L’uovo

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L'UOVO

Titolo originale: "L'OEUF"

Commedia in due atti

diFélicien Marceau

Versione e adattamento di LUCIANO SALCE

PERSONAGGI

EMILIO MAGIS - Il medico

Barbedart – Tanson

Prima donna - Seconda donna

Terza donna – Ragazza

Signorina Duvant

Cliente- Dufiquet

La mamma - Giusti­na

Gustavo - Giorgina

Cameriere di caffè

Rosa - Eugenio

Primo cliente del caffè

Secondo cliente del caffè

Berthoullet

Signora Berthoullet

Lo zio di Montauban

Ortensia Berthoullet

Lucia Berthoullet

Carlotta Berthoullet

Raffard - Giuseppe

Dugommier - La portie­ra

Il presidente - L'avvocato

Il procuratore generale.

Commedia formattata da

La Scena:        il fondo e le pareti sono grigie, di quel grigio tipico di Parigi. A destra, sopra il caffè, si vedrà una facciata di pa­lazzo (finestre, ecc.). Una porta al fondo, un'entrata a sinistra e una a destra. Sulla destra, un caffè            - (tendone a strisce e due ta­volini). Sul fondo, sempre a destra, un piccolo armadio, eventualmente ricavato nella parete. Da destra un letto appare e scompare a tempo. Sempre a destra, una panchina da giardinetto pubblico e un segnale di fermata d'autobus. A sinistra, in primo piano, un registratore di cassa. In primissimo piano, al centro, un tavolinetto con una radio. Davanti al sipario, appeso ad un attacca­panni, un cappello. (Per maggior chiarezza, l'Autore ha indicato una certa disposizione scenica, ma non sono che indicazio­ni. La commedia ammette altri dispositivi scenici. Al Teatro dell'Atelier, per esempio, André Barsacq ha immaginato un sistema di tre girevoli, che portano successivamente in scena gli ambienti e i personaggi desiderati).

 

ATTO PRIMO

Quando il sipario si alza, Magis è solo, in ribalta. E' occupato a riparare una radio. Canticchia, si grat­ta, fa delle smorfie. Dopo qualche minuto:

Magis                            - (verso il pubblico) Lavoretti... (Torna alla sua radio. Un'altra pausa) La domenica, per forza... Passo il tempo... (Improvvisamente la radio si scatena: musica più moderna possibile. Magis sussulta, poi ascolta. La radio si spegne bruscamente. Magis, con un gesto di dispetto, torna a ripararla)

Magis                            - Anche qui, in fondo, non c'è che da tro­vare il sistema... Come nella vita... (Parla lasciando dei silenzi fra una frase e l'altra, come uno che parli da solo. A poco a poco il suo discorso si organizza)... Ma nella radio, il sistema è visibile... palpabile... Del­le valvole, dei fili... (Dà un pugno all'apparecchio. Musica)... Scientifico... il sistema della vita, invece... Sapete come l'ho scoperto, io, il sistema? Attraverso questa frase, state attenti: Egli si risvegliò fresco come una rosa. Non sembrerebbe, eh? Una frasettina così... Be', c'è tutto, lì dentro, tutta l'impostura... A dargli retta, si svegliano tutti freschi come rose. La gente, i giornali, la radio... Tutti. O almeno, neparlano così spesso, che è segno che a loro succede sempre. Bene, io, mai mi sono svegliato fresco come una rosa. Mai. Il mondo, mi stava di fronte come un uovo, liscio, chiuso, impenetrabile. Con dentro, cosa? Degli uomini freschi come una rosa. Meno io. Solo. Escluso. Differente. L'eccezione. Il cattivo. Il colpevo­le. Alle lunghe, cominciai a preoccuparmi. E andai da un medico, uno specialista... (Magis prende il cappello e va verso il Medico in camice bianco, che è entrato da destra e sta riavvolgendo lo stetoscopio).

Medico                          - Non sarete robusto, ma avete una salute di ferro. Potete campare cent'anni.

Magis                            - Ma questi disturbi?

Medico                          - Cosa vi sentite esattamente?

Magis                            - Oh, niente di grave, ma la mattina mi sento una pesantezza, la bocca cattiva, arrugginito, im­barazzato, le scapole, le cosce, internamente, come se mi tirassero...

Medico                          - Mah! Ce l'ho anch'io. Niente di grave.

Magis                            - Ma gli altri, allora?

Medico                          - Quali altri?

Magis                            - (tornando verso il pubblico) Eppure, un competente, uno serio, uno specialista, un grand'uffi-ciale. Neanche lui si risvegliava fresco come una rosa. Andavo in ufficio... (Il Medico è uscito da destra. Dal­la sinistra entrano Barbedart e Tanson, due impiega­ti del Ministero. Barbedart apre una pratica e Tan­son fa delle barchette di carta. Barbedart è vecchio, Tanson più giovane)

Magis                            - Barbedart, tu, di mattina, ti svegli, come?

Barbedart                      - Alle sette, Magis. L'ora dei prodi.

Magis                            - Sì, ma come?

Barbedart                      - Salto giù! Uno, due. (Imitando una trombetta) Taratatatata.

Magis                            - Allora non c'è nessun merito.

Barbedart                      - Come, non c'è merito? C'è, sissignore. Tutta questione di disciplina. Ho una gamba che mi pesa, io, la destra. Ricordi di guerra. Le notti in trincea, all'umido.

Tanson                          - (con uno tono ebete) Vedi, tu hai la gam­ba. Io, casomai, ho la gola. Tutte le mattine ho mal di gola. Come contratto, non so. Poi prendo il caffè evia, sparisce. Dicono che sia il nervoso. (Magis tor­na verso il pubblico, mentre Barbedart e Tanson esco­no portandosi appresso le pratiche).

Magis                            - Ecco. Il medico, Barbedart, Tanson, io, già eravamo in quattro a non risvegliarci freschi co­me una rosa. I primi quattro a cui lo domandavo. Ma allora, la frase? Ma il sistema? Ma l'uovo?... E' come la mia verginità. A diciannove anni, ero ancora ver­gine. Era un po' seccante... A bottega, i colleghi... Un giorno, mi sono detto: Be', basta, è ora di finirla. La­voravo da Dufìquet, allora, in rue Fontaine. Per tor­nare a casa, rue Borrego, facevo boulevard de Clichy, boulevard Rochechouart... Posti non proprio eleganti... Una verginità, da quelle parti, non avrebbe dovuto durare molto. C'erano le professioniste, ma non dico di quelle. Intanto non ne avevo i mezzi. Poi, volevo una vera avventura... Alla mia età... Sentivo i colle­ghi di banco: « Ieri, caro mio, ti vedo passare una bambola. Dico: Be'? E lei: Ochei, mi dice». Sembra­va tutto facile, infantile. Allora, una volta, a piazza d'Anvers... (E' entrata la prima donna e si è seduta sulla panchina. È giovane e piuttosto carina).

Magis                            - Mi dico... mi avvicino... (Si siede anche lui, spiando la donna).

Prima donna                  - Scusi, signore, può dirmi l'ora?

Magis                            - (con un cenno d'intesa al pubblico) La mossa classica, no? (Alla donna) Le sei e mezzo, si­gnorina.

Prima donna                  - Grazie.

Magis                            - Potrò forse ritardare di due o tre minuti.

Prima donna                  - Non fa niente, tanto, ho tempo.

Magis                            - (ancora con un cenno d'intesa al pubblico, poi alla donna) Potremmo andare a prendere qual­cosa... insieme...

Prima donna                  - (stupita) Insieme? E per far che?

Magis                            - (alzandosi, furioso) Ecco! Ma guarda un po'! Una donna sulla panchina, in un giardinetto, mi pare chiaro, no? Evidente. Uno pensa all'amore... E che ti domanda l'ora, come se non bastasse. Se non ci avessi provato, mi avrebbero sfottuto per l'eternità. Be', niente da fare. Quella lì, non pensava all'amo­re. Ma il sistema? Ma allora ci sono donne che do­mandano sul serio che ora è?... Un'altra... (La prima donna è uscita. La seconda donna è entrata ed è an­data alla fermata dell'autobus, sbuffando. È meno giovane e meno bella. Magis le si avvicina).

Magis                            - (farfugliando) Se vogliamo andare da qualche parte..

Sec. donna                    - Come dice?

Magis                            - (gridando) Ho detto: Se vogliamo andare da qualche parte.

Sec. donna                    - (carezzandosi il mento) Ma guarda qua! Un ragazzino con quest'aria per bene, anche... E con questa bella giornata... Vai, vai a fare una bella passeggiata... Ti stancherai lo stesso, e ti verrà un bel colorito.

Magis                            - (tornando verso il pubblico) Il bel colori­to! Me ne fregava assai, a me, del colorito. E la mia anima, eh? a nascondersi? E il dominio dei sensi? E questa brama, vedi sistema, che ci dilania? A lei, non la dilaniava, state tranquilli... Un'altra, alla sta­zione... (La seconda donna è uscita. Passa la terza donna, una vera madre di famiglia).

Magis                            - Se vogliamo andare da qualche parte...

Terza donna                  - (spaventata, sussultando) Eh, che, cosa volete?...

Magis                            - (esasperato) Se vogliamo andare da qual­che parte...

Terza donna                  - (furiosa) Come? Cosa? Alla mia età? Una madre di famiglia! Ma, dico, per chi mi prende, lei? Per una puttana?

Magis                            - (smarrito) Ma non parlavo mica di pa­gare...

Terza donna                  - (lo insegue brandendo il parapioggia) Sporco individuo! Lurido! Anche questa dovevamo vedere! Degenerato! E alla stazione! (Magis si è ri­fugiato dietro la radio).

Magis                            - Il sistema! A dar retta al sistema, le don­ne si sentono tutte lusingate dai tentativi di assalto... Anche quando non sono d'accordo. Avete visto come era lusingata, quella! (Traffica un po' con la radio e ne esce una musica idiota) Un'altra... (Entra la ra­gazza. Magis la prende per mano, eseguono una spe­cie di balletto).

Magis                            - Commessa. Galleria Lafayette. Chincaglie­ria. Non era quel genere di prima. Bisognava andarci piano. Io ci andavo piano. Un appuntamento... Due... tre... un due tre. Il romanzetto. Passeggiate, mano in mano... Dammi il braccio, o mia piccina... Un giorno, mi butto. (Alla ragazza) C'è un albergo, più in là...

Ragazza                        - Un albergo?

Magis                            - Se ci vogliamo andare... un momentino...

Ragazza                        - (delusa) Ah... sei un uomo... così?

Magis                            - Be', come vorresti che fossi?

Ragazza                        - Ci sono un mucchio di donne che per 500 franchi ti fanno quello che vuoi. (Esce dal fondo).

Magis                            - Grazie dell'informazione. Ma il sistema? Mi fossi buttato su Greta Garbo, capirei. Con Greta Garbo la possibilità di scacco è prevista, il sistema l'accetta. Ma, avrete visto, mi attaccavo alle brutte, alle tristi, alle senza speranze. Allora? Come faceva­no gli altri? Finché non ho capito il sistema, la que­stione atroce per me è stata: come fanno gli altri? Ochei, mi dice. Facilissimo. Il cinema, il teatro, la rivista. (Cantando) E una sera a passeggio nel viale vidi la bella, l'altera e fatale. Ella mi disse: Vieni con me Della mia alcova tu sarai il re. In tutti i campi! Inevitabile. Da far pensare che il cielo non fosse più il cielo, ma un immenso sedere posato sul mondo e che scende lentamente. Tutti che trovano da sistemarsi. Meno io. Tutti con la loro chiave. Meno io. Sapete quanto mi ci è voluto per quella lì, la faccenda della verginità? Tre anni, signo­re, signori. Tre anni, proprio così. E voi?... Assurdo? E perché? Perché, tre anni è più assurdo che tre mi­nuti?... Se ci riflettete un momento, se andiamo al fondo delle cose... Il calcolo delle probabilità... Basta ragionare... Soltanto, ecco, non si ragiona mai... e ci si mette a mentire... La mattina, a bottega da Dufì­quet... (Stirandosi) « Cari miei, cerchiamo di non far troppo faticare il sottoscritto... Stanotte, ragazzi... » (Al­za tre dita) Questo fino al giorno in cui mi son detto: Ma se mento io, perché non dovranno mentire anche gli altri? Ochei, mi dice. Magari non era vero. E' questa la trovata del sistema: obbliga a mentire ed ogni menzogna lo rinforza. Così mentivo anch'io. A mia volta. Per vanità? Pfttt. Era per disperazione. Per raggiungerli. Perché se non mentivo, sarei rimasto solo. Per modestia, addirittura. Sì, ecco, ecco, credo di esserci arrivato. Il sistema, è la nostra modestia. Una donna, una panchina di giardino pubblico, un uomo. Totale prevedibile: folli ebbrezze. Mancandomi il to­tale, incolpavo me stesso. Invece di incolpare il prin­cipio. Ecco cos'è il sistema: farvi credere che il principio, se tu non ti svegli fresco come una rosa, se hai qualche difficoltà a piazzarla, la tua verginità, sei tu il colpevole, tu il malato, tu l'eccezione. E ti ritrovi in piena solitudine, intrappolato, fino al collo. (Va a riappendere il cappello) Ebbene, non è affatto vero. Non ci sono principi. Le cose succedono, o non succe­dono. A casaccio. Tutto il resto: balle. Il furto, met­tiamo. Si pensa che rubare, porti dritto al capestro, no? E' l'opinione corrente. Be', io, un giorno, ho ruba­to. Una volta, una volta sola. (Aggressivo) Come tutti quanti, andiamo... (Scusandosi) Non so cosa mi è preso...

(Dalla sinistra entra la signora Duvant. Si siede alla cassa, fa funzionare la suoneria, Magis va fino al tavolo grande. Lo spinge a fianco della cassa e si met­te ad impacchettare. E' entrato un cliente. Magis gli tende un pacchetto).

Magis                            - Sono settemila franchi giusti.

Cliente                          - (estraendo il portafoglio) Ecco diecimila.

Dufìquet                       - (entrando da destra con un biglietto in mano) Signorina Duvant, per favore, datemi lai moneta dì questi mille franchi.

Duvant                          - (frettolosa) Subito, signor Dufìquet... Allora, dunque: mille franchi... (Agitatissima, ha po­sato la banconota del cliente sul tavolo di Magis, va dal signor Dufìquet e gli porta il cambio di mille franchi, Magis posa un pacchetto sul biglietto del cliente).

Duvant                          - (ritorna alla cassa e dà il resto al cliente) Otto, nove, dieci. Diecimila, grazie, signore.

Cliente                          - Salve. (Esce. La signorina Duvant lo segue con lo sguardo. Magis ne approfitta per intasca­re la banconota).

Magis                            - (al pubblico) Intasco le diecimila... Pas­sa del tempo... Sei meno un quarto... Lei comincia il rendiconto di cassa... (La signorina Duvant comincia a mostrare una certa agitazione).

Duvant                          - (con voce angosciata) Emilio!

Magis                            - (stolido) Che cosa c'è, signorina Duvant?

Duvant                          - (tragica) Mi mancano diecimila franchi.

Magis                            - No? Non è possibile. Cercate ancora.

Duvant                          - Sto cercando. (Torna ad agitarsi dietro la cassa, cerca per terra).

Magis                            - (uscendo di dietro il tavolo e rivolgendosi al pubblico) Diecimila? Ero stupefatto. E le tremila che aveva dato di resto? Faceva tredicimila, no? (Alla signorina Duvant) Allora?

Duvant                          - Non trovo niente. Emilio, come faccio a dirlo al signor Dufìquet? In ventiquattro anni di ser­vizio nell'azienda, è la prima volta che mi succede. Diventerà una belva.

Magis                            - Ma no, andiamo, per diecimila franchi... Nel caso, faremo una colletta, sapete, fra i commessi...

Duvant                          - (commossa) Oh, Emilio...

Magis                            - Sapete come è andata, secondo me, signo­rina Duvant? Ricordate quel cliente di un'ora fa? Quello che ha pagato con diecimila lire? Non mi pare mica di averli visti, io, quei diecimila franchi.

Duvant                          - (agitata) E' proprio vero! Adesso che mi ci fate pensare. Neanche io li ho mai visti.

Magis                            - Aveva l'aria di un poco di buono, quel tipo lì.

Duvant                          - Sì, dev'essere lui. Ma non l'ho mai visto. Come lo ritroviamo?

Magis                            - C'è una cosa che non capisco. Si è tenuto i diecimila franchi, va bene. Ma si è anche messo in tasca le tremila del resto. Allora il colpo dovrebbe essere di tredicimila.

Duvant                          - Ma no, andiamo, diecimila sì è tenuto, diecimila ha rubato.

Magis                            - E le tremila, dove le mettete?

