Lunga marcia di ritorno

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COMCEDIA

LUNGA MARCIA DI RITORNO

Tre atti e sette quadri di Mario Federici

PERSONAGGI

BENEDETTO

CORRADO

MAURIZIO

FALCO

L’EMIGRATO CLANDESTINO

TENENTE MARCONE

ARCANGELI

CAMERIERE

UN SOLDATO

UN IMPIEGATO

MARGA

ALBERTI

LA MOGLIE

BENAGLIA

TELEFONO ALTOPARLANTE

ATTO PRIMO

QUADRO  PRIMO

Una strada.

FALCO                          - Sono diciotto anni the ti seguo, capitano, o non tener conto di quelli trascorsi in trincea... quando ci fermeremo?

CORRADO                   - Tra poco... tra poco ci fermeremo.

FALCO                          - Già, almeno così mi prometti ogni volta. Ma ora, vedi, vorrei togliermi le scarpe, capitano, ho i piedi gonfi: non ci potremmo fermare un momento solo?

CORRADO                   - No... non importa.

FALCO                          - (rassegnato) Davvero non ce la fo. (E dopo una pausa, all'improvviso); Ma dimmi, capitano: per seguirti ho lasciato famiglia, amici di prima guerra e tutto il resto: dunque, ho fatto bene, dici?

CORRADO                   - (convinto di ciò che dice, ma lui-lavili sconfitto) Hai fatto bene. Falco.

FALCO                          - (che s'aspettava, armai, tufi altra ri­sposta, in tono dì rimprovero) Ancora sostieni che ho fatto bene!

CORRADO                   - (ingroppando le spalle, accelerando il passo, con forza)  Ancor», sì. ancorai e lo sosterrò sempre, sempre. (Sembra vo­glia sfuggire alle sue stesse idee).

FALCO                          - (inseguendolo, zoppicando) Aspetta, non correre; perché corri? ho i piedi gon­fi, capitano. (Cerca di trattenerlo).

CORRADO                   - (vìnto, rallenta la marcia).

FALCO                          - (riprende a dire, con tono dimesso soltanto per farsi incollare senza pravocare altre fughe) Invece non ho fatto bene un corno, tu [iure 1» capisci, ora, capitano. Lo so da un pezzo, ormai, che dovevo tornare subito a casa, quando ci disarmarono.

CORRADO                   - (duro: ma certamente più contro se stesso) Smettila e cammina, smettila, ti dico.

FALCO                          - (dopa una pausa)  Che storia, la mia! Avevo una dolce fidanzata che mi scriveva: dopo la guerra ci sposeremo - e buoni amici con i quali me ne andavo in campagna tutte le domeniche - e la dolce fidanzata diceva pure che un nulla bastava a farmi contento - e con gli amici mi sdraiavo sotto gli alberi e ride­vamo perché c'era accorilo completo tra noi.

CORRADO                   - Anch'io avevo una dolce fidan­zata - tutto il mondo l'aveva - anche a me non mancavano Ì sacramenti d'una vita facile - ma smettila dì torturarmi,

FALCO                          - Già, pia, tu dici che siamo gli euro­pei erranti, e forse hai ragione, non dico di no; ma ora che sono finiti i quattrini non c'è più scopo e sono pentito di non essere tornato subito... sono pentito, e que­sto è tutto.

CORRADO                   - Ma la dolce fidanzata non avreb­be saputo più dirti che un nulla bastava per farti contento, se fossi tornato da lei.

FALCO                          - (colpito) Temo proprio di no, ca­pitano.

CORRADO                   - E nemmeno saresti più andato con gli amici a rìdere sotto gli alberi tutte le domeniche.

FALCO                          - Oh, no, ero così mutato, ormai!

CORRADO                   - Via anche loro, i buoni amici e le dolci fidanzate, erano mutati nel frat­tempo.  Ma anche gli allori.  Dove sono ormai gli alberi fronzuti dì quell'epoca, buoni all'amicizia? Li hai più visti in qualche prato del mondo, forse?

FALCO                          - No, non li ho più visti. Li ho Sem-pre guardati tutti, a uno a uno, senza mai riconoscerli. Fu così che scopersi sotto un albero un operaio da tre giorni di­giuno. (/;, all'improvviso, con rancore) Ma perché, perché ci tolsero le armi? Tu mi dicesti allora che la guerra non era finita, che quel silenzio sulle lìnee era una trap­pola indegna, che delle armi avevamo an­cora bisogno.

CORRADO                   - Te lo giuro, Falco, bisogno ur­gente, ancora, più che mai.

FALCO                          - E io ti credo; ma perché, perché ce le tolsero?

CORRADO                   - Avevano paura di noi, della no­stra esperienza scaltrita, un terrore istin­tivo tutti, specialmente nelle città grandi. Tu pure le conosci, ormai, le città gran­di : le abbiamo attraversate tutte, fiutate r fuggite. Ma la guerra era dura a mo­rire; eravamo noi la guerra, non più loro che l'avevano scatenata, noi soltanto, per­ciò ebbero paura, perciò fecero il silenzio su tutte le linee del fuoco, all'improvviso.,, le iene.

FALCO                          - Non dovevamo lasciarci disarmare.

CORRADO                   - Sì, non dovevamo.

FALCO                          - Ma fa colpa è vostra,

CORRADO                   - Nostra!?

FALCO                          - Voi dovevate creare tante piccole polveriere e mettere ciascuno di noi a guardia del suo gruzzolo di polvere: chi e di sentinella non si lascia accostare nem­meno dalla vecchia mamma: chiaro che nessuno avrebbe potuto disarmarci, allora. Perché non l'avete fatto?

CORRADO                   - Non eravamo avvezzi al tradi­mento, noi; non potevamo immaginare un tradimento enorme.

FALCO                          - Anche, questo è vero. Ma, dopo, ci siamo illusi, perù. Tu credevi dì trovare armi dappertutto e gente ben disposta.

CORRADO                   - Tutti mercanti.

FALCO                          - E così, sono diciotto anni che ti seguo e sono stanco. Davvero non ce la fo.

CORRADO                   - Ci fermeremo in quella città che vedi.

FALCO                          - Dio, ti ringrazio, come luccicai

CORRADO                   - Ma taci, almeno.

FALCO                          - Ti chiedo scusa. Del resto lo sai che non sono un vigliacco, che ti seguivo senza tremare all'assalto; ma girare a vuo­to consuma stinchi e resto. Dunque, ve-rameme ci fermeremo? Per sempre, hai detto?

CORRADO                   - Per sempre, in quella eh'è la città dell'amico  Benedetto, Ti ricordi?

FALCO                          - Altroché. In tutte le capitali ho ietto il suo nome al neon. Banca Bene­detto, Banca Benedetto. Quasi sempre in azzurro. Dev'essere ricco sfondato.

CORRADO                   - Lui non volle seguirci.

FALCO                          - Già, no» volle. Le prime volte quel nome mi faceva un certo senso; insomma, mi sentivo sturbare dentro, perché non riuscivo a legare insieme quelle lettere lu­minose col capitano Benedetto che ricor­davo scarno, trasandato e mattacchione.

CORRADO                   - Solo così lo rivedo, solo cosi bi­sogni ricordarlo.

FALCO                          - Non facciamo schermi, capitano, se t'incaponisci è tutt'iitutile.

CORRADO                   - Nostro dovere.

FALCO                          - Ma noi Perché dunque l'andremmo a cercare, per continuare in tre questo scbtflo di marcia, niente, niente?

CORRADO                   - Magari si potesse!

FALCO                          - Ma noi abbiamo bisogno d'altro, di sostare, d'incanalarci, alla fine; in cittì è possibile,

CORRADO                   - Perché no, obbligatorio? Sotto le strade corrono vermi in ghisa e cavi bene costrutti; al dt sopra, uomini: ma ogni cosa sempre verso urta direzione coman­data.

FALCO                          - Mi sfotti, adesso? Dopo rutto è bene che sia così. Vedi come son fatto, io: le scritte al neon non mi sturbano più dao che ho perduto memoria del trincerista ed ho acquistato certezza d'un commefc dator Benedetto forte in gamba. (Pausa) Non dici nu)l3?

CORRADO                   - (ride e poi dice rabbiosa) No.

FALCO                          - Lo so, lo so che il tuo morale e fiacco-, ma bisogna rassegnarsi, che diavo­lo!; c'è andata male, be', sputiamoci so­pra; del resto anche in trincea credevi di comandare q invece non facevi che «se­guire ordini, perciò le cose andavano be­ne... quando andavano bene. Poi, ci siamo buttati alla macchia e quel ch'è peggio senz'armi; che potevamo fare, disgraziati, se nessuno più ri comandava! Vedi, ca­pitano, io vorrei che tu, alla fine, ti fa­cessi capace e riconoscessi magari d'aver perduto.

CORRADO                   - Questo, mai.

FALCO                          - Perdere non è sempre un disonore, e saperlo da te mi farebbe bene, mi met­terebbe, per cosi dire, l'anima in pace.

CORRADO                   - No,

FALCO                          - Ma il fatto stesso che ci siamo in­camminati verso la città del comnwnda-tor Benedetto, questo significa lampante. (£ dopo una pausa) O mi sbaglio?

CORRADO                   - (dapprima quasi in confessione, ap­pesantito; ma poi con forza e rabbioso) -Ho perduto, Falco... sì, ho perduto... ho perduto, che Dio mi stramaledica ! (Infine, buttando ti fiato, sènza volerlo con sol­lievo) Eccoti servito; sei contento, adesso?

FALCO                          - Grazie, capitano, sto già meglio; ma tu stesso... anche per te, vedi...

CORRADO                   - (sopraffacendolo) Ma ti giuro che mi rifarò, quanto è vero che mi chiamo

CORRADO                   - .

FALCO                          - Bene, capitano.

CORRADO                   - Dall'altra parte mi rifare dei pa­timenti, com'è vero che Oggi ho ancora ragione e domani avrà torto marcio.

FALCO                          - Non importa, capitano.

CORRADO                   - Anche te butterò ne! giuoco, Fal­co, vedrai, ti darò il modo di vendicarti come si conviene.

FALCO                          - Grazie, capitano.

CORRADO                   - Mi farò furbo; ci serviremo nottV giorno del commendate* Benedetto: or­mai lo vedo diverso anch'io, forte in gam­ba come tu dici e pazzo ài furberia.

FALCO                          - Ma sì, capitano, ce l'ho davanti agli occhi, sempre, è itti : autorevole più di un comandante dì corpo d'armata, con un certo risolino che soltanto chi ha moki baiocchi può permettersi dì consumare tutti i momenti.

CORRADO                   - Falco, lo sai perché abbiamo com­battuto noi ?

FALCO                          - Oh Dio, capitano, non ricomin­ciamo adesso. Se proprio ci tieni, ebbene per le generazioni future, che sarebbero figli e nipoti, per la civiltà eccetera; ma non mette conto di parlarne fra noi, or» clic nessuno ci sente.

CORRADO                   - Fesso chi legge, Falco; e noi, idealisti, leggiamo sempre, magari per or­dine gerarchico prima io e poi tu, leg­giamo sempre. Ma ora basta, basta per­dio, ti elico the basta. Noi abbiamo com­battuto perché in una parte del mondo si Usasse il caffé al posto del carbone, perché ih un'altra zona il grano servisse da con­cime.

FALCO                          - è vero, ho veduto con quest'occhi, e vero,

CORRADO                   - Perché popoli soffrissero per de­cenni la fame, per questo, soltanto per questo abbiamo combattuto, Falco, ma non lo sapevamo.

FALCO                          - Oh, io l'avevo capito da un pezzo, capitano. Noi parliamo soltanto se inter­rogati; ma ragioniamo per nostro conto e a modo nostro e di fuori non si vede.

CORRADO                   - Anche se si vedesse, nessuno ti darebbe retta. Vedi, Falco, c'è un uomo che queste cose dice tutti i momenti, con linguaggio schietto, avvertendo pure che c'è pencolo di guerra; non gli danno ascolto.

FALCO                          - Guerra, hai detto? Ma allora ci pen­seremo noi; il malato ha bisogno del me­dico; eccoci qua; non siamo mica del tutto consumati; riprendiamo la marcia, capi­tano; finalmente, la guerra!

CORRADO                   - No, no, non credere, seppure, la faranno quando noi saremo vecchi; dì noi non sì fidano, ormai,

FALCO                          - Come, non si fidano I Ma è da stu­pidi non fidarsi! Ma se ci hanno visti alla prova!

CORRADO                   - Sanno che dopo la guerra non ci lasceremmo disarmare come la volta scorsa,

FALCO                          - Ma è naturale!

CORRADO                   - F,c«j che li tiene a freno. Pereto aspettano che la nuova generazione mar turi, inesperta e idealista: quanto ci può esser di meglio, capisci?

FALCO                          - Fetenti! che fetenti!

CORRADO                   - Dimentica, Falco, Ormai abbiamo stabilito di fermarci per sempre nella città di Benedetto. Guarda come luccica.

FALCO                          - Ancora una volta, Dìo ti ringrazio; così potrò curarmi i piedi gonfi con acqua è aceto.

