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LULU’

Spirito della terra – Vaso di Pandora

Tragedia in un prologo e cinque atti

di FRANK WEDEKIND

Versione italiana di Laura Pandolfi

PERSONAGGI

(nell'ordine di entrata inscena):

IL DOMATORE

IL DOTT. SCHOEN

SCHWARZ IL DOTTOR GOLE

LULÙ

ALWA SCHOEN HENRIETTE, cameriera

SCHIGOLCH

ESCHE RICH, cronista

LA CONTESSA GESCHWITZ RODRIGO, attore di varietà

HUGENBERG, scolaro

FERDINANDO, cocchiere

MISTER HOPKINS KUNGU-POTI

IL DOTTOR RIETI

JACK

LA SCENA: ALL'ALZARSI DEL SIPARIO LA SCENA RAPPRESENTA LA FACCIATA DI VN CIRCO. APPARE IL DOMATORE. INDOSSA UN FRACK ROSSO. HA LA CRAVATTA BIANCA, CAPELLI LUNGHI NERI E RICCIUTI, STIVALI ALTI E CALZONI BIANCHI. NELLA SINISTRALA FRUSTA, NELLA DESTRA IL REVOLVER. DALL'INTERNO DEL CIRCO, GIUNGONO COLPI DI GRAN CASSA E SQUILLI DI TROMBA

PROLOGO

Il Domatore                - Entrate, entrate nel serraglio, nobili signori, gentili dame! Venite ad ammirare, presi da ardente voluttà e da gelido orrore, la creatura senza anima domata dal genio dell'uomo. Entrate dunque, il magnifico spet­tacolo sta per cominciare! Un biglietto gratuito per ogni bambino accom­pagnato da almeno due adulti. Nel breve spazio racchiuso fra le sbarre delle gabbie combattono uomini e belve. Impavido e sprezzarne l'uomo fa schioccare la frusta. La belva, ruggendo e brontolando sordamente come l'approssimarsi dell'uragano, gli balza alla gola per sbranarlo. Ora l'uomo, ora la belva, ora l'audacia, ora la forza, giacciono sconfitte sull'assito. La belva si ribella rizzandosi sulle quattro zampe, ma un gelido sguardo dominatore le piega la nuca, su cui 1'uomo poserà il calcagno. I tempi sono cattivi. I signori e le signore, che prima sostavano dinanzi alla mia gabbia, ora onorano le farse, Ibsen, l'Opera e il dramma della loro ambita presenza. I miei pensionanti non hanno più da mangiare e si dilaniano l'un l'altro. Come se la passa bene invece l'attore di teatro! Il pranzo per lui è sempre assicurato, anche quando i suoi colleghi hanno lo stomaco vuoto e la fame li rende feroci. Ma in arte non si giunge al sommo chiedendo una paga proporzionata al merito. Che vi offrono invece la commedia e la tragedia? Gentili fiere addomesticate che a poco prezzo vendono il loro coraggio. Di questi eroi, uno non sop­porta il vino, l'altro non sa se ama o non ama, un altro ancora si lascia intimidire dalle apparenze di questo mondo, e lo sentite lamentarsi per cinque atti senza che nessuno gli dia il colpo di grazia. Ma la vera belva, la belva feroce e bella, quella, o signori, solo qui potrete ammirarla. Ve­drete qui la tigre che quanto si trova sul suo cammino sbrana, e l'orso che, troppo vorace all'inizio, sulla fine del banchetto notturno cade morto a terra. Vedrete la bertuccia dotata di humour che la lunga inazione ha ormai infiacchito. E' ricca di talento, ma le manca la grandezza di spirito, e allora civetta spudoratamente con le sue nudità. E, per l'anima mia, vedrete perfino un cammello qui, dietro la tenda. Le belve mi strisciano timorose ai piedi appena (spara un colpo) tuona il mio revolver. Trema nelle sue più intime fibre la creatura, ma io resto impassibile. L'uomo resta impassibile, per salutarvi con ossequio. Entrate dunque! Non mi credete? Ebbene, .giudicatene voi stessi! Ecco rettili di ogni specie e di ogni regione: camaleonti, serpenti e coccodrilli, vipere e salamandre che vivono negli anfratti della terra. Ma vedo che voi, nel frattempo, vi burlate di me, e non credete più ama sillaba dìquanto dico. (Apre una porta e chiama) Ehi! Aujust! Portami il serpente! (Un contadino tarchiato entra portando fra le braccia l'attrice che interpreta il personaggio di Lulù nel suo costume da Pierrot e la depone ai piedi del domatore) Ecco la personifica­zione del male: ecco l’essere nato per avvincere, sedurre, avvelenare, assas­sinare tenebrosamente. (Prendendo Lulù per il mento) Bestiolina bella non metterti in posa! Non far la stupida, con l'atteggiarti ad essere eccentrico perché i critici non ti lodano abbastanza. Non hai il diritto miagolando, di snaturare l'origine della donna e di sottostare ingenuamente il peso del vizio tra smorfie e boccacce! Devi essere spontanea; lo ripeto ancora oggi. Devi agire nella tua arte come è in uso fin dagli antichi tempi, in modo comprensibile, con una chiara coscienza del tuo operato. (Al pubblico) Per ora non ha niente di eccezionale… ma vedrete che cosa succederà tra poco. Ella si attorce con furiosa stretta al corpo della tigre che urla e rantola. Nella lotta feroce, chi l’avrà vinta? Hopp? Aujust! Marsch! Riportala in gabbia! (Il contadino. Prende Lulù tra le braccia e il domatore le palpa i fianchi) Come è innocente che dolce e prezioso tesoro! (Il contadino trasporta Lulù nell'interno del circo) adesso viene il bello: signore e signori, porrò la mia testa tra le fauci di una belva. Entrate dunque. Il giuoco non è nuovo, ma è pur sempre emozionante. Io non temo la belva selvaggia ed essa non osa azzannarmi. Nonostante la sua bellezza, la sua ferocia, il suo manto così acceso rispetta il mio cranio! Le pongo con indifferenza la testa fra le fauci; sembra un gioco, e già le mie tempie scricchiolano! Rinunzio allo sguardo dominatore, e per il vostro divertimento di un attimo rischio la vita e la pistola e mi abbandono inerme, come mi ha creato signori, in nome di che cosa la belva si è lasciata domare?  “In vostro  nome! Entrate! (Il domatore rientra nel circo fra colpi di grancassa).

ATTO PRIMO

Uno spazioso atelier

A sinistra, in fondo, la porta d'entrata; da­vanti, una porta laterale che conduce alla camera da letto. Nel mezzo, un podio. Dietro al podio un paravento. Davanti al podio un tappeto di Smirne. A destra due cavalietti. Sul primo, in fondo, il busto di una giovane donna, sul secondo è appoggiata una tela voltata di spalle al pubblico. Davanti ai cavalietti, piuttosto in avanti, un'otto­mana ricoperta da una pelle di tigre. Appoggiate alla parete di sinistra due sedie. In fondo, una scala.

Schoen                        - (seduto in fondo all'ottomana, rimodella il busto sul primo cavalletto) Mi sembra di ve­dere la signora sotto una luce completamente di­versa.

Schwarz                      - (dietro l'ottomana. Ha in mano i pen­nelli e la tavolozza) Non avevo mai dipinto una fisionomia così mutevole. Non mi è stato finora possibile fissare un solo tratto dei suoi lineamenti.

Schoen                        - (accennando al quadro) Tutto questo lei ha visto?

Schwarz                      - Durante la posa ho fatto di tutto per portare con la mia conversazione una certa sere­nità nell'atmosfera.

Schoen                        - Allora, capisco.

Schwarz                      - (intinge il pennello nello scodellino e lo passa sui tratti del volto).

Schoen                        - Le sembra che possa divenire ancora più somigliante?

Schwarz                      - Non è possibile far altro che eserci­tare la propria arte con il maggiore scrupolo.

Schoen                        - Senta...

Schwarz                      - (retrocedendo) Il colore è di nuovo un po' troppo denso.

Schoen                        - (guardandolo) Le è mai capitato di innamorarsi?

Schwarz                      - (si avvicina al cavalletto, aggiunge una pennellata e si scosta) La stoffa non è abbastan­za sollevata. Non vi si sente ancora sotto la vita.

Schoen                        - Il lavoro è già molto ben avviato.

Schwarz                      - Se lei volesse passare di qua...

Schoen                        - (alzandosi) Le deve avere raccontato delle storie veramente raccapriccianti.

Schwarz                      - Indietro quanto le è possibile.

Schoen                        - (indietreggiando urta la tela che è ap­poggiata all'altro cavalletto) Pardon...

Schwarz                      - (sollevando la cornice) Prego...

Schoen                        - (meravigliato) Cos'è...

Schwarz                      - La conosce?

Schoen                        - No.

Schwarz                      - (appoggia il quadro sul cavalletto. E' una signora in costume da Pierrot con un'alta maz­za da pastorella in mano) Un ritratto in costume.

Schoen                        - Permetta...

Schwarz                      - Dio mio...

Schoen                        - Questo però le è riuscito molto bene.

Schwarz                      - La conosce?

Schoen                        - No. Come mai in questo costume?

Schwarz                      - E' ancora tutto da fare.

Schoen                        - Oh, sì.

Schwarz                      - Cosa vuole. Mentre posa io sono co­stretto a discorrere col marito.

Schoen                        - Mi dica...

Schwarz                      - Naturalmente, per accrescere la mia gioia, si parla d'arte.

Schoen                        - Come ha fatto questa piacevole cono­scenza?

Schwarz                      - Come capita di solito. Un giorno vie­ne qui un ometto incartapecorito, male in gambe, chiedendomi dì fare il ritratto a sua moglie. Ma certo, anche se fosse grinzosa come la faccia della terra. Il giorno dopo, alle dieci in punto, si spalanca la porta e arriva l'ometto, spingendosi dinanzi la angelica creatura che vede dipinta. Le ginocchia mi si piegano. Dietro di loro, un lacchè rigido, ve­stito di velluto verde, con un pacchetto sotto il braccio. Mi chiede dov'è il guardaroba. S'immagini il mio stato d'animo. Apro quella porta. (Accen­na a sinistra) Per fortuna era tutto in ordine. Quel dolce tesoro vi si infila dentro, ed il vecchio si pian­ta davanti alla porta come un mastino. Due minuti dopo esce in costume da Pierrot. (Scuotendo la testa) Non ho mai visto niente di simile. (Va a si­nistra e guarda fissamente la porta della camera da letto).

Schoen                        - (che lo ha seguito con lo sguardo) E l'ometto fa sempre la guardia?

Schwarz                      - Tutto il suo corpo è in armonia con quel singolare travestimento. Come se fosse nata così. Il modo con cui affonda le mani nelle tasche, alza i piedini dal tappeto... spesso il sangue mi va alla testa...

Schoen                        - Lo si vede dal quadro.

Schwarz                      - La gente come noi, sa...

Schoen                        - E' la modella che regge la conversa­zione?

Schwarz                      - Finora non ha mai aperto bocca.

Schoen                        - Possibile!

Schwarz                      - Se permette, le mostro il costume! (Esce a sinistra).

Schoen                        - (solo, davanti al Pierrot) La bellezza del diavolo! (Davanti al primo ritratto) Qui c'è più sostanza. (Tornando davanti all'altro) Si mantiene ancora giovane, per la sua età.

Schwarz                      - (ritorna col costume di raso bianco) Che stoffa può essere?

Schoen                        - (toccando la stoffa) Raso. Mi faccia vedere.

Schwarz                      - (tenendo alto il costume) Si figuri.

Schoen                        - Molto gentile.

Schwarz                      - E' tutto d'un pezzo.

Schoen                        - Come si infila?

Schwarz                      - Questo non glielo saprei proprio dire.

Schoen                        - (prendendo il costume dai calzoni) Sono molto grandi!

Schwarz                      - Tiene alzato il sinistro...

Schoen                        - (rivolgendo lo sguardo al quadro) Fin sopra il ginocchio.

Schwarz                      - Lo fa in modo incantevole.

Schoen                        - Calze trasparenti.

Schwarz                      - Bisogna dipingere anche quelle.

Schoen                        - Uhm! Lei lo sa fare.

Schwarz                      - Inoltre, di una civetteria. (Indicando il quadro) Vede l'incavo dell'ascella?

Schoen                        - E' eccitante.

Schwarz                      - Sullo sfondo opaco e unito della carne ha due ricciolini neri come il carbone: pro­babilmente tinti.

Schoen                        - Come fa a saperlo?

Schwarz                      - Porse se li arriccia anche con il ferro.

Schoen                        - Come le viene questo mostruoso so­spetto?

Schwarz                      - Ci sono trucchi che il nostro candore infantile non sospetta nemmeno. (Riporta il costu­me nella stanza da letto).

Schoen                        - (solo) Quando si dorme...

Schwarz                      - (ritorna e guarda l'orologio) Se lei desidera conoscerla...

Schoen                        - No.

Schwarz                      - Dovrebbe arrivare proprio adesso.

Schoen                        - Quante pose sono ancora necessarie?

Schwarz                      - Dovrò sostenere questo supplizio di Tantalo ancora per tre mesi.

Schoen                        - E per l'altra?

Schwarz                      - Mi scusi. Tre volte al massimo. (Ac­compagnandolo alla porta) Se la signora vorrà la­sciarmi qui la sua blusa...

Schoen                        - Volentieri. Venga presto a farmi vi­sita. (Sulla porta si scontra col dottor Goll e Luliù Per Dio!

Schwarz                      - Le posso presentare...

Goll                             - (a Schoen) Come mai è capitato qui?

Schoen                        - (baciando la mano a Lulù) Signora...

Lulù                            - Già di partenza?

Goll                             - Quale buon vento l'ha condotta qui?

Schoen                        - Sono venuto per il ritratto della mia fidanzata.

Lulù                            - (venendo avanti) E' qui la sua fidanzata?

Goll                             - Anche lei ha commissionato un ritratto?

Lulù                            - (davanti al busto) Guarda! Incante­vole...

Goll                             - (guardandosi intorno) La tiene qui na­scosta?

Lulù                            - Ecco la dolce creatura che ha fatto di lei un altro uomo.

Schoen                        - Posa di pomeriggio.

Goll                             - E lei non dice niente a nessuno?

Lulù                            - (voltandosi) E' sempre così seria?

Schoen                        - Un ultimo residuo dell'educazione di collegio.

Goll                             - (davanti al ritratto) Ha subito una pro­fonda trasformazione.

Lulù                            - Non la faccia aspettare più a lungo.

Schoen                        - Fra due settimane annuncerò il no­stro fidanzamento.

Goll                             - (a Lulù) Non ci far perdere tempo.

Lulù                            - (a Schoen) Pensi che siamo passati al trotto sul Ponte Nuovo. Guidavo io.

Schoen                        - (vuole congedarsi).

 Goll                            - No, no. Noi possiamo continuare a chiac­chierare. Va', Nellie.

Lulù                            - Ora tocca a me!

Goll                             - Il nostro Apelle lecca già i pennelli.

Lulù                            - Credevo che posare fosse molto più di­vertente.

Schoen                        - Ma lei ha il piacere di offrirci un go­dimento della specie più rara.

Lulù                            - (uscendo da sinistra) Allora aspetti.

Schwarz                      - (davanti alla porta della camera da letto) Signora, se vuole essere così gentile... (Chiude la porta dietro di lei e si ferma ad aspet­tare).

Goll                             - Nel nostro contratto di matrimonio le ho dato il nome di Nellie.

Schoen                        - Già.

Goll                             - Che glie ne pare?

Schoen                        - E perché non Mignon?

Goll                             - Mica male! Non ci avevo mai pensato.

Schoen                        - Crede che il nome possa avere un si­gnificato?

Goll                             - Non ho figli, lei lo sa bene.

Schoen                        - (levando di tasca il portasigarette) Siete sposati appena da due mesi.

Goll                             - E non desidero neanche di averne.

Schoen                        - Vuole una sigaretta?

Goll                             - (servendosi) Me ne basta una. (A Schwarz) Dica, che fa la sua ballerinetta?

Schoen                        - Una ballerina?

(Schwarz                     - La signorina che ha posato solo per farmi un piacere. L'ho conosciuta in una gita della società Santa Cecilia.

Goll                             - (a Schoen) Credo che il tempo stia per cambiare.

Schoen                        - Non è molto rapida la toletta?

Goll                             - Come il baleno! La donna deve essere una specialista in materia. Ognuno' di noi deve esserlo, nel suo campo, se non vuole ridursi alla mi­seria. (Chiama) Nellie!

Schwarz                      - (verso la porta) Signora!

Lulù                            - (da dentro) Subito, subito!

Goll                             - (a Schoen) Non capisco.

Schoen                        - Li invidio. Non conoscono niente di più sacro del loro mangiapane. Si sentono più ricchi che se avessero trentamila marchi di rendita. Lei non è in grado di giudicare un uomo che fin da ra­gazzo vive di quel che dipinge. Si assuma invece il compito di facilitargli la vita. E' un tipico esempio di partita doppia. A me mancherebbe il coraggio morale di farlo. Ci si bruciano facilmente le dita...

Lulù                            - (esce dalla stanza in costume da Pierrot. Ha in testa una parrucca bianca, di merletto) Eccomi.

Schoen                        - (si gira. Dopo una pausa) Splendido!

Lulù                            - (avvicinandosi) Ebbene?

Schoen                        - Da far impallidire l'immaginazione più accesa.

Lulù                            - Le piaccio?

Schoen                        - Un quadro che l'arte dispera di poter riprodurre.

Goll                             - Anche lei è di questo parere?

Schoen                        - (a Lulù) Non può nemmeno immagi­nare...

Lulù                            - Me ne rendo perfettamente conto.

Schoen                        - Allora dovrebbe usare maggiore pru­denza.

Ltjlù                            - Non faccio che il mio dovere.

Schoen                        - Si è già messa la cipria?

Lulù                            - Cosa le viene in mente?

Goll                             - Ha la pelle più bianca ch'io abbia mai visto.

Schoen                        - Nonostante la seta bianca.

Goll                             - Ho detto al nostro Raffaello di occuparsi il meno possibile della pelle.

Lulù                            - Non posso soffrire i brontoloni.

Goll                             - Che colpa ne ho se non riesco ad entusiasmarmi per gli imbrattatele moderni?

Schwarz                      - (preparando i colori vicino ai caval­letto) L'arte moderna deve all'impressionismo se può tentare di affiancarsi degnamente all'antica.

Goll                             - La regalerei tutta, per un quarto di bue.

Schoen                        - Non si riscaldi!

Lulù                            - (si butta al collo di Goll e lo bacia).

Goll                             - Ti si vede il negligé. Lo devi tirare più giù.

Lulù                            - Avrei fatto meglio a togliermelo. Mi dà noia.

Goll                             - Sarebbe capace di dipingerlo.

Lulù                            - (prende il bastone appoggiato al paraven­to, sale sul podio e si rivolge a Schoen) Che cosa ne direbbe lei, se dovesse star immobile per due ore a dar spettacolo di se?

Schoen                        - Venderei l'anima al diavolo per poter essere al suo posto!

Goll                             - (sedendosi a sinistra) Venga qui. E' il mio osservatorio.

Lulù                            - (scoprendo fino al ginocchio la gamba si­nistra) Così?

Schwarz                      - Sì, sì...

Goll                             - (a Schoen che è seduto presso di lui) Effettivamente qui la posizione è ottima.

Lulù                            - (senza muoversi) Mi si vede bene da qualsiasi parte.

Schwarz                      - Il ginocchio destro un po' più in avan­ti, per favore.

Schoen                        - (con un gesto) Il corpo forse mostra linee più delicate...

Lulù                            - (girando la testa) Per pietà...

Schwarz                      - Oggi la luce è discreta.

Goll                             - Ce ne metta a profusione. Tenga il pen­nello in punta.

Schwarz                      - Certamente, signor professore.

Schoen                        - Come una natura morta...

Schwarz                      - Certamente, dottore.

Goll                             - Non sopporta un trattamento pastoso.

Schoen                        - Non ha nulla di imponente.

Schwarz                      - (a Lulù) Il capo leggermente più alto...

Lulù                            - (sollevando la testa) Mi dipinga con le labbra semiaperte.

Schoen                        - Dipinga neve su ghiaccio. Non insista dì più se no il quadro assume un tono artificioso.

Schwarz                      - Certamente.

Goll                             - L'arte deve imitare la natura, così da poterla godere intellettualmente.

 Lulù                           - (a Schwarz, aprendo un pò la bocca) Vede, così.

Schoen                        - Immagini come sfondo un pergolato di glicini.

Schwarz                      - Appena viene il sole il muro di fron­te manda riflessi caldi.

Goll                             - (a Lulù) Ti devi comportare come se il nostro Velasquez non fosse presente.

Lulù                            - Un pittore non è un uomo.

Schoen                        - Non credo che da un'illustre eccezione si possa trarre una regola per tutta la categoria.

Lulù                            - Lo è quanto un parrucchiere.

Schwarz                      - (allontanandosi dal cavalletto) L'au­tunno scorso avrei dovuto prendere in affitto un altro studio.

Schoen                        - (a Goll) Ha visto la piccola O' Morphi nella parte di pescatrice di perle?

Goll                             - Domani la vado a vedere per la quarta volta. Mi ci ha portato il principe Polassov, la perla più grossa che lei abbia pescato finora. Dalla gioia le sono tornati biondo scuro i capelli.

Schoen                        - La trova veramente eccezionale?

Goll                             - Per chi è in grado di giudicare.

Lulù                            - Mi sembra che abbiano bussato.

Schwarz                      - Scusi un momento. (Va ad aprire la porta).

Goll                             - Sorridigli pure con maggiore disinvol­tura.

Schoen                        - Tanto non gli fa nessun effetto.

Goll                             - E se pure! Finché ci siamo noi due!

Alwa                           - (dietro il paravento) Si può?

Schoen                        - E' mio figlio.

Lulù                            - Signor Aiwa!

Goll                             - Venga, venga pure.