Duvant                          - Comunque, me ne mancano diecimila.

Magis                            - Siete sicura?

Duvant                          - Ho rifatto i conti dieci volte.

Magis                            - Ma allora siamo in pieno mistero' con questa storia, signorina Duvant. Bisogna metterla in chiaro. State attenta. (Al pubblico) Ed era come se avessi rubato due volte. Una sensazione, vi dico io! (Chino sulla tavola Magis strappa dei pezzi di carta da pacchi, e ci scrive sopra dei numeri) Ecco! Questo è il biglietto da diecimila. Questi i tre da mille. Io sono il cliente. Prima fatevi i conti. Quanto avete in cassa?

Duvant                          - Cinquantamila.

Magis                            - Aggiungete i tre da mille. Cinquantanove. Io compro per settemila. State contando?

Duvant                          - Conto, sì. Dovrei avere sessantaseimila.

Magis                            - Bene. Mi tengo le diecimila. (Si mette il biglietto in tasca) Me ne date tre di resto. (La Duvant gli rende i tre biglietti) Quanto avete ora?

Duvant                          - Eh, be', cinquantasei. Me ne mancano dieci.

Magis                            - (con crescente agitazione) Ma non è pos­sibile, andiamo. Ne ho tredici, qui in tasca. Non è giusto!... Neanche i numeri, allora... Vediamo un po'... Da una parte, diecimila...

Duvant                          - (con voce mutata) Emilio, perché vi inte­ressate tanto a me?

Magis                            - (in imbarazzo, cessata a un tratto l'agita­zione) Be', è più che naturale, signorina Duvant. Questo denaro che sparisce...

Duvant                          - Vi vedo tutto rosso, tutto agitato...

Magis                            - Be', signorina Duvant...

Duvant                          - Per causa mia... Ve la prendete talmen­te a cuore per me... Emilio, non è possibile... Da tan­to tempo vi vedo qui, al mio fianco, a lavorare... e non sospettavo di niente...

Magis                            - (rinculando) Oh, signorina Duvant...

Duvant                          - Ma è una pazzia, Emilio. Una dolce, una cara pazzia, forse, ma una pazzia... Alla mia età... Notavo, notavo che mi guardavate spesso... Ma no, macché, sto sognando... Vivendo così, sola, sola... si finisce per non pensare che a se stessi. Sono le sei passate. Voi avete la vostra amichetta, sicura­mente, che vi aspetta...

Magis                            - No, non ho amichetta, signorina Duvant.

Duvant                          - (sempre più sconvolta) Emilio...

Magis                            - (al pubblico) Ecco, le cose. Ecco le cose che si vuol far credere che abbiano un senso, una lo­gica... Rubo diecimila franchi. Risultato: finisco per andare a letto con la signorina Duvant. Con la signo­rina Duvant che aveva... (Con aria imbarazzata, va passeggiando su e giù)... che aveva... (Decidendosi)... Be', insomma, che aveva trentadue anni più di me. (Allargando le braccia) Trentadue anni, eeeh!

Duvant                          - (che è indietreggiata fino alla porta di sini­stra, con tenerezza) Emilio...

Magis                            - (facendole un salutino con la mano) Si­gnorina Duvant. (Esce la signorina Duvant).

Magis                            - (cantando e danzando) Son io - sono il fiore del peccato... (Piroettando si trova faccia a fac­cia con Dufiquet entrato da destra) Signor Dufìquet!...

Dufìquet                       - Ah, Magis... Ho saputo adesso una co­sa... una cosa... Mi fate cascar le braccia. (Magis guar­da le braccia di Dufiquet) Che siete l'amante del1 a signorina Duvant. Sì, sì, lo so, la vostra vita privala non mi riguarda. D'accordo, d'accordo al cento per cento. Ma insomma, Magis... Alla vostra età... La si­gnorina Duvant, che avrà un... e voi avete potuto... avete potuto dormire, insomma, mi scusi la parola, ma, non so... (Con forza) Insomma, tutto ciò mi fa paura, Magis. Mi mette paura. Se rimaneste qui con noi, dopo di ciò, io mi chiederei sempre di cosa siete capace, se non state per strozzarmi... Passate alla cas­sa... Passate alla cassa. (Sta per uscire dal fondo, si volta ancora) Insomma, Magis! (Ed esce scuotendo la testa, rinunciando a comprendere).

Magis                            - (al pubblico) Teh, gli facevo paura... Perché? Fosse stata sua moglie, non avrebbe mica avuto paura. O una milionaria. Così va il mondo. Le vane ciance del mondo... Ma intani , mi ritrovavo disoccu­pato. Altro dramma, questo. L’uomo senza donna, non dico, la solitudine... un vuoto ne., 'anima. Ma una donna nella nostra vita, che cosa cambia in fondo? Mentre un direttore... Un altro dramma, vi assicuro. Mas­siccio. Vischioso. Senza impiego, si è peggio di una bestia, un niente, una punta di spillo, peggio, immon­dizia, un vecchio calzino dietro un vecchio letto... mia madre, mia sorella cominciavano a farmelo sentire. (Durante le ultime frasi, sono entrate dal fondo la madre e Giustina. La madre ha una casseruola in mano e si avvicina al tavolo grande. Giustina si infila delle forcine nei capelli).

Giustina                        - Guarda, stasera quasi andrei al cinema.

Magis                            - Ho visto le réclames. C'è Gary Cooper. Non vale un soldo, quell'attore...

Giustina                        - Eh, già. Mi contenterei che ce la faces­si a guadagnare la metà di quello che guadagna lui. (Pausa. Magis traffica con la radio. Musica: "In un mercato persiano").

Madre                           - Ho ricevuto una cartolina da Alfonso.

Magis                            - Ah, lo zio Alfonso. Sempre occupato a far niente, eh?

Giustina                        - Puoi proprio parlare, tu, che a venti­due anni non ti sei ancora fatto una posizione.

Madre                           - Ma cosa gli avrai fatto, al signor Dufì­quet? Gli avrai risposto male, sono sicura. Con quel tuo caratteraccio!

Magis                            - (al pubblico) Il sistema! Io come tipo sa­rei piuttosto un mollaccione... No? Ma, per la mam­ma, si è sempre un gangster... (Stringendosi la cinto­la) un bruto, un predone.

Madre                           - Andrò dal signor Dufiquet a parlarci io.

Magis                            - E' inutile, mamma.

Madre                           - Perché? Sono tua madre, in fin dei conti. Io che ti credevo un ragazzo a posto... E pensare che hai quella relazione che è quanto di più serio... Hai visto, Giustina9 La signorina Duvant gli ha fatto al­tre tre paia di calzerotti.

Giustina                        - Cosa vuoi che faccia d'altro? Ha un piede nella fossa... Farebbe meglio a trovarti un po­sto... E Gustavo? Credi che gli faccia piacere avere un cognato disoccupato? Lui così capace, così in vi­sta. Cosa da distruggere un matrimonio.

Magis                            - Va' là, non sei ancora sposata, vecchia mia.

Giustina                        - (battendo i piedi) Invidioso! Sei un ge­loso invidioso! (Chiude la radio).

Magis                            - (avanzando alla ribalta) Fortuna che è morta giovane mia sorella. Con la disposizione che aveva, sarebbe finita epilettica. (Suonano).

Giustina                        - E' Gustavo. (Finisce di accomodarsi i capelli, e va verso la porta del fondo).

Magis                            - (al pubblico) Il fidanzato. Impiegato alla Banca Nazionale di Credito. Un bravo ragazzo, cor­diale. (Si frega le mani, imitando Gustavo. Gustavo entra, fregandosi le mani. E' il tipico bravo ragazzo, importante e gioviale)

Gustavo                        - Buongiorno, mammà. Mmm, che buon odorino, pancia mia... (A Magis) E allora, Emilio, tut­to a gonfie vele?

Magis                            - Be', secondo.

Gustavo                        - Tra due minuti, andrà meglio. (Passeg­gia in lungo e in largo, vivacemente, fregandosi le mani, e infine, trionfante) Emilio, ti ho trovato un posto.

Magis                            - No?

Giustina                        - Non è vero!

Madre                           - (lasciando cascare la padella) Oh, signo­re, la mia vitella.

Gustavo                        - Proprio così! Da Rivet, carte da para­ti. Ho un amico, lì, Lepreux si chiama, contabile. Gli avevo parlato di te. Stamane, mi ha avvertito che c'era una disponibilità. Gli sono saltato sopra, puoi figurati. Illico et immediate. Ti aspettano domani.

Madre                           - Oh, signor Gustavo! Che meraviglia!. A-vanti, ringrazia il signor Gustavo, Emilio.

Gustavo                        - Eh, non è stato mica facile. Ho dovuto combattere. Ma ce l'ho fatta.

Giustina                        - Oh, Gustavo! (Giustina si tiene vicina a Gustavo e se lo guarda con fierezza. La madre esce dal fondo).

Gustavo                        - Ma adesso non farmi sfigurare, eh, Emi­lio. Non faccio raccomandazioni a tutti quanti, lo sai. E' una bella responsabilità.

Giustina                        - Ci starò attenta io, stai tranquillo. (Torna la madre portando una bottiglia e un vassoio con bicchierini).

Madre                           - In onore della bella notizia.

Gustavo                        - Oh, oh! (La madre riempie i bicchieri) Fuiiiuò. Proprio il migliore, mamma. (Faceto a Magis, con una gomitata) Allora, fatti licenziare presto, così ti trovo un altro posto e riassaggiamo il liquorino.

Madre                           - Signor Gustavo!

Gustavo                        - Facevo per ridere, mamma... Fortuna che c'ero io, eh, Emilio?... Senza di me...

Magis                            - Davvero!

Gustavo                        - (a Giustina) Allora, cicciona, ci faccia­mo il cinemino, stasera?

Giustina                        - (come una micetta) Se hai voglia, Gu­stavo. C'è un film di Gary Cooper.

Magis                            - (con uno sguardo a Giustina) A me, non mi piace mica tanto quell'attore. (Giustina non ri­sponde; Magis, con la mano sulla bocca, verso il pub­blico) Pensa, adesso lo posso dire!...

Gustavo                        - Trovi? (Si è seduto) Vieni qua, Giusti­na. (Giustina si avvicina, lui la prende per la vita) A me invece mi piace Gary Cooper. E' un tipo energico. Mi piace, a me, l'energia. Ah, quando spacca la faccia ai tipi... (Dà dei grandi pugni nel vuoto) Poi, onesto. Sempre onesto. (Con l'indice dritto verso Ma­gis) Una ditta seria, sai Rivet. Non pigliano mica il primo venuto.

Magis                            - (approvando) Giusto. (Torna verso la ri­balta mentre dietro di lui il gruppo si scioglie lenta­mente, Gustavo se ne va, la madre torna alla sua pen­tola e Giustina si pettina).

Magis                            - Bene. Fui assunto da Rivet. Una ditta se­ria. Rue Bonaparte. Una domenica, vado a farmi un giretto. Quando ritorno che cosa trovo? (La madre ha posto due tazzine di caffè sul tavolo in primo piano. Le due donne sono sedute, con l’aria della disperazione. Colpito dallo spettacolo) In lacrime! Io cer­co di squagliarmela. (Gesto ad hoc) Pardon!

Giustina                        - Emilio!

Magis                            - Sì.

Giustina                        - Vieni qui. Prendi una sedia. (Magis si siede).

Magis                            - Allora?

Giustina                        - Lo sai che mi ha fatto?

Magis                            - Chi?

Giustina                        - Gustavo.

Magis                            - Gustavo?

Giustina                        - Mi ha piantata.

Magis                            - Gustavo! Ah, questa, poi!

Giustina                        - Oggi pomeriggio dovevamo andare al cinema. Be', lui piglia e mi porta al giardinetto, il giardinetto di piazza Vaillant, neanche in una pa­sticceria, disgraziato, e mi racconta che qui e lì, che non facciamo storie, che meglio prima che dopo, che si è sbagliato, che ama una ragazzina, che la vuole sposare, che al cuore non si comanda, che gli dispia­ce infinitamente, che è sicuro che io capisco. A questo punto io comincio a riscaldarmi, puoi immaginare, gliene dico di tutti i colori. Be', lo sai lui che cosa ha fatto?

Magis                            - No, ma sto per saperlo.

Giustina                        - Se l'è filata. Come niente fosse. Senza dire crepa. Stavo parlando, lui si alza, credevo che stesse per rispondermi. Neanche per il cavolo. Era partito.

Madre                           - (cavernosa) Come un porco.

Giustina                        - (a Magis) E tu ridi, eh? Delle mie di­sgrazie?

Magis                            - Cosa vuoi che ti dica? Ne troverai un altro.

Giustina                        - Sei un bel senza cuore, Emilio.

Magis                            - Ma se questo figliolo...

Madre e Giustina          - (insieme, ferocemente) Ah, no. Ha promesso. Deve mantenere.

Giustina                        - Ha promesso o non ha promesso?

Madre                           - Morto di fame!...

Magis                            - E perché? Perché ci tieni tanto a sposare un morto di fame?

Giustina                        - Quale morto di fame?

Magis                            - Insomma, che felicità ti può dare un uo­mo che...

Giustina                        - Me ne importa assai della felicità. Vo­glio che mi sposi.

Magis                            - Va bene. (Si alza. Giustina lo ributta sulla sedia).

Giustina                        - Sei un uomo, sì o no?

Magis                            - Be', dico.

Giustina                        - Devi far rispettare tua sorella.

Magis                            - Be', non ti ha mica insultata, no?

Madre                           - Ah, no? E che cosa ti ci vuole ancora?

Magis                            - Io non lo chiamerei un insulto.

Madre                           - Ah, se ci fosse ancora tuo padre!

Magis                            - Cosa avrebbe fatto, mio padre?

Madre                           - L'avrebbe preso per il collo e riportato qui.

Giustina                        - Sei tu l'uomo di casa. Andrai da lui. Ha promesso. Tu devi fargli mantenere la promessa.

Magis                            - E se non vuole?

Giustina                        - Allora dovrai costringerlo.

Magis                            - Come?

Giustina                        - E questo dice di essere un uomo!

Magis                            - Oh, ma insomma, con queste allusioni! Non dovrò mica calarmi le mutande?

Giustina                        - Cafone.

Magis                            - Chi, io?... E se poi ti tradisce?

Giustina                        - Riguarda me.

Magis                            - E' quello che dico.

Giustina                        - Domani, è chiaro? Fin da domani an­drai ad aspettarlo all'uscita dall'ufficio.

Magis                            - Bene. (Cerca di alzarsi. Giustina lo spin­ge di nuovo sulla sedia).

Giustina                        - Promesso?

Magis                            - Promesso. (Si alza con un gesto di impo­tenza dedicato al pubblico. Poi, voltandosi e illumi­nandosi) Ma se lui esce alle sei dal suo ufficio a Bou­levard des Italiens. Io esco alle sei dal mio di Rue Bonaparte. Come faccio a incontrarlo?

Giustina                        - Chiedi il permesso di uscire prima.

 Magis                           - (al pubblico) Una risposta a tutto, vi di­co io. (Escono le due donne. Magis passeggia su e giù, dando segni di impotenza e di inquietudine. Arri­va Gustavo col cappello e la borsa di cuoio) Ma guar­da chi c'è! Gustavo.

Gustavo                        - Teh. Salve, Emilio. Sempre in gamba? E da Rivet?

Magis                            - Non c'è male, non c'è male.

Gustavo                        - Un buon posto, no?

Magis                            - Ah, quello sì.

Gustavo                        - Be', devi scusarmi. Non posso neanche offrirti un caffè, devo scappare.

Magis                            - E' che ti dovevo parlare.

Gustavo                        - Ah! (Pausa) Ti manda Giustina?

Magis                            - Sì.

Gustavo                        - Ah ah... il fatto è che mi stanno aspet­tando. Va bene, vieni con me. Così capirai tutto. (Ha preso Magis per un braccio e lo trascina verso il caffè, dal quale è apparso il cameriere) Salve, Giulio. Co­me andiamo?

Cameriere                      - Signori, che prendono? (Il cameriere sposta il tavolino. Gustavo si siede fregandosi le ma­ni. Magis si siede anche lui)

Gustavo                        - Senti... (Ma, dalla sinistra, entra Giorgi­na, una fanciulla affascinante, un visino altero, Gu­stavo, vedendola, si è alzato e la guarda con espres­sione estasiata).

Gustavo                        - Cara, è un mio amico, Emilio. La si­gnorina Blossard Giorgina... Giulio! Giulio! Sveglia! Cosa prendi, tesoro? (Gustavo e Giorgina si sono se­duti, Gustavo se la cova con gli occhi, le carezza le mani. Magis avanza verso il proscenio).

