L’ultima stazione

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L’ULTIMA STAZIONE

Commedia in un atto

di BENIAMINO JOPPOLO

PERSONAGGI

IL VECCIO

IL CAPOSTAZIONE

L’UOMO PALLIDO

L’UOMO PREOCCUPATO

L’UOMO CHE HA LAVORATO

LO SPOSO

LA SPOSA

CARLINA

MARIA

GIOVANNI

IL FRATELLO

LA MADRE

IL PADRE

LA FIDANZATA

I FIGLI

LA FIGLIA

I MORTI

LE DONNE

IL CUSTODE DELLA STAZIONE

AGATA

Commedia formattata da

 (La sala d'aspetto di una qualunque stazioncina del mon­do. Attorno, a muro, panche di legno ne­ro. Le mura sono bianche di calce vi­va, nude. Nel mezzo di essa vi è posta una cattedra roton­da, che serve da bi­glietteria, con nel centro una poltrona girevole. Sulla pol­trona siederà poi il Capostazione, uomo alto, robusto, dalla faccia grande, e lento in ogni mossa. Si sentiranno sempre rumori discreti di treni-merci, a intervalli, solo qualche volta treni-rapidi, e poi rare voci discrete che usano ter­mini di lavoro di ferrovia. Per la sala gira il custode della stazione, che improvvisamente si ferma. W un uomo di mezza età, pallido e segaligno. Parla lento e alto. Agata, ragazza sulla ventina, formosa ma molto pallida, statuaria ma anche disfatta e lontana, è seduta in piena luce in un angolo. Segue tutto con lo sguardo e parla alta ma come se le sue parole vivessero a parte staccate da lei. Quello che lei dice è sempre detto contemporaneamente a quello che dicono gli altri ma con un tono più alto. La luce iniziale è gialla scialba, da aurora. Man mano poi che l'azione si svolgerà, la luce seguirà tutte le fasi di un giorno d'estate e in ultimo finirà con tessere gialla carica).

Il Custode della Stazione       - (con tono di informatore) Nessun paese del mondo ha un Capostazione come il nostro. Egli dice che non è giusto affermare ciò poiché infiniti sono i paesi del mondo ed è quindi molto pro­babile che in uno qualunque di essi ci possa essere un Capostazione non solo come lui, ma anche migliore di lui. Ma questo noi non possiamo ammetterlo neanche lontanamente. Egli non è un Capostazione qualunque. Ha girato il mondo intero in ogni sorta di situazione. Il suo non è un mestiere, ma è un apostolato. Nessuno parte da questa stazione senza aver prima chiesto un parere a lui, ed è lui che stabilisce destinazione e durata di tempo di ogni viaggio. Può sembrare strano, pure io ho impa­rato che molti sono coloro che partono solo per evadere anche se questo bisogno di evadere si presenta all'inte­ressato sotto forma di affare, di carriera o di altro. Ora, in questi casi, il parere del nostro Capostazione è indispensabile. Egli ha poi infinite altre virtù. Ecco, ad esem­pio, un caso molto significativo che indica la sua sa­gacia. In verità il nostro non è un paese. Si tratta di una serie di case sparse qua e là per grandi estensioni di pianure e di altipiani coperti tutti di grano, di cotone, di pomodori. Solo qualche siepe verde di fichidindia che si solleva appena di qualche metro dal suolo a cerchi o a quadrati o a rettangoli e rimane isolata in mezzo al terreno nudo. Soltanto sul mare, a picco su rocce a semi­cerchio, su di un promontorio, c'è un castello circondato da un parco di cipressi, di eucaliptus e di serre di fiori. Il mare è grande davanti a questa terra, e il sole molto forte domina quasi tutto l'anno su terra e su mare. L'in­verno è pieno di venti e di pioggia. Si è tutti agricoltori e il tenore di vita è condotto sullo stesso piano e quasi in comune ida padroni e da servi. La stazione è stata messa qui al solo scopo di poter accentrare la spedizione di quantità considerevoli di grano, di cotone, di pomo­dori. L'estate vengono, infatti, molti forestieri a commer­ciare, a prendere in affitto i raccolti, a comprare, a spe­dire, da parecchie grandi città. Questi forestieri raccon­tano cose strabilianti sul resto del mondo. Il nostro Capo­stazione trovò qui tutti malati di questi racconti. Ora, egli, con molta sottigliezza, a poco a poco, convinse tutti di una verità che ebbe l'avvedutezza di formulare chiara solo quando si rese conto che da tutti poteva essere accolta con comprensione. Egli dice: «Il resto del mondo non è né più bello ne più brutto ne più interessante né meno interessante di questi nostri luoghi, dove anch'io son nato. E' solo diverso. Se vi dicessi che è più bello e più interessante vi accingereste a conoscerlo con molta inquietudine e allora lo tentereste senza serenità, senza possibilità di farlo vostro, se vi dicessi che è meno 'bello e meno interessante vi accingereste a conoscerlo con poco entusiasmo e con poco interesse. Convinti invece di questa uguaglianza vi entrerete da amici. Quelli poi che non hanno la possibilità di conoscerlo rimarranno in tal modo tranquilli al pensiero che non si tratta infine di un fatto fondamentale diverso e sconosciuto a loro. Dovunque, scaverete in fondo al cuore di ogni uomo l'albero e la metropoli, e sotto il sole le macchine sul selciato hanno la stessa risonanza dei cavalli dagli zoccoli di ferro che galoppano sulle pietre, e la notte, quando la terra si scioglie nella luna o nelle ombre, allora la terra tutta assieme a cose e a persone e a piante ed a elementi è un sol corpo fluido che rotola negli spazi come un tappeto incantato ». Queste sono parole del nostro Capostazione. E' dunque possibile pensare che ve ne sia sul mondo un altro appena paragonabile a lui? Tra poco egli verrà a dare udienza a coloro che vogliono evadere. L'idea dell'evasione è idea esclusivamente sua, e se io parlo in tal modo, non dico bene ma certo non male, è solo a lui che debbo tutto ciò. Solo la sera c'è un treno che trasporta viaggiatori dalla nostra stazione per il mondo, anzi due treni, uno in un senso ed uno in un altro. Il nostro Capostazione si lamenta perché dice che ce ne vorrebbero altri due per gli altri due sensi trasversali, poiché l'impressione perfetta dell'evadere richiederebbe in ogni caso una -subita attuazione nell'attimo preciso dell'inizio - del viaggio. Dice ridendo che uno dovrèbbe essere un treno marino dato che da un lato c'è il mare, che del resto è sempre popolato di imbarcazioni con vele e senza vele che se ne vanno sempre molto lontano. Del resto sono tutti treni-merci, solo qualche treno che qui non ferma e i cui sportelli e vagoni son pieni di iacee e di occhi che rimarranno sempre sconosciuti a vagare su queste campagne. Subito verranno coloro che vogliono partire per sottoporre il loro viaggio al parere del Capostazione. (Immediata­mente, infatti, a poco a poco, giungono varie persone, che si fermano e aspettano che il Capostazione li inter­roghi ed indichi loro il posto da occupare sulle panche. Prima arriva una coppia di sposi, il cui vestire corri­sponde al loro amore evidente: logico e pacifico).

