Ma facìteme ‘o piacere

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Ma facìteme ‘o piacere

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

                                                                                                                       (detto Ezio)

19/11/2012

Personaggi:   11

Il Commendator Salvatore Della Terra

Vittoria Meritata moglie Salvatore

Ciro Della Terra figlio Salvatore e Vittoria

Betta Santachiara segretaria Salvatore

Gaetano Della Terra fratello di Salvatore

Annarita Imbranati moglie di Gaetano

Maria Appesa ex operaia Salvatore

Davide Del Prete ex operaio Salvatore

Raffaella Donnarumma creditrice Salvatore  

L’avvocato Criscuolo

Ruggiero Infame uomo ricco

A Bagnoli vive il commendator Salvatore Della Terra, ricco imprenditore. L’uomo accoglie nella sua fabbrica un certo numero di operai ed impiegati. Tuttavia l’attività di Salvatore è in crisi. L’uomo allora escogita un’idea malsana, ma che gli frutta denaro: vende posti di lavoro a 3.500 Euro ai suoi malcapitati operai, per convincere ad andarsene. In questo modo non soltanto non li licenzia bensì se ne vanno loro, ma ottiene anche qualche soldo extra. Con lui vivono sua moglie Vittoria, donna eccessivamente paziente con lui, e il loro figlio Ciro, incallito inventore che lavora per una azienda di elettromedicali per la salute del corpo. Purtroppo tali macchinari sono difettosi, ma lui decide ugualmente di sperimentarli su suo padre. Ne succederanno di tutti i colori.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

  

            Bagnoli, salone della lussuosa casa del commendator Della Terra. Vi si accede da un’entrata comune centrale. A destra, due porte conducono: la prima in camera da letto e bagno, la seconda allo studio. A sinistra, una porta conduce in cucina e camera degli ospiti. In stanza, decentrato a sinistra, c’è un tavolo con quattro sedie. Alla parete destra c’è una credenza e un divanetto. Alle pareti: quadri, la laurea e il diploma del commendatore.

ATTO PRIMO

1. [Salvatore Della Terra, Maria Appesa, Davide Del Prete, Vittoria e Betta Santachiara]

                   Dalla comune (al centro) entra di corsa Salvatore, inseguito da Maria e

                   Davide, arrabbiati, che lo malmenano.

Salvatore: Calma, calma, calma! (Si siede sul divanetto e smette di essere malmenato)

Davide:      E vuje me vulite fa’ fesso a me? Ma io ve faccio ‘na paliata mai vista!

Maria:       Accussì ve ‘mparate!

                   Da sinistra entra Vittoria, richiamata da quelle urla.

Vittoria:    Néh, uhé, ma che sta succedenno ccà ddinto? (Accorre accanto al divanetto) Maria:       Signò, io e isso simme ex operai ‘e vostro marito. Io mi chiamo Maria Appesa.

Davide:      E io songo Davide Del Prete. ‘O marito vuosto ce ha licenziato.

Maria:       Nuje già stéveme faticanno a nero. E non sulo: s’ha pigliato pure 3.500 Euro.

Vittoria:    Uh, Giesù, e pecché?

Davide:      E pecché ha promesso ‘e ce fa’ avé ‘nu posto ‘e lavoro ‘ncoppa all’Università ‘e

                   Agraria. Ha ditto che ‘stu lavoro è imminente. Ma addo’ sta? E’ già passato

                   ‘n’anno e nun se vede ancora niente.

Maria:       Secondo me, lui ci ha fatto questa promessa per convincerci a essere licenziati

                   senza pretendere niente. E nuje, comm’’e scieme, ce simme cascate.

Salvatore: Ma nossignore. ‘O direttore ‘e ll’Università ha ditto ch’ata pazientà ‘nu poco.

Davide:      Sì? E allora, commendatò, ve damme tiempo ‘na semmana: o accummencia ‘o

                   lavoro, oppure ce restituite ‘e sorde, oppure jamme add’’o direttore…

Maria:       Oppure ve denunziamme ‘a polizia!

Salvatore: Addirittura? E che ve penzate, che voglio fa’ fesse ‘e ggente, io?

I due:         Sì!

Salvatore: Mamma mia, che mal credenti!

Davide:      Intanto, nuje v’amme avvisato. ‘Na semmana ‘e tiempo, commendatò!

Maria:       Bona jurnata, signò!

                   Escono. Vittoria siede vicino a Salvatore (che ha il viso coperto dalle braccia).

