L’uomo d’insuccesso

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L’UOMO D’INSUCCESSO

                                                    L’UOMO  D’INSUCCESSO

                                                         (Sinfonia Fantastica)

                                                         Dramma  in  due  Atti

                                                                        di

                                                            Antonio  Sapienza

Gennaio 2005

Personaggi:

Alcide, l’uomo d’insuccesso;

Uno, il suo Destino;

Due, la sua Coscienza;

Gina, sua moglie;                    

Due ballerini.

                                                       Primo  Atto

Sul palcoscenico, poste leggermente a destra, ci saranno due poltroncine, una poltrona, un tavolino-scrittoio con sopra carte sparse e qualche libro, una sedia e una lampada a piantana.

Sulla parte sinistra di detta scena, quasi ad angolo, quindi ben visibile, ci sarà una portafinestra, con pesanti tendaggi, che darà verso un giardino interno. A destra ci sarà una porta comune. Al centro della scena ci sarà appeso un grande quadro, in stile astratto, che rappresenterà un vortice di colori che si porterà verso il centro, dove, in rosso, rappresenterà un volto umano, forse sofferente, forse anelante. (per eventuali riferimenti, si consiglia di visionare l’opera pittorica “Berlioz, sinfonia Fantastica” dello scrivente, disponibile su Internet). La portafinestra sarà coperta da spessi tendaggi, dai quali filtrerà una luce irreale, ma lieve, riposante.   

L’illuminazione, insieme alla colonna sonora- preferibilmente la “Fantastica” di Berlioz che si suggerisce di riascoltare -  saranno di fondamentale importanza per la rappresentazione e la comprensione di tutta l’opera. In particolare le luci saranno rosse per le scene forti, drammatiche; verdi per quelle irreali; gialle per le parti vivaci, di vita; blue per le scene oniriche; la lampada di wood per l’irrazionale; la strobosferica per le scene che comportano il mutare di luogo o di tempo, e il cannone o “occhio di bue”. Esse debbono sempre cambiare seguendo non solo le varie fasi dell’opera, ma anche scandendo i tempi di certi dialoghi. Naturalmente saranno fondamentali nelle scene del balletto. Comunque, in ultima analisi,  ci si affida alla creatività e al talento del regista.

All’inizio dello spettacolo, la scena sarà buia, silenziosa. Poco dopo si udrà la sinfonia e le luci incominceranno a riprendere, come se filtrassero dai tendaggi. Quindi, da destra entrerà Alcide, un uomo molto maturo, alto, dinoccolato, coi capelli grigi, la barba pepe e sale a pizzetto. Indosserà una veste da camera color vinaccia su pantaloni grigio chiari e calzerà ai piedi pantofole felpate. Egli attraverserà la scena e andrà a scostare le tende della portafinestra e guarderà fuori.

Arc.- Eccola là! È arrivata. E’ arrivata la primavera. Finalmente è arrivata con questa magnifica tiepida giornata di sole - come da copione: peccato che sia già fine maggio. Eh, bella mia, ti sei fatta aspettare quest’anno- anche troppo: perturbazioni africane, depressioni sul Golfo del Leone, correnti balcaniche – ci mancava solo “el nino” per completare l’opera - che hanno fatto di te la succursale del tardo inverno marzolino.

Ora sei arrivata (breve pausa e dirigendosi verso il centro della scena, quindi alla poltrona), ma che sei arrivata a fare? I mesi  migliori, i giorni d’incanto, le ore magiche che solo tu sai creare, sono state ormai bruciate dal gelo, dalla pioggia abbondante e dallo scirocco. Di te adesso rimane solamente l’appendice di una stagione ricordata e mai avuta. (si diede stancamente).

Entra Gina, la moglie.

Gina- (donna di mezza età, magra, piccolina, ma energica ) Caro, la vuoi la camomilla?-

Alc.- No, grazie.-

Gina.- Che fai, ti sdrai? (cenno affermativo di Alcide) E allora copriti bene, non prendere freddo, non essere imprudente, non fare al solito tuo (Alcide afferma col capo di si, stancamente). Tu saresti capace di raffreddarti proprio alla fine della brutta stagione. Sarebbe il colmo! ( gli sistema un plaid sulle gambe). Allora buon riposo, caro, io vado a fare la canasta. Ci vediamo dopo. Ciao. (fa il gesto di dargli un bacio ed esce a passi piccoli e veloci).

Alc.- (stancamente, ma sollevato dall’uscita della moglie) Ciao, ciao... e copriamoci (imitando la moglie) non si sa mai… un raffreddore a fine stagione… un disastro universale ( si aggiusta meglio il plaid). Ecco fatto! ( come riprendendo un filo di pensiero interrotto)… la fine della stagione, già.( breve pausa) La fine della stagione… e la fine della mia…( resta con la parola in sospeso, forse voleva dire: vita! ma poi riprende più deciso): ma che parallelismo impressionate tra questa fallita stagione e la mia vita: ambedue bruciate da perturbazioni e da scirocco; e ambedue che tentano, timidamente, quasi vergognandosi, di salvare la stagione con ultimi sprazzi di vitalità.

Troppo tardi mie care

i germogli sono stati bruciati dal gelo,

e lo scirocco umido e afoso

ha appiccicato il male nero

sulle palpitanti e verdissime foglioline,

intisichendoli.

Troppo tardi, amiche mie,

sulla mia testa ormai vi sono troppi capelli bianchi

e una marea di delusioni.

Troppo tardi.

Adesso sono stanco.

Troppo tardi! ( si appoggia alla spalliera, a occhi chiusi).

Sapete? Io non vi serbo rancore. E perché mai? Avete fatto ciò che dovevate fare: i tempi, i luoghi, le circostanze li sceglie il Caso…(iniziano effetti luminosi che mettono in risalto la pittura, musica adatta. Approfittando di un attimo di buio, Alcide si toglie la veste da camera, rimanendo in maniche di camicia color bianco di una misura più grande della sua, dal colletto alto. Nel  frattempo, si saranno materializzate due figure: una nera, alta, maestosa, che si sarà posta dietro una delle poltrone: è Uno; l’altra figura, tracagnotta, rossa, dietro l’altra poltrona, è Due.).      

Uno – Ne sei sicuro?-

Alc.- ( sbalordito, confuso, gesticolando, barcolla ) Cosa? Ma…ma chi siete? Come siete entrati? Cosa volete?-

Due – Eh, quante domande. E tutte domande non adatte a te! Hai tanti anni e ti meravigli di vederci?-

Alc.- Se sognassi si, ma non dormo, non sogno, sono sveglio, sveglissimo…-

Uno – Tu dici…-

 Alc.- Dico, e vi domando anche: cosa volete, qui, a casa mia! (si alza e si pone dietro lo scrittoio, come per proteggersi)- 

Uno – Che caratterino…-

Due- Calmati, suvvia, fai uno sforzo…-

Uno – (Mostrandosi) Allora, che ne dici?-

Alc.- (frugando in un cassetto) Dov’è la pistola, dannazione!-

Due – Non fare la scena, tu non possiedi un’arma.-

Alc.- E lei come lo sa? Comunque, uscite o chiamo la polizia!-

Uno.- Non t’agitare, per favore…-

Due.- Siediti, tranquillo, su…-

Alc.-  Non … Non siete esseri vi…viventi? Vero? - Siete fantasmi?-

Due – (indignata) Puerile! Ma fai uno altro piccolo sforzo. Mi riconosci?-

Alc.- La dovrei conoscere? Veramente… io…-

Due -  Sono la tua Coscienza!-

Uno- (mostrandosi a sua volta) Ed io il tuo Destino.-

Alc.- (perplesso e pizzicandosi) Voi siete… voi sareste…forse voi…-

Uno- Siamo, siamo… (come dire: ovvio) e abbiamo sentito che parlavi della scelta, del Caso. -

Due- Ci fai sedere?-

Alc.- Acco…accomodatevi ( sbalordito e basito, mentre i due si siedono).

Uno-  …Allora - del Caso, cosa dicevi? –

Alc.- ( visibilmente tremante) Io non saprei… aspettate, fatemi capire, come siete entrati?-

Uno – Non abbiamo bisogno d’entrare, noi ci siamo sempre.-

Alc.- Sempre? Sempre nel senso che siete sempre in questa casa?-

Uno – Banale! Nel senso che stiamo sempre con te, mio caro Alcide.-

Alc.- Sapete il mio nome? Allora è tutto vero… ma cosa significa ciò? -

Due – Significa che sappiamo tutto di te.-

Alc.- Tutto?-

Due – Tutto: io il passato e il presente, lui il futuro.-

Alc.- Forse incomincio a capire: sto impazzendo. (si va a sedere).

