L’uomo della strada

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IL CERTIFICATO

L’UOMO DELLA STRADA

v.d.

(anno 2008)

Commedia in due atti

di

ITALO SCHIRINZI

Personaggi (in ordine di uscita):

Dario Santonastaso:               il figlio

Vincenza Scognamiglio:        la sua fidanzata

Agostino:                               lo zio

Loretta:                                  la madre di Dario

Amedeo:                                il padre di Dario

Don Antonio Tiravento:         il parroco

Terenzio Pipitone:                  l’impiegato del Comune

Anonimo:                               il geometra

a mia moglie Giovanna

E mail: italoschirinzi@alice.it

cell.340 5837903

L’UOMO DELLA STRADA

Atto Primo

La scena è costituita dal tinello di una casa popolare di un edificio condominiale. L’arredo è semplice. Alla parete destra una cucina economica con mobiletto porta-bombola e lavello ad una sola vaschetta. Appoggiato alla parete sinistra un mobile di arte povera con due candelieri ed una sveglia sopra. Al centro un tavolo coperto da una tovaglia, un portafrutta sopra e quattro sedie intorno.

In prima quinta a destra una porta interna, che conduce alla camera da letto, ed in quella di sinistra un’altra porta, che conduce alla cameretta ed alla stanza occupata dallo zio Agostino. In fondo a destra la porta d’ingresso che dà sul pianerottolo delle scale.

All’apertura del sipario la scena è vuota.

Scena prima

(Dario)

Dario:           (Rivolgendosi al pubblico). Sono Dario, il precario, sono un uomo del mio tempo con vizi, virtù, speranze ed ambizioni comuni a tanta gente. Ho, però, un piccolo difetto: detto tra di noi in confidenza, sono colui che ha il contratto di lavoro quasi sempre in scadenza e, quindi, la valigia sempre pronta. A me scadono i pelati, i formaggi, gli insaccati. Mi scade la mozzarella, lo stracchino, la nutella. Mi scadono le pillole, le fiale, mi scadono purtroppo anche le cambiali, che vanno subito in protesto, non sentendosi puntualmente rispettate. Se devo essere sincero fino in fondo da qualche tempo sento di essere scaduto pure io ed è per questo che ce l’ho con tutto il mondo e protesto, tal e quale come fa la cambiale. Ho ventinove anni già compiuti e fino ad oggi, nonostante la mia buona volontà, ho lavorato solo saltuariamente, quando poco, quando niente. Da ragazzo ho sempre tribolato perché lo studio non mi è mai piaciuto, ma ora sono parecchio incavolato e, se le cose non dovessero cambiare, qualche giorno prenderò tutte le domande di assunzione, che ho riposto nel cassetto, e ne farò all’improvviso un gran falò perché sono stanco di fare in eterno il CO. CO. CO..

Io sono precario, saltuario, temporaneo; sono tutto e sono niente e mi dibatto continuamente tra un lavoro precario ormai alla fine ed un altro al suo inizio, nella vana speranza di non fare ancora una volta l’avventizio. Sono in sostanza un tipico prodotto della nostra società, individualista e basata esclusivamente sul profitto. Non posso accendere un mutuo per l’acquisto della casa, comprarmi l’automobile, la vespa, il motorino o la scheda per il telefonino e sono nell’assoluta impossibilità di crearmi una famiglia. Non faccio mai le ferie, non vado mai in vacanza eppure viaggio, stando chiuso in una stanza, perché mi faccio e mi inietto una pera nella vena con un grammo di eroina. Fumo, mi faccio, mi impasticco ed alla fine sono io che ci rimetto. Sono fidanzato con Vincenzina Scognamiglio, una ragazza che frequenta la mia casa da quando aveva quindici anni ed è molto affezionata anche ai miei genitori. Un affetto sincero, il suo, come quello di una figlia. Da molto tempo ci diciamo le solite cose senza venire mai a capo di niente.

Scena seconda

(Dario e Vincenza)

Vincenza:     (Entra. E’ una ragazza di circa trent’anni, un po’ pienotta, capelli lunghi e neri, portamento da popolana). Dario, che novità ci sono?

Dario:           Vincenzina, appena troverò un lavoro stabile faremo una grande festa e fisseremo finalmente la data delle nozze.

Vincenza:     E quando avremo una casa metteremo al mondo un figlio, non è vero, Dario?

Dario:           Certamente. Ormai lo abbiamo sperimentato sulla nostra pelle: senza un lavoro stabile non si può fare niente.

Vincenza:     Se ce ne stiamo, ad aspettare, con le mani in mano, che tutto si risolva, proveremo una delusione dopo l’altra.

Dario:           Un’idea a questo proposito io ce l’avrei.

Vincenza:     Allora abbiamo già fatto un passo avanti?

Dario:           Ho esaminato in modo approfondito la situazione e mi sono reso conto che bisognerebbe fare qualcosa.

Vincenza:     Questo mi sembra ancora poco, per la verità.

Dario:           Visto come vanno le cose, mi sono persuaso che ci vuole una spintarella di qualcuno, che può fare sentire la sua voce negli ambienti giusti.

Vincenza:     Bisognerebbe avere qualche santo in paradiso.

Dario:           A tale proposito don Antonio Tiravento potrebbe essere la persona giusta.

Vincenza:     Chi, il parroco?

Dario:           Proprio lui. E’ una persona autorevole ed è conosciuta negli ambienti che contano.  

Vincenza:     Con noi è sempre stato buono e comprensivo.

Dario:           Sono certo che ci potrà risolvere il problema perché per la mia famiglia ha sempre avuto un occhio di riguardo.

Vincenza:     Era proprio la colomba dell’uovo, mannaggia!

Dario:           Forse vuoi dire: l’uovo di Colombo?

Vincenza:     Ecco, bravo. Proprio quello lì. Peccato che tu non ci abbia pensato prima perché a quest’ora potevamo essere già sposati.

Dario:           Le buone idee, cara Vincenzina, hanno bisogno di tempo per maturare, non nascono quasi mai all’improvviso. Sono le difficoltà, che stimolano il cervello ad andarle a ricercare.

Scena terza

(Dario, Vincenza e Agostino)

Agostino:     (Entra con il giornale in mano. E’ il fratello maggiore di Loretta, madre di Dario. Imbevuto di cultura popolare, è un tipo alquanto stravagante. Per sua stessa ammissione si identifica con l’uomo della strada. Ha superato la settantina e parla da poeta-filosofo). Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino. (Si siede e sfoglia il giornale).

Dario:           Zio Agostino, con chi ce l’avete stamattina?

Agostino:     Con chi ce la posso avere, secondo te?

Dario:           O con il mondo intero o con il Governo?

Agostino:     Con l’uno e l’altro invece ce l’ho. Io l’ho sempre detto, cara Vincenzina, ma nessuno mi voleva credere.

Vincenza:     Nemmeno Dario?

Agostino:     Che c’entra Dario, lui è una vittima, come me, come te, come tutti quelli, che sono poveri e disgraziati. Il mondo da qualche tempo si è impigrito. Mi sembra che non giri più come una volta, con quella bella regolarità, che aveva entusiasmato anche Galileo. Io, da semplice uomo della strada, credo di avere capito più cose di quante ne abbiano capito politici ed economisti messi assieme. Per questo sono sempre incazzato nero.

Vincenza:     Cosa avete capito, per esempio, zio Agostino?

Agostino:     Ho capito innanzitutto che così non può continuare. C’è troppa disonestà in giro, troppa violenza, troppa disparità, troppa miseria. C’è troppo di tutto. Bisognerebbe chiedere a Dio di fare un’altra volta il mondo, utilizzando l’esperienza in precedenza maturata, per correggerne i difetti e le storture, che si sono con il tempo manifestati.

Dario:           Avete ragione, zio. Io stavo dicendo per l'appunto a Vincenzina che bisogna farsi furbi altrimenti si rimane soccombenti.

Vincenza:     Farsi furbi! E’ una parola. Con tutti questi imbroglioni, che ci sono in giro, cosa possiamo fare noi miserelli?

Agostino:     Eh, no, cara Vincenza, bisogna invece reagire, contestare, fare se è necessario anche la rivoluzione. Non si può accettare tutto supinamente. Ormai si passa dal caldo al freddo senza che nemmeno ci se ne accorga.

Vincenza:     Questo è vero, lo diceva anche la mia povera nonna Filomena.

Agostino:     Non ci sono più le mezze stagioni, i ricchi sono sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri e chi ne fa le spese è sempre il pensionato, che non può neanche scioperare.

Dario:           Hai sentito, Vincenzina? Ha ragione lo zio Agostino.

Agostino:     Invece nessuno reagisce.

Vincenza:     Nessuno?

Agostino:     Nessuno fa qualcosa per impedirlo.

Dario:           (Sconsolato). Nessuno, proprio nessuno.

Agostino:     Nessuno, perché tutti pensano solo a mangiare.

Vincenza:     Se è per quello, tutti. Non ce n’è uno che si salvi, lo diceva anche la mia povera nonna Filomena.

Agostino:     A cominciare dagli uomini politici che, invece di fare l' interesse della gente, pensano solamente al loro tornaconto personale. Entrano in parlamento che sono dei morti di fame e nel giro di qualche anno sono ricchi sfondati. E’ una cosa inaccettabile, ma il popolo subisce…

Scena quarta

(Dario, Vincenza, Agostino, Loretta, quindi Amedeo)

Loretta:        (Entra. E’ una donna semplice di circa sessant’anni, precocemente invecchiata. Porta capelli raccolti in un toupet ed indossa un vestito di modesta fattura). Cos’hai da sbraitare, Agostino? Te ne inventi una ogni mattina per non perdere l’abitudine?

Agostino:     Cosa ne sai tu, Loretta, delle cose della vita?

Loretta:        Cerca di startene un po’ tranquillo, alla tua età…

Agostino:     Tranquillo? Come si può stare tranquilli di fronte a tante ingiustizie?

Loretta:        E’ inutile guastarsi il fegato, fratello mio. Purtroppo noi non possiamo farci niente, perciò ti consiglio di avere pazienza.

Vincenza:     Sì, sì. Pazienza ci vuole, pazienza, lo diceva anche mia nonna Filomena..

Agostino:     Pazienza ne abbiamo avuta fin troppa, anzi l’abbiamo tutta consumata ed ora, cara la mia Loretta, c’è il pericolo che ad essa subentri la rassegnazione. Altro ché…

Dario:           La rassegnazione?

Agostino:     Certo, ma io a questo gioco non ci sto.

Dario:           Nemmeno io ci sto. Zio, facciamo la rivoluzione insieme.

Loretta:        (Rivolgendosi al fratello). Ma non ti accorgi che mi stai mettendo su anche il figliolo? Con i tuoi discorsi strampalati me lo stai traviando questo ragazzo.

Dario:           Zio, non dare retta a mamma. Dimmi cosa serve per fare la rivoluzione.

Loretta:        Bell’esempio che stai dando ai ragazzi! Alla fine mi farai mancare anche di rispetto.

Dario:           Mamma, sta’ un po’ zitta, per favore. Fa’ parlare lo zio, che sta dicendo delle cose interessanti.

Amedeo:      (Entra mentre zio Agostino sta parlando. E’ il padre di Dario e marito di Loretta. Ha superato di poco i sessant’anni e, dopo avere lavorato quasi tutta la vita, medita di godersi la pensione in santa pace. E’ un uomo ancora energico e volitivo. Rimane per qualche attimo in silenzio ad ascoltare).

Agostino:     Per porre freno a questo brutto andazzo io una soluzione ce l’avrei. ma per il momento preferisco essere prudente.

Amedeo:      Tu hai sempre pronta la soluzione giusta per qualsiasi problema. Ma chi ti credi di essere, Einstein?

Agostino:     Per caso sei invidioso di me?

Amedeo:      Io, invidioso di te? Ma non farmi ridere! Parli, parli e non concludi mai niente.

Loretta:        Per l’amor di Dio, Amedeo, non lo provocare se no alla fine ci scappa pure la lite.

Amedeo:      Ma è la verità.

Agostino:     Ringrazia Iddio che sei il marito di mia sorella, altrimenti ti avrei risposto in malo modo. Ed ora, per protesta, me ne vado.

Loretta:        Agostino, non essere permaloso.

Agostino:     Me ne vado, me ne vado, ma ricordatevi che io la soluzione ce l’avrei veramente ed anche buona.

Amedeo:      Allora, sputa l' osso. Sentiamo qual è questa soluzione.

Dario:           Zio, qual è la soluzione?

Agostino:     Se proprio lo volete sapere è la soluzione dell’uomo qualunque, quella dell’uomo della strada…

Amedeo:      Cosa vi dicevo io: è una fesseria. La soluzione dell’uomo della strada, eh, eh! (Ride).

Agostino:     Sì, sì, la soluzione dell’uomo della strada, ma se permettete per ora me la tengo tutta per me e non vi dico niente. Arrivederci (esce).

Loretta:        Agostino, Agostino… (poi, rivolta ad Amedeo) Lo vedi cosa succede?

Amedeo:      Tuo fratello è un uomo impossibile.                

Loretta:        Ti ho detto mille volte: fammi il santo piacere, non lo contrariare con le tue battute velenose, perché poi Agostino se la prende a male e ci tiene il muso per un mese.

Amedeo:      E' troppo permaloso. Non gli si può dire nulla che subito s' incazza.

Loretta:        Tu lascialo dire e non lo contrariare. Si sfoga, poverino, ma non fa male a nessuno.

Amedeo:      Ho capito, gira e rigira la colpa è sempre mia. Piuttosto, di cosa stavate parlando prima che io arrivassi?

Dario:           Si stava dicendo con Vincenzina delle difficoltà che incontrano i giovani di oggi nel mettere su famiglia.

Vincenza:     Senza un lavoro sicuro non si può fare alcun progetto.

Dario:           Io e Vincenzina avremmo  intenzione di sposare ma…

Vincenza:     Non abbiamo nemmeno i soldi per fare la spesa.

Dario:           Avremmo intenzione di sposare ma…

Vincenza:     Non abbiamo una casa dove andare ad abitare.

Dario:           Avremmo intenzione di sposare ma, aspetta, Vincenzina, dammi tempo. Dal dire al fare c’è di mezzo il mare. Oh! Finalmente l’ho detto.

Amedeo:      Ma chi ve lo fa fare di sposare? Da fidanzati si vive molto più tranquilli e senza pensieri, date retta a me. Al giorno d’oggi non vi manca nemmeno lo spasso… siamo sinceri. Ai nostri tempi, invece, era diverso, vero Loretta?

Loretta:        Non scoraggiare i ragazzi. Prima o poi Dario troverà la sua sistemazione e potrà condurre all’altare Vincenzina.

Amedeo:      Questo me lo auguro anch’io per il loro bene.

Loretta:        A proposito, Amedeo, ricordati che questo mese c’è da pagare l’ultima rata del mutuo della casa.

Amedeo:      Eh, sì, con la grazia di Dio fra qualche giorno finiremo di pagare il mutuo e la casa sarà completamente nostra senza l’ipoteca della banca.

Vincenza:     Beati voi che siete riusciti a farvi una casa.

Loretta:        A prezzo di quanti sacrifici non lo puoi nemmeno immaginare, cara Vincenzina.

Amedeo:      Ci siamo levati il pane dalla bocca per crescere Dario e pagare contemporaneamente il mutuo della casa.

Dario:           Io vi sarò sempre riconoscente per quello che avete fatto per me.

Vincenza:     Peccato che tutti i vostri sacrifici finora siano valsi a poco.

