L’uomo di Dio

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L'UOMO DI DIO

L'UOMO DI DIO

Tre episodi

di Henri Ghéon

Traduzione di Guido Guarda

                                   

PERSONAGGI

LUI

LEI

Commedia formattata da

Primo episodio

 (E’ il primo pomeriggio. Il portinaio è in faccende nel vestibolo. Passa per la via un mercante levantino, rallenta il passo davanti al portone, si ferma, percuote il battente. Il portinaio lo scorge e gli parla, continuando a trafficare).

Il Portinaio                    - Che bussi a fare, la porta è spalancata.

Il Mercante                   - Be', un po' di "buona creanza non guasta mai.

Il Portinaio                    - Sei troppo gentile per fidarmi. Che cosa vuoi.

Il Mercante                   - Vedere il tuo padrone. (Si libera di una parte delle mercanzie di cui è carico).

Il Portinaio                    - È a tavola.

II Mercante                   - Aspetterò.

Il Portinaio                    - Hai qualche "bella novità, al­meno?

Il Mercante                   - Novità! Mica sono un giornale.

Il Portinaio                    - Figuriamoci. Li conosco i tipi come te. Il pretesto di una notizia è quello che ci vuole per infilarsi dentro. Sapete che il vec­chio senatore, povero ingenuo, pende dalle vostre labbra, e voi gli rifilate storie che non stanno né in cielo né in terra. Vere o false che siano, è lui che vuole sentirsele raccontare: e le paga tutte, senza distinzione. Sono diciassette anni che andiamo avanti così, e io ne ho abbastanza. Buongiorno.

Il Mercante                   - Piano, piano: non mi sono spiegato bene. Io non vendo chiacchiere. Che ne so, io, delle storie vere o false. (Mostra la mer­canzia) Io, o roba genuina, o niente. Parola. Lavoro per Natan, quello di Efeso, che cosa credi?

II Portinaio                   - Non mi seccare.

Il Mercante                   - Toh, questa porpora, ti sem­bra una imitazione! E questo broccato! Vedere e toccare. Vuoi collane, braccialetti, anelli... La regina d'Egitto, che fece girare la testa a due o tre imperatori romani e si fece uccidere da un'aspide, non ha mai avuto di questa roba. Profumi? "Dna sola goccia di questa fiala contiene un in­tero giardino di rose, un effluvio di questa boc­cetta sa come un mare di violette. Fazzoletti, veli, sciarpe, pizzi, ricami, velluti, sete, chiffon... | Regali da regina di Saba... Vedere, toccare, soppesare...

Il Portinaio                    - (divertito alla moglie che sopraggiunge) Sentilo, di'... (La donna si mette ad osservare la mercanzia).

Il Mercante                   - Preferisci questo mantello! Viene dall'India, ha dieci secoli. Il grande Ales­sandro in persona, forse, ci si è avvolto dentro.

Il Portinaio                    - Niente da fare, amico.

Il Mercante                   - Nemmeno il mantello di Alessandro... Allora, eccoti le gioie dello spirito e le delizie degli orecchi. Madrigali, canzoni, trage­die, odi, satire, epitalami, dichiarazioni d'amore in tutte le lingue: greca, persiana, egiziana, la­tina, francese. E con il commento musicale. E tutto inedito. È roba di Pindaro di Tebe: nipote e pronipote di quello famoso. Ce l'ho in esclusiva, intendiamoci. Non c'è qualche festicciola in vi­sta, qualche ballo, un matrimonio1?

Il Portinaio                    - Taci, sciagurato.

Il Mercante                   - Io non so chi sia il tuo pa­drone, ma so che una casa come la sua, così grande e bella, non è fatta per rimanere vuota e silenziosa. Appena il senatore ha terminato di pranzare...

Il Portinaio                    - Stai perdendo il tuo tempo.

Il Mercante                   - Annunciami, e ti darò la per­centuale.

Il Portinaio                    - Grazie, ma non mi tocche­rebbe un soldo bucato. Qui non ci si diverte: niente feste, niente tolette. Questa casa è in lutto da diciassette anni.

Il Mercante                   - Un lutto rispettabile.

Palmira                          - Eterno.

Il Portinaio                    - Un lutto famoso. Se tu fossi di Boma ne avresti sentito parlare, e avresti evitato di fermarti.

Il Mercante                   - In lutto da diciassette anni. Ma qui, uno dopo l'altro, sono morti tutti.

Il Portinaio                    - Il morto è uno solo, e la cosa più strana è che non siamo nemmeno sicuri che sia proprio morto.

Il Mercante                   - E allora, perché sono in lutto!

Il Portinaio                    - Perché potrebbe essere morto.

Il Mercante                   - Più avanti vai, e meno mi ci raccapezzo. Chi è il presunto morto per il quale si osserva un lutto tanto inequivocabile!

Il Portinaio                    - Alessio, il figlio del mio pa­drone. Il giorno delle nozze, scomparso.

Il Mercante                   - Con la dote.

Il Portinaio                    - Macché dote. Era una perla di ragazzo, tutto casa e chiesa.

Il Mercante                   - Sarà scappato da un'altra donna.

Il Portinaio                    - Non era il tipo, ti dico.

Palmira                          - E l'incredibile è che luì lo disse alla moglie, che se ne sarebbe andato.

Il Portinaio                    - Moglie per modo di dire.

Palmira                          - Poverina, quel giorno era incante­vole.

Il Mercante                   - E lei!

Il Portinaio                    - Non si è mai capito come una ragazza così giovane, ricca e carina, si sia po­tuta rassegnare. Prima di partire Alessio le con­segnò un pacchetto.

Palmira                          - Conteneva una cintura di seta bianca, bordata di gigli dorati e la fede nuziale.

Il Portinaio                    - E un bigliettino.

Il Mercante                   - Bella consolazione.

Il Portinaio                    - Diceva: « Conserva questo dono e Dio ci sarà vicino, sino a quando sarà fatta la sua volontà ».

Il Mercante                   - Un pazzo!

Il Portinaio                    - Da quel giorno, nessuno l'ha più visto.

(Entrano dalla destra Eufemiano, Emilia e Sofia. Palmira avverte il marito con un cenno e si ritira. Il portinaio e il mercante si inchinano. Il padrone di casa e le due donne attraversano il vestibolo. Eufemiano nota il mercante, si ferma. Sofia è attratta dalle stoffe e dalle cianfrusaglie del levan­tino. Emilia rimane in disparte, ad occhi bassi).

Eufemiano                    - (al portinaio) Quest'uomo, reca notizie... (Al mercante) Hai udito parlare di Alessio... del figlio del senatore Eufemiano...? Alessio...

Il Mercante                   - Il nome non mi è nuovo, si­gnore...

Eufemiano                    - Cerca di ricordare...

Il Mercante                   - Ma non rammento se a Efeso qualcuno mi ha riferito di aver conosciuto un uomo di nome Alessio... C'era uno, almeno così dicevano, in procinto di partire per le Indie, ancora giovane, riservato...

Eufemiano                    - Era lui! Emilia, bai udito? (Emilia ha un leggero tremito, ma non si muove. (Al mercante) Quando sei stato a Efeso?

Il Mercante                   - Un anno fa... o forse due.

Eufemiano                    - E chi è quel tuo amico che disse di avere incontrato mio figlio?

Il Mercante                   - Per la verità non ricordo come sì chiama. Ma saprei riconoscerlo. Al mio pros­simo viaggio, potrei vedere di rintracciarlo, se ti interessa...

Eufemiano                    - Ci conto. Tu non sai il bene che puoi fare a un povero padre. Tieni. (Porge al mercante una piccola borsa di monete e si avvia verso la scalinata) Sono notizie piuttosto vaghe, ma non si sa mai...

Sofia                             - (ad Emilia) Osserva questo zepbir. Sai quanto ti donerebbe, figlia mia...

Il Mercante                   - È un'occasione. Di questo, a Cipro, non ne tessono più.

Emilia                            - (seguendo Eufemiano) Vieni, mamma.

Sofia                             - Presto cambierai idea. Se i nostri tre messi tornano entro un mese senza novità, tu in quello stesso istante lasci il lutto. Me lo bai promesso. (Anche Sofia, a malincuore, sale).