Magis                            - (al pubblico) Così capirai tutto, mi aveva detto. Altro che capire! Io pensavo a Giustina. Guar­davo quella Giorgina. E capivo. Capivo tutto. Quante, quante cose mi si rivelavano improvvisamente. Allo­ra esistevano, ragazze così, pure come un bicchier di acqua? (Dopo uno sguardo a Gustavo) Ma guarda un po', quel tipo con quella faccia da bue...

Gustavo                        - (a Giorgina) Hai avuto molto lavoro, og­gi, ciccina? Hai l'aria un po' stanchina. No? O sem­bra a me?

Magis                            - Con quella sua proboscide, piena di sol­lecitudine. (Torna a sedersi con loro).

Gustavo                        - (a Magis, con espressione di meraviglia) Abita a Courbevoie, pensa.

Magis                            - Bel posto.

Gustavo                        - Lavora ai Trois Quartiers. Alla pub­blicità.

Magis                            - Magnifico!

Gustavo                        - (alzandosi) Bene, Emilio caro, sono sta­to molto contento di vederti...

Magis                            - Ma avrei dovuto parlarti.

Gustavo                        - E' che devo accompagnare Giorgina. Fino a Courbevois.

Giorgina                        - Non fa niente. Se hai da parlare col tuo amico... Devo fare ancora una commissione. Tor­no a prenderti. Tra dieci minuti... (A Magis) Bastano?

Magis                            - (galante) Oh, signorina... (Giorgina esce).

Gustavo                        - Sentiamo.

Magis                            - Prima di tutto, vecchio mio, tutti i miei complimenti. E' de-li-zio-sa.

Gustavo                        - (orgoglioso) Eh! Hai visto che fiore?

Magis                            - Ti capisco. Ti capisco benissimo... Ma c'è Giustina.

Gustavo                        - Emilio mio, non so cosa farci.

Magis                            - Avevi dato la parola.

Gustavo                        - Eh, sì, avevo dato la parola. E con ciò? Ero sincero, ti giuro. Credevo di amare Giustina. Quello che provavo, credevo che fosse amore. Ma ora, provando quello che provo per Giorgina, mi sono reso conto che non era amore. Ecco il mio dramma!

Magis                            - Ma sì. E' evidente. Non si parla neppure di rivangare cose seppellite... Vedi, quello che dispia­ce a Giustina, è di averti lasciato così bruscamente. Litigando.

Gustavo                        - (levando la mano, solenne) Ah, non gliene voglio.

Magis                            - Lei, lei se ne dispiace. Tu sai com'è, lei. Tatto... delicatezza...

Gustavo                        - (stupito) Giustina?

 Magis                           - Ma sì. Tu non la conosci. Dunque, capi­sci. Mettiti al suo posto. Guarda, dovresti fare un sal­to su a casa, una di queste sere. Potreste parlare con calma. Non credi che sarebbe più corretto?

Gustavo                        - Ah, corretto, non dico. (Facendo usci­re i polsini dalla giacca) Ma come faccio? Tutte le sere riaccompagno Giorgina. Fino a Courbevoie... Re­sto anche a cena. Lei ha un carattere, sai. Gelosa... Non te lo immagini. « Gustavo, se mi dici una bugia! Una volta, una volta sola! » Me l'ha detto spesso. Per lei, la vita è così. Gli occhi negli occhi. Non me lo perdonerebbe mai.

Magis                            - Per una sera... Domani, vieni dopo l'uffi­cio... Un minuto soltanto... Potrai raggiungerla dopo, Giorgina. Le dirai che hai fatto degli straordinari, che sei dovuto restare in banca fino alle sette, te l'ha chiesto il capufficio. Cose che succedono, no?

Gustavo                        - Va bene, d'accordo. Intesi. Verrò do­mani. Ma una volta e basta, sai Emilio. Per spiegarci. Lealmente... (Giorgina appare alla porta di fondo. Gu­stavo si alza precipitosamente e la raggiunge. E-scono).

Magis                            - A questo punto, prevedendo il seguito, mi si prenderà per un furbone, un intrigante, un Ma­chiavelli. Niente affatto. Me ne importava niente, a me, di mia sorella. Là, al caffè, io non pensavo che a una cosa sola: evitare una scena tornando a casa.. Con quelle due donne assetate di sangue, mi serviva qualcosa da mettergli sotto i denti. Gli riportavo una fetta di Gustavo. Che si arrangiassero!... No, quello che mi sconcertava era una frase di Gustavo. Crede­vo di amarla, mi aveva detto. Credeva di amare Giu­stina. E sinceramente. I buoi, di solito, sono sinceri. Fino al giorno che... Ciò significa che se non l'avesse mai incontrata, la sua Giorgina, avrebbe potuto vive­re fino' a cent'anni credendo che quel che provava per Giustina era amore. Felice. Contento. Vivendo di un sentimento che in realtà non esisteva. Perché in fondo, questa Giorgina, come l'aveva conosciuta? Per caso. Avrebbe anche potuto non conoscerla mai. E certo c'è della gente, una quantità, che la loro Giorgina non l'hanno mai trovata. E che parlano, giudicano, sentenziano. Uno dice: l'Amore. L'altro risponde: l'Amore. E ognuno parla di due cose diverse. Uno allude a Giustina, l'altro allude a Giorgina... E poi, quella Giorgina, bene, benissimo, perfetta, ma se domani ne incontra un'altra, poi un'altra ancora, Adele, Lucia, Elisa... Allora era questo, l'amore? Una scala nel buio, dove non si sa quanti scalini riman­gano, un ascensore fermo non si sa a quale piano. Dov'è la serietà? La garanzia?... Parlo dell'amore, ma il piacere, è uguale. Diciamo: con Lea, è formidabile. Ma vuol dire cosa: formidabile? Relativo. Voi mi di­rete, l'amore, eh, si sente. Anche la febbre, si sente. Ciò non toglie che esista il termometro. Non è la stes­sa cosa avere trentasette e cinque, o trentanove e otto? Un ascesso è un ascesso. Un tumore è un tumore. Ma l'amore? Giorgina, meglio di Giustina, d'accordo. Ma non è mica una miseria, questa. Niente di razionale in tutto ciò. Niente di serio. Se si va al fondo delle co­se... E dietro Giorgina? Dopo Giorgina?... Bisognerebbe passar la vita a far verifiche allora? Con tutte le donne. E se tutto ciò non fosse che uno scherzo, uno scherzo enorme?... Eh? Eh, se l'amore non fosse che un'invenzione, un'idea che ci siamo messi in testa?... Già che non si sa. Già che non si è mai sicuri. E que­sto è il sentimento che regge il mondo. Perché c'è della gente che per amore fa delle cose incredibili. Che cambia professione, che cambia casa. ' E tutto perché? Per una febbre che non sanno nemmeno se è trentasette e cinque o trentanove e otto. Non è da far venire i brividi? Quella Giorgina, bene, io non avevo niente in contrario. Ma volevo sapere, verifi­care. Un amore come quello, se era solido, doveva pur resistere a una piccola prova... Una piccolissima pro­va.;. Anzi, meglio, era un servizio che gli rendevo... In un certo senso... Il giorno dopo, ho telefonato  - (Fa il gesto di prendere un telefono) Pronto, Trois Quartiers... La signorina Giorgina Blossard, per fa­vore... No, non è una telefonata privata, è da parte di sua madre... Non ne ha che una, di madri, signore... (Al pubblico) Niente telefonate private... Che mentalità! (Al telefono) Pronto. (Si stringe il naso, cambia voce) Pronto carina, c'è... Non vi incaricate, è un amico... C'è il vostro amico Gustavo che vi ha detto che stasera aveva da fare degli straordinari in banca. Provate, senza parere, provate a telefonare alle sei e mezza e vedrete. A quell'ora il vostro Gu­stavo sarà in casa di una ragazza che abita a Rue Borrego. A mai più carina. (Fa il gesto di riattaccare il telefono) Onestamente, io speravo che resistesse, il Toro amore. Mia sorella, andasse al diavolo, ve l'ho detto. Quel che mi guidava era l'interesse scientifi­co... Ma mi hanno proprio deluso, tutti e due. Gusta­vo è rientrato a Rue Borrego, un po' abbattuto i pri­mi tempi. Lo sguardo, a volte, un po' assente. Poi, pian piano... (Si frega le mani imitando Gustavo) Un bel giorno, gli ho chiesto: « E Giorgina? ». Mi ha detto: « Era troppo bello ». Si sono sposati, lui e mia sorella (Magis lascia cadere le sue frasi a una a una, pas­seggiando, dando piccoli calci al palcoscenico) Il viag­gio di nozze, l'hanno fatto a Fontainebleu... Gli è pia­ciuta Fontainebleu... Conoscete?... Mai stato io... La natura... (Dalla porta di sinistra è entrata Rosa. Rosa è una donna grossa, placida, una quarantina d'anni).

Magis                            - Ah! Ecco Rosa. (Lirico, con le braccia te­se) Rosa. Rosa. Rosa.

Rosa                              - Allora?

Magis                            - (Andando verso di lei) Ho fatto una cor­sa. Gli autobus eran pieni.

Rosa                              - (indifferente, togliendosi la sottana) Ah, sì?

Magis                            - Ho visto un prete cinese. Mi ha fatto ri­dere.

Rosa                              - Guardami la schiena. Devo avere un pedi­cello.

Magis                            - (guardando) No, non vedo niente. (Si to­glie la giacca mentre Rosa va alla parete di destra, ne fa uscire un letto pieghevole e comincia a rifarlo).

Magis                            - Hai visto le notizie, nel giornale?

Rosa                              - Me ne frego.

Magis                            - Comincia a fare freschino. (Rosa non ri­sponde) Non trovi?

Rosa                              - Che?

Magis                            - Dicevo che comincia a fare freschino.

Rosa                              - Dove, questo?

Magis                            - Be', dovunque. In the Street.

Rosa                              - Non ci ho fatto caso.

Magis                            - (al pubblico) Un tipo, vi dico... (A Rosa av­vicinandole si) Gli vuoi bene, a Emiliuccio?

Rosa                              - Te ne importa? (Sbirciandosi i seni) Guarda qua che petto!

Magis                            - (adulatore) Mmmmrnm...

Rosa                              - Dei seni così. C'è delle donne che darebbe­ro dieci anni di vita per avere dei seni così.

Magis                            - Eh, grazie! (Rosa si stende sul letto. Magis torna verso il pubblico slacciandosi la cravatta, sbot­tonandosi la camicia, grattandosi) E ci mescolavamo. Per forza. Un uomo, una donna, in una stanza, c'è una specie di solitudine in agguato, a spingerli l'uno verso l'altra. A non far niente, c'era rischio di cessare d'esistere, forse di dissolversi. (Si siede per togliersi le scarpe). E perché altro stavamo lì? Per chiacchie­rare? Lei non apprezzava la mia conversazione, Rosa. A volte, parlavo. Tutto quel che mi ribatteva, era...

Rosa                              - (sul letto, carezzandosi il petto) Meglio sen­tire questi che essere sordo.

Magis                            - Ed era una meraviglia! Un deserto, quella donna. Non un albero, non un'ombra. E' a Rosa che devo questa scoperta: la vera vita, non ha ragioni, non ha moventi, niente... Avevo perfino traslocato...

Rosa                              - (sempre sul letto, vaga) C'è una stanza li­bera, nello stabile, al sesto piano. Dovresti affittarla. Per me sarebbe più comodo.

Magis                            - Bene. In Rue Montorgueil, era. In un certo senso, mi conveniva. Con Giustina sposata, io ingom­bravo. Aveva già convinto mia madre ad andare a vi­vere da sua sorella, a Bordeaux... Aria di mare... E poi, con Rosa, l'albergo, due volte la settimana, la mancia, mi dicevo: Emilio, tu fai all'amore al disopra dei tuoi mezzi. Ma quali erano le ragioni di tutto ciò? Niente di niente. Perché andavo a letto con Rosa? Perché un collega, da Rivet, me l'aveva fatta conoscere. Ma perché ero da Rivet? Because Gustavo. Perché Gu­stavo? Perché un giorno, in autobus, mia sorella si era impigliato il paltò nella porta automatica e lui l'aveva aiutata a liberarsi. Ciò significa che ogni volta che io dormivo con Rosa avrei dovuto pensare che la causa era la fretta di un conducente d'autobus. Me­schino, vero? Miserabile... Né ci si dovrebbe fermare qui. Perché il conducente aveva tanta fretta? Perché Gustavo era in autobus? Era nato in Alsazia. Avreb­be potuto restarci. Le chiamate cause, voi, queste, le chiamate ragioni? Questa matassa imbrogliata all'in­finito? Grazie tante, tenetevela pure.

Rosa                              - Hai finito, Pirandello?

Magis                            - Vengo, Rosa mia... (Si stende a lato di Ro­sa. La luce di spegne. Dopo un attimo, nel buio, si sen­te la voce di Rosa).

Rosa                              - Di' un po', per andare all'Opera, meglio l'au­tobus o il metrò? (Sempre al buio, il letto si ripiega, riportando Rosa e Magis in quinta. Quando torna la luce, la scena è vuota, ma Magis rientra dal fondo. Durante la battuta seguente, Magis si rimette le scar­pe, la cravatta e la giacca).

Magis                            - E vivevo al mio livello. Questa era la me­raviglia. Vivevo nella mia verità. Fino allora, credevo che il sistema stesse davanti a noi. (Agitando l'indice) Mica vero. Il sistema, è sopra le nostre teste... Tipo pergola... Che ci aggancia, si solleva... E sicché non si è più al proprio livello... Il sistema vi issa su di un piedistallo: su un piedistallo, niente più è vero... Di­venti una sentinella... Non sei più te stesso... E comincia la menzogna... per colpa delle ragioni. E' con le ragioni che la rete ti tira su... giacché, senza le ra­gioni, rotoleremmo giù nel fondo di noi stessi... E non osiamo... abbiamo paura... E' che il fondo di se stessi, eh?, fa un po' caverna... Allora ci si aggancia... Alla rete... Rosa mi aveva trascinato all'ombra del piedi­stallo... Non più ragioni, più niente... il deserto... Ma come ero idiota a quell'epoca. Non sapevo cos'era la felicità... Sapete cosa mi ha perduto? Non ci credere­ste mai. Il fatto che giocavo bene a carte... Che scioc­chezza, eh?... E mi sono rovinato... Anche per colpa di Eugenio, il marito di Rosa... (Entrano dal fondo Euge­nio e Rosa, quest'ultima con una pentola che la occuperà durante la scena. Eugenio è un cinquantenne enor­me).

Eugenio                         - Come andiamo, Emilio... Sempre avan­ti, eh?... come i gamberi.

Magis                            - (dopo aver riso compiacentemente) Buona sera, Eugenio... buonasera, Rosa, come state? (Rosa non alza neanche gli occhi).

Eugenio                         - (dando una pacca sulla schiena di Magis) Diavolo Magis! Sai che sei un bel tipo...

Magis                            - Perché?

Eugenio                         - Queste cerimonie... con Rosa. E l'intimi­tà, ce la siamo dimenticata?

Magis                            - (al pubblico, mentre Eugenio si è voltato per accendere la pipa) Sapeva o non sapeva? Non riu­scivo a capire... (A Rosa) Sa o non sa?

Rosa                              - Che?

Magis                            - Be', tra me e te...

Rosa                              - Non te ne incaricare! Lascialo in pace, Eu­genio.

Magis                            - No, volevo dire...

Eugenio                         - Andiamo al caffè? Un giochino tranquil­lo...

Magis                            - Andiamo (Magis e Eugenio vanno verso il caffè nel quale sono stati preceduti dal cameriere e da due clienti. Dopo un istante uscirà Rosa).

1 ° Cliente                     - Ah, ecco qua il nostro campione!

2° Gliente                      - (scuotendo Magis per le braccia) A-vanti, Magis, cacciate un po' fuori tutte le matte che avete nascosto nelle maniche.

1° Cliente                      - Ci pelerà ancora...

Eugenio                         - Quest'accidente di Magis! Si fa la ren­dita, qui. (Magis è visibilmente lusingato. Il cameriere spinge uno dei tavolini verso il proscenio. I giocatori si siedono. Entra il Sig. Berthoullet. L'accoglienza è premurosa come per Magis, ma con una sfumatura di considerazione. Berthoullet è un uomo di cinquantacin­que anni, dignitoso ma gioviale).

Eugenio                         - Salute, signor Berthoullet.

2° Cliente                      - Signor Berthoullet...

Berthoullet                    - (stringendo mani) Signori! Magis caro caro! Non vi incomodate. Entro ed esco. Dò un'oc­chiata al gioco di Magis. (Resta in piedi alle spalle di Magis) Ha un modo di giocare, questo figliolo...

1° Cliente                      - Eh eh, il signor Berthoullet ha trovato il suo maestro.