Dario:           Cosa dici, Vincenzina? Non è mica colpa loro se io sono ancora disoccupato. Oggi è difficile per tutti trovare un lavoro fisso e c’è, quindi, il rischio che i miei genitori mi dovranno ancora mantenere per un po’ di tempo.

Loretta:        Lo faremo volentieri finché ce ne sarà bisogno.

Amedeo:      A proposito, ho sentito dire che il Comune farà prossimamente delle assunzioni di personale. Perché non vai a sentire di cosa si tratta?

Vincenza:     Andiamo ad informarci, Dario. Che fosse questa la volta buona!

Dario:           Io andrò a sentire cos’hanno da dirmi ma senza una buona raccomandazione non è lecito coltivare speranze di riuscita.

Loretta:        Intanto va’ a sentire… e poi da cosa può nascere cosa.

Vincenza:     Dario, andiamo a sentire.

Dario:           Va bene, va bene. Andrò a sentire ma non facciamoci illusioni, però. (Dario e Vincenza escono di scena).

Scena quinta

(Amedeo e Loretta)

Loretta:        Dario è un bravo ragazzo, rispettoso, affezionato. Di lui non ci possiamo lamentare. Speriamo che presto trovi una sistemazione stabile........

Amedeo:      Anche Vincenzina è una brava ragazza. Mi sembra assennata ed affettuosa.

Loretta:        Sì, sì. Formano  una bella coppia tutti e due, che Dio li benedica.

Amedeo:      Bisogna fare qualcosa per aiutarli, perché da soli  non ce la possano fare. Ora si sono messi in testa anche di sposare…!

Loretta:        Vincenzina spinge verso quel traguardo perché ha le sue buone ragioni per accelerare i tempi. Si frequentano da quando erano bambini e stanno diventando la favola del paese.

Amedeo:      Anche noi, quando eravamo giovani, avevamo la smania di sposare, te lo ricordi, Loretta?

Loretta:        Per la verità eri tu smanioso di sposare perché non vedevi l’ora di portarmi a letto, allora!

Amedeo:      Certo, tu mi tenevi a stecchetto!

Loretta:        Erano altri tempi quelli nostri. Altra mentalità, altri costumi. Vuoi mettere oggi…I giovani… E’ tutto un altro mondo.

Amedeo:      Non c’è nemmeno paragone con i tempi nostri.

Loretta:        Ricordo che al solo pensiero di potermi vedere un giorno nuda ti saliva il sangue alla testa, allora!

Amedeo:      Ora invece al pensiero di vederti nuda mi… cadono le braccia a terra. Vedi un po’ che differenza!

Loretta:        Quanto sei villano! Non mi fai mai un complimento, mai una gentilezza…

Amedeo:      Ma come, sto sempre a ricordare i tempi antichi e tu non sei contenta?

Loretta:        Lo vuoi capire che non si può vivere solamente di ricordi?

Amedeo:      Cosa sarebbe la nostra vita senza ricordi?

Loretta:        Bisogna vedere quali ricordi. Io ho ricordi di fame, di miseria, di sofferenza, che preferirei cancellare dalla mente, mentre mi piacerebbe avere un presente un po’ più ricco, diciamo così, di.... soddisfazioni anche ........amorose.

Amedeo:      Loretta, vieni un po’ qua, mettiti a sedere (le indica il suo ginocchio).

Loretta:        (Si siede sulle sue ginocchia). Lo sai che sei diventato un orso, amore mio? (Gli prende il naso con due dita). Non mi dai mai un bacio, non mi fai mai una carezza…ti

                     sei dimenticato che sono una donna.  

Amedeo:      Hai ragione, Loretta. Con l’età sono diventato un po’ distratto.

Loretta:        La notte ti accorgi di me solo se piove e di questi tempi purtroppo c’è la siccità.

Amedeo:      Pioverà, pioverà,  prima o dopo arriverà un temporale........

Loretta:        Hai ascoltato le previsioni del tempo? (Si alza e si siede sulla sedia vicina).

Amedeo:      Loretta, ti ricordi come eri carina quando ci siamo conosciuti? Mi sei piaciuta subito. Io ti facevo la corte ma tu non volevi saperne di me.

Loretta:        Fingevo per farti incaponire, ma mi piacevi pure tu.

Amedeo:      Che bei tempi erano quelli… quando… l’amore…

Loretta:        Eh! Quando l’amore era pulito ed anche un bacio aveva il suo valore. Un innocente, tenero bacetto sulle guance… mi faceva già arrossire.

Amedeo:      Oggi, invece, tutti fanno sesso.

Loretta:        Tutti? Io francamente non me ne sono accorta.

Amedeo:      Tutti i ragazzi, volevo dire.

Loretta:        Ah! I ragazzi, beati loro!

Amedeo:      Loretta, ricordi quella panchina, nascosta fra gli arbusti, testimone silenziosa dei nostri sentimenti?

Loretta:        La ricordo, la ricordo… eccome se la ricordo.

Amedeo:      Ricordi quale atmosfera si creava fra di noi in certi indimenticabili momenti…?

Loretta:        Come quella sera quando con un cazzotto per poco mi spezzavi un dente? Una serata memorabile. Chi la può dimenticare?

Amedeo:      Bella serata! Ma non fu la sola.

Loretta:        Purtroppo, no.

Amedeo:      Ti ricordi di quella volta che ti presi per il collo (mima il gesto) così e lo strinsi così forte da farti quasi soffocare?

Loretta:        (Con voce strozzata). Eccome no? (Amedeo allenta la presa e Loretta, con il respiro affannoso). Ricordo che io respiravo a malapena e tu non mollavi  la presa, imbufalito come eri.

Amedeo:      Eh, eh! (Ride). Che risate!

Loretta:        Per poco mi strozzavi veramente.

Amedeo:      Com’eri bella allora, Loretta!

Loretta:        Quanto eri stronzo allora, Amedeo!

Amedeo:      Strabuzzavi gli occhi come una ranocchia.

Loretta:        Vorrei vedere, stavo quasi per morire!

Amedeo:      Eh, eh! Quante risate ci facevamo, dopo! Ma non ricordo quella volta come andò a finire…

Loretta:        Andò a finire che io ti diedi una ginocchiata nelle palle, che ti fece trasalire.

Amedeo:      Ecco, sì, ora mi sembra di ricordare…

Loretta:        Probabilmente non te l’aspettavi. Te lo ricordi ora come andò a finire?

Amedeo:      Sì, sì, accidenti se me lo ricordo!

Loretta:        Facevi: caì, caì, caì, come un cane al quale hanno pestato la coda (ride).

Amedeo:      Mi pare di risentire ancora quel dolore lancinante. Ricordo che mi colpisti a tradimento e mi facesti vedere le stelle in pieno giorno.

Loretta:        Che risate! Per qualche secondo rimanesti addirittura senza fiato (imita un soggetto che ha un attacco d’asma). Poi ti mettesti a saltellare con tutte e due le mani su quel posto (mima la figura) e, bestemmiando come un turco, cominciasti ad imprecare contro di me e contro mia madre, poveretta. Me ne dicesti di tutti i colori e di riflesso anche a lei, ce non c’entrava niente. Figlia di… qua, figlia di… là, zoccola, puttana, maledetta…

Amedeo:      Se tu non avessi fatto in tempo a raggiungere la strada provinciale, che per tua fortuna era trafficata, quella volta ti avrei preso a calci nel sedere e gonfiato il viso come una zampogna, perché ero veramente infuriato.

Loretta:        Ci credo.

Amedeo:      Che belle serate si passavano allora…!

Loretta:        Quelli sì che erano tempi d’oro. Ci volevamo un sacco di bene e non vedevamo l’ora di stare insieme, uno appiccicato all’altra. Te lo ricordi?

Amedeo:      L’amore una volta era più bello, più sincero, più spontaneo, più genuino. Vuoi mettere oggi questi giovani, che hanno bisogno della droga per sentirsi vivi? Noi eravamo di un’altra tempra, cara Loretta, eravamo vivaci, focosi, passionali… arrapati…

Loretta:        Allora! Quante belle liti ci facevamo su quella panchina nascosta fra gli arbusti, testimone silenziosa dei nostri sentimenti!

Amedeo:      E quante ne abbiamo fatte anche in casa, sia di giorno che di notte, con piatti e bicchieri sempre rotti, che per ricomprarli ci costavano un occhio della testa.

Loretta:        Ma per amore tu non badavi a spese, allora!

Amedeo:      Certe cose non si possono dimenticare. Ti rimangono dentro.

Loretta:        Sì, sì. Lasciano il segno.

Amedeo:      A me lo hai lasciato sul viso (se lo tocca).

Loretta:        Ti riferisci ai tre punti di sutura, che ti hanno dato quando ti ho lanciato il posacenere?

Amedeo:      Precisamente. Ma qualcun altro me lo hai lasciato nella mente.

Loretta:        Vorresti forse dire che sei diventato scimunito?

Amedeo:      No! E’ stato l’amore tuo che mi ha colpito e da quel momento non mi sono più riavuto.

Loretta:        Esagerato! (Ride). Ad un certo punto della lite, immancabilmente, come se fosse un rito, mi davi sempre della troia, te lo ricordi?

Amedeo:      E’ vero, è vero. Che risate! Che risate!

Loretta:        Sei una troia, mi dicevi con gli occhi fuori dalle orbite, e dalla bocca spalancata ti usciva puntualmente un grumo di saliva, che come un proiettile mi arrivava diritta ad un occhio, tappandomelo completamente, da farmi diventare mezza cieca.

Amedeo:      Eh, eh, che risate! E tu, di rimando, mi chiamavi: gran bastardo, senza riuscire tuttavia a metterci d’accordo.

Loretta:        Ricordo i ceffoni che mi davi per farmi confessare i presunti tradimenti, che erano  frutto solamente della tua gelosia e della tua immaginazione.

Amedeo:      Il viso ti diventava paonazzo ma mai rosso di vergogna.

Loretta:        Perché ero innocente, poverina. Quanti pianti però per colpa tua mi sono fatti!

Amedeo:      Eh, sì. Abbondanti e ricorrenti. Sembravi una fontanella sempre aperta.

Loretta:        La verità è che non ci siamo fatti mancare niente.

Amedeo:      Quando ci si vuole bene… è tutta un’altra cosa!

Loretta:        Questi sono ricordi commoventi, che ti toccano il cuore.

Amedeo:      E’ bello ricordare i tempi passati. In queste occasioni, cara Loretta, mi sembra addirittura di ringiovanire. A dirtelo in confidenza mi sento anche più… più… capisci?

Loretta:        Amedeo, fosse la volta buona che questa notte piove?

Amedeo:      L’amore è una cosa meravigliosa, intendere non lo può chi non lo prova, come diceva il padre Dante.

Loretta:        Hanno ragione, perciò, i due ragazzi, che non vedono l’ora di sposare. La vita in due è tutta un’altra cosa, specialmente se si ha ancora la voglia di litigare.

Scena sesta

(Amedeo, Loretta, Dario, quindi don Antonio)

Dario:           (Entra). Eccomi.

Loretta:        Com’è andata?

Dario:           In Comune mi hanno detto che un impiegato sta girando per le case per prendere le adesioni dei giovani disoccupati perché hanno deciso di fare un concorso regolare.

Amedeo:      Un concorso regolare in Comune? Questa sì che è una bella novità!

Dario:           Così mi hanno detto e così ti dico.

Amedeo:      Non si è mai sentito dire che in Comune facessero un concorso regolare per assumere il personale.

Loretta:        Amedeo, forse qualcosa sta cambiando e noi non lo sappiamo.

Amedeo:      Sarà l’effetto serra ma, ti assicuro, è roba da non crederci.

D. Antonio:  (Entra. E’ il vecchio parroco del paese. Ha un’età indefinita e la voce tremolante come se tartagliasse). Pace e bene in questa casa.

Altri:             (Rispondono in coro): Pace e bene, don Antonio.

D. Antonio:  Dario, mi hanno detto che poc’anzi mi cercavi.

Dario:           Sì, don Antonio, ero venuto in parrocchia per dirle che io e Vincenzina avremmo pensato…

D. Antonio:  Oh! Avete finalmente deciso di sposarvi? Questa è una bella notizia. Complimenti, complimenti… era ora!

Dario:           Don Antonio, noi avremmo pensato…

Loretta:        Loro avrebbero pensato…

D. Antonio:  Bene, sono contento per voi. Mi sembra una giusta soluzione.

Dario:           Don Antonio, non vi vorrei deludere ma io e Vincenzina avremmo pensato di chiedere se potevate fare qualcosa per aiutarmi a trovare un lavoro fisso perché senza un lavoro stabile è difficile formarsi una famiglia.

Loretta:        Eh, sì, è difficile, don Antonio, è difficile.

Amedeo:      Ha ragione Dario, don Antonio, è difficile.

Dario:           Io e Vincenzina abbiamo dovuto scartare l’idea di sposarci proprio per la mancanza di un reddito sicuro.

D. Antonio:  Avete fatto male, anzi malissimo.

Loretta:        Se nessuno li aiuta questi ragazzi come fanno per campare?

Amedeo:      Come fanno?

Dario:           Come facciamo, don Antonio?

D. Antonio:  E la Provvidenza dove la metti?

Dario:           Dove la metto?

D. Antonio:  Dove la metti la Provvidenza? Ti sei scordato della Provvidenza?

Dario:           (Si guarda intorno quasi a chiedere aiuto ai propri familiari). Forse mi sono scordato?

Amedeo:      Don Antonio ti ha fatto una domanda precisa: dove la metti la Provvidenza? Su, rispondi, Dario.

Dario:           Scusa, papà, ma dove la devo mettere?

Loretta:        Dove la devi mettere, Dario?

Dario:           Non lo so, mamma.

D. Antonio:  Non lo sai?

Loretta:        Non lo sa, poverino, che ci possiamo fare?

D. Antonio:  Questo è grave, figliolo, molto grave, anzi gravissimo.

Amedeo:      Dario, pensaci bene prima di dire: non lo so. Altrimenti fai la figura dell’ignorante e don Antonio giustamente s'incaz..., si arrabbia.

Dario:           Mi scusi, don Antonio, mi potrebbe fare la domanda di riserva?

D. Antonio:  E che siamo al.... rischiatutto?

Loretta:        Don Antonio, perdonatelo. E’ ancora giovane e forse non è pratico di Provvidenza.  …

D. Antonio:  Dovete sapere, cari figlioli, che la Provvidenza ha braccia e vista lunghe. (Rivolgendosi a Dario). Se tu, caro Dario, farai il bravo, la Provvidenza ti aiuterà sicuramente a trovare un lavoro fisso.

Dario:           Ah, sì? Meno male, grazie don Antonio.

D. Antonio:  Ricordati, però, che mentre per le coppie sposate e con tanti figli la Provvidenza ha sempre un occhio di riguardo, per gli scapoli non ha nessuna considerazione.

Dario:           Nessuna, don Antonio?

D. Antonio:  Nessuna. Avete capito? Nes-su-na.

Loretta:        Don Antonio, noi certe cose non le sappiamo perché siamo persone sprovvedute ma vi ringraziamo per il suggerimento che ci avete dato. Dario,  ringrazia don Antonio e  fa' come ti dice.

Dario:           Grazie, don Antonio, ne parlerò subito con Vincenzina e vediamo cosa possiamo fare per arruffianarci con la Provvidenza.

Amedeo:      Scusatelo se poco fa non ha saputo rispondere alla domanda ma ora gli farò fare subito un bel ripasso.