Alwa                           - (entra, dà la mano a Goll) Professo­re... (Voltandosi verso Lulù) Chi vedo? Se potessi scritturarla come protagonista del mio spettacolo.

Lulù                            - Non so ballare abbastanza per sostenere quella parte.

Alwa                           - Ma lei ha un maestro di ballo come non se ne trova in nessun teatro d'Europa!

Lulù                            - Cosa darei per poter ballare almeno una volta su di un palcoscenico.

Schoen                        - Come mai sei capitato qua?

Goll                             - Anche lei è venuto a far eseguire un ri­tratto di nascosto?

Alwa                           - (a Schoen) Ti volevo portare alla prova generale.

Schoen                        - (si alza).

Goll                             - Oggi provano già i costumi?

Alwa                           - Si capisce. Venga con noi. Fra cinque minuti devo essere a teatro. (A Lulù) Ahimè!

Goll                             - Me lo sono proprio dimenticato. Come si chiama il suo balletto?

Alwa                           - Dalai Lama.

Goll                             - Credevo che si svolgesse in manicomio.

Schoen                        - Pensa a Nietzsche?

Goll                             - Ha ragione. Mi confondo sempre.

Alwa                           - Sono riuscito a rimettere in piedi il Buddismo.

Goll                             - Il vero poeta tragico si riconosce anche dai piedi.

Alwa                           - La Corticelli balla nella parte del Budda giovane, come se avesse visto la luce sulle rive del Gange.

Schoen                        - Quando era ancora viva la madre, ballava con le gambe...

Alwa                           - Fino a quando è stata libera di farlo ha ballato con intelligenza.

Goll                             - Ora balla col cuore.

Alwa                           - Vuol venire a vederla?

Goll                             - Grazie.

Alwa                           - Venga con noi!

Goll                             - Non mi è possibile.

Schoen                        - Siamo già in ritardo.

Alwa                           - Venga con noi, professore. Al terzo atto vedrà il Dalai Lama nel monastero con i suoi mo­naci...

Goll                             - A me interesserebbe solo il giovane Budda.

Alwa                           - Si decida allora.

Goll                             - Non posso. Non posso.

Alwa                           - Dopo andremo da Peters. Lì potrà esprimerle la sua profonda ammirazione.

Goll                             - Verrà da Peters?

Alwa                           - La Corticelli?

Goll                             - La prego. Non mi tenti ancora di più!

Alwa                           - Vedrà le scimmie domestiche, i due bra­mini, le fanciulle...

Goll                             - Per amor di Dio! Mi lasci in pace con le ragazze.

Lulù                            - Ci tenga un palco di proscenio per lu­nedì.

Alwa                           - Ma certamente. Non dubiti.

Goll                             - Se mi allontano, questo Breughel del dia­volo mi sciupa tutto il quadro.

Alwa                           - Non sarebbe una gran disgrazia. Si può sempre rifare.

Schoen                        - Credo che i suoi timori siano piutto­sto infondati.

Goll                             - Se a questo nostro Caravaggio non si spiega come tracciare ogni pennellata...

Schoen                        - Sarebbe un bel tiro lasciarlo nelle peste.

Goll                             - La prossima volta, signori.

Alwa                           - I bramini si impazientiscono. Le figlie di Nirvana sono in maglia e battano i denti.

Goll                             - Maledetto imbrattatele!

Schoen                        - Se non la vedranno con noi si lamen­teranno.

Goll                             - Fra cinque minuti sono di ritorno. (Pas­sa dietro Schwarz e confronta il Quadro con Lulù).

Alwa                           - (a Lulù) Gentile signora, il dovere mi chiama.

Goll                             - (a Schwarz) Qui deve modellare meglio. I capelli sono ruvidi. Non è penetrato abbastanza nello spirito...

Alwa                           - Venga.

Goll                             - Ora, ora, subito. Ma da Peters non mi trascineranno neanche con dieci cavalli.

Schoen                        - (seguendo Alwa e Goll) Prendiamo la mia carrozza che aspetta in istrada.

Schwarz                      - (sì piega a destra e sputa) Perdio! Se la potessi finire una buona volta con questa vita! Sempre per la pagnotta! Pane e museruola. La mia dignità di artista si ribella. (Getta uno sguardo a Lulù) Che gentaglia! (Sì alza, gira da sinistra die­tro a Lulù, la squadra da ogni parte, e ritorna al cavalletto) La scelta è davvero difficile. Signora, se permette, la mano destra un po' più in alto.

Lulù                            - (alza il bastone che ha in mano guanto più può. Fra se) Chi l'avrebbe mai creduto!

Schwarz                      - Le sembro molto ridicolo?

Lulù                            - Tornerà subito.

Schwarz                      - Non posso far altro che dipingere.

Lulù                            - Eccolo.

Schwarz                      - (alzandosi) Che c'è?

Lulù                            - Non sente?

Schwarz                      - Sta venendo qualcuno...

Lulù                            - Me lo immaginavo.

Schwarz                      - E' il portiere. Sta spazzando le scale.

Lulù                            - Meno male.

Schwarz                      - Lei accompagna il professore anche durante le visite?

Lulù                            - Non ci mancherebbe che questo...

Schwarz                      - Lei non è certo abituata a restare sola.

Lulù                            - A casa abbiamo una governante.

Schwarz                      - Che le fa compagnia?

Lulù                            - Ha molto buon gusto.

Schwarz                      - Per che cosa?

Lulù                            - Si occupa dei miei abiti, delle mie tolette.

Schwarz                      - Va spesso a ballare?

Lulù                            - Mai.

Schwarz                      - E allora i vestiti?

Lulù                            - Per ballare.

Schwarz                      - Ma lei balla davvero?

Lulù                            - Csarda, samaqueca, claquettes.

Schwarz                      - E non le viene a noia?

Lulù                            - Mi trova brutta?

Schwarz                      - Non mi ha capito. Chi le dà lezione?

Lulù                            - Lui.

Schwarz                      - Chi?

Lulù                            - Lui.

Schwarz                      - Lui?

Lulù                            - Suona il violino.

Schwarz                      - Ogni giorno se ne impara una nuova.

Lulù                            - Ho studiato a Parigi.

Schwarz                      - Mi parli di Parigi.

Luxù                           - Ci torneremo questo inverno.

Schwarz                      - Il suo ritratto riesce meglio quando lei parla.

Lulù                            - Andavo sempre a teatro e vedevo ogni sera delle ballerine diverse. Mi sarei sentita capace di rifare ogni volta la loro danza.

Schwarz                      - Ci deve essere molta miseria a Pa­rigi.

Lulù                            - Uscivamo soltanto di sera.

Schwarz                      - Di giorno dormiva?

Lulù                            - Di giorno lui andava alla facoltà di me­dicina. Io mi sedevo accanto al fuoco e fumavo.

Schwarz                      - Ma allora, diciamo, della vera Pa­rigi, lei non ha visto niente?

Lulù                            - Ho preso lezioni da Eugénie Fougère. Mi ha fatto copiare dei costumi.

Schwarz                      - Come sono?

Lulù                            - Lasottana di merletto verde fino al gi­nocchio, tutta di volants, naturalmente scollata, molto scollata e aderentissima. La sottoveste verde chiaro, sempre più chiaro!. Dessous bianchissimi con merletti larghi un palmo...

Schwarz                      - Non ne posso più...

Lulù                            - Dipinga.

Schwarz                      - Mi sento soffocare!

Lulù                            - Dipinga, prego.

Schwarz                      - E’ cambiata la luce.

Lulù                            - La può regolare.

Schwarz                      - Devo scrostare tutto ciò che ho di­pinto finora.

Lulù                            - Che importa?

Schwarz                      - Il quadro si sciupa.

Lulù                            - Che importa?

Schwarz                      - Come, che importa?

Lulù                            - Quando sarà di ritorno guarderà se il lavoro è andato avanti.

Schwarz                      - (raschiando con la spatola) Non sente freddo?

Lulù                            - No.

Schwarz                      - Potrei risparmiare cento marchi il mese.

Lulù                            - E' tanto freddoloso?

Schwarz                      - Oggi no.

Lulù                            - Si respira.

Schwarz                      - Come...

Lulù                            - (respira profondamente).

Schwarz                      - La smetta per favore! (Si alza di scatto gettando pennelli e tavolozza, e cammina su e giù) Il lustrascarpe per lo meno si occupa solo delle scarpe. La vernice non gli costa niente o quasi. Quando io domani salterò il pasto, nessuna signora del bel mondo mi domanderà se mi piacciono le ostriche.

Lulù                            - Antipatico!

Schwarz                      - (ricominciando a dipingere) Come gli sarà venuto in mente di andare a quella prova?

Lulù                            - Anch'io avrei preferito che fosse rimasto.

Schwarz                      - Siamo le vittime del nostro lavoro.

Lulù                            - Non volevo offenderla.

Schwarz                      - Vedo tutto come attraverso un velo...

Lulù                            - Per carità, dipinga!

Schwarz                      - I colori mi ballano davanti agli occhi...

Lulù                            - Anche così può...

Schwarz                      - Se a sinistra più su... sulla gamba - un po'

Lulù                            - Qui?

Schwarz                      - (avvicinandosi al podio) Permetta.

Lulù                            - Cosa desidera?

Schwarz                      - Le mostro...

Lulù                            - Non va.

Schwarz                      - Come è nervosa... (Vuol prenderle la mano).

Lulù                            - (gli getta sul viso il bastone) Mi lasci in pace! (Fa per uscire).

Schwarz                      - Quante smorfie!

Lulù                            - Non otterrà niente per ora.

Schwarz                      - Non ha capito lo scherzo.

 

Lulù                            - Ho capito benissimo. Mi lasci stare. Con la forza non otterrà niente da me.

Schwarz                      - Le chiedo scusa.

Lulù                            - Torni al suo lavoro.

Schwarz                      - Non pensavo di...

Lulù                            - (sul podio) Lei non ha diritto di darmi fastidio.

Schwarz                      - (avvicinandosi) Le devo indicare la posizione.

Lulù                            - (sì rifugia dietro l'ottomana) Si metta prima dietro al cavalletto.

Schwarz                      - (si dirige a destra, dietro l'ottomana) Appena l'avrò punita.

Lulù                            - Ma prima deve raggiungermi!

Schwarz                      - (gira a sinistra) Allora impari a co­noscermi.

Lulù                            - Ricorda questo motivo? (Prendendolo in giro) Gus-gus...

Schwarz                      - Non ha ancora imparato... (Corre a destra e a sinistra).

Lulù                            - (schivandolo) Da-da-da-da!

Schwarz                      - Aspetti!

Lulù                            - (sollevandosi) Torni al lavoro. Tanto non riuscirà mai a prendermi. (Corre qua e là).

Schwarz                      - (correndo dietro a lei) In guardia!

Lulù                            - Se avessi avuto gli abiti lunghi, a quest'ora...

Schwarz                      - Che bimba!

Lulù                            - Ma vestita da Pierrot!

Schwarz                      - (buttandosi lungo disteso sull'ottomana) Ti ho presa!

Lulù                            - (gli butta la pelle dì tigre sulla testa) Buona notte! (Salta sul podio e si arrampica sulla scala) Vedo tutte le città del mondo...

Schwarz                      - (svincolandosi dalla coperta) Monella!

Lulù                            - Tocco il cielo, prendo una stella, e me la metto nei capelli.

Schwarz                      - (arrampicandosi dietro a lei) Adesso la scuoto finché cade.

Lulù                            - (salendo più su) Se non la smette, la faccio cadere io.

Schwarz                      - Si arrenda.

Lulù                            - Potrei schiacciarle la testa,

Schwarz                      - Ci provi.

Lulù                            - Vuol lasciare in pace le mie gambe?

Schwarz                      - Mi chieda perdono.

Lulù                            - Dio salvi la Polonia! (Fa cadere la scala, salta sul podio e rovescia addosso a Schwarz che sta per alzarsi da terra il paravento) Scendiamo dal cielo sul campo di battaglia!

Schwarz                      - (venendo in avanti) Per amor di Dio, si tenga lontana dal ritratto.

Lulù                            - (vicino al cavalletto) Glielo avevo detto che non mi avrebbe presa.

Schwarz                      - (avvicinandosi a lei) Facciamo la pace. (Fa per abbracciarla).

Lulù                            - Giù le mani, oppure... (Gli rovescia ad­dosso il cavalletto con il ritratto che cade fragoro­samente a terra).

Schwarz                      - (urlando) Disgraziata!

Lulù                            - (in fondo a sinistra) Il buco l'ha fatto lei!

Schwarz                      - Dieci settimane di lavoro, il mio viaggio, l'esposizione, tutto perso. (Le si butta ad­dosso).

Lulù                            - (salta dall'ottomana sulla scala che si è rovesciata e ritorna sul podio) Una trappola! Non ci caschi! (Calpesta il quadro) Ne ha fatto un altro uomo! (Scivola in avanti).

Schwarz                      - (cade su di lei) Anch'io sono un al­tro uomo!

Lulù                            - (si svincola e fugge) Mi ha rotto tre co­stole.

Schwarz                      - (inciampa nel paravento) Sono senza pietà.

Lulù                            - (dal fondo) Mi lasci in pace. Mi sento male. O Dio, o Dio... (Viene in avanti e si lascia ca­dere sull'ottomana).

Schwarz                      - (spranga la porta. Tornando in avanti) Devo immaginare come sfondo un pergolato di glicini. (Si siede vicino a lei, le prende una mano e gliela copre di baci; si vede che lotta con sé stesso).

Lulù                            - (spalanca gli occhi) Ma può tornare.

Schwarz                      - Come ti senti?

Lulù                            - Come scossa da una bufera.

Schwarz                      - Nellie...

Lulù                            - Come se fossi caduta nell'acqua...

Schwarz                      - Ti amo.

Lulù                            - Ho amato uno studente.

Schwarz                      - Nellie...

Lulù                            - Aveva ventiquattro cicatrici di sciabola...

Schwarz                      - Ti amo.

Lulù                            - Andavo alla cresima.

Schwarz                      - Nellie!

Lulù                            - Non mi chiamo Nellie.

Schwarz                      - (la bacia).

Lulù                            - Mi chiamo Lulù.

Schwarz                      - Io ti chiamerei Eva.

Lulù                            - Che ore sono?

Schwarz                      - (guardando l'ora) Le dieci e mezzo.

Lulù                            - (prende l'orologio e apre la cassa).

Schwarz                      - Tu non mi ami.

Lulù                            - Ma sì...

Schwarz                      - Le dieci e mezzo sono passate da cinque minuti,

Lulù                            - La nostra insegnante di francese era in­namorata di un pastore protestante che era spo­sato.

Schwarz                      - Eva...

Lulù                            - Le scrivevamo delle lettere di fuoco a nome del pastore.

Schwarz                      - Baciami.

Lulù                            - (lo prende per il mento e lo bacia, butta l'orologio per aria e lo riprende a volo) Sa di tabacco.

Schwarz                      - Perché non mi dai del tu?

Lulù                            - Farei peccato.

Schwarz                      - Ti allontani.

Lulù                            - Non ne ho mai avuto bisogno.

Schwarz                      - Non mi vuoi comprendere.

Lulù                            - Hm?

Schwarz                      - Il tuo costume da Pierrot..

Lulù                            - Non le piace?

Schwarz                      - E' geloso...

 

Lulù                            - Mi vizia.

Schwarz                      - Chi?

Lulù                            - Lui.

Schwarz                      - Ti può vedere quando balli.

Lulù                            - Hm...?

Schwarz                      - (si alza fuori di sé, si passa una mano sulla fronte) Santo cielo! Non conosco ancora il mondo...

Lulù                            - (strillando) Non mi prenda in giro!

Schwarz                      - (voltandosi rapidamente verso di lei) Tu non mi hai mai amato...

Lulù                            - (sollevandosi a metà) E' lei che non ha mai amato...!

Goll                             - (da fuori) Apra!

Lulù                            - (balza in piedi) Mi nasconda! O Dio, mi nasconda!

Goll                             - (picchiando contro la porta) Apra!

Schwarz                      - (si avvicina alla porta).

Lulù                            - (lo trattiene) Mi ammazzerà di botte!

Goll                             - (scrollando la porta) Apra!

Lulù                            - (ai piedi di Schwarz, abbracciandogli le ginocchia) Mi ammazzerà di botte. Mi ammazzerà di botte...

Schwarz                      - Si alzi... (La porta sfondata cade nello studio).

Goll                             - (con gli occhi iniettati di sangue, il bastone alzato, si precipita su Schwarz e Lulù) Cani! Voi... (Cade sul pavimento).

Schwarz                      - (cade in ginocchio).

Lulù                            - (si rifugia vicino alla porta. Pausa),

Schwarz                      - (avvicinandosi a Goll) Si... signor-signor prò... signor professore.

Lulù                            - (sulla porta) Metta in ordine lo studio.

Schwarz                      - Signor professore.

Lulù                            - (si avanza timidamente) Non sarà una disgrazia?

Schwarz                      - No. (Si piega su Goll) Signor... (in­dietreggia) c'è sangue.

Lulù                            - Ha battuto la fronte.

Schwarz                      - Mi aiuti a trasportarlo sull'ottomana.

Lulù                            - (indietreggia) No, no.

Schwarz                      - (cerca di girarlo sull'altro fianco) Professore, professore! /

Lulù                            - Non sente.

Schwarz                      - E un colpo apoplettico. Mi aiuti.

Lulù                            - Non riusciremo a smuoverlo neanche in due.

Schwarz                      - (alzandosi) Bisognerà chiamare il dottore.

Lulù                            - Come è pesante.

Schwarz                      - (prendendo il cappello) La prego, sia così gentile da mettere xm po' di ordine. (Esce).

Lulù                            - Si riavrà subito. (Con forza) Bussy! Schnuggel! Fa finta di niente. (Scivola a terra die­tro di lui) Mi guarda sempre. (Lo tocca con la punta del piede) Bussy! (Indietreggiando) Fa sul serio. Il ballo è finito. Mi posso riposare. E adesso che fare? (Si piega su Goll) Un volto sconosciuto. (Alzandosi) E nessuno gli somministra l'estrema unzione. Che tristezza...

Schwarz                      - (rientrando) Non si è ancora ripreso?

Lulù------------------ - (sta sul proscenio, a sinistra) Che farò...

Schwarz                      - (curvo sopra Goll) Professore!

Lulù                            - Lo fa apposta.

Schwarz                      - Un po' di pudore!

Lulù                            - Lui non me lo avrebbe detto.

Schwarz                      - (ha girato Goll sulla schiena. A Lulù, indicandole l'ottomana) Mi dia quel cuscino.

Lulù                            - (porgendogli il cuscino) Quando non si sentiva bene mi faceva ballare.

Schwarz                      - (mettendo il cuscino sotto la testa di Goll) Il dottore sarà qui a momenti.

Lulù                            - Troppo tardi.

Schwarz                      - Si fa quel che si può.

Lulù                            - Non ci crederebbe.

Schwarz                      - Perché non si riveste?

Lulù                            - Sì.

Schwarz                      - Che aspetta?

Lulù                            - La prego...

Schwarz                      - Cosa?...

Lulù                            - Gli chiuda gli occhi.

Schwarz                      - Lei si comporta in modo mostruoso.

Lulù                            - Come se lei...

Schwarz                      - Io?

Lulù                            - - Lei non è che un volgare delinquente.

Schwarz                      - Tutto questo non riesce a scuoterla?

Lulù                            - Mi scuoto molto dì rado. Qualche volta mi può capitare.

Schwarz                      - La prego, taccia.

Lulù                            - Qualche volta capita anche a lei.

Schwarz                      - Non occorre che me lo rammenti.

Lulù                            - La prego.,.

Schwarz                      - Toccherebbe a lei.

Lulù                            - Mi guarda.

Schwarz                      - Guarda anche me...

Lulù                            - Vigliacco!

Schwarz                      - (chiude gli occhi a Goll) E' la prima volta in vita mia.

Lulù                            - Non l'ha fatto a sua madre?

Schwarz                      - No.

Lulù                            - Era lontano?

Schwarz                      - No.

Lulù                            - Aveva paura?

Schwarz                      - (violentemente) No!

Lulù                            - (balbettando) Non volevo offenderla.

Schwarz                      - E' ancora viva.

Lulù                            - Allora non è solo a questo mondo?

Schwarz                      - E' nella più squallida miseria.

Lulù                            - So cosa vuol dire.

Schwarz                      - Non mi prenda in giro.

Lulù                            - Adesso sono ricca...

Schwarz                      - E' spaventoso! (Si dirige a sinistra) Ma non è colpa sua!

Lulù                            - Che farò?

Schwarz                      - Non ha senso morale. (Schwarz a sinistra, Lulù a destra, si guardano con diffidenza. Schwarz si avvicina a lei e le prende una mano) Guardami negli occhi.

Lulù                            - Cosa vuole...

Schwarz                      - (l'accompagna all'ottomana e la costrin­ge a sedersi vicino a lui) Guardami negli occhi.

Lulù                            - Mi vedo vestita da Pierrot.

Schwarz                      - (si alza di colpo e la respinge) Male­detto quel ballo!

Lulù                            - Mi devo cambiare...

Schwarz                      - (trattenendola) Una parola...

Lulù                            - Non posso rispondere.

Schwarz                      - (sedendosi di nuovo sull'ottomana) Sei capace di dire la verità?

Lulù                            - Non so.

Schwarz                      - C'è qualche cosa su cui puoi giurare?

Lulù                            - Non so. Mi lasci in pace. Lei è impazzito.

Schwarz                      - A cosa credi.

Lulù                            - Non so.

Schwarz                      - Hai un'anima?

Lulù                            - Non so.

Schwarz                      - Hai mai amato?

Lulù                            - Non so.

Schwarz                      - (si alza e va verso sinistra) Non lo sa!

Lulù                            - (sempre immobile) Non so.

Schwarz                      - Lui lo sa...

Lulù                            - (avvicinandosi) Cosa vuole sapere?

Schwarz                      - (indignato) Va, va a vestirti!

Lulù                            - (va nella stanza da letto).