Emilia                            - (trattiene un istante Eufemiano sul pia­nerottolo) Credi proprio, padre, che quell'uomo ci possa mettere sulle tracce di Alessio?

 

Eufemiano                    - Non bisogna trascurare il benché minimo indizio. (Fa passare le due donne, anch''egli esce attraverso la porta del pianerottolo)!

 Sofia                            - Figuriamoci se quello lì... (Pausa).

Il Portinaio                    - (al mercante) Complimenti.

Il Mercante                   - L'ho fatto per un atto di carità.

Il Portinaio                    - Verso te stesso. Così siamo daccapo. Per i tre messi, la prossima tappa sarà Efeso, vedrai.

Il Mercante                   - E quelli, sono diciassette anni che girano il mondo?

Il Portinaio                    - Press'a poco. E siccome hanno il conto aperto in tutti i banchi di credito dell'Impero, quei tre si guardano bene dal trovare « indizi ». qui.

Il Mercante                   - Non c'è bisogno di un quarto, per caso? Restituisco la borsa e mi imbarco.

Il Portinaio                    - Troppo tardi. Il loro ultimo, viaggio sta per terminare. Se non fosse per quella terribile tempesta, sarebbero già

Il Mercante                   - Ma allora, abbiamo navigato insieme. E perché « l'ultimo » viaggio?

Il Portinaio                    - Perché la vecchia vuole ridar marito alla figlia.

Il Mercante                   - Be', la «vedova» è ancorai molto bella.

Il Portinaio                    - È disperata.

Il Mercante                   - (si carica sulle spalle la sua roba e fa per andarsene) Diciassette anni. Un caso di fedeltà tenace, direi ossessiva. Io me ne vado.

Il Portinaio                    - E la percentuale?

Il Mercante                   - (cava dalla borsa che gli ha dato Eufemiano una moneta, a gran fatica, dopo ami frugato a lungo) Tieni. (Entrano i tre messi con i loro fagotti).

Ippolito                         - Eccoci qua.

Crisologo                      - Finalmente.

Giunipero                      - Quella tempesta non ci voleva.)

Il Portinaio                    - Ehi! Ma sono loro! Palmira! Palmira! (Palmira esce, rassettandosi, e si precipita su per la scalinata) Corri ad avvertire il senatore. (Al mercante) Te l'avevo detto, io, che, sarebbero stati qui da un momento all'altro. (Il mercante, incuriosito, rimette giù la sua roba).

Ippolito                         - Ne abbiamo passate di tutti i colori.

Crisologo                      - Altro che spedizioni di guerra!

Giunipero                      - E tu, invece, qui, tranquillo e beato, eh? Sei ringiovanito.

Il Portinaio                    - Figuriamoci.

Ippolito                         - E ingrassato. (Risate). (Il portinaio ha visto comparire sulla scalinata,! preceduto da Palmira, il senatore, e si inchina. Gli altri si voltano e lo imitano).

Eufemiano                    - Eccovi dunque di ritorno...È disceso. Si ferma a distanza. Interroga i tre messi con lo sguardo. Silenzio. Disagio. Sono uscite malie Emilia e Sofia).

Eufemiano                    - Ma, ancora una volta, siete tor­nati soli. (Pausa).

Emilia                            - (si fa avanti, verso i tre messi) E mio marito...?

Ceisologo                      - Introvabile.

Ippolito                         - Introvabile.

Giunipero                      - Introvabile.

Sofia                             - (dalla scala) Te l'ho sempre detto, io; tuo marito è...

Emilia                            - (si è girata di scatto e tronca la parola alla madre) Mamma!

Eufemiano                    - (a Sofia) Abbi pietà del suo do­lore. (Ai messi) Desidero che mi esponiate nei particolari il risultato delle vostre ricerche. (Il portinaio porta degli sgabelli. Eufemiano e fof,a siedono, Emilia rimane in piedi, accanto al senatore).

Eufemiano                    - Tu, Ippolito. L'ultima tua let­tera la ricevetti da Bisanzio la vigilia di Natale, se ben ricordo.

Ippolito                         - Hai buona memoria, mio signore.

Eufemiano                    - Stavi per imbarcarti, diretto in Crimea, di dove mi scrivesti che ti era stato segnalato un eremo...

Ippolito                         - Sì, non era escluso che un uomo devoto come Alessio...

Sofia                             - Tutto inutile. Un uomo pio non abban­dona la moglie.

Eufemiano                    - Scusami, Sofia, non interrom­pere...

Ippolito                         - Il mar Nero va soggetto ai nubi­fragi, come tu sai, e siccome io non ho mai avuto la vocazione del marinaio...

Eufemiano                    - Ho capito, Ippolito; la traversata ti ha messo sossopra. Ma raccontami di quando sei sbarcato in Crimea.

Ippolito                         - Oh, la Crimea, un paese ricco, fer­tile. C'è ogni ben di Dio.

Eufemiano                    - L'eremo, Ippolito...

Ippolito                         - Purtroppo, sull'eremo non ho gran che da dire. Trovai a fatica il punto indicatomi. Una località selvaggia, isolata: foreste, mon­tagne rocciose, una caverna immensa attraver­sata da un fiume nero come la pece.

Eufemiano                    - E gli asceti?

Ippolito                         - Li ho incontrati. Vivono isolati, ma si conoscono tutti, perché ogni tanto si riuni­scono per cantare... Di Alessio, nessuna traccia.

Eufemiano                    - Ti sei informato bene? Quanto tempo ti sei trattenuto?

Ippolito                         - Tre settimane. Al ritorno mi hanno so i briganti.

 Sofia                            - Il brigantaggio. Ecco una soluzione alla quale non avevo pensato.

Emilia                            - Mamma...

Eufemiano                    - A quanto pare sei riuscito a fuggire.

Ippolito                         - Non ce n'è stato bisogno, signore: li ho pagati.

Eufemiano                    - E poi.

Ippolito                         - E poi, eccomi qui... Ma se è neces­sario, sono pronto a ripartire domani.

Eufemiano                    - Grazie, Ippolito. E ora a te, Crisologo. Cerca di essere conciso. Tu mi scri­vesti da Lutezia, mi pare...

Crisologo                      - Esatto, signore. Non mi sono mosso di lì. Lutezia è un alveare umano, grande quasi quanto Roma. Molti stranieri, molta gente che si diverte. Ho ispezionato tutti gli angoli, tutti gli ambienti. Non si sa mai, dicevo, Alessio potrebbe nascondersi sotto falso nome, eserci­tare chissà quale attività: commerciante, mae­stro, magistrato...

Eufemiano                    - Buon Crisologo, concludi, ti prego.

Ceisologo                      - Non l'ho trovato. Innumerevoli piste, rivelatesi poi tutte false. Mi dispiace.

Eufemiano                    - Grazie, Crisologo. Giunipero, tu ritorni dall'Etiopia, vero?

Giunipero                      - Sì, signore. Sono rammaricato. Faceva un caldo maledetto. Mosche, zanzare... Ma se occorre, ci ritorno di corsa.

Eufemiano                    - Temo di no, Giunipero.

Giunipero                      - (mostra al senatore un pappagallino che tiene su una spalla) Ti piace? Me lo ha regalato un negretto. Se lo vuoi...

Eufemiano                    - Tienilo pure. Grazie ancora di tutto, amici. A questo punto credo che, pur­troppo, ogni speranza sia perduta.

Emilia                            - E il mercante...? Poco fa ha detto di avere conosciuto qualcuno, a Efeso, che incontrò un Alessio, mentre si imbarcava per le Indie.

Eufemiano                    - (al mercante) È vero. Tu, ripeti ciò che hai detto poco fa.

Il Mercante                   - Be', mi pare che si chiamasse proprio Alessio.

Eufemiano                    - E tu, Ippolito, che sei stato da quelle parti, com'è che non hai udito parlare di questo Alessio?

Ippolito                         - Come, non ne ho sentito parlare! Alessio, il mercante, l'ho conosciuto di persona. Un tipo simpatico! Ma era greco. Non ha niente a che vedere con tuo figlio.