Dario:           Papà, lascia perdere, per favore. Non siamo a scuola.

D. Antonio:  Bisogna avere fede, figliolo, avere fede e vedrai che ogni cosa andrà al suo posto. Pace e bene in questa casa. (E, salutato dagli altri, esce portandosi a braccetto Dario, al quale continua a fare la sua predica). Vieni, vieni con me, Dario. Se avrai fede, caro figliolo… tutto… si sistemerà…

Scena settima

(Amedeo, Loretta e Agostino)

Agostino:     (Entra impugnando un manico sul quale sono stati fissati all’estremità inferiore una scopa e a quella superiore un cartello con su scritto: “una scopa per tutti”. Lo agita mentre imita un coro da stadio). Alè, oh, oh! Alè, oh, oh! Alè…

Loretta:        Che ci fai con questo cartello e con la scopa in mano? Benedetto uomo, una ne pensi e cento ne fai.

Agostino:     Sto facendo le prove per il movimento culturale che io stesso ho fondato l’altro ieri.

Amedeo:      Quale movimento?

Agostino:     Come, in città non si parla d’altro e tu, non sai ancora niente? Allora, se permetti, mi presento.

Amedeo:      Dove ti presenti?

Agostino:     Mi presento a te, ignorante.

Amedeo:      Ma io ti conosco già, che ti presenti a fare?

Loretta:        Agostino, Amedeo ti conosce, sei suo cognato. Che te ne sei dimenticato?

Agostino:     Come fa a conoscermi in questa nuova veste se non ne abbiamo mai parlato?

Amedeo:      In quale veste, scusa?

Agostino:     Nella veste del cittadino medio. Io sono l’uomo della strada, capisci?

Amedeo:      Chi sei? 

Agostino:     Sono, per intenderci, l'uomo dei sondaggi, quello a cui telefonano per conoscere quali sono le abitudini normali della gente, quale sia stato il gradimento dello spettacolo televisivo del giorno precedente o come si fa ad arrivare alla fine del mese con meno di mille euro solamente.

Amedeo:      Come hai fatto a diventare da un giorno all’altro l’uomo della strada ufficiale?

Agostino:     Come da un giorno all’altro? Anche se non te ne sei mai accorto anche tu sei l’uomo della strada.

Amedeo:      Anche io?

Agostino:     Tutti i poveri disgraziati come noi sono uomini della strada ma molti purtroppo non sanno di esserlo, capisci?

Loretta:        Agostino, anch’io sono l’uomo della strada?

Agostino:     No, tu no, cosa c’entri?

Loretta:        Perché no?

Agostino:     Perché tu sei una donna della strada.

Amedeo:      Bada come parli e non offendere tua sorella, disgraziato.

Agostino:     E’ un modo di dire, ignorante, per significare che siamo delle persone semplici come al mondo ce ne sono tante. E’ una metafora per indicare una persona del popolino.

Loretta:        Non te la prendere, Amedeo, hai sentito cos’ha detto Agostino? Senza saperlo siamo tutti persone di strada.

Amedeo:      E quelle che non sono di strada chi sono?

Agostino:     Sono i ricchi, i benestanti… sai, io ho capito perché ci considerano di strada.

Amedeo:      Perché?

Agostino:     Forse ci considerano randagi.

Loretta:        Come i cani?

Agostino:     Contrapponendoci a quelli da salotto, che sarebbero quelli aristocratici, con la puzza sotto il naso. Io, da uomo della strada, mi dibatto da tempo in un dilemma.

Amedeo:      Quale dilemma, sentiamo?

Agostino:     Se accettare, cioè, tutto quanto con santa rassegnazione oppure lottare per tentare di cambiare qualche cosa di questo brutto mondo.

Loretta:        Contro chi dobbiamo lottare, Agostino?

Agostino:     Tu hai ragione di essere scettica perché i nemici sono tanti e difficilmente identificabili.

Amedeo:      Per forza, sono tutti latitanti.

Loretta:        Sono ancora latitanti? Io avevo sentito dire che li avevano catturati.

Agostino:     Chi?

Loretta:        I latitanti.

Agostino:     Ma quali latitanti? I nostri nemici sono i fantasmi della vita, quelli che si divertono quotidianamente a crearci difficoltà a non finire, quelli che fanno aumentare i prezzi in modo ingiustificato…quelli....

Amedeo:      Ah! Sono fantasmi? Maledetti disgraziati…

Loretta:        Con quali armi li possiamo combattere questi fantasmi delinquenti?

Agostino:     Io un’idea ce l’avrei.

Amedeo:      Ti pareva che lui non avesse già l’idea? Qual è questa idea, sentiamo.

Loretta:        Agostino, non fare come è tuo solito che alla fine te ne vai e ci lasci con questo pensiero che ci frulla nella testa. Questa volta ce la devi dire senza trovare scuse.

Agostino:     L’idea mi è venuta in mente qualche tempo fa, osservando attentamente un netturbino, anch’egli naturalmente per eccellenza uomo della strada.

Amedeo:      Cosa c’entra il netturbino con i fantasmi della vita, che fanno aumentare i prezzi?

Loretta:        Lascialo dire, Amedeo, potrebbe dirci qualcosa d’interessante, che noi non sappiamo.

Agostino:     Quel netturbino teneva fra le mani il manico di una scopa come questa e, muovendola ora a destra, ora a manca (mima il movimento), ripuliva tutta la strada.

Amedeo:      E’ naturale, faceva lo spazzino.

Agostino:     Non c’era cosa che sfuggisse alla sua implacabile azione.

Loretta:        Si vede che era un netturbino coscienzioso.

Agostino:     Altro che spazzino. Quell’uomo sembrava un dio vendicatore. Quella scopa nelle sue mani era un’arma micidiale perché con essa decideva di mandare nella pattumiera tutto quello, che sporcava o ingombrava la strada.

Amedeo:      Che novità sarebbe questa?

Agostino:     Io ho subito pensato: se ogni cittadino, compreso quello medio o uomo della strada come piace meglio definirlo, fosse dotato di una scopa con licenza di spazzare tutto il mondo, chissà quante cose potrebbe fare? Di spazzatura nel mondo ce n’è tanta e tutti quanti con la scopa in mano potremmo contribuire a ripulirlo. Chi di una cosa, chi di un’altra…

Amedeo:      Molto interessante!

Loretta:        Come si dovrebbe fare in pratica, Agostino?

Agostino:     Ogni cittadino dovrebbe utilizzare la scopa per spazzare in primo luogo tutte le ingiustizie esistenti.

Loretta:        Caspita!

Agostino:     La scopa dovrebbe servire per dare a ciascuno la possibilità di fare sentire le proprie ragioni, di fare valere i propri diritti, avete capito?

Amedeo:      Formidabile!

Agostino:     “Una scopa per tutti”, perché nel mondo ci sia più democrazia.

Amedeo:      Questa  è un' idea  rivoluzionaria. Non ti credevo tanto intelligente.

Loretta:        Te l’ho detto che era meglio lasciarlo parlare.

Amedeo:      Chi se lo credeva!        

Loretta:        Lui ha il sale nella zucca.

Agostino:     Ci vorrebbe una grande scopa per spazzare la perfidia, la cattiveria, l’invidia e tutti gli altri sentimenti, che di buono non hanno niente.

Amedeo:      Bene!

Loretta:        Bravo!

Agostino:     Grazie. Ci vorrebbe un’altra scopa per ripulire il Parlamento dai senatori e deputati inquisiti o condannati. Ed in un’unica mandata dare loro una scopata.

Amedeo:      Bene!

Loretta:        Bravo!

Agostino:     Grazie. Ci vorrebbe una scopa, costruita a bella posta, per ripulire la TV dall’enorme spazzatura sia presente che futura.

Loretta:        Hai sentito, Amedeo, quante cose si possono fare con una scopa?

Agostino:     Ci si può liberare di ogni cosa che non ci piace.

Loretta:        E’ davvero miracolosa.

Amedeo:      Idea geniale. Bisogna chiedere subito il brevetto prima che qualcuno se ne impossessi.

Agostino:     La scopa è uno strumento della democrazia perché mette tutti nelle condizioni di scopare.

Loretta:        Hai sentito, Amedeo? Mette tutti nelle condizioni di…

Amedeo:      Ho capito, in futuro ne terremo conto.

Agostino:     C’è chi scopa la terrazza e chi scopa la cantina. C’è chi scopa a mezzogiorno e chi scopa la mattina e c’è chi… giocando con la tata si fa pure una scopata per rendere gradevole un inizio di giornata.

Loretta:        Che ganzo che sei, fratello! Ci fai anche la rima.

Amedeo:      Cos’altro si può fare con la scopa?

Agostino:     Presto detto. Se il Governo non ci piace o la moglie non ci dà pace con una scopa ben collaudata possiamo dare loro una scopata per levarceli di torno.

Loretta:        Lo sai che sei uno spasso, Agostino?

Amedeo:      Quello che dici è molto divertente. Non conoscevo questa tua dote, francamente. Sembri un uomo di spettacolo, di spettacolo di strada, ben inteso.

Agostino:     Molte ragazzine, decise a farsi largo nel mondo della TV, rischiano anch’esse di essere scopate e gettate poi nella pattumiera.

Loretta:        La colpa è delle  mamme, che dovrebbero tenersi fra le gambe queste ragazzine.

Amedeo:      Cos’altro ci sarebbe ancora da spazzare secondo il tuo parere?

Agostino:     Molte cose ci sarebbero in Italia da spazzare.

Amedeo:      Le tasse?

Agostino:     Le tasse innanzitutto.

Loretta:        E poi?   

Agostino:     Trenitalia, la brutta politica, la corruzione......

Amedeo:      La malasanità…

Agostino:     Dobbiamo spazzare tutto. La cucina, il salotto, l’ingresso, la camera da letto e così via. E’ della massima importanza che si scopi in ogni stanza…

Loretta:        Hai sentito, Amedeo, in ogni stanza!

Agostino:     Perché prima o poi sarà tutto pulito intorno a noi. E se alla fine della giornata la suocera ci dice  che viene a stare con noi per qualche mese, per farle un po’ di festa le possiamo dare una bella scopata sulla testa.

Loretta:        Poverina!

Amedeo:      Che poverina d’Egitto, ha ragione Agostino.

Agostino:     Se i tempi sono tristi per l’azione dei terroristi o per il pericolo dell’antrace, dovremmo tutti combattere per la pace, servendoci della scopa che ci è stata regalata, ricordandoci che, in fondo in fondo, anche la vita nel suo eterno divenire ha sempre avuto origine da una semplice… scopata. Alè, oh, oh! Alè, oh, oh! Alè… (Esce di scena sventolando il suo cartello mentre Amedeo e Loretta lo guardano ammirati).

Scena ottava

(Amedeo, Loretta, Dario e Vincenza)

Dario:           (Entra). E’ già arrivata Vincenzina?

Loretta:        Non ancora.

Amedeo:      Dario, tu lo sapevi che zio Agostino ha fondato un movimento culturale per dotare tutti di una scopa?

Dario:           No. Cos’è questa storia della scopa?

Loretta:        E’ una sua idea ma credo che non la possa realizzare con quello che costano le scope al giorno d’oggi.

Amedeo:      L’idea è buona ma è troppo costosa per lui.

Dario:           Con la pensione, che gli passa l’INPS, vorrebbe comprare le scope a tutti? Ma che si è ammattito lo zio Agostino?

Amedeo:      Dice che, volendo, si potrebbe spazzare il mondo e renderlo migliore di quello che è, più pulito, insomma…

Dario:           Secondo me ci deve pensare il Comune a spazzare le strade. Cosa c’entra lui?

Loretta:        Dice che la scopa è un importante strumento della democrazia.

Amedeo:      Dario, forse non ci crederai, ma questa volta lo zio Agostino ha fatto un discorso sensato e convincente.

Dario:           Il discorso della scopa?

Amedeo:      Sì, della scopa.

Vincenza:     (Entra). Ho visto don Antonio ma non ho fatto in tempo a dirgli che lo avevi cercato.

Dario:           Non ti preoccupare, è venuto lui a trovarmi in casa.

Vincenza:     Cos’ha detto, te la fa la raccomandazione?

Dario:           Sì e no.

Vincenza:     Come sarebbe a dire, sì e no?

Loretta:        Amedeo, lasciamo i ragazzi liberi di discutere fra di loro.

Amedeo:      Perché, si vergognano di farlo davanti a noi?

Loretta:        Da’ retta a me, Amedeo, andiamo via e lasciamoli soli. I giovani hanno bisogno della loro libertà (marito e moglie escono).

Dario:           Ha detto don Antonio che se ci sposiamo e mettiamo al mondo tanti figli potremo vivere tranquilli, perché penserà la Provvidenza a risolvere tutti i nostri problemi.

Vincenza:     Sarebbe troppo bello.

Dario:           Anche a me è sembrato strano. Ma poi ho pensato: se lo dice lui, che è uno di loro e conosce bene l’ambiente, perché dovremmo dubitarne noi, che siamo due poveri ignoranti?

Vincenza:     Io credo che tu abbia ragione a prendere come oro colato le parole di don Antonio,  ma metti che la Provvidenza, con tutte le cose che ha da fare, si distraesse un pochettino........ noi rischieremmo di fare una brutta fine, caro Dario. Cosa daremmo da mangiare ai nostri figli?

Dario:           Mi sembrava sicuro del fatto suo. Anzi, quasi quasi s’incazzava perché io non lo assecondavo.

Vincenza:     Nel mondo ci sono fatti e situazioni molto più importanti del caso nostro.

Dario:           Per esempio?

Vincenza:     Ci sono guerre, epidemie, violenze, carestie, che richiederebbero interventi urgenti e radicali da parte della Provvidenza che, nonostante la buona volontà,  non riesce ad effettuare.

Dario:           Vedo che sei un po’ pessimista, Vincenzina.

Vincenza:     Io temo che noi due, con le nostre misere esigenze, rischiamo di trovare scarsa udienza a quell’altissimo livello.

Dario:           Bisogna avere fede, Vincenzina. Don Antonio mi ha assicurato che per coloro che sono sposati ed hanno figli c’è una corsia preferenziale.

Vincenza:     Quello che ti ha detto don Antonio sulla Provvidenza è una cosa molto bella, che dà sollievo ai derelitti ed infonde fiducia anche a quelli disgraziati come noi ma se, invece di costringerci a fare un salto nel buio, la Provvidenza ci potesse dare in anticipo un segno tangibile della sua benevolenza io, senza con questo volerle mancare di rispetto, mi sentieri un pochino più tranquilla. Mi sono spiegata?

Dario:           Quale segnale ci dovrebbe dare, secondo te?

Vincenza:     Se attraverso il prete ti facesse trovare, per esempio, un buon lavoro sarebbe già un  passo avanti, non ti pare?

Dario:           Con la Provvidenza non si può trattare. Va lasciata fare. Dobbiamo in sostanza  prendere o lasciare.

Vincenza:     Dici?

Dario:           Al suo cospetto noi siamo due piccole creature, bisognose di aiuto, che brancolano nel buio, due formichine senza antenne, che non sanno dove sbattere la testa. Come possiamo pensare di trattare a tu per tu con la Provvidenza per farci dare l’anticipo o la caparra? C’è il rischio che s’incazzi e ci mandi a quel paese.

Vincenza:     Hai ragione. Ma ora ti prego di scusarmi. Sono un po’ disorientata ed ho bisogno di mettere ordine nella mia testa.