Schwarz                      - Vorrei essere al tuo posto. Te la restituisco. E con lei ti dò la mia gioventù. Non ho più né fede né coraggio. Ho dovuto sopportare troppe cose e troppo a lungo. Per me è tardi. Non sono nato per essere felice. Mi dà una paura d'in­ferno. Svegliati. Non l'ho nemmeno sfiorata. Apre la bocca. Bocca aperta e occhi chiusi, come i bam­bini. Per me invece è il contrario. Svegliati! Sve­gliati! (Si inginocchia e gli lega il fazzoletto in­torno alla testa) Imploro dal cielo che mi dia la possibilità di essere felice. Che mi dia la forza e conceda la grazia di essere un poco più felice. Per lei, solo per lei.

Lulù                            - (esce dalla stanza da letto completamente vestita col cappello in testa. Tiene la mano destra sotto l'ascella; a Schwarz alzando il braccio) Mi vuole chiudere questi bottoni? Io non posso: mi tremano le mani.

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

Una grande sala molto elegante

A sinistra, sul fondo, la porta d'entrata. A destra e a sinistra tendaggi. Alla porta di destra si accede a mezzo di qualche gradino. Sulla parete di fondo, sopra il camino, è appeso il ritratto dì Lulù vestita da Pierrot, in una magnifica cornice di raso. A destra, uno specchio molto alto. Davanti allo specchio una chaise-longue. A sinistra, una scri­vania di ebano. In mezzo alla scena, alcune sedie intorno ad un tavolino cinese.

Lulù                            - (in vestaglia verde, sta rigida davanti allo specchio, corruga la fronte e vi passa la mano. Poi si accarezza le guance. Si allontana dallo specchio con uno sguardo scontento, iroso; va a si­nistra voltandosi spesso indietro. Apre un portasi­garette sulla scrivania, accende una sigaretta, cerca un libro fra quelli che posano sul tavolo, ne prendebuno, si sdraia sulla chaise-longue di fronte allo spec­chio. Dopo un attimo lascia cadere il libro, riflette e riprende a leggere).

Schwarz                      - (entra da sinistra con i pennelli e la tavolozza, si china su Lulù, la bacia in fronte, sale i gradini e attraverso i tendaggi della porta si gira) Eva!

Lulù                            - (sorridendo) Comandi?

Schwarz                      - Oggi sei davvero affascinante.

Lulù                            - (gettando uno sguardo nello specchio) Se ti accontenti...

Schwarz                      - I tuoi capelli respirano la freschezza del mattino...

Lulù                            - Sono appena uscita dal bagno.

Schwarz                      - (le si avvicina) Oggi sono occupatis­simo.

Lulù                            - Questo lo credi tu.

Schwarz                      - (posa sul tappeto i pennelli e la tavo­lozza. Si siede sull'orlo della chaise-longue) Cosa stai leggendo?

Lulù                            - (legge) All'improvviso sentì un'ancora di salvezza che le faceva cenno dall'alto delle scale.

Schwarz                      - Come scrive suggestivamente!

Lulù                            - Era il postino con un vaglia.

Henriette                     - (entra con una cappelliera sotto il braccio e mette sul tavolo un vassoio con la po­ sta) La posta. Porto il cappello dalla modista. La signora ha altri ordini da darmi? ,

Lulù                            - No.

Schwarz                      - (le fa cenno di allontanarsi).

Henriette                     - (esce sorridendo maliziosamente).

Schwarz                      - Cosa hai sognato questa notte?

Lulù                            - Me l'hai già chiesto oggi.

Schwarz                      - (si alza e prende le lettere dal vas­soio) Sono fuori di me dall'ansia. Ogni giorno temo che il mondo crolli. (Girandosi verso la chai­se-longue porge a Lulù una lettera) A te.

Lulù                            - (odorando il biglietto) La Corticelli. (Lo nasconde in seno).

Schwarz                      - (sventolando una lettera) Ho ven­duto la mia ballerina di Samaqueca per cinquanta­mila marchi!

Lulù                            - Chi scrive?

Schwarz                      - Gundermann, da Parigi. E' il terzo quadro che vendo da quando siamo sposati. Tanta fortuna mi fa paura...

Lulù                            - (accennando alle lettere) E ancora...

Schwarz                      - (apprendo una partecipazione di fidan­zamento) Guarda. (La dà a Lulù).

Lulù                            - (legge) Il consigliere di corte Enrico von Zernikow ha l'onore di partecipare il fidanzamento della sua figlia Carlotta Maria Adelaide col dottor Ludwig Schoen.

Schwarz                      - (aprendo un'altra lettera) Finalmen­te! Non fa che fidanzarsi! Non capisco, un uomo nella sua posizione. Trova sempre qualche ostacolo sulla via del matrimonio.

Luxù                           - E questo?

Schwarz                      - Un invito per l'Esposizione di Pie­troburgo. Non so cosa preparare.

Lulù                            - Una bella donna naturalmente.

Schwarz                      - Vuoi posare tu?

Lulù                            - Dì belle ragazze ce n'è tante a questo mondo.

Schwarz                      - Ma dieci marchi a posa.

Luxù                           - E' inaudito! Hai venduto un quadro per cinquantamila marchi proprio ora!

Schwarz                      - Un quadro per cui hai posato tu. Con un'altra modella, anche se fosse stato straor­dinariamente interessante, non avrei potuto dar migliore prova delle mie possibilità.

Luxù                           - Poserò volentieri; potrò rimanere di­stesa?

Schwarz                      - Come preferisci. Ti lascio libera scelta. (Riunendo le lettere) Non dimentichiamo di far avere oggi stesso le lettere a Schoen. (Va a chiudere le lettere nello scrittoio).

Lulù                            - L'abbiamo fatto già da tempo.

Schwarz                      - Lo dico per la sua fidanzata.

Lulù                            - Puoi scrivergli di nuovo.

Schwarz                      - E ora al lavoro. (Raccoglie i pen­nelli e la tavolozza, bacia Lulù, sale i gradini. Ar­rivato alla porta si volta) Eva!

Lulù                            - (lascia cadere il libro sorridendo) Co­mandi?

Schwarz                      - (avvicinandosi a lei) E' sempre come se ti vedessi per la prima volta.

Lulù                            - Sei tremendo.

Schwarz                      - (cade in ginocchio, davanti alla chai­se-longue e le bacia a lungo la mano) La colpa è tua.

Lulù                            - (carezzandogli i capelli) Mi stai viziando.

Schwarz                      - Sei tutta mia.

Lulù                            - Ora ti racconto...

Schwarz                      - O Dio, che non siano sorprese!

Lulù                            - (gli sussurra qualcosa all'orecchio).

Schwarz                      - (felice) Eva!

Lulù                            - (si copre il viso).

Schwarz                      - Eva! Eva! Mancava solo questo alla nostra felicità.

Lulù                            - E' merito tuo.

Schwarz                      - (si siede vicino a lei e l'abbraccia) Grazie, grazie infinite! Adesso so perché lavoro, so perché esisto.

Lulù                            - Sei senza cuore.

Schwarz                      - Vergognati. Il mio nome è ormai conosciuto in tutta Europa.

Lulù                            - Ed io?

Schwarz                      - Ma è a te che debbo la gioia di creare la fiducia in me stesso. Ho imparato che al mondo non occorre che questo per arrivare a con­cludere qualcosa...

Lulù                            - Vorrei andare sulla veranda...

Schwarz                      - (più calmo) Sono un artista. Debbo essere perdonato.

Lulù                            - (sorridendo) Di che?

Schwarz                      - Non potresti mai essere più seducente anche se, per un paio d'ore, diventassi brutta.

Lulù                            - Mi rovescerò sul viso una bottiglia di vetriolo.

Schwarz                      - Ti chiudo la testolina in una ma­schera di ferro, e la chiave la tengo io. E poi apro quando voglio.

Lulù                            - E ti dovrò baciare attraverso le labbra di ferro?

Schwarz                      - Allora sarà finita per sempre. Come andrà a finire tutto questo... Da quando ho te, non ho altro; sono completamente perduto...

Lulù                            - Calmati! (Schwarz si alza e va verso l'en­trata in punta di piedi; suona un campanello in corridoio).

Schwarz                      - (trasalendo) Maledetto!

Lulù                            - In casa non c'è nessuno!

Schwarz                      - Forse sarà il mercante d'arte!

Lulù                            - Anche se fosse l'imperatore della Cina.

Schwarz                      - Un momento. (Esce).

Lulù                            - (come in sogno) Tu?... tu?... (Chiude gli occhi).

Schwarz                      - (tornando indietro) Era un mendi­cante che dice di aver fatto la guerra. Non ho spiccioli. (Riprendendo i pennelli e la tavolozza) Ed ora davvero al lavoro. (Esce da destra).

Luxù                           - (si mette in ordine davanti allo specchio, si accomoda i capelli. Entra Schigolch).

Schigolch                    - Me l'immaginavo più cavalleresco, più idealista, non così impacciato. Sembrava che gli sì piegassero le ginocchia, quando mi ha visto.

Lulù                            - (offrendogli una sedia) Hai avuto il co­raggio di chiedergli l'elemosina?

Schigolch                    - Ma non è per questo che ho tra­scinato fin qui le mie settantasette primavere. Mi avevi detto che di mattina si occupava dei suoi quadri.

Lulù                            - Stamane si è alzato prima del solito. Quanto ti occorre?

Schigolch                    - Duecento, se li hai liquidi. Per conto mio, anche trecento. Mi sono andati in fumo pa­recchi affari.

Lulù                            - (cercando nel cassetto della scrivania) Sono così stanca!

Schigolch                    - (guardandosi intorno) Sono ve­nuto, perché sia tanto desideravo conoscere la tua casa.

Lulù                            - E allora?

Schigolch                    - Si resta a bocca aperta. (Guardan­dosi intorno) Come a casa mia, cinquanta anni fa. Invece dei portafiori, allora si usavano vecchie sciabole arrugginite. Diavolo, ne hai fatta di strada! (Raschiandosi la gola) Tappeti...

Lulù                            - (gli dà due biglietti) Mi piace cammi­nare scalza.

Schigolch                    - (scorgendo il ritratto) Sei tu?

Lulù                            - (strizzando l’occhio) Bello?

Schigolch                    - E' bello quel che è buono.

Lulù                            - Qualcosa di dolce?

Schigolch                    - Cosa?

Lulù                            - (si alza) Elixir di Spa.

Schigolch                    - Non serve a niente! Lui beve?

Lulù                            - (prende da un armadio vicino al caminetto bottiglia e bicchieri) Non ancora. (Tornando al tavolo) Il filtro produce effetti così diversi...

Schigolch                    - Lo eccita?

Lulù                            - (riempiendo due bicchieri) Si addor­menta.

 Schigolch                   - Quando è ubriaco, lo puoi scrutare in fondo all'anima.

Lulù                            - Preferisco farne a meno. (Si siede di fronte a Schigolch) Raccontami qualcosa.

Schigolch                    - La strada diventa sempre più lunga e le gambe sempre più corte.

Lulù                            - E la tua fisarmonica?

Schigolch                    - Ha perso il fiato, come l'ho perso io con l'asma. E oramai penso che non valga più la pena di farla riparare. (Brinda con lei).

Lulù                            - (vuota il suo bicchiere) Temevo che tu fossi già finito.

Schigolch                    - Lo credevo anch'io. Ma benché il sole sia già tramontato, non riesco ad aver pace. Spero nell'inverno. Allora (tossendo) la mia... la mia... asma troverà modo di mandarmi all'altro mondo.

Lulù                            - (riempiendo i bicchieri) Pensi che all'altro mondo si siano dimenticati di te?

Schigolch                    - Può darsi. Non fanno le cose bene. (Accarezzandole le ginocchia) E adesso dimmi di te; è tanto che non ti vedo, mia piccola Lulù.

Lulù                            - (si tira indietro sorridendo) La vita è davvero bizzarra!

Schigolch                    - Sèi ancora tanto giovane.

Lulù                            - E tu mi chiami Lulù.

Schigolch                    - Lulù, perché no? Non ti ho mai chia­mata in altro modo.

Lulù                            - Nessuno mi chiama più così.

Schigolch                    - Ha un altro nome?

Lulù                            - Lulù mi sembra così lontano.

Schigolch                    - Bambina! Bambina che sei!

Lulù                            - Adesso mi chiamo...

Schigolch                    - Come se non fosse lo stesso!

Lulù                            - Perché?

Schigolch                    - Come ti chiami ora?

Lulù                            - Eva.

Schigolch                    - Ti calza come un guanto!

Lulù                            - Piace anche a me.

Schigolch                    - (si guarda intorno) Ecco quello che avevo sempre sognato per te. Tutto questo lusso... Cos'è?

Lulù                            - (profumandosi) Eliotropio.

Schigolch                    - Ha un profumo migliore del tuo?

Lulù                            - (spruzzandolo) Sa di uva acerba.

Schigolch                    - Questo lusso regale..

Lulù                            - Quando ripenso...

Schigolch                    - (carezzandole le ginocchia) Be' come te la passi? Porti avanti il francese?

Lulù                            - Sto sdraiata, e dormo.

Schigolch                    - E' molto comodo. Fa sempre una certa impressione. E poi?

Lulù                            - Poi mi sdraio e mi stiro finché mi scric­chiolano tutte le ossa.

Schigolch                    - E quando hanno scricchiolato?

Lulù                            - Che te ne importa?

Schigolch                    - Che me ne importa? Che me ne im­porta? Preferirei essere costretto a restare in vita fino a che suoneranno le trombe del Giudizio uni­versale e rinunciare a tutte le gioie del paradiso, piuttosto che sapere la mia Lulù quaggiù con tutte le preoccupazioni della vita. Che me ne importa? Ma è per il grande affetto che ti porto. Quanto a me, ho già saldato il contò con la miglior parte di me stesso, ma posso ancora comprendere come vanno le cose di questo mondo.

Lulù                            - Io no.

Schigolch                    - Perché stai troppo bene.

Lulù                            - (rabbrividendo) Imbecille...

Schigolch                    - Meglio che con il vecchio orso?

Lulù                            - (malinconica) Non ballo più...

Schigolch                    - Era ora.

Lulù                            - Adesso sono... (Ammutolisce).

Schigolch                    - Dimmi tutto quello che hai nel cuo­re, bambina mia. Ricordati che ho avuto fiducia in te, fin da quando di te non si vedevano che due occhioni grandi così.

Lulù                            - Una bestia...

Schigolch                    - Diavolo! E che bestia! Un animale raffinato, di lusso. Io non c'entro più però. L'ho finita con i vecchi pregiudizi. Anche quelli contro la, la...

Lulù                            - La lavandaia? Non hai certo da temere che ti lavino ancora una volta!

Schigolch                    - Ci si sporca sempre.

Lulù                            - (spruzzandolo) Ti richiamerebbe in vita.

Schigolch                    - Non siamo altro che muffa.

Lulù                            - Prego. Mi faccio ogni giorno dei mas­saggi con grasso di cavallo e talco,

Schigolch                    - Ne vale la pena, per quel bellimbu­sto...

Lulù                            - Lasciano la .pelle liscia come seta.

Schigolch                    - Ma lo è di già... hm.

Lulù                            - Voglio essere come un frutto da mordere.

Schigolch                    - E lo siamo, lo siamo. Daremo pre­sto un gran pranzo. Tavola imbandita.

Lulù                            - Non ci sarà pericolo che gli ospiti fac­ciano indigestione.

Schigolch                    - Pazienza, ragazza! Anche i tuoi adoratori non ti tengono mica sotto spirito. Fino a che manterrai la tua forza d'attrazione... E poi? E poi tutto è sprecato, perché a questi animali viene il mal di stomaco.

Lulù                            - (alzandosi) Ti bastano?

Schigolch                    - E ne restano se occorre, per pian­tarmi un cipresso sulla tomba. Trovo la strada da me. (Esce).

Lulù                            - (lo accompagna e ritorna indietro col dot­tor Schoen).

Schoen                        - Cosa fa qui suo padre?

Lulù                            - Che gliene importa?

Schoen                        - Se fossi suo marito, non gli farei ol­trepassare la soglia di casa.

Lulù                            - Perché mi dà del lei?

Schoen                        - Perché? E' facile capirlo.

Lulù                            - Perché?

Schoen                        - Allora, il perché lo so io. (Offrendole una sedia) Anzi, avrei piacere di parlare con lei pro­prio di questo.

Lulù                            - (sedendosi, un po' incerta) Perché non me l'ha detto ieri?

Schoen                        - La prego, non parliamo di ieri. Glielo ho già detto due anni fa.

 

Lulù                            - (nervosa) Ah, così. Uh!

Schoen                        - Ti prego di non venir più a farmi visita.

Lulù                            - Posso offrirle un elisire?

Schoen                        - Grazie. Niente elisire. Mi ha capito bene?

Lulù                            - (scuote la testa).

Schoen                        - Bene. Scelga. Lei mi costringe ad usa­re mezzi estremi: o lei si comporta in maniera conforme alla sua condizione...

Lulù                            - Oppure?

Schoen                        - Oppure - è lei che mi costringe - do­vrei rivolgermi alla persona che risponde della sua condotta.

Lulù                            - Che cosa vuol dire?

Schoen                        - Pregherò suo marito di sorvegliarla personalmente.

Lulù                            - (si alza e sale i gradini).

Schoen                        - Dove va?

Lulù                            - (presso la porta) Walter!

Schoen                        - (alzandosi di scatto) Sei pazza?

Lulù                            - Ah, ah!

Schoen                        - Compio uno sforzo sovrumano per in-trodurti nella migliore società. Ormai siamo arri­vati ad un punto in cui puoi essere dieci volte più orgogliosa del tuo nome che della mia confi­denza...

Lulù                            - (scende ì gradini e mette un braccio at­torno al collo di Schoen) Di cosa ha paura ora che sta per realizzare ogni suo desiderio?

Schoen                        - Basta con le commedie! Quali desideri? Ora che mi sono fidanzato, voglio portare mia moglie in un casa pulita.

Lulù                            - (sedendosi) E' sbocciata deliziosamente negli ultimi due anni.

Schoen                        - Non ha più quello sguardo così serio.

Lulù                            - Si è fatta proprio donna. Ma noi po­tremo incontrarci altrove più comodamente...

Schoen                        - Noi non ci incontreremo mai più, neanche in presenza di suo marito.

Lulù                            - A questo non ci crede neanche lei.

Schoen                        - E allora bisognerà che ci creda Schwarz. Va' pure a chiamarlo. Dopo quanto ho fatto per lui, da quando ti ha sposata, siamo diven­tati intimi.

Lulù                            - (alzandosi) E' anche amico mio.

Schoen                        - Così potrò finalmente liberarmi da questa spada di Damocle.

Lulù                            - E' stato lei che mi ha posto quella catena al collo. Purtroppo devo a lei la mia felicità. Vedrà quanti amici dovrà tirarsi in casa quando si sarà sposato.

Schoen                        - Tu giudichi tutte le donne alla tua stregua. Tuo marito è ingenuo come un bambino. Se no, da un pezzo sarebbe sulle tracce dei tuoi tra­dimenti.

Lulù                            - Non desidero di meglio. Finalmente de­porrebbe quel suo candore puerile. Ci batte su, perché ha in tasca il contratto di matrimonio. I miei sforzi sono stati inutili. Qui posso fare il mio comodo, come quando ero a casa. Non è ingenuo. E' banale. E’ rozzo. Non si accorge di niente. Non vede chiaro né in me né in se stesso. E’ cieco, cieco, cieco...

Schoen                        - Ma quando aprirà gli occhi!

Lulù                            - Glieli apra lei. Io mi sono rovinata. Mi trascuro. Lui non mi conosce affatto. Cosa rappre­sento per lui? Mi chiama tesoruccio, diavoletto. A qualsiasi maestrina direbbe le stesse cose. Non ha pretese. Si accontenta di tutto. Questo perché in vita sua non ha mai sentito il bisogno di pensare alle donne.

Schoen                        - Che ne può sapere?

Lulù                            - Lo confessa apertamente.

Schoen                        - Da quando aveva quattordici anni, non ha fatto che dipingere tutto ciò che gli capitava sott'occhio.

Lulù                            - Ha paura delle donne. E' sempre in ansia per la sua salute. E non ha paura di me!

Schoen                        - Quante ragazze al posto tuo si repu­terebbero più che fortunate.

Lulù                            - (supplichevole) Cerchi di corromperlo un poco, lei che se ne intende. Lo porti in compa­gnie allegre. Lei ha tante conoscenze. Per lui non sono che una donna, e sempre la stessa. Mi sembra di fare una così brutta figura. Me ne sento così umiliata. Non capisce la differenza. Mi spremo il cervello giorno e notte per scuoterlo. Nella mia disperazione arrivo a ballare il can-can da sola. Ma lui sbadiglia e balbetta qualcosa sull'oscenità.

Schoen                        - Che stupido! Eppure è un artista!

Lulù                            - Per lo meno crede di esserlo.

Schoen                        - Appunto per questo!

Lulù                            - Se poso io. E crede anche di essere una celebrità.

Schoen                        - La colpa è nostra.

Lulù                            - Crede a tutto. E' sospettoso come un ladro, ma si lascia ingannare in modo ridicolo. Quando ci siamo conosciuti gli ho fatto credere che non avevo mai amato...

Schoen                        - (cade a sedere su una poltrona).

Lulù                            - Se no mi avrebbe presa per una donna perduta.

Schoen                        - Mio Dio, che pretese esagerate per i vostri legittimi rapporti.

Lulù                            - Non ho pretese esagerate. Spesso sogno ancora di Goll.

Schoen                        - Quello non era davvero banale.

Lulù                            - Sta qui, come se non fosse mai scompar­so. Soltanto, cammina scalzo. Non è arrabbiato. E' solo terribilmente triste. E poi ha paura, come se fosse qui senza il permesso della polizia. A parte questo, sta volentieri con noi. Soltanto, non riesce a capacitarsi come io abbia fatto a spendere tanto denaro da allora...

Schoen                        - Hai nostalgia della frusta.

Lulù                            - Non ballo più.

