (investendolo a sua volta) Però, stai male in guardia, illustre prosseneta... Non sai chi era? Ti istruirò! Cosi era chiamato (raddoppiando gli as­salti) nell'antica Grecia, un ragguardevole mezzano, autorizzato a proteggere per lucro, una ricca clientela. Su!... Alza quello spiedo!... Vuoi una finta doppia?... Semplice?... O di filo?...

Fritzer                           - Para questo, commediante. (Gli allunga un furioso a fondo)

Marlowe                        - (dopo averlo parato si raccoglie per col­pirlo) Avrai la controbattuta conveniente!... In fac­cende d'onore... e regolar duelli... conosco le regole do­vute. (Lo colpisce a morte. Fritzer stramazza ai suoi piedi sotto il tavolo che lo nasconde agli occhi degli spettatori)

Tommy                          - (chinandosi sul morto) L'hai spacciato.

Lunga pausa.

Marlowe                        - (fissando lungamente il morto) Stupido giumento!... Hai trascinato male la tua soma. Non meritavi nemmeno la morte che t'ho dato. (Pausa) Dov'è ora il tuo cipiglio,... il tuo ringhio di belva in­ferocita? Eccoti muto per l'eternità? Il tuo pesante corpo d'animale, è crollato come un muro fradicio al primo colpo di piccone.

Tommy                          - (sgomento) Nell'unico suo occhio, l'hai colpito.

Marlowe                        - (beffardo) È cosi, cieco... due volte. Ep­pure, anche nei bruti come lui, la morte non perde la sua solennità... Guardalo!... Niente è più grave e immobile d'un morto!... Anche l'odio m'è caduto... (Al morto) C'è ormai fra noi una gran barriera che lo rende remoto... ed irreale.

Tommy                          - (scuotendolo dal torpore contemplativo) E adesso?... Che farai?

Marlowe                        - Già,... dovrò pigliar il largo.

Tommy                          - Se non vuoi essere impiccato.

Marlowe                        - (indicando dove suppone Caterina) E... Cate?

Tommy                          - Se n'è andata.

Marlowe                        - Quando?

Tommy                          - Mentre tu dormivi.

Marlowe                        - Con chi?

Tommy                          - Col vecchio prete.

Marlowe                        - È dunque un vero fallimento per la mia indovina. Ha scambiato il padre, con il figlio,... l'uc­cisore con l'ucciso,... e una famosa peccatrice... chis­sà, con una Maddalena già pentita.

Tommy                          - Che vuoi fare adesso?

Marlowe                        - Non indovini?... (Indicando il morto) Mettermi al suo posto. Aiutami soltanto a cambiar la scorza con la sua. (Indica Fritzer) Non è difficile, ve­drai.

Tommy                          - (spaventato) E... vorresti?...

Marlowe                        - Trasformare la mia cappa, col nuovo suo robbone. Ho poco tempo, aiutami. (Si mette a spo­gliare e rivestire il morto)

Tommy                          - È un sacrilegio! Ho paura...

Marlowe                        - Che si svegli? Non temere, solo le trom­be dell'Apocalisse potranno ormai destarlo. Tu dovrai solo giurare che dentro il suo petto, non batteva ilcuore ael più temuto ruffiano del rione, ma quello del tuo amico, Cristoforo Marlowe attore e poeta già famoso. (Gli ha tolto il robbone) E adesso, fagli infi­lare la mia cappa... Gli starà a pennello. Vedrai. Bravo, cosi!... Sembri del mestiere!... Non è finita... Dammi la sua benda... Cosi potrò ingannare anche me stesso. (Se la mette) Guardaci!... Stiamo bene capovolti, non ti pare?

Tommy                          - Ma...

Marlowe                        - Questo, vedi, si chiama entrare dentro il personaggio. Eccomi li, inerte in quel pupazzo... che seppelliranno col mio nome. Adesso, non mi resta che resuscitare col suo. Ci penserà poi il tempo a cancel­larli con la stessa spugna.

Tommy                          - Intanto, mi scordavo...

Marlowe                        - Di che?

Tommy                          - (dandogli le monete avute dal vecchio pre­te) Di darti queste. Don Remigio, le ha avute da tuo padre.

Marlowe                        - (prendendole) Quattro fiorini?

Tommy                          - Era il risparmio, cosi m'ha detto, di tutta la sua vita.

Marlowe                        - (ironico) Bene spesa. Prendili.

Tommy                          - Ma... (Non li prende)

Marlowe                        - Che vuoi che me ne faccia in alto ma­re? Si, m'imbarcherò con Drake. M'aspetta a bordo per rubare insieme. (Estraendo dal robbone di Fritzer, una grossa borsa) Ah, perdio!... Ma qui, risento un canto che avevo già scordato... Guarda!... E più gonfia del tuo ventre! (Rovescia il contenuto sul tavolo dove ave­va deposto i quattro fiorini) Ammira!... Ce n'è d'ogni paese!... Guarda!... Nobili!... Ducati!... Scudi!... So­vrane!... Fiorini! Come questi!... (Cercando quelli de­posti) Dove sono?

Tommy                          - Li hai mischiati.

Marlowe                        - Ai suoi?!... No!... Grondavano sudore da ogni poro!... Mentre questi... (Affonda le mani nel mucchio d'oro) vengono dalle fogne dei suoi luridi bordelli!... Dobbiamo restituirli... a chi li ha guadagna­ti .. non proprio col sudore della fronte, ma... con la nausea e lo schifo... Sono suoi!?... Le spettan di di­ritto!... E tu accetta un mio consiglio; anche i poeti sanno darne... Sposa Cate... Le femmine di tutti alle volte possono diventare d'uno solo... anche se tu, ve­dovo, come sei, di molte corna, puoi contar per due. E adesso, per evitare ogni sospetto sulla mia falsa morte, dipingi a rosso fuoco, la gran croce sulla por­ta, accertando i becchini che verranno a prendermi, che i colpiti dalla peste, erano due! (Indica i due morti)

Tommy                          - Ma...

Marlowe                        - Non sempre agli appestati, fioriscono bubboni... La paura e un pugno d'oro poi, faranno il resto. (Entra il primo raggio di sole) Addio, mio buon trippone. È già domani. (Lo abbraccia) Mi farai incidere sulla tomba un epitaffio commovente, assicuran­do Don Remigio che, contrariamente al suo Vangelo, questa volta, saranno i morti (Indica Fritzer e poi se stesso) ...a seppellire i vivi. Addio!... Addio!... (Esce rapido. Il sole illuminerà la stanza mentre Tommy singhiozzerà rumorosamente)

 

FINE