Gualtiero M. F. Schirinzi
L’UOMO ONESTO
(Monologo)
Durata 45’
Autore:
Gualtiero M. F. Schirinzi
Via Poggio Ameno 32, Roma
Cell. 3409218199
E-mail: gualtiero.schirinzi@alice.it
Roma 2017
L’uomo onesto
di Gualtiero M. F. Schirinzi
(All’apertura del sipario l’attore sta in fondo al palcoscenico e, guardandosi attorno, avanza fino al proscenio. Non è prevista alcuna scenografia. Volendo si può mettere un fondale con disegnate delle colonne che reggono un architrave.)
Salve! Io sono un uomo onesto! Sì, lo so, non dovrei dirlo, ma vi giuro che non volevo. Per mia sventura, mio padre mi ha ficcato in testa, sin da quand’ero piccolo, l’idea che l’onestà è un valore, che un uomo deve essere onesto se vuole veramente sentirsi un uomo, che l’onestà è l’architrave su cui poggia l’intera società e tante altre storielle. Da piccolo non sapevo nemmeno cosa fosse un architrave, ma mi fidavo di mio padre! Se lo diceva lui, per me andava bene, qualunque cosa fosse, poi, questo benedetto architrave! Al contrario, sapevo bene cosa volesse dire essere onesto, perché se a casa rubacchiavo qualcosa, anche la più insignificante, erano botte che arrivavano accompagnate dalla fatidica frase: “Non si ruba! Se vuoi qualcosa chiedila e, se possibile, ti sarà data.”
Passi per mio padre, un tipo militaresco, intransigente, rispettoso della legge, che non scendeva mai a compromessi. Lui si sentiva il depositario dei valori che nella sua famiglia si erano tramandati da una generazione all’altra, andando indietro nel tempo fino a perdersi nella notte dei tempi. Mai e poi mai mio padre avrebbe rinunciato ad affermare i suoi valori, tra i quali l’onestà era quello a cui era più affezionato.
Eppure, da piccolo avevo mostrato una certa predisposizione al furto. Quando mio padre mi portava con sé a fare la spesa al mercato, senza farmene accorgere, riuscivo a sgraffignare dalla bancarella di turno, un’arancia, una mela, una manciata di frutta secca, insomma qualunque cosa mi capitasse a portata di mano. Ero talmente lesto che non se ne accorgeva né il negoziante né mio padre che mi stava accanto come una guardia del corpo.
Avevo notato pure che, ogni tanto, mia madre metteva le mani nella tasca della giacca di mio padre per prendere dei soldi; così ci provai pure io. Appresi subito, però, che se lo faceva lei era bene e se lo facevo io era male.
Una sola volta se ne accorsero, per un banale concatenarsi di eventi. Mia madre, una casalinga di quelle autentiche come non ne esistono più, chiese a mio padre dei soldi e, quando questi ripose che la sua tasca era già stata alleggerita, gli sguardi di entrambi si posarono su di me e furono dolori. Dolori nel senso fisico, perché me ne diedero tante da farmi perdere totalmente quel vizio. Le botte, naturalmente erano accompagnate dai soliti discorsi che faceva mio padre sull’onestà, sull’architrave, sull’onore della famiglia e su tutto quanto la letteratura aveva sciorinato in materia.
Passi per mio padre, dicevo, ma il guaio è che ci si era messa pure mia madre. Per lei io dovevo essere un bravo ragazzo, onesto, lavoratore, uno che, un giorno, si sarebbe dovuto formare una famiglia, un uomo su cui la mia futura moglie avrebbe potuto contare e che, toccando un tasto che faceva molta presa sul mio cuore, avrebbe dovuto educare i figli secondo sani principi. Alla fine, concludeva il discorso dicendo che così le avevano insegnato i suoi genitori e i suoi nonni e così doveva essere!
Naturalmente, quando trasgredivo quelle regole, anche lei non mancava di farmelo notare, prima con parole da madre amorevole e, in caso di recidiva, con maniere più persuasive, anche quelle, penso, tramandate da padre in figlio fino a perdersi nella notte dei tempi.
Insomma, per farla breve, non passava giorno senza che qualcuno, genitori in testa, ma anche parenti, non mi desse una lezione sull’onestà.
E poi, la scuola! Le maestre, al periodo delle elementari, e i professori, dalle medie al liceo, non facevano che inculcare nelle nostre zucche che dovevamo essere onesti, educati, rispettosi degli altri.
Ogni giorno mi trovavo tra l’incudine (la famiglia) e il martello (la scuola). Le letture che si facevano, o che erano consigliate, erano improntate sempre allo stesso argomento. In sostanza non mi hanno dato scampo. Dovevo essere onesto e onesto sono diventato.
Alla fine non ho potuto farne a meno, mi son dovuto rassegnare ad essere onesto! Non poteva essere altrimenti. Credetemi! Si trattava di un vero e proprio lavaggio del cervello, tanto che essere onesto è entrato a far parte del mio comportamento quotidiano. Sono arrivato al punto, non solo di non riuscire a fare qualcosa di disonesto ma nemmeno a pensarlo. Anzi, quando sento che qualcuno commette un’illegalità mi indigno. Pensate un po’!
Purtroppo, quando si è preso un vizio, è difficile toglierlo. Come faccio, adesso, dopo anni di duro insegnamento a comportarmi diversamente? Essere disonesto, per me, è diventato innaturale.
Tra l’altro, quand’ero ragazzo, i disonesti erano pochini e venivano guardati male dagli onesti. I genitori stavano molto attenti alle frequentazioni dei figli e, se sospettavano che tra le loro compagnie ci fosse qualche “testa calda”, così veniva definito all’epoca chi faceva il bullo, si intimava al figlio di cercare i suoi amici da qualche altra parte. Non solo, se questi aveva subito delle angherie, i genitori andavano a parlare con quelli del bullo ed erano legnate per il povero bulletto. Insomma il disonesto era mal sopportato, evitato, emarginato, guardato sempre con diffidenza. A quell’epoca gli onesti erano la razza dominante, per cui erano loro a dettare legge.
Ricordo che, in quel periodo, andava molto il principio della mela marcia. Se in una cesta di mele ce n’era una marcia, quella andava tolta e buttata via, per non correre il rischio di far marcire pure le altre. In conseguenza i disonesti erano tenuti alla larga, allontanati dalla società e ogni loro atto veniva commentato dalle madri con disprezzo, come delle cose disgustose che dovevamo assolutamente evitare di fare nella vita.
Un bel giorno successe una cosa straordinaria che fece cambiare radicalmente il mio punto di vista. Bastò una lezione di storia dell’arte sulla funzione dell’architrave per spalancare la mia mente verso nuovi orizzonti.
E’ come se, in una notte buia e con il cielo coperto da nuvoloni neri, dove tutto sembra uniforme, uguale, una sequela di fulmini avesse illuminato la scena facendo intravedere cose che prima mi erano nascoste.
Forse il paragone non calza, perché, finiti i fulmini tutto ritorna nel buio più assoluto e si ricomincia a non distinguere più niente. Allora ricorro ad un’altra immagine. La descrizione di un’alba.
Oh! No, non voglio assolutamente competere con Cesare Pascarella che ne ha dato una descrizione tra le più belle che io abbia mai letto. Confesso che, mentre leggevo quei meravigliosi versi mi sono commosso e, non mi vergogno a dirlo, qualche lacrima ha fatto capolino. No! A me basta dire che la luce si fa strada pian piano, facendo emergere dal buio il paesaggio fino ad illuminarlo completamente, rendendo ogni cosa ben visibile e distinguibile.