Berthoullet                    - L'ho trovato, sissignori. Davanti a Magis, mi tiro tanto di cappello. (A Magis che ha ap­pena giocato) Bella questa, figliolo. Abilissima.

2° Cliente                      - (al primo) Allora, ci decidiamo?

1° Cliente                      - (esitante) Calma, figlio mio. (Si decide) Picche! La donnina. (Butta una carta. Magis ne butta un'altra).

2° Cliente                      - (ammirativo) Hai capito...

Eugenio                         - La donnina! Ne ha quante ne vuole, lui...

1° Cliente                      - (dopo una pausa consacrata al gioco) E al Ministero, signor Berthoullet, cosa si dice?

Berthoullet                    - Aspettiamo le elezioni.

Cameriere                      - (arrivando Magis) Così!

2° Cliente                      - E questa ONU, così, tra noi, voi che ne pensate?

Berthoullet                    - Ci sono dei vantaggi e degli svantag­gi-

2° Cliente                      - Proprio quello che dicevo io.

Magis                            - (trionfante) E dieci di fiori.

Eugenio                         - E si arraffa ancora tutto lui, il maiale.

Berthoullet                    - Eh, Magis, un tipo in gamba! (I gio­catori si disperdono. Mentre pagano il cameriere, Ma­gis viene al proscenio).

Magis                            - E io, come un imbecille, non vedevo il pe­ricolo. Magis, un tipo in gamba. Mi gonfiavo d'orgo­glio. Mi mettevo ad esistere. Il pericolo. Il precipizio. Bisogna esistere il minimo indispensabile. Una volta che ci si lascia andare, non si sa più dove ci si ferma. Guardate Napoleone.

Berthoullet                    - (raggiungendo Magis e prendendolo per un braccio) Caro Magis.

Magis                            - Signor Berthoullet.

Berthoullet                    - C'è da me in casa uno zio di Montauban, esattore. Gli piace il gioco ma gli secca venire a giocare al caffè. E' un vecchio pigro, gli piacciono i suoi comodi. Perché non venite domani a fare una par­tita a casa? Sì, sì, insisto. Farete un piacere anche a mia moglie. (Durante questa scena, Eugenio e i due clienti sono usciti. Il cameriere sistema il tavolino e se ne va anche lui. Berthoullet si dirige alla tavola in primo piano, dispone le carte, le sedie. Durante la bat­tuta seguente, entrano successivamente la signora Ber­thoullet, lo zio e le tre figlie dei Berthoullet: Ortensia, Lucia, Carlotta. I Berthoullet e lo zio si siedono alla prima tavola, prendono le carte, e si concentrano. La signora Berthoullet volta la schiena al pubblico. Le tre ragazze si accomodano attorno alla tavola del se­condo piano. Ortensia vi dispone le carte).

Magis                            - Io, ci vado. Anche piuttosto lusingato. Li conoscevano nel quartiere. La signora Berthoullet, uno sciame di figlie... (Nominandole man mano che si sie­dono) Ortensia, Lucia, Carlotta... (Magis si siede alla prima tavola. Il gioco comincia immediatamente).

Ortensia                        - (alla seconda tavola) Uno due tre quat­tro cinque sei sette. Una notizia importante.

Lo Zio                           - (esitante) Gioco questa o questa?

Ortensia                        - Cinque sei sette... Una donna brutta...

Berthoullet                    - Allora, io?

Lo Zio                           - (ringhioso) Calma! Non fatemi fretta! Se gioco questa e lui ha il fante? (A Magis sospettoso) Avete il fante?

Magis                            - Eh eh, dipende...

Lo Zio                           - (furioso) Bella risposta! Ma non lo potete avere. (Getta una carta).

Magis                            - (gettandone un'altra) E il fante!

Lo Zìo                           - Dio santo! Ma non ce lo poteva avere. (Ma­gis fa un gesto di scusa) E' un puro caso... Ah, ma non è gioco, questo. Io mi ripiglio la carta...

Magis                            - Eh, scusi...

Lo Zio                           - Non mi vorrete insegnare le regole! Dopo trentacinque anni che sono nell'amministrazione... (Ber­thoullet fa segno a Magis di dargliela vinta. Magis si rassegna).

Magis                            - (al pubblico) Fa lo stesso, ma hanno uno strano modo di giocare, a Montauban!

Ortensia                        - Quattro cinque sei sette. Incontrerai un bel giovane biondo.

Lo Zio                           - (feroce) Ma che ne sposa un'altra! (Get­tando una carta) Prendo. (Magis si alza, mentre alle due tavole continuano a giocare. Rosa entra da destra. Quando Magis la raggiunge, Rosa va verso la porta).

Magis                            - (a Rosa) No, stasera no. Vado a casa dei Berthoullet.

Rosa                              - (indifferente) Ancora? Porcaccione, ci vai per le tre bambine, eh? Attento, ti faranno a pezzet­tini. I bottoni sono in ordine? Fatti vedere. (Tirando un bottone) E levati 'a cammesella. (Magis si toglie la giacca. Rosa gli ricuce un bottone).

Magis                            - Da Rosa, niente ragioni. Dai Berthoullet, troppe, in ogni angolo. Ero maturo per i guai. Chiun­que si metta a pensare alle ragioni vede profilarsi l'an­goscia e, dietro, i guai. Si è felici, si cercano le ragioni della propria felicità, ci si accorge che sono precarie. Potrei ammalarmi, perdere il posto, non ho risparmi: l'angoscia. Ci si agita, si cerca qualcos'altro: i guai. Rosa, va bene, d'accordo, il più bel sedere del quartie­re, certamente, ma insomma, sono già due anni, non può durare sempre... 'Ma dove sta scritto che le cose non debbano durare? E la Torre Eiffel, dura, lei, no? E il sasso? (Andando verso Rosa che gli tende la giac­ca) Eh,, il sasso?

Rosa                              - (placida) Che sasso?

Magis                            - (torna verso la tavola dei Berthoullet, bron­tolando) Il sasso... (Riprende il gioco).

Lo Zio                           - Picche: prendo.

Magis                            - Quadri: prendo io. (Dal fondo entra Raffard, bell'uomo, importante, loquace).

S.ra Berthoullet             - (che è la prima a vederlo) Si­gnor Raffard!

Berthoullet                    - (alzandosi molto agitato) Signor Raf­fard! (A Magis rapidamente) Il mio capufficio... (A Raffard) Questa è una sorpresa sul serio!

Raffard                         - Buona, speriamo!

Berthoullet                    - Ottima, signor Raffard. Ottima, vo­lete scherzare?

Raffard                         - Signora Berthoullet, i miei omaggi. Sem­pre bella come una rosa!

S.ra Berthoullet             - (confusa) Signor Raffard!

Raffard                         - Passavo per questo quartiere. Mi sono detto: guarda, voglio andare a fare due dita di corte alla bella signora Berthoullet.

Berthoullet e Signora    - (in coro) Signor Raffard!

Raffard                         - Ah, voi, Berthoullet, dovrete stare molto ma molto attento... Se un giorno comincerete a trascu­rare questa deliziosa creatura... guardate che io sono sulla breccia.

S.ra Berthoullet             - Sempre a scherzare, signor Raf­fard!

Raffard                         - Ah, ma state giocando! Non voglio di­sturbarvi!

Berthoullet                    - Figuriamoci! Ma... non vi lascereste tentare? So che siete un appassionato.

Raffard                         - (con l'indice minaccioso) Berthoullet, ve­do che conoscete i miei punti deboli...

Berthoullet                    - C'è qui per caso nostro zio di Mon­tauban, l'esattore.

Lo Zio                           - Onoratissimo, signore.

Raffard                         - No, signore. Sono io!

Berthoullet                    - Il nostro amico Magis...

Raffard                         - (protettore) Piacere...

Berthoullet                    - Ciò che significa quattro giocatori in bella forza. La partita può diventare interessante.

Raffard                         - E la signora Berthoullet? Ah, io voglio vedere la signora Berthoullet con le carte in mano.

S.ra Berthoullet             - Gioco così male!

Raffard                         - (dall'occhio penetrante) Una donna gra­ziosa gioca sempre troppo bene. Ci guarda. Noi siamo turbati, distratti, sedotti. Dimentichiamo le carte. Non osiamo più giocare il nostro misero a tout. Giochiamo cuori, per piacerle...

Lo Zio                           - Bel sistema, questo.

Raffard                         - (brillantissimo) E' il genere mio. A me, i piaceri, a me le ebbrezze... Bruciarsi le ali, come una farfalla, vero? signora Berthoullet?

S.ra Berthoullet             - (che comincia ad essere imbaraz­zata da Raffard) Come credete, signor Raffard.

Ortensia                        - (a Magis) Lasciateli stare, signor Magis. Venite da noi. La gioventù farà un ramino. (Magis col viso illuminato avanza di un passo, mentre, dietro di lui, Raffard prende il suo posto e dà le carte).

Magis                            - La gioventù farà un ramino... E ero io? Io?... La gioventù farà un ramino... Era vero che avevo la loro età... Ma non lo sapevo... nessuno aveva l'aria di saperlo... La gioventù farà un ramino... (a metà stra­da tra l'estasi e le lacrime) ...Come un vecchio, vec­chissimo giardino, circondato da mura. E in fondo, una sorgente... Una sorgente sottile... Come una porta... che si apriva... la gioventù farà un ramino... (Si volta, va verso la tavola delle ragazze, si siede. Ortensia dà le carte. Magis è cambiato. Pieno di animazione).

Magis                            - Ah, ah, il re di picconi. (Le ragazze rido­no).

Berthoullet                    - (dall'altra tavola) Come andiamo lì, in prima elementare?

Magis                            - (alzandosi e facendo il buffone) Bene glazie. (Si risiede) E la regina di cuori!... Ah, adesso ti acchiappo. Vieni qui, vieni qui, pupetta mia. (Le ra­gazze ridono) Ho qui per te un re che ti vuol far di­vertire. (Cantando) Vieni, c'è una strada nel bosco... lararara larara...

Ortensia                        - (stupita e divertita) Signor Magis!

Magis                            - (lanciatissimo) Signorina Carlotta, cono­scete la storiella del toscano?

Carlotta                         - No, che toscano?

Magis                            - Quel toscano che andava a passeggio con un altro toscano. Allora vede una macchina con la targa CH. Dice al suo amico: tè, o che vòol dire Che? E l'amico: O chretino, Che vuol dire Chvizzera. (Le ragazze ridono ma a Magis viene addirittura la ridarel­la. Non riesce più a frenarsi. In mezzo a un silenzio stupito, non si sente altro che la sua risata. Dall'altra tavola tutti lo guardano).

S.ra Berthoullet             - (a Raffard, scusandosi) Fanno un tale chiasso...

Raffard                         - Lasciate stare, signora Berthoullet! E' l'età. Verranno, verranno le preoccupazioni, anche trop­po presto! (A Magis) Bravo, giovanotto! Siete un tem­peramento scherzoso. Meglio. Meglio che i giovani sia­no allegri. Un giovane triste, io dico sempre che è un giovane ammalato. (Alla S.ra Berthoullet) Eh, anche io, c'è stata un'epoca che non passavo una serata senza indossare lo smocking. E devo dire, non dispiacevo troppo. Ho conosciuto i sorrisi delle belle, signora Berthoullet. (A Berthoullet; confidenzialmente) Ditemi, Berthoullet, questo giovanotto, è competente?

Berthoullet                    - Molto competente, signor Raffard. Ah, molto serio.

Raffard                         - Sapete che Jolivet non va niente bene. Sono stato a trovarlo in clinica domenica scorsa. Que­sto, mi sono detto, tempo quindici giorni, è un posto libero. Potremmo proporre questo giovanotto. Mi piace.

Berthoullet                    - (alzandosi, molto commosso) Magis! (A Raffard) Voi permettete?

Raffard                         - (molto Luigi XIV) Ma sì...

Berthoullet                    - Magis, mio caro, avete capito. Il si­gnor Raffard si incarica lui di promuovere la vostra candidatura al Ministero...

S.ra Berthoullet             - Funzionario...

Magis                            - (si alza lentamente, col viso illuminato) Funzionario...

Berthoullet                    - Il rispetto... la posizione... la pensio­ne... Bisogna festeggiare... Carlotta, a va a prendere l'anisetta! (Carlotta va all'armadio).

Carlotta                         - (da lontano) Signor Magis, aiutatemi a portare i bicchieri! (Magis la raggiunge. Carlotta lo guarda, sorride. Magis la prende tra le braccia, la ba­cia sulla bocca).

ATTO SECONDO

Stessa scena.

La cassa col registratore, a sinistra, è stata tolta. E' rimasta la tavola grande. E' stata aggiunta la poltro­na del Presidente e quella del Procuratore.

A destra, il caffè è scomparso. Il lato destro della scena evoca adesso un interno, piccolo borghese. Pol­trone, seggiole, un comò piuttosto grande. Un inizio di corridoio con una porta di traverso e un attaccapanni. A destra, appesa al muro, una veduta di Costantinopoli.

All'alzarsi del sipario. Magis è seduto su una sedia di primo piano, in pantofole, leggendo un giornale. Or­tensia è seduta più lontano e lavora a maglia.

Dopo una pausa, Magis si alza, ripiega il giornale.

Magis                            - (al pubblico) Mi sono ritrovato sposato. Con Carlotta? Be', no, era piuttosto con Ortensia. La più grande. Diritti di anzianità, in certo senso... Sem­pre tanto perspicaci, i genitori. L'istinto, per forza... I Berthoullet avevano pur indovinato, che una delle loro figlie mi interessava. Soltanto, si sbagliarono di numero. Ne parlarono a Ortensia. Lei disse di sì. Pro­vatevi a cambiare tutto questo... Ho detto: Va bene. E in fondo... Carlotta o Ortensia... Ciò che volevo, era penetrare in quell'universo che, un giorno, mi si era schiuso davanti... Penetrare... Installarmi... Fosse con Carlotta o con Ortensia... Una porta vale l'altra... Ero entrato anche -al Ministero... Un altro universo. Che mi piaceva. Perché, nei ministeri, il lavoro, non dico che non serve a niente, no, no, serve, ma almeno non si capisce a che cosa. Questo ti tranquillizza. Niente responsabilità... Niente padroni. Insomma, un padrone vago, anonimo... Raffard, sia pure. Ma non era mica Raffard a pagarmi. Afferrate la sfumatura? Perciò, se­condo me, le cose andrebbero assai meglio se tutti fos­sero impiegati dello Stato. Mi direte: e il lavoro? Ma la gente; quello che cerca, non è proprio il lavoro, è un posto, una situazione, un luogo dove andare tutte le mattine. Gli si potrebbe anche far ricopiare le stes­se cose... Dunque, il Ministero, il matrimonio, il viag­gio di nozze, a Montlognon, nell'Oise, un indirizzo di Raffard, il mio nuovo appartamento. Ah, mi irritano, mi irritano tutte queste cose! Tutte queste cose che ho ancora da raccontare. Ero partito per parlare della mia anima. Eccomi con queste storie di appartamenti. Me ne importa niente, a me, dell'appartamento. Cosa fac­cio, del colore, che faccio? In rue de Provence, era, questo appartamento... Terzo piano... senza ascensore... Ah, ecco la famiglia... (Dal fondo entrano Berthoullet, la signora Berthoullet, lo zio di Montauban, Carlotta, Lucia, Giuseppe. Immediatamente formano, con Orten­sia e Magis un gruppo confuso e si congratulano, si abbracciano, dicendo tutti assieme, le frasi seguenti).

Berthoullet                    - Allora, piccioncini?

S.ra Berthoullet             - Bongiorno, Emilio.

Magis                            - Suocero... suocera cara...

Ortensia                        - Dammi il cappello...

Carlotta                         - Be', le hai comprate, poi, le tende gial­le...

Lucia                             - Lo sai, Giuseppe ha avuto l'aumento.

Ortensia                        - Veramente?

S.ra Berthoullt              - Zia Elena ha un fibroma. Alla sua età...

Berthoullet                    - Come me. Stamattina, credevo pro­prio di avere l'influenza.

Magis                            - Giuseppe! Che bella sorpresa!

Ortensia                        - C'è un po' d'influenza nel quartiere.

Magis                            - Zio! Non mi abbracci?

Lo Zio                           - (di cattivo umore) Salve! Salve!

Berthoullet                    - Gli dico: sapete che cosa mi fanno, a me, le vostre minacce? Mi fanno ridere, caro signo­re, ridere. Ah, ah, ah!

Magis                            - Ah, non gliel'hai mica mandata a dire, eh? papà?

S.ra Berthoullet             - E poi, in fondo, non si vive che una volta sola.

Ortensia                        - No, le ho prese al mercatino sotto casa.

Magis                            - (emergendo dal mucchio e designando Giuseppe) Il fidanzato di Lucia, Giuseppe, impiegato alle Ferrovie.