Il Mercante                   - (con disappunto) Sei certo che stai parlando della stessa persona?

Ippolito                         - Era diretto alle Indie.

Il Mercante                   - In quale periodo?

Ippolito                         - Qualcosa come quindici o sedici mesi fa.

Il Mercante                   - Allora era proprio quello che dico io. Il nome, però, corrisponde.

Eufemiano                    - Certo, certo. Avete fatto del vostro meglio, spinti per il mondo alla ricerca di una verità che soltanto Iddio conosce. È a Lui che dobbiamo affidarci, ormai. Pregate per Aglaia, la vostra padrona che vive da anni nel fondo di un letto, consumata dalle lacrime e dalle sofferenze. Pregate per Emilia, che porta la fedeltà come un diadema. Pregate per mio figlio Alessio. Non possiamo credere alla sua ingratitudine. Noi tutti, qui, viviamo nel ri­cordo di lui: i giochi infantili, la saggia adole­scenza, il modo incomparabile di pronunciare il nome del Signore. L'ultima immagine che io serbo di lui, è quella riferitaci da un pescatore che, all'alba della prima notte di nozze, lo con­dusse con la barca alla nave diretta ad Ales­sandria. Il pescatore mi riferì che egli appariva tranquillo, sereno. Noi non desideriamo che il suo bene. Soltanto, vorrei poterlo abbracciare un'ultima volta, prima di morire. (Pausa). (I tre messi, il mercante, il portinaio e Palmiro, si inchinano e ciascuno va per le sue faccende. I tre messi raccolgono le loro robe, aiutati dal mercante, e vanno a riporle. Eufemiano abbraccia Emilia e Sofia).

Sofia                             - Io non voglio, Eufemiano, né offendere il tuo dolore né distruggere la tua illusione. E del resto, anch'io potevo contare su Alessio per rendere più serena la mia vecchiaia. Però a questo punto sono convinta che è mio legittimo dovere chiedere il tuo aiuto per convincere Emilia a non persistere nel suo atteggiamento.

Eufemiano                    - Preferirei non essere coinvolto in questa responsabilità.

Sofia                             - Figlia mia, credimi: né Penelope, né Lucrezia hanno assolto il proprio dovere di moglie quanto te. Se arriverai a conoscere il vero amore, me ne sarai grata.

Emilia                            - So che cosa vorresti dire, mamma. E cioè che Alessio, se non è morto, è fuor di senno. L'ultima volta che lo vidi, era nel pieno pos­sesso delle facoltà mentali: non lo avevo mai visto altrettanto saggio, affettuoso, sereno, na­turale. Mi venne incontro mormorando una pre­ghiera, poi, come stavo per parlargli, portò un dito alle labbra, mi abbracciò, mi baciò la fronte, e, salutandomi con lo sguardo, partì. Il quel bacio - il primo ed anche l'ultimo - in quello sguardo, Alessio mise tutto ciò che l'amore può sugge­rire. Fu come dicesse: « So che tu mi capisci: lo faccio per la tua felicità ».

 Sofia                            - Ammetti che ha scelto una mani singolare per renderti felice.

Emilia                            - Questo, mamma, riguarda soltanto lui e me. E se Eufemiano, che per me è un vero padre, crede che un nuovo matrimonio possa restituirmi una gioia perduta, sarà egli a parlarmene. Io cercherò di rispettare la tua volontà, mamma: ma vorrei che tu ti domandassi che cosa è veramente la felicità per una moglie che ama, e che non accetta di amare diversamente da come ha sempre amato. (Scossa dai singhiozzi, nasconde il volto sulla spalla della madre).

Sofia                             - Non piangere, figlia mia. Vorrei chiederti, per il tuo bene, di affrontare prova leale. Vorrei vederti rifiorire come ni rosa rimasta a lungo nell'ombra e d'un tratto ravvivata dal sole.

Emilia                            - Ci sono profondità segrete ove ravvivano fiori assai più belli della rosa che dici tu.

Sofia                             - (conduce Emilia in giro per il vestibolo sino a raggiungere le mercanzie che il mercante sta raccogliendo ancora una volta). Ma guar­dati intorno, osserva il cielo, ammira queste me­raviglie che vengono dall'Oriente. I veli neri di cui ti copri sono un insulto alla tua bellezza, alla tua giovinezza. (Drappeggia su Emilia una stoffa preziosa. Emilia la ignora).

Il Mercante                   - Le donne indiane adoperano questo tipo di stoffe come segno di distinzione delle più alte caste. È un tessuto infinitamente raro... e altrettanto caro...

Sofia                             - Non importa. Voglio che mia figlia indossi qualcosa di eccezionale. E questa col­lana, così... Sorridi!

Emilia                            - Non insistere, mamma. Compera per te, indossala tu questa roba, se ti senti ancora così giovane.

Sofia                             - (a Eufemiano) La senti? (Alla figlia) Mi avevi promesso che se i tre servi fossero tor­nati senza novità, avresti smesso il lutto, (i Eufemiano) Parlale anche tu, dille che deve farsi una ragione... (Si avvia su per la scalinata) Da diciassette anni aspettiamo che Alessio ri­torni. Se è vivo, Iddio dovrebbe farlo ritornare. O questa attesa ci farà impazzire tutti quanti... (È entrato, inavvertito, il povero. Si ferma e at­tende che Sofia abbia terminato la frase. Poi, senza muoversi, saluta).

Il Povero                       - Dio sia con voi. (Sofia si è fermata a metà scala. I servi sono immobili, come davanti ad una apparizione).

Eufemiano                    - (colpito) Chi ti manda?

Il Povero                       - Iddio.

Eufemiano                    - Vieni avanti. (Ai servi) Lasciatelo passare (I servi si scostano) Sapete che quando un povero entra in casa mia, è come vi entrasse Nostro Signore.

Il Povero                       - Sapevo che sci buono e generoso. In altri tempi abitai a Roma, ed ebbi modo, come ora, di apprezzare la qualità della tua fede, Eufemiano.

Eufemiano                    - È la mia prima ricchezza, che ho sempre cercato di dispensare insieme con mia moglie Aglaia. Conoscevi anche lei?

Il Povero                       - Ne conoscevo la santità. Ma qui, adesso, mi pare di non vederla.

Eufemiano                    - Povera Aglaia.

Il Povero                       - (turbato) Come, è...?

Eufemiano                    - Sopravvivo, confinata in un letto, al nostro figliolo Alessio. Ne avrai udito Sparlare.

Il Povero                       - Certo. Sicché, voi, qui, pensate che Alessio sia morto. (Movimento di 'Emilia).

Eufemiano                    - Perché, tu ne sai qualcosa?

Il povero                       - No... Soltanto, ho sentito dire che non lo avreste ritrovato mai più.

Eufemiano                    - Chi può aver detto una cosa

Il Povero                       - Voci. Non so. Ma non bisogna Hai disperare della provvidenza del Signore-Iddio.

Emilia                            - Io, non ho mal disperato.

Eufemiano                    - È Emilia, la moglie del mio figliolo. (Il povero si inchina, leggermente turbato. Eufemiano dopo un istante di esitazione, va ad inginocchiarglisi ai piedi, e vorrebbe baciargli la mano, ma il povero si ritrae. Eufemiano si accosta ad Emilia e la invita a rialzarsi).

Il Povero                       - La ricordo. Ancora in lutto...

Eufemiano                    - È la cosa alla quale lei tiene di più. (Pausa).

Il Povero                       - Sono veramente felice, signore, di ritrovare la tua famiglia al completo... (Eufemiano ed Emilia lo interrogano con lo sguardo, turbati)... Intendevo dire: malgrado l'assenza di Alessio. E del resto, qui tutto parla ancora di lui, è come se non fosse mai andato via.

Emilia                            - (si porta una mano al cuore) Infatti, è sempre rimasto qui. (Pausa). Possiamo domandarti di dove vieni, e come hai pensato di entrare in questa casa?