Dario:           Come vuoi tu, cara, io non ti voglio forzare ma pensiamoci bene prima di rifiutare l’offerta.

Scena nona

(Dario, Vincenza, Loretta, quindi l’impiegato comunale)

Loretta:        (Entra).Dario, fra poco verrà l’impiegato del Comune per chiederti se vuoi partecipare al concorso per essere assunto.

Vincenza:     Questa è una buona notizia. E’ un chiaro segno del destino.

Dario:           Vincenzina, forse è quel segnale concreto che hai chiesto alla Provvidenza.

Loretta:        Quando glielo hai chiesto, Vincenzina?

Vincenza:     Poco fa, signora. Si stava per l’appunto ragionando con Dario e mi sono permessa…

Loretta:        Perché, ci sei in confidenza?

Dario:           Con chi è in confidenza?

Loretta:        Con la Provvidenza.

Dario:           Vincenzina, come mai non me lo hai detto prima?

Vincenza:     Cosa ti dovevo dire?

Dario:           Che conosci bene Provvidenza. Ha detto la mamma che ci sei addirittura in confidenza.

Loretta:        Io l’ho solamente ipotizzato, non l’ho affermato. La mia era una semplice supposizione.

Vincenza:     Della Provvidenza io non ne so niente. Ne ho sentito parlare qualche minuto fa proprio da te.

Dario:           A proposito, Vincenzina, tu dove la metti la Provvidenza?

Vincenza:     Dove la devo mettere?

Dario:           Non lo sai?

Vincenza:     No, non lo so.

Dario:           Se ti sente don Antonio ti fa una cazziata che ricorderai finché campi.

Vincenza:     Vi giuro che non ci sto capendo niente con questa storia della Provvidenza… mi sento frastornata tutta la mente.

                     (Suonano alla porta e poco dopo entra l’impiegato del Comune. E’ un uomo di età indefinita, vestito di grigio scuro, con capelli lisci, neri, impomatati. Porta occhiali da miope ed ha in mano una cartella).

Impiegato:    E’ permesso?

Loretta:        Avanti, avanti.

Impiegato:    Sono Terenzio Pipitone, impiegato di Concetto del Comune.

Loretta:        Buonasera, signor Concetto.   

Impiegato:    Prego, Terenzio.

Loretta:        Mi scusi, avevo capito Concetto.

Impiegato:    Vengo per chiedere se nella vostra famiglia c’è qualche giovane disoccupato.

Loretta:        (Indicando Dario). Sì, sì, eccolo. Voi siete il benvenuto in questa casa. Eccolo, eccolo… fatti vedere, Dario.

Impiegato:    La ringrazio, signora.

Dario:           Mamma......!

Loretta:        Guardi, signor impiegato del Comune, guardi che bellezza di disoccupato è questo ragazzo, che Dio lo benedica. Non perché è mio figlio ma è difficile oggi trovarne uno uguale. Disoccupato DOC, con ottime referenze…

Impiegato:    Lo vedo, lo vedo.

Loretta:        Come lo fa lui il disoccupato non lo fa nessuno. E' una vita che lo fa.

Dario:           Mamma, per piacere, non incominciare a tessere le lodi tanto non serve a niente.  Questa volta in Comune vogliono fare un concorso regolare.

Impiegato:    (Si meraviglia). Chi te l’ha detto?

Dario:           L’ho sentito dire da un impiegato dell’Ufficio Assunzioni.

Impiegato:    Questo è veramente uno scandalo, signori miei, uno scandalo.

Loretta:        Uno scandalo?

Impiegato:    Forse non lo sapete, ma un concorso regolare può costituire  un precedente pericoloso per il nostro Comune.

Dario:           E’ vero!

Impiegato:    Si comincia con il fare le assunzioni regolari e poi non si sa dove si va a finire.

Loretta:        Chi lo sa dove si andrà a finire?

Impiegato:    La gente, cara signora, fa presto ad abituarsi alla legalità e poi cominciano i guai perché vorrebbe che tutto fosse regolare, anche l’assegnazione delle case popolari e..... via dicendo.

Loretta:        Ha ragione.

Impiegato:    Chi ha ragione, la gente?

Loretta:        No, no, ha ragione lei.

Impiegato:    Ah! Mi pareva. Se alla gente dai un dito poi pretende tutta la mano. Ma lasciamo perdere, vah!… (si guarda intorno cercando una sedia per accomodarsi).

Dario:           (Se ne accorge e lo invita a sedersi). Prego, si accomodi, signor Pipi… Vincenzina, prendi una sedia per il signor Pipi…

Impiegato:    Pipitone.

Vincenza:     (Esegue). Prego, dottor Pipi…

Impiegato:    Pipitone. (Si mette comodamente a sedere, apre la sua cartella, prende carta e penna). Dunque, vediamo un po’, innanzitutto, come ti chiami?

Dario:           Chi, io?

Impiegato:    Sì, tu.

Dario:           Mi chiamo Dario Santonastaso.

Impiegato:    Nato?

Dario:           Sissignore.

Impiegato:    Dove?

Dario:           In ospedale.

Impiegato:    Di anni?

Dario:           Mamma, di quanti anni sono nato?

Loretta:        Come di anni? Di nove mesi, come tutti gli altri.

Dario:           Di nove mesi, signor impiegato.

Impiegato:    Giovanotto, dimmi quanti anni hai e non mi fare perdere tempo.

Dario:           Ventinove, per servirla.

Impiegato:    Bene, bene.

Loretta:        Bravo!

Dario:           (Compiaciuto si guarda intorno). Quasi trenta.

Impiegato:    Bene, bene.

Vincenza:     Bravo!

Impiegato:    Di professione?

Dario:           Disoccupato.

Impiegato:    Bene, bene.

Loretta:        Bravo!

Vincenza:     Bravo!

Impiegato:    Fisso?

Dario:           No, precario, cioè cronico, stabile volevo dire.

Impiegato:    Bene, bene, anzi benissimo.

Dario:           (Si volta verso le due donne ed inneggia alla vittoria con ambedue i pollici rivolti al cielo, mentre Vincenzina si frega le mani tutta contenta).

Impiegato:    Coniugato?

Dario:           Non ancora.

Impiegato:    Ahi! Ahi! Ahi! Ahi! (E rimane con la penna sospesa sul foglio).

Dario:           Cosa c’è che non va?

Impiegato:    C’è, cari signori, che quelli che sono sposati hanno la precedenza su tutti gli altri concorrenti.

Dario:           Accidenti! Don Antonio l’aveva detto che la Provvidenza avrebbe avuto un occhio di riguardo per quelli sposati perché c'è la corsia preferenziale..

Impiegato:    Cosa c’entra la Provvidenza?

Dario:           Nulla, nulla. A proposito, lei dove la mette la Provvidenza?

Impiegato:    Dove la devo mettere?

Dario:           No, niente, niente......

Vincenza:     Non lo sa nemmeno lui.

Impiegato:    Allora, che facciamo, cari signori?

Vincenza:     Chi si poteva immaginare una cosa del genere?

Dario:           Mi scusi, signor Pipi…

Impiegato:    Pipitone.

Dario:           Quelli conviventi come se la passano?

Impiegato:    Sposati o conviventi in questo caso è la medesima cosa. Hanno in pratica gli stessi diritti.

Dario:           Hai sentito, Vincenzina?

Vincenza:     Ho sentito, ho sentito.

Impiegato:    Attenzione, però, attenzione perché decisiva è la prole.

Dario:           Ah! La prole?

Impiegato:    Sì, la prole. Voi ne avete prole?

Dario:           (Guarda le due donne sperando in un loro suggerimento).Mamma, ne abbiamo prole in casa?

Loretta:        (Con la mano fa segno: così così e Vincenza la imita).

Dario:           Abbastanza, non ci possiamo lamentare.

Impiegato:    Giovanotto, potresti spiegarti meglio, per favore?

Dario:           Mi scusi, signor Commissario, cos’è questa prole?

Impiegato:    I figli. Ne avete figli a carico?

Dario:           Ah! I figli. Vincenzina, ne abbiamo figli a carico?

Vincenza:     Ma quali figli, che sei matto?

Loretta:        Ci scusi, signor impiegato, ma per il momento non ne abbiamo disponibili.

Impiegato:    Cosa c'entrate voi?

Loretta:        Mi scusi, signor Concetto, volevo dire che non ne hanno.

Dario:           Ma se fosse necessario potremmo provvedere, vero Vincenzina?

Vincenza:     Io faccio quello che vuoi tu.

Impiegato:    Beh! Mi dispiace ma, considerato tutto, penso sia meglio riparlarne il prossimo anno.

Loretta:        Che peccato!

Dario:           Ma non c’è proprio nulla da fare?

Impiegato:    Purtroppo no.

Loretta:        Se c'è bisogno della...mazzetta......

Impiegato:  Questa volta no. E' purtroppo un concorso regolare. Per avere  speranza di riuscita dovreste essere almeno conviventi con prole.

Dario:           Conviventi con prole. Avessi dato retta a don Antonio........

Impiegato:    Coraggio, figliolo, sarà per un’altra volta. Ora vi devo purtroppo salutare perché ho da fare un giro molto lungo. Devo visitare tutte le case del paese e temo di fare tardi. Queste sono le conseguenze quando ci si intestardisce nel voler fare un concorso regolare in Comune. E’ uno scandalo, uno scandalo, cari signori… (saluta ed esce, lasciando gli altri disperati).

Dario:           Porca miseria! La colpa è nostra, cara Vincenzina.

Vincenza:     Ad averlo saputo prima ci saremmo subito messi in regola.

Dario:           Nessuno ci ha avvisato, nessuno!

Vincenza:     Nemmeno la Provvidenza ci ha detto niente.

Loretta:        Io sono convinta che qualche figlio di signori lo sapeva e se n’è stato zitto.

Dario:           Certo, per accaparrarsi questo lavoro. Vincenzina, se vogliamo avere anche noi qualche possibilità per il futuro, dobbiamo darci da fare, non c’è tempo da perdere, hai sentito Pipi… tone cos’ha detto?

Vincenza:     Hai intenzione di cominciare subito, Dario?

Loretta:        A fare cosa? Sporcacciona!

Dario:           Mamma, non ti preoccupare. Tu cerca di convincere papà ad ospitarci momentaneamente in questa casa per darci la possibilità di convivere e di farci un po’ di prole per il futuro.

Loretta:        Contate su di me, figlioli, farò tutto il possibile per aiutarvi.

Vincenza:     Grazie, signora Loretta, grazie tante, lei è molto generosa.

Loretta:        Penserò a tutto io, state pure tranquilli. (Esce).

Scena decima

(Dario, Vincenza, don Antonio)

Dario:           Vincenzina, da domani dobbiamo iniziare a convivere per farci un po’ di prole. (Si frega le mani).

Vincenza:     Io faccio quello che vuoi tu se è per il nostro bene.

Dario:           Se ci ospitano i miei genitori abbiamo l’utile ed il dilettevole e l’anno prossimo saremo sicuramente sistemati.

D. Antonio:  (Bussa ed entra). E’ permesso? Oh, cari ragazzi, pensavo proprio a voi. Ho saputo che in Comune assumono del personale.

Dario:           Lo so, don Antonio, ma purtroppo mi hanno detto che non ho i requisiti richiesti.

D. Antonio:  Perché?

Dario:           Perché sono scapolo e non abbiamo la prole.

D. Antonio:  Peccato, questa sarebbe stata un’ottima occasione. Non capita quasi mai che in Comune facciano un concorso regolare.

Dario:           Ma noi abbiamo deciso di rimediare subito, vero Vincenzina?

Vincenza:     Io faccio quello che vuoi tu se è per il nostro bene.

D. Antonio:  Ah! Bene. Avete deciso finalmente di sposare?

Vincenza:     No, don Antonio, vi state sbagliando un’altra volta.

Dario:           Abbiamo, invece, deciso di convivere.

D. Antonio:  Convivere? Cos’è questa sciocchezza? Se decidete di convivere vi mettete fuori dalla grazia di Dio. Non lo sapete che congiungersi carnalmente al di fuori di un regolare matrimonio è peccato mortale?

Dario:           Dice?

D. Antonio:  E’ come consegnarsi nelle mani del diavolo e destinare la propria anima a soffrire per sempre fra le fiamme dell’inferno.

Vincenza:     Dice?

D Antonio:   Se volete che la Chiesa venga in vostro soccorso, dovete innanzitutto formarvi una famiglia con la benedizione del Signore, senza imboccare pericolose scorciatoie.

Dario:           La nostra è una scelta obbligata.

Vincenza:     E’ l’unica possibilità che abbiamo.

D. Antonio:  Per i concubini non c'è alcuna comprensione da parte della Chiesa e, quindi, se farete di testa vostra non contate sul mio aiuto. Pace e bene in questa casa.

Vincenzina:  Pace e bene, don Antonio.

Dario:           Pace e bene.

D. Antonio:  E niente convivenza, siamo intesi? (Esce).

                     (Dario e Vincenzina si guardano negli occhi stando in silenzio poi…)

Dario:           Che te ne pare, Vincenzina?

Vincenza:     Mi è venuta la pelle d’oca nel sentire le parole di don Antonio. Peccato mortale, le fiamme dell’inferno, manco se fosse l’Apocalisse.

Dario:           Non mi sembra giusto che per conquistarsi un posto di lavoro un giovane disoccupato prima si deve dannare l’anima sulla terra e da morto deve andarsene all’inferno. Se le cose stanno così, allora è meglio rimanere per sempre disoccupato. Almeno uno fa la fame sulla terra ma gode nella vita eterna.

Vincenza:     Io di fame sulla terra ne ho fatta già abbastanza e di morire non avrei intenzione.

Dario:           Lo sai cosa ti dico, Vincenzina? Freghiamocene di quello che dice don Antonio e facciamo per una volta di testa nostra, sperando che la Provvidenza sia con noi misericordiosa.

Vincenza:     Io faccio quello che vuoi tu se è per il nostro bene.

Loretta:        (Entra). Dario, ho parlato con tuo padre e fortunatamente non ha opposto  resistenza.

Dario:           Ah! Bene. Hai sentito, Vincenzina? (Si abbracciano). Yahoo! Siamo a cavallo.

Loretta:        Ha detto che dobbiamo contribuire tutti per cercare di assicurarvi un avvenire.

Dario:           Grazie, mamma, sei grande.

Vincenza:     Lei ed il signor Amedeo siete molto generosi con noi, Dio ve ne renda merito, signora.

Loretta:        Abbiamo deciso di cedervi la camera da letto e di ritirarci noi nella cameretta.

Dario:           Ma la cameretta è troppo piccola per voi, mamma.

Loretta:        Sì, lo so ma voi siete giovani ed avete diritto di vivere bene la vostra intimità. Noi ormai abbiamo fatto il nostro tempo. La casa è piccolina ma è accogliente e tu, Vincenzina, sei la benvenuta fra di noi. (La prende per mano). Il letto è molto comodo e sono certa che vi aiuterà a costruirvi un solido avvenire. Se farete presto un figlio il prossimo anno sarete sicuramente sistemati e potrete cominciare a pensare ad una casa tutta per voi. Vincenzina, mi raccomando, non perdete tempo perché questa potrebbe essere l’occasione della vostra vita.

Vincenza:     Signora, so bene qual è il compito mio e le prometto di non deludere le vostre  aspettative. Mi impegnerò con tutte le mie forze e non risparmierò naturalmente nemmeno quelle di Dario.

Dario:           Mamma, sono certo che raggiungeremo presto l’obiettivo.