Berthoullet                    - (emergendo anche lui, gloriandosi) Una famiglia di funzionari! Siamo una famiglia di funzionari! (Cantando) Chi è più felice di chi, chi è più felice di chi, fa l'impiegato al Ministero, al Ministero...

S.ra Berthoullet             - Questi tre piani... Non ho an­cora preso fiato...

Magis                            - (rimettendosi le scarpe) Prendetelo, mam­ma, prendetelo... Solo non prendetelo tutto.

Lo Zio                           - (seduto, sta pescando in un piatto di biscot­ti) Eh?

Magis                            - Non dicevo per voi, zio. (Nel fondo, con­troscena fra le donne. Ortensia versa il caffè).

Giuseppe                       - (avvicinandosi alla stampa appesa alla pa­rete di destra) Teh! È una veduta di Costantinopoli, questa qui. Il Bosforo...

Magis                            - Lo conosci?

Giuseppe                       - Accidenti! Sono quasi nato là. Mio pa­dre aveva trovato un posto là da quelle parti. Poco prima che nascessi io. Poi non se n'è fatto più niente. Bastava ancora poco, sarei nato turco...

Magis                            - Pensa un po'...

Giuseppe                       - A volte mi dispiace... Mi sarebbe piaciu­to. Ma ormai, tutto finito laggiù. (Scuotendo dolorosa­mente la testa) Ataturk ha fatto molto male. Tutto il pittoresco è stato distrutto. Non ci sono più fez...

Magis                            - (spiritoso) Non ci sono più fessi? Ma al­lora chi ci mettono, al governo, da quelle parti?

Berthoullet                    - St'accidente di Emilio! Sempre pron­ta la frase scherzosa!

Giuseppe                       - (con zelo) No, non mi hai capito, Emilio. Il fez è una specie di cappello. Sai che si deve dire Istambul, adesso. Se dici Costantinopoli, ti trovi su­bito fucilato.

Magis                            - No?

Giuseppe                       - (serio) Sì. Sono tremendi, su quel pun­to lì.

Lo Zio                           - Allora? Questa partita? Si fa o no?

Magis                            - (animato) Come no? Siamo qui per que­sto! (Va a prendere le carte sul comò, dispone delle sedie intorno alla prima tavola) Ecco, per il vostro whist... (Va verso la seconda tavola, vi pone un altro mazzo e, con voce un po' cambiata) E la gioventù farà un ramino...

Carlotta                         - (animata) Bene! Un ramino!

Berthoullet                    - (a Magis) Ehi, dico, Emilio. Di qua, ragazzo mio. Non vorrete sprecare il vostro talento al ramino, no?

Magis                            - Ma la gioventù...

Berthoullet                    - Lasciate la gioventù con la gioven­tù (Alla prima tavola sono seduti la signora Berthoul­let, Berthoullet e lo zio).

Lo Zio                           - Si comincia o cosa?

Magis                            - Prendete Giuseppe.

Lo Zio                           - Giuseppe! Non è giuoco, quel che fa lui, è buttar giù le carte.

Carlotta                         - Per il ramino, ci può anche bastare. (Magis, confuso, incerto, si avvicina alla prima tavola, si siede).

Berthoullet                    - Andiamo. Mostrateci un po' quello che sapete fare.

Magis                            - (facendo un ultimo tentativo) Ortensia, non vuoi proprio giuocare?

Ortensia                        - Oh, il ramino, alla mia età, ormai...

Magis                            - (furioso) Ma non dicevo il ramino. (Si ini­ziano le partite. Dalla seconda tavola partono scoppi di risa. Magis si volta a guardare con nostalgia).

Lo Zìo                           - (giuocando) E io prendo.

Berthoullet                    - (a Magis) State un po' attento, lo zio fa piazza pulita.

Magis                            - (verso il pubblico) Era giusto? (Rivoltato) No, ma dico, era giusto? Mi ero sposato a far che? (Con uno sguardo verso la seconda tavola) Per entrar­ci, in quell'uovo. La gioventù... il ramino... Ma l'uovo si era già richiuso... E io fuori. Escluso. Respinto. Spo­sato, non interessavo più nessuno... Sistemato sopra l'armadio... Con lo zio... (Invidioso) Toccava a Giusep­pe, adesso... Giuseppe...

Carlotta                         - (alla seconda tavola) Un pegno, Giuseppe! Mi dovete pagare pegno. Cosa gli faccio fare?... Datemi un bacio, sulla fronte. (Giuseppe esegue. Ri­sate di Carlotta e Lucia).

Magis                            - (alzandosi) Tentavo ancora... (Lontano, si ode una fanfara; Carlotta va verso la porta. Si sente più forte la fanfara).

Carlotta                         - C'è una parata...

Lo Zio                           - Chiudi quella porta. Non riesco neanche a pensare. (Voltandosi, Carlotta si trova faccia a fac­cia con Magis che l'ha seguita e raggiunta).

Magis                            - Dammi un bacio.

Carlotta                         - Che ti prende?

Magis                            - Puoi pure baciarmi, no? (Carlotta esita, poi, rapidamente, lo bacia sulla guancia).

Magis                            - (piagnucoloso) Non così... come prima... (Cerca di prenderla tra le braccia).

Carlotta                         - (cercando di liberarsi, contenendo la voce) Lasciami... lasciami... non ti vergogni?... Lo dirò a Ortensia...

Magis                            - Dammi il tuo fazzoletto...

Carlotta                         - (stupita) Il fazzoletto? Perché?

Magis                            - Come ricordo.

Carlotta                         - (lo guarda e dopo un silenzio) Ti dete­sto.

Magis                            - Dammelo. (Riesce a prendere il suo fazzo­letto).

Carlotta                         - (con uno scoppio di voce forte) Ridammi il fazzoletto!

Berthoullet                    - (di lontano, gioviale) Litigano.

Carlotta                         - (andando verso la famiglia) Mi ha pre­so il fazzoletto.

Berthoullet                    - E be'? E' per scherzo, no? Te lo re­stituirà. Ne ha anche troppi, di fazzoletti, figurati. Eh, Emilio?

Carlotta                         - (sempre fuori di sé) Non è per questo. E' per avere qualcosa di me. Me l'ha detto.

Ortensia                        - (cadendo dalle nuvole) Perché un faz­zoletto?

Carlotta                         - Mi tormenta tutto il tempo. Mi corre dietro negli angoli. Mi fa delle proposte.

S.ra Berthoullet             - (alzandosi) Delle proposte?...

Berthoullet                    - Non ci capisco niente, io, di queste storie.

Lo Zio                           - (continuando a giuocare) Prendo io.

Giuseppe                       - Un fazzoletto? Ma allora è vizio questo.

Lucia                             - Tu non mettere bocca, scemo.

S.ra Berthoullet             - (con violenza) Te l'avevo detto, Gastone, di prendere delle referenze. Prima di dare tua figlia...

Magis                            - Oh, tante storie per un fazzoletto. Esagera­zioni... (Lo zio caccia il fazzoletto, si soffia il naso. Tutti lo guardano).

Berthoullet                    - Andiamo, Emilio. Restituisci il faz­zoletto e che non se ne parli più.

S.ra Berthoullet             - Neanche per sogno! Non reste­rò un minuto di più in questa casa. A mia figlia! Delle proposte! Povera Ortensia, vai, vai, povera Ortensia...

Ortensia                        - Andiamo, mamma. Sai com'è Carlotta. Si immagina sempre delle cose.

Carlotta                         - Mi immagino delle cose?

S.ra Berthoullet             - Certamente. L'avrai provocato, sono sicura...

Carlotta                         - Voleva darmi un bacio...

Lo Zio                           - (protestando) Ma che razza di partita è questa!

S.ra Berthoullet             - Venite, zio...

Ortensia                        - (uscendo con la madre) Mamma, su, è ridicolo... (La famiglia esce. Berthoullet, prima di usci­re, fa un gesto di impotenza a Magis. Magis ripete lo stesso gesto verso il pubblico).

Magis                            - Ecco!... Credete che Ortensia me ne abbia riparlato, che mi abbia fatto una di quelle belle sce­nate che piacevano tanto alla mia povera madre? Nien­te affatto... Il silenzio... La pietra tombale... Era il loro modo di fare, per i Berthoullet... Le cose che davano fastidio, non se ne parlava più... E io cominciavo ad annoiarmi... A annoiarmi, sì... Eppure Ortensia mi pia­ceva parecchio... Bella donna... Ma era come se non esistesse. Lei, i mobili, i centrini di pizzo... Pezzi di legno... Il vuoto, via... la mia parte di sonno... Avevo un collega, al Ministero. Lui sonnecchiava in ufficio. Verso le sei, cominciava a risvegliarsi. Per me, era il contrario. (Prende il cappello, va verso il fondo) Al­lora, sono ritornato da Rosa, Perché? (Un gran gesto vago) Che ne so io? (Sulle ultime parole sono entrati, da sinistra Rosa e Eugenio. Rosa ha in mano una ca­micia, 'e un ferro da stiro che dispone sulla tavola del secondo piano. Eugenio, con la giacca sul braccio, pren­de il giornale abbandonato da Magis e lo apre).

Magis                            - Cavolo, c'era Eugenio. Questo, non ci ave­vo pensato...

Eugenio                         - (voltandosi verso Magis) Magis!

Magis                            - Buongiorno!

Rosa                              - (stirando) Buongiorno...

Eugenio                         - Ma entra! (Si mette a ridere) Questo ac­cidente di Magis! Di già (Ride ancora, poi smette di ridere. Rosa, china sul suo ferro, guarda Magis).

Magis                            - E ci guardavamo. Ci guardavamo, là, tut­ti e tre. C'era tra noi, come un fosso, dal quale saliva un'aria di miseria, di vergogna...

Eugenio                         - (ripetendo macchinalmente) 'St'accidente di Magis... (Rosa mette da parte il ferro, spiega la ca­micia davanti a sé per esaminarla. Poi, a Eugenio).

Rosa                              - Dovresti andare a fare un giretto...

Eugenio                         - (esitante) Se lo dici tu... (Sempre lenta­mente si infila la giacca. Rosa si gratta un angolo del­la bocca. Magis guarda attorno) Ma dove vado? Al caffè, a quest'ora, non ci sarà nessuno...

Rosa                              - (brusca) Fregatene. (Raddolcendosi) Non ti dico mica di stare via delle ore...

Eugenio                         - (fa un passo, poi, a Magis) Salve! Se non ti rivedo.

Magis                            - Salve.

Eugenio                         - (vicino alla porta) Allora... io vado? (Nessuno risponde. Eugenio ritorna ancora verso il cen­tro della scena per riprendersi il giornale. Esce da de­stra).

Rosa                              - (sovrappensiero a Magis) La prossima volta, andremo all'albergo. Gli piacciono i suoi comodi, a Eugenio. Non c'è ragione di scomodarlo. (Raggiunge la porta di sinistra) Be', vieni o che fai?

Magis                            - (raggiungendola) Rosa mia... (Escono da sinistra. Quasi subito, Magis rientra infilandosi la giac­ca).

Magis                            - (molto disinvolto) A questo proposito, c'è un'osservazione da fare, che ho fatta spesso. Se si de­ve dar retta al sistema, all'amore non si comanda. Né al desiderio. Cos'è, questo desiderio? Un festone. La schiuma. Il Pompom. Che va, che viene. Quel che ci può essere di più capriccioso, lui. Stasera, rientrando, con la vostra signora, ci farete l'amore? Non è detto. Vedremo', non so. Ad ogni modo, non vi viene certo in mente di dirvi... (Guardando l'orologio) Accidenti, mezzanotte e ventidue, bisogna che... Se la polizia vi obbligasse, vi rifiutereste. Non è vero?... Gli direste: « Un momento! Il desiderio uno non se lo dà ». Eh? Inattaccabile, mi pare. Bene. Allora, spiegatemi un po' come va il fatto che con Rosa, lei diceva: giovedì alle sei e mezza, sei e quaranta, paf, facevamo all'amore. Su ordinazione! Come dietro ordine di un questurino, al quale, stavolta, avessimo obbedito. Come nei nego­zi. Me lo mandate a casa giovedì alle sei e mezza. Su ordinazione, non c'è altra parola. E succede lo stesso a tutti. Mi sono informato. Con la donna di tutta la vita, o di quindici giorni, si aspetta, si rimanda... Con la donna che è lì per mezz'ora sola, non si aspetta. Il desiderio è là, pronto. Mi direte: be' è facile da spie­gare, è l'occasione, l'occasione da prendere o lasciare. Non dico di no. Ma l'occasione, che cos'è? Un ordine del destino. Un comando. Un'ingiunzione. E il deside­rio accorre, il desiderio obbedisce. Ma il dogma, allo­ra? Che al desiderio non si comanda? Al desiderio si comanda molto bene. Almeno, a Parigi, capita tutti i giorni. (Magis si volta verso il fondo dove nel frattem­po è apparsa Ortensia, spingendo una carrozzina).

Magis                            - Nel frattempo, Ortensia e io, abbiamo avu­to un figlio... Una bambina... Beatrice... Beatrice! Sen­tite che nome. Un'idea di mia suocera... Anche se ciò mi aveva valso la riconciliazione con la famiglia... (Con tono seccato mentre i diversi personaggi annunciati entrano) Suocero, suocera, Lucia, Giuseppe, spo­sati adesso... No, niente Carlotta. Carlotta non veniva più.

S.ra Berthoullet             - Emilio caro!

Magis                            - (triste) Suocera.

Berthoullet                    - Salute, vecchio mio! (Immediata­mente la famiglia va a chinarsi sulla culla).

Magis                            - Avete visto? Senza frasi, senza spiegazio­ni. Seppellito, il fazzoletto. A forza di non parlarne, io dico che se l'erano dimenticato.

Berthoullet                    - (chinato sulla culla) Chilli chilli chilli.

S.ra Berthoullet             - Ha il sorriso che è tutto Emi­lio.

Berthoullet                    - E ru, ru, e ru ru, e rududududu... Ec­co, ecco la bestiona che sale, sale e si mangia tutta Beatrice....

Lucia                             - Non agitarla, papà.

Giuseppe                       - (avvicinandosi alla veduta di Costantino­poli, col tono di chi se ne intende) Ah, Costantino­poli...

Magis                            - (triste) Sì, Costantinopoli...

Giuseppe                       - (dà uno sguardo a sua moglie e prende Magis per il braccio) Sai cosa mi sarebbe piaciuto, una volta nella vita? Andare a letto con una turca. Dev’essere straordinario. (Infelice) Soltanto, non mi è mai capitato.

Magis                            - Capiterà...

Giuseppe                       - (dopo un'altra occhiata a sua moglie) Oh, ormai... (La famiglia Berthoullet accenna a un mo­vimento di partenza).

Magis                            - (andando verso di loro) Come? Ve ne an­date già?

S.ra Berthoullet             - Un genero che trattiene la suo­cera, suoniamo le campane...

Magis                            - Una suocera come voi, mammà...

Ortensia                        - A domenica... (Ortensia esce portando via la carrozzina. La famiglia Berthoullet esce dalla sua solita parte).

Magis                            - Poi, un giorno, mentre tornavo dal Mini­stero...

Ortensia                        - (rientrando) Indovina chi è venuto que­sto pomeriggio. No, non puoi indovinare. Vittorio Du­gommier.

Magis                            - Dugommier?

Magis                            - Il figlio di Dugommier, sai? Te ne ho par­lato. Che erano nostri vicini. Poi il padre è morto e Vittorio è partito per l'Indocina. E' appena tornato. Fi­gurati la mia sorpresa! (Ortensia nell'annunciare que­sta notizia, è un po' più agitata del necessario).

Magis                            - Ah, ah, Torna dall'Indocina? Un po' gial­lo, scommetto!

Ortensia                        - Perché giallo?

Magis                            - Be', lo sanno tutti, quelli che vanno da quelle parti, tornano gialli.

Ortensia                        - Non è giallo per niente.

Magis                            - Be'. Dicevo così... (Magis va al proscenio, si siede, si toglie le scarpe, si infila le pantofole, si sfi­la la cravatta. Durante queste operazioni, Dugommier è entrato. Appende il cappello all'attaccapanni e si met­te in posa di conversatore).

Magis                            - (alzandosi) E così, la domenica seguen­te?... (Raggiunge il gruppo Ortensia-Dugommier).

Dugommier                   - Ah, è stato duro partire, sradicarmi! (Energico) Ma era necessario... Quaggiù, non trovavo che occupazioni senza interesse, senza rapporto con le mie capacità. Troppe meschinerie, nella metropoli. Af­faretti, guadagnetti, non c'è slancio. Laggiù, è tutta un'altra cosa... Ciò non toglie che quando ho visto le coste della Francia annebbiarsi all'orizzonte... (Con uno sguardo a Ortensia) quando ho pensato a tutto ciò che lasciavo dietro di me, la famiglia, gli effetti più cari...