Il Povero                       - Vivevo a Edessa, sotto i portici della cattedrale. Ma la gente era troppo buona con me, troppo generosa. Stavo lì da parecchi anni e tutti mi conoscevano, mi procuravano il necessario. Allora ripresi il cammino; ma non pensavo di fare ritorno a Roma. Avrei voluto recarmi a Tarso, la patria dell'apostolo Paolo. Invece la nave è naufragata, e mi sono ritrovato ad Ostia.

Ippolito                         - Ma allora, abbiamo viaggiato tutti insieme...

Il Povero                       - Bisogna lasciar fare alla volontà di Dio. Stamattina sulla spiaggia ho veduto da­vanti a me la cupola di San Pietro, ho preso la prima strada, e... eccomi qui. Eufemiano, nel nome di Nostro Signore, ti chiedo per un povero un posticino nella tua casa. L'angolo più mo­desto mi basta. «Io ti servirò, vivrò delle bri­ciole della tua mensa e Iddio, che ricompensa la misericordia, elargirà a te e ai tuoi familiari la sua benedizione »

Eufemiano                    - Hai capito, Emilia?

Emilia                            - Sì, padre mio.

Sofia                             - Spero che non vorrai ospitare quest'uomo in casa tua.

Eufemiano                    - Se oggi il povero di Dio è mio ospite, sarà ricevuto come un re: avrà la stanza più bella. (Ai servi) Preparate la stanza di mio figlio Alessio.

Emilia                            - Perché non gli offri la camera nuziale, che è rimasta chiusa nel nome del nostro amore?

Sofia                             - Ma Emilia... Quest'uomo vi ha stre­gati tutti. Non siamo più ai tempi del Vangelo.

Eufemiano                    - I tempi del Vangelo dureranno fino alla consumazione dei secoli. (Al povero) Vieni, amico...

Il Povero                       - No, no... Ciò che chiedo è proprio un angolino. Non usurperò mai il posto del ricco e potente Alessio: mi sentirei a disagio. Ti ho lasciato parlare per poter ammirare la tua gene­rosità fino in fondo. Accetto l'intenzione, che agli occhi di Dio è la stessa cosa. (Si guarda intorno) Ecco, non cercate lontano. Quel buco mi va bene.

Eufemiano                    - Quello stambugio?

Il Povero                       - Non è poi tanto misero. È ripa­rato. Mi basterà un po' di paglia.

Eufemiano                    - Se proprio ci tieni... (Ai servi) Sgomberate quel sottoscala.

Il Povero                       - (accorre a dare una mano ai servi) Grazie, amici. Faccio da me. Avevo assai meno di questo, sotto i portici della cattedrale di Edessa.

Sofia                             - Ma allora, Eufemiano fa proprio sul serio.

Emilia                            - Non rattristarti, mamma. Ti fornisco subito la prova che non sono mai stata né al­trettanto obbediente né altrettanto saggia. Vieni, andiamo a scegliere delle stoffe per i miei abiti nuovi. (Conduce la madre dal mercante e invita costui a seguirle).

Sofia                             - Che cosa stai dicendo. Sei impazzita davvero1?

Emilia                            - Ma eravamo d'accordo, no? Io sono di parola, sai. E poi, in onore dell'ospite, desi­dero offrire a Dio il sacrificio di smettere il lutto.

Sofia                             - Non mi sforzo nemmeno di capire. Ciò che conta, è che ti togli questa roba nera.

Emilia                            - Vieni, mercante. Nelle mie stanze saremo a nostro agio, e ci mostrerai le tue cose più belle. (Emilia e Sofia, seguite dal mercante esultante, salgono la scalinata e scompaiono in casa. Il povero ed i servi hanno terminato di ras' settare il sottoscala).

Eufemiano                    - Bene. Ora è un po' più presen­tabile. Ma debbo proprio relegarti qui?

Il Povero                       - (celiando) Signore, vorresti ride­stare in me il demone dell'invidia?

Eufemiano                    - (prende al povero le mani e gliele stringe e lungo fra le sue) E allora, prega per me. (Pausa).

Eufemiano                    - (al portinaio) Te lo raccomando. Sarà il tuo vicino. Non fargli mancare niente.

Il Portinaio                    - Non dubitare, signore.

Eufemiano                    - Bene. (Sale lentamente la scali­nata, e ogni poco si volta indietro. Il povero lo segue con lo sguardo. Eufemiano si ferma). Pen­savo ad Aglaia. Le farebbe piacere, credo, salu­tare un uomo che ci è stato inviato da Dio.

Il Povero                       - Non osavo chiederti tanta grazia...

Eufemiano                    - Allora, domani ti ci condurrò; e saprai cosa significhi una madre distrutta dal dolore.

(Si ode di dentro una fresca risata femminile. Ap­pare sulla porta in alto alla scalinata Emilia, con una sciarpa al collo).

Emilia                            - (a Eufemiano) Oh, scusami.

Eufemiano                    - Di che cosa, figlia mia...

Emilia                            - Volevo farti vedere come sto.

Eufemiano                    - Alessio non poteva scegliere un fiore più incantevole.

(Il povero, che stava per entrare nel sottoscala, si sposta verso il centro del vestibolo per vedere meglio Emilia, richiamato dalla sua voce. Emilia si sporge dalla balaustra della scalinata e, come scorge il povero che la sta osservando, rimane turbata. Eu­femiano è entrato in casa).

Emilia                            - (cerca di dominarsi) Ti stupisce, non è vero, questo ornamento?

Il Povero                       - Oh, no, non mi stupisce affatto. Al contrario, mi rasserena.

Emilia                            - (come attratta dallo sguardo del povero, scende lentamente le scale) Sta accadendo qual­cosa nella mia vita, che forse tu conosci meglio di me...

Il Povero                       - Io? Non saprei... Non immagino...

Emilia                            - Non riesco nemmeno io a capire se sia visione o realtà... Una cosa oppure la sua ombra... (Pausa) Forse tu puoi spiegarmi... Io, ho già parlato troppo. (È giunta in fondo alla scala e rimane lì. Pausa).

Il Povero                       - Un pover'uomo come me... Vedi, io posseggo di me soltanto quella luce che Iddio vuole concedermi... e non so fare altro che pregare.

Emilia                            - Pregare nella sventura è difficile. Ma sento che la nostra... volevo dire la mia sventura se ne va.

Il Povero                       - Che il Signore ti aiuti.

Emilia                            - Non mi credi? Il Povero  - (assai turbato) Forse. (Emilia prende a risalire la gradinata. Il povero continua a seguirla con lo sguardo. Emilia si ferma ancora, a metà scala).

Emilia                            - Vorrei chiederti un consiglio. (Il po­vero, attende, immobile. Pausa) Quando uno di noi possiede qualcosa di buono, o che gli sembra buono, pensi sia stolto a volervi rinunciare?

Il Povero                       - Penso di sì.

Emilia                            - Anche se vorrebbe rinunciarvi per qualcosa di meglio?

Il Povero                       - Anche.

Emilia                            - Ma, in ogni caso, sarebbero gli altri, a giudicarlo folle.

Il Povero                       - Non tutte le follie sono per il male. La tua si chiama... la follia della Croce.

Emilia                            - (trasalisce, si sporge oltre la balaustra della scalinata, come per accostarsi al povero. Poi si ritrae) Ti ringrazio. (Riprende a salire, senza mai tralasciare di fissare il povero. Si ferma un istante, prima di entrare, indi scompare oltre la porta. Il povero è rimasto a guardare Emilia dal centro del vestibolo. Si scuote, si dirige verso il sottoscala: dando uno sguardo al cielo, che si sta tingendo dei colori del tramonto; infine, riso­luto, entra nel sottoscala e tira la tenda).

SECONDO EPISODIO

(Il vestibolo è ornato di piante. Si nota nelle cose una cura che prima non c'era. I servi e il porti­naio stanno appendendo dei festoni. La tenda del sottoscala è aperta e si vede il povero intento alla lettura di un grosso libro).

Giunipero                      - (a Ippolito) E passami quella ghirlanda.

Ippolito                         - Non ci arrivo.

Crisologo                      - Solleva le braccia, coraggio.

Ippolito                         - Sono corte.

Il Portinaio                    - Sali sul primo gradino della scala.