CORRADO                   - Guarda, guarda, accendono le luci.

FALCO                          - E il cielo si fa rosso, capitano, sembra che bruci.

CORRADO                   - Di vergogna, Falco. Ma è meglio che sia il ciclo a farsi rosso che non gli uomini. D'ora innanzi neanche noi ci faremo rossi : per mancanza di tempo.

FALCO                          - Ecco, in trincea non ci potevamo neppure spidocchiare per mancanza di tempo, e in città, se Dio vuole, per la stessa ragione non ci faremo rossi. Ben detto, capitano.

CORRADO                   - Cammina, Falco.

QUADRO SECONDO

Banca Benedetto. - Studio particolare di Be­nedetto, Mobilio severo. Luce raccolta sui tavoli: due, l'uno dirimpetto all'altro. Tra i quali, nella parete di fondo, una vetrata che affaccia nel salone centrate della Banca. Sotto alia vetrata, Mst divano. Accanto al tavolo, che è a sinistra, una macchina da scrivere e una calcolatrice. In primo piano, a sinistra, una porta. Sul divano, giornali aperti. Sui tavoli apparecchi telefonici, an­che di quelli sensa microfono, entro i quali basta imitar la voce per essere uditi. Tastiere elettriche, eccetera. Alle pareti, carte geo-grafiche dell'Europa. America ed Asia, con segni convenzionali visibilissimi. Dal salone centrale, vocio di folla indaffarata, trillar di campanelli, eccetera: un vespaio. - Al le­varsi del sipario, la signorina Alberti sui battendo a macchina una « riscreatissima t>. A un certo punto sì leva, va alla calcolatrice, tira una sommo, torna alla macchina, ter­mina la lettera, la piega, la chiude in busta, preme un bottone, fp consegna all'impie­gato che entra, ordinando: « registrate e fate partire subito » ; infine va al tavolo e si ri­mette a lavorare. Im signorina Alberti ha trent'anni e veste trasandata; ma 'e un tipa caratteristico che potrebbe anche piacere; sol­tanto né lei si cura di sedurre alcuno né gli uomini le badano. - Squilla un telefono,

ALBERTI                      - Banca Benedetto- 'Impaniente). Berlino? Berlino? Ma sì, con la segretaria. (Ascolta, prende appunti). Ma no, no, vi dico di no. (E dopo una pausa, autorita­ria}. V'ho già detto, tutte sul mercato. Ma voi siete 11 per eseguire gli ordini che vi si danno, egregio signore. (Ascolta) Ma certamente. Sì, la responsabilità è mia-Tutta mia. Buon giorno. (Riattacca il mi­crofono).

TELEF. ALTOPARL.   - (la voce di Benedet-to) Alberti.

ALBERTI                      - Dica, commendatore.

TELEF. ALTOPARL.   - (la voce di Benedet­to) Via le Baltimora. Possìbilmente tue te. Inteso?

ALBERTI                      - Bene, commendatore.

TELEF. ALTOPARL.   -  Aspetti. Ferini le Città del Capo e rinforzi l'Alta Slesia. A fra poco.

ALBERTI                      - (a un apparecchio) Via le Balti­mora, Cortesi, via le Baltimora - sì, tut­te. (A un altro apparecchio) Assan? - Fermi le Città det Capo e rinforzi l'Alta Slesia, Compreso? Fermi le Città del Capo e rinforzi l'Alta Slesia, Bene. (Poi si ri­mette al lavoro; ma subito, quasi sovve­nendosi, preme un bottone e all'usciere che entra) La signorina Benaglia, subito.

BENAGLIA                  - (è una ragazza che ha delle aspi­razioni e un magnifico corpo) Buon gior­no, signorina.

ALBERTI                      - Buon giorno.

BENAGLIA                  - Desidera?

ALBERTI                      - . Avvertirla per l'ultima volta dì mostrarsi più corretta.

BENAGLIA                  - Che ho fatto?

ALBERTI                      - Non è dignitoso aggrapparsi a un uomo per togliergli di bocca la sigaretta.

BENAGLIA                  - Aggrapparsi? Oh, no!

ALBERTI                      - Se l'ho vista io.

BENAGLIA                  - Chiedo scusa. Ma io cercavo solo dì riprendere la mia sigaretta, signorina.

ALBERTI                      - Le ho pure detto che assoluta-mente non voglio vederla fumare. Ma lei non sa proprio che farsi dei consigli che le do. Si vede. Lei dimentica perfino che il sig. Forti è suo superiore.

BENAGLIA                  - Non ine ne dimentico, invece. Se il sig. Forti, che è mio supcriore, ha voglia di svagarsi un poco non gli posso dire di no. Alla fine guadagno è00 lire soltanto.

ALBERTI                      - Alla sua età ne guadagnavo tre­cento. Non è questa una buona ragione. E poi, lei veste troppo... succintamente. Non potrebbe fare a meno di dipingersi a quel modo?

BENAGLIA                  - Sono abitini semplici, signorina, di quelli che si comprano bell'e fatti. Costano poco e sono di grande effetto. Guardi.

ALBERTI                      - Troppo frivoli, comunque.

BENAGLIA                  - Ma... non so... mi dica lei, al­lora.

ALBERTI                      - Guardi me.

BENAGLIA                  - Oh, no! Ma la cosa è diversa, signorina. Lei è qua, nell'ufficio del coro-mendatore, ormai al sicuro, protetta dal commendatore.

ALBERTI                      - Che cosa vuol dire, lei?

BENAGLIA                  - Semplicemente che non ha più bisogno di far carriera, questo soltanto, e che può ridersi dei capufficio. È gii cosi difficile farsi un po' di largo attorno.

ALBERTI                      - Lavori di più.

BENAGLIA                  - Lavoro, signorina. Ma non basta.

ALBERTI                      - Deve bastare. Si ricordi di quanto le ho detto. Mi rincrescerebbe prendere dei  provvedimenti.

Benedetto (è un uomo massiccio, come una pietra squadrala, entra).

BENAGLIA                  - (lo scorge per prima, sopraffa la segretaria, per farsi notare, con Kit bel sor-riso, saluta) Ossequi, commendatore.

BENEDETTO               - (senza vederla) Buon giorno.

ALBERTI                      - Vada pure.

BENAGLIA                  - (ancora un sorrìso, ancora un in­chino) Ossequi, commendatore. Buon giorno, signorina. (Esce).

BENEDETTO               - Che voleva?

ALBERTI                      - Ho dovuto riprenderla. Questi dati li ho avuti adesso da Berlino.

BENEDETTO               - (scorrendoli) Come avevamo previsto, no?

ALBERTI                      - Perfettamente. Ma il signor Man-dei non voleva vendere.

BENEDETTO               - Il signor Mandel è un passo.

ALBERTI                      - Pensi che ho dovuto insistere e richiamarlo perfino.

BENEDETTO               - Ha fatto bene. I! signor ManT del è un pazzo. Anche il signor Haim e un pazzo... almeno da qualche tempo.

ALBERTI                      - Credo che il signor Haim sia qual­cosa di più, commendatore.

BENEDETTO               - Un levantino, ALBERTI.

ALBERTI                      - P, quel che pensavo.

BENEDETTO               - Gli scriveremo subito. Per fa­vore.

ALBERTI                      - (alla macchina)  Pronti.

BENEDETTO               - Egregio signor Haim - Jstam-bul. Non sappiamo più che farci della vostra collaborazione per i seguenti mo­tivi.

TELEF. ALTOPARL.   - Parla il cassiere principale.

BENEDETTO               - Dica.

TELEF.ALTOPARL.    - C'è suo figlio, commendatore. Vuole cinquantamila lire.

BENEDETTO               - Cinquantamila?! No, niente. Fino alla fine del mese, più niente.

TELEF.ALTOPARL.    - Ciao, papà. Co­raggio.

BENEDETTO               - Niente.

TELEF.ALTOPARL.    - Ne ho bisogno ur­gente, papà.

BENEDETTO               - Passa da me.

TELEF.ALTOPARL.    - Che storie, papi. Sarebbe la prima volta. Non puoi sbri­garla per telefono?

BENEDETTO               - No.

TELEF.ALTOPARL.    - Se proprio ci tieni, volo. Un bacio a'.la segretaria, papà.

BENEDETTO               - Sciocco. (Ma signorina) Le chiedo scusa.

ALBERTI                      - Un ragazzo, commendatore.

BENEDETTO               - Un ragazzo che ha bisogno ur­gente di cinquantamila lire. Già.

MAURIZIO                  - (entra. È un bel giovane ben nu­trito) Allò, capo. É questa la tua tana? (Vede ALBERTI) Signorina.

ALBERTI                      - Buon giorno, signor Maurizio.

MAURIZIO                  - Senti, capo.

BENEDETTO               - Chiedi scusa.

MAURIZIO                  - Sul mìo onore, è meno brutto lo studio del cassiere, papà.

BENEDETTO               - T'ho detto, chiedi scusa.

MAURIZIO                  - (alla segretaria) Se ci tiene.

BENEDETTO               - Ci tengo io.

MAURIZIO                  - (con disinvoltura) Le chiedo scusa.

ALBERTI                      - Grazie.

BENEDETTO               - (a Maurizio) Siedi. (Alla 'egre-tari», togliendo dalla macchina il foglio cominciato e consegnandoglielo) Continui lei; lei conosce i motivi.

ALBERTI                      - Sì, commendatore. (Prende il fo­glio ed esce).

BENEDETTO               - (va al tavolo, è o finge di essere seccalo, rovista fra le cane, si attarda a leggere qualche foglio).

MAURIZIO                  - Ti chiedo scusa, papà; franca­mente, non credevo dì dispiacerti tanto. Dico sempre alle mie amiche: bacctti al piccino, a te ho detto: baci alla segreta­ria.,- l'ho detto per ammorbidirti.., insom­ma non avevo nessuna intenzione di of­fenderti... non sono maligno, eppoi avevo ben altro pel capo; ho bisogno di cinquan­tamila svanziche, papà, bisogno urgente.

BENEDETTO               - Mi dispiace, ma fino alla fine del mese non ti do più nulla.

MAURIZIO                  - Ne va del mio onore, papà.

BENEDETTO               - (allarmato) Hai perduto al giuo­co?

MAURIZIO                  - (offeso) . Sai bene che debiti di quel genere non ne fo mai.

BENEDETTO               - (rassicurato) Meglio cosi.

MAURIZIO                  - Dunque?

BENEDETTO               - Comunque, no. E ti prego di non insistere,

MAURIZIO                  - Ma io devo insistere, scusami. Del resto, pensa che cinquantamila lire avrebbe potuto chiedertele l'organizzatore dei miei funerali al massimo doman l'altro.

BENEDETTO               - Non dire sciocchezze, (E all' improvviso, spaventato) Perché doman l'altro? Rispondimi. Che tè successo? Vie­ni qua. (Gli va incontro, lo afferra per le braccia, lo costringe a stare in piedi, lo palpa) Fammiti vedere. Vieni qua. Che t'è successo? Sei  sano?

MAURIZIO                  - Se vuoi prendermi a pugni per assicurartene, come credi.

BENEDETTO               - Al diavolo; come ti permetti di spaventarmi?

MAURIZIO                  - Se vedessi la mia macchina, però!

BENEDETTO               - La tua macchinai?

MAURIZIO                  - Schiacciata.

BENEDETTO               - Non mi importa della tua mac­china. Mi importa di te.

MAURIZIO                  - Ti faccio notare che ero sulla macchina.

BENEDETTO               - Insomma, mi vuoi dire che t'è successo?

MAURIZIO                  - Mica facile. I tecnici mi riferi­ranno stasera all'Automobil Club. Sono curioso di saperlo. Affrontavo una curva a centocinquanta quando... insomma, qualcosa è successo che ancora non so. Vorrei poter sapere anche com'è che sono stato sbalzato fuori prima che la macchina si rovesciasse e si incendiasse. Inconcepi­bile addirittura. Ma questo non porrà dir­melo nessuno, non ti pare? Ma parliamo d'affari. Fammi consegnare dal cassiere le cinquantamila lire che mi occorrono. Ora sai che ne ho bisogno.

BENEDETTO               - No, non lo so, non me l'hai detto ancora.

MAURIZIO                  - Non giochiamo a rimpiattino. Ho bisogno dt un'altra macchina, no?

BENEDETTO               - Fossi matto!

MAURIZIO                  - Non posso restare a terra per un incidente stupido. Tra sette giorni ci saranno le gare e sono sicuro dì vincere.

BENEDETTO               - E lo chiami stupido?

MAURIZIO                  - Certo. Sono convìnto che non è stato per un difetto di costruzione; e sono pure convinto che non È dipeso da sba­glio di manovra.

BENEDETTO               - Se credi che m'importi dì co­noscere quale ne sia stata la causa.

MAURIZIO                  - Ma se è l'unica cosa veramente importante in tutta la faccenda!

BENEDETTO               - Per te, forse; ma neppure lo credo,

MAURIZIO                  - Per me e per tutti, papà. Vieni stasera all'Automobil Club e te ne convin­cerai.