Il Custode                       - Voi?

Lo Sposo                         - Viaggio di nozze.

Il Custode                       - Soli?

Lo Sposo                         - Sì.

Il Custode                       - E perché ? Nessun parente vi. accom­pagna ?

Lo Sposo                         - Abbiamo noi voluto così. Per essere soli finalmente, dopo le feste, gli auguri, i suoni, le grida.

Il Custode                       - (indica un posto in ombra nella sala) Se­dete lì. Un caso importante ma non troppo, il vostro. (i due siedono al posto indicato. La sposa però si ravviva alle parole del custode).

La Sposa                          - 'Pure io sono commossa come mai ero stata. Mi vien da piangere, mi sembra una situazione oltremodo importante la mia invece. Lui non ha voluto che ci accompagnasse nessuno, ma io mi sento sola e avrei voluto che mi accompagnassero mio padre, mia madre, i fratelli, le sorelle.

Il Custode                       - Calmati, figliola, è così per tutte le ragazze che sposano. Il Capostazione afferma che ogni ragazza è convinta di doversi sentire conquistatrice del mondo nel momento in cui dice e «ente dire il sì dall'altare e nel momento in cui lo sposo la cinge per stac­carla da tutto e da tutti. E invece per lei diventa uno strazio il « sì » come se venisse tolta a forza alla sua vita, al suo mondo più intimo, per essere buttata in un deserto biancastro di ceri, di altare, di immagini sacre, di preti e si sente quasi abbandonata, non protetta dalla madre, dal padre, dai fratelli, contro cui finisce col provare anche del rancore.

La Sposa                          - E' vero, è vero.

Il Custode                       - In fondo anche lo sposo sente questo, ma per orgoglio non lo dice.

Lo Sposo                         - Può essere vero anche, ma io non so.

Il Custode                       - Ecco l'orgoglio. Il Capostazione dice an­che che quando la ragazza dà e riceve l'ultimo bacio della madre da signorina sente come uno strappo viscerale quasi trattasse di un secondo taglio dell'ombelico che la stacca dal corpo materno.

La Sposa                          - Quante cose vere sa lui. E' proprio così. (Entra un uomo alto robusto, preoccupato. E' vestito con una dignità che è la proiezione di una indubbia dignità interna).

Il Custode                       - Voi?

L'Uomo preoccupato       - Problemi interni da risolvere.

Il Custode                       - Sembrate preoccupato in modo interessante. Sedete lì. (Indica una panca illuminata in modo chiaro. L'uomo preoccupato siede col capo curvo e rimane immobile a pensare. Entra un uomo di media statura, forte, sicuro, invadente, in modo chiaro ben fornito di danaro).