Ippolito                         - È un gradino troppo alto per i miei reumatismi.

Crisologo                      - Quando giravi il mondo, non sof­frivi tanti acciacchi.

Ippolito                         - Sai bene che non mi sono mai mosso da Tarquinia.

Oiukipero                      - Brigante.

Ippolito                         - E voi?

Il Portinaio                    - (indica verso il sottoscala) Ssssst!

Crisologo                      - È tornato dalla messa?

Il Portinaio                    - Poco fa.

Ippolito                         - Quello non sente, non vede e non dice mai niente.

Il Portinaio                    - Lo credi tu. Secondo me fa il finto tonto, ma è più dritto di tutti noi messi assieme.

Palmira                          - (esce e chiama) Eusebio.

Il Povero                       - (tralascia di leggere ed esce dal sotto­scala) Eccomi!

Palmira                          - Annaffia le piante: te ne sei dimenti­cato, stamattina1?

Il Povero                       - (prende un secchio ed esce) Su­bito. (Tutti lo seguono con lo sguardo. Pausa).

Il Portinaio                    - Da quando hai scoperto che si chiama Eusebio?

Palmira                          - Dovevo pur dargli un nome, no? Così ho pensato di chiamarlo Eusebio.

Ippolito                         - E lui risponde.

Palmira                          - Certo. E vi dirò che mi dà un vero fastidio a vederlo sempre così sollecito, così ser­vizievole, umile...

Ippolito                         - È la sua forza, dal momento che per il resto è un miserabile.

Il Portinaio                    - Sì, però io ci starei attento. (Il povero è rientrato con un secchio colmo d'acqua ed aiutandosi con una ciotola, annaffia le piante. Oli altri lo osservano in silenzio per qualche istante, poi riprendono le loro faccende).

Sofia                             - (esce dalla porta sulla scalinata e discende) Be', ancora a quel punto? Sfaccendati. La­sciate perdere le ghirlande e venite con me nella sala dei ricevimenti. La festa di oggi sarà senza confronti.

(Sofia attraversa il vestibolo e tutti la seguono, tranne il povero, che continua ad innaffiare e la ignora. Sofia nota il povero e non sa frenare un gesto di stizza. Nel vestibolo è rimasto solo il po­vero, quando entra dalla strada Emilia. Indossa una vesta sobria ma chiara. Emilia si dirige decisa verso le scale e sale. Dalla balaustra scorge il po­vero, il quale non s'è accorto di lei, si ferma e, pur con qualche riluttanza, discende e va verso di lui. Emilia vede una ciotola posata da qualche forte, la prende ed attinge anche lei al secchio, e annaffia le piante accanto al povero. I due si scambiano uno sguardo).

Emilia                            - Sono trascorsi sei mesi dall'ultima volta che ti ho parlato... (Pausa) Troppo tempo. Vorrei scambiare qualche parola con te più di frequente.

Il Povero                       - Credo di non meritarlo. Dimenti­cherei la mia indegnità. Ritorni dalla messa?

Emilia                            - Sì. È un po' di settimane che tu ci vai più presto. Perché? (Pausa) Lo so: perché preferisci non incontrarmi.

Il Povero                       - Mi basta sapere che nel tuo cuore è tornata la serenità.

Emilia                            - Non piango più, da quando un po­vero, mandato da Dio, ha oltrepassato la soglia di questa casa, ed ha preso il posto di Alessio. Ma tu sei, Alessio...

Il Povero                       - Io sono l'inviato da Dio, per farti ravvivare il ricordo di tuo marito, che stava per attenuarsi.

Emilia                            - Non è vero. Ho sempre pensato ad Alessio come ad un povero, macerato, sottoposto, umile... Tu sei la sua immagine. E da quando è partito, il mio amore per lui non ha avuto osta­coli. Nello smarrimento dell'amore ho fatto un voto. (Il povero ascolta Emilia turbato. Pausa) Chiunque sia colui che Dio manderà, io sarò la sua casta compagna. E se non sarà lo sposo che attendo e che amo, io sposerò, nel fondo dell'anima mia, la sua povertà. (Pausa).

Il Povero                       - Hai fatto questo voto...

Emilia                            - Parlavo a te, ed era come se parlassi a lui. Se mi mostravo caritatevole, non era per pietà verso di te, ma per amore di lui.

Il Povero                       - Io non chiedo nulla per me.

Emilia                            - Questo fu nel primo anno che eri qui. Poi... Ormai ne sono passati due...

Il Povero                       - Poi... Credo di saperlo.

Emilia                            - Dillo tu, allora.

Il Povero                       - Poi l'amore che sosteneva la ca­rità, cominciò ad assopirsi.

Emilia                            - (colpita) Come lo sai? (Lunga pausa).

Il Povero                       - (solenne) Emilia, accetto di pren­dere il posto di Alessio, se tu lo desideri e se questa finzione salvaguarda il tuo amore per lui. (Il povero si avvia verso la porta d'uscita sulla strada. Pausa) Però, se nella tua carità non c'è più alcuna ragione d'amore, posso anche abban­donare questa casa per sempre... senza rancore.

Emilia                            - Pensi di andartene?

Il Povero                       - Sì, per la tua serenità.

Emilia                            - (lo trattiene) Sarei tornata da te, dopo sei mesi di silenzio, se non avessi avuto bisogno della tua parola? (Il povero torna indietro, prende due sgabelli e va a sedersi davanti al sottoscala. Sull'altro sgabello siederà dì lì a poco Emilia).

Emilia                            - Vedi quelle ghirlande, quei festoni? Dì là stanno preparando per un altro ricevimento.

Il Povero                       - Sei giovane.

Emilia                            - Sono frivola. Alle feste mi sento gaia, spensierata.

Il Povero                       - La spensieratezza è un dono di Dio.

Emilia                            - Ma può far dimenticare un voto.

Il Povero                       - Il tuo voto... Te ne dispenso io.

Emilia                            - Tu non puoi, non puoi esimermi dal mio dovere.

Il Povero                       - Qual è il tuo dovere?

Emilia                            - Vorrei tanto che fossi tu a dirmelo.

Il Povero                       - Io?! (Pausa).

Emilia                            - (disperata) Temo di non essere più capace di rimanere fino alla morte la moglie di un fantasma.

Il Povero                       - Iddio può sciogliere un matri­monio non consumato. E tu hai dimostrato un raro senso di carità, accettando di portare per tanto tempo il giogo di questa unione. Forse Alessio non ne era degno.

Emilia                            - Non puoi dire questo!

Il Povero                       - Scegliti un buon marito, se quello migliore ti ha abbandonata.

Emilia                            - Proprio tu mi consigli questo tradi­mento? E se Alessio tornasse.

Il Povero                       - Verrà a sapere che ti sei risposata, e non tornerà.

Emilia                            - Credi che ne soffrirebbe?

Il Povero                       - Iddio terrà conto della sua soffe­renza, e sono certo che egli saprà accettarla.

Emilia                            - (si alza in piedi dallo sgabello e si dirige alla scalinata) Allora, tu non mi condanni?

Il Povero                       - E quale diritto ho io di condan­narti?

Emilia                            - Mi sarai sempre amico?

Il Povero                       - Fino alla morte. (Mentre Emilia sale la scalinata entrano Sofia e i servi).

Sofia                             - Terminate qui, adesso. E presto, mi raccomando.

(Dalla strada giunge un ragazzo con una grande pianta fiorita. Il portinaio ritira- la pianta. Sofia ha visto e, incuriosita, gli va incontro. Intanto si rivolge ad Emilia che era giunta al pianerottolo).

Sofia                             - Lunga, eh, la messa, stamattina. (Emilia si volta e si ferma senza rispondere).

Sofia                             - (svolge il cartiglio che ha trovato sulla pianta e legge) Emilia, indovina chi ti manda questi fiori.

Emilia                            - Che meraviglia... (Discende, prende dalle mani della madre il cartiglio e legge. È tur­bata. Si accosta con il volto alla pianta fiorita. Sofia la osserva, compiaciuta) È un profumo così intenso, che stordisce.