BENEDETTO               - Non ho bisogno di formarmi un'opinione. So quel che dico,

MAURIZIO                  - Come credi. Ma io ho sempre bisogno di cinquantamila lire, e aspetto che tu me le dia.

BENEDETTO               - No.

MAURIZIO                  - Via, non essere assurdo.

BENEDETTO               - Assurdo? Perché non voglio che t'ammazzi sono assurdo? No, non ti do nulla. E per un pezzo non ti darò più nulla. Al diavola le corse.

TELEF.ALTOPARL.    - (sopraffacendolo) -Parla Cortesi.

BENEDETTO               - Dica.

TELEF.ALTOPARL.    - Le Baltimora sono state vendute.

BENEDETTO               - Tutte?

TELEF.ALTOPARL.    - Tutte, commen­datore.

BENEDETTO               - Grazie. (A Maurizio) Assurdo! Perché ti faccio fare quella vita là sono assurdo.

MAURIZIO                  - (cerca di rabbonirlo, sorridendo) No... una paternale, no...

BENEDETTO               - t Sei tir» ragazzaccio, ecco quel che sei,

MAURIZIO                  - Mi stupisci enormemente, papi.

BENEDETTO               - Ah, ti stupisco, anche. Dunque è proprio necessario correre a cetitocinquanta e magari a duecento.

MAURIZIO                  - Per chi non ha voglia o non £ fatto per sorbirsi il panorama, si.

BENEDETTO               - E io ti dico di no, che non è necessario.

MAURIZIO                  - Ma allora perché non ti fermi tu pei primo a godertelo?

BENEDETTO               - Io!?

MAURIZIO                  - Vai a rotta di colto è poi pre­tendi che tuo figlio segni il passo.

BENEDETTO               - Io!?

MAURIZIO                  - Ma si. Le Baltimora sono state vendute tutte. In quanto tempo?

BENEDETTO               - Non sono automobili da corsa le Baltimora,

MAURIZIO                  - Sono azioni. Lo so. Ma in quan­to tempo sono state vendute? Forse in un'ora. E quanto hai guadagnato? Un milione. Forse più di un milione, no?

BENEDETTO               - E che significa?

MAURIZIO                  - Altro che centocinquanta all'ora! Perché non ti sei fermato ad ammirare il paesaggio? Tu preferisci passare come un bolide e sì e no t'accorgi che c*è qual­cosa là - mani tese, vita foresta di mani  che la tua corsa rigetta ai margini sempre. Perché non ti fermi? Spiegami dunque.

BENEDETTO               - (dopo una pausa) Alla fine mi fai rabbia. Non ti debbo nessuna spiega­zione. Eppoi... non ti capisco nemmeno.

MAURIZIO                  - Il rischio, mio buon papà, ci piace troppo il rischio.

BENEDETTO               - Ma io ho rischiato per voi, per farvi la vita facile.

MAURIZIO                  - E ci sci riuscito. Fin troppo fa­cile: qualche volta penso perfino che do­potutto mi sarebbe piaciuto di fare l'av­vocato.

BENEDETTO               - Hai la laurea.

MAURIZIO                  - Questo è il guaio: ho la laurea e non posso fare l'avvocato.

BENEDETTO               - Nessuno te lo vieta,

MAURIZIO                  - Un principe del foro guadagna sì e no trecentomila lire all'anno e deve ben sudarsele.

BENEDETTO               - Potresti diventarlo anche tu. Perché non tenti? Sei pure in condizione privilegiata rispetto agli altri.

MAURIZIO                  - Ma è proprio questo, il fatto di non dover lavorare metodicameme e con pazienza e a lungo per vivere, soltanto pei vivere, che mi vieta di esercitare qualsiasi professione!

BENEDETTO               -  E se non ti dessi più nulla?

MAURIZIO                  - Non puoi.

BENEDETTO               - Ma se lo facessi veramente?

MAURIZIO                  - Ormai quella de! lento e fati­coso lavoro è soltanto una nostalgia sco­lastica. Basta urto sbadiglio a liquidarla.

BENEDETTO               - Ma se fallissi?

MAURIZIO                  - Tutti i banchieri hanno viveri di riserva in qualche posto. E comunque le scuderie automobilistiche mi si dispu­terebbero. Ormai le nostre posizioni sono prese: tu hai l'obbligo dì guadagnare almeno trcccntomila lire ogni volta che ti ci metti, ed io quello di raggiungere i duecento chilometri e di superarli.

BENEDETTO               - Ma io non posso permetterli di sprezzare la vita fino a buttarla in un fosso.

MAURIZIO                  - Anche tu da principio l'hai sprez­zata.

BENEDETTO               - Ma nient'affatto, Uscivo dalla guerra, io, figurati un po' se potevo di­sprezzarla. Al contrario, ne conoscevo 'tal­mente ogni valore che volli buttarmi nel giuoco per voi, perché non aveste mai a soffrire per alcun motivo, E se ho ri­schiato, ho rischiato per voi. Ecco perché non posso permetterti. Perché sono tuo padre, tuo padre. Come puoi credere che non pensassi a voi, a voi soltanto, quando giocavo d'azzardo! E invece mettevo da parte per voi, nascondevo per voi, doman­dalo a tua madre, tua madre lo sa, fin dai primi tempi ho s,empte fatto cosi, sempre fatto cosi, appunto perché pensavo che un incidente, un'operazione disgra-ziata avrebbe potuto,., sì, tu l'hai detto... Ma di me non mi sono mai interessato... pensavo a voi, anche oggi per voi, sol­tanto per voi, te lo giurò.

MAURIZIO                  - Ti credo, papà, ma non pos­siamo farei più nulla, te l'ho già detto. Questa è la tua e quella è la mia vita. In sostanza non siamo che due favolosi distruttori.

BENEDETTO               - lo sono la ricchezza.

MAURIZIO                  - . No, tu sei riuscito ad abolire la proporzione che i sempre esistila fra il lavoro e il guadagno: e milioni d'uomini ti invidiano. Io sono l'uomo che tenta di bruciare la proporzione che c'è fra il tem­po e lo spazio; anch'io sort seguito da milioni di giovani.

MARCA                        - (entrando d'impeto) Ciao, papà.

MAURIZIO                  - Arrivi inopportuna.

MARCA                        - Inopportuna?

MAURIZIO                  - (iettato)  Sì. fio bisogno dì cin­quantamila lire. Stavo convìncendolo, cui,,.

MARCA                        - Oh, te le darò delle mìe.

MAURIZIO                  - Veramente?

BENEDETTO               - No, non vog'.io, ti proibisco.

MARCA                        - Certo, no; st: tu non vuoi, papa. (E ammicca a Maurizio),

MAURIZIO                  - (sebbene ubbìa compreso, non può trattenersi dal d'ire) Ma è stupido.

MARCA                        - Devo darti una grande notizia, pa­parino bello, (Abbracciandolo).

BENEDETTO               - Che mi farà felice?

MARCA                        - Lo spero. Ma non so come comin­ciare... sono commossa.

MAURIZIO                  - Un'alua che ù commuove.

MARCA                        - Perché non dovrei? (A Benedetto) È la più grande notizia; sai, la pia stre­pitosa.

BENEDETTO               - Mi preoccupi. Sentiamola dun­que.

MARCA                        - Davvero non so come cominciare.

MAURIZIO                  - Già detto. E sei commossa,

BENEDETTO               - Deve trattarsi di una notizia veramente strepitosa se tu non trovi le parole adatte.

MARCA                        - Oh, sì!

MAURIZIO                  - Butta via la commozióne, Mar­ga, e vedrai che la notizia schizzerà fuori come un bolide a centocinquanta, La com­mozione vuole i preamboli e tu non sei fatta per quel genere di lavoro.

MARCA                        - Bene: te la dirò subito. Sta a sen­tire anche tu, È una bomba che butto -~ non fare quella faccia, papà, (abbraccian­dolo) in guardia, vi dico - allegro, pa­pà : mi sono fidanzata, mi sposo. (£ d'im­provviso sì stacca dal padre per osservarlo meglio).

BENEDETTO               - Tu sci...

MAURIZIO                  - (divertito) Ma non £ !a prima volta, andiamo!

MARCA                        - Non credergli, papà.

MAURIZIO                  - Al diavolo la pia strepitosa ap tizia, (Rìde).

MARCA                        - Perché ho flirtato qualche volta... che c'entra? Questa e una cosa scria, però,

MAURIZIO                  - E va be'.

MARCA                        - Sei insopportabile. Perché non te ne vai?

MAURIZIO                  - Se ti fa comodo,

BENEDETTO               - Un momento  ragazzi. Basta, Maurizio. Lasciate che mi raccapezzi. Quasi non vi riconosco. Magari sediamoci, sono stanco, Marga, se ho ben capito... vorresti fidanzarti.

MARCA                        - Ma no, mi sono fidanzata, papà,

BENEDETTO               - Già : ti sei fidanzata. E sci felice?

MARCA                        - Papà...

BENEDETTO               - No... non mi dispiace. Tutt'at-tro. Ma sci veramente felice? Sicura, in­somma...

MARCA                        - Tanto, papi.

BENEDETTO               - E... si chiama?

MARCA                        - Lamberto, papi, avvocato Lam­berto.

BENEDETTO               - (a cui il nome non dice nulla, assolutamente, piega il capo, in attesa),

MAURIZIO                  - Ma lo conosco. (BENEDETTO pen­de ora dalle labbra del figlio) Un bel tipo. Straordinariamente fortunato al giuoco. Vince tutte le sere.

MARCA                        - Ma tutt'il giorno lavora. Ha una clientela propria.

BENEDETTO               - Sì... capisco... E guadagna molto?

MAURIZIO                  - Al giuoco?

MARCA                        - Smettila.

BENEDETTO               - Taci.

MARCA                        - (nervosa) Non saprei... ma non ha importanza, papà... non ti sembra?... Mi vuole tanto bene, e io pure gliene voglio... e sono ricca.

BENEDETTO               - Già... ma... vedi... penso che avrebbe dovuto dirtelo... lui. No?

MARCA                        - Papà,

BENEDETTO               - Oh, non per contrariarti, (ca­rezzandola) Simo tuo padre. Non sono nato per fare il giudice. Per questo vado avanti a casaccio,,, piccola Marga, Prima, tuo fratello, voleva che discutessi con lui da estraneo... Ma non possol Tu Io ca­pisci che è impossibile... perché vi voglio troppo bene. Óra penso alla felicità tua e... francamente mi preoccupo. Non m'im­porta che il tuo avvocato guadagni mol­to... m'importa di te... soprattutto della tua futura esistenza con Sui, da padre. Ti prego di darmi t»n po' di tempo -qualche giorno basterà - per le informa­zioni, capisci.

MARCA                        - Non è necessario, papà. Le infor­mazioni posso dartele subito.

BENEDETTO               - Credi di saper tutto?

MARCA                        - Te ne darò la [trova. Cosi capirai anche quanto lo ami.

BENEDETTO               - Mi spaventi.

MARCA                        - (fatta ad un tratto audace) L'avvo­cato Lamberto é ammogliato.

MAURIZIO                  - Questo non lo sapevo.

BENEDETTO               - Nelle mani di chi sci capitata, figlia min!

MAURIZIO                  - Pensare che giucca cosi bene a carte.

BENEDETTO               - (a Maurizio) Ma proprio non capisci nulla, tu! Come puoi fare dello spirito?

MAURIZIO                  - Credi che l'abbia inventato lei, il divorzio, papà? Ma è già stato collau­dato da un pezzo.

 

BENEDETTO               - Ti dico di smetterla. No, Marca, io non posso acconsentire. Dev'essere un cacciatore di dote. No, non acconsen­tirà mai.

MARCA                        - Lo sposerò ugualmente. Oggi et siamo fidanzati. Lo amo. Non è un cacciatore di dote.

BENEDETTO               - Ma vive con un'altra, pensa.

MARCA                        - Del resto, se ci tieni a saperlo, an­che quella donna è ricca.

BENEDETTO               - Ricca?

MARCA                        - Ricca, ricca.

BENEDETTO               - (dopo aver riflettuto a lunga) -Allora di' al tuo avvocato che badi ai mali passi. Perché tu non hai nulla.

MARCA                        - Non importa.

MAURIZIO                  - I tuoi milioni.

BENEDETTO               - Quelli no.

MARCA                        - Non imporla. Glielo dirò eerta­mente. Sono sicura di lui.

BENEDETTO               - Sei una bambina.

MARCA                        - . Non so che farmene dei tuoi quat­trini. Non li voglio più. (e mentre il padre l'accarezza) Lavorerà per me... gua­dagnerà tanto... oggi che ci siamo fidan-iw me l'ha giurato... per festeggiare SI nostro fidanzamento abbiamo pranzato in­sieme... su in collina si stava così bene... tutto era così sereno...

BENEDETTO               - Sei stata a pranzo con lui?

MARCA                        - Sì.

BENEDETTO               - Ma io gli rompo la testa.

MARCA                        - Ma non capisci che l'amo, che sarò sua moglie?

BENEDETTO               - Tu, sua moglie? Aspetta fino a domani, domani ti dirò chi è il tuo av­vocato.