Da quella lezione ho appreso, innanzitutto, che l’architrave, tanto menzionato da mio padre, è un elemento architettonico portato, che non tocca il suolo e scarica il suo peso su altri elementi. L’architrave, quindi, da solo non fa un bel niente. Ci devono essere delle colonne a sostenerlo, in caso contrario se ne sta buttato per terra e allora la società potrebbe poggiare direttamente sul terreno, tanto sarebbe la stessa cosa.
La prima verità che ne ho tratto è che la società può stare, è vero, sull’architrave ma questo deve essere retto da qualcos’altro e se quello che dovrebbe reggere non regge, addio società!
Non che mio padre mi abbia detto il falso ma, sicuramente, mi ha dato un’informazione incompleta. L’architrave ha bisogno di altri elementi su cui poggiare: le colonne. Non solo, ma di colonne ne servono almeno due, sennò siamo daccapo a dodici.
Una sola colonna può reggere un eremita, un filosofo, Simeone stilita il Vecchio e gli stiliti suoi seguaci. Per ognuno, però, ci vuole una colonna e per reggere tutta la società …. hai voglia a mettere colonne!
Se poggiamo l’architrave su una colonna e sopra collochiamo la società si corre il rischio di creare un equilibrio instabile e far crollare tutto. Meglio utilizzarne due, credetemi.
Allora prendiamo due colonne, una di nome Rispetto e l’altra di nome Educazione; sopra poggiamo l’architrave Onestà e su di questa la società. Così il discorso funziona.
Chi vuole, può prendere altre due colonne, per esempio Lealtà e Onore, oppure ancora Lealtà e Dignità, oppure un mix di queste o altre scelte da voi a piacere. Insomma fate voi! Alla fine possiamo prendere molte colonne e poggiarci sopra un bell’architrave. Più sono le colonne più solida sarà la base su cui porre la società.
Però, attenzione! Le colonne devono essere tutte della stessa altezza. Se ne utilizziamo due e una, per esempio quella del Rispetto, è più bassa dell’altra, l’architrave non è più perfettamente orizzontale ma sbilenco e prima o poi crollerà.
Se mettiamo più colonne e alcune di esse sono più basse di altre, quelle più alte devono sopportare tutto il peso dell’architrave. Se non sono più che resistenti possiamo avere problemi. Insomma comunque la mettiamo una società se non è fondata su principi solidi, crolla.
Da qui scaturisce una seconda verità. I valori su cui è basata la società devono avere pari dignità sennò è una società squilibrata. Rispetto, Educazione, Lealtà, Onore, Dignità ecc.. devono avere la stessa forza. Non si può rispettare una persona e poi “con tutto il rispetto” ammollargli un pugno sul naso. Non si può fare!
E’ chiaro che le colonne non devono essere troppo basse, sennò l’architrave sfiora il terreno e tanto vale …. !
Se le colonne sono basse, significa che i valori sono solo enunciati ma di applicarli non se ne parla. Una società così, certo non ci fa una bella figura. “Sì, noi siamo onesti, rispettiamo gli altri, siamo educati e non ci ficchiamo le dita nel naso” – dirà qualche membro della società. Poi, uno che viene da fuori, vede che in realtà rubano di tutto, bestemmiano, si incazzano facile e menano botte da orbi. Una società così sarebbe ipocrita. Afferma di possedere dei valori di cui non c’è traccia. E questo non va bene. Non è serio!
Terza verità è, dunque, che i valori esistano e siano mantenuti a livelli alti.
Con questa impostazione, siamo arrivati alla conclusione che una società seria, sana, deve avere:
- tanti valori, più ne ha e meglio è;
- deve osservarli;
- deve osservarli in egual misura;
- deve tenerli sempre alti.
Voi pensate che sia facile vivere così? Vivere tutti i santi giorni che Dio manda in terra senza fare trasgressioni, commettere qualche piccolo furtarello, fare un’infrazione o ammollare qualche fregatura a qualcuno?
Magari la maggior parte si adatterà, i duri e puri, gli onesti come mio padre e mia madre, ma non tutti la pensano allo stesso modo. Ci sarà sempre un Bastian contrario che, anche per spirito di contraddizione, dirà:”Io queste regole non le rispetto. Le regole mi fanno schifo, non le rispetterò mai, per cui rubo, maltratto gli altri e, se mi arrabbio per bene, posso anche uccidere.”
A questo punto la società cosa fa? Penso che, essendo costituita da gente in possesso dei valori di cui sopra, cerchi in prima istanza di convincere Bastiano che non è il caso di comportarsi così. Visto che tutti sono onesti, lui rovinerebbe la società e, per il bene di tutti, dovrebbe cambiare il suo atteggiamento e adeguarlo a quello degli altri.
Se lui persevera allora il problema si complica e si possono adottare varie soluzioni.
Quella più diretta è di eliminarlo fisicamente e risolvere il problema una volte per tutte.
Stando a quanto riferisce Plutarco, Dracone, legislatore ateniese vissuto alla fine del VII secolo a. C., “per quasi tutte le colpe aveva fissato invariabilmente la pena di morte, cosicché si ammazzava anche un individuo condannato per vagabondaggio, e i ladruncoli di verdura o di frutta ricevevano la stessa punizione dei sacrileghi e degli assassini.” Quando chiesero a Dracone perché avesse fissato come pena per la maggior parte dei delitti la pena di morte, rispose che “per quelli piccoli gli sembrava giusta, per i grandi non ne aveva trovata una maggiore.”
Una soluzione molto cruenta ed esagerata. Non si possono uccidere tutte le persone che commettono una scorrettezza, sennò la società vivrebbe in un clima di continuo terrore! Non solo, ma diminuirebbe a vista d’occhio.
Solone, infatti, suo successore, si rese conto dei problemi che ne sarebbero derivati e abrogò per intero, tranne per la parte riguardante gli omicidi, il codice di Dracone che era troppo rigido e, come diceva Dèmade, era stato scritto col sangue.
In maniera meno cruenta, si potrebbe allontanare il disonesto dalla società. In questo caso si dirà:“Senti, caro Bastiano, per il tuo bene è meglio che cambi aria e vai a rompere le scatole in un’altra società, perché se ti fai vedere da queste parti ti può finire male. Per il tuo bene, quindi, sparisci! Il mondo è tanto grande! Vai da un’altra parte.”
Comunque la si metta, la conclusione è sempre la stessa: allontanare la mela marcia dal contesto sociale, ammettendo che, come avviene in natura, una mela marcia non può ridiventare sana. Se la mela è marcia tale rimane, anzi, col tempo, diventa ancora più marcia. Si può solo buttarla via e amen!
Bastiano può pure andare a vivere in un’altra società ma se non cambia parere viene espulso pure da questa e, gira e rigira, la società di partenza se lo ritroverà davanti. Allora si dovranno adottare altri provvedimenti.
La soluzione più seguita è quella di stabilire per ogni reato una pena da fare scontare al colpevole, come risarcimento o punizione, proporzionale al danno arrecato.
Il principio di base adottato nelle società antiche è stato quello comunemente espresso dalla locuzione “occhio per occhio, dente per dente”, meglio noto come legge del taglione.