Loretta:        Io vi auguro con tutto il cuore di riuscire nell’impresa. (Esce).

Dario:           Vincenzina, non c’è tempo da perdere, mettiamoci subito all’opera. Yahoo! Siamo a cavallo. (Escono mentre Dario si frega le mani).

Fine del primo atto

Sipario

ATTO SECONDO

Scena prima

(Amedeo ed Agostino)

Amedeo:      (E’ già in scena intento a leggere il giornale. Poco dopo entra Agostino).

Agostino:     (Si guarda intorno poi nota Amedeo e lo saluta). Ciao, Amedeo.

Amedeo:      (Risponde senza distogliere lo sguardo dal giornale). Ciao.

Agostino:     Cosa fai, leggi?

Amedeo:      Sì, leggo.

Agostino:     Leggi il giornale?

Amedeo:      Vorrei provare a leggerlo, se tu me lo consenti.

Agostino:     Cosa pensi di trovarci oggi sul giornale?

Amedeo:      Francamente non saprei cosa risponderti. Io mi accosto alla notizia con serenità e con animo sgombro da qualsiasi pregiudizio.

Agostino:     Secondo me è inutile affannarsi a cercare notizie genuine al giorno d’oggi. Non serve a niente.

Amedeo:      (Poggia il giornale sulle ginocchia sospendendo momentaneamente la lettura). Perché non serve a niente?

Agostino:     Perché oggi è tutto più o meno sofisticato, il cibo, le notizie, i sentimenti. Ormai va tutto alla rovescia e noi viviamo in un mondo che è malato.

Amedeo:      Il mondo è malato?

Agostino:     Gravemente malato, perché vi sono troppe cose che non vanno per il verso giusto.

Amedeo:      E’ tutta colpa del buco dell’ozono.

Agostino:     Noi non ce ne accorgiamo ma la febbre sale, sale, e come sale…

Amedeo:      E’ tutta colpa del buco dell’ozono.

Agostino:     Con l’Euro purtroppo ci siamo rovinati perché le nostre pensioni si sono di fatto dimezzate con la conseguenza che, dovendo fare fronte a tante spese, ci è difficile arrivare alla fine del mese con quei quattro spiccioletti, che ci danno.

Amedeo:      Oggi la situazione è difficile per tutti. Sembra d’essere ritornati ai tempi del dopoguerra. Ci manca solo la borsa nera e poi siamo al completo.

Agostino:     So io di chi è la colpa di questo disastro.

Amedeo:      L’altro giorno tua sorella si è messa a sbraitare contro l’ingiustizia del mondo perché, povera donna, non si capacitava che, dopo tanti anni di lavoro, si dovesse penare nella vecchiaia.

Agostino:     Fra tasse e balzelli vari ci hanno ridotto tutti in mutande. E ora c'è il pericolo che ci levano pure quelle.

Amedeo:      Se alcune pensioni sono d’oro, mi ha detto tutta incavolata, vuole dire che la tua pensione è di bronzo, come la faccia di certi governanti, che non si curano dei nostri patimenti.

Agostino:     E tu cosa le hai detto? 

Amedeo.      Io per consolarla le ho risposto: cara Loretta, se l’economia non tira ed i prezzi salgono alle stelle, per quanto t’incazzi e ti ribelli, non c’è niente da fare. Non possiamo cambiare il corso delle cose, a meno che non ricorriamo all’espediente della scopa, come ha suggerito tuo fratello Agostino e facciamo piazza pulita di tutti.

Agostino:     Bravo! E lei come ha reagito?

Amedeo:      Non ci crederai ma, detto fatto, si è tranquillizzata. La tua scopa ha fatto il miracolo.

Agostino:     La verità è che noi poveri pensionati ci dobbiamo adattare a vivere di stenti nel

                     silenzio della nostra dignità perché abbiamo perduto anche il diritto di parlare. 

                    

Amedeo:      Oggi si apprezzano solamente coloro che sono rampanti e noi pensionati non contiamo niente.

Agostino:     Perché non ci sappiamo organizzare.

Amedeo:      Siamo considerati un peso per l’economia nazionale, una palla al piede, della quale liberarsi quanto prima.

Agostino:     Perché non ci facciamo rispettare.       

Amedeo:      Dicono che è tutta colpa nostra se la previdenza in Italia non va bene, lo sai?

Agostino:     Che ne sanno questi briganti della vita che facciamo noi?

Amedeo:      E senza mezzi termini ci accusano di avere causato il dissesto nelle casse dello Stato per il fatto che ci siamo intestarditi di..... campare.

Agostino:     Ci vorrebbero fare morire tutti per fare quadrare il bilancio dell’INPS, quel buco dove vanno a finire tutti i nostri contributi.

Amedeo:      Dicono che per colpa nostra la vita media si è allungata ed il sistema pensionistico è andato in tilt e si è sballato. Siamo arrivati al punto che noi poveri pensionati, per non rischiare che qualcheduno ci mandi all’altro mondo d’autorità, siamo costretti a nascondere persino la nostra età.

Agostino:     Ci dobbiamo fare il lifting per toglierci le rughe, come fanno le attrici per sembrare un po’ più giovani. Il fenomeno delle pensioni baby è nato proprio da questa esigenza, caro mio.

Amedeo:      Davvero?

Agostino:     I cosiddetti pensionati baby non sono giovani, che sono andati in pensione prima del tempo, ma.... pensionati vecchi, che si sono fatti stirare la pelle per nascondere i loro anni e mimetizzarsi per paura che quelli dell’INPS gli facessero il malocchio.

Amedeo:      E’ tutta colpa del buco dell’ozono.

Agostino:     Cosa c’entra in questo caso il buco dell’ozono?

Amedeo:      C’entra, c’entra. Il buco dell’ozono, caro Agostino, c’entra sempre. E’ la causa di tutti i nostri mali. Lo dicono tutti, ormai, è voce di popolo.

Agostino:     Sono tutte fesserie.

                     Altro che fesserie. Che fine hanno fatto, secondo te, i nostri ideali di un tempo, quegli ideali per i quali tante persone hanno sacrificato la loro vita?

Agostino:     Dove sono andati a finire?

Amedeo:      Sono spariti nel nulla, inghiottiti dal buco dell’ozono. Lo stesso buco dove vanno a finire le nostre misere pensioni e quelle di milioni di poveri pensionati come noi.

Agostino:     Tutte nel buco dell’ozono?

Amedeo:      Non lo vedi che non lasciano traccia? La pensione ci sparisce dalle mani e nemmeno ce ne accorgiamo. Si volatilizza come il gas. Dopo una decina di giorni, che l’abbiamo presa, di essa si perde anche il ricordo. Sparita.

Agostino:     E questo accade per colpa del buco dell’ozono?

Amedeo:      E di chi, allora? Le alluvioni, la violenza sulle donne, lo sfruttamento dei minori non dipendono più dall’incuria dell’uomo o dalla sua malvagità, come si credeva una volta, ma dal buco dell’ozono, che è considerato oggi l’unico, vero responsabile di tutti i guai dell’umanità.

Agostino:     Scusami, ma su quale giornale hai letto tutte queste notizie?

Amedeo:      Questo è niente, caro Agostino. Devi sapere che recentemente è stato accertato dai servizi segreti americani, dalla CIA, per intenderci, che il terrorismo non ha le sue origini nell’Iraq, come si credeva fino a ieri, ma nel buco dell’ozono. Per questo ora gli americani hanno pensato di bombardare pure quello.

Agostino:     Caspita! Un'altra guerra?

Amedeo:      Lo stesso Bin Laden pare, ma non è ancora certo, che si sia nascosto dentro il buco dell’ozono, capisci?

Agostino:     Ecco perché gli americani non riescono a scovarlo, nemmeno con le bombe intelligenti!

Amedeo:      Vedi a che punto siamo arrivati, dopo tutto il progresso che c’è stato in questi ultimi anni? Le bombe, che prima erano stupide, sono diventate intelligenti e noi, invece, che eravamo intelligenti, ci siamo rincoglioniti ed ora dipendiamo tutti da un buco.

Agostino:     Secondo me, tu esageri, nel tentativo di spiegare tutto con il buco dell’ozono. Io credo che il mondo sia malato per ragioni molto più complesse. Non ci possiamo aggrappare al buco dell’ozono per spiegare tutto ciò che di negativo accade nella nostra società. Ci saranno sicuramente altre spiegazioni per i mali della politica, per la malasanità, per la mancanza di sicurezza sul lavoro, per la disoccupazione giovanile…

Amedeo:      Cosa vuoi che ti dica, caro cognato. Tu hai deciso di fondare il movimento della scopa e speri giustamente di ottenere con esso qualche risultato positivo. Io, invece, con il passare degli anni ho esaurito tutti gli argomenti, che avevo a disposizione, ed a un certo punto mi sono sentito inadeguato. Perciò ho deciso di rifugiarmi nel buco dell’ozono e sono rimasto così allo scuro di tutto.

Agostino:     Per forza, dentro il buco dell’ozono cosa volevi vedere? Lì ci dev’essere un buio pesto della Madonna, che Dio ne guardi…

Scena seconda

(Amedeo, Agostino e Loretta)

Loretta:        (Entra). Questa mattina ve la siete presa comoda tutti e due compari.

Amedeo:      Stavamo facendo due chiacchiere innocenti sulla situazione politica attuale. A proposito, hai avuto la notizia?

Loretta:        Non ancora, ma i ragazzi non dovrebbero tardare molto a rientrare.

Agostino:     Non c’è cosa peggiore che attendere una notizia, che tarda ad arrivare. E’ come avere fame e non potere mangiare.

Amedeo:      Nell’attesa si fanno mille congetture senza venire, però, a capo di niente.

Agostino:     Si pensa a tutto ed al contrario di tutto.

Loretta:        Chi non ha mai aspettato una notizia non può sapere cosa si provi nell’attesa.

Amedeo:      La notizia può essere bella oppure brutta ma l’attesa è sempre uguale. Ci mette in apprensione, in ansia ed a volte ci procura anche angoscia.

Agostino:     Ricordatevi di quel proverbio latino che dice: nessuna nuova, buona nuova.

Loretta:        Io attendo con ansia la notizia perché voglio conoscere quale sarà nel prossimo futuro il destino di Dario e Vincenzina.

Amedeo:      Appena avremo la notizia dell’esito delle analisi cliniche conosceremo la verità e ci toglieremo finalmente il pensiero.

Agostino:     Avere la notizia di un fatto non vuole dire, però, conoscere la verità su quel fatto, sia ben chiaro, perché non sempre la notizia reca con sé la verità.

Loretta:        Cos'è questa storia?

Agostino:     Ci sono verità che rimangono nascoste e che si manifestano solo in un momento successivo.

Loretta:        Tu vuoi dire che la notizia, che stiamo aspettando, non ci darà la certezza sulla condizione di Vincenzina? Che non ci dirà, in sostanza, la verità?

Agostino:     Cara Loretta, purtroppo la verità non sempre fa notizia.

Amedeo:      Su questo ci sarebbe da discutere.

Agostino:     Anzi, a pensarci bene è vero il contrario, perché di questi tempi sono soprattutto le bugie a fare notizia.  Basta vedere i telegiornali per rendersene conto.

Amedeo:      Sicché tu metteresti in dubbio anche l’esito delle analisi cliniche?

Agostino:     Io non voglio mettere in dubbio niente, per carità. La mia è solamente una considerazione di carattere generale, che scaturisce dalla osservazione dei fatti.

Loretta:        Allora anche tu sei convinto che le analisi ci diranno la verità?

Agostino:     Certo, ci diranno una verità, magari quella che in questo momento può farci comodo sapere, ma non più di questo secondo me.

Amedeo:      L’uomo ha, però, bisogno di certezze.

Agostino:     Di quali certezze? Forse di quelle confezionate a sommo scopo da chi esercita il potere? O di quelle manipolate da editori e giornalisti, cosiddetti indipendenti, della TV pubblica e di quella commerciale?

Loretta:        Sentite un po’, io mi fido dell’esito delle analisi e di tutto il resto non m’importa niente.

Amedeo:      Loretta, tuo fratello Agostino non si riferiva al risultato delle analisi in particolare, ma esprimeva qualche perplessità sul rapporto che c’è fra la notizia e la verità, hai capito?

Agostino:     Io credo in sostanza che l’uomo faccia bene ad alimentare il dubbio per non sentirsi mai sicuro di avere raggiunto la verità. La verità andrebbe assunta a piccole dosi come si fa con il veleno.

Loretta:        Io voglio sapere semplicemente se Vincenzina è incinta oppure no. Non posso rimanere nel dubbio, caro Agostino, perché devo sapere come organizzare in futuro la mia vita.

Amedeo:      Agostino parla come se fosse un filosofo, capisci, Loretta?

Agostino:     E’ attraverso il dubbio che spesso si arriva alla verità, cara sorella.

Loretta:        Con questi tuoi ragionamenti mi confondi le idee e poi va a finire che non capisco più niente.

Amedeo:      Ascoltami bene, Loretta: che ci possano essere delle verità nascoste mi sembra persino troppo ovvio, altrimenti non potrebbero esistere le sorprese, non ti pare?

Agostino:     E di sorprese nella vita, invece, ce ne sono tante, alcune positive, altre negative, alcune buone, altre cattive…

Loretta:        Scusami, se te lo dico, ma quando parli così mi sembri un uccello del malaugurio.

Scena terza

(Amedeo, Agostino, Loretta, Dario e Vincenza)

Dario:           (Entra insieme a Vincenza sventolando un foglio di carta che tiene alto con una mano). Mamma, papà, zio, vi dobbiamo dare una notizia.

Agostino:     Oh! Ecco, ora arriva finalmente la tanto sospirata verità.

Loretta:        Quale notizia ci date? Su, non fateci stare ancora in pena.

Dario:           Da oggi posso considerarmi candidato alla vittoria per un posto fisso in Comune perché fra sette mesi io e Vincenzina avremo finalmente un po’ di prole.

Loretta:        Dio, ti ringrazio. (Si fa il segno della croce e bacia il pavimento). Padre, figlio, Spirito Santo e così sia.

Amedeo:      Hai detto un po’ di prole?

Vincenza:     Sì, un figlio, signor Amedeo. Fra qualche mese avrò il pancione, capisce?

Amedeo:      Allora perché Dario ha detto prole?

Vincenza:     Perché così la chiamano quelli del Comune.

Amedeo:      Quelli sono tutti screanzati, non vi dovete fidare di loro.

Loretta:        Non c’è nessun pericolo. E' solo un modo nuovo di chiamare i figli.

Amedeo:      E voi vi siete adeguati subito al linguaggio dei signori?

Loretta:        Non la fare tanto lunga, Amedeo. Se lo vuoi sapere anche il nostro Dario è un prolo.

Amedeo:      E tu, non ti ribelli?

Dario:           Papà, prole non è un’offesa, è un linguaggio alternativo.

Amedeo:      Ma non mi sembra nemmeno un complimento.

Agostino:     Sentite, prolo o non prolo a questo punto bisognerebbe festeggiare l’avvenimento della gravidanza di Vincenzina.

Vincenza:     Aspettiamo che nasca la creatura e poi facciamo festa.

Loretta:        Ha ragione Vincenzina e tocchiamo ferro per scaramanzia.

Agostino:     Io comunque vi faccio i miei auguri e vado a fare quattro passi nella speranza di incontrare qualche altra verità. (Esce).

Loretta:        Amedeo, lasciamo soli i ragazzi, che avranno sicuramente tante cose da dirsi in un momento per loro così importante.