Vittoria:    Salvatò, se n’hanne jute.

Salvatore: (Smette quella sua posizione difensiva e si rilassa) Si’ sicura?

Vittoria:    Sì, nun te prioccupà. Ma ‘a vuo’ fernì ‘e ‘mbruglià ‘e ggente?

Salvatore: Uhé, e come ti permetti? Io sono il commendator Salvatore Della Terra e nun

                   aggio maje ‘mbrugliato a nisciuno.

Vittoria:    E ‘a do’ so’ asciute ‘sti poste ‘e lavoro ‘ncoppa all’Agraria?

Salvatore: E quello, mio fratello, lavora là. Gli ho chiesto il piacere di piazzare gli operai

                   che io licenzio dalla mia fabbrica.

Vittoria:    Salvatò, ma pecché nun cagne attività? ‘Sta fabbrica ‘e impianti igienici nun

                   funziona proprio. C’è stato un calo nelle vendite di gabinetti.

Salvatore: E’ la crisi. Ormai si risparmia pure sul mal di pancia. Vittò, per colpa della

                   crisi… ‘e ggente nun vanne cchiù ‘int’’o gabinetto!

Vittoria:    Ma forse i tuoi prodotti non sono buoni.

Salvatore: Che c’entra? ‘O gabinetto è standard, nun esiste ‘o gabinetto bello o brutto. In

                   ogni caso, ne ho ordinati 100 da una ditta concorrente. Vediamo la differenza.

Vittoria:    Intanto, restituisci i 3.500 Euro che ti sei preso da quei poveretti.

Salvatore: A chi? Quelli sono i soldi del lavoro sull’Agraria.  

Vittoria:    E li hai cercati pure alla tua segretaria Betta?

Salvatore: Esatto.

                   Dalla comune entra proprio Betta (masticando gomma). E’ un tipo pepato. Ha

                   una cartellina sotto il braccio. Si avvicina al divanetto.

Betta:         Buongiorno, commendatore! Buongiorno, signora!

Vittoria:    (Fredda) Buongiorno.

Betta:         Signò, spostatevi. Devo parlare di lavoro con vostro marito. Non ci disturbate!  

Salvatore: Betta, mò nun è proprio ‘o mumento.

Betta:         E no, commendatore, ci sono problemi che dobbiamo risolvere subito.

Vittoria:    E vabbuò. (Si alza in piedi) Lavorate, lavorate!

Betta:         Signora, vi raccomando: il caffè con poco zucchero!

Vittoria:    (Acida) ‘O ccafé v’’o pigliate ‘o Bar!

Betta:         Vabbé, tanto, non lo sapete nemmeno fare bene!

Vittoria:    (Acida) Embé, cara Betta, speriamo che vi assumono sopra all’Agraria!  

                   Vittoria esce via a sinistra. Betta la osserva perplessa.

Betta:         E ch’aggia fa’ ‘ncoppa all’Agraria? Io già lavoro per voi, commendatò!

Salvatore: Ma nun ‘a data retta. Su, veniamo a noi, Betta. Che problemi ci sono?

Betta:         Innanzitutto, il commercialista, dottor Paradiso dice che siamo in rosso.

                   Secondo me dobbiamo licenziare qualche operaio.

Salvatore: Dite?

Betta:         Dico!

Salvatore: E vabbé, poi si vedrà. E il secondo problema qual è?

Betta:         I gabinetti che avete ordinato non sono più arrivati. Allora io ho telefonato ai

                   fornitori, ma non risponde nessuno. Così gli ho scritto una lettera. La tengo qua.

                   (La prende dalla cartellina e gliela consegna) E’ tutta vostra! Prego.

Salvatore: Grazie. Dunque… (Legge) “Cortese attenzione, eccetera eccetera…! Oggetto: 

                   solletico!”… (Stupito) Solletico?  

Betta:         E certo. Significa: “Fate presto”!

Salvatore: Ma allora è “sollecito”, non solletico. Che ce mettìmme a solleticà ‘e ggente?!

Betta:         Vabbé, poi correggiamo. Leggete il resto.

Salvatore: (Seguita la lettura) “Signore e signori…”! (Stupito) Signore e signori? Ma che

                   stamme presentanno Sanremo? Si scrive: “Egregi signori”.

Betta:         Vabbé, poi correggiamo. Leggete il resto.

Salvatore: (Seguita la lettura) Dunque: “Signore e signori, mancano i gabinetti. Che fine

                   hanno fatto? Quando ce li mandate?”… (A lei) Ma secondo voi, è modo, chisto?