Il Custode                       - Voi?

L'Uomo che ha lavorato - Diritto a distrarsi dopo aver molto lavorato e guadagnato.

Il Custode                       - Il vostro è un caso pacifico.

L'Uomo che ha lavorato - Lo deciderà dopo il Capo­stazione. A me sembra un caso molto importante.

Il Custode                       - Impressione di tutti. E' così, del resto. Sedete lì. (Indica una panca in ombra. L'uomo che ha lavorato siede con gioia prolungata. Entra un vecchio segaligno e curvo con rigidezza, con un vestito molto povero e scolorito. Sembra che il colore intrinseco ed estrinseco della sua persona, anche della voce, debba essere il molto chiaro, un pò coagulato e dilatato: nelle mani, negli occhi, nel volto tutto).

Il Custode                       - Voi?

Il Vecchio                        - Caso unico.

Il Custode                       - E' una vostra presunzione?

Il Vecchio                        - No. Son troppo vecchio per poter pre­sumere.

Il Custode                       - Voglio credervi. Sedete lì.

Il Vecchio                        - L'angolo più luminoso. Mi si dovrà bene guardare negli occhi.

Il Custode >                    - Come volete. Allora lì. (Indica un an­golo accecato di luce, dove il vecchio siede immobile ed appare come calcificato, colle mani a croce pendenti sulle ginocchia. Entra l’uomo pallido, dinoccolato, non molto alto, solo la faccia molto lunga e fantomatica per una fronte alta e chiara e due occhi neri che i capelli biondi mitigano in una febbre che sarebbe acuta e preoccupante e che così è resa invece quasi intensamente idilliaca).

Il Custode                       - Voi?

L'Uomo pallido               - Ossessione.

Il Custode i                     - Si vede. Sedete lì. (Indica una panca molto illuminata, su cui l'uomo pallido siede osservando continuamente con gli occhi lucidi tutta la sala in una fissità continua come una pazzia senza più squilibri. Pausa).

Il Custode                       - Per oggi sembra che non ci sia altri. Tutti sapete che col Capostazione non occorre parlare molto. Basta enunciare il proprio caso. Mi raccomando su questo punto. Subito sarà qui. (Breve pausa. La luce è ora alta sulle mura crescendo d'intensità dalla lieve ombra entro cui sono gli sposi, l'uomo che ha lavorato, sino ad ossessionarsi in un crescendo dall’uomo preoccu­pato all'uomo pallido e di vecchio).

Il Vecchio                        - (improvviso) Pure io dovrò parlare molto.

Il Custode                       - Ecco. Viene il Capostazione. (Entra il Capostazione che dà attorno uno sguardo molto buono, e rapido va a sedere sulla poltrona girevole).

Il Capostazione               - Sono questi oggi i viaggiatori?

Il Custode                       - Sì. Sono sei.

Il Capostazione               - Possiamo incominciare. (Volge la sedia verso gli sposi e li guarda con molta bontà). Voi due?

Lo Sposo                         - Viaggio di nozze.

Agata                               - Ci sono rondini che vogliono lasciare il nido.

 Il Capostazione              - Bene. Il custode avrà già trovato il modo di dirvi alcune cose che è inutile ripetere e che io faccio sempre dire da lui agli sposi come voi.

La Sposa                          - (commossa) Si. Sì. Tutte cose vere. (Allo sposo) Devi convenirne anche tu.

Lo Sposo                         - (a malincuore) Ne convengo.

La Sposa                          - (lo cinge con un braccio e quasi piange) Devi convenirne con gioia, non così.

Lo Sposo                         - (sorride) Ne convengo con gioia. (La sposa sorride grata e bacia una mano allo sposo).

Il Capostazione               - Bravi. Così. Dunque voi vorreste fare il viaggio di nozze.

Lo Sposo                         - Sì.

Il Capostazione               - Io sarei quasi tentato di 'dirvi che vi conviene ritornare nella vostra casa, e così non vi sentirete più soli e abbandonati, e il primo bambino lo concepirete in mezzo a sorrisi, a voci, a ombre e a raggi di sole amici.

La Sposa                          - Io sarei molto contenta di questo.

Lo Sposo                         - Eh, no, no, il viaggio di nozze dobbiamo assolutamente farlo. Non insistere, cara.

La Sposa                          - (a malincuore) Come vuoi, mio caro.

Il Capostazione               - Egli approfittò di un giorno in cui tu eri sola in casa a lavorare, fuori c'era sole e un pò di vento, ma poco vento, per entrare e pregarti di consacrare un amore che, così, in aria, lo rendeva inquieto. Tu arrossisti ridendo, avresti arrossito ridendo egualmente anche se fossi stata una cittadina molto vis­suta, e vi scambiaste il sì, tu ti sentisti piena di tene­rezza e lai di gratitudine. Vi darò un biglietto per una qualsiasi grande città. Andrete a sinistra, ecco, è indiffe­rente. Tanto terrete sempre le palpebre chiuse, per un bisogno estremo, e sarete sempre nella camera dove con­sacraste l'amore col sì, in mezzo a quei mobili, a quelle luci, a quelle ombre, con quella finestra aperta sui campi di cotone a batuffoli bianchi e sul mare, e, dovunque sarete, il bambino lo concepirete in quella camera, solo avrete dei sorrisi osservando che quella camera all'im­provviso si è popolata di nuove luci e di nuovi rumori, di tutte le luci e di tutti i rumori d'una qualsiasi città.