Schoen                        - Prova ad educarlo.

Lulù                            - Tempo perso!

Schoen                        - Su cento donne, ce ne sono novanta capaci di formare l'educazione del proprio marito.

Lulù                            - Mi ama.

Schoen                        - E' una circostanza fatale.

Lulù                            - Mi ama,..

Schoen                        - Ecco un ostacolo davvero insormon­tabile.

Lulù                            - Gli sono completamente sconosciuta, ma mi ama! Se avesse soltanto una vaga idea di quello che sono realmente, mi legherebbe una pietra al collo e mi butterebbe in mare, dove l'acqua è più profonda!

Schoen                        - Veniamo alla conclusione.

Lulù                            - Come vuole.

Schoen                        - Ti ho dato marito. Ti ho dato marito due volte. Vivi nel lusso. Ho creato una posizione a tuo marito. Se questo non ti basta e se per giunta egli si rende ridicolo, non posso giungere fino al punto di soddisfare le vostre esigenze morali. Però, lasciami almeno fuori del tuo giuoco.

Lulù                            - Se appartengo a qualcuno su questa terra, appartengo a lei. Se non fosse stato per lei, sarei., non voglio dire dove. Lei mi ha preso per mano, mi ha dato da mangiare, mi ha fatto vestire, quando volevo rubarle l'orologio. Chiunque altro avrebbe chiamato le guardie. Crede che io possa dimenticarlo? Lei mi ha mandato a scuola e mi ha insegnato l'educazione. Che me ne importa del­le anime candide! Fingo di dar retta alle loro sciocchezze perché è mio dovere. Chi ha fatto mai niente per me all'infuori di lei? Ho ballato, ho fatto la modella ed ero contenta di potermi guadagnare la vita da me. Ma amare su ordinazione, questo non posso proprio farlo.

Schoen                        - (che intanto si è alzato) Lasciami fuori dal giuoco! Fa' tu quello che vuoi. Non vengo qui a suscitare scandali, ma per scrollarmi gli scandali di dosso. Questa relazione mi costa già troppi sacrifici. Aveva immaginato che con un ma­rito giovane, sano, che nessuna donna della tua età potrebbe desiderare migliore, saresti stata fi­nalmente contenta. Se senti qualche dovere di rico­noscenza verso di me, non mi attraversare per la terza volta la strada. Dovrò aspettare ancora a lungo? Due anni di concessioni continue sono stati completamente inutili? Che mi serve l'averti dato un marito se ti si vede entrare ed uscire da casa mia a tutte le ore del giorno? Ah, se il dottor Goll fosse rimasto in vita almeno un altro anno! Quello ti custodiva bene. Da quanto tempo mi sarei potuto sposare!

Lulù                            - E che vantaggio ne avrebbe avuto? Quel­la creatura le darà ai nervi; è troppo innocente per lei, è stata educata con troppa cura. E io che c'entro con il suo matrimonio? Lei si inganna dav­vero se pensa di potermi convincere della sua feli­cità futura, disprezzandomi.

Schoen                        - Disprezzo. Saprò guidare quella crea­tura sulla retta via! Quello che disprezzo sono i tuoi intrighi!

Lulù                            - Mi crede gelosa della ragazzina? Non mi passa neanche per la mente...

Schoen                        - Ragazzina. Ha solo un anno meno di te. Lasciami vivere in pace quello che mi resta ancora da vivere! Comunque l'abbiano allevata, avrà i suoi cinque sensi come te….

Schwarz                      - (entra dalla porta con i pennelli in ma­no) Che succede?

Lulù                            - (a Schoen) Su!

Schwarz                      - (a Schoen) Ma cosa avete?

Lulù                            - Niente che ti riguardi...

Schoen                        - (interrompendola) Sta zitta!

Lulù                            - Mi si fa capire che sono di troppo.

Schwarz                      - (accompagna fuori Lulù).

Schoen                        - (sfoglia i libri che stanno sul tavolo) Dovevo decidermi a parlare... Debbo aver strada libera.

Schwarz                      - (ritorna) Che scherzo sarebbe questo?

Schoen                        - (indicandogli una sedia) Prego.

Schwarz                      - Che c'è?

Schoen                        - Prego.

Schwarz                      - (sedendosi) Dunque!

Schoen                        - (sedendo) Tu hai sposato mezzo mi­lione.

Schwarz                      - E' sfumato?

Schoen                        - Neanche un centesimo,

Schwarz                      - Spiegami la stranezza di questa scena.

Schoen                        - Hai sposato mezzo milione...

Schwarz                      - Su questo nessuno può aver niente da ridire.

Schoen                        - Ti.sei fatto un nome. Lavori con la massima tranquillità. Puoi toglierti qualsiasi ca­priccio.

Schwarz                      - Cosa avete voi due contro di me?

Schoen                        - Da sei mesi vivi in paradiso. Hai una moglie che tutti ti invidiano e che merita un uomo degno della sua stima...

Schwarz                      - Non mi stima?

Schoen                        - No.

Schwarz                      - Provengo dagli infimi strati della società, e lei invece... Il mio desiderio più vivo è di elevarmi alla sua altezza. (Dando la mano a Schoen) Ti ringrazio.

Schoen                        - Prego, prego.

Schwarz                      - Parla!

Schoen                        - Sorvegliala di più.

Schwarz                      - Lei?

Schoen                        - Non siamo bambini. Non stiamo gio­cando. Sono questioni vitali. Devi prenderla sul serio. Lo merita.

Schwarz                      - Ma cosa fa?

Schoen                        - Hai sposato mezzo milione.

Schwarz                      - (sì alza fuori di sé) Lei...

Schoen                        - (lo prende per le spalle) Non è questo il modo. (Lo obbliga a sedersi) Dobbiamo parlare molto seriamente.

Schwarz                      - Ma cosa fa?

Schoen                        - Considera prima esattamente tutti i motivi che hai di esserle grato, e poi...

Schwarz                      - Cosa fa, per Dio?!

Schoen                        - E poi addossa su te stesso e non sugli altri la piena responsabilità dei tuoi errori.

Schwarz                      - Con chi?

Schoen                        - Se vuoi che ci si uccida l'un l'altro, in duello...

Schwarz                      - Da quando?

Schoen                        - Non sono qui per provocare scandali. Sono qui per salvarti dallo scandalo.

Schwarz                      - Fra te e lei c'è un malinteso.

Schoen                        - Con questo cosa vuoi dire?... Non posso più sopportare di vederti vivere così. La ragazza merita dì diventare una donna come si deve. Da quando la conosco, ha sempre migliorato.

Schwarz                      - Da quando la conosci? Ma da quando la conosci?

Schoen                        - Aveva dodici anni.

Schwarz                      - Non me l'aveva mai detto.

Schoen                        - Vendeva fiori al Caffè Alhambra. Si infilava a piedi nudi fra i tavolini ogni sera, dopo mezzanotte.

Schwarz                      - Non me ne ha mai fatto parola.

Schoen                        - Ha fatto bene. Te lo dico io ora, perché tu comprenda che non hai a che fare con una natura corrotta moralmente. Ha delle ottime dispo­sizioni.

Schwarz                      - Mi aveva detto che era stata allevata da una zia.

Schoen                        - La donna a cui l'avevo affidata. Era una scolara perfetta. Le madri delle altre ragazze la portavano ad esempio. Ha un profondo senso del dovere. La colpa è soltanto tua, se finora non hai saputo prenderla per il suo lato migliore.

Schwarz                      - Oh, Dio!

Schoen                        - Niente oh Dio. Non può essere tolto niente alla felicità che hai già goduta. Quello che è successo è successo. Sopravaluti te stesso, per quan­to tu sappia esattamente la tua posizione, se credi di rimetterci. Ma ora devi vincere la battaglia. E con gli; «Oh Dio» non si vince niente. Guarda che ti sto rendendo un servizio impagabile. Parlo con tutta franchezza e ti offro aiuto e consiglio. Cerca di meritarlo. Non te ne mostrare indegno.

Schwarz                      - Quando la conobbi, mi disse di non avere mai amato.

Schoen                        - Se lo dice una vedova! Le fa onore l'aver scelto te per marito. Imponiti gli stessi do­veri che imponi a lei, e la tua felicità sarà senza nubi.

Schwarz                      - Mi ha detto che le lasciava portare i vestiti corti.

Schoen                        - Ma se l'era pure sposata! E' stato un capolavoro di abilità da parte di lei. Non riesco a capire come ci sia riuscita. Tu adesso lo saprai. Ti godi i frutti della sua diplomazia.

Schwarz                      - Ma il dottor Goll come l'ha cono­sciuto?

Schoen                        - Per mezzo mio. Dopo la morte di mia moglie, quando feci conoscenza con la mia attuale fidanzata. Lei si mise di mezzo. Si era fissata di sposarmi.

Schwarz                      - E quando è morta tua moglie?

Schoen                        - Hai sposato mezzo milione.

Schwarz                      - Possi rimasto dove ero. Meglio cre­pare di fame.

Schoen                        - Credi che non sia costretto anch'io a fare dei compromessi? Chi non fa compromessi a questo modo? Tu hai sposato mezzo milione. Oggi sei uno degli artisti più in voga. A questo non si giunge se non con il denaro. Non sei tu quello che può giudicarla. Con un'origine come quella di Mignon è impossibile fare i conti con i pregiudizi della società borghese.

Schwarz                      - Ma di chi stai parlando?

Schoen                        - Parlo di suo padre. Tu sei un artista. I tuoi ideali sono ben diversi da quelli di un ma­novale.

Schwarz                      - Non capisco cosa vuoi dire.

Schoen                        - Parlo della condizione infima da cui la ragazza ha saputo sollevarsi diventando quella che è.

Schwarz                      - Ma chi?

Schoen                        - Tua moglie.

Schwarz                      - Eva.

Schoen                        - Io la chiamavo Mignon.

Schwarz                      - Credevo che si chiamasse Nellie.

Schoen                        - Così la chiamava il dottor Goll.

Schwarz                      - Io la chiamo Eva...

Schoen                        - Non ho mai saputo quale fosse vera­mente il suo nome.

Schwarz                      - Porse lei lo saprà.

Schoen                        - Con un padre come il suo, nonostante i suoi difetti, è un miracolo che sia così. Non ti ca­pisco...

Schwarz                      - E' morto in manicomio.

Schoen                        - Ma se è uscito adesso di qui!

Schwarz                      - Chi?

Schoen                        - Suo padre.

Schwarz                      - Qui... da me?

Schoen                        - Se l'è svignata quando sono venuto io. Ci sono ancora i bicchieri sul tavolo.

Schwarz                      - Mi aveva detto che era morto in ma­nicomio.

Schoen                        - Falle sentire il peso della tua autorità. Non desidera che di obbedire ciecamente. Col dottor Goll le sembrava di essere in paradiso. E con lui infatti c'era poco da scherzare.

Schwarz                      - Diceva di non avere mai amato.

Schoen                        - Ma comincia da te. Fatti forza.

Schwarz                      - Me l'ha giurato.

Schoen                        - Non puoi pretendere nulla da lei, se non sai quali sono i tuoi doveri.

Schwarz                      - Sulla tomba di sua madre.

Schoen                        - La madre non l'ha mai conosciuta. Figurarsi poi la tomba.

Schwarz                      - Non sono fatto per questa vita.

Schoen                        - Che hai?

Schwarz                      - Sono angosciato. Soffro.

Schoen                        - (si alza, fa qualche passo indietro, dopo una pausa) Giacché è tua, tientela. Questo è un momento decisivo. Domani potrebbe essere troppo tardi.

Schwarz                      - (indicando il petto) Qui qui.

Schoen                        - Tu hai... La perderai se perdi quest'uni­ca occasione.

Schwarz                      - Se potessi piangere! Oh, potessi gri­dare!

Schoen                        - (gli mette una mano sulla spalla) E' penoso...

Schwarz                      - (alzandosi) Hai ragione, perfetta­mente ragione.

Schoen                        - (afferrandogli la mano) Dove vuoi an­dare?

Schwarz                      - A parlare con lei.

Schoen                        - Così va bene. (Lo accompagna alla porta; rimasto solo, dice a se stesso) E' stata una bella fatica. (Dopo una pausa, guarda a sinistra. Si sente un orribile lamento. Corre alla porta, la trova chiusa) Apri! Apri!

Lulù                            - (entrando dalla porta di destra) Che cosa...

Schoen                        - Apri!

Lulù                            - (scende i gradini) Che orrore!

Schoen                        - Hai un'accetta in cucina?

Lulù                            - Aprirà.

Schoen                        - Non riesco a sfondarla.

Lulù                            - Quando avrà smesso di piangere.

Schoen                        - (contro la porta) Apri! (A Lulù) Va a prendere l'accetta. :

Lulù                            - Bisogna chiamare il dottore...

Schoen                        - Non sei certo di conforto.

Lulù                            - Questa le sta proprio bene. (Suonano in corridoio. Schoen e Lulù si fissano).

Schoen                        - (ritorna indietro e si ferma dinanzi alla porta) Non bisogna che mi vedano qui!

Lulù                            - Forse è il mercante d'arte. (Suonano di nuovo).

Schoen                        - Se non rispondiamo...

Lulù                            - (si avvicina alla porta).

Schoen                        - (la trattiene) Aspetta. Succede spesso che non si possa aprire subito. (Esce in punta di piedi).

Lulù                            - (ritorna vicino alla porta chiusa e sta in ascolto).

Schoen                        - (accompagnando Aiwa) Ti prego, cerca di mantenerti calmo.

Alwa                           - A Parigi è scoppiata la rivoluzione.

Schoen                        - Calmati.

Alwa                           - (a Lulù) E' pallida come un morto..

Schoen                        - (scrollando la porta) Walter! Walter! (Si sente un rantolo).

Lulù                            - Signore abbi pietà di noi...

Schoen                        - Non hai preso l'accetta?

Lulù                            - Se la trovo... (Esce, esitando, da sinistra).

Alwa                           - Lo fa per burla?

Schoen                        - A Parigi è scoppiata la rivoluzione?

Alwa                           - In redazione non sanno dove battere la testa. Nessuno sa cosa scrivere. (Suonano in cor­ridoio).

Schoen                        - (sempre battendo alla porta) Walter!

Alwa                           - Vuoi che provi a sfondarla?

Schoen                        - Posso farlo anch'io. Ma chi sarà? (Al­zandosi) Si godono la vita ed il sudiciume lo lasciano agli altri.

Lulù                            - (ritorna con un'accetta da cucina) E' tor­nata Henriette?

Schoen                        - Chiudi la porta dietro di te.

Alwa                           - Me la dia. (Prende Faccetta e l'insinua fra i battenti).

Schoen                        - Devi tenerla più su.

Alwa                           - Scricchiola già. (La porta si spalanca. Lascia cadere la scure e indietreggia).

Lulù                            - (indica la porta a Schoen).

Schoen                        - (indietreggia anche lui).

Lulù                            - (a Schoen) Si sente male?

Schoen                        - (sì terge il sudore dalla fronte ed entra).

Alwa                           - (a destra sulla chaise-longue) Che or­rore!

Lulù                            - (sempre ferma sul pano della porta, pro­rompe in urla acutissime) Ah!.., Ah!... (Corre da Alwa) Gli ha ripiegato la testa.

Alwa                           - E' spaventoso!

Lulù                            - (lo prende per mano) Venga.

Alwa                           - Dove?

Lulù                            - Non ho coraggio di restare sola. (Esce con Alwa da destra).

Schoen                        - (ritorna. Ha in mano un mazzo di chiavi. La mano è macchiata di sangue; chiude la porta dietro di sé, va allo scrittoio, lo apre e scrive due ciglietti).

Alwa                           - (ritornando) Si sta vestendo.

Schoen                        - Se ne è andata?

Alwa                           - E' in camera sua. Si veste.

Schoen                        - (suona. Entra Henriette) Sa dove abita il dottor Bernstein?

Henriette                     - Certo, signore. Qui vicino.

Schoen                        - (dandole un biglietto) Oli porti questo.

Henriette                     - E se il dottore non fosse in casa?

Schoen                        - E' in casa. (Le dà l'altro biglietto) E questo lo porti alla direzione dì polizia. Prenda una vettura.

Henriette                     - (esce).

Schoen                        - Sono sfinito.

Alwa                           - Mi si gela il sangue.

Schoen                        - (verso sinistra) Che pazzo!

Alwa                           - Aveva dei sospetti?

Schoen                        - Si occupava troppo di se stesso.

Lulù                            - (appare sui gradini col mantello e un velo di merletto).

Alwa                           - Dove vuole andare?

Lulù                            - Fuori. Mi sembra di vederlo riapparire dovunque.

Schoen                        - Dove teneva le sue carte?

Lulù                            - Nello scrittoio.

Schoen                        - (vicino allo scrittoio) Dove?

Lulù                            - Sotto, a destra. (Si inginocchia davanti allo scrittoio) Qui. Ma non c'è niente da temere. E' tutto dichiarato. Ha speso fino all'ultimo cen­tesimo.

Schoen                        - Oramai posso mettermi a riposo.

Lulù                            - (sempre in ginocchio) Scriva un necro­logio. Lo chiami Michelangelo.

Schoen                        - A che servirebbe!

Alwa                           - Riesco appena a reggermi in piedi.

Schoen                        - (accennando a destra) Là è sepolto il mio fidanzamento!

Alwa                           - Sei punito duramente dei tuoi intrighi!

Schoen                        - Gridalo in piazza!

Alwa                           - (accennando a Lulù che sta inginocchio in mezzo a loro) Quando è morta mia madre, ti saresti dovuto comportare più onestamente con la ragazza.

Schoen                        - (a sinistra) Come sanguina il mio fi­danzamento.

Lulù                            - (alzandosi) Me ne vado.

Schoen                        - Fra un'ora escono le edizioni straordi­narie. Non posso farmi vedere in strada.

Lulù                            - Ma che colpa ne ha lei!

Schoen                        - Appunto per questo! Mi lincerebbero!

Alwa                           - Devi partire.

Schoen                        - Per lasciare campo libero allo scan­dalo.

Lulù                            - (indicando la chaise-longue) Dieci mi­nuti fa era ancora qui.

Schoen                        - Ecco il ringraziamento per quanto ho fatto per lui.

Lulù                            - Lei lo aveva portato così in alto.

Schoen                        - In un attimo ha fatto crollare tutta la mia vita!

Alwa                           - Cerca di dominarti.

Lulù                            - (sulla chaise-longue) Tanto, siamo fra noi.

Alwa                           - E come!

Schoen                        - (a Lulù) Cosa dirai alla polizia?

Lulù                            - Niente.

Alwa                           - Non ha voluto restare in debito.

Schoen                        - Mi sembra già di leggere i giornali del mattino.

Lulù                            - Aveva sempre idee suicide per la testa.

Schoen                        - Aveva tutto quello che un uomo può desiderare!

Lulù                            - L'ha pagata cara.

Alwa                           - Aveva ciò che non abbiamo noi!

Schoen                        - Capisco le tue ragioni. Non ho nessun motivo di avere dei riguardi per te! Tu fai di tutto per non avere altri fratelli: e questa per me è proprio una buona ragione per crearmi un'altra famiglia.

Alwa                           - Conosci male gli uomini.

Schoen                        - Se arrivasse la polizia... Ogni minuto è prezioso,(Suonano in corridoio).

Alwa                           - Eccola...

Schoen                        - (vuole andare alla porta).

Lulù                            - (di scatto) Aspetti, è macchiato di sangue.

Schoen                        - Dove?

Lulù                            - Aspetti, la pulisco. (Tira fuori il fazzo­letto profumato e pulisce la mano di Schoen).

Schoen                        - E' il sangue di tuo marito.

Lulù                            - Non lascia macchia.

Schoen                        - Mostro!

Lulù                            - E adesso lei mi sposerà. (Suonano in cor­ridoio) Ci vorrà un po' di pazienza.

Schoen                        - (esce dà sinistra).

Escherich                    - (introdotto da Schoen, senza fiato) Permetta che io... che io... mi presenti...

Schoen                        - Ha corso?

Escherich                    - (porgendogli un biglietto da visita) Vengo direttamente dalla direzione di polizia. Un suicidio, mi hanno detto.

Schoen                        - (legge) Fritz Escherich, cronista. Venga.

Escherich                    - Un momento. (Prende taccuino e matita, guarda la stanza, scrive qualche parola, si inchina a Lulù, scrive, si accosta alla porta sfon­data, scrive) Un'accetta da cucina... (Vuole solle­varla).

Schoen                        - (trattenendolo) No, prego.

Escherich                    - (scrive) Porta sfondata con l'accetta. (Esamina la serratura).

Schoen                        - (con la mano sulla maniglia) Guardi.

 Escherich                   - Se lei vuole essere così gentile...

Schoen                        - (apre la porta).

Escherich                    - (lascia cadere taccuino e lapis e si passa le mani sui capelli) Santo cielo, ancora...!

Schoen                        - Guardi pure.

Escherich                    - Non ne ho il coraggio.

Schoen                        - E allora perché è venuto?

Escherich                    - Con... con il ra... rasoio... tagliarsi., tagliarsi il collo...

Schoen                        - Ha visto tutto?

Escherich                    - Che impressione!

Schoen                        - (chiude la porta e va allo scrittoio) Si sieda. Ecco qui carta e penna. Scriva.

Escherich                    - (che si è seduto meccanicamente) Non riesco a scrivere...

Schoen                        - (in piedi dietro la sedia) Scriva... ma­nia di persecuzione.

Escherich                    - (scrive) Mania di persecuzione. (Suonano in corridoio).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

Una magnifica sala in stile Rinascimento tedesco.