Sofia                             - Gentile, eh, il giovane Numa. (Emilia china il capo, confusa) Abbracciami, figlia mia. Vedo, finalmente, che hai fatto la tua scelta.

Emilia                            - Ma no, mamma.

Sofia                             - Con questo vuoi dire che preferisci quell'antipatico di Cleonte?

Emilia                            - Ma no, vedi...

Sofia                             - O quel vecchio bacucco di Augustolo?

Emilia                            - (ride) Oh, per carità!

Sofia                             - E allora, vedi che avevo capito. Tu oggi concedi la tua mano a Numa.

Emilia                            - Oggi? Ma non è possibile, così...

Sofia                             - Ma se sei lì che fremi. Oggi vengono tutt'e tre al ricevimento, e ho promesso che per l'uno o per l'altro ti pronuncerai.

Emilia                            - Dammi almeno il tempo di riflettere: tre o quattro giorni... (È come stordita).

Sofia                             - Ti pare che io possa mancare ad una promessa? (Vede apparire in cima alla scalinata Eufemiano) Oh, Eufemiano, una notizia stu­penda.

Eufemiano                    - Alessio?!

Sofia                             - Ti avevo fatto capire che un giovane nobile aspirava alla mano di Emilia. Adesso posso dirti chi è: Numa.

Eufemiano                    - Lo conosco.

Sofia                             - Oggi viene qui, per la domanda di matrimonio. Spero che vorrai rallegrartene.

Eufemiano                    - (fa per discendere ma Emilia gli va incontro, e si rifugia fra le sue braccia) Certo, si capisce... Cara Emilia...

Emilia                            - Padre mio... (Piange in silenzio).

Eufemiano                    - Conosco troppo bene la nobiltà dei tuoi sentimenti, la tua saggezza, per essere certo che ciò che farai sarà ben fatto. Non piangere, figlia mia.

Emilia                            - Temo di procurarti un grande dolore, e di esserti ingrata.

Eufemiano                    - So che in ogni caso tu non di­menticherai Alessio.

(Emilia aiuta Eufemiano a scendere le scale, e lo accompagna fino alla porta).

Eufemiano                    - E adesso vai, preparati alla festa. Io sarò di ritorno in tempo. (A Emilia) Che il Signore ti benedica. (Esce sulla strada. Emilia rientra nel vestibolo).

Sofia                             - Spicciati, Emilia, vai a cambiarti d'abito.

Emilia                            - Dove sono i fiori?

Sofia                             - (indica un muretto del vestibolo) Li ho fatti mettere lì. Guarda quanto stanno bene. Ma adesso non perdere dell'altro tempo, ti prego.

Emilia                            - (si avvicina alla pianta che le è sta re­galata) Pochi minuti soltanto, mamma. Vorrei rimanere sola. Ti dispiace?

Sofia                             - Purché tu sia felice, figlia mia. Ti pre­cedo. Troverai pronte le vesti più belle, per il più bel giorno della tua vita. (Emilia aspira il profumo dei fiori. È assolta. I servi hanno terminato il lavoro ed escono alla spicciolata. Nel sottoscala il povero legge il suo librone, ma ogni tanto solleva lo sguardo verso Emilia. Si direbbe che ora Emilia ha preso una decisione. Lascia i fiori e si dirige verso il sotto­scala. Ma tutta la sua energia crolla).

Emilia                            - In nome di Alessio, ti prego, aiutami.

Il Povero                       - (ha lasciato il librone ed esce dal sot­toscala) Ti senti male...

Emilia                            - Il peggiore dei mali. Sono frivola, in­quieta, disorientata... (Pausa). È questione di momenti, ormai. Quei tre saranno qui, fra poco, ed io dovrò dare una risposta... dovrò prendere una decisione... dovrò scegliere.

Il Povero                       - Tua madre, ti ha costretta...

Emilia                            - No, non è lei che temo. Sento, so che mi mancherà la forza di dire: «no ». (Pausa).

Il Povero                       - Ami il nobile Numa.

Emilia                            - Non fissarmi così. Quando lo vedo, quando mi parla, quando penso a lui... è come se si sciogliesse dentro di me un canto... Non voglio più vederlo. Il tesoro che ho conservato intatto in me, mi è più caro di qualsiasi altra cosa al mondo.

Il Povero                       - Penso che tu non abbia mai pro­vato per Alessio ciò che ora provi per Numa.

Emilia                            - Credi che vent'anni d'amore, sia pure di un amore inutile, non contino nulla per una donna? Guarirò da una passione di alcune settimane, assai più facilmente che da una fe­deltà durata vent'anni. (Pausa) Sei con me, o contro di me?

Il Povero                       - Volevo risparmiarti l'amarezza di una solitudine senza rimedio.

Emilia                            - Non sarò mai sola, nel ricordo di mio marito.

Il Povero                       - Allora, rinunci al mondo.

Emilia                            - Einuncio al mondo, piuttosto che rinunciare a « chi » è assente. (Lunga pausa).

Il Povero                       - Conta su di me. Non rivedrai mai più Numa.

Emilia                            - (prende al povero le mani e gliele stringe) - Oh...

Il Povero                       - Conosco Numa: è un uomo di sentimenti nobili. Prega affinché Iddio mi ispiri. (Emilia fa per inginocchiarsi ai piedi del povero, ma il povero glielo impedisce e la invita ad allon­tanarsi. Voci confuse si avvicinano. Dapprima il povero rimane assorto, ma presto le voci lo richiamano alla realtà: si volta, si alza in piedi. Augustolo, Numa e Cleonte sono entrati. Indossano vesti sontuose. Augustolo è uomo maturo, gli altri due più giovani).

Augustolo                     - (a Numa) Non rallegrarti anzi­tempo, mio caro.

Numa                            - E chi ha detto qualcosa?

Cleonte                         - Eh, le chiacchiere...

                                      - (Il povero esce dal sottoscala e si dirige verso il portone del vestibolo).

Augustolo                     - Tanto più che di una donna non ci si può mai fidare.

Cleonte                         - Di una donna non si riesce mai a capire che cosa pensi.

(Il povero va incontro ai tre nobili signori, i quali, con passo sicuro, si erano diretti alla scalinata, e taglia loro la strada).

Il Povero                       - Il Signore sia con voi.

Cleonte                         - Toh, il povero. Che cosa fai qui?

Augustolo                     - Lasciaci passare.

Numa                            - Calma, amici. Non guastiamoci il sangue in questo giorno di festa. (Al povero, in tono umano) Vuoi dirci qualcosa?

Il Povero                       - Sono incaricato di recare a tutt'e tre il saluto di Emilia.

Cleonte                         - (caricaturale) Oh, grazie!

Augustolo                     - Emilia sceglie bene i suoi amba­sciatori.

(Cleonte e Augustolo ridono).

Il Povero                       - In ogni caso, Emilia si è degnata di scegliere me.

Cleonte                         - (cerca di passare oltre) Ma costui è un pazzo!

Augustolo                     - Ma sì, andiamo...

Il Povero                       - (li trattiene con fermezza) Nobile Numa, a nome di Emilia, ti supplico di ascol­tarmi.

Numa                            - Ascoltiamolo. A nome della mia pro­messa sposa, ha detto.

Cleonte e Augustolo     - Della « nostra » pro­messa sposa.

Augustolo                     - Emilia non ha ancora scelto.

Il Povero                       - Emilia non sceglierà mai.

Numa                            - Che cosa vuoi dire?

Il Povero                       - Sono parole sue.

Augustolo                     - Smettila di dire sciocchezze.

Cleonte                         - Ma che vuoi farci credere?

Il Povero                       - Augustolo, tu sei un uomo d'af­fari onesto e leale.

Augustolo                     - Bontà tua.

Il Povero                       - Ma che cosa penseresti di un uomo che acquista un oggetto caro e prezioso e non sia in grado di pagarlo?

Augustolo                     - Si può sapere perché mi fai questa domanda?

Il Povero                       - E tu, Cleonte, sei uomo d'onore. Tutta Roma conosce il valore della tua parola.

Cleonte                         - Oseresti forse dubitarne?

Il Povero                       - Ma accetteresti tu, in guerra, il trofeo conquistato da un altro?