Uno – Non essere drammatico, per favore. Allora, dicevamo - il Caso, cosa intendevi dire?-

Alc.- Nulla e tutto. (confusamente) Il Caso è il caso, insomma…io…forse. Ma no! Ma che faccio, parlo con loro? Ma che assurdità! Parlo alla mia fantasia? Basta, sono veramente ammattito!-

Uno - Calmati, calmati. Rilassati.-

Alc.- Sono calmo, sono rilassato e sono anche morto per lo spavento.-

Due – Non sembrerebbe. Allora ti abbiamo fatto una domanda – credo…-

Alc.- No...macchè, ah, il Caso? Ma siete fissati! No, niente, volevo dire niente.-

Due -  Bene, allora parlaci di te.-

Alc.- Di me? A voi? E che c’entra?-

Uno – Tanto per iniziare a discorrere, per rompere il ghiaccio.-

Alc.- Ma quale ghiaccio? E io dovrei parlare di me con dei… sconosciuti (largo cenno col braccio quasi dispregiativo) che si presentano non invitati a casa mia – per poco non mi fanno venire una sincope -  mi chiamano per nome e mi dicono: Bene parlaci delle tue cose private, dicci di te! Ma questa è veramente pura follia. Questo è un incubo, ne sono sicuro! (si alza e va verso la finestra e sta per aprire il tendaggio, ma Uno lo blocca con un gesto perentorio)

Uno - Dove vai! Siediti, calmati, non siamo qui per farti del male o per giudicarti, siamo qui per ascoltare. Dunque puoi dire qualsiasi cosa. Ci puoi parlare anche di te, ma se proprio non vuoi, possiamo anche andare, che ne dici?-

Alc.- (sedendosi sconcertato, ma cercando di darsi un contegno disinvolto, poi guardandosi attorno come per cercare una via d’uscita, infine rassegnato) No, ormai che si siete restate, sono curioso, tanto lo spavento l’ho già preso. Bene, se proprio debbo parlare con voi, vi parlerò del mare.-

Due.- Del mare? –

Alc.- Del mare, e basta!-

Uno – Veramente ci aspettavamo di sentire la solita tiritera sulla tua vita sbagliata, sulla sfortuna, le opportunità abortite, gli appuntamenti mancati, le occasioni fallite, i tradimenti. Ma tu ci vuoi parlare del mare, perché?-

Alc.- Perché? (cercando di guadagnare tempo e dignità) Perché il mare mi sta a cuore, ecco perché!-

Due.- E a noi no (perentoria)! Parlaci di te, se non ti dispiace tanto (conciliante)… per favore.-

Alc.- Di me, del mare, è la stessa cosa, sapete (rinfrancandosi).-

Uno – Sappiamo, non sappiamo. Siamo qui per sentire te; se vuoi, la tua storia, e non il tuo mare.-

Alc.- Ah, la mia Storia? Vi interessa proprio? Ebbene la mia vita non ha storia, è solo cronaca…-

Due- Lascia giudicare noi. Dunque?-

Uno – (vedendo Alcide turbato dal tono di Due) Su, coraggio…naturalmente se vuoi…solo una chiacchierata…tra amici. Dunque?-

Alc.- (rassegnato e rasserenato) Così va meglio, infine si tratta solo di fare quattro chiacchiere - ci sto. Facciamo come dite voi. Parlerò anche di me.-

Uno – Vai a ruota libera.-

Alc.- Bene, ma ricordatevi però,  m’avete quasi obbligato… certo se ne potevo fare a meno…allora (riflette portandosi le mani giunte quasi sulla bocca):  

Nacqui inesorabilmente,

e mi portai appresso rimpianti paterni

e speranze materne.

Il Caso mi dette un nome

e una dignitosa povertà – si fa per dire. (b.p.)

Io e il Caso dormivamo insieme.

Poi tutto finì.-

Due – Aspetta, aspetta, che fretta.-

Uno – Perché esiti ancora? Perché non vuoi parlare seriamente?-

Due -  Forse ti vergogni d’essere un uomo d’insuccesso?-

Alc.- Uomo d’insuccesso? (risatina) Bella definizione (beffardo), non c’è male. La vergogna? Forse si e forse no. Ma, infine, non mi starete per caso confessando – spero.-

Uno – Ma che dici? No, niente confessioni, ci mancherebbe. Solo: parla e …svapora.-

Alc.- Ora et labora,

lavorare e tacere.

Taci, il nemico t’ascolta!

Ecco: vi parlerò della guerra. (con enfasi)

La guerra è una grande cazzata!

Punto e fine!-

Due – (quasi malinconicamente) Non così semplice, spiegati meglio, facci capire.-

Alc.- Farvi capire? Dovrei capire prima io. (b.p.) Sapete, fino a qualche anno fa, per me la guerra era necessaria, estremamente necessaria. Poi capii che non era proprio necessaria, finché non si presentò la necessità di renderla di nuovo necessaria. Ma non ci credo… o forse si. Spesso penso: perché la natura ha creato prede e predatori?-

Uno – (ammonendolo) Non filosofare. Ci stavi parlando della necessità della guerra. Ebbene se essa s’intreccia con la tua vita, allora continua, altrimenti risparmiaci questi luoghi comuni.-

Alc- Va bene. Però vi dico che pace è necessaria. La pace fra gli uomini e con la natura. La vita è un intreccio con orrendi incroci: vedi Hiroshima! (breve pausa) L’uomo è pazzo di se stesso ed è savio di un altro. Siete d’accordo?-

Due – Non tergiversare, devi parlarci di te, della tua vita, non delle tue opinioni. Quelle te le puoi tenere per te.-

Uno – Forse comprendo la tua ritrosia e cerchi di prendere tempo per capire. Ma ti assicuriamo che quello che ci dirai resterà riservatissimo.-

Alc.- Non uscirà da questa stanza?-

Due – Se è per questo, nemmeno da te stesso.-

Uno . Allora?-

Arc.- ( dopo una pausa di riflessione, poi annuendo con la testa) Io un giorno nacqui e l’indomani mi trovai qui a parlare con voi, e proprio di me! Allora vi chiedo: nelle ascisse dell’Eternità e nelle ordinate dell’Infinito, mi dite che posto occupo io? Sapreste dirmelo? Se si, continuiamo il discorso, se è no, che ne parliamo a fare?-

Uno – (battendosi il ginocchio) Questa è bella. Tu vorresti conoscere il tuo destino. Se chiedi questo, possiamo dirti solamente: lascia perdere…

Alc.- Ecco, tutti uguali questi  signori “Sotuttoio” , quando non avete una precisa risposta ve ne uscite con un laconico: lascia perdere!

Uno – Hai niente di meglio da dirci?-

Arc.- A chi? A te, mio destino? E non lo conosci già, il mio - caro destino (ironico).-

Uno – Cosa ne pensi tu del destino?-

Arc.- Nulla. Per ora. (pausa di riflessione, si alza e va verso lo scrittoio e fruga tra le carte, come a voler trovare lì quello che deve dire) Bene. E allora senti questa a proposito di destino: Un giorno di una lontanissima estate, mi trovai nei pressi del Mattatoio e chiesi di visitarlo. Fui accontentato ed entrai: Dentro c’era un lezzo da mozzare il fiato! La puzza entrava attraverso i vestiti, i pori della pelle, il sangue, le cellule. Eppoi sangue da per tutto. Ma quella visita disgustosa mi dette modo, occasionalmente, di assistere ad una scena che mi si è impressa nella memoria: vidi una mandria di vitelli che procedevano in fila indiana lungo una transenna, che li guidava, dritti dritti, nella camera della morte, dove un uomo armato di una pistola a stantuffo l’appoggiava alla loro fronte  stecchendoli all’istante. Ebbene, durante il tragitto verso la famosa camera, essi si incornavano, si ostacolavano, e, qualcuno addirittura, tentava di montare il compagno che lo precedeva. Insomma,  essi facevano quello che erano abituati a fare, fin dalla nascita, senza sapere che il proprio destino  si sarebbe compiuto tra non molto e che la loro vita sarebbe cessata, da li a poco, con una cilindrata in fronte.(b.p.) Ora a me sembra che anche noi uomini siamo come i vitelli della transenna, andiamo inesorabilmente verso la morte e non sappiamo quando essa avverrà preoccupandoci solo di stuzzicarci a vicenda. Ma, se per caso, uno di noi alza la testa e si chiede che diavolo stiamo facendo? dove andiamo? Perché andiamo? Ecco che c’è sempre qualcuno che ti dice: lascia perdere. Eh no! Lascia perdere un corno: io voglio sapere!-

Uno – E se ti dicessero che vai verso l’uomo con la pistola, tu che faresti?-

Alc.- Mi ribellerei, perbacco!-

Uno – E poi?

Alc.- Come: e poi? Poi cambierei transenna.-

Uno – Per andare verso un nuovo ignoto. Senti a me: lascia perdere...-  

Due - …l’incommensurabile e l’inconoscibile e continua il tuo racconto.-

Alc.- Non mi và. La mia vita non interessa a nessuno. Eppoi sono stufo, sissignore! –

Uno – (alzandosi e avvicinandosi ad A.) Se è per questo anche noi siamo stufi. Ma di te! Di questo puerile comportamento, di queste sconclusionate divagazioni.