Magis                            - Ma, signor Vittorio, non avete detto che vi .eravate imbarcato a Genova?

Dugommier                   - Sì... Perché?

Magis                            - Be', a Genova... le coste della Francia...

Dugommier                   - E' un modo di dire...

Magis                            - Ah, va bene... (Torna verso il pubblico fa­cendo un gesto con le mani come a prendere a testimoni gli spettatori della assurdità della frase di Du­gommier. Ortensia, dietro di lui, versa una tazza di tè a Dugommier. I due si guardano).

Magis                            - (al pubblico) No, al principio non ho avu­to sospetti. Niente. Sarà da stupido, ma è così. Oh, cer­to, avevo capito che l'aveva amata, Ortensia, prima, prima dell'Indocina. E anche lei, di sicuro. Dovevano essersi (facendo il buffone) scambiati dei baci. Anzi, questo spiegava perché lei aveva accettato di sposar­mi. Non aveva tenuto fede, pensava che non sarebbe tornato più, il giallo. Lo rimpiangeva, senza dubbio. Io non ero il suo tipo... Poi, il Dugommier, per forza, con il suo amore, su Ortensia, si faceva delle illusioni. La Madonna, la creatura di sogno, pura siccome un an­gelo... E io naturalmente ero una canaglia... vedere la sua creatura di sogno sposata con una canaglia, dove­va essere doloroso, figuriamoci, mettetevi al suo po­sto... La nostalgia, si sa... le cose che potevano essere e non sono... Allora io mi divertivo a rovinargli la fe­sta... (torna verso Dugommier e Ortensia).

Dugommier                   - (mondano) Ciò che amo soprattutto sono i mobili Impero.

Magis                            - (spiritoso) Questione di gusti! A me piac­ciono i mobili in melo. Ahah, ahah! (Dugommier e Or­tensia si scambiano uno sguardo).

Ortensia                        - (a disagio) Cosa ti dicevo, Vittorio. Emi­lio ha sempre la battuta pronta.

Magis                            - (accorgendosi di un pacchetto) He, he, he, cosa sarebbe questa paccottiglia?

Dugommier                   - Sono dei marrons glacés. Non ho di­menticato che a Ortensia piacciono.

Magis                            - Oh. I marrons glacés (Ne prende uno) Mmm... Nelle famiglie modeste, è molto apprezzato, il marron glacé. Costa salato, no? (Si succhia il pollice e l'indice) E' vero che voi ve lo potete permettere, si­gnor Vittorio. (Dugommier è evidentemente seccato) E così, signor Vittorio, raccontateci delle avventure di viaggio, in genere è sempre roba interessante.

Dugommier                   - (cortesemente) Cosa volete che vi racconti?

Magis                            - E nel reparto femmine, da quelle parti, in Indocina, come andiamo? Ne avrete fatte di cotte e di crude, scommetto.

Dugommier                   - (irritato) Ah, ma niente affatto!

Magis                            - Be', in quei casi, si arraffa quel che si tro­va, non è vero, signor Vittorio?

Dugommier                   - Vi assicuro che...

Magis                            - Dev'essere un po' unta, la donna gialla, no? (Prende ancora un marron glacé e se ne mette in tasca qualche altro. Poi verso il pubblico) Oppure face­vo il tipo tontodimamma. Come si arrabbiava! (A Du­gommier) Uh, che rabbia, accidentaccio, non trovo più la mia pipa. Pipa, pipetta, dove sei, salta fuori. Che ce l'ha lei, sor Vittorio? Non si arrabbi, sa, una pipa co­sì è un tesoro... Pipa, pipetta?!... (prende un altro mar­ron glacé, poi a Ortensia) Uh, adesso mi sgriderai, piccioncino mio. Me li sono spolverati proprio tutti. E' vero che ce n'era uno strato solo. Oh, non è mica un rimprovero, signor Vittorio...

Dugommier                   - (che non ne può più) Ma chiamate­mi Vittorio, almeno!

Magis                            - Ah, non potrei mai, signor Vittorio... (Esa­sperato, Dugommier si lascia cadere in una poltrona).

Magis                            - (tornando verso il pubblico) Ma sospetti, no... (Mentre parla, si rimette le scarpe, la cravatta, prende il cappello) Veramente mi ero accorto che di tanto in tanto veniva anche di pomeriggio, il Dugommier, quando io non c'ero. All'ufficio, lui restava più a lungo il martedì, e così il venerdì pomeriggio aveva vacanza. Ma non pensavo che andassero molto in là, pensavo che si limitassero al sentimento. Le confiden­ze, i rimpianti, il folklore, che ne so... E' Rosa che mi ci ha fatto pensare. Un giorno, mi dice: e il tuo Dugommapiuma, va sempre a letto con Ortensia? Sem­pre semplice, Rosa. Guarda guarda, mi dico io. E un ve­nerdì, con la scusa di un mal di denti, esco dal Mini­stero alle tre, rincaso... (Si volta e in punta di piedi, va verso la porta. A metà strada, si ferma per mostra­re al pubblico, col dito, il cappello di Dugommier)

Magis                            - Un cappello! Sembra una cosa da nulla, un cappello. (Alzando l’indice) E sotto, l'adulterio! (Guar­da dal buco della serratura. Dugommier ha una tazza di caffè in mano. Ortensia aggiusta dei calzini).

Dugommier                   - Sono preoccupato per la mia mamma. Non sta più tanto bene.

Ortensia                        - E' l'età. Anche la mamma si lamenta sempre.

Dugommier                   - Ho una mezza idea di mandarla in Svizzera. (Pausa) Mi domanda sempre tue notizie... Ti vuol molto bene...

Ortensia                        - Andrò a trovarla uno di questi giorni.

Dugommier                   - Le farai piacere... (Magis si volta per un istante al pubblico, con un gesto che significa: Ma no, c'è dell'altro) Povera mamma... Il suo sogno sarebbe stato di vederci sposati.

Ortensia                        - Non bisogna parlare di queste cose.

Dugommier                   - (riscaldandosi) Perché? Bisognerà pur parlarne, prima o poi. Il tuo matrimonio è stato un errore. Tu non puoi restare con quell'individuo. E' di una tale stupidaggine e di una tale volgarità...

Ortensia                        - Tu non lo conosci... (Magis alza le spal­le, ritorna verso il pubblico).

Magis                            - Nient'altro... Proprio quello che mi aspet­tavo... Robetta, chiacchiericcio... Strani tipi, a questo mondo... Tre settimane più tardi, tanto per mettermi il cuore in pace, ho dato un'altra occhiata. (Dugommier si è avvicinato a Ortensia e le tiene le mani. Magis torna al buco della serratura)

Dugommier                   - Ma io ti amo. Non ho mai cessato di amarti. Laggiù in Indocina, la tua immagine mi ossessionava. (Interessato, Magis, senza voltarsi, atti­ra a sé uno sgabello e ci si siede)

Ortensia                        - Anch'io, ti amo.

Dugommier                   - E allora, perché non mi hai aspet­tato?

Ortensia                        - Pensavo che mi avessi dimenticata.

Dugommier                   - (con tutta l'anima) Dimenticarti! (Dugommier trascina Ortensia verso il letto, incastra­to nella parete di destra. Abbassa il letto. Ortensia si siede. Dugommier si inginocchia davanti a Lei, le prende il viso tra le mani)

Dugommier                   - Amore mio... (Ortensia si lascia an­dare sul letto. Dugommier è chino su di lei, la bacia. Una pausa)

Magis                            - (tornando verso il pubblico) Le prime volte, mi ci interessavo... Sì... Pensavo che mi sarei sentito ferito... Niente affatto... Alle lunghe, sì... Per via di quell'aria beata che avevano, i due. Quell'aria felice, soddisfatta. Ortensia, io dico che le faceva be­ne, che ingrassava. Allora mi irritavo, mettetevi al mio posto. Quest'aria di poter fare a meno di me... Die­tro le loro guance lisce... E così, prendevo la parola... (Ritorna verso Dugommier e Ortensia che, nel frat­tempo, sono ritornati sulle poltrone) Dovreste sposar­vi, signor Vittorio. Non è vita, questa. Ne parlavo pro­prio ieri notte, a Ortensia, a nanna nel nostro lettone. Vero, Ortensia?

Dugommier                   - (avvelenato e ironico) Quanta' solle­citudine, Emilio.

Magis                            - Guardate me, per esempio. Tutte le notti vado a dormire, e chi ti trovo nel letto? Una bella pol­lastrella come Ortensia. Credete che non sia una sod­disfazione?

Dugommier                   - (dopo uno sguardo disperato a Orten­sia) Oh, ne sono sicuro!

Magis                            - Mettiamo che mi venga una voglia, me la tolgo subito. Senza scomodarmi.

Dugommier                   - (scoppiando) Vi prego, almeno nien­te particolari! (Riprendendosi) State parlando a uno scapolo...

Magis                            - Altrimenti, chi sei? Un disgraziato. Obbli­gato a rivestirti in piena notte, per correre a raci­molare una di quelle del marciapiede, a rischio di ac­chiappare qualche bella malattia. (Ortensia lancia uno sguardo inquieto a Dugommier)

Dugommier                   - Oh, fatemi il piacere! Quelle del mar­ciapiede, come voi dite con tanta eleganza, non rien­trano nelle mie abitudini.

Magis                            - (interessato) Ah no? Avete qualche indi­rizzo?

Dugommier                   - (esasperato) Ma non ho nessun indi­rizzo.

Magis                            - E come ve la cavate allora? Forse non vi interessano e basta, le donne. Ci sono uomini così, sem­bra. Che non ne hanno bisogno.

Ortensia                        - Emilio!

Dugommier                   - (ridendo verde) Mio caro Emilio, state diventando indiscreto.

Magis                            - Be', andiamo, tra amici... E' tutta questio­ne di temperamento. Non c'è da vergognarsi. Siamo quello che siamo, via... Del resto, sapete, ho scoperto tutto, caro signor Vittorio. Ho scoperto tutto quanto. (Ortensia e Dugommier si scambiano uno sguardo at­territo)

Magis                            - (prolungando il piacere) Toh, la mia pipa, dove è andata a cacciarsi, ancora?

Ortensia                        - (sforzandosi, con la voce tremante) Cos'è che hai scoperto, Emilio?

Magis                            - Be', sembra che quando uno ha assaggiato la donna di colore, le altre, non sanno più di niente, insipide, sono un semplice surrogato.

Dugommier                   - (rassicurato) Non ho mai toccato una donna di colore.

Magis                            - (tonto) No? E' l'odore che dà fastidio, for­se? (Affranto, Dugommier si prende la testa tra le mani. Magis alza le spalle)

Magis                            - (al pubblico) Fino al giorno in cui tutto ciò ha cominciato a darmi una specie... una specie di di­sagio, esattamente. Là, sul mio sgabellino, mi sentivo solo. Respinto, una volta di più. In disparte... La do­menica pomeriggio, c'era Dugommier, c'era Ortensia, c'ero io. Io con loro. Io mescolato a loro. E tra noi, co­me una piccola sorgente: tra di noi, l'amore... Non parlo dell'amore Dugommier-Ortensia. Non mi inte­ressano, queste porcherie. Parlo di quello che pulsava tra noi, Dugommier e le sue storie, Ortensia e il suo lavoro a maglia, io a far fuori i marrons glacés... Tut­to ciò che ci legava, insomma... Bene. Poi, il venerdì, cosa facevano, loro due? Mi respingevano, si butta­vano ad accaparrarsi tutto. Tutto per loro... Come due ladri, lasciandomi solo come un pidocchio, solo come una cimice. Ci fossi stato o no, io, era lo stesso. Allo­ra, il matrimonio non significa niente?... La vita in due?... Tutto quello che si racconta... Eppure sentivo il bisogno di riunirmi a loro... in qualche modo... (Du­rante questo monologo Dugommier ha preso Ortensia tra le braccia, la trascina verso il letto. Ortensia si stende. Dugommier si toglie la giacca e la colloca con cura sul dorso di una sedia. Si corica presso Ortensia. Magis in punta di piedi va verso il fondo. Passando mostra al pubblico il cappello di Dugommier. Guarda dal buco della serratura. Si alza, apre la porta)

Ortensia                        - (dal letto) Oh! (Si aggrappa a Dugom­mier che, con gesto di protezione, la circonda col brac­cio)

Magis                            - (avanzando sorridente) Bravi! Bravi! (Fa il gesto di applaudire) Congratulazioni, Ortensia. E' ogni volta un po' meglio.

Ortensia                        - Emilio, ti giuro... (Magis va verso la giacca di Dugommier e ne estrae il portafoglio).

Dugommier                   - (balbettando) Cosa fate? (Preso il portafoglio, Magis si è allontanato immediatamente)

Magis                            - Be', signor Vittorio, prendo il vostro por­tafoglio, no?

Dugommier                   - (stupefatto) Per fare che?

Magis                            - Ma per la contribuzione alle spese, signor Vittorio. Capirete che quel mio misero stipendio non riesce certo ad assicurarmi un minimo di comfort. (Ortensia e Dugommier si guardano, Ortensia con stupore. Dugommier con un principio di orrore).

Ortensia                        - Emilio...

Magis                            - (disinvolto, intascando il portafoglio) Ten­go tutto, va bene?

Dugommier                   - (con un grido) Ma c'è tutto il mio mensile...

Magis                            - È appunto per questo che Ortensia ha consigliato di aspettare oggi.

Dugommier                   - Ortensia?

Ortensia                        - Ma non è vero! Non dargli retta!

Magis                            - Ahahah, signor Vittorio, ci meravigliamo un po' di voi... Francamente! Siete il primo a fare tante storie.

Dugommier                   - Il primo? (Spinge a lato Ortensia, cerca di alzarsi)

Magis                            - (andandosene) Oh, non vi disturbate! Non vi disturbate...

(Esce dal fondo. Ortensia cerca di trattenere Du­gommier che, con dei gran gesti furiosi, si divincola, infila la giacca e se ne va. Ortensia cade in ginocchio davanti al letto, la testa tra le mani. Magis torna da sinistra. Fruga nel portafoglio, intasca il denaro, esa­mina le varie carte contenute nel portafoglio, con at­teggiamenti diversi, sorride, scuote la testa, si batte la coscia... guarda anche una fotografia...).

Magis                            - La povera mammina... (Finisce per metter­si il portafoglio in tasca).

Ortensia                        - (gettandoglisi addosso) Miserabile! Sei contento, adesso, vero?

Magis                            - Io? Bella domanda... Chi è il cornuto, qui?

Ortensia                        - Hai voluto sporcare il mio amore. Puoi essere soddisfatto. Ci sei riuscito. Mi hai svergognata.

Magis                            - Questa è buona! Tu mi tradisci e sono io che ti svergogno. Originale!

Ortensia                        - Quel denaro! Quel denaro che hai ru­bato! Sì, rubato...

Magis                            - E lui?

Ortensia                        - Lui, cosa?

Magis                            - Lui che mi ha rubato mia moglie. Lui de­ruba me, io derubo lui, siamo pari. E inoltre, chi è che ruba di più? Tu ti valuti solo sessantaduemila franchi? Sì, vecchia mia, sessantaduemila. Ci aveva detto che ne guadagnava ottanta. Si è anche au­mentato.

Ortensia                        - Mi ha insultata.

Magis                            - Una donna che tradisce il marito merita di essere insultata. (Al pubblico) Eh, mi pare che... Inattaccabile!

Ortensia                        - Mi prenderà per una ladra, per una puttana. Ricattatrice... mi ha detto. Ma perché l'hai fatto? Emilio, non è possibile.

Magis                            - (cupamente) Un uomo a cui rubano la moglie, a cui rubano la moglie adorata, quell'uomo ha il diritto di fare qualsiasi cosa per riconquistarla.

Ortensia                        - (guardandolo con stupore) Ma, Emilio...

Magis                            - Che?

Ortensia                        - Io credevo che non ti importasse più niente di me...

Magis                            - Avevi torto. (Ortensia si volta, colla faccia tra le mani. Poi, si volta di nuovo verso Magis).

Ortensia                        - Ti chiedo perdono per il male che ti ho fatto. (Con aria afflitta, Magis la prende per le spalle)

Magis                            - Mia povera Ortensia! Sì, siamo proprio due infelici. Colpa mia, forse... Sì, sì, me ne rendo conto... Ti ho trascurata... ma capisco, capisco come vanno certe cose, sai. Hai avuto un momento di de­bolezza. Succede! (Dietro Ortensia, alza gli occhi al cielo)

Ortensia                        - (commossa) Emilio... (Una pausa) Ma quel denaro...

Magis                            - (allontanandosi bruscamente) Cosa, quel denaro?