Un pesante soffitto in noce scolpito. Le pareti fino a mezza altezza sono ornate di sculture in le­gno e vi sono appesi dei Gobelins sbiaditi dal tempo. In fondo alla sala, una galleria chiusa da tende a cui si accede a destra per uno scalone monumen­tale che arriva fino a metà della scena. In mezzo, sotto la galleria, la porta d'ingresso con colonne attorte e frontespizi. A sinistra, un camino ampio e profondo. Accanto, una finestra con pesanti tende accostate. A destra, all'inizio della scala, una por­tiera di velluto chiusa. Davanti al camino, per pa­rafuoco, un paravento cinese. Vicino al pilastro iniziale del parapetto della scala, su di un cavalletto che ha solo scopo decorativo, il ritratto di Lulù vestita da Pierrot, con un'antica cornice dorata, Avanti a destra, una spaziosa ottomana, a sinistra una poltrona. In mezzo alla sala, un tavolo qua­drangolare con una pesante coperta. Attorno al tavolo, tre sedie molto alte con schienali di cuoio. Sul tavolo, un mazzo di fiori bianchi.

La contessa Geschwitz          - (è seduta sull'ottomana. Indossa una giacca da ussaro, guarnita di pelliccia, solino alto, inamidato, enormi bottoni ai polsini, una veletta davanti al viso, le mani nel manicotto. A Lulù) Non può immaginare quanto mi renda felice l'idea che lei parteciperà al nostro ballo delle artiste.

Schoen                        - (sta a destra) E per uno di noi non ci sarebbe nessuna possibilità di entrare, nemmeno di contrabbando ?

La contessa Geschwitz          - Prestar mano a un si­mile intrigo sarebbe delitto di alto tradimento.

Schoen                        - (dirigendosi verso sinistra) Che magni­fici fiori.

Lulù                            - (è seduta. Indossa una vestaglia a fiorì. Porta i capelli annodati con un nastro d'oro) Me li ha portati la signorina von Geschwitz.

La contessa Geschwitz          - Oh, prego. Si trave­stirà da uomo?

Lulù                            - Crede che mi starebbe bene?

La contessa Geschwitz          - (indicando il ritratto) Qui sembra un sogno.

Lulù                            - A mio marito non piace.

La contessa Geschwitz          - E' un pittore della no­stra città?

Lulù                            - Non credo che lei l'abbia potuto cono­scere.

La contessa Geschwitz          - E' morto?

Schoen                        - Era stanco di vivere.

Lulù                            - Oggi sei di cattivo umore.

Schoen                        - (fa degli sforzi per padroneggiarsi).

La contessa Geschwitz          - (si alza) Debbo anda­re, signora. Non posso fermarmi più a lungo. Que­sta sera abbiamo lezione di nudo, e debbo preparare ancora un'infinità di cose per il ballo. Signor dot­tore... (Esce dalla porta di mezzo, accompagnata da Lulù).

Schoen                        - Le stalle d'Augia! Ecco il tramonto della mia vita. Vorrei trovare un angolo solo, che ancora fosse pulito. Mi fa schifo perfino sedermi. Questa casa è appestata. Il più miserabile dei brac­cianti ha una sua cuccia più pulita della mia. Debbo partire, piantare in asso tutto, andare in America, in India. Tanti anni di lavoro, di lotta continua... e la sera quando tomo a casa... ecco la mia famiglia, il cerchio delle mie conoscenze. Quanto marciume, trasuda dalle pareti, dalle... (Guardandosi attorno) Dio solo sa chi mi ha... (Prende il revolver di tasca) Non si è sicuri nemmeno della propria vita. Nella mia casa sono l'ultimo degli estranei. (Si dirige a sinistra verso il balcone, parlando con se stesso) Ecco la mia famiglia! Ed ho ancora il coraggio di vivere. Sarebbe meglio farla finita per sempre. Si può combattere contro un nemico, ma contro... (Alza d'improvviso la tenda) Questo sudiciume... questo sudiciume... (Andando a destra) O sono im­pazzito o l'eccezione conferma la regola. (Vedendo ritornare Lulù, si rimette il revolver in tasca).

Lulù                            - Puoi renderti libero nel pomeriggio?

Schoen                        - Cosa voleva la contessa?

Lulù                            - Non so. Vuole farmi il ritratto.

Schoen                        - Sembra la sventura in persona, che vada in giro a render visita.

Lulù                            - Non puoi renderti libero? Farei così vo­lentieri una passeggiata con te.

Schoen                        - Proprio il giorno in cui debbo andare in Borsa. Lo sai, che oggi non sono libero. Tutto il mio patrimonio è in alto mare.

Lulù                            - Preferirei essere morta e sotterrata, che lasciarmi amareggiare la vita dal denaro.

Schoen                        - Per chi è facile vivere, non è difficile morire.

Lulù                            - Da bambina ne avevo una paura folle.

Schoen                        - Una delle ragioni per cui ti ho sposata.

Lulù                            - (abbracciandolo) Oggi sei dì cattivo umore. Ti crei troppe preoccupazioni. Non ti ho mai per me.

Schoen                        - (accarezzandole i capelli) Me ne do­vresti alleggerire tu.

Lulù                            - Ma non sei tu che mi hai sposata.

Schoen                        - E allora chi ho sposato?

Lulù                            - Sono io che ho sposato te.

Schoen                        - Questo non cambia niente.

Lulù                            - Avevo tanta paura invece, che cambiasse tutto.

Schoen                        - Quante cose sono state calpestate!

Lulù                            - Ma una sola no.

Schoen                        - Vorrei proprio sapere quale.

Lulù                            - H tuo amore.

Schoen                        - (fa una smorfia, poi le fa cenno di pre­cederlo. Escono insieme a sinistra).

La contessa Geschwitz          - (riappare, aprendo cau­tamente la porta in fondo; si sporge in avanti scru­tando intorno, trasale sentendo nella galleria delle voci che diventano man mano più forti) O Dio... (Si nasconde dietro il paravento del camino).

Schigolch                    - (scosta i tendaggi, scende gualche gradino e si gira) Ha perduto il cuore al caffè « Ludwig » ?!

Rodrigo                      - (fra le tende) E' ancora troppo pic­colo per fare tanta strada a piedi. (Scompare).

Schigolch                    - (scende le scale) Grazie a Dio, siamo di nuovo a casa. Quell'imbecille che ha lucidato i gradini! Se prima di salire in cielo dovessi far in­gessare un'altra volta le mie ossa, mi toccherebbe restar qui fra le palme, immobile, ad assistere ai suoi amori, come se fosse la Venere dei Medici. Dappertutto imbrogli. Dappertutto trappole.

Rodrigo                      - (scende le scale portando Hugenberg sulle braccia) Costui ha per padre un regio di­rettore di polizia, ma meno coraggio del peggior vagabondo.

Hugenberg                  - Se si trattasse di vita o di morte, allora sì che imparereste a conoscermi!

Rodrigo                      - Comprese le pene d'amore, il fratel­lino non pesa più di sessanta chili. Mi tagliere! la testa.

Schigolch                    - Gettalo in aria fino al soffitto e riacchiappalo per i piedi. Gli metterà il sangue in movimento.

Hugenberg                  - (divincolandosi) Ohi, ohi, mi cac­ceranno di scuola!

Rodrigo                      - (deponendolo a terra) Scommetto che ancora non sei mai stato in -una vera scuola!

Schigolch                    - Qualcuno qui se l'è già guadagnati i primi galloni! Però, niente pudore! Adesso vi of­frirò un bicchierino come non se ne trovano più.

(Apre un armadietto sotto le scale).

Hugenberg                  - Se lei non viene immediatamente, vi bastono tanto tutti e due da farvi grattare la schiena fino all'inferno!

Rodrigo                      - (si è seduta a sinistra del tavolo) Il fratellino vuole scorticare l'uomo più forte del mon­do! (A Hugenberg) Patti fare prima i calzoni lunghi dalla mammina.

Hugenberg                  - (seduto a destra del tavolo) Pre­ferirei avere la tua barba.

 Rodrigo                     - Perché lei ti butti immediatamente fuori della porta?

Hugenberg                  - Che diavolo, sapessi almeno cosa dirle!

Rodrigo                      - Lei lo sa meglio di tutti noi.

Schigolch                    - (mette sul tavolo due bottiglie e tre bicchieri) Una l'ho già sturata ieri. (Riempie ì bicchieri).

Rodrigo                      - (mettendo una mano sul bicchiere di Hugenberg) Non troppo; tocca a noi sorvegliarlo.

Schigolch                    - (appoggiandosi con tutte e due le ma­ni sul tavolo) I signori fumano?

Hugenberg                  - (offrendo il suo portasigari) Questi sono veri Avana.

Rodrigo                      - (si serve) Del papà direttore?

Schigolch                    - (sedendosi) In casa ho tutto. Ba­sta ordinare.

Hugenberg                  - Ieri ho composto una poesia per lei.

Rodrigo                      - Cosa hai fatto?

Schigolch                    - Cosa hai detto?

Hugenberg                  - Una poesia.

Rodrigo                      - (a Schigolch) Una poesia!

Schigolch                    - Mi ha promesso un tallero, se gli scovo un posto dove avere un tète a tète con lei.

Hugenberg                  - Ma chi abita qui?

Rodrigo                      - Noi!

Schigolch                    - Jour fìx... ogni giorno di Borsa. Sa­lute! (Brindano).

Hugenberg                  - Forse sarà meglio che gliela legga prima?

Schigolch                    - (a Rodrigo) Di che parla?

Rodrigo                      - Della sua poesia. Gli piacerebbe te­nerla un poco sui carboni acoesi.

Schigolch                    - (fissando Hubenberg) Che occhi! Che occhi!

Rodrigo                      - Che occhi!

Schigolch                    - (a Rodrigo) Puoi metterti a riposo.

Rodrigo                      - Con te! Salute, compare cadavere!

Schigolch                    - (brindando) Alla tua salute, sal­timbanco! Se le cose vanno meglio dopo, sono sem­pre pronto; però... però...

Lulù                            - (entra da destra in un abito da ballo molto elegante, molto scollato, con fiori nei capelli) Ma ragazzi, ragazzi, aspetto visite!

Schigolch                    - Ve lo dico io, che quando verranno, assaggeranno qualcosa di buono!

Hugenberg                  - (si è alzato).

Lulù                            - (sedendosi sul bracciolo della sedia) E' capitato in una bella compagnia. Aspetto visite, ra­gazzi.

Schigolch                    - Allora devo mettermi addosso anch'io qualcosa di bello. (Si sceglie un fiore di quelli che sono sulla tavola).

Lulù                            - Vi piaccio?

Schigolch                    - Cosa sono quei fiori?

Lulù                            - Orchidee. (Piegandosi, sfiora col petto Hugenberg) Senta che profumo.

Rodrigo                      - Aspetta il principe Escerny?

Lulù                            - (scuote la testa) Dio ce ne scampi e li­beri!

Rodrigo                      - Ce n'è già uno nuovo!

Lulù                            - Il principe è partito.

Rodrigo                      - Per vendersi all'asta il regno?

Lulù                            - Sta scoprendo una nuova tribù nei pa­raggi dell'Africa. (Si alza e sale nella galleria).

Rodrigo                      - (a Schìgolch) Era animato da buone intenzioni: voleva sposarla.

Schìgolch                    - (infilandosi un fiore all'occhiello) Anch'io avevo intenzione di sposarla.

Rodrigo                      - Tu volevi sposarla?

Schìgolch                    - E non avevi intenzione di sposarla anche tu?

Rodrigo                      - Anch'io, è vero.

Schìgolch                    - E chi non ha avuto intenzione di sposarla!

Rodrigo                      - Ma me la sono goduta ugualmente!

Schìgolch                    - Non ha lasciato rimpianti a nessuno di quelli che la volevano sposare.

Rodrigo                      - Ma non è tua figlia?

Schìgolch                    - Non le passa neanche per la testa!

Hugeneerg                  - Allora chi è suo padre?

Schìgolch                    - Lo dice per vantarsene.

Hugenberg                  - Ma allora chi è?

Schìgolch                    - Che vuole?

Rodrigo                      - Sapere chi è suo padre.

Schìgolch                    - Non ne ha mai conosciuto uno.

Lulù                            - (scende dalla galleria e si siede sul bracciuolo della poltrona di Hugenberg) Che cosa non ho mai avuto?

Tutti e tre insieme       - Un padre.

Lulù                            - Certo, sono figlia del miracolo. (A Hugen­berg) Lei è in buoni rapporti con suo padre?

Hugenberg                  - Per lo meno fuma dei buoni si­gari, il signor .Direttore di Polizia.

Schìgolch                    - Hai chiuso di sopra?

Lulù                            - Ecco la chiave.

Schìgolch                    - Era meglio se la lasciavi nella ser­ratura.

Lulù                            - Perché?

Schìgolch                    - Perché non si possa aprire da fuori.

Rodrigo                      - Ma non è andato in Borsa?

Lulù                            - Sì, ma soffre di mania di persecuzione.

Rodrigo                      - Lo piglio per i piedi... e hop-là... ri­mane schiacciato al soffitto.

Lulù                            - Le basterebbe una mezza occhiata per farla scappare come un topo dal primo buco che trova.

Rodrigo                      - Scappare? Chi scappa? (Scoprendo il braccio) Prego, guardi i miei muscoli.

Lulù                            - Faccia vedere. (Va verso destra).

Rodrigo                      - (battendosi sul braccio) Granito. Un'incudine.

Lulù                            - (tasta a vicenda il braccio di Rodrigo e il suo) Se non avesse le orecchie così lunghe...

Ferdinando                 - (entrando dalla porta di centro) Il dottor Schoen.

Rodrigo                      - (balzando in piedi) Figlio di un cane! (Cerca di nascondersi dietro il paravento, ma scap­pa via) Dio ci protegga! (Si nasconde a destra, die­tro le tende).

Schìgolch                    - Dammi la chiave. (Si fa dare la chiave da Lulù e si trascina su per le scale verso la galleria).

 Hugenberg                 - (dalla sedia è scivolato sotto il tavolo).

Lulù                            - Lo faccia entrare.

Ferdinando                 - (esce).

Hugenberg                  - (fa capolino di sotto la tovaglia, tra sé) Speriamo che non si trattenga, e poi re­steremo soli...

Lulù                            - (lo tocca con la punta del piede).

Hugenberg                  - (scompare).

Ferdinando                 - (introduce Aiwa. Esce).

Alwa                           - (in abito da sera) Credo che la matinée avrà luogo a lumi accesi. Ho... (Accorgendosi di Schìgolch che si trascina faticosamente su per le scale) Chi è?

Lulù                            - Un vecchio amico di tuo padre.

Alwa                           - Mai visto.

Lulù                            - Sono stati insieme sotto le armi. E' molto mal ridotto...

Alwa                           - Mio padre è qui?

Lulù                            - Hanno bevuto un bicchiere insieme. Doveva recarsi in Borsa. Ma a noi conviene pran­zare prima.

Alwa                           - A che ora ha inizio lo spettacolo?

Lulù                            - Alle due. (Per distogliere lo sguardo di Alwa da Schigolch) Come mi trovi oggi?

Schìgolch                    - (esce dalla galleria).

Alwa                           - Preferirei tacere.

Lulù                            - Dicevo della mia toletta.

Alwa                           - La sarta se ne intenderà certo di più di me: (accenna al corpo) ti conosce bene... come a me non è permesso.

Lulù                            - Quando mi sono guardata allo specchio, avrei voluto essere uh uomo... (interrompendosi) il mio uomo.

Alwa                           - Sembra che tu invidi a tuo marito la felicità che gli dai. (Lulù a destra, Alwa a sinistra. La guarda timidamente ma con piacere).

Ferdinando                 - (entra dal mezzo, posa sulla tavola due coperti, una bottiglia di sciampagna e degli antipasti, ed esce. Alwa e Lulù si siedono a tavola).

Lulù                            - Quello che stimo in te sopra ogni altra cosa, è la dirittura del tuo carattere. Puoi essere sempre sicuro di te. Anche se tu dovessi inimicarti tuo padre, saresti sempre per me come un fratello.

Alwa                           - Non toccare più questo argomento. Era destino... (Vuole alzare la tovaglia).

Lulù                            - (immediatamente) Sono stata io.

Alwa                           - No, non era possibile! Ma è mio de­stino poter toccare ciò che è più in alto, nonostante tanti neri pensieri.

Lulù                            - Ti fai peggiore di quello che sei.

Alwa                           - Perché mi lusinghi così? E' vero, forse non c'è uomo peggiore di me, che abbia fatto però in vita sua tanto bene.

Lulù                            - Sei l'unica persona a questo mondo che mi abbia aiutato e protetto senza per questo sentirsi autorizzato ad umiliarmi.

Alwa                           - Credi che sia stato facile...?

Schoen                        - (appare dalla galleria, fra le due tende di centro, che ha scostate silenziosamente. A par­te) Mio figlio!

Alwa                           - ...i doni che Dio ti ha concesso... con­ducono ai delitti più disperati... sono anch'io di carne ed ossa... il mio sangue... Se almeno non fos­simo cresciuti insieme, uno accanto all'altra, come fratello e sorella.

Lulù                            - Per questo ti posso star vicina senza al­cun scrupolo. Da te non ho niente da temere.

Alwa                           - Ci sono momenti in cui non desidero che di precipitare in una voragine... Il peso che mi sono imposto mi schiaccia senza pietà. E non c'è niente che possa salvarmi, se non... (Vuol guardare sotto la tavola).

Lulù                            - (rapidamente) Ma cosa cerchi?

Alwa                           - Te ne scongiuro, lasciami credere an­cora in te. Tu, che eri inaccessibile come una di­vinità, hai rappresentato per me più di quanto tu possa mai essere stata per chi ha avuto la ventura di godere dei tuoi doni!

Lulù                            - Come sei diverso da tuo padre!

Ferdinando                 - (entra dalla porta di mezzo, cambia i piatti e serve l'arrosto con l'insalata. E' maldestro).

Alwa                           - (a Ferdinando) Non state bene?

Lulù                            - (ad Alwa) Lascialo in pace...

Alwa                           - Ma trema tutto.

Ferdinando                 - Non sono abituato a servire. Il mio mestiere è fare il cocchiere. (Esce).

Schoen                        - (dalla galleria, parlando a parte) An­che questo. (Si mette dietro la balaustra, nascosto dalla tenda).

Lulù                            - Di quali momenti parlavi, prima, quando dicevi che sì desidera vedere sprofondare il pro­prio io?

Alwa                           - Preferirei non parlarne. Non mi piace scherzare su quella che per dieci anni ha rappre­sentato la maggiore felicità della mia vita tenendo in mano una coppa di champagne.

Lulù                            - Ti ho fatto del male. Non voglio rico­minciare.

Alwa                           - Me lo prometti per sempre?

Lulù                            - Eccoti la mano. (Gli porge la mano sopra la tavola).

Alwa                           - (esita prima di prenderla, poi la stringe fra le sue, e vi posa a lungo, fortemente, le labbra).

Lulù                            - Che fai?

Rodrigo                      - (fa capolino dalle tende).

Lulù                            - (gli getta uno sguardo furibondo al diso­pra di Alwa).

Rodrigo                      - (si nasconde).

Schoen                        - (dalla galleria, a parte) Eccone un altro!

Alwa                           - (tenendole la mano) Un'anima che apri­rà gli occhi solo nell'ai di là... O questa mano...

Lulù                            - (molto freddamente) Cosa trovi...

Alwa                           - Questo braccio...

Lulù                            - Cosa trovi...

Alwa                           - Questo corpo...

Lulù                            - (candidamente) Cosa trovi.,.

Alwa                           - (eccitato) Mignon!

Lulù                            - (completamente inconsapevole) Cosa trovi...

Alwa                           - Mignon! Mignon!

 

Lulù                            - (si butta sull'ottomana) Non guardarmi così, per amor di Dio! E' meglio che ce ne an­diamo prima che sia troppo tardi.

Alwa                           - Te l'ho detto: sono un miserabile senza dignità... senza orgoglio...

Lulù                            - E mi credi uguale a te?

Alwa                           - (in ginocchio) Tu? Tu sei così alta nel cielo, sopra di me come il sole sopra l'abisso più profondo...

Lulù                            - Mi ami veramente?

Alwa                           - Tanto da fare dono anche della mia vita.

Lulù                            - Così mi ami?

Alwa                           - E tu, Mignon?

Lulù                            - Io? Non posso ripetere le tue parole: mentirei.

Alwa                           - Ti amo. (Le posa il capo in grembo).

Lulù                            - (gli accarezza i capelli) Ho distrutta la pace di tua madre...

Rodrigo                      - (fa capolino dalle tende, vede Schoen sulla galleria e gli fa cenno di guardar Lulù ed Alwa),

Schoen                        - (punta il suo revolver contro Rodrigo).

Rodrigo                      - (gli fa cenno di puntare il revolver su Alwa).

Schoen                        - (prende di mira Rodrigo).

Rodrigo                      - (sparisce dietro le tende).

Lulù                            - (scorge Rodrigo che scompare e Schoen sulla galleria) Suo padre!

Schoen                        - (si solleva e lascia cadere la tenda).

Alwa                           - (rimane immobile, in ginocchio. Una pausa).

Schoen                        - (attraversa la scena con un giornale in mano e scuote Alwa per le spalle).

Alwa                           - (si alza come istupidito. Schoen lo accom­pagna fuori).

Rodrigo                      - (si precipita fuori della tenda e vuole fuggire per le scale).

Lulù                            - (gli sbarra il passo) Di qui lei non passa.

Rodrigo                      - Mi lasci -uscire!

Lulù                            - Stia attento: finirà per cadérgli tra le braccia.

Rodrigo                      - Mi vuole uccidere.

Lulù                            - Eccolo.

Rodrigo                      - (di soprassalto) Accidenti! (Alza la tovaglia).

Hugeneerg                  - Non c'è più posto!

Rodrigo                      - Maledetto! (Si guarda attorno e scom­pare dietro la tenda della porta).

Schoen                        - (rientra dalla porta di mezzo, la chiude a chiave, e si dirige, col revolver in mano, verso la finestra sollevando le tende) Dov'è andato?

Lulù                            - (dall'ultimo gradino) Fuori.

Schoen                        - Dal balcone?

Lulù                            - E' un acrobata.

Schoen                        - (rientra dalla porta di mezzo, la chiude. A Lulù) Ti ho tolta dal fango! Questo è il mio martirio!

Lulù                            - Perché non mi hai educata meglio?