Betta:         Vabbé…

Salvatore: …Poi correggiamo! L’amma cagnà tutta quanta, ‘sta lettera. E po’ che ddice

                   cchiù? (Legge) “Distinti saluti. Firmato: io! E chi sarebbe “io”?

Betta:         Voi.

Salvatore: Ma pecché, io me chiammo “io”?

Betta:         Quando parlate in prima persona, sì!

Salvatore: Betta, me state ingrippanno! Comme segretaria, nun site bona proprio. (Si alza

                   in piedi) Venite con me. Andiamo nel mio studio e riscriviamo questa lettera.

Betta:        (Si alza pure lei) Certo. A proposito, mio fratello vuol sapere quando comincia il

                   lavoro all’Università di Agraria. Sono due anni che vi ha dato quei 3.500 Euro!

Salvatore: Ehm… presto, prestissimo! Deve solo pazientare un poco. Andiamo, forza!

                   Escono nella seconda porta a destra.

2. [Gaetano Della Terra e Annarita Imbranati. Poi Ciro Della Terra, Raffaella Donnarumma]

                   Dalla comune, al centro, entrano Gaetano (nervoso) e sua moglie Annarita.

Gaetano:   Chill’ignorante, analfabeta!

Annarita:  Ma ‘e chi staje parlanno?

Gaetano:   ‘E fràteme Salvatore. Chilll’incosciente, cretino! Ma tu ‘o ssaje comme se trova

                   titolare d’’a fabbrica? Ce l’ha regalata papà.

Annarita:  E tu pecché nun l’he’ vuluta?

Gaetano:   Pecché chella fabbrica andrà in fallimento. E’ piena di debiti. Mio fratello si è

                   preso questa rogna perché non ha voluto studiare. Io invece aggia sta’ qujeto.

Annarita:  E vabbuò, Gaità, mò però statte calmo.

Gaetano:   Ma tu he’ capito che vva dicenno in giro, fràteme? Ca io dongo ‘e poste ‘e fatica

                   ‘ncoppa all’Agraria. Infatte, stammatina m’è arrivata pure ‘na lettera anonima.

Annarita:  E chi te l’ha mannata?

Gaetano:   T’aggio ditto ch’è anonima! Forse il tizio che me l’ha spedita si chiama così.

Annarita:  E vabbuò, allora parlamme cu’ Salvatore e vedìmme che ddice.

Gaetano:   Dobbiamo appurare se è vero che mio fratello dice queste cose. Andiamo da lui.

                   I due si avviano a destra. Poi Gaetano si ferma e ferma pure Annarita.

                   Annarì, aspié, e si po’ nun è ‘o vero? Nun è che faccio ‘na brutta figura?

Annarita:  E te ll’aggio ditto.

Gaetano:   Ma sì, he’ raggione tu. Allora jammuncenne ‘n’ata vota.

Annarita:  Ecco, bravo.

                   Fanno per uscire di casa, poi Gaetano si ferma e ferma pure Annarita.

Gaetano:   Apié, ma si ‘stu fatto è ‘o vero, io vaco ‘ngalera! Jamme addù isso, è meglio.

Annarita:  E gghiamme, jamme.

                   I due si avviano a destra. Poi Gaetano si ferma e ferma pure Annarita.

Gaetano:   Aspiette ‘nu sicondo, Annarì!

Annarita:  Che vvuo’, ‘n’ata vota?

Gaetano:   Ma Salvatore addo’ starrà? ‘Int’’a cucina oppure ‘int’’o studio suojo?

Annarita:  Mò amma fa’ l’indovinello? Quanno Salvatore nun sta ‘int’’a fabbrica soja,

                   addo’ se ne va? O a jucà ‘e cavalle, oppure se ne vene ccà e se mette a cucenà.

Gaetano:   E allora jamme a vedé ‘int’’a cucina.

Annarita:  Menu male.

                   I due vanno a sinistra, ma poi Gaetano si ferma e ferma pure Annarita.

Gaetano:   Aspié, Annarì!

Annarita:  (Stufa) Gaità, me pare che stamme abballanno ‘a quadriglia! E forza, jamme!

Gaetano:   Stevo penzanno ‘na cosa: io e te nun amme purtato manco ‘na butteglia ‘e

                   liquore! Nun pare brutto?

Annarita:  Ma famme ‘o piacere!