Ortensia                        - Non era che una lezione, vero? Glielo restituirai?

Magis                            - (con un grido) Per niente al mondo.

Ortensia                        - (stupefatta) Ma cosa vuoi farne?

Magis                            - (fermamente) L'ho regalato.

Ortensia                        - (al colmo dello stupore) A chi?

Magis                            - (sicuro) Ai poveri. (Ortensia lo guarda. Non osa ne' credergli né smentirlo).

Ortensia                        - Ai poveri? Sessantaduemila franchi,...

Magis                            - E' proprio da sessantaduemila franchi in su che la cosa diventa interessante. Credi che basti dar loro venti franchi, ogni morte di papa, come fa tua madre? Bella mentalità!

Ortensia                        - Ma è denaro rubato.

Magis                            - Rubato a un rubane.

Ortensia                        - E Vittorio, cosa ne penserà?

Magis                            - Me ne frego di quel che pensa Vittorio.

Ortensia                        - Crederà che siamo complici...

Magis                            - Che importanza ha?... Non penserai di rivederlo, spero... (Come abbandonandosi a un impeto di gelosia) Tu non lo vedrai più! Giurami che non lo rivedrai più!

Ortensia                        - No, no, te lo giuro. Ma tu non puoi farlo. Come vuoi che campi, in questo mese?... E la sua povera madre?

Magis                            - Me ne frego della sua povera madre! Ma guarda che è il colmo! Un delinquente mi prende la moglie, insozza il mio focolare, e poi sono io quello che dovrebbe preoccuparsi di sua madre... Ti dico io... (Ortensia fugge per il fondo).

Magis                            - (al pubblico) Davvero... a pensarci... La sua povera madre... E' inaudito, quel che ci tocca sen­tire, alle volte... Dopo di che, sapete cosa ha fatto, Ortensia?... Ve la dò a indovinare tra mille... Ha confessato tutto alla sua mammina. Perché? E che ne so io... Confidarsi... il piacere di confidarsi... tranne il colpo del portafoglio, peraltro. Quello, non l'ha rac­contato. Non deve averlo capito, quello... Povera Or­tensia! Il cervello, be', non era il suo forte... Risul­tato... (Entrano il signore e la signora Berthoullet, se­guiti da Ortensia)

S.ra Berthoullet             - (prendendo Magis tra le braccia) Caro, caro Emilio (Tenendolo tra le braccia tese) Mio povero Emilio! Ah, vi avevo giudicato male...

Magis                            - Suocera...

Berthoullet                    - (stringendo una mano di Magis e con l'altra mano sulla spalla) Voi avete tutta la mia stima, Emilio. A nome della famiglia, io vi ringra­zio. E' bello, ciò che avete fatto, è generoso. Noi a-vremmo potuto precipitare nella tragedia. Grazie a voi...

S.ra Berthoullet             - (a Ortensia) Puoi ringraziarlo, tu, sai. Perdonarti così. Non ce n'è mica molti che avrebbero fatto altrettanto, sai... Quando penso a quel Dugommier.

Berthoullet                    - Zitta! Non parliamo più di quel miserabile... Una partitina, Emilio? Vi distrarrà un poco.

Magis                            - (con aria affranta) Se volete...

S.ra Berthoullet             - Ma guarda che pena. Un ragaz­zo che era sempre allegro.

Berthoullet                    - Andiamo, andiamo, Emilio. Non bisogna neanche drammatizzare. Voltiamo pagina. Co­noscete la storiella dell'inglese e della tartaruga? (Comincia già a ridere)

S.ra Berthoullet             - (severa) Gastone!

Magis                            - Lasciate fare; mammà. Ho dimenticato. (Con un movimento del mento) Voglio dimenticare.

S.ra Berthoullet             - (entusiasta) Ah, così va bene, Emilio. Così va bene! (Severa) Hai visto, Ortensia?

Ortensia                        - Sì, mamma. (Magis torna verso il pub­blico. I Berthoullet prendono congedo ed escono, se­guiti da Ortensia).

Magis                            - Soltanto che dopo un certo tempo, mi so­no accorto che tutto era ricominciato. Voglio dire: Ortensia e Dugommier. Come lei ci fosse riuscita, non lo so. Forse era riuscita a convincerlo che lei col col­po del portafoglio non c'entrava per niente. O forse era Dugommier, che ne aveva approfittato. E' disgu­stoso, quello che riesce a farci fare l'amore, certe vol­te. Via la dignità, via tutto... Ma io, nel frattempo, ero di nuovo escluso, non valevo più un soldo... Solo, solo, sperduto nel buio... E tuttavia, non potevo' mica ab­bandonarli! Ortensia e Dugommier. Loro sì, mi mette­vano da parte. Ma io non tolleravo di essere messo da parte. Devono essere queste, le famose catene del ma­trimonio... (Sedendosi sul letto) Pensavo che il colpo del portafoglio sarebbe bastato. Neanche per sogno. Bisognava ricominciare tutto da capo. Perché la finis­sero di trascurarmi, di cancellarmi. Cos'altro avrei po­tuto fare? Lamentarmi? Non sarebbe stato molto di­gnitoso. Minacciarlo? Grazie tante! Molto più robu­sto di me, il Dugommier. (Alzandosi, ispirato) Invece, portandogli via dei soldi lo riacciuffavo, lo ferivo nel suo punto debole. Tiratino, il Dugommier. Economo. Offriva marrons glacés, ma a duecento grammi la volta... E io andavo a trovarlo... (Prende il cappello) Abitava in Rue Juliette Dodi...

(Col cappello in mano, Magis aspetta. Dalla destra entra Dugommier, in giacca da casa).

 Dugommier                  - Voi?

Magis                            - (riprendendo il suo stile da deficiente) Be', sembrerebbe di sì, signor Vittorio...

Dugommier                   - Voi siete un fior di mascalzone...

Magis                            - (con dignità) Signor Vittorio, rispettate così poco la vostra amante, da mancare di rispetto a suo marito?

Dugommier                   - (inchinandosi) Avete ragione. (Ma­gis lo guarda, alza le spalle).

Magis                            - Tanto più che vengo per lei. Da parte sua.

Dugommier                   - Spiegatevi.

Magis                            - (riprendendo il tono deficiente)     - , Be', in certo senso, signor Vittorio, voi dormite con mia mo­glie...

Dugommier                   - (strozzato) Io?

Magis                            - Perché, ce n'è un altro?

Dugommier                   - (schiacciato) Almeno, non prendete questo tono...

Magis                            - Si prende il tono che si può, signor Vitto­rio. Sono di condizione modesta, io... (Una pausa) Ho delle spese, delle spese fortissime...

Dugommier                   - Anch'io. Ho mia madre.

Magis                            - Be', questa è un'osservazione sciocca. Anch'io, ho una povera madre... Ma ho anche Ortensia, in più. Vi sembrerebbe onesto, signor Vittorio, ragio­nevole, di profittare di una donna e far pagare le spese a un altro?

Dugommier                   - (con dignità) Signore!

Magis                            - Perché non mi chiamate più Emilio, signor Vittorio?... Ho preso informazioni. Non che io abbia di queste abitudini, ma conosco dei colleghi che qual­che volta hanno ricorso ai servigi delle professioniste. L'ultima di quelle si prende sempre i suoi bravi mille franchi, mai meno. E voi non vi contetereste certo dell'ultima qualsiasi. Un raffinato come voi... Tra al­bergo, servizio, arrivate come niente a duemila fran­chi. Ogni volta...

Dugommier                   - Ma di cosa andate parlando?

Magis                            - Be', vi parlo delle economie che vi fa fa­re Ortensia. (Dugommier ha l'aria spaventata. Mentre fin qui ha tenuto le mani in tasca, ora le toglie, le stende avanti a sé, come uno che abbia paura).

Magis                            - (al pubblico) A questo punto, si sareb­be dovuto arrabbiare. (Tornando da Dugommier) Le economie che fate a mio carico, signor Vittorio. O a carico di Ortensia, se preferite. Eh, a carico di Orten­sia, buona questa, no?... Ah ah ah!... A otto o nove al mese, no? E' troppo? Non ci arrivate mai? Cinque volte? Sì, ma con Ortensia, è molto meglio, niente rischi... L'illusione di essere amati... Ha la sua im­portanza... In breve, credo di non chiedere molto do­mandandovi quindici miserabili biglietti da mille...

Dugommier                   - Quindicimila franchi?

Magis                            - Per il benessere della nostra beneamata Ortensia... Pensavo proprio di comprarle delle pan­tofole, delle graziose pantofoline...

Dugommier                   - (terrorizzato) E' un pensiero molto gentile, delicato... Ma quindicimila franchi... Per delle pantofole...

Magis                            - Oh, ci servono tante altre cose. Ortensia ha anche bisogno di una vestaglia. Io avrei proprio voglia di una giacca da casa. Un po' sul tipo di que­sta... (Avanza ancora e tasta la stoffa della giacca di Dugommier, che cerca di farsi più piccino) Questa sembra roba buona. Dove l'avete trovata?... Potreste metterla voi, del resto... quando venite a trovarci... Mia moglie, il mio letto, la mia giacca da casa, una comunanza totale, insomma... Quindicimila, signor Vittorio...

Dugommier                   - (con dolcezza) Ma certo, Emilio. Vo­lentieri. Avete ragione.

Magis                            - Lo credo bene che ho ragione... (toccan­dosi la testa) Questa funziona bene, sapete?

Dugommier                   - Ma qui, adesso, non ho niente...

Magis                            - Cercate bene, signor Vittorio...

Dugommier                   - Vi assicuro...

Magis                            - Siamo al quattro del mese. Non vorrete dirmi che vi siete già spesi i vostri sessantaduemila franchi. Non è il modo di governare il proprio bilan­cio, questo...

Dugommier                   - (sempre spaventato) Ho avuto dei conti da pagare.

Magis                            - Delle cose che venivano prima di noi? Pri­ma dell'amore? Povera Ortensia! Come resterà delu­sa a vedermi rientrare a mani vuote...

Dugommier                   - (rivoltato) Oh, sentite! State esage­rando!

Magis                            - (gridando) Esagero! (Dugommier sussulta e indietreggia) Un piccolo sforzo, signor Vittorio. Questa conversazione dev'essere penosa, per voi, ho paura... (Insinuante) Andiamo, sputate... (Terrorizzato, senza abbandonare Magis con gli occhi, Dugommier gli consegna il denaro, lo riaccompagna alla porta di de­stra, esce con lui. Magis ritorna alla porta di sini­stra. Al pubblico) E così esistevo! A quindicimila fran­chi a visita, era duro dimenticarmi. I soldi, me ne fregavo, io. Non sapevo nemmeno come spenderli. Ma per il Dugommier: quindicimila franchi erano qual­cosa. Con la sua povera mamma. Erano un bel vuoto. Un vuoto che ero io. Delle privazioni, ciascuna delle quali ero io. Si può anche esistere grazie al vuoto che si fa. Guardate l'aspirapolvere... Ebbene, questo sforzo che io facevo per raggiungerli, per stare anco­ra con loro, ecco, quello che non ho potuto perdonar­gli, è di averlo disprezzato, di averlo reso stupido, ri­dicolo, deriderlo. Sì, perché un giorno ho capito che mi prendevano per un pazzo. Per un pazzo! Io! Io che imploravo! Io che tendevo loro le braccia! Io che par­lavo con la voce della ragione. Un pazzo! Tutto si spie­gava. I loro sguardi le loro gentilezze. Dugommier che mi stava a sentire. Figuratevi che un giorno, sono rimasto da lui tre ore e un quarto. A torturarlo. Cre­dete che si sia irritato? Niente affatto. Sì, Emilio. A-vete ragione, Emilio. E Ortensia, lo stesso. Sì, Emilio. Hai ragione, Emilio. Avvolgendomi di ovatta. Come un poppante, come un malato, come un alcoolizzato. E intorno a loro, la paura, come una nebbia, una nebbia tra loro e me. (Ortensia è entrata dal fondo e, senza vedere Magis, va fino al comò)

Magis                            - Ortensia...

Ortensia                        - (sussultando) Ah, sei lì. Mi hai fatto paura...

Magis                            - (al pubblico) Paura? Perché le facevo paura? Tiravo fuori il temperino... (Esegue) Un tem­perino da ragazzino, in fondo... (Ortensia lo guarda con terrore e rincula) Guardatela. Trema... (Ortensia esce dal fondo) Mi meritavo, tutto ciò? Mi meritavo di essere così schernito, eliminato fin nel mio cervel­lo... Che mi avessero odiato, passi. Ma avevo proprio meritato la loro paura? Con tutte le conseguenze... Un giorno, mi serviva un fazzoletto... (Va verso il comò, vuole aprire il terzo cassetto, non ci riesce, allo­ra toglie il secondo cassetto, lo mette a terra, pesca con la mano nel. terzo cassetto e ne trae un oggetto che contempla con stupore. Tornando verso il pubblico) Una rivoltella... Nel cassetto di Ortensia... (Apre la custodia con precauzione) Hurluvaut, armaiolo, Saigon. Saigon... La rivoltella di Dugommier... Tutto era chia­ro... La loro paura, i loro sguardi... (Imitando Orten­sia) « Mi fa paura, sai, Vittorio. È pazzo... » Allora Du­gommier gli aveva dato la sua rivoltella. « Se dovesse avere una crisi... Con un pazzo, bisogna aspettarsi di tutto... » Una rivoltella... Contro di me... (Quasi pian­gendo) Contro di me... Come una bestia... (Ragionando) Il fatto è che questa rivoltella cambiava tutto. Un minuto prima, non ero che un cornuto. Un cornuto come tanti altri. A causa della rivoltella, ecco che di­ventavo un uomo braccato, un uomo in pericolo, che doveva pensare a difendersi... A difendersi... e che ne aveva già trovato il modo... Giacché, in fondo, era an­cora libera, la rivoltella, no?... (Pensoso) E mi son visto davanti tutto il piano... (Va verso il comò, ri­mette a posto la rivoltella e il cassetto. Ortensia entra dal fondo, con un cappellino. Aggressivo) Da dove vieni? (Ortensia, spaventata, indietreggia. Magis l'af­ferra per il polso) Rispondi! Hai visto di nuovo Du­gommier, è vero? Tu torni da un appuntamento!...

Ortensia                        - Emilio, ti giuro...

Magis                            - Non giurare, lo so. Tu lo vedi ancora. Io che ti avevo perdonato. Quel porco! Mia moglie! Lo so, ti dico che lo so.

Ortensia                        - Emilio, ti supplico di credermi. Sono stata dalla mamma. Puoi chiederglielo.

Magis                            - Non sono scemo, va bene? D'accordo an­che lei. Le madri, devono pur servire a qualcosa. Pos­so anche domandarglielo. Se occorre, lei mi darà tutti i dettagli del caso, il cinema, il negozio dove eravate. E invece, nel frattempo, tu ti avvoltolavi con Dugom­mier...

Ortensia                        - Non è vero!

Magis                            - Se non è stato oggi, è stato ieri. Ti ha vista un collega mio. Rue Tronchet. Uscivi da un albergo.

Ortensia                        - (riprendendo coraggio) Non è vero. Non sono mai stata in Rue Tronchet.

Magis                            - Mai?

Ortensia                        - (non riesce a dissimulare il suo sollievo: non è mai stata in Rue Tronchet) Mai, te lo giuro...

Magis                            - (più calmo) Per l'ultima volta, voglio aver fiducia in te. Ma ho bisogno di una prova. Gli scrive­rai una lettera d'addio.

Ortensia                        - Ma se non lo vedo più. Da tanto tempo.

Magis                            - Ragione di più. Questa lettera non farà che confermarlo.

Ortensia                        - (alzando le spalle) Se ci tieni... (Col vol­to acceso, Magis fa un balzo, è all'armadio, prende una busta di carta da lettere, una penna, un calamaio e dispone tutto quanto sulla tavola in primo piano).

Magis                            - Siediti. Detterò io.

Ortensia                        - Ma...

Magis                            - Detto io. (Ortensia lo guarda. Alza anco­ra le spalle, si toglie il cappellino, va a posarlo sul comò, siede al tavolo)

Magis                            - (al pubblico) Ma sì, Emilio. Se ci tieni, Emilio. La paura e il disprezzo, mescolati. Un paz­zo, non è così?... Che ci fa paura ma davanti al qua­le non ci si preoccupa neppure di nascondere i propri pensieri... (Con uno sguardo a Ortensia) Tutte le sue brave ideuzze, visibili a occhio nudo. Pensava già alla sua telefonatina. « Non prendertela per quella iet­terà, Vittorio. Era all'orlo di una crisi. Ho scritto perché si calmasse ». (A Ortensia) Intanto, la brutta co­pia. E' una cosa seria, una lettera d'addio. Bisogna pesare le parole. (Dettando) Signore... No, prima di tutto la data. Poi metti: Vittorio. E' più naturale. Vittorio, virgola, a capo, da ormai quattro mesi vi ho espresso...