Agata                               - Le rondini se ne vanno, portando sulle ali il nido: fango asciutto, con fili d'erba e di paglia. Il cielo ride a questo viaggio di case.

La Sposa                          - Così va bene. Così va bene. Ora sono più tranquilla.

Lo Sposo                         - Bene. (Il Capostazione porge due biglietti allo sposo, che si alza, li prende e torna a sedere accanto alla sposa. Gli sposi attendono il treno, è evidente nelle loro persone l'attesa pensosa del treno, con le mani tra le mani).

La Sposa                          - (ridendo piano) Davvero siamo in quella camera.

Il Capostazione               - (all'uomo che ha lavorato) Voi?

Agata                               - Il sorcio di campagna è ingrassato e se ne vuole andare a correre in città.

L'Uomo che ha lavorato - Diritto a distrarsi dopo aver molto lavorato e guadagnato.

Il Capostazione               - Voi avete molto lavorato e molto guadagnato ed ora volete distrarvi? Avete ragione, è vostro sacrosanto diritto questo. E volete distrarvi gi­rando per il mondo. Ma pensate bene a quello che dite. Voi avete molto lavorato e molto guadagnato qui, ma dove pensate di andare, dove vorreste andare, voi non avete né molto lavorato nè molto guadagnato. Dove volete andare voi ci sono uomini che con la vita hanno solamente giocato eppure hanno guadagnato molto più di voi. e ci sono altri uomini che hanno guadagnato niente, e ora sono lì, sulle soglie della vita, all'agguato, in attesa del momento opportuno, e da uomini, a poco a poco, le loro facce e i loro nervi si sono tesi in una tensione che appartiene solo alle iene e alle pantere.

L'Uomo che ha lavorato  - (in orgasmo) Dio mio, cosa dite?

Il Capostazione               - Qui pacificamente hai lavorato e guadagnato, i carri passavano lenti per te, cantando o dormendo assieme ai carrettieri, sull'unica strada di asfalto, carichi di cotone di grano e di pomodori, sorri­devano le donne e gli uomini chiacchierando, quei volti chiari ridenti sono sempre lì, tra un pò di sole e un pò di vento, i motori delle macchine cariche per te sem­bravano invasi anch'essi qui dal silenzio che è attorno, e tu ora senti il bisogno e il diritto di distrarti, e di questo hai ragione. Ma tu puoi distrarti solo al pensiero che ne hai il diritto perché hai lavorato.

L'Uomo che ha lavorato - Certamente.

Il Capostazione               - Non parliamo di coloro che ti riderebbero in faccia subito che tu parlassi dello scrupolo "di coscienza che hai a volerti distrarre solo perché hai lavorato, ma l'importante è che tu non potresti distrarti, soffriresti anzi, se non avessi attorno occhi e facce ridenti entro cui poter leggere chiara sicura e soddisfatta la frase: «Si distrae, ha lavorato, ne ha il diritto, fa bene».

L'Uomo che ha lavorato  - (asciugandosi, smarrito, del sudore) E' vero. E' vero. O Dio, come è vero tutto ciò.

Il Capostazione               - E nei luoghi dove tu volevi andare questa gioia non la potresti mai avere, la sola soddisfa­zione vera per te, e qui invece ce l'hai; ad ogni modo, guarda, ti faccio un biglietto per la cittadina capoluogo del nostro circondario, lì ti fermerai 'dieci giorni, va bene? (Gli porge un biglietto che egli prende confuso ridente, per subito tornare al suo posto con l'aria evidente d'aspettare il treno asciugandosi sempre del sudore con un grande fazzoletto, ora) Non più di dieci giorni e li ti capiterà, per la strada, agli angoli, in trattoria, al caffè, di incontrare qualcuno che ti conosca e ti possa guar­dare sorridendo soddisfatto e formulando quella famosa frase che è il fondamento della tua felicità: «Ha lavo­rato, si distrae ora, ne ha bene il diritto ».

L'Uomo che ha lavorato - Grazie, grazie.

Agata                               - Il sorcio di campagna ha tre volte fatto il giro delle mura della città. Sorci di campagna, suoi an­tichi amici, gli sono andati incontro, gli hanno fatto gli inchini, vestiti di nero, con pantaloni stretti, scarpe di pelle lucida, frak lunghi, camicie bianche, cravatte gialle e mani inguantate di biacca sotto il sole, gli hanno detto : « bravo bravo bravo » e lui se n'è tornato in campagna.