MARCA                        - Già lo so che ti risponderanno: che la moglie è una martire. La gente dà ragione a chi si lamenta, non a chi tace per pudore.

BENEDETTO               - Con te non ha taciuto.

MARCA                        - Era suo dovere raccontarmi ogni cosa.

BENEDETTO               - Tu questo dovere non l'hai sentito, però. Tu vai a fidanzarti sema dir niente a tuo padre.

MARCA                        - Ora te l'ho detto.

BENEDETTO               - (dopo una lunga pausa, a mano a mano allontanandosi) . Già, ora lo so, finalmente anch'io lo so. Un pochino in ritardo per un... diciamo per un direttore di banca, eh? Di solito ho informatori più solleciti, più premurosi. La sollecitu­dine è tutto, mia cara. A esser solleciti, con poche mosse si buttano all'aria i ca­stelli... C'è chi ha fiutato l'affare, non c'è che dire. Ma io do battaglia lo stesso. (dice t'ultima frase curi eccessiva durezza).

MARCA                        - Tu l'insulti.

BENEDETTO               - No, cara, lo capisco.

MARCA                        - Me ne vado.

BENEDETTO               - Te ne vai? (pausa) Ma si, forse e meglio. Anche ni hai bisogno di riflet­tere sul nostro colloquio. Arrivederci.

MARCA                        - Addio, papà.

BENEDETTO               - (è fermo  assente),

MAURIZIO                  - A noi, papà.

BENEDETTO               - (risentendosi) Oh, scusami, di te mi ero dimenticato proprio. Scusami.

MAURIZIO                  - Dunque?

BENEDETTO               - Ah? (e rìsovveneniosi) No, caro, no.

MAURIZIO                  - io - La cosa è urgente» non posso dirti di ripensarci su. Vuol dire che prov. vederò altrimenti.

BENEDETTO               - Come eredi, Maurizio.

MAURIZIO                  - Ba'. Senza rancore. Ti permetterò lo stesso, tra sette giorni di gloriarli della mia vittoria. Ciao, papà. (esce. Sul* la soglia s'imbatte nella segretaria che en­tra con i bollettini di chiusura. Le cede it passo. Si salutano appena. L'una ha fretta di entrare, l'altro di andai sene).

ALBERTI                      -I bollettini, commendatore, (fa per porgerglieli).

BENEDETTO               - (al tavolo, attorto) Grazie, Li guarderò dopo.

ALBERTI                      - (disorientata dalla noneurattna di Be nedetio) Non si sente bene, commenda­tore? Sussa ha chiuso fili sportelli.

BENEDETTO               - Ah, Sussa! il banchiere tradi­zionalista... Si vantava di possedere i re­gistri di banca del trisavola coi conti delia serva controllati da un ragioniere. Li mandi a un musco, adesso. I miei im­piegati hanno altro da Fare, cose più im­porranti... (e come riflettendo ripete) cose più importanti... (pausa) Una battaglia che m'è costata parecchi milioni. In compenso mi rifarà domani... Un bel colpo di cui sì parlerà a lungo, credo (altra pausa) Ma forse non ne avevo bisogno, no? di tutto quel denaro.

ALBERTI                      - La banca ha sempre bisogno di denaro.

BENEDETTO               - La banca, sì; ma io?

ALBERTI                      - I-ei è la banca.

BENEDETTO               - Già... io sono la banca: per tutti, la banca, (pausa) E invece mi do­mando che razza di vita è la mia, per chi ho accumulato ricchezze, per chi mi sono sacrificato finora, Lei dice: per la banca. Lei ha detto che io sono la banca. Può darsi. Ma la banca non può essere fine a se stessa, lo l'ho certamente creata per giovare a qualcosa, che ora mi sfugge, che ora però si dilegua. Io sono a que­sto punto, che i milioni strappati alla banca nemica assolutamente mi lasciano freddo,

TELEF.ALTOPARL.    - Capitano CORRADO.

BENEDETTO               - Capitano CORRADO? (cerea dì ri­cordarsi) Capitano... Ah, CORRADO! (al mi­crofono) Sì, sì. - Mi scusi, ALBERTI.

ALBERTI (va alla porta, la schiude, mormora Un « prego » al Capitano CORRADO che entra, e si ritira).

CORRADO                   - (stupito) Benedetto?

BENEDETTO               - (amaro, andandogli incontrò) Molto mutato?

CORRADO                   - Sì, molto,

BENEDETTO               - Mi dispiace, è sciocco, ma mi dispiace.

CORRADO                   - Comprendo, (ti abbracciano).

BENEDETTO               - Tu, no. (staccandosi e osservan­dolo).

CORRADO                   - . Per me, nulla è cambiato da allora.

BENEDETTO               - - Ma gli anni?

CORRADO                   - Oh... bruciati!

BENEDETTO               - Vuoi dire che non hai concluso nulla?

CORRADO                   - Precisamente.

BENEDETTO               - Mi rincresce.

CORRADO                   - Non per colpa mia, bada.

BENEDETTO               - Avrai pure tentato, no?

CORRADO                   - Nulla che ne valesse la pena.

BENEDETTO               - Sicché, tutti questi anni?

CORRADO                   - In cammino, sempre in cam> mino.

BENEDETTO               - Già ricordo, sei ricco.

CORRADO                   - Non m'ii rimasto un soldo.

BENEDETTO               - Oh!

CORRADO                   - Sono venuto a costituirmi.

BENEDETTO               - Che!? a costituirti?!

CORRADO                   - Tuo prigioniero, se permetti, e delle città che domini. Non ne potevo più. Ho scavalcato t fili spinati ed eccomi nel campo avverso.

BENEDETTO               - Non ti comprendo.

CORRADO                   - Disertore.

BENEDETTO               - Davvero non ti comprenda

CORRADO                   - Lasciami dire. Un disertore può permettersi dì essere spudorato. Ho girato il mondo per anni in cerca d'un'srmonia superiore. Sogni di guerra, di quando eravamo in trincea, sogni miei, se pre­ferisci,  ma comunque degni.

BENEDETTO               - Poeta.

CORRADO                   - E sìa. Ma credevo fermamente che il mondo dovesse trasformarsi, E an­davo avanti.

BENEDETTO               - E così?

CORRADO                   - Miseria, false rivoluzioni, afraristno, corruzione.

BENEDETTO               - Ma è il mondo.

CORRADO                   - Ma non volevo arrendermi. Spe­ravo sempre. È una crisi. Passerà. Per­che avremmo combattuto, noi; perché tanti cimiteri di guerra!

BENEDETTO               - Mah!

CORRADO                   - Non volevo arrendermi, tu lo ca­pisci. E poi, vedi, ogni tanto balzava fuori un uomo, uno dei nostri, a farsi capo. Il mi sentivo centuplicare. Ma subito o-struzionismo, attentati... Non si voleva che i giovani parlassero... Non sì vogliono altoparlanti giovani.

BENEDETTO               - Ma, sai... l'esperienza.

CORRADO                   - No, permetti. Il mio non era un sogno dapprima, non era un'utopia; ma quando che è diventato... sì, e ti dirò in che modo, allora mi sono sentito va­cillare. Pensa che a Ginevra mi sono sor­preso a far sogni da anarchico. Era b fine, capisci, la fine. Ormai credevo di avere con me dei chilogrammi di dina­mite; anzi, dì averli gii sistemati per benino sotto il palazzo della Società delle Nazioni, dove si discute sempre, mentre il mondo boccheggia; e di avere già si­stemato sotterra un bell'impianto elettrico e, infine, su di un albero un bottone da premere all'improvviso perché rutto an­dasse in aria. Ti dico: fissato l'albero e tutto. Ma non era uno di quei sogni che poi ti svegli. Spesso me ne andavo pro­prio su quell'albero a premere il bottone... che non c'era. Oppure m'affaticavo a ta­gliare le terre contese, come fette di una torta, per riporle in ghiacciaia, al Polo, Sai... le terre di confine: tutte.

BENEDETTO               - Pazzesco.

CORRADO                   - Appunto. Ho compreso allora che stavo per impazzire e ho deciso di far marcia indietro, di disertare, insomma; ed eccomi qua. Ma che tu lo sappia: forse non ho disertato per vigliaccheria, ma soltanto perché ho compreso, alla fine, come va preso il mondo. Sono disposto, ormai, a combattere ogni idealismo: vo­glio soltanto far quattrini alta cieca e tu devi aiutarmi.

BENEDETTO               - Certo... t'aiuterò, se vuoi.

CORRADO                   - Grazie.

BENEDETTO               - Ma a che ti serviranno i quat­trini?

CORRADO                   - E sei tu che me lo chiedi?

BENEDETTO               - Eh... già!...

CORRADO                   - Ebbene... Ma non ha importanza.

BENEDETTO               - Tu sei solo... Per chi, dunque, accumuleresti sostanze?

CORRADO                   - Per me.., per nessuno, se vuoi. ft un programma.

BENEDETTO               - Bell'affare.

CORRADO                   - Si vede che non mi sano spie­gato bene.

BENEDETTO               - Tutt'altro. Ma tu sci un com­battente. Si vede. Si capisce che ti sci arresa per mancanza di munizioni soltanto.

CORRADO                   - Non è  esatto.

BENEDETTO               - Oh, ti conosco. Non sei affatto mutato. Neanch'io, del resto, E questo è il guaio. Insomma, t'assicuro che, se potessi, diserterei anch'io, oggi.

CORRADO                   - Tu' Tu (orneresti?!

BENEDETTO               - Quasi senza rimpianti.

CORRADO                   - Impossìbile.

BENEDETTO               - Perché impossibile? Ce ne an­dremmo insieme.

CORRADO                   - No.

BENEDETTO               - Forse facemmo male a trivi derci qu.iiv.fo lasciamo)» la trincea.

CORRADO                   - Allora fosti tu a non volere.

BENEDETTO               - Sì, è c'ero.. Ma ci siamo ritro­vati. Dì me più nessuno ha bisogno, or­mai. Solo come te. D'inciampo ai mici figli, perfino.

CORRADO                   - Caro mìo, quand'anche tor natte mia madre a farmi una sgarberia, non mi meraviglierei. Ho l'anima che l diventata uno straccio: posso pure sfre­garci Sì Con le scarpe.

BENEDETTO               - Perciò ti dico: andiamocene,. Qua affogheresti anche tu.

CORRADO                   - Nell'oro, forse. Ma preferisco.

BENEDETTO               - Ma è stupido.

CORRADO                   - I disertori che vengono ripresi o si riprescntano fanno una brutta fine. Davvero non mette conto. Comunque, dimmi se sei disposto ad aiutarmi.

BENEDETTO               - Ricominciare con te forse mi sarebbe piaciuto, (pausa). T'aiuterò... se vuoi, (pausa) Tempi felici, ti ricordi?

CORRADO                   - Come no!

BENEDETTO               - Eravamo decisi a tinto, allora.

CORRADO                   - Avevamo in pugno le sortì del­l'Europa, pensa, unto dipendeva da noi. A proposito, c'è fmre Falco. Bisogna si­stemare anche lui.

BENEDETTO               - Falco?

CORRADO                   - Il mio attendente.

BENEDETTO               - Quel bel tipo!?

CORRADO                   -   Già (pici he! tipo. (rìde).

BENEDETTO               - (eletti) ~ Ma davvero è con Te?

CORRADO                   - Se vuoi, lo chiamo, (militaresca) Falco! Falco! Lavativo.

QUADRO TERZO

In  un  ricovero durante la grande guerra, (rumori di guerra).

CORRADO                   - Falco. Fateti, Lavativo,

FALCO                          - (viene dalla trincea) Comandi, si­gnor capitano,

CORRADO                   - Qua, subito.

FALCO                          - (avvicinandosi) Signorsì.

BENEDETTO               - Se non ti dispiace l'interrogo io.

CORRADO                   - Come credi.

BENEDETTO               - Quante hriuiacchiature aveva addosso il capitano? Gli strappi non con­tano,

FALCO                          - Veramente…se ben ricordo...

BENEDETTO               - Ti ordino di ricordare.

FALCO                          - Signorsì.

CORRADO                   - Parla,

FALCO                          - Signorsì! Tre... mi pare.

BENEDETTO               - Esatto.

CORRADO                   - Quattro, animale.

FALCO                          - Signorsì. Quattro, signor tenente.

BENEDETTO               - No, niente camorra. Tre. Mi ricordo perfettamente. E due che soft cin­que. Io ne avevo due risecchite, e adesso ne ho quattro ancora calde. Ho rischiato più io, stavolta. Ti prego di prenderne nota.

CORRADO                   - Mi prenderò la rivincita oggi stesso. Falco, (lacci da bere.

BENEDETTO               - (si siede) Credi che attacche­ranno ancora'

CORRADO                   - . Ne sono certo.  Alla tua.

BENEDETTO               - Alla tua (bevono),

CORRADO                   - (a falca) Di' al maresciallo che dia da bere a tutti.

FALCO                          - Signorsì, (jalttto - pia).

BENEDETTO               - Sodo petulanti. Tre io un giorno.