La legge del taglione o pena del taglione (in latinolex talionis), è un principio di diritto consistente nella possibilità, riconosciuta a una persona che abbia ricevuto intenzionalmente un danno causato da un'altra persona, di infliggere a quest'ultima un danno uguale all'offesa ricevuta.
Questo garantiva il diritto di chi aveva subito un torto ad essere adeguatamente risarcito, ma sanciva anche che chi aveva sbagliato non poteva essere punito a dismisura, in modo spropositato, rispetto al reato che aveva commesso. In sostanza, la soluzione era piuttosto semplice: nei piatti della bilancia, tenuta dalla dea Giustizia, si mettevano gli stessi atti, le stesse azioni, e l’equilibrio era assicurato, con soddisfazione di tutti.
Nella Bibbia, nel libro del Levitico si afferma: “Se uno farà una lesione al suo prossimo, si farà a lui come egli ha fatto all'altro. Frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente; gli si farà la stessa lesione che egli ha fatto all'altro” (Levitico 24. 19-20).
In sostanza potremmo tradurlo in: “Tu cechi un occhio a me e io lo ceco a te, tu rompi un dente a me e io lo rompo a te.” Chiaro che occhio e dente erano forse le cose che, in quel periodo, si rompevano più spesso sennò si sarebbe detto “Corna per corna e gambe per gambe” o “Testa per testa e ginocchia per ginocchia” e così via.
Lo stesso principio figura nel Codice di Hammurabi e nel diritto romano ma la sua applicazione si protrasse anche nel Medioevo e, in alcuni casi, fin nel ‘700.
Tempi duri per Bastiano. Se veniva pescato nelle sue malefatte erano dolori!
Nonostante la severità delle pene, la dinastia dei disonesti non solo è rimasta sempre presente nelle società ma si è anche sviluppata.
I Romani non è che fossero teneri con i colpevoli. In certi casi applicavano pene molto severe, quale la crocifissione. Gesù fu crocifisso assieme a due ladroni. E’ bene ricordarlo!
Eppure, nonostante tutto, Giovenale (Sat. XIII, 22-26) esclama:”C’è forse un giorno talmente di festa in cui non operi un ladro, non si compiano frodi e perfidie, non si lucri da ogni delitto o non ci si procuri il denaro mediante la spada o il veleno? Rari sono gli onesti.”
E successivamente (Sat. XIII, 64-66): “Se vedo un uomo onesto e intemerato rimango stupito proprio come vedessi un fanciullo biforme o dei pesci trovati, gran meraviglia, sotto un aratro.”
Allora, c’è da chiedersi: perché, nonostante la severità delle pene i disonesti continuano a proliferare? Cos’è che li spinge a sfidare la giustizia col rischio di rimetterci la pelle?”
Qualcuno ha detto che a creare il delinquente è la società. E’ la società, col suo sviluppo economico squilibrato, disarmonico che crea disuguaglianze, emarginazioni e, quindi, risentimenti, gelosie, invidie. Da qui la nascita di conflitti tra le classi sociali povere verso le ricche e la nascita inevitabile di una categoria di disonesti che cerca di raggiungere il benessere attraverso la disonestà.
Con tutto il rispetto, questa mi sembra una balla colossale. Se riandiamo al momento della creazione dell’uomo, sappiamo dalla Bibbia che Dio, dopo aver creato Adamo gli prese una costola, mentre questi dormiva, e creò Eva. Dai due nacquero Caino e Abele. Quindi in tutto erano in quattro. Poi Caino uccise Abele. Così scopriamo che il 25% di quella società primordiale era costituita da assassini. In pratica uno su quattro era un disonesto.
Allora, cosa c’entra la società? Quale sviluppo aveva avuto quella società per creare disuguaglianze ed emarginazioni?
Il disonesto fa parte integrante della società. Fare sparire il disonesto significa snaturare lo stesso concetto di società. L’onesto esiste in quanto esiste il disonesto. I due opposti si sorreggono l’un l’altro. Senza l’uno, l’altro non esisterebbe. E’ così, una legge di natura. Forse Dio stesso ha voluto che il disonesto facesse parte del mondo. In fin dei conti, Caino scatenò la sua ira quando vide rifiutate da Dio le sue offerte e accettate quelle di Abele. Se Dio le avesse accettate tutte e due, forse Caino non avrebbe ucciso Abele e saremmo stati tutti onesti, felici e contenti.
In ogni caso vi do un consiglio: quando vi fanno delle offerte accettatele, sempre! Sennò possono succedere dei guai.
La Bibbia ci dice che Caino, dopo l’omicidio, andò via, conobbe altra gente, si sposò, ebbe dei figli, ma nulla si sa sulla sua onestà. Fu il primo boss mafioso dell’umanità o si pentì e divenne il principe dell’onestà? E, i suoi figli, si uccisero tra di loro, o vissero tutti felici e contenti? Mistero!
Penso, pure, che dobbiamo ringraziare quel pover’uomo di Adamo se oggi siamo qui. Adamo doveva essere, tutto sommato, una brava persona, mite, accondiscendente. Oggi potremmo definirlo un galantuomo di vecchio stampo.
Ricreiamo, con l’immaginazione la situazione in cui si trovava Adamo. Lui era il re dell’EDEN, aveva tutto, non aveva pensieri, dormiva e mangiava a sbafo. Non conosceva il dolore. Qualche pignolo dirà che non conosceva il piacere dell’amore e questo, per un uomo, è una grave mancanza. A questo tizio mi sento di rispondere che, per Adamo, questo non doveva essere un problema. Come fai a sentire la mancanza di una cosa che non conosci? Che ne sapeva lui di donne e di come si fa all’amore! Fu Dio che approfittando del suo sonnellino pomeridiano, gli tolse una costola e gli affiancò una donna.
Sono sicuro che Adamo quando si svegliò, a parte il leggero fastidio per avere una costola in meno, quando vide Eva si sarà chiesto: “E mo co’ questa che ce faccio?” Fu Dio, poi, a spiegargli, con calma, tutto quello che i due potevano fare assieme. Ma in mancanza delle istruzioni, che cosa ne poteva sapere quel povero figlio? Eva mica l’ha chiesta lui, gliel’ha data Dio.
Voi, sentite la mancanza della bargiassa?
No. Perché non sapete cos’è!
Qualcuno un bel giorno vi spiegherà cos’è e allora scoprirete che non ne potete più fare a meno, che non potete vivere senza bargiassa.
“Io, senza bargiassa non metto nemmeno il piede fuori di casa!”
“Io, la bargiassa la voglio sempre accanto a me. Come ho fatto a vivere senza bargiassa fino ad oggi?”
Sicuramente non ne potrete fare a meno, ma fino al giorno in cui qualcuno non vi spiegherà cos’è continuerete a vivere come prima senza rimpiangere niente.
Vorreste sapere cos’è la bargiassa? Bene; la bargiassa è …. .No. Non ve lo dico. Non voglio complicarvi la vita. Ci sono già abbastanza problemi e non si sente proprio il bisogno di crearne altri.
Sappiamo, poi, che Eva mangiò la fatidica mela e i due furono cacciati dall’EDEN e si ritrovarono senza arte né parte in un mondo selvaggio nel quale, come aveva detto Dio, lui doveva procurarsi tutto col sudore della fronte e lei doveva partorire con dolore.