Amedeo:      E va bene, lasciamoli soli. (Escono Amedeo e Loretta).

Scena quarta

(Dario e Vincenzina, quindi, Amedeo, Agostino e Loretta )

Vincenza:     Mamma mia! In questa casa c'è troppa confusione, vero Dario?

Dario:           Bisogna avere pazienza, Vincenzina. La casa è piccola e noi purtroppo  siamo in tanti.

Vincenza:     Qui tutti si sentono padroni e dispensano consigli. Chi propone una cosa, chi ne suggerisce un’altra…

Dario:           Lo fanno sicuramente per il nostro bene.

Vincenza:     Secondo me ti dovresti imporre e fare valere le nostre ragioni. Sei troppo accondiscendente nei loro confronti.

Dario:           Un po’ di educazione non fa male. Io porto rispetto ai miei genitori. Non posso certo comandare in casa d’altri.

Vincenza:     Ecco, vedi, anche tu ti senti un estraneo in questa casa, per questo non rivendichi mai i tuoi diritti.

Dario:           Perché mi dici questo, Vincenzina? Ti hanno fatto qualche torto?

Vincenza:     Tu hai detto giustamente “in casa d’altri”. Volevi dire che qui dentro noi siamo degli estranei. Due più due fanno quattro.

Dario:           Non estranei, ma più semplicemente ospiti.

Vincenza:     Quelli che dopo tre giorni puzzano. Estranei od ospiti è solo un gioco di parole ma la sostanza non cambia, caro mio.

Dario:           Finché non ne avremo una tutta nostra, volenti o nolenti ci toccherà vivere in questa casa.

Vincenza:     Insieme a loro?

Dario:           Certo, insieme a loro. Cosa c’è di strano?

Vincenza:     Forse è stato un errore decidere di iniziare a convivere. Secondo me aveva ragione don Antonio a sconsigliarci di intraprendere questa strada.

Dario:           Ma come, proprio oggi che abbiamo avuto la bella notizia che aspettiamo un figlio, tu mi fai intendere di esserti pentita del passo che concordemente abbiamo fatto?

Vincenza:     Pentita non direi. Ma certo sono delusa di come stanno andando le cose in questa casa.

Dario:           Dimmi la verità: forse non ti trovi bene con i miei?

Vincenza:     Cosa vuole dire trovarsi bene? Di loro onestamente non mi posso lamentare. Sono premurosi, affettuosi, forse sono un po’ troppo invadenti, appiccicosi… ma non è una cosa grave, tutto questo si potrebbe anche sopportare.

Dario:           La casa è piccola e c’è poco spazio per tutti, bisogna in qualche modo arrangiarsi.

Vincenza:     Meno male che te ne sei accorto pure tu. Con tutto questo vecchiume intorno mi sembra di essere invecchiata pure io.

Dario:           Non credo che i miei genitori e lo zio Agostino siano invecchiati in questi ultimi mesi. Se sono vecchi ora lo erano anche quando gli abbiamo chiesto di farci il favore di ospitarci in questa casa.

Vincenza:     Questo è vero, ma una cosa era incontrarli ogni tanto, altra cosa è averceli tutto il giorno fra i piedi. Tua madre, tuo padre e, come se non bastasse, anche lo zio Agostino, che più degli altri puzza di vecchiaia, santo Iddio.

Dario:           Puzza di vecchiaia? Ma cosa stai dicendo, Vincenzina? Non ti permettere di offendere i miei familiari.

Vincenza:     Perché ti scandalizzi tanto? Tutti i vecchi puzzano di vecchiaia, il loro odore lo senti anche a distanza.

Dario:           Che odore è?

Vincenza:     Quello della vecchiaia è un odore intenso, pungente, quasi come quello della morte. Un odore che rimane appiccicato addosso a chiunque abbia la ventura di avvicinarcisi.

Dario:           Non possiamo certo abolire la vecchiaia perché a noi non piace?

Vincenza:     La vecchiaia no ma, volendo......., potremmo abolire i vecchi.

Dario:           Non capisco dove vuoi arrivare. Cosa vuol dire abolire i vecchi?

Vincenza:     Non ti allarmare, non penso alla loro eliminazione fisica.

Dario:           Ah! Meno male.

Vincenza:     Da oggi mi sembra ovvio che noi dobbiamo ragionare e programmare il futuro in funzione soprattutto di questa creatura, che porto in grembo.

Dario:           Questa mi sembra una cosa abbastanza ragionevole da prendere in seria considerazione.

Vincenza:     Il bambino fra sette mesi nascerà e non potrà certo dormire sempre nel lettone insieme a noi.

Dario:           Ed anche questo mi sembra giusto. Bisognerà provvedere quanto prima ad acquistare una culla.

Vincenza:     Ma non basta acquistare una culla, caro Dario. Bisogna anche trovare il posto dove collocarla, un idoneo ambiente, spero.

Dario:           Giustissimo anche questo.

Vincenza:     Ci vorrebbe in sostanza una cameretta tutta per lui.

Dario:           Una cameretta? Quale cameretta? Perché, non può dormire in camera nostra?

Vincenza:     E tu faresti respirare alla creatura l’aria viziata di una camera da letto, frequentata da due adulti, con tutti i microbi, gli acari, i batteri… che si accumulano durante la notte?

Dario:           Vincenzina, per caso tu vuoi andare via da questa casa?

Vincenza:     Andare via? Dove andiamo senza una lira né un posto di lavoro?

Dario:           Allora sei convinta pure tu che per ora è meglio rimanere dove siamo.

Vincenza:     Certamente. Dobbiamo rimanere, noi. Ascoltami bene e cerca di capire. Ora che tuo padre è andato in pensione dovresti convincerlo a lasciare libera la casa e ad andarsene insieme a tua madre in una bella casa di riposo per trascorrervi in santa pace il resto dei loro giorni. Che ci fanno insieme a noi, che siamo giovani? Siamo sinceri.

Dario:           Ma cosa ti viene in mente, Vincenzina?

Vincenza:     Non ti scandalizzare, sono cose comuni al giorno d’oggi. Lo fanno tutti i figli. Zio Agostino lo potremmo raccomandare alla Caritas, che provvederebbe a trovargli un alloggio di fortuna.

Dario:           Non ti capisco.

Vincenza:     Se i tuoi genitori lasciassero libera la cameretta noi ci faremmo dormire la creatura. Nella camera occupata attualmente dallo zio Agostino ci potremmo fare un bel soggiorno e ci sistemeremmo in un modo abbastanza dignitoso, non ti pare?

Dario:           Tu sei impazzita, Vincenzina, non sai quello che dici.

Vincenza:     Loro sono anziani, la loro vita l’hanno già vissuta. Nella casa di riposo verrebbero accuditi e noi potremmo andare a trovarli una volta alla settimana.

Dario:           Dici?

Vincenza:     Certamente. Da’ retta a me e ti troverai sempre bene nella vita.

Dario:           Siamo sicuri che lo zio Agostino accetterebbe di essere affidato alla Caritas?

Vincenza:     Questi sono fatti suoi, mica nostri. Noi abbiamo il sacrosanto diritto di vivere da soli, senza ingombri per la casa. Non è colpa nostra se la casa è piccolina. I tuoi genitori avrebbero dovuto pensarci prima se avevano intenzione di continuare a vivere in famiglia, caspitina!

Dario:           Dimentichi, però, che la casa è dei miei genitori.

Vincenza:     Embè? Non sei tu l’unico erede? Prima o dopo sarà tua la casa, o no? Si tratta solamente di anticipare un po’ i tempi.

Dario:           Anticipare i tempi, dici tu?

Vincenza:     Non possiamo certo attendere la morte dei vecchi, prima di fare la cameretta al bambino. Fra l’altro mi sembra che abbiano intenzione di vivere a lungo questi vecchi.

Dario:           Li vorresti fare morire prima del tempo, poverini?

Vincenza:     No, per l’amor di Dio. Per questo mi preoccupo del loro avvenire. Dario, parliamoci chiaro: tu hai avuto la cameretta? E’ giusto, quindi, che ce l’abbia anche nostro figlio, non ti pare? Anche lui ha diritto alla sua privacy. Non possiamo mica vivere tutti ammucchiati in una stanza?

Amedeo:      (Entra). Vi siete già confessati? Scusatemi, ma io in quella stanzina non ci resisto più di tanto. Mi sento soffocare.

Vincenza:     Ha ragione, signor Amedeo. Bisognerebbe trovare una soluzione più comoda per voi due.

Amedeo:      Oh! Brava Vincenzina. Tu sei una ragazza giudiziosa.

Vincenza:     Ora Dario le illustrerà la soluzione che abbiamo pensato per voi.

Dario:           Vincenzina mi diceva poc’anzi che tu e mamma siete troppo sacrificati in cameretta perché è un ambiente troppo piccolo per starci due persone, mentre sarebbe ottimo per starcene una sola.

Amedeo:      La mamma ha detto che è giusto che voi occupiate la camera da letto, perché vi dovete costruire un avvenire, ed anch’io ho condiviso questa scelta.

Dario:           Io e Vincenzina vi siamo per questo riconoscenti e lo saremo anche in futuro.

Vincenza:     Veramente non era questo quello che gli dovevi dire.

Dario:           Vincenzina, troverò io il momento giusto per dire a papà certe cose. Ora ti prego di non insistere.

Vincenza:     Beh! Allora è tutto fiato sprecato, quello mio. A questo punto è meglio che tolga il disturbo e me ne vada. (Si avvia verso l’uscita).

Dario:           (La segue chiamandola). Dove vai, Vincenzina? Aspetta, Vincenzina… Mamma mia che testona che sei. (La segue ed esce insieme a lei).

Amedeo:      Cosa l’è presa a questi due mocciosi? Se cominciano sin da ora a litigare!

Agostino:     (Entra). Loretta mi ha detto che ti eri chiuso nella stanzetta.

Amedeo:      Ho provato a starci ma mi sentivo soffocare.

Agostino:     Sei stato tu a volere cedere ai ragazzi la camera da letto.

Amedeo:      Sì, lo so. E’ stato un atto di paterna generosità.

Agostino:     E’ inutile piangere ora sul latte versato.

Amedeo:      A proposito, Agostino, potresti lasciare libera la tua stanza, per favore?

Agostino:     No. Assolutamente no. Cosa ti viene in mente?

Amedeo:      Me lo dovevo immaginare che avresti risposto negativamente.

Agostino:     Dì la verità, ti sei pentito di avere ceduto la tua camera da letto?

Amedeo:      Cedendo la mia camera a Dario e Vincenzina io ho inteso solamente fare del bene a chi in questo momento ha più bisogno di me, facendo naturalmente un sacrificio.

Agostino:     Tu hai commesso un grave errore, caro Amedeo. Te lo dico come se fossi un tuo fratello.

Amedeo:      Perché, un errore?

Agostino:     Guai a prendersi cura degli altri in questo mondo perché può essere una rovina. Mi dispiace anche dirtelo ma, così facendo, tu sei destinato a fare una brutta fine, caro mio.

Amedeo:      Addirittura!

Agostino:     Non ci credi? Quella da te imboccata è una strada senza ritorno se non ti ravvedi per tempo.

Amedeo:      E’ davvero così grave fare un po’ di bene agli altri?

Agostino:     Gravissimo. Devi sapere che la solidarietà è come un grande buco dell’ozono, nel quale si sa quello che entra ma non si sa quello che esce, né quale direzione prende. Ne abbiamo avuto esempi anche di recente.

Amedeo:      Stai scherzando o dici sul serio?

Agostino:     Dico sul serio, eccome! D’amore si muore, ricordatelo bene, caro Amedeo.

Amedeo:      Questo non lo sapevo.

Agostino:     Allora te lo dico io. Non farti illusioni perché ciò che muove il mondo non è l’amore, come qualcuno ha scritto tanti anni fa, ma l’egoismo.

Amedeo:      L’egoismo?

Agostino:     Sì, certo. Un sano, bello, solido egoismo è quello che ci vuole per andare avanti nella vita. Io sono preoccupato perché vedo che nel mondo c’è troppa solidarietà. Il mondo è ammalato di altruismo.

Amedeo:      Malato di altruismo? Non l’avevo mai sentito dire. A dire la verità mi sembra una  sciocchezza.

Agostino:     Sì, sì, il mondo è malato, caro mio. Malato. Tutti vogliono aiutare gli altri per aiutare in ultima analisi solo se stessi. I paesi industrializzati, ricchi, vogliono aiutare i paesi poveri, del terzo e del quarto mondo, ma invece di mandargli roba da mangiare li riforniscono di armi micidiali per farli massacrare fra di loro.

Amedeo:      Questo è vero, l' ho notato pure io.

Agostino:     Ma c’è dell’altro. I datori di lavoro vogliono aiutare gli operai a… produrre sempre di più e li espongono a rischi sempre crescenti per la loro incolumità. Ora le chiamano morti bianche. I sindacati vogliono aiutare i disoccupati e li fanno andare, digiuni, a fare il girotondo per le strade. Il Governo vuole aiutare i cittadini e li sovraccarica di tasse, lo Stato vuole aiutare i pensionati e li fa morire di stenti. Bush voleva aiutare gli Iracheni e li ha presi a cannonate.

Amedeo:      Pare che li abbia bombardati per esportargli la democrazia.

Agostino:     Ma, dico io, non sarebbe meglio che ciascuno si facesse gli affari suoi e tutti questi altruisti della malora ci lasciassero vivere in pace senza complicarci l’esistenza?

Amedeo:      Io, però, credevo di fare una cosa buona aiutando i due ragazzi.

Agostino:     Di questo passo finiremo tutti male. Per questo dicevo poc’anzi che il mondo è malato. E’ ammalato di ipocrisia, che si nasconde dietro il velo della solidarietà, delle buone azioni, dell’altruismo. Ma tu credi davvero che amministratori e governanti siedono ai posti di comando per fare il bene dei cittadini? Se credi questo…...

Amedeo:      Questo non l’ho mai pensato.

Agostino:     Meno male, altrimenti saresti stato da ricoverare in un manicomio.

Amedeo:      Credo, però, che nel mondo ci sia ancora spazio per i buoni sentimenti.

Agostino:     Tu ti illudi che sia così.

Amedeo:      A questo punto non so più cosa risponderti. Non capisco, però, quali siano le ragioni di questo tuo pessimismo così acuto.

Agostino:     E’ semplice, caro Amedeo. Io sono un essere pensante, raziocinante…

Amedeo:      Non c’è dubbio che tu lo sia.

Agostino:     Ed in quanto essere pensante, non posso che essere egoista.

Amedeo:      Secondo te, egoista si nasce o si diventa?

Agostino:     Egoista si nasce, come si nasce ricchi, nobili, plebei, preti o cardinali. Non ci si improvvisa egoisti dall’oggi al domani, né si diventa se alla base non c’è una predisposizione naturale…

Amedeo:      Tu non hai mai avuto ripensamenti o la tentazione di fare qualche volta del bene al tuo prossimo?

Agostino:     Io? Mai. Pensa che non mi sono sposato per non condividere la mia vita con una estranea. Io ho tirato diritto ed ho fatto sempre filotto perché mangio, bevo e me ne fotto.

Amedeo:      Lo so, lo so, che mangi, bevi, dormi e te ne… fotti. Di questo per la verità mi sono accorto da tempo, caro Agostino, ma non credevo che fosse un fatto strutturale della tua mentalità.