CORRADO                   - . Non importa. Lascia che tentino.

UN SOLDATO             - Un fonogramma, signor ca­pitano.

CORRADO                   - (Io apre, lo legge) Grafie. Va pure.

UN SOLDATO             - (eia).

BENEDETTO               - Che vogliono?

CORRADO                   - Mi avvertono che domati l'altro avremo un contrattacco. Sempre bette in­formati, laggiù.

BENEDETTO               - Guarda la data, può darsi che M di ier l'altro (ridono).

MARCONI                    - (entra) Buon giorno, signor ca­pitano. (Presentandosi) Tenente Marconc.

CORRADO                   - Capitano CORRADO. (Stretta di minto)  Ben  arrivato,

MARCONI                    - Grazie,

CORRADO                   - E se tra un mese non sarò morto ci daremo tu. Le permetto di grat.arsi.

MARCONI                    - (allegro) D'accordo, Procurerò di passarlo per concedermi questo lusso, (a Benedetto) Ciao, collega.

BENEDETTO               - (dandogli hi mano) . Addio, ca­ro. Mi chiamo Benedetto,

MARCONI                    - Marconc.

CORRADO                   - Una tazza di grappa?

BENEDETTO               - Da dove vieni?

MARCONI                    - Volentieri, Torno dalla licenza (beve).

BENEDETTO               - Ah!

CORRADO                   - Notizie da! mondo?

MARCONI                    - Là si di vertono, Conte non fos­simo in guerra,CORRADO  (a Benedetto) Vedi che avevo ragione?  La guerra non li riguarda più.

BENEDETTO               - Dì' piuttosto che se ne sono dimenticali.

MARCONI                    - Ma no, semplicemente non ci pensano troppo. De! resto, neanch'io ci pensavo durante la licenza.

BENEDETTO               - Proprio vero.

CORRADO                   - Che cosa pensa della guerra lei?

MARCONI                    - Se mi permette, signor capitano, non ho opinioni in proposito.

CORRADO                   - Ah, mi rallegro.

MARCONI                    - Perché?

CORRADO                   - Suppóngo che non l'abbiano spe­dito in trincea con Se mani legate,

MARCONI                    - Signornò,

CORRADO                   - Una volta quassù l'avranno la­sciato libero di agire e dì pensare, mi sembra.

MARCONI                    - Cèrtamente.

CORRADO                   - Da quanto tempo È quassù, lei?

MARCONI                    - Da due anni.

CORRADO                   - E in due anni non s'è accorto die la guerra siamo noi?

MARCONI                    - Noi!?

CORRADO                   - Sì, noi - io, lei, Benedetto, Falco; chiunque combatte, insomma. E tant'akri come noi dall'altra parte, su tutte le fronti.

BENEDETTO               - (confidenziale, a Marconc) Ecco perché diceva che la guerra non riguarda più i borghesi. Vedi, lui è convinto che chi ba dato il vìa non possa più coman­dare l'alt.

CORRADO                   - Arciconvinto.

BENEDETTO               - Non dico (li no. Sotto un certo punto di vista gli do ragione. Però, men­tre lui pensa che « dopo » tutto debba proceder diversamente, per ragioni logi­che, diciamo di equilibrio nuovo, io sono convinto del contrario...

CORRADO                   - Sbagli.

BENEDETTO               - Fa niente, - che dopo, ina su-bito dopo, quando le acque sono ancora del tutto sconvolte, a essere scaltri un po­chino, si può fare quel che si vuole.

MARCONI                    - Lo credo anch'io,

CORRADO                   - Non mi meraviglia affatto che lo creda anche lei.

BENEDETTO               - Non ci far caso, collega, Vedi per esempio che cosa vorrei io: guada­gnare un fottio ili soldi, tanti da esser costretto a dir basta.

CORRADO                   - Non serviranno a nulla.

BENEDETTO               - Serviranno ai mici, Li voglio tutti tranquilli.

CORRADO                   -   Sciocchezze.

BENEDETTO               - . Come credi. Ma di' pure fran­camente il tuo pensiero, collega. È una abitudine : quando non ammazziamo ne­mici ci rifacciamo col tempo.

MARCONI                    - Si potrebbe giocare a macao.

BENEDETTO               - Tu non credi che la guerra siamo noi?

MARCONI                    - Me ne guarderei bene.

CORRADO                   - E se ne guardi bene. Passi ma­gari il tempo & giocare, ma se ne guardi nctic! Il colmo! Secondo lei dunque noi saremmo soltanto...

MARCONI                    - Delle comparse, capitano.

CORRADO                   - Ah, no!

BENEDETTO               - E un po' fotte, collega.

CORRADO                   - Ah, no! Nessuna compana sa­rebbe capace tli resistere in questo in­ferno; qui si vive tutti volontariamente.

BENEDETTO               - Questo è. vero, anche se costretti, dapprima.

CORRADO                   - Tutti volontariamente, le dico, dai contadino che se ne straìnhVhia...

BENEDETTO               - A! servitore umilissimo del pa­trio governo.

CORRADO                   - Perché la guerra è conquista dello spirito, se ne ricordi, conquista dello spi­rito.

BENEDETTO               - E di beni terreni, volendo.

CORRADO                   - Lascia stare. Arrafferai ciò che vorrai, dopo, se te ne daremo il tempo. Parlo di conquiste, non di ladrerie.

BENEDETTO               - Dissento, dissento, Comunque hai torto, torto marcio, collega. Per re­sistere in quest'inferno, come ha detto il capitano, ci vuole un'indiavolata fede in qualche cosa. Per me, t'ho già detto.

CORRADO                   - Ma soprattutto non bisogna ac­corgersi che si è costretti a resistere. Qua non resistiamo per nessuno, qua esistiamo per noi soltanto. E lasci che i borghesi  iensim il contrario, dovranno ben ri­credersi un giorno, (Mt'tragliatriet - rumori d'attacco).

FALCO                          - Signor capitano.

MARCONI                    - (elettrizzato) Un attacco?

CORRADO                   - Fuori, Fuori,

MARCONI                    - Figli di cani! (ti precipita fueri).

CORRADO                   - Guarda come si botta. E poi so­stiene che la guerra non siamo noi. Che fregnone! (via seguito da Hcnedetto).

TELA

ATTO  SECONDO

QUADRO QUARTO

Banca Benedetto

BENEDETTO               - (dopo una pausa) Poi?

ARCANGELI               - Sono anche stato da tinti $ì usurai.

BENEDETTO               - Bene.

ARCANGELI               - Ma nessuno conosce l'avvocato Lamberto.

BENEDETTO               - Impossibile.

ARCANGELI               - Se glielo dico io.

BENEDETTO               - Vi ripeto che è impossibile. La professione rende pochissimo all'avvocato Lamberto. Voi stesso me l'avete confer­mato.

ARCANGELI               - La verità.

BENEDETTO               - Sappiamo tutti che la moglie i ricca ma prudente fin troppo. Non dà volentieri anche perché non vanno d'ac­cordo.

ARCANGELI               - Esatto.

BENEDETTO               - Questo è esatto, quello è véro, quell'altro ancora siete voi che me lo dite, però quando vi chiedo di tappare il pozzo da dove attinge sicuramente per darsi !e arie che si dà, per invitare tutti i giorni mia figlia a colazione e per giuocarc tutte le notti, allora non sapete più che cosa rispondermi.

ARCANGELI               - Ai macao guadagna sempre.

BENEDETTO               - Vuol dire che bara. Vi devo spiegare  anche  questo?

ARCANGELI               - E invece no; l'ho osservato at­tentamente e l'ho fatto sorvegliare da amici in gamba: non bara.

BENEDETTO               - Chi non bara, presto o tardi ha bisogno degli usurai di servizio nella sala. Avete giuocato con lui?

ARCANGELI               - Tutte le notti per un» setti­mana. Vince sempre.

BENEDETTO               - Non mi direte adesso che non avete tentato d'imbrogliarle voi le carte giuocando con lui.

ARCANGELI               - L'ho fatto.

BENEDETTO               - E così?

ARCANGELI               - Certo, ogni tanto perde una mano.

BENEDETTO               - Vedete dunque che perde.

ARCANGELI               - Ma si rifa, si rifa subito, non ho mai visto un tipo simile.

BENEDETTO               - Non ha nulla di speciale.

ARCANGELI               - Le assicuro, commendatore, che sarebbe molto più facile toglierselo d'at-torno in un'altra maniera... più sbriga­tiva.

BENEDETTO               - Dunque perde.

ARCANGELI               - Soltanto qualche volta.

BENEDETTO               - E voi perche non avete conti­nuato a barare, a farlo perdere e perdere, per costringerlo, alla fine, a firmare un foglio qualunque?

ARCANGELI               - Non è cosa facile.

BENEDETTO               - V'ho data carta bianca e quat­trini quanti ne avete voltiti, più del ne­cessario. Guardate di non farmi il dop­pio giuoco ili lesinare sulle spese a vo­stro profitto. Ve ne farci pentire.

ARCANGELI               - Tutto ciò che spendo, annoto.

BENEDETTO               - I vostri rendiconti non mi in­teressano. Già sapete che non li leggerò mai. Voi siete un uomo estremamente furbo. Ma io lo sono di più.

ARCANGELI               - Non mi permetterei mai un simile trucco con lei. Lei m'ha sempre ri­compensato da gran signore tutte le volte che ha avuto bisogno dei miei  servizi.

BENEDETTO               - E fate bene a ricordarvenc. (Una pausa) Ma allora devo concludere che vi siete rimbecillito d'un tratto.

ARCANGELI               - Lei mi ha posto delle restrizioni : non vuole che lo provochiamo, non vuole...

BENEDETTO               - (sopraffacendolo) lo voglio un documento serio, io voglio una carta, una cambiale firmata da lui spontaneamente -è lui che deve firmare, ricordatevene, io ho bisogno di un foglio assolutamente co me si deve, che non possa negare di fronte all'evidenza, questa voglio, siamo intesi?

ARCANGELI               - Farò l'impossìbile.

BENEDETTO               - (dandogli uno chèque) Prendete; ma ricordatevi di ciò che v'ho detto.

ARCANGELI               - Non dubiti.

BENEDETTO               - E non tornate se non a cose fatte e fatte bene.

ARCANGELI               - Sissignore. Ossequi, commenda­tore. (mentre Arcangeli esce, squilla un telefono).

BENEDETTO               - (all'apparecchio) Banca del Sud?

ALBERTI                      - (è entrata nel frattempo).

BENEDETTO               - Un momento, (a ALBERTI) Senta lei.

ALBERTI                      - Banca del Sud? - Sì, Banca 8e nedetro. - Personalmente con la segretaria. Ma il versamento è stato effettuato fin da questa mattina. - Ma è sicuro lei... un mo­mento, per favore, (a Benedetto) Dicono di non avere avuto nulla.

BENEDETTO               - Risponda che avranno lo stesso il loro denaro dentro oggi. Tra dieci mi­nuti al massimo.

ALBERTI                      - Pronto. Un nostro fattorino sarà da voi con la somma al massimo tra dicci mi­nuti. - Prego, l'uon giorno.

BENEDETTO               - (nel frattempo ha premuto un bottone).

ALTOPARLANTE       - Pronto cassiere principale.

BENEDETTO               - Il nome del fattorino che è stato inviato alla Banca del Sud.

ALTOPARLANTE       - Falco, commendatore.

BENEDETTO               - Che somma?

ALTOPARLANTE       - Centotrcntamila.

BENEDETTO               - Lo sa lei che la Banca non ha ricevuto nulla?

ALTOPARLANTE       - Ma è impossibile, commen­datore. Sono più di due ore.

BENEDETTO               - Lasci stare. Mandi subito un altro fattorino. Si serva però d'uno chèque barrato, stavolta.

ALTOPARLANTE       - Sì, commendatore.

BENEDETTO               - (interrompe la comunicazione, li lena, va avanti e indietro).

ALBERTI                      - Chiamo la polizia?

BENEDETTO               - Abbiamo tanti fattorini, tanti fattorini: che bisogno c'era dì mandar Falco?

ALBERTI                      - Tanto più che nessuno lo conosce ancora abbastanza.

BENEDETTO               - Perche1? Lei crede che Falco?...

ALBERTI                      - È chiaro.

BENEDETTO               - Ma è impossibile!

ALBERTI                      - Allora?

 

BENEDETTO               - Dev'essergli capitato qualcosa; noi non possiamo ancora saperlo.

ALBERTI                      - Proprio oggi che aveva con sé 130 mila lire?

BENEDETTO               - Sì, è strano difattì, Ma no, non può essere. Conosco FALCO da molli anni... abbiamo combattuto assieme. Qualcuno de­ve avergli giuocato un brutto tiro. FALCO    non ha esperienza del mondo... e ora ma­gari, non ha il coraggio di ricomparirmi davanti. Centotrcntamila lire deve sem­brargli una somma favolosa,

ALBERTI                      - Lo è certamente.

BENEDETTO               - Oppure una disgrazia. Non po­teva in cosi poco tempo riabituarsi al traf­fico delle città.

ALBERTI                      - In tutti i casi, meglio avvertire !a polizia, commendatore.