Ma insomma, pensaci: quante volte hai desiderato parlare con un amico, aprire il tuo cuore, liberarti l’anima; oppure confidarti con una persona discreta, disinteressata, pronta ad ascoltarti - ma senza mai riuscirvi, per diffidenza verso i tuoi simili -  per essere confortato delle tue “sfortune”; per sfogarti, o analizzare i tuoi insuccessi? Bene, adesso puoi farlo con noi, riservatamente; e invece fai il capriccioso. Bada, noi siamo molto pazienti e ti ascolteremo volentieri,  ma cerca di non abusare però della nostra disponibilità e, soprattutto, della nostra intelligenza. Allora?-

Alc.- No, voi non c’entrate. (si avvia verso la poltrona) Diciamo che sono stufo di me stesso. Vedete ci sono alcune volte che mi guardo allo specchio e dico: ma che cavolo vuoi tu? E sapete cosa mi rispondo? “Già, se lo sapessi lo direi a te!” Allora concludo, invariabilmente, con un sonoro “vaffanculo!” Quindi pari e patta.

E così, giorno dopo giorno, arriva la primavera, quella vera,  non la fasulla. Poi aspetto l’estate, l’autunno,  e perchèno? Anche l’inverno, per poi lamentarmi che la primavera ritarda. (b.p.)

Vedete nacqui proletario,

volli diventare borghese

e non appena lo divenni,

subito me ne pentii. 

Poi, osservando e percependo,

mi avvilisco:

vedo la Bestia in tutti coloro che ce l’hanno

e la Bontà in quelli che la mimetizzano.

Quindi prima le illusioni,

dopo l’Utopia.

Ma all’Utopia mancano i Poeti e gli Artisti.

Punto e basta. (B.P.)

Definizione dell’Artista:

l’Artista è l’Uomo-Angelo. (si siede).

E oso scandalosamente affermare questa verità: Dopo Dio vengono le tre “A” : Amore, Arte, Armonia. Quindi, molto distaccato, segue l’Uomo, nella sua bivalenza di maschio e femmina. (gesticolando) Ed essi si dividono le tre “A “ in modo ineguale, ma paritetico: Mi spiego: il maschio si prende il cinquanta per cento dell’Amore, il settanta per cento dell’Arte e il trenta per cento dell’Armonia. La femmina il resto. Che ve ne pare?-

Uno – (sedendosi a sua volta) Sei molto presuntuoso, oltre che confusionario, ma forse abbiamo capito e, credo, (guarda Due che annuisce) che non siamo proprio d’accordo con te: Poichè di Poeti e Artisti, maschi e femmine, ce ne sono tanti e senza eccessiva differenza di percentuale tra i due sessi, almeno oggigiorno. Però rispettiamo la tua idea.-

 Alc.- D’accordo, tralasciamo il sesso, non vorrei apparire maschilista quando, invece, sono femminista. Ma mi sapreste dire quanti di loro sono i veri Artisti? E quanti aspiranti Artisti, o, peggio pseudoartisti? (b.p., poi si alza e va verso il quadro, indicandolo) Fatemi il piacere, girate le gallerie d’Arte e i teatri della città e ditemi, secondo voi, dov’è il pittoresco e dov’è il Sublime; dov’è il Cielo e dov’è la terra; dov’è il Supremo e dov’è l’uomo; dov’è la Fantasia e dov’è il plagio. Poi estendete la vostra indagine alla poesia, alla narrativa, e, con rammarico, anche alla musica: vedrete che delusioni!-

Due – Ma, se non mi sbaglio, proprio nella musica trovasti il vero Artista…-

Alc.- Si, è vero! Ma sono casi talmente rari che me n’ero già dimenticato. (b.p.) Si, con la musica ho provato il fremito rivelatore - peccato che non conosca nemmeno una nota musicale…-

Due – E se non vado errata, anche nella poesia…-

Alc.- Eccezionalmente, molto eccezionalmente. (si risiede).-

Uno – E nel teatro?-

Alc.- Il teatro? Lasciamo perdere, vi prego. (b.p. gesto come per scacciare una mosca) Adesso vi parlo dei fichidindia.-

Uno – Sei terribile passi dal sacro al profano con una disinvoltura che oserei definire, senza offesa, schizofrenica. Ma toglimi una curiosità: perché saresti femminista?-

Alc.- Aspettate, non femminista come corrente ideologica, ma femminista nel senso che sono per le femmine, come profondo convincimento. Senza di esse, cioè dell’Essere Gentile, come mi picco di definirle, non ci sarebbe nel mondo la bellezza, la dolcezza, l’acume, l’armonia, la protezione e, infine, la maternità. Quest’ultima mostruosamente invidiata dall’uomo.-

Due.- Di nuovo filosofia!-

Alc.- E allora vi parlerò delle zanzare.-

Due.- Pagliaccio!-

Alc.- Benissimo ci siamo, l’avete detto: prima uomo d’insuccesso, poi schizzofrenico, adesso pure pagliaccio. Ma bravi.-

Uno – Perché bravi?-

Alc.- Perché avete trovato il titolo e il sottotitolo della mia vita. I titoli degli episodi sono miei.-

Uno – E allora ci parli per titoli?-

Alc.- E’ meglio essere sintetici che prolissi, no?-

Due – Sintetici si, ma chiari.-

Uno – Mi pare giusto…-

Alc.- E’ vero, scusatemi, sono incorreggibile. Vedete sono il tipo ideale per commettere sciocchezze…e ne ho fatte tante in vita mia.-

Due.- Questo lo so.-

Alc.- Lo sai? E sai anche chi vi ha contribuito in modo determinante (guardandola significativamente)?-

Due – Sarei io?-

Alc.- Tu! Proprio tu. Ed ora, accidenti, perché sei qui, cosa cerchi da me, cosa vorresti dal sottoscritto? (sporgendosi verso di lei) Dimmi, vuoi forse dei salamallecchi? Oppure vuoi darmi ancora comandi? O vorresti di nuovo censurarmi? Eh? (Due scuote la testa delusa) Ma vattene và, ipocrita! (si appoggia allo schienale) Mi hai sempre condizionato la vita – tu. Ed io quando t’ho dato ascolto, cosa ne ho ricevuto in cambio? Solo sonori ceffoni ho ricevuto da te e dalla vita  - per me e per tutto il mio parentado.(b.p.)

La mia coscienza…(quasi dandole le spalle) ma tu sei stata la mia scemenza: prenditi gioco di qualche altro e lasciami in pace!-

Due – Ti brucia ancora, vero?-

Alc.- Cosa mi brucia! Cosa! (girandosi di scatto).-

Due – Alfina.

Alc.- Alfina? Quale Alfina?-

Due -  Di Alfina ce n’è sola una.-

Alc.- Quella?-

Due – Già, ed è proprio quella (sottolinea la parola) che ti tormenta.-

Alc.- Certo, perché, allora, tu eri assente…(beffardo) forse eri in ferie.-

Due – Ero con te e ti supplicai di fermarti, ma non volesti.-

Alc.- Non volli? Non potei!-

Parte la musica, sulla destra della scena si fa lentamente buio, mentre a sinistra con tagli di luce adeguati, oppure con l’occhio di bue, entreranno in scena i due ballerini. Lei sarà in calzamaglia e indosserà un abitino trasparente, mentre lui indosserà i jeans e una maglietta bianca attillata; ambedue avranno calzari bianchi. Rappresenteranno Alcide e Alfina, giovani.

Con movimenti coreografici, dovranno raccontare la vicenda del quasi stupro della ragazza. Essi inizieranno mimando il corteggiamento, poi lo sboccio dell’amore, dopo le prime timide carezze e i primi baci. Quindi la passione prenderà Alcide che intenderà fare sesso, ma Alfina, pur accondiscendendo ai baci e alla carezze, non vuole andare oltre. Alcide insiste, si eccita sempre più, la passione lo divora e la prende con la forza.

Il balletto terminerà con la ragazza stesa per terra e Alcide, pentito, che si dispera. Fine.

Riprendono le luci, prima soffuse poi rosse sul lato destro della scena, e precisamente su Alcide, il quale si alza e urla.

Alc.- Non fu così! Non fu proprio così! (balza in piedi, poi passeggerà nervosamente per la scena).-

Uno -  Diccelo tu, allora.-

Alc.- Credevo che volesse essere pregata, che facesse la sostenuta, ma che ci stesse, credevo di potermi azzardare… e invece.-

Due .- Lei all’ospedale e tu in galera!-

Uno – E facesti pure lo sciopero della fame e della sete.-

 Alc.- Ma non per l’arresto, no! Il carcere era giusto. No, lo feci per punirmi del gesto animalesco che avevo commesso e - per farmi perdonare da lei.-

Due – Essa non ti perdonò, ma non ti querelò, né si costituì parte civile al processo.-

Uno - E fu un bene per te. Pochi mesi di carcere e poi libero come un uccel di bosco…-

Due – Ma lei…-

Alc.- Ma lei non volle più vedermi. Disse che mi aveva voluto bene, ma che ora le ero indifferente, anzi che mi temeva, quindi che cercassi altre vie… e, nonostante le mie suppliche, mi  disse di non farmi più vedere dai suoi occhi, per lei io ero morto!-

Due – Sai che si sposò?-

Alc.- Lo seppi molto tempo dopo. Non ci crederete, ma fui contento-

Due – (dubbiosa) Contento? mah…-

Uno – Poi ti sposasti anche tu?-

Alc.- (sedendosi) Si, ma a quarant’anni suonati, e dopo aver superato la paura di ridiventare un mostro con le ragazze. Certo, sposai Gina…-

Uno – Ma Alfina era il vero amore.( Alcide resta assorto).-

Due – Dai, rispondi.-

Alc.- Certo, certo…certo. (con forza, poi b.p.)