La domanda che rivolgo a voi è la seguente: “Adamo, dopo tutto quello che aveva patito, aveva il diritto di essere incazzato? Oggi, in questa società cosiddetta civile, la gente si arrabbia e commette omicidi per molto meno. E se in quel momento di rabbia - tra l’altro non c’era nessuno in giro a fare la spia - avesse commesso un femminicidio, noi come umanità che fine avremmo fatto? Semplice! Non saremmo esistiti. Dio avrebbe fatto tutta quella fatica per niente! Se voleva un’umanità, per popolare la terra, doveva ricominciare tutto daccapo.
Invece, no! Lui paziente sopportò tutto, lavorò come una bestia, scoprì il piacere dell’amore, ma scoprì anche le notti insonni, la petulanza della moglie e in più si ritrovò metà dei figli disonesti.
L’umanità, secondo me, ha corso un bel rischio. Dobbiamo ringraziare Adamo se siamo qui? Credo di sì! Comunque fate voi.
Tornando ai disonesti, per millenni, la regola è stata quella di punirli severamente per le malefatte commesse. Se avevano capito la lezione, bene! In caso contrario, il più delle volte erano eliminati fisicamente. Il principio in vigore era che il disonesto costituiva un peso per la società.
Inutile stare a ricordare casi dove il disonesto veniva gettato letteralmente in una galera fatiscente e lasciato marcire fino alla fine dei suoi giorni.
Nel ‘700, proprio in Italia, irrompe la figura di Cesare Bonesana Beccaria, marchese di Gualdrasco e di Villareggio il quale, con la sua opera “Dei delitti e delle pene”,se ne uscì con una teoria che, tutto sommato, sembrava ragionevole, tanto da essere ritenuta dai più come illuminata. In sostanza diceva:“Non si può trattare una persona alla stessa stregua di una mela. E che cavolo! Un uomo non è una mela. La mela si può mangiare, l’uomo no; anche se a Roma si dice “me te magno er core” o anche “me so’ magnato er fegato” (per questo la cucina romana è un po’ pesante!).Un uomo va trattato da uomo, ha una dignità e la teoria della cesta di mele va abbandonata. Adesso vi dico io come si fa: se uno ha sbagliato, comportandosi disonestamente, va condannato, rieducato e reinserito nella società, facendogli capire che certe malefatte non si fanno. Lui siccome è un uomo, dotato della facoltà intellettiva, capirà di aver sbagliato, si pentirà, rientrerà nella società e saremo di nuovo tutti felici e contenti.”
“Bene, bravo” – disse la gente -“questo sì che è parlare da saggio. Bisogna fare così. Rieduchiamo il disonesto!”
Sembrava una cosa facile da attuare. Bastava chiamare il disonesto, fargli un discorsetto tipo: “Queste cose non si fanno, devi rispettare le altre persone, per cui devi vivere onestamente. Va’ e d’ora in poi non peccare più.” Una procedura simile, si può attuare in un piccolo centro, in un paesotto di poche anime, ma se si deve realizzare in una società numerosa ed articolata bisogna impostare le cose diversamente. Gesù ci provò, dicendo queste stesse parole, e fu crocifisso!
Qualcuno si sedette a tavolino e, presa carta e penna, si mise ad elencare quello che serviva per mettere in pratica le idee di Beccaria. La conclusione fu che, in sintesi, si doveva:
1 – creare uno o più codici, elencando tutti i possibili reati e le rispettive pene da comminare;
2 – creare un corpo di polizia che doveva accertare se una persona aveva violato le regole e in tal caso catturarla;
3 – formare dei magistrati in grado di giudicare l’indagato e, in caso di colpevolezza, condannarlo all’espiazione della pena prevista;
4 – creare delle strutture di detenzione dove rinchiudere il colpevole per scontare la pena;
5 – assumere del personale di sorveglianza, per evitare la fuga del reo lasciando tutti con un palmo di naso;
6 – incaricare degli specialisti per convincere il colpevole che ci si deve comportare da onesti;
7 – preparare uno stuolo di avvocati difensori per la tutela dei diritti dell’indagato.
Naturalmente bisognava mettere in conto anche le spese di mantenimento del detenuto (alimentazione, vestiario, lavaggio indumenti, così via) e di manutenzione delle carceri (pulizia dei locali, riscaldamento, infissi, sistemi di allarme, ecc…).
Per realizzare tutto questo, qualcuno fece dei conti e si vide che i costi che la società doveva sopportare, per convincere una persona a non commettere più reati, era notevole. Se si voleva questo, era giusto che qualcuno pagasse.
Così tutte le famiglie oneste dovettero rinunciare ad una parte del proprio reddito per mettere in piedi una struttura in grado di redimere la pecorella smarrita e reinserirla nell’ambito della società onesta.
Alcuni incominciarono a rimpiangere la teoria della cesta di mele, altri dissero che era giusto così, non potendosi eliminare fisicamente chi sbaglia: “In fin dei conti siamo civili, o no?”
Qualcuno, a proposito delle somme da spendere per dare corpo alla teoria, disse che, tutto sommato, non sarebbero stati soldi spesi male visto che si dava lavoro a poliziotti, magistrati, psicologi, guardie carcerarie e anche un certo impulso all’edilizia.
In sostanza, chi fece quella osservazione, affermò un principio di un’importanza fondamentale:“Il disonesto ha una funzione economica positiva dato che procura dei benefici e vantaggi economici alla società, facendo aumentare l’occupazione e il PIL del Paese.”
Il disonesto, così, fu introdotto ufficialmente nella società come soggetto economico e, quando si coinvolge l’economia, le cose possono cambiare prospettiva. Scelta una strada non si torna indietro, dicevano i nostri padri. Accettato quel principio ci siamo dovuti adeguare.
A onor del vero non bisogna addossare all’autore di questa affermazione tutte le colpe di quello che è successo. Lui si è limitato a far emergere una lacuna insita nell’applicazione della teoria di Cesare Bonesana Beccaria.
Vedo qualcuno fare delle smorfie, come se quanto stia dicendo sia un’esagerazione. La teoria di Beccaria, dirà qualcuno, tende a far sparire la parte disonesta della società e trasformarla in onesta, non a salvaguardarla.
Giusto! Però immaginiamo, e possiamo solo immaginarlo, che in questo stesso istante tutti i disonesti, dico tutti, diventino onesti. Sarebbe un disastro! Che ne sarebbe delle centinaia di migliaia di poliziotti che oggi lavorano grazie alla delinquenza? E i magistrati, che farebbero? Cambierebbero mestiere? E per fare che cosa? Lo stesso possiamo dire delle guardie carcerarie, degli psicologi, degli avvocati e dei periti chiamati dai tribunali per avere i loro pareri. E dei famosi segugi che svolgono l’egregia attività investigativa?
Vogliamo metterci pure l’indotto? Che cosa ne sarebbe di tutte quelle imprese che producono sistemi di allarmi, casseforti, porte blindate, cancelli di sicurezza e cose varie? Vogliamo mettere nel calderone anche i giornali con la loro cronaca nera? Quanti giornalisti sia della carta stampata che della Tv dovrebbero cambiare mestiere se sparisse la disonestà? I criminologi sarebbero a spasso. Insomma sarebbe un disastro! E poi, e poi, e poi ……
Potrei continuare portando tutti fino allo sfinimento, ma mi fermo qui. Importante aver chiarito il concetto.