                   Spazientita, lo prende per mano: entrano a sinistra. Dalla comune entrano Ciro

                   (ha una ventiquattrore in mano) e Raffaella Donnarumma, donna religiosa.

Ciro:          Venite, entrate, donna Raffaella.

Raffaella:  Sentite, ma perché mi chiamate donna Raffaella? Io lo so che sono donna!

Ciro:          E allora vi chiamerò signora Donnarumma.

Raffaella:  No, va bene pure signora Raffaella.

Ciro:          E vabbé. (Posa la ventiquattrore sul tavolo) Veniamo a noi, signora Raffaella.

                   Vedete, a me dispiace molto del problema che avete avuto con mio padre.

Raffaella:  Oh, ma io l’ho già perdonato. Il Signore ci ha insegnato il perdono è tutto.

Ciro:          Ecco, brava.

Raffaella:  Però vostro padre mi deve pagare cinque mesi di pigione arretrata, più i 500.000

                   Euro che gli ho prestato!

Ciro:          Azz, e questo perché lo avete perdonato!

Raffaella:  Caro mio, il perdono è perdono, ma i soldi sono soldi! 

Ciro:          Scusaste, ma vi voglio correggere: non erano 500.000 Euro, bensì 200.000!

Raffaella:  E l’interesse?

Ciro:          Pure?

Raffaella:  Guardate, proprio perché sono una donna religiosa, non voglio nemmeno

                   indietro i 3.500 Euro per il posto di lavoro sull’Agraria!

Ciro:          Ecco, già è una cosa! E va bene, che vi debbo dire più?  

Raffaella:  No, questa volta voglio parlare con sua moglie. Le dirò tutta la verità.

Ciro:          Signora, ma voi che ci guadagnate?

Raffaella:  Niente. Però se io un giorno ammazzerò il signor Salvatore Della Terra, vostra

                   madre non me ne chiederà il motivo!

Ciro:          (Ironico) Signora, come siete buona e pia!

Raffaella:  (Aulica) Tutti coloro che discendono dalla terra di Davide, sono pii!

Ciro:          Va bene, andiamo da mia madre. Solo un’ultima cosa, però: oltre ai 3.500 Euro

                   per il fatto dell’Agraria, non è che potete rinunciare pure ai soldi dell’affitto?

Raffaella:  Per l’amor di Dio! E’ peccato mortale!

Ciro:          E non potete rinunciare nemmeno ai 500.000 Euro?

Raffaella:  Per l’amor di Dio!

I due:         (Insieme) E’ peccato mortale!

Ciro:          OK, andiamo da mia madre. (Guarda a sinistra) Mammà, staje ‘int’’a cucina?

                   Escono a sinistra.

3. [Salvatore e Betta. Poi l’avvocato Criscuolo. Infine Gaetano e Ciro]

                   Dalla seconda porta a destra, riecco Salvatore con una lettera in mano, e Betta.

Salvatore: Ecco qua, la lettera è pronta. Adesso andate dal tabaccaio qua fuori e comprate

                   una busta e un francobollo, poi imbucate la lettera nella buca che sta sempre qua

                   fuori, infine tornate in fabbrica e aspettate.

Betta:        Aiuto, devo fare tutte queste cose? E se poi mi confondo? Io mi metto paura!

Salvatore: Signorina Betta, ricordatemi una cosa: ma quando vi ho assunta, io?

Betta:        Due anni fa.

Salvatore: E comme v’aggio suppurtato, fin’e mò?

Betta:        Commendatore, non scherzate. Qua il momento è critico. Ricordatevi che se le

                   cose vanno male, bisogna licenziare, licenziare e ancora licenziare.

Salvatore: Pure a vuje?

Betta:        No, a me no. Solo gli operai! Vi preparo io le lettere di licenziamento.

Salvatore: (Spazientito) Signurì, jatevenne!

                   Betta, senza batter ciglio, si avvia all’uscita. Ma Salvatore la richiama.

                   Aspettate, turnate areto.

Betta:        (Tornando da lui) Ci aveteripensato? Non la devo imbucare più, la lettera?

Salvatore: E comme ‘a imbucate, si nun v’’a pigliate?! Tenete. (Le consegna la lettera)

Betta:         Allora io vado. E se mi volete, mi chiamate per telefono. E se poi…

Salvatore: Bastaaaa!

                   Betta esce via subito. Salvatore si siede sul divanetto. Commenta.

                   Mamma mia, m’ha esaurito, chella!... E intanto, stongo ‘int’’e guaje. Licenziare 

                   altri operai? E’ ‘na parola! Io ne tenevo 25, adesso me ne sono rimasti 15.