Ella era il mio amore,

il mio bene, i miei occhi.

Con lei toccavo cime d’estasi.

La stringevo a me, e volavo.

L’accarezzavo, e toccavo il cielo,

La baciavo, ed era il paradiso.

Ah, che amore! Anima mia.

Amandola, il mio essere l’assorbiva

La sua voce mi scioglieva

il suo odore mi sublimava,

il suo calore, mi stordiva -

e vibrava la mia passione…

e fu questa che mi perse.

La volevo far mia, ma non era ancora pronta,

e commisi l’orrendo gesto!

(va a sedersi, poi agitandosi nella poltrona) Ma Dio mi è testimone, e anche tu, mia Coscienza! Se sei sincera! Non volevo farle del male. Sarei morto al solo pensiero d’esserle cagione di sofferenza, non sono un mostro. E l’ho dimostrato in cinquant’anni di vita proba.-

Due  – Beh, proprio proba…

Alc.- (fulminandola con gli occhi) Acida!-

Uno - Ci fu dell’altro?-

Alc.- Forse, insomma…-

Due – Ci fu, ci fu.-

Uno – Ce ne vuoi parlare?-

Alc.- Insomma, fu e non fu. Perché l’innamorata era lei! Io fui solo trasportato dalla sua passione.-

Uno – Ma hai detto d’averne paura.-

Alc.- Si l’avevo infatti. Erano passati quasi dieci anni dalla tragedia di Alfina. Ma il suo ricordo era sempre presente in me, e ne avevo paura. E con quella ragazza - Dina si chiamava, se non ricordo male - cercai di non farmi travolgere dalla passione e di restare sempre lucido. Non l’amavo, e quindi mi guardai bene dal ricambiarla totalmente. Ella, invece, era innamoratissima, appassionata  e bellissima – con quegli occhi verdi. E mi desiderava. Mi desiderava in qualunque ora del giorno e in qualunque luogo. E  metteva terribilmente alla prova i miei sensi… (quasi rivedendo la ragazza) con quel seno così abbondante che travasava da tutte le parti.-

Con gioco di luci entrano in scena i due ballerini che mimeranno il corteggiamento della ragazza e la ritrosia del ragazzo. Poi, pian piano ci sarò il coinvolgimento del giovane alle profferte amorose.

Poi si mimerà l’amplesso, che sarà iniziativa della ragazza la quale guiderà tutto il rapporto che dev’essere mimato in modo lieve, sobrio, poetico.

  

Alc.-  Ed io che non sono un santo, no di certo! le resistetti per alcuni giorni, forse una settimana, prima di crollare vinto dalla sua sensualità, dal suo immenso libido.(b.p.) Ma presto ripresi il mio autocontrollo e, per evitarle ulteriori delusioni, e eventuali futuri pericoli, la lasciai – fuggii via, di notte, come un ladro. (b.p.).

E così, per paura, persi la grande occasione di riscattare l’amore. L’occasione di ricambiare un amore travolgente e passionale che non mi accadde mai più d’incontrare nel corso della mia vita: Amare una donna in amore. E a chi può capitare un evento così eccezionale, così magnifico? Solo agli dei…o agli uomini fortunati.

Vedete come si spreca un’esistenza? Stai lì a lavorare, a dannarti, a distruggerti per migliorare la tua vita, e quando, finalmente, ti accorgi che senza il Grande Amore, essa non ha più senso, è troppo tardi. Hai già bruciato le tappe, le occasioni sono scomparse, le passioni appassite – sei inaridito!  (b.p.) E allora cosa ci resta alla fine? Solo rimpianti...o una pistola alla tempia e - Amen!-

Uno – Ma una vita ben vissuta e degna di un uomo, anche senza il Grande Amore.-

Alc.- E’ vero, non lo nego. Ed una vita trascorsa onestamente, è ben vissuta, sicuramente.-

Due – Beh, proprio proprio onesta…-

Uno - …già…-

Alc.- … e che mi vorreste un santo? Ma via… insomma siamo soltanto dei miserabili uomini.-

Uno- E’ vero.-

Due – Ma qualche sciocchezza in più, in te, c’è stata, no?-

Alc.- Non lo nego. E nemmeno mi offendo se lo sostenete. La vita è terribile, è sofferenza, è disinganno, è dura. E noi, a volte, ci rifuggiamo nella depressione, che ci isola dal mondo.

Vedete in passato ero ottimista, ora indosso i panni di un onorato ex ottimista in pensione, ovvero di un pessimo pessimista. Perché? Presto detto: Speravo sempre nella mia primavera, che spesso mi ha dato soltanto solenni fregature… come quella attuale. (b.p.) Ah, la primavera che scherzi ti propina. Eppure l’ho sempre amata. (b.p.) Sapete la primavera, secondo me, è una stagione prettamente femminile, e non solo per il genere – e quindi è volubile, bella, desiderabile, seducente, profumata, fresca, tiepida; poi giovane, baldanzosa, vibrante. Ma, altre volte, è acida, zitella, permalosa, cattiva e infedele: t’illude, t’alletta, t’inlanguidisce e… ti frega - come una vecchia bagascia sifilitica.

Raramente si concede in tutta la sua interezza; e se lo fa, lo fa allo scopo di farsi desiderare e rimpiangere per tutto il resto della vita. (b.p.)

Ditemi, di queste magiche stagioni, l’uomo in tutta la sua vita, quante ne può contare? Pochine, vero? Con le dita di una sola mano, no? E chi è più fortunato ne conterà cinque, chi lo è di meno ne conterà solamente una…- lo sfortunato nessuna!

Poi sopraggiungono le lunghe serie di autunni tempestosi, di estati arride, di freddi inverni e quella primavera intravista e colta per un istante, resterà solo come un bel ricordo sbiadito, nella confusa mente appassita di quell’uomo, che essa, un giorno, infatuò, illudendolo che fosse giusto considerarla sua.

Vedete anche la presente stagione? Ha mutato, imprevedibilmente, lo scirocco appiccicaticcio in fresco ponentino – la pazzerellona.-

Uno – Allora, sostieni che non hai mai avuto più una tua primavera, il tuo grande amore.-

Alc.- Ma certo, state scherzando? Io sono stato derubato, defraudato della mia primavera. Amori? Eccetto Alfina, sottrattami da voi due congiuntamente, poi per il resto tutta robetta, amorucci senza grandi passioni. Niente amori travolgenti, storiche sbandate. Nulla, solo banalità.-

Uno –Stai mentendo: poco fa ci avevi parlata dell’amore passionale.-

Alc.- Si, ve ne ho parlato, e vi ho anche detto quanto durò: poco e sapete benissimo perchè. (b.p. quasi con pedanteria) Comunque lo ripeto: era paura, paura mia, paura d’amare… quella relazione durò pochi giorni, poi finì; quindi nessuna vera traccia segnò quell’evento. Per me, come lo vissi, purtroppo, fu solo un amoruccio e basta.-

Due – Ma hai avuto l’amore di Gina: sereno, duraturo, incondizionato…-

Alc.- Beh, scusatemi, allora sarei stato  un aborto della vita – senza appello! A me è toccato questo tipo d’amore e me lo tengo. I fortunati forse li hanno tutti e due, gli dei tutti e tre. Però ci sono anche gli scalognati…-

Due – Quindi hai avuto da Gina quell’amore che ti meritavi (ironico, quasi sarcastico).-

Alc.- Certo…ma, perché questa ironia?-

Due – Perché la stavi quasi uccidendo.-

Alc.- Chi io? Ma sei ammattita? E quando? (balzando in piedi)-

Due – Quando te la portasti, contro la sua volontà, sul cratere dell’Etna.-

Alc.- Ma sei proprio cattiva! ( rivolgendosi a Uno) Capisci? Mi lancia accuse infamanti, senza nesso, senza prove, ma che dico – senza indizi. Questa è pura e semplice mistificazione dei fatti.-

Due – Ma il pericolo di vita lo corse veramente oppure no?-

Alc.- Ma certo che lo corse, e anche io, insieme a decine di turisti che ci trovavamo in quel momento sul cratere – quando esplose…-

Cambio di luci ed entrano in scena i ballerini che mimeranno le varie fasi della vicenda: prima saranno movimenti di ammirazione, di giubilo, poi di estasi alla vista del grande cratere, e per il bellissimo panorama; poi ci sarà l’esplosione: fuoco, panico, fuga. Quindi la fase di sgomento alla vista del grande evento tragico, e, purtroppo anche delle vittime, stese per terra. Poi morte e dolore, mentre i due ballerini si sosterranno a vicenda e si allontaneranno dal luogo della tragedia.

Buio e fine prima atto

 

                                                       Secondo atto

Riprende la scena, col solito gioco di luci. Alcide, al centro della scena e ancora turbato dalla rievocazione dell’esplosione, si porta lentamente verso la poltrona e si siede mogio mogio. Quindi, concentrandosi sui fatti, parlerà con voce rotta dall’emozione.