Agostino:     Filotto ho fatto anche quando sono stato concepito. I miei genitori  non volevano mettere al mondo figli, perché in quel periodo c’era troppa miseria in casa nostra, ma io con l’aiuto di uno spermatozoo ribelle li ho fatti fessi tutti e due e li ho incastrati.

Amedeo:      E nel prosieguo della vita com’è andata?

Agostino:     Mentre stavo nel grembo di mia madre tiravo calci a destra e a manca. Volevo farmi spazio a tutti i costi, capisci? Mia madre aveva la nausea, la pressione alta, i reni sofferenti, il cuore scompensato… ma io ho tirato calci fino a quando sono nato.

Amedeo:      Allora è vero che egoisti si nasce?

Agostino:     L’egoismo precede la nostra stessa nascita. E’ una delle qualità connaturate all’essere umano. Chi non è egoista in pratica non può considerasi un essere umano.

Amedeo:      Cos’è, allora, una bestia?

Agostino:     Anche tu sei un po’ egoista, non è vero?

Amedeo:      Penso proprio di sì, anche se non ne ho piena coscienza.

Agostino:     Non ti preoccupare, si vede ad occhio nudo che tu non sei una bestia.

Amedeo:      Ti ringrazio per il complimento.

Agostino:     Mio padre era contadino, un grande lavoratore, una persona onesta.

Amedeo:      Egoista anche lui, immagino?

Agostino:     Naturalmente. Si alzava sempre all’alba per andare a lavorare nei campi. La notte, perciò, avrebbe voluto dormire per recuperare le energie spese durante il giorno a vangare.

Amedeo:      Mi sembra che fosse giusto.

Agostino:     Ma io glielo impedivo perché piangevo.

Amedeo:      Piangevi?

Agostino:     Sì, e sempre di notte. Un pianto isterico, irrefrenabile, incomprensibile perché senza una ragione. Mio padre allora si svegliava, s’incazzava di brutto e bestemmiava come un turco, ma io me ne fregavo e continuavo a piangere. Ad un certo punto egli si alzava dal letto ed infuriato come una belva sfogava la sua rabbia, maledicendo me e mia madre, che mi aveva messo al mondo. Poi, al culmine della disperazione, sbatteva la porta e, sbraitando contro l’intera umanità, se ne andava, ed io piano piano, serenamente, mi addormentavo come un angioletto.

Amedeo:      E tua madre, cosa faceva tua madre?

Agostino:     Cosa vuoi che facesse, poverina? Io mi addormentavo e lei cominciava a piangere. Eravamo in tempo di guerra ed io avevo sempre fame, una fame da lupi.

Amedeo:      Tutti avevano fame in tempo di guerra,  grandi e piccini.

Agostino:     Io succhiavo il latte da mia madre. Mi attaccavo alla sua tetta vuota con grande voracità e succhiavo, succhiavo, fino a farla ridurre solo pelle ed ossa. Mia madre ad un certo punto si ammalò. Anemia perniciosa, disse il dottore, con un principio di tubercolosi.

Amedeo:      Mi pare logico che sia andata a finire così.

Agostino:     Lei era debilitata perché non aveva nulla da mangiare, ma io non desistevo e succhiavo, succhiavo da quelle tette secche ed asciutte ed invece del latte succhiavo la sua vita.

Amedeo:      Poverina!

Agostino:     Per farsi venire il latte, povera donna, ricordo che beveva un po’ di vino, di quello del fattore, l’unico alimento che abbondava in quella casa colonica. Mia padre lo rubava e mia madre, di nascosto, se lo beveva. Per questo era sempre ubriaca fradicia, poverina. Lei beveva vino ed io succhiavo latte. Dopo qualche mese, però, divenne alcolizzata ed andò fuori di cervello.

Amedeo:      Era inevitabile che ciò accadesse.

Agostino:     Ad un certo punto, allo stremo delle forze, la mia povera mamma non ce la fece più ad allattarmi ed invece di darmi il latte dal seno mi fece bere direttamente il vino dal fiasco. Nel suo delirio mi diceva: tu sei nato fortunato perché dentro avrai sempre lo spirito di… vino. La mamma era una donna straordinaria anche nella sua pazzia.

Amedeo:      Tua madre ti voleva certamente molto bene.

Agostino:     Non mi ha strozzato né ha mai tentato di rispedirmi all’altro mondo. In compenso, però, ci è andata lei al posto mio. Anche lei era una persona altruista, voleva fare del bene ma, invece di vivere per gli altri, è morta anzitempo per dare a me la vita. Se non ci fosse l’egoismo, caro Amedeo, saremmo tutti morti come mia madre. L’egoismo aiuta a vivere, questa è la verità.

Amedeo:      Finalmente ho capito la storia della tua famiglia.

Agostino:     Ora ti lascio leggere in santa pace il tuo giornale perché il ricordo di mia madre mi ha sconvolto. (Esce).

Loretta:        (Entra piangendo). Non ci posso credere, non ci posso credere…

Amedeo:      Loretta, ti sei forse commossa all’idea di diventare nonna?

Loretta:        Magari!

Amedeo:      Stai piangendo perché Dario sarà presto papà?

Loretta:        Magari!

Amedeo:      Magari mi facessi capire qualcosa, sarebbe meglio per tutti e due.

Loretta:        Amedeo, ma tu non sai nulla?

Amedeo:      No. Non so nulla.

Loretta:        Come mai non sai nulla?

Amedeo:      Come faccio a saperlo se non mi dici perché piangi?

Loretta:        Se piango è perché ne ho motivo.

Amedeo:      Se me lo dirai probabilmente avrò anch’io un motivo per piangere e ti terrò volentieri compagnia.

Loretta:        Lo credo bene. Se sapessi, caro Amedeo…

Amedeo:      Parla, per l’amor del cielo, Loretta. Dimmi tutto.

Loretta:        (Comincia a singhiozzare). Non ci volevo credere, capisci? Non ci volevo credere…

Amedeo:      Suvvia, Loretta, sfogati con me.

Loretta:        Amedeo, ti devo dare una brutta notizia. Dario e Vincenzina… mi hanno detto… che…

Amedeo:      Che si vogliono sposare?

Loretta:        Magari!

Agostino:     Che si vogliono lasciare?

Loretta:        Magari!

Amedeo:      (Perde la pazienza). Che vogliono andarsene affanculo?

Loretta:        No.

Amedeo:      Meno male.      

Loretta:        Che ci vogliono mandare noi, invece.

Amedeo:      Dove?

Loretta:        Proprio lì, dove hai detto tu.

Anedeo:       Affan........       

Loretta:        Dario e Vincenzina ci vogliono mandare via di casa, capisci? Ci vogliono mandare tutti e due alla casa di riposo.

Amedeo:      Vuoi dire all’ospizio?

Loretta:        Sì, all’ospizio dei vecchi.

Amedeo:      Te lo hanno fatto intendere loro?

Loretta:        Intendere? Dario me lo ha detto chiaro e tondo. Dice che Vincenzina è preoccupata di trovare lo spazio vitale per il nascituro ed ha pensato perciò di liberare la cameretta.

Amedeo:      Brava Vincenzina. Affettuosa la ragazza. Per questo mi diceva che eravamo sacrificati tutti e due nella stanzina. Furba, eh!

Loretta:        Anche Dario è d’accordo con lei. Dice che noi la nostra vita l’abbiamo già vissuta, mentre loro sono ancora giovani.

Amedeo:      Vissuta? Abbiamo finito appena di pagare il mutuo della casa. Io contavo di cominciare a vivere ora, altro che vita già vissuta.

Loretta:        Io ci sono rimasta di sasso. Non mi sarei mai aspettato un discorso del genere da parte di mio figlio.

Amedeo:      Ma io non ho intenzione di accontentarli perché all’ospizio dei vecchi non ci voglio andare.

Loretta:        Nemmeno io ci vorrei andare ma temo che ci toccherà purtroppo andarci, perché loro sono decisi a raggiungere lo scopo di liberarsi di noi.

Amedeo:      E noi facciamo la resistenza passiva.

Loretta:        Io sono sicura, che, se non accettiamo la loro proposta, ci renderanno la vita difficile in questa casa.

Amedeo:      Ecco cosa tramavano i due piccioncini. Tu hai detto: lasciamoli soli i ragazzi perché avranno da dirsi tante cose in una giornata così bella per loro. Hai capito ora cosa avevano da dirsi? La colpa è anche nostra, cara Loretta, perché li abbiamo troppo coccolati.

Loretta:        Dice… cosa ci fate voi vecchi insieme a noi che siamo giovani? Così mi ha detto Dario. Mi ha voluto fare capire con le buone maniere che siamo diventati ingombranti.

Amedeo:      Ah! Con le buone maniere!

Loretta:        Si, con le buone maniere.

Amedeo:      Come mai non hanno pensato di ammazzarci tutti e due per liberare l’appartamento? Oggi pare che sia di moda fare così.

Loretta:        Non lo so se ci hanno pensato.

Amedeo:      Una volta i figli avevano rispetto per i genitori e non si sarebbero mai permessi di dire alla propria madre queste cose.

Loretta:        Dicono che hanno bisogno di spazio per sentirsi liberi. Avranno anche ragione, poverini, ma non è giusto che a farne le spese dobbiamo essere noi, dopo tutti i sacrifici che abbiamo fatto.

Amedeo:      Beati coloro che sono morti quando erano ancora giovani.

Loretta:        Perché dici questo? Può sembrare una bestemmia.

Amedeo:      Almeno non hanno conosciuto le brutture della vecchiaia, quanto sia sgradevole la sensazione che si prova nel sentirsi considerati inutili o peggio ancora un peso di cui liberarsi.

Loretta:        Dopo tanti sacrifici......

Amedeo:      Ed i sentimenti, Loretta, che fine fanno i sentimenti, gli affetti, i rapporti familiari, che abbiamo cercato di costruire nel corso degli anni?

Loretta:        Ignorati, calpestati......

Amedeo       All’improvviso vengono cancellati dall’egoismo di una giovane donna, che per fare spazio alla sua creatura, convince nostro figlio a buttarci fuori di casa.

Loretta:        Forse hai ragione. Era meglio morire giovani, almeno ci saremmo conquistato un posto fisso nella tomba, dalla quale nessuno ci avrebbe mai mandato via.

Amedeo:      Questo è un sopruso che Dario ci sta facendo, istigato da quella gattamorta di Vincenzina.

Loretta:        Lo penso anch'io.

Amedeo:      Vedi, Loretta, le cause che rendono amara la vecchiaia purtroppo sono tante. Alcune dipendono dall’età, come gli acciacchi fisici, i dolori, e non ci possiamo fare niente; altre dipendono dalle difficoltà economiche, ma mai avrei immaginato che ulteriori difficoltà potessero dipendere dal comportamento dei figli.

Loretta:        Come mai nostro figlio ha deciso di metterci fuori di casa? (Piange).

Amedeo:      Non piangere, Loretta. Troveremo una soluzione. Dobbiamo reagire e prendere il toro per le corna.

Loretta:        Dopo quello, che ci hanno detto, io non me la sento più di rimanere in questa casa insieme a loro. Mi sembrerebbe di essere di troppo, non mi sentirei più a mio agio, capisci?

Amedeo:      Allora buttiamoli tutti e due fuori di casa e continuiamo a vivere tranquilli.

Loretta:        Con quale coraggio potrei buttarli in mezzo ad una strada, specie ora che c’è in arrivo una creatura, e poi starmene tranquilla in casa mia? Le colpe dei genitori non devono ricadere su quell'anima innocente.

Amedeo:      Io non mi rassegno a perdere la partita senza lottare.

Loretta:        Aveva ragione Agostino. La notizia, che attendevamo, non ci ha portato la verità, perché la verità, quella vera, era nascosta ed ora si è manifestata in tutta la sua crudeltà.

Amedeo:      Era questa in fondo la notizia vera, non il risultato delle analisi cliniche. Aveva visto bene tuo fratello. Quell’uomo sembra che parli a vanvera ma invece dice quasi sempre cose sagge.

Loretta:        Vincenzina mi era sembrata un po’ cambiata in questi ultimi tempi. .

Amedeo:      Evidentemente stava covando la serpe in seno. Loretta, ricordi quante notti abbiamo passato in bianco prima di deciderci a fare il mutuo per acquistare questa casa?

Loretta:        Certo che me lo ricordo. I conti non ci quadravano mai e cominciavamo sempre daccapo.

Amedeo:      I soldi non bastavano per coprire tutte le spese......

Loretta:        Il tuo stipendio era modesto e più di tanto  non si poteva fare.

Amedeo:      Io facevo gli straordinari ma tu ti lamentavi perché in casa non c’ero quasi mai, te lo ricordi?

Loretta:        Sì, ma, quando ho scoperto che in casa eri noioso, mi sono rasserenata.

Amedeo:      Questo non lo sapevo. Io, da sola, ti credevo sacrificata.

Loretta:        Te lo facevo credere per farti sentire più importante, amore mio.

Amedeo:      Ora staremo sempre insieme, tu ed io all’ospizio dei vecchi.

Loretta:        Ci aspetta una triste vecchiaia,  fatta di solitudine, caro Amedeo.

Amedeo:      La solitudine è un male comune, non appartiene solamente ai vecchi. Ci sono mille solitudini ed l'una è sempre diversa dall’altra anche se l’effetto è sempre uguale. C’è la solitudine dei giovani, che non si sentono compresi dagli adulti, quella delle persone anziane, che si sentono emarginate…

Agostino:     (Entra e rimane in silenzio ad ascoltare).

Amedeo:      C’è la solitudine dei disoccupati. C’è la solitudine dei poveri, che è antica quanto è antico il mondo, c'è la solitudine degli ammalati terminali, che si trovano al cospetto della morte con i propri imperscrutabili pensieri e con la paura dell’ignoto, e quella di coloro che hanno perduto conoscenza e ci appaiono sospesi in un mondo, che a noi sembra non avere senso. Il mondo è popolato di persone sole, che solo apparentemente stanno insieme. E noi facciamo parte di questo mondo, capisci, Loretta?

Agostino:     Io ho conosciuto un tale, che si sentiva tanto solo che spesso si perdeva anche di vista.

Loretta:        Non fare lo spiritoso, Agostino. Non è proprio il caso.

Agostino:     Scusate se mi intrometto ma, se ho ben capito, Amedeo stava dicendo che la solitudine, nelle sue molteplici forme, condiziona negativamente la nostra vita. Io non credo che sia così.

Amedeo:      Non sei d’accordo?

Agostino:     Secondo me c’è un altro problema, che affligge l’umanità e non solamente le persone in età avanzata.

Loretta:        E se non è la solitudine, cos’altro sarà mai codesto male?

Agostino:     Secondo studi recentissimi, effettuati da insigni scienziati, sembra che oggi si possa dire con certezza che la malattia, che colpisce la nostra società, non è la solitudine.

Amedeo:      E’ forse la miseria?

Agostino:     Acqua, acqua.

Loretta:        Allora è la tristezza?

Agostino:     La malattia principale della società moderna non è la solitudine, non è la miseria e nemmeno la tristezza ma solo una forma generalizzata di ostinata...... stitichezza.

Amedeo:      Tu hai sempre voglia di scherzare, Agostino.

Loretta:        Ti ho detto che questo non è il momento giusto. Abbiamo altri pensieri per la testa.

Agostino:     Non sto scherzando affatto, Loretta mia. La crisi del mondo a pensarci bene ha le sue radici più profonde nelle budella della gente, come dire che ha la sua origine nelle viscere dell’umanità. Siamo tutti, per un verso o per l’altro, più o meno stitici.