Cleonte                         - Questo è un insulto.

Il Povero                       - (solenne) Ebbene, Emilia vi chiede di rinunciare a lei. (Movimento).

Augustolo                     - Ma che storia è questa!

Cleonte                         - Se ho ben capito, il nostro amico Numa è fuori questione.

Atjgustolo                     - (tende la mano a Numa) Ma allora è tutto chiaro. Emilia ha scelto Numa. Pazienza. Senza rancore.

Cleonte                         - (fa per salire la scalinata. Il povero lo ferma) Io vedrò Emilia a qualunque costo. Voglio farmelo dire da lei.

Il Povero                       - (con fermezza) La sposa di Alessio non desidera rivedere nessuno dei tre.

Cleonte                         - Numa, hai udito: anche tu fuori gioco. Se questa può essere una consolazione...

Numa                            - Forse, io temo di avere intuito la ve­rità: Emilia è morta.

Il Povero                       - È morta per voi tre. Dopo venti anni di attesa Emilia ha cercato di sostituire suo marito nella casa e nel cuore... Poi si è resa conto che quel posto era ancora e sempre occupato.

Numa                            - (sconvolto) Hai ragione, amico. Ti rin­grazio. Che cosa posso fare per Emilia?

Il Povero                       - Andartene senza rivederla. (Pausa).

Numa                            - Vorrei chiederti di impartirmi la tua benedizione.

Il Povero                       - Benedirti, io...

Numa                            - Sei un sant'uomo. (Abbraccia il povero, indi esce, seguito dagli altri due che non hanno saputo pie cosa dire. Il povero è rimasto immobile, ai piedi della scalinata, sul cui pianerottolo ora appare Emilia, indossa di nuovo le vesti e il velo neri: ma è sempre bella, e il suo volto è illuminato da un dolce sorriso. Emilia discende lentamente le scale e il povero la attende senza muoversi. Sul portone è apparso Eufemiano, di ritorno. Sorpreso, si arresta e segue con lo sguardo la figlia. Emilia si ferma ai piedi della scalinata).

Eufemiano                    - (le muove incontro, la abbraccia) Piglia mia... (Si volge verso il povero e va ad ab­bracciare anche lui) Mio figlio in persona non avrebbe saputo rendermi una grazia così grande. (Sale la scalinata e scompare. Emilia va verso il povero, gli si inginocchia ai piedi e gli bacia la mano destra. Il povero, pur schermendosi, questa volta non è riuscito a trattenerla).

Il Povero                       - (si china a risollevare in piedi Emilia) Soffri molto?

Emilia                            - Bisogna soffrire, ma penso alla feli­cità di un altro.

Terzo episodio

(Sono trascorsi altri quindici anni. L'ambiente è grigio, disadorno. Nel sottoscala il povero è ingi­nocchiato in preghiera. Il portone verso la strada è sbarrato. Di lontano, grida confuse; poi si distin­guono alcune voci).

 Voci                             - (di fuori) Cercate l'uomo di Dio-Cercate l'uomo di Dio...!

Palmira                          - (di fuori, ma vicinissima) È chiuso, il portone?

Il Portinaio                    - (sopraggiunge) Stai tranquilla. (Tende l’orecchio alle voci di fuori, preoccupalo. Ogni tanto le voci, confuse a tumulto, riaffiorano).

Il Portinaio                    - (si dirige verso il sottoscala e parla al povero) Tu, che sai sempre tutto, arrive­ranno fino a Boma i barbari?

Il Povero                       - (tralascia di pregare, si alza in piedi a fatica, esce dal sottoscala, ma non se ne allon­tana: rimane appoggiato allo stipite della porta. Il tempo ha contribuito a farne un vero asceta) Se i barbari raggiungono Poma, vuol dire che E orna non ha saputo difendersi. Tutti noi ne siamo responsabili.

Il Portinaio                    - Ma lo sai che sono a Marsiglia! Domani potrebbero essere a Genova. Non hai paura?

Il Povero                       - Iddio ci ha dato quattro modi per difenderci, e fors'anche cinque. E noi non ab­biamo saputo trarne profitto. La ragione, anzi­tutto; poi la forza, e ancora la virtù; infine la preghiera; e soprattutto - lo metto in fondo perché è il modo più difficile - l'amore. (È esausto. Sulla parola « amore » vacilla e crolla lungo lo stipite: rimane così, accovacciato, a mani giunte e con il capo chino. Potrebbe essere morto. Il portinaio sta per soccorrerlo, quando si odono forti colpi al portone, ripetuti. Lontano, sordo vocio. Sopraggiungono Palmira e i servi Grisologo e Giunipero. Il portinaio accorre con l’intenzione dì aprire. Altri colpi, drammatici).

Palmira                          - (lo trattiene) Non aprirai, spero.

Il Portinaio                    - (grida) Chi bussa!

Ippolito                         - (di là dal portone) Ippolito! Apri! (Il portinaio, dopo aver scambiato un'occhiata con gli astanti, va ad aprire. Entra Ippolito, trafelato. Il portinaio rimette in fretta la sbarra).

Palmira                          - I barbari!

Ippolito                         - Non ancora. Ha parlato il Papa. (Emilia è uscita sul pianerottolo in cima alla sca­linata).

Palmira                          - I vespri sono cominciati?

Ippolito                         - Poco fa. Al termine della funzione solenne il Papa pronuncerà, dalla Cattedra di San Pietro, il nome dell'uomo di Dio.

Palmira                          - (rientra un istante ed esce con un velo nero in capo) È l'uomo che salverà Roma. Io vado ai vespri. Non ho più nessuna paura.

Crisologo                      - Andiamo anche noi.

Portinaio                       - Tutte storie. Io non mi muovo.

Giunipero                      - Chissà com'è quest'«Uomo di Dio?”

Ippolito                         - Ho conosciuto in Egitto un uomo che viveva su una colonna da venticinque anni. Gli conducevano invasati, indemoniati... (Il portinaio apre il portone ed escono furtivi Palmira, Ippolito, Crisologo e Giunipero. Il porti­naio ha richiuso il portone. Nel voltarsi, scorge Emilia che discende la scalinata e si inchina. Emilia si dirige verso il sottoscala e il porti­naio la segue).

Emilia                            - (vede il povero accasciato a terra e, allar­mata, accorre a sollevargli il viso) Che hai? Non ti senti bene?

Il Povero                       - (riapre gli occhi e sospira profonda­mente) Per quanta gente Iddio esiste soltanto nel momento del pericolo.

Emilia                            - Ti sei stancato troppo. (Al portinaio) Per favore, stendi qui fuori il pagliericcio: un po' d'aria gli farà bene. (Il portinaio prende dal sottoscala il pagliericcio e lo stende sul pavimento del vestibolo. Indi, aiutato da Emilia, vi corica il povero, e si allontana).

Il Povero                         - Non stai più ai patti, Emilia: ti occupi troppo di me. L'amicizia di cui tu mi onori e che io ti corrispondo, non deve far torto né a Dio né a « chi » è assente.

Emilia                            - Sei troppo severo...

Il Povero                       - Affidiamoci a Dio. Per me il tempo è venuto di abbandonarmici integralmente.

Emilia                            - Non è possibile.

Il Povero                       - Non debbo nasconderti nulla amica mia... Consentimi di chiamarti così.

Emilia                            - (affranta) Quando mi abbandonerai?

Il Povero                       - Oggi.

(Emilia si abbandona ad un pianto silenzioso, con il volto sul cuore del povero).

Il Povero                       - Soltanto mi addolora che in questo momento non ti sia vicina tua madre.

Emilia                            - Se non fossi stata ingiusta con lei, il giorno della mia rinuncia definitiva al mondo forse non avrebbe lasciato questa casa. Era fuori di sé, e dopo non ho fatto nulla per riavvicinarla.

(Pausa).

Il Povero                       - Rimpiangi che Alessio non sia più tornato?

Emilia                            - Forse... Una volta forse lo rimpiangevo.

Il Povero                       - E non rimpiangi che nessuno abbia preso il suo posto?

Emilia                            - No, oggi non c'è più ombra di rim­pianti in me.