Alc.- Io le avevo proposto la gita sul cratere perché desideravo assaporare un attimo di Infinito insieme a lei. M’era stato detto che da lassù si toccava con mano l’immensità; che la vastità del luogo sgomentava, e che il panorama era da mozzare il fiato – a volte, mi dissero, si vedevano persino le Eolie. Questo era più che sufficiente per giustificare l’ascensione…-

Due - … che le facesti fare a piedi…-

Alc.- …che feci a piedi, insieme a lei. Ma non tutta, dal Rifugio in poi. Era un percorso faticosissimo, ma io pensavo che per godermi quei momenti di estasi che il vulcano mi prometteva di regalarmi, come minimo, per ripagarlo e per ringraziarlo, avrei dovuto, quantomeno, fare il sacrificio fisico della scalata. (b.p.) Per mettermi in sintonia con la natura, pensavo. E Gina era d’accordo – anche se, debbo ammetterlo, il pensiero della scalata le faceva tramare i polsi. Ma i miei argomenti la persuasero e così ci avventurammo.

Più volte ci pentimmo della scelta, e più volte stavamo per arrenderci…-

Due – ( alzandosi e andando a guardare il quadro) Come quando a poche decine di metri dalla vetta, una emissione di gas vi stava per asfissiare.-

Alc.- Già. Ci investì in pieno, quella zaffata di gas dalla puzza inconfondibile di zolfo. Ma, per fortuna, come improvvisamente ci avvolse, così, poco dopo, una folata di vento la disperse. Arrivammo sul cratere stanchi, sudati, impolverati, con la pelle bruciata dal sole - figuratevi che lì sulla vetta incontrai un mio amico che quasi non mi riconobbe.-

Due – Com’è patetico.-

Alc.- (ignorando l’interruzione, si alza) Poi, venne la delusione: attorno a noi c’erano decine di turisti - giunti fin lì, a bordo di gipponi – accaldati, sudati,vocianti, chiassosi, inquinanti, pieni di macchine fotografiche e cineprese, che si trastullavano a farsi, l’un l’altro, delle misere fotografie: per loro, il cratere era solo uno sfondo - da usare per le loro pose. (pausa, và allo scrittoio, prende un foglio e come se leggesse)

Poi il boato! (bagliore sul quadro).

Ah, che boato!

E il mondo si invertì di colpo,

E quello che era cielo divenne terra!

E i massi cadevano dall’alto.

E il fuoco pioveva dal cielo.

L’inferno s’era abbattuto su di noi.

Il mostro aveva scatenato le sue forze:

Pietre che rotolavano,

pomici che rosseggiavano,

polvere, zolfo, fumo.

E, poi:

Grida, pianti, gemiti:

L’Apocalisse!

Dopo interminabili attimi di terrore, capimmo ciò che era successo: l’Etna aveva stappato il suo cratere.

Spaventoso!

Scappavamo via in tutte le direzioni (b.p.);  poi, quando tutto si calmò, quando la polvere si diradò, purtroppo si videro i corpi senza vita di alcuni uomini, vittime dello scoppio.

Io e Gina, fortunatamente eravamo illesi: neppure un graffio. Solo paura, e la paura segnava tremendamente il suo viso. La confortai. Poi arrivarono i soccorsi. I superstiti fummo caricati nei gipponi e portati al Rifugio; quindi mentre  i feriti, in elicottero, proseguirono verso l’ospedale, gli illesi fummo rifocillati e poi lasciati liberi di scendere a valle, ognuno coi proprio mezzi. (b.p.)

E durante quella sosta al Rifugio, sentimmo una vecchia guida dell’Etna imprecare contro la sua montagna: diceva:

 “ ‘Buttana’, sei una ‘traditora!’ Ma quando mai! quando mai hai fatto morire degli uomini? Ah, carogna! E ora perché! perché non ci avvisasti che eri incazzata, come hai fatto sempre, nei secoli dei secoli?  

Col tuo vomito, quando ti piaceva, quando t’incapricciava, non ti sei preso le nostre terre, le nostre case, le nostre fatiche, e noi sempre zitti, muti, rassegnati! Era un tuo diritto, infine – riprendevi quello che era tuo.

Ma ora, ‘gran sdisonesta’, la terra non ti bastava più, e hai preteso  questo sacrificio umano, questo tributo di sangue innocente.

Chi te l’ha ordinato!  

Quale dio?

E perché?

Perché!”

(b.p. e sedendosi). Il perché glielo avrei voluto dire io: Perché avete insozzato la sua anima. (agitando l’indice della mano sinistra come per minacciare).

Ma fui prudente, non parlai, rispettai il dolore e il lutto.

Comunque, brutta esperienza, brutta (b.p.).   

Allora ti sembra che tentai di ucciderla? (risolto a Uno).-

Uno – No, almeno volontariamente.-

Due – (girando la testa per guardarlo) Ma se non fosse stato per la tua incoscienza, ella non sarebbe nemmeno salita lassù.-

Alc.-  Sei acida! Non capisci nulla degli uomini! Della loro voglia del cimento, dell’avventura, dell’espiazione, delle emozioni.

(B.p., quindi con calma) Ma infine, come diceva il vecchio, non era mai successo un evento simile. Infatti prese tutti alla sprovvista: turisti, la gente locale, guide alpine, geologi, vulcanologi (b.p.).

Poi hanno preso provvedimenti: Ora avvicinarsi al cratere è severamente vietato.-

Uno – Scappati i buoi…-

Due – Sempre imprudenza fu.-

Alc.- E dalle! Mi dispiace, ma debbo ripetermi: voi delle faccende umane siete a digiuno.–

Due – Lo siamo e non lo siamo, capiamo e non capiamo. Sappiamo, però, con certezza che sei inquietante. ( si va a sedere)-

Alc.- Io? Oh, bella!-

Uno – Non proprio inquietante come afferma Due, ma, direi, piuttosto sfuggente ed equivoco, quasi pericoloso per te e per gli altri.-

Alc.- Ma…ma…siete ammattiti? Quello che mi è accaduto nel corso della mia vita, poteva accadere a qualunque persona normale di questo mondo. La vita degli uomini è piena di episodi simili: dove si corre un certo pericolo, dove la tragedia si è sola sfiorata, dove tu caro Destino ci trascini verso un luogo, un fatto, una circostanza, a noi completamente estranea e ignota. Se avessi saputo dello scoppio, credete che mi sarei avventurato lassù? Io certamente no, e anche tutti gli uomini di buon senso. Forse avrebbe fatto eccezione qualche studioso o qualche matto, ma uomini normali certamente no. Quindi che dite? Ve l’ha già detto: Voi parlate sconoscendo totalmente gli animi degli uomini. (b.p.) Certo, qualche incosciente in giro c’è sempre…-

Due.- Come te, per quell’incendio…-

Alc.- Incendio? Non capisco?-

Due – L’incendio al night-club, ricordi?-

Alc.- Eh no! Che c’entra quello?-

Due – Tu ne sai qualcosa.-

Alc.- Mi ricordo dell’incendio perché per poco non ci lasciai la pelle. E allora?-

Due – Come: e allora? Ma non ricordi nulla?-

Alc.- Cosa dovrei ricordare?-

Due.- Il mozzicone di sigaretta che lasciasti cadere a terra in quel locale notturno, quando la bellissima Margareta ti invitò a ballare.-

Alc.- (gridando) No, l’incendio non fu per quello!- 

Uno – Non lasciasti cadere la sigaretta?-

Alc.- (in crescendo) Si, Ma non fui io a provocarlo. No! Mi rifiuto di ammetterlo! Non fui io. (sfinito) Non fu la mia sigaretta…era quasi spenta…non può essere andata così.-

Due- Andò esattamente così. Una ragazza perse la vita…

Alc.- …per colpa mia? No, non per colpa mia, ma per colpa del locale costruito e adibito per altri scopi e poi trasformato in Nigth. Era tutto moquette infiammabilissima, era di legno, c’era polistirolo dappertutto, poi era senza estintori, senza uscite di sicurezza… Eppoi gli avventori erano quasi tutti ubriachi fradici. Quella notte avevano bevuto moltissimo: chi stava meglio ero soltanto io - ed ero assai brillo. Non fui io a ucciderla, ma lui: il Destino! (alzandosi e avvicinandosi a Uno) Tu perché non intervenisti? Perché lasciasti che le cose andassero in quel modo e finissero tragicamente? Per punirmi di una mia piccolissima leggerezza? Madonna, Madonna, sei proprio crudele! (b.p. rigirandosi e camminando) Io vi entrai in quel locale per disperazione: ero solo come un cane in una città nuova per me, era la vigilia di Natale, mi sentivo depresso, il morale nei tacchi, insomma ero sotto zero. Entrai per cercare un po’ di contatto con la gente, per sentirmi vivo. (b.p.) E, ironia drammatica, non sapevo fumare e invece mi accesi una sigaretta per darmi un contegno. Poi quella miss mi adocchiò, mi fece le fusa e mi invitò a ballare: preludio di una serata appagante (b.p.). E, se fosse andata così, ma non lo fu! anche se ero brillo, prima di gettare via la sigaretta, alla Bogart, tentai di spegnerla, ma ero poco pratico… e forse la lasciai un po’ accesa. Tanto lo sapete fu una vera sfortuna: con tutti quei ballerini impazziti, nessuno la calpestò…-

Due - …perché fini sotto un tavolinetto e lì covò e divampò.