Il Capostazione               - Poi prenderai, sposerai quella donna che più di ogni altra sa quanto hai lavorato e lei, stai pur sicuro, per quanto tu sia anziano, lei si sottoporrà volentieri alla tua volontà e, per quanto non trascinata da te, pure ti sorriderà e ti accarezzerà con molta dol­cezza, e mangerete assieme il pane, così, e assieme ber­rete il vino, e tu capirai che lei quando ti guarda, ti sorride e ti carezza, vuole solamente dire cogli occhi la frase che è il fondamento della tua felicità : « Ha lavo­rato, si distrae ora, ne ha bene il diritto ».

L'Uomo che ha lavorato - Grazie, grazie. (Ha delle lacrime di commozione che lascia scorrere sulle guance, luminose, con soddisfazione) L'ho già scelta. Lucia, Lucia. Non è né troppo giovane né troppo anziana. Sorride proprio come dite voi quando mi guarda. (Ritorna allo stato di attesa del treno. Ora il giorno è molto inoltrato).

Il Capostazione               - (girando la poltrona verso l’uomo preoccupato) Voi?

L'Uomo preoccupato       - Problemi interni da risolvere.

Agata                               - Il muro, costruito di tutta calce, di una casa, ossessionato dal sole di una pianura deserta, si è staccato dalla casa e cammina per la pianura tracciando circoli maniaci.

Il Capostazione               - Parlate.

L'Uomo preoccupato       - Voi sapete che io ho molto pensato, viaggiato, studiato.

Il Capostazione               - Questo è notorio a tutti nella no­stra contrada.

L'Uomo preoccupato       - Pure io non voglio attribuire quanto vi dirò ne alla mia cultura ne alla mia intelli­genza né alla mia esperienza. Ecco. Voi sapete che io abito sulla cima della più alta montagna di questa con­trada. Mi guardo attorno e non vedo nulla di più alto. I fiori, le piante, gli uccelli, che coltivo e che nutro, si sono ad un tratto dispersi in immagine d'aria che sempre meno arrivo a percepire. Tutto quanto ho visto e sentito mi è sotto, osservato, anatomizzato. Se abitassi su di un piano questo non mi sarebbe avvenuto... (Si agita) H cer­chio avrebbe continuato a girare, non si sarebbe fermato.

Il Capostazione               - Calmatevi.

L'Uomo preoccupato       - Non posso, scusate, scusate. (Si alza e gesticola) Ma quei tre che stavano a leggere il romanzo giallo, quei tre ragazzi, lei, il fratello di lei e l'amico, eh no, no, non è possibile continuare cosi, oltre­passo la porta del giardino, il cancello, entro, la ghiaia, i fiori, i rampicanti, sento una voce leggera per una comunità sottintesa che sta ad ascoltare attorno, fischio, chiamo, mi fanno salire a malincuore, mi guardano im­pacciati - leggevano il romanzo giallo in tre per finirlo più presto, - eh no, no, Maria e Giovanni si guardano, è un amore che nasce, sposeranno, non sposeranno ma siamo sempre lì, suoniamo dei dischi antichi, quando si facevano le gite tutti assieme, e l'idillio è lì, fermo nella stanza, cadaverizza financo le note del grammofono nell'aria, è lì, sul tavolo, tra i mobili, sulle mura, grida, striscia, tace, si torce, ma è dunque possibile che tutti gli idilli dèi mondo, dai più puri ai più impuri, dal tavolo del caffè alla verandina sul mare o in montagna, dalla sedia alla poltrona e all'alcova, debbono per forza essere sempre gli stessi? (Entrano Giovanni, Maria e il fratello di lei, ragazzi dinoccolati e smemorati).

Maria                               - (scontenta) Ma perché dite questo? La sera invece...

Giovanni                          - Tra le ombre dei noccioli...

Il Fratello                         - Son sicuro che è una cosa molto pura e molto seria e dolce.

Maria                               - Le voci, le parole, sotto la luna, non si arriva a capire se sono più leggeri i nostri corpi nell'aria.

Giovanni                          - E son cose tanto nostre e particolari.

L'Uomo preoccupato       - Sedete, sedete... se non abitassi in quella cima... sedete, sedete. (Maria, Giovanni e il fra­tello seggono scontenti in un angolo, nella luce, in ma­niera da fare un gruppo, e tengono le teste chine e le mani impacciate e in movimento continuo).

Il Capostazione               - Continuate pure.

L'Uomo preoccupato       - Eh, no, no, in Italia, in Francia, in Germania, in America, nel Giappone, in Inghilterra, in Australia, sulla strada azzurra asfaltata, sotto il sole, la ragazzina bionda dalle gambe dorate corre sulla bici­cletta e porta nel baracchino fornito di gassose e di trinciato forte e mortadella soltanto, porta il tabacco, le gassose, la mortadella, e trova il padre scorbutico, e sotto la verandina, all'imbrunire, dopo il lavoro, degli operai e dei contadini fanno la partita, eh, no, no, questo no... (Entra protestando, con tra le mani una bicicletta malan­data, a cui si appoggerà, Carlina, ragazzina quale l’uomo preoccupato l'ha descritta).