Immaginate quanta gente si troverebbe di punto in bianco senza un lavoro? Quante famiglie si troverebbero sul lastrico? Ci sarebbero sicuramente scioperi, incidenti, cartelli inneggianti ai delinquenti, motore dell’economia nazionale, discorsi degli immancabili politici pronti a garantire la presenza dei disonesti nella società, anche a costo di diventarlo loro stessi.
Insomma ci sarebbero tumulti e tensioni sociali alle stelle.
No, cari signori, oggi il delinquente è necessario. Che lo vogliate o no, il delinquente oggi è parte integrante della società. Forse qualcuno si è lasciato entusiasmare troppo dall’idea di Beccaria e non ha valutato esattamente le conseguenze che la sua applicazione avrebbe comportato. Adesso è tardi. Non si può tornare indietro. La realtà, che lo si voglia o no, è questa!
Questa enorme mole di denaro, spesa per la loro rieducazione e reinserimento nella società, si sarebbe potuta impiegare per la ricerca, per il benessere delle persone, per tante attività produttive, facendo fare un effettivo progresso alla società. Invece, riconoscendo al disonesto un ruolo nella società, siamo costretti a rivedere l’assetto della società stessa. In sostanza invece di andare in una direzione siamo stati costretti ad andare da un’altra parte.
Tanto il disonesto è entrato nella società che anche molte opere d’arte si sono ispirate alla sua figura.
Non sottovalutiamo pure il fascino che certe categorie di ladri hanno suscitato nella fantasia della gente. I ladri gentiluomini, che rubavano ai ricchi per donare ai poveri, si sono ammantati di un’aureola di celebrità tanto da diventare leggenda. Il popolo si è tanto entusiasmato per questi personaggi come Robin Hood, Rocambole, Arsenio Lupin, Simon Templar detto Il Santo,da osannare anche Salvatore Giuliano, il famoso bandito di Montelepre.
Ora, con tutto il rispetto per i ladri gentiluomini, c’è da evidenziare un aspetto che forse passa inosservato ai più. Un ladro è pur sempre un ladro, uno che sottrae dei beni ad una persona per utilizzare la refurtiva per sé e, nel caso del ladro gentiluomo, anche per gli altri. Se rubasse ad un ricco che si è creato la sua ricchezza rubando, potrebbe andare anche bene. Un ladro ruba ad un altro ladro! Sarebbe come un’applicazione della legge del contrappasso.
“Tu hai rubato agli altri ed io rubo a te. Alla fine facciamo pari e patta.”
Ma se questo ladro gentiluomo ruba ad uno che si è fatta la sua ricchezza onestamente, qualcosa non funziona più perché il ricco passa per delinquente, anche se nella sua vita è stato un esempio di moralità, mentre il ladro passa per un modello di onestà. Questo significa scambiare, in maniera conscia o inconscia, i termini del problema: il ladro diventa l’onesto e l’onesto passa per ladro. Significa scombinare le carte sul tavolo e non rispettare più le regole del gioco. Questo non si fa, non è corretto!
Vogliamo considerare i ricchi delinquenti a prescindere? Non esageriamo! Bisogna, tuttavia, riconoscere che nella società moderna si tende a svuotare le parole del loro significato originario per attribuirgliene un altro di comodo secondo la propria ideologia, le proprie idee o la propria convenienza. Se il ladro si camuffa da onesto e l’onesto da ladro chi perseguiamo? L’onesto che fa il ladro o il ladro che fa l’onesto? Se mettiamo le cose su questo piano non ne usciamo. Pertanto, cerchiamo di dare il giusto significato alle parole che usiamo.
Bisogna riconoscere che il ladro gentiluomo, in questo caso, attua una redistribuzione del reddito nella società, togliendone una quota alla parte più ricca per distribuirlo a quella più povera. E’ strano a dirsi, ma è anche una delle funzioni che svolgono i politici, quando varano una manovra finanziaria, imponendo tasse e balzelli vari. Non è strano?
Bisogna, però, porsi una domanda: l’attività dei ladri gentiluomini, tanto decantati, ha portato a qualche risultato? Stando ai fatti direi di no. I poveri sono sempre lì. Si dà loro l’occasione di spendere per un giorno qualcosa in più per poi tornare alla povertà di prima.
Comunque sia, da quanto detto prima si trae una considerazione: non bisogna mai rubare da soli e per proprio esclusivo profitto. Se la refurtiva viene divisa con altri, si è dei ladri gentiluomini, se si ruba tenendo la refurtiva per sé si è semplicemente dei ladri.
Senza più divagare, torniamo al nostro argomento di base. Visto che, gli stessi onesti hanno riconosciuto ai disonesti un fattivo ruolo nella società allora, quali conseguenze ci saranno sul concetto dell’ architrave che regge la società?
Prima avevamo considerato solo gli onesti e posti su un architrave sorretto da colonne come il Rispetto, la Lealtà, l’Educazione, ecc …
Se sull’architrave ci mettiamo pure i disonesti il discorso non funziona più, perché non può essere sorretto dal Rispetto, la Lealtà e altri valori del genere. Loro negano questi valori, sennò sarebbero onesti!
Quindi, immettendo i disonesti nella società e riconoscendo loro un ruolo al pari degli onesti, l’architrave non può più essere sorretto dalle stesse colonne. Quelle andavano bene per gli onesti non per i disonesti. Cosa facciamo, aggiungiamo a quelle di prima, altre colonne come Falsità, Sopruso, Assassinio e altre cose simili? Queste vanno bene per i disonesti non per gli onesti, e non possiamo metterle assieme. Una società non può essere sorretta da un valore e dal suo contrario. E’ irrazionale, è illogico!
E allora?
Semplice, si creano due società: una degli onesti e una dei disonesti. Due belle società contrapposte: una su un architrave appoggiato su valori positivi e l’altra su un altro architrave sorretto da valori negativi.
Possono due società con queste caratteristiche convivere pacificamente? Assolutamente no! Una delle due deve sparire! Da che mondo è mondo, quando ci sono due società in contrasto una delle due cerca di annientare l’altra. E’ stato sempre così. Una società cerca di sopraffare l’altra con tutti i mezzi.
I componenti della società degli onesti, schierati sul loro architrave, gridano ai dirimpettai disonesti, pure loro schierati sul loro bell’architrave: “Venite qui, diventate onesti. Vivere onesti vi fa sentire bene e moralmente puliti. Faremo di tutto per convertirvi.”
“Non ci pensate nemmeno” - rispondono gli altri –“Anzi faremo di tutto per conquistare anche le vostre posizioni! Arrendetevi!”
Come avviene normalmente, tra le due società esiste un flusso migratorio, per cui delle persone si trasferiscono in via definitiva dall’una all’altra abbandonando i vecchi valori e abbracciando i nuovi. Accanto a questi bisogna considerare pure i frontalieri o pendolari: persone che si spostano solo per un breve periodo per tornare, poi, tra le braccia della società d’origine. Stanno con occhi e orecchi attenti a percepire ogni vantaggio che ne possa derivare loro dall’appartenenza all’una o all’altra dopo di che, usufruito dei benefici, ritornano alla società da cui si sono mossi, pronti a spostarsi alla prossima occasione. Non si tratta di una condivisione di valori ma di opportunità principalmente economica.