Alc.- No! (girandosi verso Due) Non fu la mia sigaretta! Lo nego con tutte le mie forze! Quella piccolissima brace quasi spenta non poteva generare quello spaventoso incendio in poco meno di due minuti. Ci dev’essere stato qualche altro fattore…qualche causa diversa: chessoio: un cortocircuito, forse un attentato – in quei tempi gli attentati erano faccende di tutti i giorni.

Non fui io il colpevole.-

Due – Tu non vuoi ammetterlo, ma io si,-

Alc. Ma chi sei tu per ergerti a giudice supremo? Chi sei, maledizione? Io non ti conosco! Sei tu che ti sei presentata come la mia coscienza, forse per incastrarmi! Ma non ci riuscirai. Diglielo tu mio Destino, diglielo che non fui io.-

Uno – Io non ero presente…( si alza e va a vedere il quadro)-

Alc.- E lo credo. Tu sei sempre assente quando mi servi…-

Uno - … a me sembra una storia incredibile (senza girarsi)...-

Alc.- …(a Due) Visto? Anche a lui sembra incredibile! E’ incredibile!-

Due – Sarà… Ma ora credo che sia giunto il momento di parlarci del mare.-

Uno – (esaminando il quadro, parlando a se stesso)…codice cromatico assoluto…dinamica delle forme perfetta…profondità della prospettica efficace…-

Alc.- (prestandogli ascolto) Sei intenditore di pittura?-

Uno – (assorto non gli risponde)… questo non dipinge, rievoca emozioni - è inquietante…-

Alc.- Ehi, bella interpretazione, sei critico d’Arte?-

Uno – (riscuotendosi)  Chi io? No, no…-

Alc.- E come mai t’interessa tanto questo quadro?-

Uno – Mi ricorda qualcosa di - primordiale. Senti, come s’intitola quest’opera?-

Alc.- (meravigliato dall’interessamento) S’intitola: Berlioz, sinfonia Fantastica.-

Uno – Capisco. (b.p. mentre anche Due gli presta attenzione) Però… (d’apprezzamento, poi b.p.) ma credo che il titolo più opportuno sia: Big-bang, l’origine. Cioè: l’Universo che apre le braccia…-

Alc.- (ridacchiando) Carina questa, lo dirò all’autore.-

Uno – Ridere di ciò che non si conosce - non è saggio.

Ma torniamo a noi, anzi a te: mi pare che dovevi parlarci del mare.-

Alc.- Non ne ho più voglia. (riguarda il dipinto, poi si risiede imbronciato) Preferirei parlare di pittura.-

Uno – Di pittura ne parleremo un’altra volta – (sottolinea la frase) se ci sarà l’occasione…-

Due – Allora questo mare? finalmente ce ne parli o ne hai timore…-

Alc.- Non sono un vigliacco! E tu lo sai! –

Due – E allora parla.-

Alc.- Parlerò, parlerò, ma Destino dovrà ascoltare attentamente, voglio un testimone attento.-

Uno – Ascolterò. (si siede)-

Alc.- A quell’età si era un po’ spacconi. Si facevano le cose più assurde per dimostrare il nostro coraggio e la nostra abilità. Avevamo più o meno undici, dodici anni e uscivamo da una guerra persa e da un dopoguerra terribile. Lo dico non per cercare di giustificarmi, ma per la maggiore comprensione dei fatti. (b.p.)

Allora io abitavo in un quartiere abbarbicato sugli scogli, sul mare. Sapete? noi ragazzi avevamo dimestichezza col mare, ma mai ci prendevamo delle confidenze eccessive: gli davamo del “voi”. Lo conoscevamo e per questo lo rispettavamo, e anche lo temevamo. Sissignore, lo temevamo, forse per istinto di conservazione: perché, quando meno te l’aspettavi, o per un’imprudenza nostra, o per un suo cambiamento d’umore - ecco che t’azzannava. (b.p.) Perciò, anche nelle bravate non sfidavamo mai il mare.

Quel giorno la spacconata di turno consisteva in un’arrampicata di quarto grado su un alto scoglio a precipizio sull’acqua. Era una prova d’abilità ormai consolidata e la banda sapeva come affrontarla. Purtroppo, quel giorno, a noi, si era unito Angelo Brancato, un ragazzo giunto da poco nel quartiere, il quale volle partecipare all’impresa. Lo sconsigliammo, ma in modo quasi derisorio, per cui egli si incaponì e volle provarci (b.p.).

E cadde giù come una pera matura. Ma cadendo, prima di arrivare in mare, sbattè  contro la roccia, per cui restò privo di sensi: (con tono di lamento) e galleggiava inerte sull’acqua, tra gli scogli, dondolato dalla risacca. E tutti noi, attoniti, quasi paralizzati, non riuscimmo a fare nulla per lui. (risoluto) E nessuno si tuffò per soccorrerlo. Nessuno si mosse, e nemmeno io! (come una liberazione) Poi Giacomo Fiorito prese una vecchia canna da pesca abbandonata, e con quella lo avvicinò alla riva, e lo tirammo su. Subito dopo arrivarono gli adulti che lo portarono in ospedale. (b.p.) Si salvò! Ma rimase per sempre debole di testa.-

Due – Naturalmente ora mi dirai, che anche tu non ti tuffasti, perché non sapevi nuotare bene.-

Alc.- ( con voce chioccia, quasi da ragazzino) Io nuotavo benissimo e tu lo sai, vigliacca. No, non mi tuffai perché avevo le scarpe nuove!

Nuove! Nuove! Nuove! (poi accorato) Avevo undici anni, e mai avevo avuto un paio di scarpe nuove. Che vigliaccata, direte. Si, certo, fu una vigliaccata, anche se collettiva, e questo rimorso me lo sono portato appresso per tutta la vita. Anche adesso, che sono vecchio d’anni e di cervello, nelle lunghe ore di veglia notturna, mi si para dinanzi la scena: quel corpo, carponi sull’acqua, dondolato dalla risacca! E io che mi guardo le scarpe nuove…-

Uno – (alzandosi e dandogli le spalle) Fosti vigliacco, non ci sono dubbi. Le scarpe sono una scusa, potevi toglierteli prima di tuffarti.-

Alc.- Avrei potuto toglierli, si, è vero; ma vi prego di credermi: solo adesso che mi ci fate pensare, realizzo che potevo fare proprio così. Ma allora, e fino a un minuto fa, questa soluzione non mi passava neanche minimamente nella mente - affatto.-

Due – Ma se non ci fosse stata quella provvidenziale canna da pesca? Angelo sarebbe morto sotto i tuoi occhi.-

Alc.- Non passiamo ai “se” o ai “ma”. Se non ci fosse stata la canna, probabilmente avremmo trovato altra soluzione. Eravamo ragazzi, e l’indecisione su cosa fare era normale. Passato lo spavento, qualcuno certamente avrebbe trovato il modo di soccorrerlo, ne sono sicuro.-

Due – Ma non tu, vero?-

Alc.- Non io? (alzandosi e puntando Due) E come fai a saperlo con certezza! A parte le scarpe nuove, quella era la prima volta che mi trovavo di fronte a eventi così tragici - e rimasi impietrito, oggi si dice scioccato. (girandosi)

Non sono un vigliacco. In seguito, nel corso dei anni, ti ho ampiamente dimostrato che so prendere le decisioni prontamente, e che non sono vile. (riguardandola) E dovresti ricordarti di quel giorno di Agosto, in montagna, quando scoppiò un incendio che minacciava le villette, come mi detti da fare, immediatamente per domare le fiamme, almeno quelle nei pressi della villetta dei Di Martino, e prima che arrivassero i vigili del fuoco, e la salvai. O non ti ricordi più? O ti ricordi solo ciò che vuoi ricordare e che ti fa comodo per mettermi in difficoltà?-

Due – Mi ricordo lontanamente di questo tuo famoso incendio, ma non credevo che tu ne avessi tanto merito – per la salvezza della villa.-

Alc.- E capirai…-

Uno – Beh, diamogli almeno il beneficio del dubbio. (si risiede)-

Alc.- Grazie mille, che magnanimità. (si siede anche lui)-           

Uno – E adesso, se non ti dispiace, vorrei sapere perché hai abbandonato l’arte.-

Alc.- Affari miei.

Due – E’ intrattabile.-

Uno – (con pazienza) Ci risulta che avesti qualche fiasco e ti scoraggiasti.-

Alc.- Qualche fiasco? Ne ebbi cento di fiaschi, e alcuni anche sonorissimi.-

Uno – Diccene uno solo.