(Emilia e il povero si scambiano uno sguardo profondo).

Emilia                            - Piuttosto... piuttosto di te non sono mai riuscita ad afferrare un qualcosa... Non so... Pensi di continuare a tacere, oltre la morte?

Il Povero                       - (estrae dalle proprie vesti una pergamena arrotolata e la mostra ad Emilia, ma non gliela porge: la stringe fra le mani incrociate sul petto) Questa pergamena, dopo che sarò morto, parlerà per me.

(Di lontano, sordo tumulto da cui affiorano ancora le grida di prima).

Voci                              - (di fuori) L'Uomo di Dio... L'Uomo di Dio...

Emilia                            - E tu non hai rimpianti?

Il Povero                       - Rimpiango la mia vita spirituale mancata. Te lo voglio confessare: avevo pensato di diventare santo.

Emilia                            - Chi è santo, se non tu?

Il Povero                       - Vuoi burlarti di me, Emilia. È qualcosa di così bello che io non riesco ad im­maginarmelo. Essere l'uomo di Dio, avere spez­zato tutti i vincoli umani e non essere nient'altro che Dio... nient'altro che Dio... (È il tramonto. Lunga pausa. Il vocio confuso, a tratti si avvicina. Emilia, inquieta, si alza in piedi, solleva il viso verso le mura che circondano il vestibolo).

Il Povero                       - (si solleva a fatica sul pagliericcio)

                                      - Emilia... (E subito ricade. Emilia si china di­ sperata sul povero).

Il Povero                       - Se lui tornasse, e tu potessi rive­derlo un istante, riabbracciarlo, piangere insieme con lui, chiamarlo per nome...

Emilia                            - (in un soffio) Alessio...

Il Povero                       - Di', vorresti...

Emilia                            - Dipende soltanto da lui.

Il Povero                       - (con uno sforzo enorme) No. La troppa gioia fa male. Meglio ritrovarsi in Dio, vero?

Emilia                            - (pie convinta) Alessio!

Il Povero                       - E allora, prega per un povero senza nome, che ti lascia pronunciando il tuo, Emilia, come se egli avesse il diritto di amarti... Sia fatta la volontà di Dio... (Muore).

Emilia                            - (con un grido disperato cade su di lui)

                                      - Alessio! Alessio! (Accorre il portinaio).

Eufemiano                    - (esce sul pianerottolo) Emilia! (Discende le scale, si avvicina al povero, si ingi­nocchia e si fa il segno della croce. Anche il porti­naio, più discosto, piega un ginocchio e si segna. Il vocio ora è decisamente vicino).

Eufemiano                    - Pregherà per noi, in cielo.

(Si odono forti colpi al portone. Il portinaio corre ad aprire. Entra Sofia sorretta dal nobile Numa. I due procedono nel vestibolo e si fermano scon­volti davanti al cadavere del povero, sul quale Emilia è ancora china).

Sofia                             - Povera figlia mia! (Emilia alla voce della madre leva il capo, si alza in piedi, corre a rifugiarsi tra le sue braccia).

Sofia                             - Il nobile Numa ha voluto ricondurrai da te.

 Numa                           - (si inchina profondamente) Volevo ren­dere omaggio all'uomo di Dio eletto dal Papa alla presenza dell'imperatore. Non dimenticherò mai ciò che quest'uomo ha fatto per me. L'im­peratore sta venendo qui, per onorarlo. (Davanti al portone rimasto aperto si è assembrato un folto gruppo di popolani).

Popolani                        - L'imperatore!

Eccolo!

Benedetto l'uomo di Dio!

Arriva l'imperatore!

Fate largo!

(Alla spicciolata sono rientrati Palmira e i servi uno ad uno si sono accostati ed inginocchiati. Sopraggiunge Vimperatore: indossa un mantello dorato ed ha sul capo una corona. Lo accompagna un seguito di dignitari e di valletti. Eufemiano gli muove incontro. Inchini).

L'Imperatore                 - Senatore Eufemiano, qual è il sant'uomo che si nasconde nella tua casa?

Eufemiano                    - Eccolo, sire. (L'imperatore si fa avanti) È costui di certo. Ma da pochi minuti la sua anima è già con Dio.

L'Imperatore                 - (costernato) L'uomo di Dio è morto!

Popolani                        - L'uomo di Dio è morto!

Roma è perduta!

Sventura su Roma!

L'uomo di Dio è morto!

L'Imperatore                 - (si inginocchia ai piedi del po­vero. Tutti si mettono in ginocchio) Signore Iddio, fa' che per intercessione di questo san­t'uomo le nostre anime siano salve e l'Impero sia risparmiato dalla sconfitta e dalla rovina. (Tutti gli altri recitano la preghiera, ripetendo).

Emilia                            - (si leva in piedi, si accosta al povero ne toglie dalle mani la pergamena e la porge all’im­peratore) Sire, questo è il testamento dell'uomo di Dio.

L'Imperatore                 - (svolge la pergamena e legge) « Io, Alessio...

(Eufemiano vacilla e tende le mani verso Emilia).

Voci                              - Alessio!

Era Alessio!

Era proprio lui!

L'Imperatore                 - « Io, Alessio, figlio unico del senatore Eufemiano e di Aglaia... ».

Eufemiano                    - (si china sulla spoglia del povero, sorretto da Emilia) Figlio mio! Che cosa me ne faccio di un figlio morto!

Voci                              - Era Alessio, l'uomo di Dio!

                                      - Il povero!

Palmira                          - Abbiamo deriso il figlio del nostro signore.

L'Imperatore                 - (prosegue nella lettura della pergamena) «... da più di trent'anni nascosto sotto le vesti di un povero, a imitazione di Nostro Signore Gesù Cristo, avanti di morire chiedo perdono a quanti hanno sofferto per me, e chiedo preghiere affinché Dio mi perdoni in cielo. Mi accuso pubblicamente di enorme orgoglio, per avere preso in moglie e deliberatamente legata alla mia sorte una donna della quale non ero degno. E ringrazio Iddio che la sera stessa delle nozze mi intimò che dovevo abbandonarla. Chiedo perdono a mio padre e a mia madre di tutte le lacrime che hanno versato e che mi sono rifiutato di detergere. Chiedo perdono alla mia sposa Emilia di non averle saputo dare la felicità se non al prezzo del mio esilio e della sua pena. Chiedo perdono a Dio, il quale mi aveva colmato di grazie e s'attendeva da me assai più di quanto io non abbia saputo dargli. Ma è l'orgoglio, che mi spinge a giudicare me stesso. Nelle ultime ore di vita che mi rimangono, cercherò di pregare meglio di quanto non abbia fatto sino ad oggi. Possa la mia preghiera essere utile a Roma, ai miei cari, ai miei amici, a tutta la Cristianità. E tutti vogliano pregare per me. Mi giudichi Iddio. Amen».

Tutti                              - Amen.

(Pausa, lontano campane a gloria).

L'Imperatore                 - Per voce del Sommo Ponte­fice, in effetti, Iddio ha giudicato. Gli onori che renderemo a questo santo povero, distoglieranno i barbari da Roma.

Eufemiano                    - (indica ai servi la sommità della sca­linata) Deponete sul letto nuziale la spoglia del mio figliolo.

(I servi e il portinaio trasportano a spalla il corpo del povero e facendosi largo tra la folla, salgono la scalinata. Li precede Eufemiano, li segue Emilia).

L'Imperatore                 - Non ci sono né grandi vit­torie né prosperità che non siano state conqui­state in segreto dalla virtù di umili creature, al prezzo di sacrifici che non sempre noi siamo in grado di capire.

(Ora il corteo funebre ha raggiunto la sommità della scalinata, e si ferma un istante).

L'Imperatore                 - Al cospetto di un santo, l'Im­peratore si umilia. (Si inginocchia. Tutti lo imi­tano. Pausa. Pie distinte, le campane a gloria).

Eufemiano                    - (rivolto verso la porta aperta alla sommità della scalinata) Aglaia, ti reco due nuove: il povero del sottoscala è morto e nostro figlio è tornato. (Entra in casa e il corteo funebre lo segue).

FINE