ALTOPARLANTE       - Il sig. CORRADO.

BENEDETTO               - Sì. No, ALBERTI, ci penseremo dopo.

ALBERTI                      - Come crede, commendatore.

(CORRADO entra, ALBERTI  via - i due s'incon­trano sull'uscio - ma CORRADO        appena ri­sponde al saluto della segretaria. Egli è sostanzialmente mutalo, disinvolto nell'abito borghese di taglio impeccabile, sembra ringiovanito).

CORRADO                   - Scusami se t'ho fatto attendere.

BENEDETTO               - Affari?

CORRADO                   - Anche. Ma poi ho dovuto fare gli onori di casa, offrire il tè, eccetera.

BENEDETTO               - Capisco.

CORRADO                   - No, niente. Sono venute a trovar­mi tua moglie, tua figlia.

BENEDETTO               - (ansioso) Hai visto Matga?

CORRADO                   - Certo.

BENEDETTO               - Che impressione t'ha fatto?

CORRADO                   - Buona. Come sempre.

BENEDETTO               - Quella figlia mi preoccupa.

CORRADO                   - Ma se sta benissimo.

BENEDETTO               - Sai, l'affare dell'avvocato...

CORRADO                   - Secondo me avresti dovuto disin­teressarti. Quelle cose a lasciarle stare cascano da sé.

BENEDETTO               - È dimagrata... è preoccupata, molto preoccupata… e infine mi sfugge.

CORRADO                   - Perche l'intimidisci.

BENEDETTO               - Sono suo padre.

CORRADO                   - Ma è tanto una cara ragazza. Pen­sa, ha voluto accendere i motori di tutte le macchine della scuderia. Un fracasso d'inferno, addirittura tua moglie era fuori di sé. E lei rideva, si divertiva, insomma.

BENEDETTO               - Vuol dire che aveva bisogno di quel fracasso per distrarsi. Tutto questo non è normale.

CORRADO                   - Ha continuato a divertirsi anche dopo. Esuberante, altro che storie. Lei con la signora Teresa. Che simpatica la si­gnora Teresa.

BENEDETTO               - Non la conosco.

CORRADO                   - Chissà quante volte l'avrai in­contrata. E un'intima di casa tua.

BENEDETTO               - Ma io sono la Banca.

CORRADO                   - Un distinguo coi fiocchi. Ma sen­ti ha voluto conoscermi. Trova molto interessante la mia storia. Già, perché ma figlia le aveva parlato a lungo di me. Anche lei è molto interessante. Ora vuole particolari. Gliene darò.

BENEDETTO               - Cominci a servirti di quel pe­riodo come d'un'ìnsegna luminosa.

CORRADO                   - E quand'anche? Perché non do­vrei?

BENEDETTO               - Quella non e una" storia.

CORRADO                   - Poco comune, se vuoi.

BENEDETTO               - Quella non è una storia. Sono diciotto anni, CORRADO... tutta una vita,

CORRADO                   - Nessuno puè saperlo meglio di me che l'ho vissuta realmente.

BENEDETTO               - Vedi dunque,

CORRADO                   - Ma. per me, ora, è peggio che je fosse la storia d'un altro.

BENEDETTO               - Lo credi tu.

CORRADO                   - T'assicuro che posso parlarne con chiunque, ormai - senza pudori - servendomi perfino delle parole più colorite.

BENEDETTO               - Ed io ri ripeto che sono di-ciotto anni di vita, tutta una vita.

CORRADO                   - Ma distrutta... distrutta da me.

BENEDETTO               - No, non t'è riuscito, tant'è vero che.

FALCO                          - è scomparso,

CORRADO                   - (colpito in pieno) , Scomparso!?

BENEDETTO               - E se FALCO è scomparso, è chia­ro che tu non puoi parlare di' quel tuo periodo all'ora de! tè con le signore.

CORRADO                   - Scomparso... quando È scomparso?

BENEDETTO               - Stamattina; con centotrentamila lire.

CORRADO                   - Che stupidaggine! M'avevi fatto paura. Guarda, per un momento ho creduto sul serio che Falco... al diavolo! (Rin­francato del lutto) T'ha derubato, insom­ma. Be', lo hai denunciato?

BENEDETTO               - Non ancora.

CORRADO                   - Che aspetti?

BENEDETTO               - Il tuo parere.

CORRADO                   - Denuncialo.

BENEDETTO               - Dunque, tu credi a priori che sìa stato FALCO a derubarmi?

CORRADO                   - Se me io ripeti da mezz'ora!

BENEDETTO               - Aspetta. Non potrebbe essergli successo qualcosa? Un incidente stradale, una'disgrazia, infine. Questa ipotesi non t'è balenata?

CORRADO                   - Centotrentamila lire : eccola la vera disgrazia stradale di Falco.

BENEDETTO               - Lo credo anch'io. Perciò non lo denuncio.

CORRADO                   - Perché sci convìnto che t'ha de­rubato non lo denunci!?

BENEDETTO               - Appunto.

CORRADO                   - Non ti comprendo.

BENEDETTO               - Ma come non capisci che FALCO m'ha derubato perché è stato diciotto anni con tei

CORRADO                   - Ma lo di quattrini ne avevo! Non abbiamo mai tolto nulla a nessuno, noi! Che credi?

BENEDETTO               - Lo so, fo so,

CORRADO                   - E se lo sai….

BENEDETTO               - Ma per diciotto anni lo hai co­stretto a seguirti.

CORRADO                   - Fino a un ceno punto, costretto. Mi seguiva perché lo pagavo.

BENEDETTO               - Ma non seguiva te soltanto, se­guiva pure il tuo sogno,

CORRADO                   - E be'?

BENEDETTO               - Lo hai costretto a pensare per diciotto anni di seguito. A seguire un'idea senza mai poterla afferrare.

CORRADO                   - È colpa mia se non sono riuscito? Di', è colpa mia forse? Quando voialtri la pensavate diversamente, come potevo da solo?

BENEDETTO               - Lo so che non potevi da solo. Ma diciotto anni per un uomo come FALCO sono troppi.

 

CORRADO                   - Alla fine era stanco solò fisica­mente.

BENEDETTO               - Perciò m'ha derubato. Pecchi era stanco solo fisicamente. Perche non sapeva più che farsi del cervello abituato a pensare. Usciere di banca. Significa star seduti. Attendere senza ragione. Magari per delle giornate sane senza far nulla,

CORRADO                   - lì sogno di Falco. Di quando aveva i piedi gonfi.

BENEDETTO               - Non di sempre però. Cento-trentamila lire ed è scappato. Ma quando saranno finite?

CORRADO                   - Ruberà di nuovo. Andrà in gale­ra. Qualcosa farà. Di che ti preoccupi?

BENEDETTO               - Perché fu rion ti preoccupi. Per­ché a te non importa. Secondo te non dovrei nemmeno interessarmi adesso.

CORRADO                   - Denuncialo.

BENEDETTO               - Già, tu non concepisci neppure che si possa non denunciarlo.

CORRADO                   - No, non So concepisco.

BENEDETTO               - Per te è stato facile cambiare da così a così. Dopo averlo piantato in asso, e avergli fatto dentro un gran vuo­to. Dopo avergli ritolto le idee che aveva - del padrone - tue, tue soltanto!

CORRADO                   - Quando mai ci siamo preoccu­pati più che tanto dei dispersi. Avevamo altro per la testa, mi sembra! Parliamoci chiaro.

FALCO                          - è un pretesto, lo so; dimmi che vuoi.

BENEDETTO               - Che voglio? Mio figlio! Mio figlio!

CORRADO                   - Tuo figlio?!

BENEDETTO               - Sì, mio figlio. S'è messo con te, lo so, me l'hanno detto, ha già firmato un contratto, ma tu non dovevi, no, no, non dovevi... Da un po' di tempo anche i quattrini mi si rivoltano contro, feroci. Ma tu non dovevi, assolutamente non do­vevi.

CORRADO                   - Perche? Ma ragiona, perdio! Sono dieci anni che la tua banca spalleggia l'in­dustria dell'automobile. Io dieci anni fa non c'ero. Ma tu eri già da allora il mag­gior azionista della Salda. È così. Io ho venti Saida da corsa. Con i quattrini che mi hai dati concimo proprio le tue terre. Anche MAURIZIO  concorre con le sue vit­torie alla loro ascesa in borsa. Come vedi tutto si svolge secondo una logica presta­bilita.

BENEDETTO               - Ma io non posso accettarla, que­sta logica. Io mi rifiuto. Si tratta di mio figlio. Di mio figlio. Tu non avresti do-vuto per nessuna ragione. Eravamo amici, noi.

CORRADO                   - È vero che ti sono amico. Ma anche di tuo figlio, ormai. Una grande simpatia fin dal primo momento, E MAURIZIO lo stesso. Come fossimo stati com­pagini dì scuola, amici da sempre. Ci sco­primmo gli stessi entusiasmi, le stesse aspirazioni.

BENEDETTO               - Quali entusiasmi? Che aspira­zioni ti potevi scoprire tu che avevi sete di guadagno soltanto?

CORRADO                   - Allora, quando venni da te. Eb bene sì, non soltanto di guadagno, ma una gran voglia di rifarmi, avevo, infan­gandomi come voi, più rapidamente di voi, se possibile, perché avevo diciatto anni da recuperare. Diciotto anni! Credevo di sapere che cos'era il mondo; comunque, lo avevo giudicato; ero imi disertore,

BENEDETTO               - Lo sei tuttora, lo sei sempre.

CORRADO                   - Non è vero. Sono di nuovo al mio posto di battaglia, esattamente come pri­ma, tant'è vero che ci troviamo opposti.

BENEDETTO               - Perché m'hai tòlto il figlio; per questo soltanto.

CORRADO                   - Come ti inganni! Non per questo soltanto, bada. E non sono stalo io a to­glierti il figlio. £ successo il contrario, invece. E stato Maurilio che m'ha colto a te. Tu già mi tenevi, il fatto stesso che ero venuto da te, questo significa ; che tu mi tenevi. Ero deciso a buttarmi in un commercio arido, ad aprire una piccola banca o qualcosa del genere. Che vuoi che sapessi allora delle nuove generazioni! Le credevo latente a dividersi ti nostro bot­tino di guerra e'del dopoguerra: corrotte, aride, già decrepite - e l'impressione che fanno. Se non avessi conosciuto tuo figlio.

BENEDETTO               - Gli avete fatto perdere la testa a mio figlio! La gente come te!, tu, prin­cipalmente! Che cosa credi: domandano ì nostri soldi, non chiedono altro, e tu li sfrutti.

CORRADO                   - io li sfrutto?!

BENEDETTO               - Li segui col binocolo tu, men­tre affrontano la morte.

CORRADO                   - Perché  non so guidare. Perché durante la corsa devono avere accanto un meccanico. Ma sto imparando come si fa il meccanico per non abbandonarlo mai. E durante le prove già corro con lui. Gli devo la vita, a tuo figlio. T'ho già detto che posso narrare la mia storia a chiunque servendomi delle parole più colorite. Alla signora Teresa, per esempio, o a te. Mj a tuo figlio no. Quando la dico a tuo figlio le parole mi mancano; è allora che si trasforma sul serio in diciotto anni di vita. Tuo figlio si fa pensoso. Come vedi c'è modo e modo di narrale una storia. Perché abbiamo gli stessi entusiasmi, io e lui... E non è vero che domandano solo i nostri soldi. É falso. Vogliono vivere. E pagare di persona. Tu non puoi capire il loro entusiasmo, tu sci la banca, lo hai già confessato, te ne sei accorto da un pezzo. Ciò che non sai è l'entusiasmo che li anima - tutti - anche i centomila spettatori. Pronti a sostituire un caduto, ad arruolarsi. Come in guerra: lo stesso ìmpeto.

BENEDETTO               - Queste cose le credi tu, te lo immagini tu, ed è per questo che mi preoccupo maggiormente. No, no, lascia­mi dire. FALCO s'è perduto per colpa tua, ed ora è la volta di Maurizio. Ebbene, di Palco posso anche infischiarmi, ma MAURIZIO è mio figlio. So benissimo che non posso ritogliertelo: da giovani si sta più volentieri in ginocchio dinanzi ai pazzi che ai santi; ma MAURIZIO è mio figlio; è mio figlio, bada!

CORRADO                   - FALCO non s'è perduto mentr'era con me; FALCO ha resìstito fino alla fine; ho saputo proteggerlo anche durante la mìa «tirata, io; te l'ho portato qua sano e salvo, l'ho consegnato a te, io. Pensaci bene: FALCO s'è perduto mentre combat­teva la tua battaglia, era alle tue dipen­denze, ormai.

ALTOPARLANTE       - Borsa dei valori. Borsa dei Valori.

BENEDETTO               - (va al tavolo per segnare le afre che saranno comunicate, ilice nel frattem­po) Mai nessuno s'è perduto qua dentro, prima di Falco, mai nessuno.

ALTOPARLANTE       - Immobiliare di Roda:

CORRADO                   - E nemmeno dopo si perderanno. Rassicurati.