Schoen                        - Vampiro! E' destino: diventare un as­sassino o affogare nel fango; divenire un galeotto, o impiccarmi. Quale conforto per la mia vecchiaia!

Lulù                            - (a sangue freddo) Uccidimi, ma taci, non parlare più!

Schoen                        - Ti ho dato tutto ciò che era mio, e non ti ho chiesto in cambio che di avere per la mia casa quel rispetto che ha perfino un domestico. Il tuo credito è esaurito!

Lulù                            - Potrò contarci su, ancora per molti anni. (Scendendo le scale) Ti piace questo abito?

Schoen                        - Vattene; potrei perdere la testa! Ti sei attaccata a me come un male contagioso di cui dovrò soffrire fino alla tomba. Ma voglio guarire, hai capito? (Porgendole il revolver) Ecco la tua ri­cetta: tu od io; ci misureremo.

Lulù                            - (costretta a prendere il revolver si è la­sciata cadere sul divano perché le forse le vengono meno; maneggia scioccamente il revolver) Non è facile come credi...

Schoen                        - Hai dimenticato come ti ho sottratta alla polizia? Dovevo aver paura di una prostituta. Non hai pietà di te stessa?

Lulù                            - (spara un colpo in aria).

Rodrigo                      - (balza fuori dalla tenda, si slancia su per le scale ed esce dalla galleria).

Schoen                        - Questo era...

Lulù                            - (innocente) Nulla.

Schoen                        - (sollevando la tenda) Chi è uscito?

Lulù                            - Soffri di mania di persecuzione.

Schoen                        - Ne hai nascosti altri? (Strappandole il revolver di mano) Chi c'è ancora in visita? (Diri­gendosi a destra) I tuoi uomini li servo io, adesso. (Smuove le tende della finestra, rovescia il para­vento, afferra la Geschwitz per il collo e la tra­scina davanti a sé) E' scesa dal camino?

La contessa Geschwitz          - (spaventata da morire, a Lulù) Mi salvi lei.

Schoen                        - (scrollandola) Oppure anche lei è un acrobata?

La contessa Geschwitz          - (gemendo) Mi fa male.

Schoen                        - (continuando a scuoterla) E adesso non ne potrà fare a meno... dovrà accettare l'in­vito a pranzo. (La trascina a sinistra, la scaraventa nella stanza vicina e chiude la porta a chiave die­tro a lei) Non c'è bisogno di commenti. (Si siede vicino a Lulù puntandole contro il revolver) Guar­dami! Credi che io voglia continuare ad aiutare il mio cocchiere, in casa mia, a decorarmi la fronte? Guardami! Lo pago io il mio cocchiere. Guardami!

Lulù                            - Fa' attaccare. Ti prego. Dobbiamo an­dare all'Opera.

Schoen                        - Dobbiamo andare al diavolo! E guiderò io. (Punta il revolver sul petto di Lulù) Credi che dopo essere stati calpestati e straziati da te, si possa esitare un solo momento ad affrontare l'ergastolo, sia pure in questo crepuscolo di vita, pur di liberare il mondo della tua presenza? (Posa il revolver e la afferra per un braccio) Su, sparati.

Lulù                            - Possiamo chiedere il divorzio...

Schoen                        - (alzandosi) Non ne vale la pena, ora­mai. Così domani un altro, e poi altri ancora, all'infinito, si troverebbero alla mercè di questo tuo corpo, di questo tuo sguardo, nelle mie stesse spa­ventose condizioni. E il suicidio dietro le spalle. E vuoi ancora parlare? (Indicando il revolver) Dam­melo.

Lulù                            - Abbi pietà di me.

Schoen                        - Ti risparmio la fatica.

Lulù                            - (si libera da lui, trattenendo U revolver, in tono freddo e deciso) Se gli uomini hanno sof­ferto così disperatamente per me, non ne ho colpa. Anche tu sapevi benissimo che genere di donna spo­savi, come io sapevo che genere di uomo tu eri... Avevi tradito per me i tuoi migliori amici, ed ora, per me, tradisci anche te stesso. Hai sacrificato per me la tua vecchiaia, è vero, ma ricordati che io ti ho dato in cambio tutta la mia gioventù. E puoi ap­prezzarne molto meglio dì me tutto il suo valore. Non ho mai voluto sembrare diversa da quella che sono, e nessuno mi ha mai creduto diversa da quella che sono. Perché vuoi costringermi ad uccidermi? Non ho più sedici anni; ma sono ancora troppo gio­vane per poterlo fare.

Schoen                        - (gettandosi su di lei infuriato) Sgual­drina, a terra, in ginocchio, sgualdrina! (La tra­scina fino alla scala. Alzando le mani) Giù, a terrai E non osare rialzarti.

Lulù                            - (cade in ginocchio).

Schoen                        - Prega Iddio, sgualdrina, pregalo a mani giunte...

Hugenberg                  - (sbuca da sotto il tavolo, facendo ca­dere rumorosamente la sedia) Aiuto!

Schoen                        - (si precipita su Hugenberg, voltando le spalle a Lulù).

Lulù                            - (spara su Schoen cinque colpi uno dietro l'altro, in una follia omicida che non gli fa lasciare il grilletto).

Schoen                        - (cade pesantemente in avanti. Hugen­berg cerca di trattenerlo e lo appoggia alla sedia) Uno, c'è ancora.

Lulù                            - (si precipita su Schoen) Misericordia.

Schoen                        - Vattene! Aiwa!

Lulù                            - (in ginocchio) L'unico che ho amato!

Schoen                        - Sgualdrina, assassina! Aiwa, Aiwa, Acqua!

Lulù                            - (riempie un bicchiere di champagne e lo porta alle labbra di Schoen).

Alwa                           - (entra dalla galleria e scende le scale) Mio padre! Dio mìo! Mio padre!

Lulù                            - L'ho ucciso.

Hugenberg                  - E' innocente!

Schoen                        - (ad Alwa) Sei tu? E' andata male.

Alwa                           - (cerca di sollevarlo) Devi metterti a letto. Vieni.

Schoen                        - Non mi prendere così. Ho sete.

Lulù                            - (torna con lo champagne).

Schoen                        - (a Lulù) Sei sempre uguale. (Beve. Ad Alwa) Non fartela sfuggire: sarai tu il pros­simo.

Alwa                           - (a Hugenberg) Mi aiuti a portarlo a letto.

Schoen                        - No, no, ti prego, no. Spumante, assas­sina...

Alwa                           - (a Hugenberg) Prendiamolo per le spal­le. (Sollevano Schoen e si dirigono a sinistra, verso la stanza da letto).

Lulù                            - (resta vicino al tavolo con il bicchiere in mano).

Schoen                        - (gemendo) Dio, Dio, Dio!

Alwa                           - (trova la porta chiusa, gira la chiave e apre. Appare la contessa Geschwitz).

Schoen                        - (vedendola, cerca di alzarsi a fatica) Il diavolo. (Cade supino sul tappeto).

Lulù                            - (si getta a terra vicino a lui, posa il capo nel suo grembo e lo bacia) Non ha proprio po­tuto. (Si alza e fa per salire le scale).

Alwa                           - Non ti muovere!

La contessa Geschwitz          - (a Lulù) Credevo che avesse sparato contro di te.

Lulù                            - (buttandosi ai piedi di Alwa) Pietà, non devi consegnarmi alla giustizia. L'ho ucciso, solo perché voleva uccidermi. L'ho fatto per difendermi. Non ho amato che lui, Alwa, chiedimi quello che vuoi, ma non farmi cadere nelle mani della giusti­zia. Intorno a me, non ci sono che sciagura e ro­vina! Sono ancora così giovane. Prendimi con te; voglio appartenere a te, a te solo. Guardami, Alwa. (Di fuori si bussa alla porta).

Alwa                           - La polizia!

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

La stessa sala del terzo atto.

Vicino al primo pilastro del parapetto della scala c'è un cavalletto vuoto che ha solo una fun­zione decorativa. A destra un'ampia ottomana; in mezzo un tavolo quadrangolare attorno al quale stanno tre sedie dallo schienale molto alto. A si­nistra un tavolinetto di servizio e vicino un seggio­lone. Sul tavolo di mezzo una lampada a petrolio mascherata da uno scialle rischiara debolmente la sala.

(Alwa Schoen cammina in su e in giù dalla por­ta d'ingresso al proscenio. Rodrigo è seduto sull'ot­tomana in abito di domestico. A sinistra, sul seg­giolone, la contessa Geschwitz, con un plaid sulle ginocchia, sprofondata fra i cuscini. Indossa un abito nero, aderentissimo. Vicino a lei sul tavolo c'è una macchinetta per fare il caffè ed una tazza).

Rodrigo                      - Si fa aspettare più di un direttore d'orchestra.

La contessa Geschwitz          - Taccia, la scongiuro!

Rodrigo                      - Con tanti pensieri per la testa dovrei anche tenere chiuso il becco? Fra l'altro non riesco a capire come abbia potuto imbellire!

La contessa Geschwitz          - E' divenuta ancora più bella di quando l'ho conosciuta!

Rodrigo                      - Dio mi guardi dall'affidare la mia fe­licità ai suoi gusti personali! Se la malattia le ha donato, come ha donato a lei, posso star fresco! Lei è uscita dalle baracche dell'isolamento con un aspetto da bohèmienne affamata... E' molto se rie­sce a soffiarsi il naso. Ci mette un quarto d'ora a tirar fuori le dita, e poi attenta a non romperle che sono di vetro.

 La contessa Geschwitz         - Ma quello che porte­rebbe uno di noi nella fossa, a lei invece dà forza e salute.

Rodrigo                      - Sarà! Però nonostante questo, stasera probabilmente non partirò con voi.

La contessa Geschwitz          - Lascerebbe partire sola la sua fidanzata?

Rodrigo                      - Prima di tutto con lei parte il vec­chio che potrà aiutarla in caso di complicazioni. La mia compagnia servirebbe soltanto ad aumen­tare i sospetti. In secondo luogo sono costretto a rimanere qui finché non siano pronti i miei co­stumi. Arriverò a Parigi sempre a tempo! Speriamo che intanto si sia un po' rimessa in carne. E allora garantisco formalmente che la farò debuttare da­vanti ad un pubblico decente. Nella donna mi piace la praticità; non mi importa affatto che abbia del­le idee sue. Non la pensa così anche lei, dottore?

Alwa                           - Non ascoltavo.

Rodrigo                      - Non sarei entrato nella faccenda se lei non mi avesse invogliato a farlo con la sua partecipazione. Purché a Parigi non si agiti trop­po! Avrei preferito portarmela a Landra per sei mesi e mantenerla a plumcakes. A Londra ci si va soltanto con la brezza marina! E oltre tutto ad ogni sorso di birra non ci si sentirebbe stringere intorno al collo il nodo del destino.

Alwa                           - Da otto giorni non faccio che chiedermi se chi ha scontato una condanna in casa di pena possa ancora interpretare la figura del protagonista in un dramma moderno.

La contessa Geschwitz          - Se venisse!

Rodrigo                      - Debbo svincolare i ferri del mestiere dal monte di pietà: seicento chili del miglior ferro. Il loro trasporto costa sempre tre volte più caro del mio, e tutto l'armamento non ha il valore di un bottone. Quando sono arrivato al monte gron­dante di sudore, mi hanno chiesto se gli oggetti erano autentici. Veramente avrei fatto meglio a farmi preparare i costumi a Parigi. Il parigino sa valutare le belle forme a prima vista. E allora si butta coraggiosamente alle scollature. Ma questo non si può fare con le gambe storte, bisogna posse­dere la linea classica. Hanno più paura qui della carne nuda che a Parigi della dinamite. Due anni fa, all'Alhambra, ebbi una multa di cinquanta marchi perché mi si vedevano sul petto un paio di peli che non basterebbero neanche per uno spaz­zolino da denti un po' decente. Ma il ministro del culto pensava che potessero far perdere la gioia di far la calzetta alle ragazzine di scuola. Da al­lora mi faccio radere ogni mese.

Alwa                           - Se adesso non mi fosse assolutamente indispensabile sfruttare tutta la mia duttilità in­tellettuale per creare un'opera come il «Domina­tore del mondo », vorrei pormi il problema della sua straordinaria abilità nel sollevare i pesi. La maledizione che incombe sulla nostra nuova lette­ratura è appunto questa: noi poeti siamo troppo imbevuti di letteratura; non abbiamo altri proble­mi e non conosciamo altre esigenze che quelle par­ticolari agli scrittori e agli studiosi. Nella « Danza della morte » ho cercato con tutte le mie forze di lavorare secondo questi principi. La donna che mi doveva essere di modello per la figura principale del lavoro, da più di un anno guarda il cielo attra­verso le sbarre di una prigione. Solo così ho potuto concepire un dramma che sì staccasse dalle vie già battute, libero da qualsiasi convenzione letteraria. Finché era ancora vivo mio padre, tutti i palcosce­nici tedeschi erano aperti alle mie creazioni. Ma la situazione da un giorno all'altro si è radical­mente cambiata.

Rodrigo                      - Mi sono fatto fare delle maglie di un delicatissimo verde-azzurro. Se a Parigi non avran­no successo mi metterò a vendere trappole per i topi!

La contessa Geschwitz          - Che consolazione, ieri, quando tutto il personale di guardia all'ospedale mi sfuggiva. Il portiere mi aveva riconosciuta, e un assistente che mi incontrò nel corridoio scappò come se gli si avessero sparato dietro un colpo di pistola. Le suore fuggivano nelle sale, o si facevano piccole piccole accanto alle pareti. Quando tornai indietro non c'era anima viva nel giardino e sotto il por­tico. Non ci poteva essere occasione migliore per portarla via se avessimo avuto quei dannati pas­saporti. E adesso quello lì dice che non vuole più partire con noi!

Alwa                           - Signorina von Geschwitz, mi permetta di tornare ancora una volta sulla mia proposta. Quella donna ha ucciso mio padre in questa stan­za, ma nonostante questo, sia nel delitto che nella condanna, non posso vedere altro che una tragica e imprevedibile fatalità. Io sono certo che mia pa­dre, se fosse ancora in vita, non l'avrebbe mai ab­bandonata. Non voglio scoraggiarla, ma metto an­cora in dubbio la possibilità di riuscita del suo pro­getto di evasione. Ciononostante non trovo parole per esprimerle l'infinita ammirazione che susci­tano in me la sua abnegazione, la sua forza di vo­lontà e il suo sovrumano disprezzo della morte. Non credo che un uomo abbia mai messo tanto in giuoco, sia per la donna che ama e ancora meno per un amico. Signorina von Geschwitz, non conosco le sue possibilità finanziarie, ma immagino che le spe­se per realizzare questo piano abbiano intaccato profondamente le sue disponibilità. Mi permette di farle un prestito anche considerevole, se neces­sario?

La contessa Geschwitz          - Grazie. Ne riparlere­mo. La ringrazio di aver pensato a questo.

Rodrigo                      - Signor dottore, anche le mie finanze sono molto scosse. Sono stato tre mesi in ospedale per sondare il terreno dopo una lunga preparazione morale ad una prova così dura. Adesso, signor dot­tore, qui da lei, mi tocca fare il cameriere perché non venga nessun estraneo in casa. Quando mai un fidanzato ha fatto di più per la sua bella?

Alwa                           - Se le riuscirà di trasformare quella don­na in un'artista avrà compiuto un vero miracolo; forse questo eviterà che possa ricadere nel delitto.

Rodrigo                      - Non dubiti. Sarà un buon pascolo per il gregge!

 La contessa Geschwitz         - Eccolo! (Si odono sulla galleria dei passi che si fanno man mano più distinti, si apre la tenda sulla scala e ne esce Schi­golch. Ha un cappotto nero lungo e un entoutcas bianco nella destra. Sbadiglia continuamente).

Schigolch                    - Maledizione, che buio! Fuori c'è un sole che brucia gli occhi.

La contessa Geschwitz          - (liberandosi faticosa-niente dalla coperta) Vengo subito!

Rodrigo                      - Sua Grazia la contessa non vede la luce del sole da tre giorni. Qui si vive come in una trappola.

Schigolch                    - Sto girando dalle nove dì stamane. Ho le gambe che mi ciondolano come batacchi di campane. A Parigi sarà un'altra vita.

Rodrico                       - In che albergo volete scendere?

Schigolch                    - Speriamo che non sia di nuovo all'» Ochsenbutter »!

Rodrigo                      - Vi raccomando l'Hotel Montespan sul boulevard Rochechouart. Ci ho vìssuto con una domatrice di leoni. I proprietari sono di origine berlinese.

La contessa Geschwitz          - (rizzandosi sul seggio­lone) Aiutatemi ad alzarmi!

Rodrigo                      - (le corre vicino e la sorregge) Là sarete al sicuro dalla polizia.

La contessa Geschwitz          - (rivolgendosi a Schi­golch) La vorrebbe far partire oggi pomeriggio con lei solamente.

Schigolch                    - (a Rodrigo) Soffre molto di geloni!

Rodrigo                      - Pretendete che io debutti alle « Folies Bergères» in camicia da notte e pantofole?

Alwa                           - (ha in mano una busta e si rivolge alla contessa Geschwitz che sta vicino al tavolo cen­trale appoggiata ad una spalliera) In questa bu­sta ci sono diecimila marchi.

La contessa Geschwitz          - No, grazie.

Alwa                           - La prego di accettarli,

La contessa, Geschwitz         - (a Schigolch) Ma si muova!

Schigolch                    - Pazienza, cara signorina. In cin­que minuti faccio un salto fino all'ospedale e torno con lei.

Alwa                           - La porta qui?

Schigolch                    - Sì. La porterò qui. O ha paura per la sua salute?

Alwa                           - Come vede, non ho paura dì niente.

Rodrigo                      - Secondo le ultime informazioni il dottore farà un viaggio a Costantinopoli, per rap­presentare la sua « Danza della morte ».

Alwa                           - (aprendo la porta di mezzo sotto la gal­leria) Escano da qui, si fa più presto. (Schigolch e la contessa Geschwitz lasciano la sala. Alwa chiu­de la porta dietro di loro).

Rodrigo                      - E lei voleva dare del denaro a quella vecchia pazza?

Alwa                           - Che glie ne importa?

Rodrigo                      - Mi state trattando peggio di uno spaz­zino. Nonostante che io abbia dovuto abbassare il morale a parecchie suore all'ospedale. Dopo di loro agli assistenti e ai consiglieri. E dopo...

Alwa                           - Davvero? Gli assistenti si sono lasciati corrompere da lei?

Rodrigo                      - Col denaro che ho dovuto sborsare per quei figli di cani, in America sarei potuto di­ventare presidente....

Alwa                           - La signorina von Geschwitz le ha rifuso le spese fino all'ultimo centesimo. E, per quanto ne so io, oltre a questo le corrisponde uno stipen­dio. Ci sono dei momenti in cui mi riesce piuttosto difficile credere al disinteresse del suo amore per quella disgraziata che sta in carcere. Se io adesso ho pregato la signorina von Geschwitz di accettare il mio aiuto, non l'ho fatto certo per saziare la sua sete di guadagno. Davvero non vedo chiaro nelle sue pretese. Che lei per un puro caso fosse presente all'assassinio di mio padre, non ha certa­mente creato fra me e lei un qualsiasi vincolo di parentela. Anzi, sono fermamente convinto che lei, se non le fesse venuta in aiuto l'iniziativa della con­tessa Geschwitz, oggi non sarebbe tanto rimpan­nucciato e disinvolto.

Rodrigo                      - E lei si troverebbe in una bella posi­zione, se quelle carte sporche che redigeva suo pa­dre non le avessero reso due milioni di marchi.'

Alwa                           - Lei è un ricattatore!

Rodrigo                      - Fosse vero! Ma io le metto la punta del piede sotto il mento, e la sua lingua va a pas­seggiare sul tappeto.

Alwa                           - Provi! (Si sentono da fuori passi e voci) Chi è?.

Rodrigo                      - E' una bella fortuna per lei che ci sia gente.

Alwa                           - Chi può essere?

Rodrigo                      - La mia beneamata! E' più di un anno che non ci vediamo.

Alwa                           - Ma non è possibile che siano già di ritorno! Chi sarà? Non aspetto nessuno.

Rodrigo                      - Al diavolo! E allora chiuda!

Alwa                           - Si nasconda!

Rodrigo                      - Vado dietro la tenda. Proprio come un anno fa. (Rodrigo scompare dietro la portiera di destra, Alwa apre la porta di mezzo da cui entra Alfred Hugenberg col cappello in mano).

Alwa                           - Con chi ho... Lei? Lei non è...

Hugenberg                  - Alfred Hugenberg.

Alwa                           - Cosa vuole?

Hugenberg                  - Vengo da Muensterberg. Sono fug­gito stamattina.

Alwa                           - Mi scusi. Ho dei disturbi alla vista e sono costretto a tener chiuse le persiane.

Hugeneerg                  - Ho bisogno del suo aiuto. Lei non me lo vorrà negare, spero. Ho preparato un piano. Siamo soli?

Alwa                           - Mi faccia il piacere di dirmi di che cosa intende parlare.

Hugenberg                  - Quella donna non può esserle in­differente. In istruttoria le sono state più utili le sue dichiarazioni di tutto quello che ha potuto dire la difesa.

Alwa                           - Non permetto queste insinuazioni!

Hugeneerg                  - Naturalmente capisco che lei.,. adesso... ma allora il miglior testimonio a scarico fu proprio lei.

Alwa                           - No, lei, quando disse che mio padre voleva costringerla ad uccidersi.

Hugenberg                  - Ed era andata proprio così! Ma non mi hanno voluto credere; non sono stato nem­meno interrogato.

Alwa                           - Ma adesso di dove viene?

Hugenberg                  - Sono fuggito stamane dalla casa di correzione.

Alwa                           - Come ha fatto?

Hugenberg                  - Ho carpito la fiducia di un carce­riere.

Alwa                           - Come intende vivere?

Hugenberg                  - Abito da una prostituta che ha avuto un bambino da mio padre.

Alwa                           - Chi è suo padre?