Ortensia                        - Di solito, gli do del tu.

Magis                            - In una lettera d'addio, non ci si dà del tu. (Dettando) Vi ho espresso il desiderio di non ve­dervi più. Ciò malgrado, voi avete continuato a farmi oggetto delle vostre insistenze. Questa storia deve ces­sare. Voi avete già fatto troppo male a un focolare che, virgola, prima della vostra venuta, virgola, era felice ed unito. (Ortensia non può trattenere un sor­riso. Magis al pubblico) Avete visto quel sorriso? Quan­do si cerca di perdonare alla gente, proprio allora fanno di tutto per impedirvelo. (Continuando) ...felice e unito. Vi chiedo formalmente di non cercare più di rivedermi. Sarebbe del resto inutile, giacché io non provo altro che disprezzo per le vostre lacrime, le vostre minacce...

Ortensia                        - (impuntandosi) Non mi ha mai minac­ciata...

Magis                            - Detto io o detti tu? (Chinandosi su Orten­sia per verificare) Le vostre minacce. (Allontanandosi e continuando a dettare) Poiché desidero agire leal­mente con mio marito, gli mostro questa lettera, così come gli mostrerò quella che aspetto da voi. In essa voi mi darete, spero, la vostra parola che non cerche­rete di vedermi mai più. Ecco... Ricopia... (Al pubblico) L'ha ricopiata... Ho conservato la brutta. Due giorni più tardi, mi ha mostrato la risposta di Dugommier. Nel senso voluto. Promettendo che, giurando che, pro­testando la sua stima nei miei riguardi. Per quel che gli costava... Come si saranno divertiti, alle mie spal­le! Pazienza... Ho fatto finta di essere soddisfatto. Anzi, per festeggiare, ho perfino offerto una cenetta, a Ortensia... Al ristorante... Sul conto di Dugommier... Ho lasciato passare due settimane. Il tempo di tran­quillizzarli... Poi, un giovedì, sono stato dal dottore. Mi sono lamentato di disturbi. Mi ha dato sei giorni di riposo. Tornando, dico a Ortensia... (Ortensia ha finito di ricopiare la lettera e ora va verso il fondo) Domani, faccio vacanza.

Ortensia                        - (inquieta) Domani?

Magis                            - Sì, domani, venerdì. (Ha gli occhi fissi su Ortensia. Un breve sorriso, poi riprende il suo tono bonario) Voglio andare a Bordeaux, da mia madre. Sono secoli che non la vedo, povera vecchia. Dal giorno del funerale di Giustina.

Ortensia                        - (sollevata) E' una buona idea.

Magis                            - Ho un treno alle due e dodici. Tornerò il giorno dopo, forse.

Ortensia                        - Fai pure con comodo. Per una volta che vai da tua madre '(Ortensia esce).

Magis                            - (tornando verso il pubblico) Ho fatto, con comodo. L'indomani, fino a mezzogiorno, sono andato a zonzo per il caseggiato. Ho fatto due chiacchiere con la portiera...

(La portiera appare sulla soglia della porta di si­nistra, scopando).

Portiera                         - Com'è, non andate al Ministero sta­mattina, signor Magis?

Magis                            - Mi son preso una piccola vacanza, signo­ra Nabure. Ogni tanto bisogna lasciar riposare il mo­torino.

Portiera                         - Fate bene, signor Magis, fate bene... (La portiera rientra in casa).

Magis                            - Prendo la rivoltella. (Va al comò, prende la rivoltella, l'osserva prudentemente servendosi del faz­zoletto) Carica! Ah, vigliacchi! (Fa scivolare la rivol­tella in tasca. Ortensia entra. Magis prendendo il cap­pello) Neh, allora... io scappo... (Bacia Ortensia) A do­mani...

Ortensia                        - Dà un bacio alla mamma da parte mia...

Magis                            - (scendendo verso il proscenio) Faccio qual­che commissione. Nel quartiere. Dall'orologiaio, a far riparare l'orologio. Dal cartolaio, per comprarmi un la­pis. Discutendo sul prezzo. Facendomi notare. Parlan­do della mia vacanza... Un po' di zucchero d'orzo per la bambina... poi vado al caffè di faccia a casa... Aspetto... Vedo passare Dugommier. Entra. Lo seguo. Salgo le scale... (Dugommier entra dal fondo. Orten­sia si getta tra le sue braccia. Magis si mette i guanti. Va fino alla porta, si piega un attimo per osservare dal buco della serratura, apre la porta. Ha in mano la rivoltella. Ortensia fa un passo per staccarsi da Du­gommier e poi resta immobile, mordendosi l'articola­zione dell'indice. Dugommier è rimasto di sasso) Nien­te paura, signor Vittorio. Per voi, ci sarà qualcos'al­tro... (Spara. Ortensia cade a terra. Magis getta la rivoltella ai piedi di Dugommier e corre fino alla por­ta di sinistra gridando) Aiuto! Assassino! (Si toglie i guanti, li mette in tasca) Aiuto! Ha ucciso mia mo­glie! Vuole ammazzarmi! Aiuto! (Dugommier è rima­sto fermo al suo posto, pietrificato, con le braccia da­vanti a sé. La portiera con la sua scopa, appare alla porta di sinistra)

Portiera                         - (spaventata) Signor Magis! Signor Ma­gis!

(Scoppia una fanfara: "Entrata dei Gladiatori". Dalle tre porte, con un gran svolazzare di toghe entra­ta da circo del Presidente, del Procuratore Generale, dell'Avvocato Difensore. Il Presidente e il Procura­tore Generale corrono verso i loro seggi e li spin­gono in avanti. In mezzo a tutta questa agitazione, i due Magistrati si arrestano per puntare su Dugom­mier un indice accusatore e per profferire le quattro battute seguenti. Nella confusione, due infermieri tra­sportano via il corpo di Ortensia su di una lettiga. Ma­gis va a sedersi all'estrema sinistra, il più avanti possibile).

Proc. Generale              - Siete stato voi, Dugommier!

Presidente                     - Voi avete ucciso!

Procuratore                   - Tutte le apparenze.

Presidente                     - Tutte le probabilità.

Procuratore                   - (sorgendo da dietro la sua scranna) Semplice, chiaro, logico, evidente. Licenziato dalla sua amante, Dugommier la investe con suppliche, con mi­nacce. Minacce, signori, di cui c'è traccia nella lettera che la vittima ci ha lasciato quale documento irrefu­tabile di accusa. Folle di passione, Dugommier perseguita ancora la sciagurata. Credendo il marito assen­te, va a trovarla in casa. La vittima resiste alle sue insistenze, alle sue nuove minacce. Sopraggiunge il marito. Dugommier perde la testa. Preme il grilletto.

Dugommier                   - (uscendo infine dal suo stupore) Non è vero! Non è vero!

Procuratore                   - Cos'è che non è vero?

Dugommier                   - Niente. Neanche una parola.

Procuratore                   - Naturalmente, Dugommier nega tut­to, signori. Anche l'evidenza. È più pratico.

Dugommier                   - E' Magis che ha ucciso!

Procuratore                   - Perché mai avrebbe ucciso, se sua moglie vi resisteva?

Dugommier                   - Non mi resisteva affatto.

Procuratore                   - Bene! Gettate fango sulla vostra vittima, adesso!

Dugommier                   - L'amavo. Noi ci amavamo.

Procuratore                   - Dalle due lettere contenute negli atti processuali, una delle quali è di vostro pugno, ri­sulta chiaramente che la relazione era stata interrotta.

Dugommier                   - 'Quelle lettere erano delle finte.

Procuratore                   - Lo dite voi. E allora perché mai an­davate a perseguitare la vittima fin dentro casa?

Dugommier                   - Non la perseguitavo affatto. Mi ave­va dato un appuntamento.

Procuratore                   - In casa sua? Una donna sposata...

Dugommier                   - Non poteva uscire. Per causa della bambina. Noi credevamo che Magis non sospettasse più. Passa la giornata al Ministero.

Procuratore                   - (bruscamente chinandosi in avanti) Salvo quel giorno lì! Come sperate di farci credere che la vittima vi avrebbe dato un appuntamento in casa sua proprio mentre il marito era in ferie, quando rischiava di trovarsi là anche lui?

Dugommier                   - Certamente, non avrà saputo che era in ferie.

Procuratore                   - Tutto il caseggiato lo sapeva, i vi­cini, i fornitori. Abbiamo la testimonianza dell'orolo­giaio, del cartolaio, della portiera. Come mai la vitti­ma era la sola a ignorare che il marito aveva preso le ferie?

Avv. Difensore             - Ciò non toglie che c'è qualcosa di sospetto in queste ferie prese per malattia, quando Magis non era affatto malato e se ne andava in giro.

Procuratore                   - Dio mio, caro collega, ma se tutte le ferie per malattia si prendessero effettivamente per malattia...

Dugommier                   - (esasperato) Ma è stato Magis a spa­rare!

Procuratore                   - Colla vostra rivoltella. Comprata a Saigon. Adesso forse pretenderete che Magis ha fatto un viaggetto a Saigon per fare l'acquisto.

Dugommier                   - L'avevo data io a Ortensia.

Procuratore                   - Perché? Curioso regalo da fare a una donna.

Dugommier                   - Perché aveva paura di qualche atto di violenza di suo marito.

Procuratore                   - Come mai questi timori? Aveva rot­to con voi. Magis aveva perdonato. In tale situazione, perché mai sua moglie avrebbe dovuto temere degli atti di violenza?... Atti di violenza!... Signori, voi avete visto Magis. Avete ascoltato il suo capufficio: Magis era un buon diavolo, allegro. Avete sentito suo suoce­ro: quello che più gli piace, è una partita a carte. Ave­te sentito la portiera: era appena venuto a far due chiacchiere. Questo è l'uomo che ora ci viene dipinto come un bruto contro cui bisognava difendersi armi alla mano.

Dugommier                   - Voi non sapete chi è Magis. E' un uomo... un uomo spaventoso...

Procuratore                   - Ma, nella vostra lettera, voi gli pro­testavate tutta la vostra stima.

Dugommier                   - Era per tenerlo buono.

Procuratore                   - Allora mentivate...

Dugommier                   - Sì, in certo senso.

Procuratore                   - Ma se mentivate così bene nelle vo­stre lettere, chi ci dice che non mentiate ancora meglio in questo frangente?

Dugommier                   - Magis è un pazzo.

Procuratore                   - Un pazzo o un bruto? Mettiamoci d'accordo.

Dugommier                   - Un pazzo capace di tutto.

Procuratore                   - Tradito dalla moglie, che cosa fa? Perdona, si contenta di cacciare di casa il seduttore. Tradito una seconda volta, va a trovare Dugommier per supplicarlo di rinunciare a questa relazione...

Dugommier                   - Niente affatto... (Con un gesto il Procuratore Generale gli impone silenzio e continua)

Procuratore                   - Siamo liberi, naturalmente, signori, di giudicare questo contegno, a seconda dei nostri tem­peramenti. Sta di fatto che ciò concorda con le testi­monianze per illuminarci sul carattere di Magis. E' un bonaccione, un sognatore, un modesto impiegato, di­sarmato davanti alla vita, un uomo ad ogni modo, cui è estranea ogni idea di violenza.

Dugommier                   - Era venuto da me solo per chiedermi dei soldi.

Procuratore                   - Vi prevengo, Dugommier, nel vostro stesso interesse, che niente può nuocervi di più che questo sistema di difesa in cui, volta per volta, vi ac­canite a insozzare e la vostra vittima e questo infelice vedovo. Visita interessante! La storia del portafoglio! Avete sentito, signori, la storia del portafoglio! Facezie da pochade, azioni di cui Magis è assolutamente inca­pace. E ancora, Dugommier, nelle vostre calunnie, do­vreste mettere un po' più di coerenza. Se Magis era veramente questo marito infame, che mercanteggiava il proprio disonore, vuol dire che questo disonore, lui lo accettava; che questa relazione, la tollerava. E al­lora, perché mai avrebbe ucciso? Perché avrebbe soppresso questa fonte di guadagni? E, d'altra parte, se era d'accordo, se si faceva pagare, perché quelle let­tere? Perché fingere una rottura? L'avete detto voi stesso un momento fa: pensavamo che Magis non avesse più sospetti. Allora perché avreste sopportato i suoi ricatti? Perché avreste accettato di pagare?

Dugommier                   - (schiacciato) Mi faceva paura...

Procuratore                   - Guardate Dugommier, signori. Guar­date Magis. (Magis fa un piccolo gesto di modestia) Chi doveva far paura all'altro? (A Dugommier) Voi siete il doppio più grosso di lui.

Magis                            - (al pubblico) Il suo turno, per Dugommier. Il suo turno di vedere l'uovo davanti a sé. Un uovo chiuso da tutte le parti. Io nascosto dentro, non la­ sciando trasparire niente.

Procuratore                   - D'altra parte supponiamo per uh un attimo che Magis sia veramente questo bruto e que­sto pazzo. Questo non ci spiega ancora, come mai egli sia venuto in possesso della vostra rivoltella. La vo­stra rivoltella, Dugommier.

Dugommier                   - L'avrà trovata.

Procuratore                   - L'avrà. Semplice ipotesi. E dove l'avrebbe trovata?

Dugommier                   - Dove l'aveva messa Ortensia.

Procuratore                   - Sempre supponendo che voi l'abbiate data a Ortensia. Altra ipotesi che nulla viene a confer­mare. E questa rivoltella che passa per tante mani, porta però sempre le vostre impronte. Gli esperiti so­no unanimi al riguardo.

Dugommier                   - Naturalmente! Era nella custodia!

Procuratore                   - Ah, già! La custodia! La famosa custodia che nessuno ha mai visto. E dove sarà andata a finire, questa custodia?

Magis                            - (al pubblico) Nella Senna... vicino al Ponte Nuovo... a due passi da qui.

Procuratore                   - E Magis ha sparato senza estrarre la rivoltella dalla custodia! Mi sarebbe piaciuto ve­derlo.

Dugommier                   - Aveva i guanti!

Procuratore                   - Guanti che lasciano le vostre im­pronte digitali? Divertente!

Dugommier                   - Se era mia, la rivoltella!

Procuratore                   - Confessate, dunque.

Dugommier                   - Non ho mai negato.

Procuratore                   - Lo sentite, signori? Non ha mai ne­gato!

Dugommier                   - Quella rivoltella porta le mie im­pronte digitali perché era mia. Non porta quelle di Magis perché Magis aveva i guanti.

Procuratore                   - Sempre questi guanti! Questo acces­sorio dell'abbigliamento vi preoccupa molto. Disgrazia­tamente, la testimonianza della portiera su questo pun­to è formale. Magis, quel giorno, non portava guanti. Essa ha anzi aggiunto che non ne portava mai. Magis è un modesto impiegato. Possiede un paio di guanti per i matrimoni, per i funerali. Non è il tipo da met­terli per fare qualche commissione nel quartiere. E in pieno mese di maggio.

Dugommier                   - Li deve,aver messi di proposito.

Procuratore                   - Si capisce! Proposito di che?

Dugommier                   - Di ammazzarci.

Procuratore                   - State dimenticando che, a quanto avete ammesso voi stesso, Magis credeva la vostra relazione finita. Come mai allora avrebbe potuto prevedere di trovarvi in casa sua, e, come non bastasse, proprio il giorno in cui, a causa delle sue ferie, darvi appuntamento era assurdo? Dovremmo allora supporre che sua moglie fosse d'accordo con lui. D'accordo per farsi sorprendere. D'accordo per farsi ammazzare. Per farsi ammazzare, lei, Dugommier. Perché ci dite: per ammazzarci. Dimenticate un particolare: voi siete vivo.

Dugommier                   - (schiacciato) Non lo so. Non lo so più. Ma non sono stato io a uccidere, lo giuro, non sono stato io.

Procuratore                   - Da un lato delle ipotesi, delle sup­posizioni, delle inverosimiglianze. Dall'altra, dei fatti, un'arma, delle impronte digitali, delle lettere, delle contraddizioni flagranti, un movente, delle ragioni. I signori giurati sapranno apprezzare.

Magis                            - (avanzando) Ah, per quello, per apprezza­re, hanno apprezzato.

(Il Presidente si alza, con delle carte in mano e pro­nuncia una litania di parole da cui emerge la frase...)

Presidente                     - ...condanna Dugommier Vittorio-Giu­lio-Amedeo alla pena di vent'anni di lavori forzati.

(Il Presidente, il Procuratore Generale e l'Avvocato Difensore si immobilizzano mentre Magis fa quel gesto orizzontale che significa che tutto ha funzionato per­fettamente)

Magis                            - Il sistema...

 

FINE