Carlina                             - Ma io sono contenta di correre, e gli alberi mi scappano attorno, e l'aria la bevo, e il vento non mi fa niente, io vinco tutti i ragazzi alla corsa in bicicletta.

La Sposa                          - (di scatto) Ciao, Carlina.

Carlina                             - Oh! Ciao. Auguri. Ti sei sposata? Parti per il viaggio di nozze?

La Sposa                          - Sì, grazie.

L'Uomo che ha lavorato - Carlina, Carlina, come mi sento buono oggi. Hai una bicicletta un pò vecchia, te ne voglio regalare una nuova, lo dirò a tuo padre. Va bene? Mi farai il piacere di accettarla. Te la porterò quando torno.

Carlina                             - Oh! Grazie. Partite anche voi?

L'Uomo che ha lavorato - Sì. Ma torno subito. Siedi Carlina.

Maria                               - Sì, sì, siedi, vieni qui, Carlina.

Carlina                             - Oh! Maria. Ecco. (Va a sedere vicino a Maria, tenendo con una mano la bicicletta, e rimane ridente e immobile a guardarsi attorno).

Il Capostazione               - Continuate.

L'Uomo preoccupato       - Dovunque muscoli che lavo­rano e cervelli che pensano, niente volo immemore, su­dore umano, corpi che si muovono, si abbattono, è una disperazione, dove andare, dove andare per non vedere gli occhi, in aria, come molluschi, di uomini e di bestie, che si muovono quasi a coagularsi, e piante e mare e aria, e sabbia, eh no, no, voci, suoni, parole, luna, sole, stelle, notte, giorno... (guarda l'orologio con mossa ma­niaca) è quasi tardi, voglio sedermi, aspetto. (Siede e diventa tetro e guarda vuoto il Capostazione. La luce va declinando, con improvvisi bagliori).

Il Capostazione               - Per voi... (L'uomo pallido improv­visamente protende, sempre seduto, il volto verso il Capostazione, col corpo teso, in una compostezza impres­sionante di membra e di occhi immobili. Solo le sue labbra si muovono veloci in un perfetto ritmo, su di esse, tra luce e ombra da esse stesse accolta o allon­tanata. E' evidente la non preoccupazione di interrom­pere il Capostazione per il sopravvento del bisogno di subito parlare, dire sino in fondo ciò che lo ossessiona).

L'Uomo pallido               - Credetti di poterlo considerare uno scherzo, uno scherzo qualsiasi, così, ed ora mi accorgo di quale specie di scherzo si trattava. Potevo mai pen­sarci? Un motivo, che cos'è infine un motivo?

Agata                               - Un pozzo di calce si è trasformato in nomo ed ora è lì sotto il sole proteso a parlare senza potersi muovere, non si sa più neanche agitare... parla... parla... eccolo.

Il Capostazione               - Calmatevi.

L'Uomo pallido               - Se potessi. Un accompagnamento mortuario sdrucciola sull'asfalto e le note del motivo (da ora in poi poche note ripetute all'infinito con ossessione crescente di un qualsiasi motivo si faranno sentire finché parlerà l'uomo pallido) se ne vanno a scherzare sulla strada, rotolano, giocano, cascano ai margini, precipitano, salgono, nell'aria, in campagna, sotto gli zoccoli dei cavalli, sotto le ruote della carrozza, tra i velluti, di dietro, davanti, a destra, a sinistra, suonano il motivo col grammofono... poi me ne andavo in giro, ho finito con l'impararlo a memoria, e ora c'è una corda di violino che me lo suona dentro, sui nervi. Il mio cranio deve essere dunque per forza la cassa armonica di quelle note che si trascinano dietro anche la strada, la campagna, i cavalli, le ruote, i velluti, la carrozza mortuaria, l'aria, anche l’aria? (tutti guardano sorpresi)

Carlina                             - Perché parla in questo modo? Cos’ha?

L’Uomo pallido               - E’ così è così, io sono estremamente logico in quello che dico anche troppo logico, sono…. Stavo a sentirlo con la faccia in aria, il primo a disfarsi in note è stato il soffitto, poi le mura, le sedie, i mobili, l’aria, la campagna, il mare, il vento, tutte le persone che mi stavano attorno. C’è poco da scherzare, Carlina, continua ad andare in bicicletta, sei ancora troppo giovane, ma impara impara anche tu un motivo come quello e vedrai vedrai se ad un tratto sotto le ruote di gomma non ti si sprofonda la terra, e tu ci cadi dentro, ed ecco che il mondo si sgretola in note ed allora, allora,,,, (Si alza e gesticola con ritmo perfetto in alto e in largo con le braccia) Allora il mondo è ridotto a frammenti. A frammenti, tu sai cosa vuol dire a frammenti, Carlina? Una ciocca castana su di un pezzo bianco di cuscino, due occhi pazzi nell’ombra, una goccia di mare, un filo di sole, il frammento di un granello di sabbia, ahimè, ahimè, lo sai questo Carlina?