Alc.- Scelta imbarazzante. Vediamo un po’. Ci sarebbe quello di Catania, i cui fischi… Anzi forse quello di Cagliari è più eclatante…ma forse è meglio quello di Lecce.-

Uno – Dicci.-

Alc.- Ricordi dolorosi, caro amico. Perché me li volete far rammentare?  Che male vi ho fatto?-

Uno -  Se proprio non vuoi…-

Alc.- Voglio, vorrei, ma mi si lacera il cuore. (si alza e va verso lo scrittoio e prende una locandina teatrale) Ecco, questa: Era maggio, insomma sempre la solita primavera che entra di sponda, e mi esibivo in una serata all’aperto, in piazza. C’erano si e no cinquanta spettatori distratti e vocianti. Io dovevo fare il mio spettacolo quasi da solo. Era un lungo monologo sugli indisciplinati della strada. Ero simpatico il pezzo, l’avevo scritto con molta attenzione, l’avevo riempito di umorismo, era molto spiritoso e aveva un ritmo elevato - pepato. Ma quelli pensavano solo a mangiare noccioline americane, a darsi manate sulle spalle, a fare ammiccamenti, a ridacchiare tra di loro, con qualche sonorosissima pernacchia. Che volete anche il più esperto degli attori si sarebbe perso con un pubblico simile. Ma io non mollai, portai a termine lo spettacolo e quando lo finii c’erano rimasti in piazza solo i tecnici delle luci.

Mi pagarono e mi dissero di non farmi rivedere mai più!-

Uno – Ma, per caso,  non fu perché eri quasi un dilettante?-

Due – Non facevi l’impiegato per vivere?-

Alc.- E con ciò? Pirendello era professore al Magistrale e non fu un grandissimo drammaturgo? Ed esempi ce ne sono a centinaia. (lascia cadere la locandina e si dirige verso la poltrona)-

Due – Ma per esibirsi in pubblico bisogna essere preparati, bisogna aver studiato, aver fatto esperienze…

Alc.- (interrompendola) Io avevo vent’anni di teatro amatoriale sulle spalle! Ero qualcuno!-

Uno – E si vede che, per sfondare nell’Arte, non bastò...-

Due – … o che non avevi talento…-

Uno – …o passione…

Alc.- …o raccomandazioni! Io non le ho mai cercate le raccomandazioni, non ho mai corrotto nessuno e non mi sono mai prostituito e, ultimo, non ho mai offerto mia moglie a nessuno!-

Uno – Allora, forse, non hai mai lottato abbastanza.-

Alc.- Ho lottato, eccome, con tutte le mie forze. Ci ho provato a sfondare da attore e da autore, ma qualsiasi sforzo è stato vano; qualsiasi iniziativa prendevo, subito falliva. (b.p.) E anche se ottenevo qualche piccolo consenso, poi non mi portava nessuna ricaduta: era come se non fosse successo nulla. Sono passato nel mondo dell’arte come una meteora nella notte di San Lorenzo: un’occhiata distratta e poi buio completo. (b.p.)

Insomma, mollai tutto... e ora vivo in pace.-

Uno – Non bisogna rassegnarsi, bisogna sempre osare.-

 Alc.- Avrei voluto vedere te al posto mio. Avrei voluto vedere te - come osavi.

Il mondo dell’Arte è una fossa di leoni: se non sei tosto, ti sbranano.(breve pausa)

Osare -  Ma va là spaccone (si siede).-

Uno – Ci vuole anche coraggio nella vita.-

Alc.- Un’altra banalità simile e me ne vado! E adesso, che avete legittimato il mio attributo di uomo d’insuccesso,  cambiamo discorso. Tu da dove vieni?-

Uno – Io non vengo, Come t’ho già detto, io ci sono.-

Alc.- E tu?-

Due – Se ammetti che sono la tua coscienza allora vengo da te.-

Alc.- Bella discendenza.-

Due – Già. E visto siamo tornati a noi, mi parli di quella famosa spiata?-

Alc.- Ma sei proprio una carogna!-

Uno – Ti ascoltiamo.-

Alc.- Grazie tante!-

Due – (inflessibile) E allora?-

Alc.- E allora… e allora…insomma che volete? Feci solo il mio dovere di fedele impiegato. Quel collega era un lavativo e alla sua porta gli si doveva bussare con i piedi…-

Uno – Con i piedi? Non capisco.-

Alc.- Perché non hai mai fatto l’impiegato. Quello per sbrigare una pratica per la quale io ci mettevo tre giorni, lui ci impiegava due mesi. A meno che… a meno che il povero cittadino interessato, non lo venisse a supplicare nel suo ufficio bussando coi piedi – perché nelle mani doveva portare qualche… presente.-

Uno – Ho capito, era un corrotto.-

Alc.- Proprio corrotto non direi, gradiva qualche pensierino…spontaneo.-

Due – E lui gli fece la spia!-

Alc.- (oscurandosi in viso e abbassando la testa) Non proprio.-

Uno – Lo denunciasti?-

Due – Magari! Avrebbe fatto un’azione da uomo.-

Alc.-  No, andai dal capufficio e gli spifferai tutto.-

Due.- No, bugiardo! gli scrivesti una lettera anonima!-

Uno – E non è la stessa cosa?-

Due – No che non lo è. Denunciandolo avrebbe dovuto assumersene tutte le responsabilità, anche nei confronti dei colleghi, insomma in pubblico, facendo la spiata anonima, se ne lavava le mani (si alza a va verso lo scrittorio e sbircia fra le carte).-

Alc.- Sono un codardo, e allora? Avrei voluto vedere voi al mio posto: sapere che quel mascalzone  speculava sui bisogni della gente e lasciarlo fare impunemente; ma, nello stesso tempo, avere la paura di affrontarlo a viso aperto. Comunque ho fatto, come al mio solito: le cose a metà. Ed ora basta con questa storia.-

Due – Te ne vergogni…-

Alc.- Lasciatemi in pace, sono stanco, molto stanco…(si accascia nella poltrona).-

Uno – Come desideri. Ma se vuoi noi possiamo anche andarcene.-

Due – E ti faremmo un gran piacere. (prende un foglio e lo esamina).-

Alc.- Sempre acida tu! E lascia quel foglio! Va bene, restare ancora un poco, tanto quella non ha nient’altro da rinfacciarmi.-

Due – Lo credi davvero? (posa il foglio e finge di guardare un libro)-

Alc.- Ma si, lo credo.-

Due – E allora cosa ti ricorda la notte del cinque gennaio?(lascia cadere il libro sul piano dello scrittoio)-

Alc.- E’ la vigilia dell’Epifania.-

Due – Sempre con questo stupido spirito di patate. Allora ti ricordi che quella sera tuo figlio aveva la febbre? (va verso la poltrona e si siede)-

Alc.- Guarda che novità: un bambino con la febbre…-

Due - …che quella sera rimase in casa solo con la madre...-

Alc.- …sempre più impressionante…

Due – …e che te ne andasti a giocare a poker con gli amici.-

Alc.- Ebbene? Si commette un delitto andando a fare una partitina?-

Due – Ma stavi per far morire il piccolo, che durante la notte peggiorò e che tua moglie lo dovette portare urgentemente in ospedale, mentre tu te la spassavi giocando con gli amici.-

Alc.- Anche questa è una calunnia! Io non potevo sapere che il piccolo si sarebbe aggravato, a tal punto, da rendersi necessario portarlo al pronto soccorso. Anche altre volte aveva avuto la febbre, durante la notte…-

Due - … ma quella non fu febbre normale: fu broncopolmonite fulminante! E se tua moglie non ne avesse capito la gravità, agendo in conseguenza, tuo figlio sarebbe morto.-

Alc.- Ma perché me ne fai sempre una colpa? Lo sapevo io che era una grave polmonite? Lo sapevo e non avevo provveduto? Me ne ero infischiato? Ma insomma!-

Due – Eri a giocare. E tu non dovevi andare, sapendo che tu figlio aveva la febbre.-

Alc.- Tante altre volte l’aveva avuto, di notte…-

Due - … ma con te presente…-

Alc.- …e cosa c’entra? La fatalità è fatalità. Domandalo al tuo amico in nero. –

Uno – Tieni fuori da questa discussione, per favore.-

Alc.- (alzandosi e camminando per la scena) Certo tu non c’entri mai! Fai e disfai, ma non ti assumi nessuna responsabilità. Siamo bussolotti nelle tue mani e tu te ne stai lì a lavartele, come un certo Ponzio Pilato, forse tuo carissimo amico. E noi poveri uomini derelitti e ciechi, ci accapigliamo tra noi, accusandoci a vicenda di colpe non nostre. E tu te ne stai lì immobile, impassibile a guardare lo svolgersi degli eventi, che tu provochi col tuo capriccio- col tuo arbitrio! (b.p.) Siedi lì, tronfio, a goderti lo spettacolo di noi formichine che ci affanniamo dalla mattina alla sera, d’inverno e d’estate, ad ammucchiare semi che, possibilmente non mangeremo mai.

Povere sciocche creature che non siamo altro: Ci facciamo governare da un fattore estraneo a noi, freddo come il ghiaccio, senza nessuna sensibilità, che si frappone tra le nostre intelligenze e il nostro futuro, senza saperlo e senza capirlo.