Queste due società non vivono in territori separati ma sono integrate per cui gli appartenenti all’una o all’altra non sono distinguibili. Non è che quelli che appartengono alla società degli onesti hanno le ali dietro la schiena e l’aureola in testa per cui quando se ne incontra uno si possa dire: ”E’ sicuramente un onesto!” Così pure i disonesti non sono provvisti di corna, belle lunghe e ramificate, per cui quando se ne vede uno si possa dire: “Quello è un disonesto.”
Due società con regole, schemi, strutture e, addirittura, linguaggi totalmente diversi. Una, quella degli onesti, permissiva, orientata a garantire la massima libertà ai propri componenti, molto attenta alla tutela dei diritti, soprattutto dei disonesti, ma quasi assente quando si tratta dell’adempimento dei relativi doveri, dotata di procedure per l’amministrazione della giustizia vecchie, farraginose e burocraticamente inefficienti, il tutto condito con una buona dose di ipocrisia. L’altra, quella dei disonesti, praticamente senza regole se non quelle dettate dal capo, sbrigativa, essenzialmente operativa e con una burocrazia inesistente. Nell’amministrazione della giustizia, inoltre, si affida completamente al concetto della mela marcia, nel senso che se uno dei suoi componenti fa uno sgarro viene tolto fisicamente dalla società. La biblica legge del taglione è troppo all’avanguardia ed è impensabile che le idee di Cesare Beccaria possano trovare applicazione in un simile contesto. Se a un componente questa società si chiedesse se conosce Beccaria, sarebbe facile sentirsi rispondere: “Cu minchia è?”
E’ un sistema giudiziario che si tramanda da padre, mi viene da dire da padrino, in figlio dai tempi dei tempi. Un codice penale non scritto ma molto chiaro. Praticamente non c’è bisogno di alcun giudice, in quanto il colpevole sa già cosa lo aspetta. La giustizia viene applicata in tempi brevissimi ed è efficiente. La pena arriva subito dopo aver commesso lo sgarro. Si va per le spicce.
Un ritorno alle vecchie e sane tradizioni dei nostri avi! Dracone sarebbe felice di sapere che, ancora oggi, qualcuno adotta il suo Codice.
Sul piano economico la società dei disonesti è riuscita, col tempo, a impostare una struttura speculare a quella degli onesti. Accanto ai lavoratori autonomi, quelli che lavorano in proprio o con l’aiuto di qualche amico o parente, si sono create anche medie e grandi imprese che hanno ramificazioni anche all’estero. Delle vere e proprie multinazionali.
La produzione, sia in servizi sia in beni materiali, è talmente differenziata che per enumerare tutte le tipologie si è scritto un libro grosso come un elenco telefonico. I servizi variano dai furti all’attività di killeraggio, alle intimidazioni ed estorsioni mentre quella di beni materiali va dalla produzione di stupefacenti alle borse e capi di abbigliamento contraffatti: i famosi “tarocchi”.
Non solo! Si è venuto a creare anche una specie di Welfare per gli associati in momentanea difficoltà per essere incappati nelle leggi degli onesti. Una forma di assistenza per le famiglie il cui capo sta subendo la cura del reinserimento e, quindi, prive di una fonte di reddito.
Tuttavia, senza voler entrare troppo nei particolari, c’è un ulteriore elemento da considerare: l’attività dei disonesti non ha sosta e si esercita 24 ore al giorno. Non esistono domeniche né feste comandate, né tantomeno ferie da godere dopo un anno di duro e rischioso lavoro. Non c’è orario sindacale da rispettare, si lavora a ritmo continuo come in una catena di montaggio. Nonostante tutto, non protestano mai. Mai visto uno sciopero dei disonesti che vadano in piazza a reclamare con cartelli e striscioni orari di lavoro in accordo coi contratti nazionali. Mai nessuno che si sia lamentato, strillando con megafoni e suonando tamburi, per la paga oraria troppo bassa.
Avete visto, invece, come sono arrabbiati gli onesti quando manifestano? Bandiere, striscioni, slogan contro il datore di lavoro sfruttatore e affamatore di famiglie, richiesta di migliori condizioni di lavoro ed economiche, mentre dalla parte dei disonesti niente, silenzio. Per caso il boss è un datore di lavoro migliore dell’imprenditore onesto?
Perché i disonesti sono più contenti degli onesti? Cos’è che la società degli onesti non riesce a dare ai propri componenti?
Questa organizzazione, che produce e, soprattutto, crea posti di lavoro, ha avuto un tale successo da essere adottata da quasi tutti i Paesi del mondo. Se ha registrato una tale diffusione vuol dire che è un modello che funziona!
Quella in atto tra le due società è una guerra atipica, combattuta con mezzi diversi. L’una brandendo come arma il convincimento, la rieducazione e l’altra cercando di incunearsi nelle strutture dell’avversaria per corroderla dall’interno, indebolirne le fondamenta fino a farla crollare e, per fare questo, approfitta delle sue debolezze e ipocrisie per espandersi e fare proseliti.
Volete un esempio?
La società degli onesti, in genere, è costituita da una democrazia rappresentativa. Quando ci sono elezioni gli onesti voteranno per un rappresentante onesto ma, i disonesti, secondo voi, per chi voteranno? Per un rappresentante onesto? No! Voteranno per un disonesto. E, allora, perché meravigliarsi se tra gli organi elettivi ogni tanto qualcuno viene indagato?
Bisogna essere coerenti! Se quello è un rappresentante dei disonesti, democraticamente eletto, cosa volete che faccia? Che si metta a predicare l’onestà? Per essere un rappresentante credibile, in quanto a disonestà, ne dovrebbe sapere proprio tanto. Però, ipocritamente, la società degli onesti vuole che gli organi elettivi siano composti tutti da elementi onesti contraddicendosi vistosamente!
Allora, il povero rappresentante dei disonesti non può uscire allo scoperto dicendo: “Sì, sono un rappresentante dei disonesti, faccio i loro interessi e cercherò di farli rubare e delinquere il più possibile” ma si camuffa da onesto e agisce come se fosse tale.
Dal che si deduce che la democrazia è ancora non completamente realizzata! Se così fosse tutti dovrebbero accettare che dei disonesti facciano parte degli organi elettivi. E’il concetto stesso di democrazia che lo impone!
(Da dietro le quinte si sente un “Pss, pss, pss.” L’attore si gira, va verso le quinte, ritira un foglietto e torna al centro del palcoscenico.)
Scusate mi hanno dato un foglietto per comunicarmi che delle persone, nonostante il caldo, vanno in giro coprendosi la testa con scialli e sciarpe. Pare che i negozi, data la consistente richiesta di questi articoli, abbiano finito le scorte.
Lo sapevo, prima o poi doveva accadere! Speriamo bene!
Scusate, andiamo avanti.
Allora dicevamo!
Alla società che affida la sua azione alle intimidazioni, alla corruzione, agli omicidi se ne contrappone un’altra permissiva, comprensiva, accomodante. La società degli onesti, se veramente volesse fare la guerra ai disonesti, dovrebbe contrastarli e punirli. Invece, no. Anzi, alcune volte li incoraggia, li stimola. Sissignore!
“Hai costruito abusivamente una villa con piscina? Non ti preoccupare adesso sistemeremo tutto. Faremo una bella legge che fa diventare il tuo abuso legale e saremo tutti felici e contenti!”
Così pure:“Hai esportato illegalmente capitali nei paradisi fiscali? Non c’è problema. Corrispondendo una piccola somma, faremo una legge che cancellerà il tuo reato e tutto tornerà come prima!”