Carlina                             - (seria) Io non so.

L’uomo pallido                - La mia fidanzata è una ragazza esile, bionda, era Olga, Olga, due braccia esili, e due mani che stringono la mia mano, due gigli, poi due occhi assonnati, poi la bocca, le dita che giocano sulle mie ginocchia, frammenti frammenti.

La fidanzata                    - (entra premurosa, irritata e affettuosa e si pone diritta dinanzi all’uomo pallido) Io non sono due braccia esili, io sono qui, intera, per te, guardami, integra, io sono una creatura umana, eccomi. (L’uomo pallido si ricompone e fa sedere la fidanzata al posto accanto al suo. La fidanzata piange silenziosa senza lacrime. Egli rimane diritto.)

L’uomo pallido                - Gli occhi di mia madre mi guardano con pianto di rimprovero, forse mi vogliono chiedere cosa ne sto facendo della vita che mia madre mi aveva donata.

La madre                         - (entra addolorata e compunta) Ma io sono qui viva, cosa c’entrano gli occhi? Possiamo parlare, vedere, cos’hai? (l’uomo pallido fa sedere la madre accanto alla fidanzata e ritorna ancora ad essere diritto, le due donne sono immobili.)

L'Uomo pallido               - Ora verrà anche mio padre. Gli occhi di mio padre mi rimproverano perché non sono forte con la vita. Eccolo, eccolo.

Il Padre                            - (irritato) Sì, sì. Io sono qui intero, cosa vuoi, cos'hai? Ho forza di aiutarti ancora, sai? Pure, che pena, che pena, come ti sei ridotto.

L'Uomo pallido               - (fa sedere il padre accanto alla fidan­zata sicché questa è ora tra il padre e la madre, tutti e tre seri e attenti verso l’uomo pallido, che va a sedere infine accanto alla madre assumendo la prima posa e dicendo solo, con molta pacatezza) Ora intanto ripo­siamoci un po'. Sono stanco.

Il Capostazione               - Sì. Sì. Dovunque lo stesso. Anche il mondo è un frammento che rotola come una nota. Pure, le rive di un lago imbalsamato con attorno mon­tagne di alberi, uccelli... sotto le ombre... per voi... forse... (Il vecchio improvvisamente interrompe il Capostazione, alzandosi e rimanendo rigido, con gli occhi chiari fissi nel vuoto, e appoggiandosi con le gambe alla panca che fa angolo sul muro. Parlerà sempre chiaro e alto e non farà una sola mossa col corpo. Tutti si protenderanno sempre più verso di lui. La luce sarà intensamente gialla e alta sino all’ultimo. Intanto le note del motivo si sono a poco a poco disperse)

il vecchio                         - Occorrono tutto il sole e tutta la luce di un’intera estate su questa terra nuda per capire certe cose. Scusa, Capostazione, se ti ho interrotto. Posso parlare?

Il capostazione                - Parla

Il vecchio                         - Perdonami, Capostazione, se ti dico subito che io non sono venuto qui per chiederti dei consigli, sebbene riconosca che molta sagacia tutti noi la dobbiamo a te.

Il capostazione                (si inchina) Grazie. Niente, niente. Parla.

Il vecchio                         - Per tutta la vita ho portato sulle spalle sacchi di grano, ceste di cotone e di pomodori. Capitava spesso che qualcuno mi facesse piegare sulla vita e guardasse dentro i sacchi e le ceste e osservasse il grano i pomodori e il cotone, ma mai , dico mai, mi capitò di essere fermato da qualcuno che volesse osservare me. Sono stato bene attento. Non mi hanno mai guardato come un vitello o un capretto, non mi hanno mai guardato in fondo agli occhi, sono sempre stato come un pezzo di sughero costretto alla deriva, sai? Quei pezzi di sughero ai lati di un fiume che sbocca nel mare in mezzo a fango e a rifiuti mentre pure il mare è grande sotto la coppa del cielo ed è pieno di vele e di sole e di onde a cavalli azzurri.

L’uomo preoccupato       - Questo è grave come il sudore umano.

Il vecchio                         - Non è ne grave ne leggero. È così. Io fui meno di un sacco, di una cesta, sempre. D’inverno facevo il muratore e mai nessuno mi guardò negli occhi mentre la calce e le pietre e le tavole delle porte e delle finestre le osservano, e se le osservano, come le osservano bene, con attenzione! Anche le lastre di lava su cui si cammina di tanto in tanto si osservano. Ed io invece non fui mai osservato. Pure non voglio esagerare. Io voglio dire che io fui sempre come un sacco, una cesta, una tavola, una pietra, una lastra di lava, voglio essere generoso sino in fondo verso la disattenzione umana io. E questo per generazioni e generazioni. Potrebbero par­lare migliaia e migliaia di creature umane.