Solo alcuni ti sono sfuggirti: e sono i geni, perché con la loro genialità riescono anche a piegare gli eventi secondo il loro volere; sanno trovare l’introvabile, sondare il Cosmo, conoscono  l’inconoscibile – e diventano pazzi! Ma gli altri, gli uomini normali, come me, in che modo possono sottrarsi al tuo tragico potere? Solo con la morte! Ma con la morte chi si godrà la vittoria? Chi ne assaggerà il dolce sapore? Chi potrà dire: t’ho sconfitto Destino! Chi potrà gloriarsene! (b.p.) Ma io t’ho capito e mi preparo a difendermi dai tuoi velenosi propositi: ti tengo d’occhio e quindi in pugno, caro amico in nero. Tu, su di me, non avrai più potere!

E nemmeno tu, cosiddetta coscienza mia. Ti ripudio e ti rinnego, ti respingo e ti allontano. Ti sconfesso e ti denuncio! Mi affranco da te, miserabile tiranna, e mi concedo solo al mio Pensiero, che né tu, né lui potete vantare di possedere; e che nulla e nessuno mi potrà mai privare! E con questo vi avrò sconfitto: una doppia vittoria, amici miei, che ne dite? Non è geniale? (poi come folgorato da una rivelazione, girando su se stesso):

Alleluia! Alleluia.

Io sono!

sono un uomo libero.

- Che ha slegato le sue zavorre

che voi! gli avevate imposto.

E con la sola superba, maestosa, immensa

forza del suo umano

e razionale Pensiero - ha osato!

Ha rotto le catene, alleluia!

E ora spazia nell’Infinito,

vaga nello Spazio,

cerca nel Gran Nulla,

fruga nell’Eternità,

scruta negli abissi dell’Ancestrale,

mira con distacco i picchi del Futuro,

e, consapevole della libertà

e della dignitosa forza acquisita,

grida la sua Vittoria!-

Vi ho sconfitto, 

e siete nelle mie mani;

e, per vostra vergogna, nella mani di un uomo qualunque, normale –

d’un mortale!

Lo capite? Che ne dite allora? State zitti? Siete rimasti senza parole o senza fiato? Si? Bene, a questo punto potreste anche togliere il disturbo. Buongiorno a voi e statevi bene. ( va verso la porta di destra, poi si ferma)-

Uno – (Alzandosi faticosamente dalla poltrona) Mi pare che ne abbiamo sentito abbastanza (come dire: sciocchezze). Credo che abbiamo veramente finito. Andiamocene.

Due – (imitandolo) Certamente, che restiamo a fare? (pausa, poi rivolto ad Alcide) ma prima vorrei che mi dicessi cosa significa quell’appunto che hai sullo scrittoio. –

Alc.- Quale appunto?-

Due – Quello. (prende un foglio e glielo mostra) Questo!-

Alc.- E’ una ricevuta - semplice.-

Due – Di cosa?-

Alc.- Ma di che t’impicci, questi sono affari privatissimi.-

Due – Lo so, lo sappiamo, ma se tu non vuoi dirci nulla, - significare che temi qualcosa.-

Alc.- Io ormai non temo nulla, specialmente te! (imbarazzato, poi deciso) Quella è una ricevuta di un versamento…_

Due - …per cosa?-

Alc.- …per la quota annuale… per un’associazione…-

Due -…di?-

Alc.- …di Cremazione! Maledizione a te! Si, quando morirò voglio essere cremato. Non ti sta bene?-

Due – A me no! (avvicinandosi quasi minacciosa) Tu sei cattolico e non puoi essere cremato.-

Alc.- Io sono cattolico e voglio essere cremato. E’ una mia scelta e non debbo darne conto a nessuno. Libero arbitrio – carina.-

Due – Ma la Chiesa…-

Alc.- …mi dispenserà…-

Due – …e la tua coscienza…-

Alc.- …la soffocherò.-

Due – ( a Uno, che durante il serrato dialogo sarà rimasto in disparte, disinteressato, e che ha ripreso ad ammirare il quadro, ma ha anche assunto un atteggiamento sornione) Ce ne possiamo andare. Qui non abbiamo nient’altro da fare. (pausa) Abbiamo concluso.-   

Alc.- Ben detto. Finalmente una cosa giusta!-

Uno – ( girandosi e guardando Alcide con un sorriso beffardo sulle labbra) Cosa ne dici, Alcide, ci rincontreremo?-

Alc.- Non credo proprio.-

Uno.- Chissà…-

Due – (indecisa, guardando Uno con aria quasi interrogativa) Allora… addio.-

Alc.- Con immenso piacere: Addio! (enfatico) - a mai più rivederci. (fa un ironico inchino)-

Uno – Uomini: creature frivole. (scuotendo la testa)-

Due – E stupidi. (alzando il capo stizzita)-

Alc.- Volete aggiungere qualche altra considerazione? Accomodatevi.-

Due - …presuntuosi…(annuendo e sporgendo le labbra).

Uno - …tragici.( girandosi di scatto)-

Alc.- …ma intelligenti  (toccandosi la fronte) - per vostra sfortuna. (tronfio, poi risolutamente va al centro della scena)-

Con giochi di luce e musica adatta, si dovrebbe realizzare la sconfitta da parte del Pensiero di Uno e di Due, i quali gradualmente scomparirebbero dalla scena, dissolvendosi. Naturalmente il loro posto dovrebbe essere preso dai ballerini che indosserebbero i relativi costumi dei due uscenti. Le luci dovranno giocare con il quadro appeso alla parete centrale, come per suggerire che, attraverso la detta opera, si è materializzata la presenza del Destino e della Coscienza di Alcide; ma anche del Pensiero dell’Uomo che lo stesso Alcide ha evocato. Durante tutto il pezzo coreografico Alcide sarà al centro della scena, in piedi, rigido, a gambe leggermente divaricate; ma le sue braccia saranno leggermente spostate dal corpo rigido, con le palme delle mani rivolte verso la sala. Esaminare la possibilità di illuminarlo gradualmente con la lampada di wood, dal basso verso l’alto. 

Per tutte le scene di coreografia contenute nella presente opera, ci si affida alla sensibilità e all’arte del coreografo.

Poi le luci si faranno sempre più tenue fino a diventare quelle che s’erano viste all’inizio del dramma.

Alcide, in precedenza, approfittando ancora di un attimo di buio, avrà indossato di nuovo la veste da camera e si sarà seduto nella poltrona, con il plaid sulle ginocchia. Sembra che sonnecchi. Entra Gina.

Gina – Ciao caro, dormi? (si china e lo bacia)-       

Alc.- No cara, riflettevo. (intanto, pesantemente, tenta di alzarsi dalla poltrona)-

Gina – (avvicinandosi e bloccandolo gli sistema il plaid sulle ginocchia) No, stai seduto. Su cosa riflettevi?-

Alc.- Sul mio passato, sulla mia Sorte.-

Gina – Sul tuo passato? Sulla tua Sorte? Ma lo sai che essi sono come te: a zig-zag.-

Alc.- E allora vuol dire che adesso sono nello zig.-

Gina – Ed io nello zag. ( b.p. intanto che mette le poltroncine in perfetto ordine) Hai riposato?-

Alc.- Si, un pochino. E tu cosa hai fatto?-

Gina- La solita partita a canasta, come ti dissi… Ah, poi sono andata all’associazione per la cremazione, e ho pagato la quota annuale. Ecco la ricevuta. (fruga nella borsetta, prende la ricevuta e la poggia sullo scrittoio)-

Alc.- Quale quota, quella di quest’anno?-

Gina – Certamente.-

Alc.- Ma che dici! La quota di quest’anno l’abbiamo già pagata, la ricevuta è lì, sullo scrittoio.-

Gina – (perplessa) Ma…ma… allora abbiamo pagato due volte? ci sono due ricevute?-

Alc.- (alzandosi e andando a controllare) Sicuro…forse…vediamo… no, c’è solo questa…-

Gina - …che ho portato io, proprio ora. ( decisa, rivolgendosi ad Alcide come se fosse un bambino, accarezzandogli il viso) Senti, forse l’avrai sognato, caro… Tieni è arrivata la posta. (e mette sulla scrittoio delle lettera, delle riviste e un bigliettino). Io vado a preparare la cena. ( e fa per uscire)-

Alc.- Grazie, si. (prende le lettere  le controlla e le lascia sullo scrittoio, quindi prende il bigliettino lo esamina, intanto, si porta al centro della scena) E questo cos’è?

Gina – (fermandosi e girandosi) Cosa?-

Alc.- (mostrandogli il biglietto) Questo, è indirizzato a te.-

Gina –(avvicinandosi per guardare meglio il biglietto che Alcide le mostra) Ma sembra… è un biglietto di condoglianze.-

Alc.- Già, posso? ( Cenno affermativo di Gina. Alcide lacera la busta e legge il biglietto)… e sono per te.( si irrigidisce) -

Gina – (offuscandosi) Per me? E chi m’è morto?-

Alc.- Io! (il biglietto gli sfugge dalle mani e cade per terra).-

Fissità di scena, musica, poi o si chiude il sipario, lentamente; oppure se questo non c’è, le luci caleranno fino al buio completo.

Fine.