In sostanza, dietro un corrispettivo in denaro, si emana una legge che fa diventare legale un’illegalità. Ma che razza di moralità ha una legge che in cambio di soldi fa diventare legale l’illegale?
Può una legge trasformare in legale una cosa illegale senza diventare illegale essa stessa?
Pare di sì. E allora che convenienza ha una persona a rimanere onesta quando facendo il disonesto ottiene anche uno sconto? Agendo in questo modo forse l’onesto non si trasferirà definitivamente nell’altra società ma, quantomeno, si iscriverà nel gruppo dei pendolari o degli onesti a part-time, cioè di quelli che passano da un architrave all’altro con la massima disinvoltura.
Queste persone se ne stanno sull’architrave degli onesti ma, alla prima occasione, quando si presenta loro un’opportunità, passano dall’altra parte, di soppiatto, senza farsene accorgere da alcuno, fanno le loro marachelle salvo poi a ritornare da dove sono partiti.
Applicare una simile strategia, significa intaccare i propri valori e dare una bella scorciata alle colonne facendo abbassare l’altezza dell’architrave per portarlo più vicino al terreno. Per l’altra società, invece, si traduce in un rafforzamento dei loro valori e, quindi, in un architrave più solido.
(Da dietro le quinte si sente nuovamente un “Pss, pss, pss.” L’attore si gira, va verso le quinte, ritira un foglietto e torna al centro del palcoscenico.)
Mi comunicano che delle persone si sono recate al Pronto Soccorso per farsi tagliare delle corna cresciute all’improvviso sulla loro testa.
Perbacco! La situazione incomincia a diventare grave! Speriamo che si fermi qui e non trascenda!
Comunque andiamo avanti!
E’ questo il dramma dell’attuale società degli onesti. Non essere riuscita a dotarsi di strumenti idonei a contrastare l’avanzata di quella dei disonesti. Continua ad adottare uno schema ormai vecchio, superato. E’ come giocare una partita di calcio dove, ad essere benevoli, una squadra si attiene alle regole mentre l’altra non si fa scrupolo di prendere la palla con le mani e menare botte da orbi. Sicuramente la prima è destinata alla sconfitta.
Se la società degli onesti non riesce a neutralizzare quella dei disonesti, allora i singoli componenti, cercano di difendersi come possono. Mettono inferriate alle finestre, blindano le porte, mettono sistemi di allarme, insomma si costruiscono un proprio carcere personale dove si rinchiudono per sentirsi al sicuro, senza subire l’assalto dei disonesti. Quando si esce si sta attenti a non frequentare certe strade perché ritenute pericolose; l’orario delle uscite è condizionato dalla paura di fare brutti incontri, ci si porta appresso qualche sistema di allarme o di difesa personale. Anche alcuni telefonini hanno una funzione per chiamare aiuto in caso di emergenza.
In conclusione, inconsciamente, la società degli onesti, nello sforzo di garantire la massima libertà ai suoi componenti, in realtà l’ha pesantemente limitata cadendo in una vistosa contraddizione. Invece di garantire la libertà la limita!
Così si assesta un altro bel colpo alle famose colonne degli onesti e l’architrave traballa e si abbassa ancora di livello.
(Da dietro le quinte si sente nuovamente un “Pss, pss, pss.” L’attore si gira, va verso le quinte, ritira un altro foglietto e torna al centro del palcoscenico.)
Scusate questa interruzione. Mi è stato dato un altro foglietto. Pare che la città sia bloccata perché a parecchi cittadini sono cresciute delle corna, lunghe e ramificate, e la circolazione è diventata difficoltosa. Gli automobilisti sono rimasti intrappolati in macchina e non riescono ad uscire dall’abitacolo, mentre ai pedoni si sono impigliate le corna e non riescono a districarsi.
Oddio! Mi sta venendo il mal di testa! Una fascia, per favore datemi una fascia!
(L’attore si tocca la testa come se volesse constatare l’insorgenza di corna, va verso le quinte, la ritira e con quella si fascia la fronte.)
Qualcuno forse sta pensando: ”Sì, va bene, ci sono alcune contraddizioni e incoerenze ma sostanzialmente il sistema funziona!”
Ne siamo sicuri?
Il sistema funziona quando chi ha commesso un reato, una volta catturato, viene sottoposto a giudizio, in tempi brevi, e in caso di condanna gli fa scontare la pena prevista.
In teoria, quindi, nessun delinquente dovrebbe farla franca. Certo se il numero di reati è grande non si può pretendere che tutti i colpevoli vengano rintracciati e perseguiti. Sarebbe pretendere troppo! D’altra parte non bisogna esagerare. Tuttavia, per convertire un colpevole e reintegrarlo nella società bisogna prima catturarlo! Ma se lui non si fa catturare …….. chi si converte?
Se il disonesto non viene catturato la teoria fallisce miseramente. Anzi, si rafforza nel ladro l’idea di poterla fare franca e, quindi, che tutto sommato essere disonesti paga. “Ruba” – dirà il disonesto – “Tanto non ti prendono!” Praticamente abbiamo ottenuto l’effetto opposto; abbiamo dato, ad altre persone, un incentivo a delinquere garantendo per la maggior parte di loro l’impunità. In conclusione abbiamo messo in campo una schiera interminabile di avvocati, giudici, poliziotti e quant’altro per niente, o quasi!
Bisognerebbe contare sulla sensibilità del disonesto il quale, preso dal rimorso, dica: ”Sì, sono io che ho rubato, mi pento di tutto, mettetemi in galera”. Però se così fosse, sarebbe ancora peggio, perché la teoria prevede che sia la struttura carceraria a convertirlo all’onestà. Se lui si converte da solo, è finita! Tanto valeva lasciare stare tutto come prima e buonanotte! Ci saremmo risparmiati un bel po’ di soldi.
Ammettiamo pure che la società riesca a catturare tutti i colpevoli di reati. Allora si procede al loro arresto per metterli in …. Già dove si mettono? I posti disponibili nelle carceri sono molto limitati, insufficienti per ospitare tutti.
Al povero colpevole che cosa diciamo:”Senti, vorremmo tanto ficcarti in galera ma purtroppo sei capitato in un momento sbagliato. I posti sono al completo. Ripassa tra qualche mese e vedremo quello che si potrà fare!”
Dire una cosa del genere sarebbe come dichiarare forfait e la società degli onesti non se lo può permettere.
Mi ricordo che una volta andava di moda una barzelletta. Un soldato coraggioso, da solo, era riuscito, con manovre spericolate e geniali, a catturare 150 soldati nemici. Quando comunicò, via telefono, la notizia al comando il Generale gli disse: “Bene, bravo. Portali in caserma.” Al che il soldato rispose:”Non mi lasciano venire!”
Purtroppo il numero di posti disponibili, per essere rieducati, è chiuso come nelle Università.
Qualcuno potrebbe dire: “Bene, allora facciamo come le Università. Si faccia un bel concorso per il numero di posti disponibili, si sottopongano i candidati a dei test secondo la loro specializzazione e si scelgano i disonesti più meritevoli.”
“E gli altri?”
“Che vadano all’estero a farsi rieducare. Emigrino!”