ALTOPARLANTE       - tot; 101 3/1G; 101 15/16.

BENEDETTO               - (che ha segnato fui/ima cifra, ha uno scatto) E che significa questo?

CORRADO                   - Che è geme meschina, l'emano ili derubarti.

ALTOPARLANTE       - Sachei. Chiusura precedente 1è,èè. Apertura 1è/38-

BENEDETTO               - (vittima delle cifre) Chi, chi pensa di derubarmi? Aspetta; 1è,38? (pre­me un bottone).

CORRADO                   - 1è,38, sì. Aiuti!?) (entra, va da Benedetto, prende ap­punti, riscontra, ecceura).

ALTOPARLANTE       - (non fa nulla se la voce dei l' ALTOPARLANTE  si sovrappone a quella degli uomini) Alle li,t$, Iè,è'>, chiusura 1è,0è,

BENEDETTO               - Rispondi: chi è che pensa di derubarmi?

CORRADO                   - Tutti. Tutt'il giorno non pensa­no che 3 quello. Eppoi la notte ti deru­bano in sogno.

ALTOPARLANTE       - Zagara: chiusura precedente 13,17,

BENEDETTO               - (a ALBERTI) Zagora? (A CORRADO) A me? A me?

ALTOPARLANTE       - Apertura 13,13. Alle 12,15:

CORRADO                   - Be', senti, tu hai da fare. Anch'io, del resto. (Se ne va).

ALTOPARLANTE       - Chiusura ti.

BENEDETTO               - Non capisco. Perché così basso? (iV ricorda di CORRADO) Aspetta, tu. (Ma CORRADO è già andato via) Aspetta.

ALTOPARLANTE       - Rodek: tot, 101 3/tf), tot, ioj 7/8.

BENEDETTO               - (è sempre più smanioso; segue l'ALTOPARLANTE ma è col pensiero altrove; ri pete) Aspetta.

ALTOPARLANTE       - Fondi di Stato: debito pri­vilegiato : tot), 108 1/è, 108 1/2. Fondi Stato; debito unificato.

(Ma BENEDETTO proprio non ne può più; da che CORRADO è uscito ha tentato più volte di sottrarsi all'influenza delle cifre con le quali l'ALTOPARLANTE Io tiene incatenato: ora con uno sforzo ai riesce, toglie la comunicazione; ma sebbene muto /'alto, parlante continua a soggiogarlo; allora BENEDETTO è preso da un impeto di di­struzione; afferra la cassetta dell’altoparlante e la scaraventa per terra).

ALTOPARLANTE       - (qualcosa deve essere successo alla cassetta: uno scombussolamento di fili: voci d'uomini e di donne invadono l'ufficio) Poteva andar meglio. Banca Benedetto; banca Benedetto. Le ripeto che non posso far fronte. 50,50 non di più. Sussa s'è suicidato. Fate attenzione voi, sono biglietti da mille. Pronto. Banca Be­nedetto, banca Benedetto... Al Procuratole del Re. Fate come volete. Trentacinque-milaottacemoscssantacinque. Signorina, signorina, ma perdio! Bancarotta. Aumento di capitale. Sicuro, colpo scuro. Banca Benedetto, banca Benedetto.

BENEDETTO               - (indietreggiando ha cercato di li­berarsi da quelle voci, come fossero tele di ragno, con dei gesti),

ALBERTI                      - (annichilita da prima, t'ì preàpi' tata infine a strappare la spina dal muro).

BENEDETTO               - (stroncato all'improvviso si butta sul tavolo a piangere: ed e come una mon­tagna che frani),

ALBERTI                      - (lo guarda senza capire. Dopo una lunga pausa, mormora stonala), Commen­datore... Commendatore...

 

BENEDETTO               - (sempre tra i singhiozzi) Che ho fatto... Che ho fatto che non dovevo fare...

ALBERTI                      - (alla fine, d'istinto, gli pone le mani sulle spalle: balbetta) No... commendatore.

BENEDETTO               - (sente finalmente la presenza di ALBERTI, e reagisce con tiiolaiSii al piàn­to, forse dà un pugno sul tavolo) Che schifo! (Quasi con rabbia a Ai.ui.rti) S'è accolto ch'ero schiavo dei numeri, perciò se n'e ondato. Schiavo da non poter fare neppure un gesto. Che cosa ne pensa lei? Schiavo,

ALBERTI                      - (intimorita) . Ha detto che aveva da fate.

BENEDETTO               - E invece io posso liberarmi quando voglio. (Come se gli ernìtse in mente d'un tratto) Se voglio anche della banca. Anche della banca, si. Cos'ho che mi guarda? Neanche lei se l'aspettava! Lo dica, lo dica pure lìberamente. Anche lei credeva che fossi una macchina? Ebbene ora lo sa che non sono una macchina, che posso liberarmi mondo voglio, gliene ho dato prova-, non lo dimentichi, non lo di­mentichi.

ALBERTI                      - (quasi paurosa) No, Commenda­tore.

BENEDETTO               - (all'improvviso, afferrandole i pol­si) , Crede che sia impazzito?

ALBERTI                      - No, commendatore, lei soffre.

BENEDETTO               - (è colpito, la guarda a lungo) Mai nessuno se n'ó accorto... inai nessuno.

ALBERTI                      - Lei ha bisogno di riposo, com­mendatore. Forse le farebbe tiene pren­dere qualcosa. Vuole che chiami, che ini interessi personalmente?

BENEDETTO               - No.

ALBERTI                      - Perché non si siede? Si riposi, commendatore. Non si preoccupi. Penserò io più tardi a procurarmi i listini di borsa.

BENEDETTO               - Anche lei cosi legata al lavorò!; anche lei, senza scampo, proprio come una macchina!

ALBERTI                      - Per dovere.

BENEDETTO               - Ma lei è tanto più piovane. Possibile che non abbia mai pensato a ri­bellarsi. .1 ribellarsi comunque?

ALBERTI                      - Mai. (Pausa).

BENEDETTO               - E sono stato io a ridurla così?

ALBERTI                      - Lei, commendatore! A ridurmi come ?

BENEDETTO               - Non vede? Così,

ALBERTI                      - Ma se le devo tutto. Fu lei che mi dette la possibilità di guadagnarmi il pane quando ne avevo veramente bisogno. Non Io dimenticherò mai.

BENEDETTO               - Ma le tolsi la gioia di vivere,

ALBERTI                      - No. Perché? M'indicò una via nuova, invece, che ignoravo, da princìpio dura a percorrere... soprattutto perché ave­vo paura di sbagliare.., poi, non più... Davvero le sono riconoscente, commenda­tore, tanto riconoscente.

BENEDETTO               - Almeno sarò stato utile a qual­cuno, se non altro a lei.

ALBERTI                      - Lavorare alle sue dipendenze è una gioia.

BENEDETTO               - Si... mi fa piacere. Ma quando ha terminato di lavorare? Insomma, quan­do esce dalla banca?

ALBERTI                      - Torno a casa... qualche volta vado al cinematografo.

BENEDETTO               - Ma chi trova a casa? Voglio dire, quale è la sua vita vera?

ALBERTI                      - La mia vita vera è questa.

BENEDETTO               - È mostruoso.

 

ALBERTI                      - Oh, no, è così varia, invece, cosi piena di sorprese, di colpi di scena fantastici... sempre in guardia contro tutti, pronti a stergare... io credo che soltanto ai capi di governo sia concesso di vivere una vita così intensa com'è la nostra.

BENEDETTO               - Peggio per i capi di governo, allora. (All'improvviso nervoso) Lei dovreb­be odiarmi per tutto il male che te ho fatto, altro che sentiti ringraziamenti. Odiarmi.

ALBERTI                      - Ma perché?

BENEDETTO               - Perché l'ho rovinata. Proprio io, sì. L'ho rovinata. Ed ho rovinato me stesso. E ho rovinato non so quanta gen­te. Ma degli altri ormai non m'importa. È tardi. È tardi per chiunque. Bel gesto, chiudere l'ALTOPARLANTE! Perché lei corra a procurarsi più lardi i listini. Per rico­minciare allo stesso modo più tardi. Ma non sente che non abbiamo più una vita nostra, che siamo incatenati e non jxis-siamo farci nulla? Lei, col suo entusia­smo per la banca, e io pure, io pure col mìo entusiasmo per Ja banca... io pure... (All'improvviso afferrandole i polsi) Ma mi dica, davvero le piace la banca, que­sto genere di lavoro? Sia sincera, sincera come in punto dì morte.

ALBERTI                      - (stordita, fors'anche turbata) Sì, mi piace.

BENEDETTO               - Anche a me. È terribile. An­che a me. Ma ora dobbiamo salvarci. Tu hai capito che soffrivo, sci stata la sola a dirmelo, l'unica. Ecco, ce ne andremo insieme, se vuoi. Ma devi volere. Anche lontano. Magari per sempre.

ALBERTI                      -  Mi lasci. Già eoa sospettano dì noi.

BENEDETTO               - Chi sospetta?!

ALBERTI                      - Di là: tutti.

BENEDETTO               - È falso. Del resto non è la prima volta che andiamo insieme, noi due. Alla fine ho il diritto di portarmi la segretaria dove voglio, per tutto i! tempo che voglio, per sempre, anche per sempre, se voglio.

ALBERTI                      - (accorata) Lei non può ordinarmi di seguirla, ora che non è più il padrone, ora che so.

BENEDETTO               - Se dobbiamo salvarci.

ALBERTI                      -  Questa è la mia vita.

BENEDETTO               - Perciò non puoi rifiutarti, per­ché la tua vita è questa. Anch'io sono la banca,

ALBERTI                      - (con rancore) Oh, non è più la banca, lei!

BENEDETTO               - E eredi che non soffra per que­sto, ora che mi posso guardare attorno! Cerca di comprendermi. T'ho logorata resistenza e non ho parole, adesso, per farti capire, per esprimerti quel che soffro.

ALBERTI                      - Io so che se non m'avesse par­lato a quel modo, non mi sentirei di nuo­vo sperduta, oggi. Come da piccola, che fui buttata contro il pane per la prima volta. Lei non c'era, non può capire, forse era già sazio, lei; ma io mi ritrovai sul lastrico piena di fame e con un corpo da crescere.

BENEDETTO               - Anche tu fin dal principio; an­che tu, sola.

ALBERTI                      - Mio padre era rimasto là e di mia madre non ho più traccia. Era gio­vane mia madre, e la strada ci entrò in casa con la frode. Fui costretta 3 fare a meno de! nome, l'unica cosa femminile che avessi,  ancora inservibile, del resto. Oh, no, non poteva permettersi di cre­scerlo con sé, queste straccioni, il proprio nome, di dividere il suo poco pane col suo nome troppo femminile. Se ne di­sfece. Presto o tardi avrebbe accampato delie pretese, niente da fare purtroppo. Dovevo essere per tutti l'ALBERTI, ormai, operaia sempre, incompiuta sempre come certe bestiole...

BENEDETTO               - Come ti chiami? Dimmi come ti chiami.

ALBERTI                      - Che vergogna!

BENEDETTO               - (la strìnge a sé) , Tutta la min ricchezza per il tuo nome. Dimmi tome ti chiami.

ALBERTI                      - Oh, che vergogna!

QUADRO QUINTO

(Stanza dì soggiornò in casa Benedetto. Spa­ziosa, elegantissima, moderna. La comune è nella pane di fondo; a sinistra, altra porta. Pomerìggio. Un'orchestrina suona dì là). (Entra dal fondo BENEDETTO   e si dirige a sinistra; ma quella sbavatura di musica che viene dì là, lo trattiene; torna perciò indietro, preme un bottone e va a sedersi iti una poltrona d'angolo, che è la sua poltrona abituale dì quando sì trattiene in famiglia. Entra il Cameriere).

CAMERIERE               - Il signore desidera?

BENEDETTO               - Cos'è questa musica?

CAMERIERE               - E giorno dì ricevimento.

BENEDETTO               - Chiamate mia moglie.

CAMERIERE               - Sì, signore.

BENEDETTO               - . Aspettate. Dov'è il telefono?

CAMERIERE               - Quando il signore non è in casa ho l'ordine di togliere l'apparecchio da questa stanza.

BENEDETTO               - Chi ri ha dato quest'ordine?

CAMERIERE               - La signora. Per l'estetica.

BENEDETTO               - Rimettete a posto l'apparecchio.

CAMERIERE               - Subito, signore. (Esce).

BENEDETTO               - (si tormenta le mani, se le passa sugli bechi).

CAMERIERE               - (dì ritorno con l'apparecchio che meite sul tavolo accanto alla poltrona di Benedetto) Chiedo scusa. Ho pure l'or-dine di rimettere a posto l'apparecchio in maniera che «1 signore non s'avveda di nulla. Ma il signore oggi è tornato all'im­provviso, fuori orario per la prima volta.

BENEDETTO               - Andate a chiamare mia moglie.

CAMERIERE               - Sì, signore. (Va a sinistra).