Hugenberg                  - Un direttore di polizia. Conosco la prigione senza esserci mai stato; e, così come sono ora, nessun guardiano mi potrebbe riconoscere. Ma non conto su questo. So invece che c'è una scala di ferro nel primo cortile da cui si raggiunge il tetto. Attraversando un abbaino poi si arriva sotto il sof­fitto. Dall'interno non si può. Sotto il tetto in tutte e cinque le ali della prigione ci sono delle assi ed ima gran quantità di segatura. Ne faccio cinque mucchi agli angoli del fabbricato e dò fuoco.

Alwa                           - Ma lei potrebbe anche morire tra le fiamme.

Hugenberg                  - Naturalmente, se non mi salvano a tempo.

Alwa                           - Come è riuscito ad arrivare qui dalla casa di correzione?

Hugenberg                  - Sono saltato dalla finestra. Mi oc­corrono duecento marchi.

Rodrigo                      - (scostando le tende) D signor barone desidera che il caffè venga servito nella sala da musica o nella veranda?

Hugenberg                  - Da dove è uscito quello lì? Dalla stessa porta! Anche allora uscì da quella porta!

Alwa                           - L'ho preso al mio servizio. E' un uomo fidato.

Hugenberg                  - (stringendosi disperatamente le tem­pia) Che stupido, che stupido!

Rodrigo                      - Eh sì! Non è la prima volta che ci vediamo. Ritorni immediatamente dalla sua gen­tile vicemadre. Abbiamo sofferto molto della sua assenza! Se nei prossimi quindici giorni lei noi ca­pita ancora tra i piedi...

Alwa                           - Via, si calmi!

Hugenberg                  - Che stupido!

Rodrigo                      - Fuori! (.Caccia Hugenberg fuori del­la porta e torna indietro) Come mai non ha messo il suo portafoglio a disposizione di quello straccione?

Alwa                           - Mi risparmi le sue volgarità.

Rodrigo                      - Delia Geschwitz ne ho fin sopra i ca­pelli. Se la mia fidanzata deve essere messa in li­bertà condizionata, tanto vale che se la prenda un altro. Voglio fare di lei la più splendida acrobata che sia mai esistita, e in questo giuoco rischio vo­lentieri la mia salute. Però voglio essere padrone In casa mia e di conseguenza sceglierle di persona ì cavalieri.

Alwa                           - Nelle mie condizioni solo la morte mi fa paura. Nel regno del sentimento sono il più misero accattone. Ma non ho più la forza morale di lasciare le mie posizioni che sono oramai consoli­date, per una vita avventurosa e selvaggia. (In alto, dalla galleria, si sentono dei passi trascinati).

Rodrigo                      - Eccola! La più splendida acrobata dei giorni nostri! (Si apre la tenda sulla scala e Lulù, vestita di nero, appoggiata al braccio di Schigolch, si trascina lentamente giù per i gradini).

Schigolch                    - Arri, vecchia rozza! Dobbiamo par­tire oggi stesso per Parigi.

Rodrigo                      - (spalancando gli occhi addosso a Lulù stupefatto) Per mille fulmini!

Lulù                            - (fino alla fine dell'atto parlerà in tono vivace) Piano! Mi fai male al braccio.

Rodrigo                      - Hai una bella dose dì faccia tosta! Scappare di prigione con questo aspetto da lupa affamata!

Schigolch                    - Chiudi il becco!

Rodrigo                      - Corro dalla polizia! Sporgo denun­cia. Vedrete se non sporgo denuncia. (Esce).

Schigolch                    - Corri, corri!

Lulù                            - Se ne guarderà bene!

Schigolch                    - E finalmente ci lascia in pace! Un caffè per la signora.

Alwa                           - (vicino al tavolo) Ecco il caffè, non c'è che da versarlo.

Schigolch                    - Devo fissare i posti per il vagone letto.

Lulù                            - Come è bella la libertà!

Schigolch                    - Fra mezz'ora torno a prenderti. Festeggeremo la partenza al ristorante della sta­zione. Ordinerò un pranzo che ci basti fino a Pa­rigi. Buon giorno, dottore!

Alwa                           - Buona sera!

Schigolch                    - Buon riposo! Grazie, qui conosco ogni angolo. Arrivederci! Buon divertimento! (Esce dalla porta di mezzo).

Ltjlù                            - E' un anno e mezzo che non vedo più una stanza: tende, sedie, quadri...

Alwa                           - Vuoi bere qualcosa?

Lulù                            - Son cinque mesi che ne ingollo abba­stanza di caffè nero. Hai liquori?

Alwa                           - C'è dell'Elixir di Spa.

Lulù                            - Mi ricorda i vecchi tempi. (Mentre Alma riempie i bicchieri si guarda intorno) Dov'è il mio ritratto?

Alwa                           - L'ho messo nella mia stanza perché non lo vedessero qui.

Lttlù                            - Vallo a prendere.

Alwa                           - In prigione non hai perso un briciolo della tua vanità?

Ltjlù                            - Se sapessi come è angoscioso non po­tersi specchiare per mesi e mesi. A un certo mo­mento sono riuscita ad avere un porta-immondizie nuovissimo. La mattina alle sette, quando spazza­vo, mi specchiavo nel rovescio. La latta non abbel­lisce, ma mi sembrava già tanto. Va a prendere il ritratto nella tua stanza. Devo venire con te?

Alwa                           - Per carità, non ti affaticare.

 

Lulù                            - Mi sono riposata abbastanza.

Alwa                           - (esce dalla porta di destra per andare a prendere il ritratto).

Lulù                            - (sola) Deve avere qualche dispiacere, ma torturarsi la mente per quattordici mesi... Men­tre bacia, ha sempre l'incubo della morte e gli tre­mano le ginocchia. Ma perché, mio Dio, ho sparato contro suo padre in questa stanza?

Alwa                           - (ritorna con il ritratto di Lulù vestita da Pierrot) E' coperto di polvere. Lo avevo appog­giato contro il camino.

Lulù                            - Non lo hai mai guardato quando io non c'ero?

Alwa                           - Dopo la vendita del giornale ho dovuto sistemare molte cose importanti. La Geschwitz se lo sarebbe preso volentieri, ma doveva cercare casa. (Appoggia il quadro sul cavalletto).

Lulù                            - Ora quella disgraziata, quel mostro im­para a conoscere a sue spese le gioie della vita nell'Hotel Ochsenbutter.

Alwa                           - Non riesco ancora rendermi conto di come si siano svolti gli avvenimenti.

Luxù                           - Oh, la Geschwitz è stata molto brava: ho ammirato molto la sua ingegnosità. Quest'estate ad Amburgo c'è stata una spaventosa epidemia di colera, e da questo ha preso lo spunto per il suo progetto. Ha seguito un corso di infermiera, e quando le hanno rilasciato gli attestati necessari è partita per Amburgo, per andare a curare i ma­lati di colera. Alla prima occasione ha scambiato la sua biancheria con quella di un ammalato che era appena morto, e che doveva essere bruciata. E' partita immediatamente ed è venuta a trovarmi in prigione. Appena uscita la sorvegliante dalla cella ci siamo scambiate la biancheria.

Alwa                           - Per questo tu e la Geschwitz vi siete ammalate dì colera nello stesso giorno?

Lulù                            - Certo! Lo scopo era quello. La Geschwitz naturalmente fu subito trasportata alle baracche d'isolamento. Anche per me non c'era altro posto da scegliere. Ci misero nella stessa stanza all'iso­lamento, dietro l'ospedale, e la Geschwitz fin dal primo momento, cercò in tutti i modi di rendersi uguale a me. Avantieri è stata rilasciata perché era guarita. Mezz'ora fa è tornata dicendo che ave­va dimenticato qualche cosa. Io ho indossato i suoi abiti, lei si è infilata nel mio letto, ed io sono uscita. (Allegramente) E adesso... è lei l'assassina del dottor Schoen.

Alwa                           - Però il quadro ti somiglia ancora.

Lulù                            - Sono un po' dimagrita in viso, ma nel resto non mi sono sciupata affatto. In carcere si diventa terribilmente nervosi.

Alwa                           - Quando sei entrata avevi un aspetto da far paura.

Lulù                            - Ci voleva, per togliere di mezzo quel sal­timbanco. E tu che hai fatto durante tutto questo tempo?

Alwa                           - Ho avuto un certo successo nell'ambien­te letterario con un lavoro che avevo scritto su di te.

Luxù                           - Chi è la tua amica del cuore?

Alwa                           - Un'attrice.

Lulù                            - Ti ama?

Alwa                           - Che vuoi che ne sappia! Non la vedo da sei settimane!

Lulù                            - Come ci resisti?

Alwa                           - Tu non potrai mai capirlo. In me c'è una profonda ed intima connessione fra la sensua­lità e le creazioni del mio spirito. Così, per esempio, verso di te, non mi resta che la scelta, o di crearti letterariamente come personaggio, o di amarti.

Lulù                            - (come se narrasse una favola) Quasi ogni notte in sogno mi pareva di sfuggire alla stret­ta di un assassino. Vieni, dammi un bacio.

Alwa                           - Nei tuoi occhi ci sono dei riflessi, come quando si butta un sasso in uno specchio di acqua profonda.

Lulù                            - Vieni!

Alwa                           - (la bacia) Le tue labbra sono divenute più sottili.

Lulù                           - Vieni! (Lo fa sedere e si siede sulle sue ginocchia) Ti faccio schifo? Nell'Hotel Ochsenbutter ogni quattro settimane avevamo diritto ad un bagno tiepido. Le sorveglianti approfittavano di quell'occasione per frugarci nelle tasche appena eravamo in acqua. (Lo bacia appassionatamente) Credevi di non poter scrivere su di me, se non ti ero vicina? Ti ricordi di quel ballo in costume in cui ero mascherata da paggio? Che successo ebbe con tutte quelle donne ubbriache! La Geschwitz mi strisciava ai piedi e mi supplicava di calpestarle il volto con le mie scarpette di raso.

Alwa                           - Vieni!... Com'è dolce...

Lulù                            - (come se sgridasse un bambino disubbi­diente) Piano; ho ucciso tuo padre.

Alwa                           - H mio amore non potrà mai spegnersi. Baciami!

Lulù                            - Alza il viso. (Lo bacia lentamente).

Alwa                           - Tutto l'ardore della mia anima è per te: l'hai conquistato col tuo incanto. Com'è puro il tuo respiro. Eppure, se non avessi quegli occhi grandi e scuri da bambina, ti crederei la donna più astuta che mai abbia portato un uomo alla rovina.

Lulù                            - (si ricompone) Magari lo fossi! Vieni con noi a Parigi. Potremo stare sempre insieme. Potremo essere felici.

Alwa                           - Ti sento sbocciare come una musica. Queste ossa sottili sono come un adagio; queste divine curve, le tua ginocchia: il capriccio; ecco il violento andante della voluttà.

Lulù                            - (allegramente) Per questo affondo le mani nei tuoi capelli. (Esegue).

Alwa                           - Mi hai trascinato fuori di me, in un mondo sovrumano.

Lulù                            - Verrai con me?

Alwa                           - Ma quel vecchio parte con te.

Lulù                            - Non lo vedremo più. Quello è il divano dove tuo padre ha perduto l'ultima goccia di sangue?

Alwa                           - Taci, taci...

Fine del quarto atto

ATTO QUINTO

Una soffitta senza finestre.

Due grandi vetrate si aprono nella fuga del tetto. Sul fondale, a destra e a sinistra, due porte sghangherate. Nel proscenio, a destra, un materasso sporco e stracciato, a sinistra un tavolino tenten­nante su cui posano una bottiglia di whisky e una fuligginosa lampada a petrolio; più a sinistra, nell'angolo, una logora sedia a sdraio. Vicino alla porta di mezzo, una seggiola sfondata.

(La pioggia batte sul tetto. Da una fessura cola­no delle gocce, e una parte dell'impiantito ne viene allagata. Schigolch riposa sul materasso, avvolto in un lungo e grigio cappotto. Sulla sedia a sdraio Ahoa Schoen, coperto da un plaid. La cinghia del plaid pende dalla parete).

Schigolch                    - La pioggia batte il tamburo, come in una parata.

Alwa                           - Questo tempo è veramente significativo. Per la prima volta lei... (Lulù entra a piedi nudi, con un catino da porre sotto alla fessura del tetto. I lunghi capelli le cadono distesamente sulle spal­le. Porta una sottana nera a brandelli).

Schigolch                    - Che fai, bambina? Non ti sei an­cora lavate le mani?

Alwa                           - Ordine e pulizia sono il miglior orna­mento della povertà.

Lulù                            - (alzando il viso e gettando indietro ì ca­pelli) Che aspetti ad andartene?

Alwa                           - Stavo sognando. Cenavamo assieme Chez Maxim. C'era anchie Bianetta Gazil. Ave­vamo ordinato « Fers de cheval ». La tovaglia era tutta imbevuta di champagne.

Schigolch                    - Ed io sognavo un Christmas-pudding.

Lulù                            - Se almeno ci si potesse riscaldare con le vostre putride ossa!

Alwa                           - Vuoi iniziare il tuo pellegrinaggio a piedi nudi?

Schigolch                    - H primo passo strappa sempre dei gemiti... Ma venti anni fa, non era per nulla migliore. Dopo, quante ne ha imparate! Basta somare la cenere. E' qui solo da otto giorni, e non la può più tenere nemmeno una locomotiva.

Alwa                           - L'acqua trabocca dal catino.

Lulù                            - Dove lo vuoto?

Alwa                           - Sul tetto, dal lucernario.

Lulù                            - (sale su di una seggiola e vuota il catino aprendo leggermente il lucernario) Sembra che la pioggia stia per finire.

Schigolch                    - Stai sprecando l'ora in cui i com­messi, consumata la cena, tornano a casa.

Lulù                            - Volesse Iddio che io riposassi dove nes­sun piede si può posare!

Alwa                           - Me l'auguro anch'io, per me. Non vo­glio tirarla più in lungo! Potessimo morir di fame stasera stessa, ora che viviamo d'amore e d'accordo. Siamo giunti all'ultima tappa.

Lulù                            - Perché non ti muovi, poltrone, e non trovi il modo di sfamarci? In tutta la tua vita non hai guadagnato un soldo!

Alwa                           - Con questo tempo non escono neppure i cani.

Lulù                            - Ma io sì, vero? Io debbo uscire, e con quel poco sangue che ho nelle vene, riempirvi la bocca!

Alwa                           - Che me ne faccio del denaro...

Schigolch                    - Lasciala uscire. Ha mantenuto la propria famiglia fin da quando aveva quindici anni.,. Ma io vorrei un Christmas-pudding, solo un Christmas-pudding. Poi, basta di tutto.

Alwa                           - Io, una bistecca al sangue ed una siga­retta. Poi, morire. Ho sognato.,, fumavo una siga­retta... come mai ne avevo fumate.

Schigolch                    - Ci vedrebbe crepare volentieri. Le farebbe molto piacere.

Lulù                            - Gli uomini della strada, quando non hanno denaro, mi lasciano in mano vestito e man­tello. Voi invece avete venduto perfino i 'miei abiti. Non posso più mettermi in mostra sotto i lam­pioni... Vorrei sapere quale donna, con gli stracci che porto io, riuscirebbe a combinar qualcosa.

Alwa ......................... - Non ho lasciato niente d'intentato. Quando avevo ancora del denaro, ho giocato e cer­cato di vincere, ma ho perso così, di sera in sera, sempre di più; ho gettato il denaro dalla finestra. Dopo, dopo non c'è che un continuo precipizio

Schigolch                    - Già!

Alwa                           - Mi sono lasciato sempre illudere. Sono stato sempre deluso... Quando ho voluto prendere in giro, sono stato preso in giro. Se sono voluto apparire onesto e semplice come ero, ho fatto ri­dire di me. Ho perfino accennato a dire delle vol­garità... ma in modo così puerile che io stesso me ne vergognavo. Non sono riuscito a sopraffare la società in cui vivevo, e non ne ho così potuto ot­tenere la fiducia.

Schigolch                    - Mettiti le mie scarpe, bambina. Non si guasteranno, sta certa, finché sarai tu a portarle. D'altronde, non sento ormai più nulla, dalla punta dei piedi in su. Quando eravamo a Parigi... Giungerà l'ora anche per me, di andar­mene... sarà una gran gioia... da togliermi il re­spiro! A mezzanotte berrò un wisky al Cosmopolitan Club. La ragazza del bar anche ieri mi ha invitato a diventare ,il suo amante.

Lulù                            - Al diavolo! Me ne vado. (Prende la bot­tiglia di whisky dal tavolino e Ut porta alla bocca).

Schigolch                    - Ma prima bevi.

Lulù                            - Non lo bevo tutto.

Alwa                           - Tu non 'uscirai, non devi uscire! Te lo proibisco.

Lulù                            - Che cosa vuoi proibirmi, immondo!

Alwa                           - Ne ho colpa io forse? Tu hai colpa. Finirò all'ospedale. Mi hai gettato nel fango, mi hai reso assassino di mio padre!

 

Lulù                            - Hai forse sparato tu? Del resto tuo pa­dre non ha perso molto... (Entra nella propria ca­mera).

Alwa                           - Mi ha voluto schiacciare col suo Casti-Piani. Ciò che fa è incomprensibile.

Schigolch                    - Dovresti divenire un po' più tolle­rante, se vuoi metterti sul cammino della santità.

Alwa                           - Avrebbe dovuto nascere Imperatrice di Russia! Solo così si sarebbe sentita nel proprio rango. Una seconda Caterina, ecco. (Lulù entra con un paio di stivaletti sfondati. Si siede sull'im­piantito per metterseli).

Lulù                            - Potessi almeno cacciarmi a testa in giù nella tromba della scala! Non c'è nulla di più tri­ste di una prostituta.

Schigolch                    - Pazienza, pazienza; basta cogliere la buona occasione.

Lulù                            - Hai ragione. Non me ne vergognerò più. (Afferra la bottiglia di whisky) Mi riscalda! Mi eccita! Maledizione! (Esce barcollando dalla porta di destra).

Schigolch                    - Quando li sentiremo venire, biso­gnerà nasconderci dietro il tramezzo.

Alwa                           - E' troppo desolante! Ricordo quando crescevamo assieme, ragazzi...

Schigolch                    - Finché potrò vivere, anche lei ti­rerà avanti...

Alwa                           - Le nostre prime relazioni, sono state come tra fratello e sorella. La mamma viveva an­cora. Un mattino entrai per caso nella stanza dove lei si vestiva. Il dottor Goll era stato chiamato per un consulto. Il suo parrucchiere aveva letto una mia poesia... La ricordo al ballo dell'ambasciatore di Spagna, in tulle rosa; non portava sotto che un corpetto di raso. Come tutto ciò sembra lontano, inverosimile...

Schigolch                    - Dubito che ormai possa commuo­vere qualcuno.

Alwa                           - Anche quando ormai si era fatta donna, conservava la freschezza e la giocondità di una adolescente. Aveva tre anni meno di me. Come tutto è lontano!

Schigolch                    - Purché non ci conduca su un mi­serabile a cui confidare i segreti del suo cuore!

Alwa                           - Ho potuto baciarla la prima volta nel suo frusciante abito da sposa. Dopo non me lo ha più permesso. Però credo che, sovente, tra le braccia di mio padre le venisse fatto di pensare a me. Lo ingannava con servi e cocchieri... Solo da quan­do si è data a mio padre, ne ho conosciuto l'anima; e da allora, senza che io me ne sia potuto accor­gere, ella ha preso su di me uno spaventoso potere.

Schigolch                    - Eccoli! (Passi pesanti sulla scala).

Alwa                           - Non lo potrò sopportare; lo scaraven­terò fuori!

Schigolch                    - (si alza a fatica, prende Alwa per il colletto e lo trascina via) Su, su. Come potrà sfogarsi l'amico se noi due gli gironzoliamo at­torno?

Alwa                           - (lasciandosi trasportare come di peso) Bisogna sbarrare la porta! (Escono).

Lulù                            - (apre la porta di mezzo e lascia entrare mister Hopkins, un uomo dal collo di struzzo, il viso liscio e roseo, gli occhi azzurro-cielo. Sorride cordialmente. Porta soprabito e cilindro e ha in mano un ombrello grondante) Questa è la mia stanzetta.

Mister Hopkins           - (mette l'indice sulla bocca e guarda Lulù con intenzione. Poi apre l'ombrello sul fondo della scena per farlo asciugare).

Lulù                            - Non c'è troppo comfort... Mister Hopkins (si fa avanti sulla scena. Le chiude la bocca con una mano).

Lulù                            - A che cosa pensi?

Mister Hopkins           - (toglie la mano dalla bocca di Lulù e porta l'indice alle labbra).

Lulù                            - Non ti capisco.

Mister Hopkins           - (le chiude la bocca).

Lulù                            - (liberandosi) Siamo soli. Non c'è nes­suno.

Mister Hopkins           - (porta l'indice alle labbra, scuo­te la testa negativamente. Indica Lulù, apre la bocca come se volesse parlare, mostra se stesso e voi la porta della camera di Lulù).

Lulù                            - Mio Dio, che mostro!

Mister Hopkins           - (le chiude la bocca. Si fa in­dietro e posa il soprabito su di una sedia. Le si avvicina con il solito ghigno. Prende il capo di Lulù tra le mani e la bacia in fronte).

Schtgolch                    - (dietro la porta che è semiaperta) Soffre di spleen.

Alwa                           - Stia zitto!

Schtgolch                    - Non poteva portar su niente di più sconsolante...

Lulù                            - (ritraendosi) Quanto mi dai?

Mister Hopkins           - (le chiude la bocca e le mette in mano una moneta).

Lulù                            - (guarda la moneta, la fa ballare da una mano all'altra).

Mister Hopkins           - (la fissa incerto come se vo­lesse interrogarla).

Lulù                            - (mettendo il denaro in tasca) Ali Tight!

Mister Hopkins           - (le chiude rapidamente la bocca. Le dà un'altra moneta e la fissa con autorità).

Lulù                            - Sei generoso!