In verità, si è provato ad aumentare il numero di posti disponibili nelle carceri facendo stringere un po’ di più gli ospiti, ma è successo il finimondo. Chi digiunava, chi ha fatto petizioni in Parlamento, chi ha fatto cortei per l’intollerabile sovraffollamento. Insomma, si è scatenato l’inferno!
Allora qual è la soluzione?
Fare nuove carceri, aumentando i già alti costi della Giustizia? I conti dello Stato non lo consentono. Bisogna costruirli, assumere personale, accollarsi altre spese correnti, insomma ci vogliono tanti soldi, che nelle casse dello Stato non ci sono. Bisognerebbe aumentare le tasse provocando una forte reazione da parte degli onesti che per ripicca potrebbero andare a ingrossare le fila dei disonesti. E allora che si fa? Come si risolve il problema?
C’è da considerare anche un’altra questione. Una volta catturato il colpevole bisogna giudicarlo in tempi brevi. Non si può dire ad un imputato:”Sai abbiamo troppo lavoro da fare e per adesso giudicarti è impossibile. Ripassa fra qualche anno e vedremo se ti possiamo accontentare. Tu nel frattempo continua a rubare e poi faremo tutto un conto. Ti redimerai dopo.”
Qualcuno ebbe un’idea geniale:”Se bisogna sfoltire il carico di lavoro incominciamo con il togliere tutti i reati più vecchi, commessi prima di una certa data. Così, con una fava prendiamo due piccioni; diminuiamo il numero di reati da esaminare e facciamo un’operazione di civiltà non facendo aspettare troppo l’imputato. Come riflesso secondario avremo anche un ridotto numero di colpevoli da mettere nelle patrie galere e saremo tutti felici.”
La proposta fu accolta con entusiasmo, tanto che si avanzò l’idea di proclamarlo santo subito! Fu così che si introdusse la prescrizione.
A dire il vero qualcuno degli onesti non era d’accordo e disse: “Poiché la società degli onesti non è capace di smaltire tutte le pratiche, dopo un certo periodo considera un reato come non avvenuto. E chi s’è visto, s’è visto. Tuttavia, se c’è un reato, ci saranno anche un colpevole e una vittima. Se su tutto si passa un colpo di spugna, qualcuno subirà un torto. In tal modo si arriva alla conclusione che la Giustizia crea Ingiustizia. Può essere accettabile in una società civile una cosa del genere?”
La portata di quella decisione fu sottovalutata; forse si pensò ad una situazione temporanea, di emergenza, tanto per rimettersi un po’ in pari col lavoro e non si capì che, invece, doveva essere adottata in forma permanente e addirittura ampliata.
In realtà, secondo me, questa situazione si è determinata a seguito di una scelta ben precisa da parte dei disonesti.
In una guerra in corso, com’è quella tra società degli onesti e quella dei disonesti, uno stratega cosa fa? Osserva, analizza, medita e cerca una strategia per intaccare i principi basilari del sistema. Colpendo quelli, il sistema si frantuma, cade a pezzi. Se in un edificio miniamo le fondamenta con della dinamite e la facciamo esplodere questo cadrà giù come un castello di carte.
Il ragionamento fatto deve essere stato più o meno questo: “Se si esaspera la tendenza in atto cosa succede? Se gli abitanti di un’intera città commettono un reato, non di nascosto ma alla luce del sole, in modo che tutti siano individuabili, come si interviene? Se un intero Paese si rifiuta di obbedire a una legge, come si fa a processare una intera città o un intero Paese? E ammesso che si riescano a giudicare e condannare tutti i singoli cittadini, si circonda la città di mura e si trasforma in un enorme carcere? E nel caso in cui l’intero Paese commetta un reato, si condannano milioni di persone? A quel punto la vittoria dei disonesti è raggiunta!”
Un’idea geniale, non c’è che dire!
Aumentando il numero dei reati, il sistema giudiziario viene colpito nel suo punto debole. Insistendo su quest’idea i disonesti hanno mostrato che non tutti possono essere catturati e condannati e che l’attuazione delle idee di Beccaria fa cilecca.
(Da dietro le quinte si sente nuovamente un “Pss, pss, pss.” L’attore si gira, va verso le quinte, ritira un altro foglietto e torna al centro del palcoscenico.)
Scusate questa interruzione. Pare che l’epidemia si stia estendendo anche nei paesi limitrofi e non ci sia territorio dove non si stia sviluppando questo fenomeno.
Una tragedia! Sono molto preoccupato!
Se i reati continuano ad aumentare ad un ritmo sostenuto, la corruzione dilaga, le ruberie diventano più frequenti e la sola prescrizione non basta più. Serve qualcos’altro. Bisogna trovare altri accorgimenti.
Altre riunioni, altre discussioni, altre decisioni.
Per svuotare le carceri, si è fatto ricorso, ai condoni e alle amnistie. Perdonare chi ha sbagliato è un dovere della società civile e, allora, chi si è comportato bene viene rimesso in libertà abbonandogli la pena residua.
“Se hai finito di rieducarti, bene, sennò, sarà per la prossima volta!”
Anche questi provvedimenti, però, si sono rivelati insufficienti, perché poco dopo le carceri si sono riempite nuovamente e sono riprese le discussioni sui provvedimenti da prendere.
Sono uscite fuori, così, le altre idee della depenalizzazione di certi reati, cioè della trasformazione di alcuni di essi da penali in amministrativi (paghi una multa, ti levi dalle balle e la rieducazione te la fai da solo!) e, ancora, delle pene alternative,affidando i detenuti ai servizi sociali. Si dice al disonesto. “Caro mio, invece di finire in carcere ti appioppiamo una bella multa e amici come prima”.
Invece di ribadire il principio della certezza della pena si afferma quello dell’aleatorietà della pena.
Cioè, invece di andare in una direzione siamo andati dalla parte opposta!
Se uno rompe le corna a un altro, quanto gli spetta di pena? Dipende! Se c’è posto in carcere o meno. Se è un momento di particolare affollamento, perché nello stesso periodo si sono verificati altri reati più gravi, dando la precedenza a questi ultimi, può essere che se la cavi con una multa o qualche periodo di clausura nel proprio domicilio.
Insomma, per ogni reato non c’è una pena certa da scontare. Dipende da molti fattori. In sostanza la bilancia della Giustizia sarà sbilenca, perché su un piatto c’è un fatto certo e sull’altro qualcosa che varia nel tempo in relazione a varie circostanze. Le pene cambiano valore come i titoli in Borsa.
Questo significa assestare un altro bel colpo all’altezza delle colonne che reggono l’architrave e far traballare la società degli onesti. In definitiva si assottigliano i valori morali.
(Da dietro le quinte si sente una esplosione e un gran rumore come se crollasse un edificio. L’attore ha come un sussulto e poi continua.)
Lo sapevo! E’ crollato l’architrave con tutta la società degli onesti! Hanno vinto loro: i disonesti.
Ecco perché mi ero chiuso in questo rifugio! Sapevo che prima o poi sarebbe successo. L’avevo previsto.
Oddio! E’ la fine! (Si tocca la fronte.) Ma io non mi arrendo!. Non mi arrendo! Resisterò fino alla fine. Sarò l’unico germe dell’onestà! Non posso diventare disonesto. Non posso e non voglio. Per questo non mi arrendo. No! Nooo! Nooooo!
(Mentre dice queste parole un faro restringe la luce sul corpo dell’attore fino a illuminarne solo la testa. Quando pronuncia le ultime parole il faro si spegne e cala il sipario.)