Amedeo:      Stai dando i numeri stamattina.

Agostino:     Non sono forse stitici i nostri industriali quando devono aumentare il salario ai loro dipendenti?

Amedeo:      Ah! Ora capisco. La tua in sostanza è una metafora? Parli a nuora perché suocera intenda.

Agostino:     Non mostra di essere stitico l’esimio avvocato che, se non è ben foraggiato, stenta a trovare le parole giuste per difendere l’imputato? E l’amante, che non vuole scoprire i propri sentimenti, non è a suo modo stitico d’amore come lo è  anche l’avaro? Ma lo stitico moderno è sicuramente il capo del Governo, per colpa del quale tutti noi pensionati lo siamo giocoforza diventati.

Loretta:        Cosa stai dicendo, Agostino?

Amedeo:      Vuoi dire che tutti i pensionati siamo stitici per colpa del governo?

Agostino:     Certamente, ma in un senso diverso da coloro che ho citato avanti. Intendo dire che noi lo siamo non in senso metaforico ma reale. D’altra parte con la pensione che ci danno francamente ci rimane poco per mangiare e, quindi, è naturale e conseguente che… da fare, diciamo così, ci abbiamo quasi niente. Per noi pensionati il bagno in sostanza lo potrebbero abolire.

Loretta:        Perché  lo dovrebbero abolire ?

Agostino:     Che ci andiamo a fare al cesso, a leggere il giornale o a cantare una canzone? Dopo avere pagato la rata per il mutuo, il telefono, l’acqua, il gas, l’ICI, l’ACI… cosa ci rimane per mangiare, la bolletta della luce? E se ci mangiamo le bollette della luce, la facciamo poi fosforescente?

Amedeo:      Eh già, fosforescente?

Loretta:        (Fa segno ad Amedeo di fare silenzio).

Agostino:     Noi pensionati siamo diventati stitici per decreto legge.

Amedeo:      Sì, sì, il Governo ci fa morire di fame.

Agostino:     Per i signori del Governo noi pensionati dovremmo abitare in un monolocale senza cucina e senza bagno, perché dicono che sono uno spreco di denaro.

Loretta:        Screanzati, egoisti!

Agostino:     Dice…, ma quel poco che mangiate lo vorreste anche buttare? No!

Amedeo:      Ci mancherebbe altro!

Agostino:     Noi ce la teniamo cara. Ci facciamo l’accumulazione come se fosse un fondo di investimento e poi, una volta all’anno, per l’anniversario de… li mortacci loro, ci facciamo una bella… spaparanzata.

Amedeo:      E poi?

Agostino:     E poi ci sentiamo più leggeri, come se avessimo fatto una cura dimagrante. Se noi pensionati ci intestardiamo a volere andare tutti i giorni al bagno, ci rimaniamo  male perché alla fine non ci sembra nemmeno di avere fatto il nostro bisogno. Una miseria… che ci fa sentire ancora più poveri di quelli che siamo veramente, capite? Una pallina… e via.

Loretta:        Come le pecorelle?

Agostino:     Esattamente. A noi, perciò, conviene andare al bagno una sola volta all’anno.

Loretta:        Una volta sola?

Agostino:     Come si dice? Meglio un giorno da montone che dieci anni da pecora infelice. Altrimenti ci sentiamo mortificati per la… pochezza del risultato ottenuto nonostante il grande sforzo.

Amedeo:      Tanto rumore per nulla vuoi dire? .

Agostino:     Bravo. Hai colto proprio nel segno. Secondo me l’intestino oltre che cieco deve essere anche sordo, così non sente alcuno stimolo e se ne sta tranquillo.

Amedeo:      E' meglio se se ne sta tranquillo.

Loretta:        Tranquillo?

Agostino:     Certo. Se si da delle arie, non vi preoccupate. E' solo un pochino… borioso.

Amedeo:      Sì, sì, il mio è  spesso borioso.

Agostino:     Vi siete mai chiesto perché nelle case dei ricchi i bagni sono grandi, sontuosi, quasi monumentali, come una piazza d’armi?

Loretta:        Perché?

Agostino:     Perché nelle loro case si mangia in abbondanza e, quindi, è naturale che sia grande anche il..... bisogno… di toilette.

Amedeo:      Hai ragione, questa è una giusta considerazione.

Agostino:     Anni fa, quando ho visto il water del Ministro della Cassa per il Mezzogiorno, mi sono spaventato. Senza esagerazione, aveva un cesso che sembrava una tinozza. Tre metri di diametro per due di profondità.

Amedeo:      Per la miseria!

Loretta:        Una vera enormità.

Agostino:     Ma era quello che gli ci voleva per le sue necessità. Dei nostri politici si dice spesso: questa volta l’hanno fatta veramente grossa, non è vero?

Amedeo:      Con tutto quello che si mangiano, certo che la fanno grossa.

Agostino:     Avete mai sentito dire, invece, che i pensionati l’hanno fatta grossa?

Loretta:        No, questo mai, mai.

Agostino:     E come potrebbero farla grossa, poverini?

Amedeo:      Come potrebbero?

Loretta:        Con quello che costa oggi la spesa!

Agostino:     Io m’incazzo quando sento dire che il mondo  è pieno di merda e che i pensionati ce l’hanno fino al collo. Mica è roba nostra.

Loretta:        Di chi è?

Agostino:     E’ tutta roba di quelli che si abbuffano alle spalle dei cittadini onesti. Noi partecipiamo solo in minima parte a produrla.

Amedeo:      Solo in minima parte!

Agostino:     Dicono che siamo coraggiosi perché non ce la facciamo mai sotto di fronte alle difficoltà. Neanche se volessimo ce la potremmo fare sotto. Ci manca la materia prima. 

Loretta:        Ci manca, ci manca.....

Agostino:     Ma perché, mi domando io, se il mondo è pieno di stronzi io, per farne uno ci impiego più di un mese? Perché, perché? Mi domando.

Amedeo:      A proposito di stronzi, lo sai che Dario e Vincenzina ci vogliono mandare all’ospizio dei vecchi?

Agostino:     A chi?

Amedeo:      A me e Loretta. Hanno detto che la casa è troppo piccola per contenere tutti e ci hanno perciò invitato ad andarcene per liberare la cameretta.

Loretta:        Siamo diventati ingombranti in casa nostra, hai capito, Agostino?

Agostino:     Siete stati voi a volerli ospitare in casa.

Amedeo:      Noi lo abbiamo fatto a fin di bene.

Agostino:     Io ti avevo avvertito.

Loretta:        Non potevamo immaginare che i ragazzi avrebbero reagito in questo modo.

Agostino:     La colpa è vostra, cara Loretta.

Loretta:        Hai ragione.

Amedeo:      Beato te che sei egoista, caro Agostino, almeno non farai mai il nostro stesso errore .

Loretta:        A te in effetti hanno riservato un trattamento diverso.

Agostino:     E' segno che la mia teoria è quella giusta.

Loretta:        Sì, sì. Hanno deciso di affidarti alla Caritas, affinché ti trovino un letto per dormire.

Agostino:     A me, alla Caritas?

Amedeo:      Proprio così, alla Caritas. Hanno detto: lo zio Agostino lo mandiamo alla Caritas.

Agostino:     Ma io non voglio andare alla Caritas.

Amedeo:      Nemmeno io vorrei andare all’ospizio.

Loretta:        Temo, però, che ci dobbiamo rassegnare ad abbandonare il campo perché i rapporti familiari sono ormai irrimediabilmente deteriorati.

Amedeo:      Caro Agostino, credimi, in questo momento invidio tutti coloro che non hanno avuto figli.

Loretta:        Non dire questo, per l’amor di Dio. I figli sono comunque un dono del Signore e bisogna accettarli sempre anche se hanno il cuore di pietra.

Amedeo:      Allora, sia fatta la loro volontà. Prepariamoci a fare le valigie. A questo punto non vedo altra soluzione. Andiamo. (Escono).

Scena quinta

(Dario e Vincenza)

Dario:           (Entrano). Vincenzina, secondo te come andrà a finire tutta questa vicenda?

Vincenza:     Speriamo che abbiano capito bene e che non ci creino  problemi questi vecchi.

Dario:           La mamma mi è sembrata rassegnata.

Vincenza:     Sì, sì. Il pericolo, secondo me, è costituito solo da tuo padre.

Dario:           Mio padre? No, no. Mio padre fa sempre quello che gli consiglia di fare mia madre. Lui è un debole e non fa mai una cosa di testa sua.

Vincenza:     E lo zio Agostino?

Dario:           Cosa c’interessa dello zio Agostino? Finora ha sfruttato sempre mia madre, vorrà dire che per una volta si arrangerà da solo. Così va il mondo, cara Vincenzina. Mica ci possiamo preoccupare di tutti.

Loretta:        (Entra e, con tono dimesso…) Cari ragazzi, ho da darvi una buona notizia. (Rivolgendosi a Dario) Io e tuo padre abbiamo deciso di lasciare quanto prima la nostra casa.

Dario:           Oh! Grazie, mamma. Sapevo di potere contare su di voi.

Loretta:        Non ci ringraziare perché  non lo facciamo volentieri.

Vincenza:     Oh! Mi dispiace, signora. Noi una volta alla settimana verremo a farvi visita, perciò lei non si deve preoccupare.

Loretta:        Sei molto gentile, cara Vincenzina.

Dario:           A proposito, papà dov’è andato?

Loretta:        E’ uscito insieme allo zio Agostino.

Dario:           Che faccia aveva?        

Loretta:        L’ho visto un po’ contrariato ma c’è da capirlo..

Dario:           Speriamo che la rabbia gli passi.

Vincenza:     Gli passa, gli passa. Vedrai che gli passa presto. Non è certo la fine del mondo dovere lasciare la casa al proprio figlio.

Loretta:        Vincenzina, non essere screanzata. Il troppo stroppia, lo sai?

Vincenza:     Mamma mia come siete diventati permalosi! Per un favore che vi abbiamo chiesto, ci  state facendo sudare sette camice.

Loretta:        Stai diventando sempre più impudente. Ringrazia Iddio che hai una creatura in grembo, altrimenti avrei reagito diversamente.

Vincenza:     Ho capito, oggi è meglio che mi stia zitta, non ve ne va bene una.

Agostino:     (Entra sventolando il suo cartello con il motto dell’uomo della strada). Alè, oh, oh! Alè, oh, oh!...

Loretta:        Cosa c’è, Agostino? Ti sembra questo il momento di scherzare, benedetto uomo?

Vincenza:     Cosa vuole dire questa trovata, zio Agostino?

Agostino:     Niente, niente, una semplice bischerata per creare un po’ di allegria.

Amedeo:      (Entra seguito dal geometra). Venga, venga, signor geometra. Si accomodi, non si stia tanto a preoccupare. Questa è ancora casa mia. Proceda pure e faccia scrupolosamente la sua perizia.

Dario:           Quale perizia? Cos’è questa storia della perizia, papà?

Amedeo:      Niente, niente. Una semplice formalità.

Agostino:     Una bischerata.

Amedeo:      Una bischerata, come dice lo zio Agostino. Ho dato mandato ad una agenzia immobiliare di vendere il nostro appartamento ed il signor geometra è venuto per effettuare la stima del suo valore. E’ una cosa normale, non ti pare?

Geometra:    Signor Amedeo, con il vostro permesso io procederei intanto alla misurazione del  locale.

Amedeo:      Faccia pure, non si preoccupi di noi.

Vincenza:     Vendere l’appartamento è una pazzia.

Dario:           Certo, una pazzia.

Agostino:     Vendere l'appartamento non è una pazzia.

Vincenza:     Io non sono d’accordo!

Dario:           Nemmeno io sono d'accordo.

Agostino:     Sapeste quanto ci dispiace!

Dario:           Papà, a che gioco stiamo giocando? E’ vero quello che state dicendo?

Amedeo:      Certo caro. E’ stata un’idea che io e zio Agostino abbiamo maturato strada facendo.

                     (Intanto Loretta, seduta in un angolo, piange sommessamente).

Dario:           Perché ci vuoi fare questo torto? Lo sai bene che così facendo ci metti in mezzo ai

                     guai?

Amedeo:      Oh! Nessun torto, caro Dario. Vendere l’appartamento è, purtroppo, una necessità.

                     Non c'è alternativa, caro. I soldi servono per pagare la retta della casa di riposo per me e per tua madre.

Agostino:     Ed anche per me, vero Amedeo? L’idea della scopa è stata mia, ricordatelo… Alè, oh, oh! Alè, oh, oh!...

Vincenza:     E noi dove andiamo a finire?

Dario:           Dove andiamo a sbattere la testa?

Agostino:     Alla Caritas, alla Caritas. Lì vi troveranno un bel letto per  dormire.

Vincenza:     Noi alla Caritas?

Amedeo:      Eh sì, cari ragazzi, i tempi purtroppo sono duri e non c’è più spazio per i sentimentalismi. Nel mondo c’è troppo egoismo e nessuno di noi, né io, né voi, né lo zio Agostino può ritenersi immune da questo virus, che corrompe i rapporti umani e deteriora quelli familiari, fino al punto da mettere gli uni contro gli altri. Io vi auguro con tutto il cuore di realizzare ogni vostro desiderio ma dovete farlo da soli, perché non potete contare più sul nostro aiuto.

Agostino:     Alè, oh, oh! Alè, oh, oh! (Agita il cartello).

Amedeo:      Agostino, smettila, per favore. Non è il caso di affondare ancora il coltello nella piaga. Sono certo che i nostri ragazzi hanno compreso bene la lezione e ne faranno tesoro per l’avvenire.

Geometra:    Signor Amedeo, io avrei già finito di misurare questa stanza.

Amedeo:      Bene. Allora venga a misurare gli altri locali, le faccio strada. Perché non vieni anche tu, Agostino?

Agostino:     Sì, sì, vengo. (Amedeo e il geometra escono e zio Agostino li segue ripetendo sottovoce…) Alè, oh, oh! Alè, oh, oh!

Loretta:        (Seduta, continua a piangere, senza che nessuno si curi di lei). Non ci posso credere, non ci posso credere. (Rivolgendosi ai due ragazzi). Perché lo avete fatto? Perché? Perché?

Dario:           Hai visto cosa hai combinato, Vincenzina?

Vincenza:     Io? La colpa è tua perché non hai preso le dovute precauzioni.

Dario:           Mia?

Vincenza:     Sì, tua. Conoscendo tuo padre avresti dovuto prevedere la sua possibile reazione.

Dario:           La colpa invece è tua perché hai preteso troppo e non hai voluto ascoltare le mie ragioni.

Vincenza:     Quali ragioni?

Dario:           Sei stata egoista, cara mia.

Loretta:        Non ci posso credere, non ci posso credere…

Vincenza:     Non sei stato in grado di gestire la situazione, questa è la verità.

Dario:           Perché tu sei egoista, troppo egoista. Ora per colpa tua siamo rovinati, rovinati, capisci? Disgraziata!

Vincenza:     Imbecille.

Dario:           Egoista!

Vincenza:     Cretino!

Dario:           Egoista e disgraziata!

Vincenza:     Imbecille e cretino!

                     (I due si avviano verso l’uscita).

Dario:           Egoista!

Vincenza:     Stronzo!

Dario:           Figlia di puttana......

Loretta:        (Continua a piangere). Non ci posso credere… una famiglia distrutta. Distrutta, completamente distrutta. Non ci posso credere… non ci posso credere…     La mia famiglia non esiste più, la mia famiglia non esiste più, non esiste più......(singhiozza).

(Sipario)