BENEDETTO               - (nervosissimo, si decide Ma fine a formare un numero) Pronto. La signorina

ALBERTI                      - No, un momento, non vo­glio parlarle. Voglio sapere se è in uffi­cio. (Pausa) È uscita? Subito dopo? No, non voglio essere seccato per nessuna ra­gione. Non ci sono per nessuno, per nes­suno. (Riattacca il microfono).

CAMERIERE               - (entra) La signora viene subito.

BENEDETTO               - (si leva smanioso, va per Ut stanza).

CAMERIERE               - Il signore ha comandi?

BENEDETTO               - No, niente.

CAMERIERE               - (esce).

BENEDETTO               - (tra ti") Che vergogna... oh, che vergogna!...

LA MOGLIE                 - (a una signora elegante, serena, piacevole, che forse ha sorpassato la quarantina) Come mai a quest'ora? Dimmi, caro.

BENEDETTO               - (le corre incontro, la prende per le mani, la conduce a sedere) "Vieni qua, sediamoci. Ho da parlarti.

LA MOGLIE                 - (si tocca spesso con le dita ora i capelli, ora le perle che ha al collo, ora la veste, come stesse davanti allo specchio) Non potremmo più tardi?

BENEDETTO               - No, più tardi no. Quella mu­sica mi dà ai nervi.

LA MOGLIE                 - È il mio giorno dì ricevimento, caro, Ho tanta gente di là. Sono venuri anche i Viscardini al completo per la pri­ma vòlta. Capisci com'è, se la padrona si assenta...

BENEDETTO               - Ho bisogno di parlarti subito.

LA MOGLIE                 - Non, è successo nulla di grave alla banca, caro?

BENEDETTO               - No, nulla.

LA MOGLIE                 - Un'idea. Perche non vieni nel salone un momento? Ti conoscono tutti di fama e nessuno personalmente. Sarci contenta se venissi. Poter presentare il ma­rito Carnoso di cui tutti parlano.

BENEDETTO               - Ma sono io che ho tk parlarli, E non m'importa della tua gente,

LA MOGLIE                 - Sei sgarbato. Quasi non ti ri­conosco.

BENEDETTO               - Ti chiedo scasa.

LA MOGLIE                 - Non mi hai ancora detto sé ti piaccio cosi vestita. Infine dimmi che t'è successo.

BENEDETTO               - Se m'interrompi sempre.

LA MOGLIE                 - Ti prometto che non aprirò più bocci.

BENEDETTO               - Sì, è meglio. Perché dovrei dirti prima di MAURIZIO e di Marga. Dov'è Marga? Di là con gli altri?

LA MOGLIE                 - No, non è di la. Però siamo state insieme da CORRADO, prima. Pòi lei se n'è andata non so dove ed io sono tornata a casa. CORRADO s'è messo su benissimo. È pieno d'iniziative. Ma perché devi dirmi prima di MAURIZIO e di Mar­ga? fi cosa che riguarda i nostri ragazzi, forse?

BENEDETTO               - La cosa riguarda me soltanto, adesso, (Pausa) Ho bisogno del tuo appog­gio, del tuo affetto, ancora di tutto il tuo affetto - comprendimi - come ai primi tempi che mi stavi sempre accanto, che eravamo tutt'una cosa.

LA MOGLIE                 - Ma che t'è successo, dimmi - francamente non ti capisco... Un rovescio in borsa, la miseria, che cosa? Ma non lo capisci che sto sulle spine... con tutto quella gente, di là, che m'aspetta!... Dio mio, che cosa terribile, così ali improvviso!

BENEDETTO               - Non è la miseria.

LA MOGLIE                 - Dio, ti ringrazio! Allora?

BENEDETTO               - Vedi... la famiglia...

LA MOGLIE                 - (sopraffacendolo) L'onore della famiglia, forse?

BENEDETTO               - (squallido) A un tratto, dopo tant'anni, mi sono accorto che la fami­glia non c'era più.

LA MOGLIE                 - Ma sei pazzo!?

BENEDETTO               - Non sono pazxo: no, senti: prima Maurizio.

MAURIZIO                  - con le sue idee, con le sue corse. Io non volevo, as­solutamente non volevo. Non ha voluto darmi ascolto. Alla fine ho dovuto cedere. Un padre non puà sempre dire di no, dire di no... E Marga. Anche Marga con la storia di quell'avvocato. Che cosa non ho fatto per la mia piccola. L'ho minaccia­ta... l'ho pregata in ginocchio.

LA MOGLIE                 - Lo so che sei stato eccessivo. Se non l'avessi stuzzicata troppo, Marga si sarebbe liberata da sé. Del resto sono convinta che lo farà presto.

 

BENEDETTO               - Davvero lo credi? Che cosa te lo fa credere?

LA MOGLIE                 - È tornata alle sue amiche di prima, qualche volta esce con me; insom­ma, puoi stai tranquillo.

BENEDETTO               - Mi: sfugge, mi sfugge. Vedi, tutti si sono allontanati da me, non ap­pena hanno potuto. Neanche CORRADO ha voluto darmi ascolto. Ora è l'amico di Maurizio, CORRADO. Contribuisce alla sua rovina.

LA MOGLIE                 - Ma di che rovina parli! Ma non dire sciocchezze!

BENEDETTO               - È come ti dico. E la Colpa è mia, mia soltanto. L'ho capito a un trat­to. Credevo di lavorare per voi, per il vostro bene, l'avrei giurato, e invece...

LA MOGLIE                 - Ehi? Non lavoravi per noi?!

BENEDETTO               - No, non lavoravo per voi.

LA MOGLIE                 - Allora, se è come dici, scusa, non ti dobbiamo nulla!

BENEDETTO               - La vostra rovina. Quella me la dovete di sicuro.

LA MOGLIE                 - Ma caro, se sei in vena di scherzare, andiamo dì là, almeno rìderan­no gli ospiti. Io non ne ho voglia.

BENEDETTO               - Ma è come ti dico. Credevo di far bene e mi sono perduto senza saperlo. Forse da principio non pensavo che J voi : a te, ai piccoli, è vero; ai pìccoli da crescere, figli miei; poi, non più, poi, il guadagno soltanto, il guadagno per il gua­dagno, è come ti dira; di voi non mi sono più ricordato.

LA MOGLIE                 - Tu farnetichi. Se ti dobbiamo tutto! Le comodità, il lusso, ville al mare e ai monti, il superfluo - perfino il tanto desiderato abbondante superfluo - vera­mente tutto!

BENEDETTO               - Appunto perché credevo che l'unico problema da risolvere, importante, che ne valesse la pena, fosse quello del vostro benessere materiale. Avevo troppo sofferto, prima, per preoccuparmi d'altro. Non volevo che i nostri figli avessero i patire. Li volevo sazi, beati, i figli. Bi­sognava accumulare per essi.

LA MOGLIE                 - È quel che hai fatto. Sei stato ammirevole.

BENEDETTO               - Ammirevole, dici! Ma come, come li abbiamo cresciuti?

LA MOGLIE                 - Come nessuno avrebbe saputo meglio.

BENEDETTO               - Oh, no, te lo dico io, come. Ficcando sotto le loro scarpe biglietti da mille, pacchi di banconote. Ecco quel che ho saputa fare per portarli in tanti anni fino a Un metro e settanta di altezza. Dei gesti materiali soltanto. E tu mi dici am­mirevole! Ammirevole, perché sono riu­scito ad accumulare ricchezze! Ma a costo di quali sacrifìci! Tu e i figli sempre più lontani, come un ricordo d'altri tempi, indistinto, sempre più lontani da me...

LA MOGLIE                 - Sei sempre così occupato, sfidi io!

BENEDETTO               - Se ci sono degli uomini che stanno in America ed è come se fossero a due passi dal loro campo, si ricordano di tutto! Come te lo spieghi3

LA MOGLIE                 - Mah!

BENEDETTO               - Io, invece, mi sono ritrovato solo, all'improvviso. Terribilmente solo. Solo da aver paura. Non è cosa di poco conto - fa impressione - addirittura sconvolge. Ed ecco che la segretaria s'ac­corge che soffro e me lo dice. Allora m'at­tacco a lei disperatamente. Non per salvarmi, comprendimi, ora lo so - ma voi non eravate più dentro di me - non per salvarmi, forse per perdermi del tutto.

LA MOGLIE                 - Ed è per dirmi questo che mi hai (atto lasciare gli ospiti?

BENEDETTO               - No, aspetta. Forse non mi soni spiegato bene. Ma è così vergognoso espri­mersi.

LA MOGLIE                 - Ti sei spiegato fin troppo. Sono cose che non mi riguardano.

BENEDETTO               - Come, non ti riguardano!

LA MOGLIE                 - Lo so. Lo sapevo già. Lo sanno tutti, dèi resto. M'offende che sia proprio tu a dirmelo, ceco. Questo non te lo per donerò mai.

BENEDETTO               - Ma che. cosa sapevi, ma che cosa sapevano tutti!?

LA MOGLIE                 - Che sei l'amico della segreta­ria. Ma sì, da dieci anni. Che necessità c'era di venirmelo a dire proprio «ggii non lo comprendo.

BENEDETTO               - Non è vero! Non è vero! Mai prima di oggi. E anche oggi - te l'ho già detto - soltanto perché mi sono scn tito terribilmente solo, all'improvviso. Mi s'è fatto attorno il silenzio, il vuoto, una cosa terribile. Voi non c'eravate più, non eravate più dentro dì me, chissà da quan­to tempo... Ma io non lo sapevo, te lo giuro, credevo che mi foste accanto, ft come ti dico; un attimo di squilibrio, di pazzìa furibonda. Perché non mi credi' Ma io non posso fare a meno della fa­miglia, la famiglia è ancora rutto per me. Tu devi aiutarmi. Dobbiamo rìcon quistarci tutti, ricominciare.

LA MOGLIE                 - Ricomincia chi non ha nulla. Noi siamo ricchi, per fortuna, e non possiamo. Eppoi, ricominciare in che modo?

BENEDETTO               - Non lo so ancora, ma trove­remo. Io e te. Da solo non potrei. Dob­biamo fare in modo che b famiglia tornì ad essere una cosa viva dentro il cuore di ciascuno.

LA MOGLIE                 - Ma è viva. Quante storie! T'as­sicuro che non è mai stata tanto viva, non ci manca nulla e si sta tutti così bene.

BENEDETTO               - Se t'ho detto della segretaria e non hai fatto un gesto, non hai avuto una lacrima!

LA MOGLIE                 - Sei proprio assurdo! Vuoi che pianga adesso per una notizia, sia pure cattiva, appresa dieci anni or sono.

BENEDETTO               - Allora ti chiedo ragione eli que­sti dieci anni.

LA MOGLIE                 - Di quali dieci anni?

BENEDETTO               - Degli ultimi.

LA MOGLIE                 - Oh, sai, non ti capisco.

BENEDETTO               - Della tua finzione, da che J«iì.

LA MOGLIE                 - Che finzione?

BENEDETTO               - Di moglie.

LA MOGLIE                 - Sei pazzo.

BENEDETTO               - No, non sono pazzo. Come po­tevi vivermi accanto, se sapevi? Io non avevo rimorsi, potevo starti vicino, io; ma tu? Tu che credevi di sapere!

LA MOGLIE                 - Può darsi pure che abbia sof­ferto i primi giorni, che ne sai tu? Può darsi pure che abbia pianto. E passato tanto tempo, come posso ricordarmi?

BENEDETTO               - Ma io soffro adesso! Adesso che tu non puoi neppure ricordarti! K non capisci ancora! Come non capisci? Che famiglia siamo se lo stesso dolore ci fa soffrire a dieci anni di distanza l'uno dall'altro! E come puoi sostenere che ti sta bene!? Ma lo sai che m'ero perduto a tal segno da proporle di andarcene lon­tano insieme?

LA MOGLIE                 -Tu e lei!

BENEDETTO               - Vedi a che punto...

LA MOGLIE                 - Svergognata!

BENEDETTO               - Oh!, è stata lei che non ha vo­luto.

LA MOGLIE                 - Ah! perché tu te ne saresti an­dato, eh?, infischiandoti dell'onore della famiglia, di tua moglie, dei ragazzi, del buon nome nostro, dt tutto. Con chi poi? Con una pettegola. E io qua, tappata in casa, piena di vergogna da averne finche campo per essere stata posta da mio ma­rito allo stesso livello di una qualunque dattilografa. (Piange).

BENEDETTO               - (minaccioso) Smettila di pian­gere.

LA MOGLIE                 - Come non ti vergogni!?

BENEDETTO               - Smettila dì piangere. Piangi per quello che avrebbero potuto dire gli altri se me ne fossi andato. Per quello arrivi alle lacrime vere. Vattene.

LA MOGLIE                 - (indietreggia, ravviandosi i ca­pelli).

BENEDETTO               - Di là! Di là.

LA MOGLIE                 - (esce).

BENEDETTO               - (gli cadono le braccia) Dimmi tu che devo fare. Dimmelo tu. (È un attimo: subilo lo riassalgono travolgenti pensieri e se ne va).

CAMERIERE               - (entra, fa al tavolo, prende il telefono per il collo, come un gatto sporco, e s'avvia per uscire, mentre cala lenta­mente la tela).

TELA