Il Capostazione               - Milioni e milioni.

I Figli                               - (sono tre giovani, come il vecchio, rigidi e scialbi. Entrano, girano per la sala e infine siedono) Sì. Sacchi. Pietre.

I Morti                             - (sono un numero qualunque, giovani e vecchi, coperti di sabbia finissima fin sui capelli, vestili a bran­delli chiari) Pietre grezze. Calcinose. Neanche la preoccupazione di sbozzarci e darci una forma. (Siedono lunghi per terra).

Le Donne                        - (sono un numero qualunque, giovani e vec­chie, deformi e coperte di cenere) Ceste. Tavole. Pietre. (Siedono per terra inginocchiate).

La Figlia                          - (entra piangendo, è giovane, ma molto sciu­pata e vestita poveramente) Va bene. Va bene. Pure siamo delle creature vive, umane, guardiamo, respiriamo, sentiamo e il mondo esiste anche per noi. (Siede seria accanto al padre).

II Vecchio                       - Ora io, Capostazione, dopo tanti anni di lavoro, voglio fare un viaggio. A me non importa il posto dove tu mi vorrai inviare, mi è indifferente, solo voglio, ecco, vedi, Capostazione, vedi, questo lo voglio, sarebbe molto strano che io, che non sono mai stato un uomo, sarebbe troppo strano che io diventassi uomo ora, solo per viaggiare, per pagare cioè come paga un uomo quando viaggia, eh no, no, io voglio viaggiare per quello che sono, io voglio viaggiare come merce, capisci?, come la più vile merce, un'asta di ferro arrugginita, per esem­pio, ecco, proprio così, un'asta di ferro arrugginita, dove vuoi tu del resto, ecco tutto, non ho nient'altro da dire, ho detto tutto, ho finito. Sappiti regolare tu ora, Capo­ stazione. (Il vecchio siede. E' ora più immobile di prima).

Agata                               - Una pietra destinata a far parte di un muro si trasforma in uomo vivo e vivo vuole viaggiare.

Il Capostazione               - (automaticamente, logicamente, scen­dendo dalla cattedra, rivolto a tutti e guardando l'oro­logio) Tra quindici minuti c'è un treno merci. A viaggiare da merce si paga di più che a viaggiare da uomo, pure bisogna accontentarlo.

L'Uomo che ha lavorato - Certamente. Prenderemo un vagone intero. Pago tutto io.

L'Uomo preoccupato       - E lo accompagneremo tutti.

Tutti                                 - (a coro altissimo) Sì.

Il Capostazione               - Bene. Lo porteremo in giro per il mondo, lo collocheremo di traverso in mezzo alla terra sicché milioni di creature umane si possano riconoscere in lui. Presto. Ognuno di voi scriva subito su un cartel­lino una frase da attaccare sul vagone su cui tutti viag­geremo. (Tutti meno i morti, i figli, le donne, estraggono dalle tasche, automaticamente, dei cartoncini bianchi, su cui scrivono, mentre il bianco tenuto alto dalle mani vibrerà nel giallo acceso della sera. Tutti leggono con voci incolori automatiche, quasi a coro).

Il Capostazione               - Avete scritto? Leggete.

Carlina                             - Qui viaggia una cosa simile quasi alla mia vecchia bicicletta, quella che non userò più perché quanto prima ne avrò in regalo una nuova.

L'Uomo preoccupato       - Merce non fragile.

L'Uomo che ha lavorato - Traversa per soffitto.

L'Uomo pallido               - Frammento di un blocco di lava.

Il Padre                            - Tavole.    

 La Madre                        - Creatura umana per modo di dire.

La Fidanzata                   - Merce viva.

Maria                               - Una quasi pianta.

Il Fratello                         - Rottami di ferro.

Giovanni                          - Carrello di sabbia.

Lo sposo                          - Ceste di cotone.

La Sposa                          - Merce che vale la pena vedere.

La Figlia                          - E' sempre un'anima però che viaggia, è sempre un'anima.

Agata                               - Le rondini, il nido, il sorcio, il muro, il pozzo di calce, la pietra, la casa.

Il Capostazione               - Abbiamo dovuto veramente guar­darlo bene negli occhi. Ora possiamo andare. (Tutti si alzano ed escono lentamente, composti, trascinando il vecchio, i cui occhi chiari e fissi non fanno bene capire, è del resto indifferente ciò, se si tratti d'una creatura morta o d'una creatura ancora viva. E' sera, cade lenta­mente la tela).

Il Custode                       - E' inutile. Non c'è sulla terra un Capo­stazione come il nostro. Vedete? Egli ha cambiato in fantastico un viaggio qualunque. Sempre così. (Il custode esce. Un attimo di silenzio. Improvviso lo stridore acuto di un vagone, infallibilmente vagone-merci, sulle rotaie. Per un attimo ancora nell'aria il motivo ossessionante).

FINE