Mister Hopkins           - (fa salti di gioia qua e là per la stanza, come un pazzo, batte le braccia nel vuoto e rivolge lo sguardo al cielo vaneggiando).

Lulù                            - (gli si avvicina cautamente, gli circonda con il braccio la vita e lo bacia sulla bocca).

Mister Hopkins           - (si libera di lei. Ride piano e si guarda intorno dubbioso).

Lulù                            - (prende la lampada dal tavolino, getta a Mister Hopkins uno sguardo carico di promesse, e apre la porta della propria camera).

Mister Hopktns           - (entra ridacchiando. Giunto sotto lo stipite della porta, sventola il cappello).

Lulù                            - (lo segue. La scena è scura. Solamente un raggio di luce penetra da sinistra attraverso la fes­sura della porta. Alwa e Schigolch escono carponi dal tramezzo).

Alwa                           - Sono dentro.

Schtgolch                    - (dietro a lui) Aspettami.

Alwa                           - Non si sente più nulla.

 

Schigolch                    - Non ne hai ancora abbastanza?

Alwa                           - Voglio inginocchiarmi davanti alla porta.

Schtgolch                    - Povero stupido! (Si scosta da Alwa, scivola come un topo, prende il soprabito dalla sedia e ne fruga le tasche).

Alwa                           - (è giunto carponi fino alla porta di Lulù).

Schigolch                    - Guanti, e nient'altro! (Gira il so­prabito e fruga nelle tasche interne. Ne tira fuori un volumetto che porge ad Alwa) Guarda, cos'è?

Alwa                           - (tiene il libro nel raggio di luce che pe­netra dalla porta, e ne decifra faticosamente il titolo) «Lezioni - per quelli - che già sono - e quelli che desiderano essere - lavoratori cristiani - con prefazione - del Rev. W. Hay M. H. ». Molto utile. Prezzo tre scellini e sei pence.

Schtgolch                    - Poveraccio! Iddio non ne vuol più sapere, evidentemente! (Posa il soprabito sopra la sedia e sì nasconde di nuovo dietro al tramezzo) Che c'è da fare a Londra, ormai? L'Impero va in rovina.

Alwa                           - In fondo, il diavolo non è così brutto come si dipinge. (Anch'egli ritorna strisciando die­tro il tramezzo).

Schigolch                    - Mai uno di questi bei tipi che ab­bia almeno un foulard di seta!

Alwa                           - E' meglio sparire. Può darsi che le vo­glia dare ancora qualcosa prima di andarsene. (Schigolch ed Alwa ritornano nella loro cameretta e chiudono la porta dietro di loro. Lulù esce con Mister Hopkins, posa la lampada sul tavolino, men­tre Mister Hopkins la fissa soprapensiero).

Lulù                            - Ritornerai?

Mister Hopkins           - (le chiude la bocca).

Lulù                            - (in parte illuminata. Rivolge lo sguardo al cielo, smarrita, e scuote la testa)

Mister Hopkins           - (si è messo il soprabito e si av­vicina a lei quasi con un ghigno. Lulù gli si getta ai collo, ma Mister Hopkins se ne libera, le bacia la mano e si dirige verso la porta d'uscita. Lulù lo vorrebbe accompagnare, ma Mister Hopkins le fa cenno di rimanere, ed esce senza rumore. Schigolch ed Alwa vengono fuori dal tramezzo).

Alwa                           - Quanto ti ha dato?

Lulù                            - Quindici scellini. Eccoli qui! Prendi! Esco di nuovo.

Schigolch                    - D'ora in avanti potremo vivere come principi.

Alwa                           - Sta ritornando!

Schtgolch                    - Nascondiamoci.

Alwa                           - Cercherà il libro di preghiere. Eccolo qua. Dev'essere caduto dal soprabito,

Lulù                            - ((in ascolto) Non è lui, non mi sembra lo stesso passo. Bussano. Chi può essere?

Schtgolch                    - Sarà qualche buon amico a cui quel bel tipo ci ha raccomandati. Avanti! (Entra la contessa Geschwitz. E' vestita poveramente ed ha in mano un rotolo di tela).

La contessa Geschwitz          - Se vengo male a pro­posito, posso tornarmene indietro. Non ho parlato ad anima viva da dieci giorni. Volevo avvertirti che non ho ancora ricevuto quel denaro. Mio fra­tello non mi ha ancora risposto.

 

Schigolch                    - Ed ora Vostra Grazia vorrebbe de­gnarsi di allungare ì piedi sotto la nostra ta­vola, no?

Lulù                            - Me ne vado!

La contessa Geschwitz          - Dove vuoi andare? Non sono venuta a mani vuote. Ti ho portato qualcosa. Lungo Leicester Square un rigattiere mi ha offerto dodici scellini. Il cuore non mi reggeva di separarmene, ma se vuoi venderlo tu...

Schigolch                    - Che ha Vostra Grazia sotto il braccio?

Alwa                           - Mi lasci vedere. (Le prende dalle mani il rotolo e lo svolge) Mio Dio! E' il ritratto di Lulù!

Lulù                            - (grida fuori di se) E tu, brutto mostro, lo porti qui? Levamelo davanti! Gettatelo dalla finestra!

Alwa                           - Affatto! Voglio dedicargli invece ogni mia attenzione...

Schigolch                    - Appendiamolo alla parete. Farà un'ottima impressione sulla clientela.

Alwa                           - C'è già un chiodo lassù. (Indica la parete).

Schigolch                    - Come l'ha trovato?

La contessa Geschwitz          - Lo tagliai di nascosto dalla cornice, nella vostra abitazione di Parigi, quando siete partiti.

Alwa                           - Peccato che si sia sbiadito agli orli. Non l'ha arrotolato bene. (Appende la tela ad un chiodo della parete).

Schigolch                    - Ce ne vuole un altro sotto, per te­nerlo teso. Darà lustro a tutto l'appartamento.

Alwa                           - Lascia fare a me. (Stacca dei chiodi dalle pareti, si toglie la scarpa sinistra, e batte i chiodi con la suola sull'orlo della tela).

Schigolch                    - Per metterlo in buona luce basta fissarne un lato. Chi lo contemplerà a lungo, potrà soddisfare finalmente ogni passione dei sensi.

Alwa                           - (rimettendosi la scarpa) Quando le venne fatto questo ritratto, la magnificenza del suo corpo era all'apice. Portami la lampada, cara bam­bina! Stasera si è fatto scuro molto prima del solito.

La contessa Geschwitz          - L'autore doveva es­sere un grande artista.

Lulù                            - (con la lampada, dinanzi al quadro) Non lo hai conosciuto?

La contessa Geschwitz          - No. Dev'esser stato molto prima che io ti incontrassi. Ne ho sentito parlare di tanto in tanto. Dicevate che si era im­piccato per mania di persecuzione...

Alwa                           - (paragonando Lulù al ritratto) Ha con­servato negli occhi la stessa espressione infantile, ma tutto il resto è andato a finire nell'immon-dezzaio. Della nostra gioventù è testimone, ormai, solo questo ritratto.

Schigolch                    - Alla luce di un. lampione può pren­derne ancora una dozzina di questi mulini a vento inglesi.

Lulù                            - Hai ragione, vado!

Alwa                           - Non ti lascerò scendere finché abbiamo del denaro.

La contessa Geschwitz          - Dove vuole andare?

 

Alwa                           - Nella strada a pescare i merli; stasera l'ha già fatto una volta.

La contessa Geschwitz          - Lulù, Lulù! Non ti lascerò andare...

Schigolch                    - Se Vostra Grazia vuol mettere le proprie ossa a frutto, si cerchi un altro marcia­piede.

La contessa Geschwitz          - Non devi farlo. Te lo impedirò: ho un'arma, ma non aver paura di nulla; ci sono io! (Lulù esce con la contessa Geschwitz dalla porta di mezzo),

Schigolch                    - Sacramento!

Alwa                           - (si getta sulla sedia a sdraio) Non spero più in nulla...-

Schigolch                    - Avremmo dovuto ricacciarle in gola tutte quelle chiacchiere, a quel suo teschio ari­stocratico... (Sì adagia nel suo materasso) Abbas­sa la luce! (Pausa) Voglio sperare che non siano ri­maste insieme... Bisognerebbe essere proprio stu­pidi per lasciarsi adescare da quelle due!

Alwa                           - Non credo che siano rimaste insieme.

Schigolch                    - Speriamo! Se lei lo ritenesse ne­cessario, sarebbe capace di allontanarla a calci. (Si odono rumori sulla scala. I due si interrogano senza parlare).

Alwa                           - Io resto qui.

Schigolch                    - Ancora qualcuno che vuol gettar via il proprio denaro...

Alwa                           - Beato te, che per quindici scellini, puoi sopportare tutto questo. (Striscia sotto il plaid).

Schigolch                    - Un vero gentiluomo, si comporta come vuole il suo rango. (Si nasconde dietro il tramezzo).

Lulù                            - (aprendo la porta) Vieni, vieni! (Entra il principe Kungu-Poti: ha indosso un soprabito chiaro, calzoni chiari, ghette bianche, cilindro grigio).

Kungu-Poti                 - C'era troppo buio per le scale.

Lulù                            - Vieni, caro, qui c'è più luce,

Kungu-Poti                 - E' il tuo salotto questo?

Lulù                            - Non posso proprio chiamarlo salotto, ma se vuoi: sì.

Kungu-Poti                 - Fa freddo.

Lulù                            - Vuoi bere?

Kungu-Poti                 - Hai del brandy?

Lulù                            - Sì. Vieni. (Porgendogli la bottiglia) Non so dove sia il bicchiere, ma se vuoi rispar­miarmi una fatica, bevi alla bottiglia!

Kungu-Poti                 - Non importa. (Beve alla botti­glia).

Lulù                            - Sei proprio carino. Ma chi sei?

Kungu-Poti                 - Mio padre è sultano di Uahube: a Londra ho sei mogli, tre inglesi e tre francesi, ma non provo piacer a frequentarle. Sono troppo « stilè » per i miei gusti.

Lulù                            - Resti ancora molto a Londra?

Kungu-Poti                 - Quando mio padre morirà, do­vrò andare a Uahube. Il mio regno è grande due volte l'Inghilterra.

Lulù                            - Quanto mi vuoi dare?

Kungu-Poti                 - Una sovrana. Ma non prima.

Lulù                            - Puoi darmela anche dopo. Prima però, fammela vedere.

Kungu-Poti                 - Non pago mai prima!

Lulù                            - Va bene, ma mostrami la sovrana.

Kungu-Poti                 - No, caruccia. Vieni. (L'afferra alla vita) Vieni!

Lulù                            - Ti dico di lasciarmi!

Kungu-Poti                 - (l'afferra pei capelli) Non far tante storie!

Lulù                            - No, no; non così!

Kungu-Poti                 - (la getta a terra) Bene!

Alwa                           - (salta dal giaciglio e afferra Kungu-Poti alla gola).

Kungu-Poti                 - Ma bene! E' una trappola, un covo di assassini! (Estrae un «pugno di ferro», lo impugna e colpisce ripetutamente e violentemente).

Alwa                           - (si piega gemendo).

Kungu-Poti                 - Benissimo! Me ne vado. (Esce).

Lulù                            - Non resto più qui, che storie sono que­ste? Maledetti! (Esce).

Schigolch                    - (chinato sopra Alwa) Sangue, Alwa! Ti ha ferito! (Lo trascina nella stanza di Lulù. Poi cerca di rialzare la luce) E' tempo che anch'io mi prepari, se no al Cosmopolitan Club non trovo più il Christmas-pudding. (Sì apre la porta ed entra la contessa Geschwitz) Visto che per questa notte volete essere nostra ospite, vi prego di guardare che non ci rubino nulla.

La contessa Geschwitz          - Come è buio! Dov'è Alwa?

Schigolch                    - Il signor dottore può essere sod­disfatto. Suo figlio riposa in pace.

La contessa Geschwitz          - Ancora! La maledi­zione è su di noi!

Schigolch                    - Sei ima ragazza ragionevole. Se qualcuno chiede di me, sono al Cosmopolitan Club (Esce).

La contessa Geschwitz          - (si siede sulla seggiola vicino alla porta) Signore Iddio, ti ringrazio di non avermi fatto come costoro! Non sono un uomo io; la mia carne ed il mio spirito non hanno nulla di comune con quelli degli uomini: si tor­mentano e portano in sé un cuore tremendamente ingrato... invece io debbo sacrificare tutto... (Lulù apre la porta e lascia entrare il dottor Hilti; la Geschwitz rimane immobile vicino alla porta senza essere osservata).

Lulù                            - Dove vi siete trattenuto fino a quest'ora?

Il dottor Hilti              - Sono andato a teatro. C'erano delle ballerine che alzavano prima la gamba de­stra e poi quella sinistra. Tutte assieme! Non ave­vo mai visto degli angioletti simili.

Lulù                            - Ah, no? Ma non sei inglese?

Il dottor Hilti              - Sono qui soltanto da due set­timane. Tu sei nata a Londra?

Lulù                            - No. Sono francese.

Il dottor Hilti              - Vengo proprio da Parigi. Ci sono rimasto otto giorni. Sono di Zurigo.

Lulù                            - Allora parli il tedesco.

Il dottor Hilti              - Conosci il tedesco?

 

Lulù                            - Un poco. Uno dei miei amanti era di Berlino,

Il dottor Hilti              - Diavolo! Sono proprio con­tento che tu conosca il tedesco.

Lulù                            - Resti tutta la notte?

Il dottor Hilti              - Ma... non ho con me che dieci scellini. Porto sempre poco denaro, quando esco.

Lulù                            - Possono bastare... Hai gli occhi così dolci... vieni, abbracciami. Sei sposato?

Il dottor Hilti              - Perché supponi che io sia sposato? Sono libero docente di filosofia. Studio ancora, insomma.

Lulù                            - Non sei mai stato con una donna?

Il dottor Hilti              - Che domanda?! Come fai a capire?

Lulù                            - (gettando indietro i capélli) Coraggio, vieni, filosofo. (Conduce il dottor Hilti nella ca­mera, portando via il lume. Dall'interno chiude la porta a catenaccio).

La contessa Geschwitz          - (trae un piccolo revol­ver nero dalla tasca e fa il gesto di portarlo verso la tempia. In quel momento si riapre la porta ed il dottor Hilti ne esce terrorizzato).

Il dottor Hilti              - Svergognata, prostituta, è un tranello: avete commesso un assassinio e volete rovinarmi. Maledetti!

Lulù                            - (con la lampada in mano lo trattiene col braccio libero) Che paura hai? che t'importa? non lo hai mica ucciso tu: potrai sempre dimo­strarlo. Rimani.

Il dottor Hilti              - Un morto, lo avete ucciso... (Si precipita fuori dell'uscio e scompare).

Lulù                            - Aspetta, rimani! (Lascia il lume che aveva in mano e si precipita dietro l'uomo scom­parso).

La contessa Geschwitz          - (è agli estremi del suo stato di miseria fisica e morale; fa il gesto di al­zare due o tre volte il revolver verso la tempia, ma non riesce che a fare dei gesti lugubri e scon­nessi) Che vita, che vita! Ed ancora è discesa ed ancora ritornerà accompagnata! (Si trascina fin davanti al ritratto) Non posso andar via per sempre... Non posso rinunciare a te, mio angelo... (Cade in ginocchio) Lulù, abbi pietà di me... (La porta si rispalanca con un calcio del nuovo venuto: è Jack, un enorme uomo, paurosamente forte, qual­che cosa tra lo scaricatore ed il boxeur. Nel suo volto sono fermi tutti i vizi, tutte le mostruosità: è la bestia sotto le sembianze umane. Dietro di lui, simile ad una piuma bagnata sporca inutile, Lulù. La Geschwitz, sorpresa in ginocchio davanti al quadro di Lulù, si raggomitola, si fa piccola, vorrebbe schiacciarsi contro il pavimento. Jack per non pestarla, la scavalca, e Lulù le gira intorno come se si trattasse di un cumulo di immondizie).

Jack                             - (indicando la Geschwitz) Chi è?

Lulù                            - Mia sorella: è pazza; non ci badare...

Jack                             - E dobbiamo tenerla qui?

Lulù                            - Non ti preoccupare; andremo noi di là: c'è un'altra stanza.

Jack                             - Hai una bella bocca. Parla. Sei inglese?

Lulù                            - No, sono tedesca.

Jack                             - Da chi hai preso quella bella bocca?

Lulù                            - Da mia madre, naturalmente. Hai de­naro?

Jack                             - Si capisce che l'ho, il denaro. Quanto vuoi?

Lulù                            - Dipende; vuoi restare tutta la notte?

Jack                             - Sono sposato, non posso. Debbo ritor­nare a casa.

Lulù                            - Puoi dire di aver perso l'ultimo auto­bus e di aver passato la notte presso dei tuoi amici.

Jack                             - Quanto vuoi?

Lulù                            - Una sovrana.

Jack                             - Ti ha mai detto nessuno d'essere pazza come tua sorella? Buona sera. (Fa per avviarsi ed uscire).

Lulù                            - (lo trattiene) Resta, non aver fretta, ci si intende sempre.

Jack                             - Ma perché vuoi che rimanga tutta la notte? mi metti in sospetto. Vorrai combinare qualche cosa quando mi sarò addormentato? non sarà una trappola questo tuo lupanare, con questa pazza tra i piedi? Ma dove sono venuto a cacciarmi? Sta in guardia carina: potresti pagarla cara, se il sangue mi vela gli occhi...

Lulù                            - Ma sta tranquillo! che ti prende? sei sospettoso? (Sempre carponi, la Geschwitz tenta di aggrapparsi alle gambe di Jack nel tentativo di morderlo e di aggredirlo; se ne accorge Lulù che la scosta con i piedi, ed allora Jack fa altret­tanto).

Jack                             - Non si potrebbe togliere di mezzo que­sta tua sorella? E' pazza per sé, oppure è pazza di te? Mi sembra in adorazione, che ti implori, povera bestia. (Cercando gualche cosa con gli oc­chi) Di' un po', dove è nascosto il tuo amico?

Lulù                            - Non ho amici e qui non è nascosto nessuno. Siamo soli.

Jack                             - (batte il piede) E chi c'è al piano di sotto?

Lulù                            - Non c'è nessuno: è una stanza vuota.

Jack                             - (guardandola) Hai proprio una bella bocca!

Lulù                            - E prendila! e smettila, finalmente. (Gli mette le braccia al collo).

Jack                             - E allora andiamo... (Lulù prende la lampada per portarla nell'altra camera; con l'al­tro braccio guida Jack più che abbracciarlo; Jack si accorge, passando, del ritratto di Lulù, lo os­serva, guarda Lulù, rimane un istante sconcerta­to) Dovevi avere molta cura di te, un tempo. Fre­quentavi la società. Ma chi sei, infine?

Lulù                            - E che t'importa? non ti basto ora?

Jack                             - Per me basti, ora. (Escono. La scena rimane al buio, ma dalle due vetrate entra abbastan­za luce per formare due macchie vive in modo che tutto possa essere decifrabile. La Geschwitz, sempre più raggomitolandosi su se stessa come una belva ferita ed ormai inferocita, si solleva piano, terribile e spettrale; il revolver è sempre nella sua mano, inerte ma minaccioso. Geme come in sogno).

La contessa Geschwitz          - Finirla, almeno un poco di coraggio per finirla... ma tu sei ancora qui, anima mia...

Lulù                            - (riappare a piedi nudi ed in camicia, spa­lancando la porta. E' in preda al terrore. Dietro di lei, senza giacca, acceso di furore viene Jack) Aiuto! Aiuto!

Jack                             - In trappola, in trappola! Avete il morto in casa e cercate su chi caricarlo: schifose, prosti­tute... (Mentre si avventa come una bestia su Lulù, la Geschwitz, svelta, felina, come improvvi­samente diventata elastica, si precipita su Jack e gli punta il revolver sul viso. Jack che aveva un coltello in mano più per difendersi che per ucci­dere, lo caccia istintivamente e rapidamente nel corpo della donna. La Geschwitz, colpita, si piega un tantino, ma irrigidisce il braccio e fa in tempo a sparare: non colpisce Jack, che le strappa l'ar­ma di mano, mentre la sua feritrice si affloscia sul pavimento).

Lulù                            - (trema, terrorizzata. Rivolge intorno lo sguardo selvaggio. Improvvisamente afferra la bot­tiglia di whisky, la rompe sul tavolo e si precipita su Jack brandendo il collo della bottiglia come una stupida ed inutile arma. Jack, fulmineo, le fa uno sgambetto e la lascia cadere ai suoi piedi col volto verso il pavimento. La tiene con un pie­de sulla schiena come un piccolo animale, poi la raccoglie, è la parola, e la solleva fino al suo viso con le enormi mani mostruose. Lulù implora) Pietà, pietà.

Jack                             - Chiudi la bocca, schifosa, volevi regalarlo a me il tuo cadavere che è di là? Ma ci ri­metti... (La porta di peso dietro il paravento. Qualche istante dopo si ode un tonfo. Poi silenzio ossessionante. Ecco ricomparire Jack ancora più bestiale nel suo furore. Cerca intorno, prende il catino, lo posa sul tavolo, versa l'acqua, vi im­merge le mani) C'è n'è voluto! (Rialza le mani grondanti, si riguarda intorno) Nemmeno un asciu­gamano in questa casa! (Cava di tasca il fazzo­letto ed incomincia ad asciugarsi le mani. Si ac­corge che non basta, ed allora si curva sulla Gesch­witz e finisce dì asciugarsi ad un lembo della sot­tana) Tutti a posto in questa casa; tutti sistemati. Maledetti! (Spalanca la porta col piede ed esce. Ancora un tragico silenzio, rotto dal rumore dei passi pesanti che scendono le scale).

La contessa Geschwitz          - (si muove un istante, contorcendosi nello spasimo dell'agonia], ed im­plora) Lulù... Lulù... (Silenzio) Vita mia, lasciati vedere ancora una volta... (Silenzio) Ecco: così, ora entriamo insieme nell'eternità... Maledetti! (Muore).

FINE