                   Dalla comune, silenzioso, entra l’avvocato Criscuolo (vestito in gessato grigio,

                   con ventiquattrore). Va dietro di lui che continua a parlare da solo.

                   Eh, beh, la crisi è crisi. E quando c’è la crisi, tutta la gente è in crisi. Che cosa

                   brutta è la crisi! (Si volta e lo nota) Che cosa brutta è la cri…! (Resta a fissarlo)

Criscuolo: Buongiorno, commendatore!

Salvatore: (Si alza in piedi) L’avvocato Criscuolo? E come mai da queste parti?

Criscuolo: Niente, passavo a trovarvi.

Salvatore: Ma prego, accomodiamoci al tavolo.

                   I due si siedono al tavolo. 

                   Caffè?

Criscuolo: No, grazie. Non bevo caffè. Piuttosto, voi non avete niente da dirmi?

Salvatore: Beh, avvocà, giacché state qua, voglio confidarmi un po’ con voi. Caro

                   avvocato, tengo problemi col fischio italiano!

Criscuolo: In che senso? Nun sapite fischià?

Salvatore: No, il fischio, le tasse!

Criscuolo: Ah, ma allora state parlando del fisco. E voi dite il “fischio”!

Salvatore: Abbiate pazienza, io poi non è che sono molto istruito.

Criscuolo: Ma come? Io vedo una laurea sulla parete. (Indica alle loro spalle) 

Salvatore: La verità? Me la sono comprata. Io tengo a malapena il terzo anno di liceo.

Criscuolo: Sarà, ma io vedo anche un diploma sulla parete. (Indica alle loro spalle) 

Salvatore: Anche quello è comprato.

Criscuolo: E allora mi sa che un giorno avrete bisogno di me anche come avvocato!

Salvatore: Avvocà, non credo proprio. Sì, è vero, mi sono comprato la laurea e il diploma,

                   ho falsificato fatture e bilanci, ho venduto posti di lavoro inesistenti, ho evaso

                   tasse e non ho pagato i creditori… ma mica sono un imbroglione, io?!

Criscuolo: (Ironico) P’ammore ‘e Dio!... Commendatore, parliamoci chiaro: per colpa della

                   vostra fabbrica, voi state in un mare di guai. Ma perché non ve la togliete?

Salvatore: Ve la comprate voi?

Criscuolo: Io? (Si alza in piedi) A chi ‘o vulite da’ ‘stu guajo?

Salvatore: (Si alza in piedi) E allora, arrivederci. Vi chiamerò quando mi occorrerete.

Criscuolo: Va bene. Arrivederci.

                   Va per uscire, quando si ferma al sentire Gaetano che esce da sinistra, irato.

Gaetano:   (Nota Salvatore) Ah, tu staje ccà? (Va da lui, gli afferra il braccio) Disgraziato!

Salvatore: Oddio! Ehm… Gaità, comme staje?

Gaetano:   Stongo arraggiato malamente proprio. Te vulesse rompere ‘a capa!

Criscuolo: (Accorre a dividere i due) No, no, un momento: questa è violenza! 

Salvatore: No, avvocà, tutto a posto. Questo è mio fratello.

Gaetano:   Gaetano Della Terra.

Criscuolo: Avvocato Criscuolo. Va bene, commendatore, allora io vado. Arrivederci.

                   Si avvia ad uscire, quando si ferma al sentire Ciro che esce da sinistra, irato.

Ciro:          (Nota Salvatore) Ah, tu staje ccà? (Va da lui) Mannaggia ‘a capa toja!

Salvatore: Oddio! Ehm… Ciro, pure tu staje ccà? Comme staje?

Ciro:          Stongo arraggiato malamente proprio. 

Criscuolo: (Accorre a dividere i due) No, no, un momento: questa è violenza! 

Salvatore: No, avvocà, tutto a posto. Questo è mio figlio Ciro. Ma vuje nun ve jate cchiù?

Criscuolo: Ah, allora vado via. Arrivederci.

                   Stavolta esce davvero.

Salvatore: E allora, Gaità, Ciro, ch’è succieso? Pecché state arraggiate cu’ me?

Gaetano:   Perché vai dicendo in giro che io mi vendo i posti di lavoro all’Agraria.

Salvatore: Io?

Ciro:          Sì, papà, è ‘o vero. L’aggio ‘ntisa ‘e dicere pure io ‘sta cosa. E poi stai pieno di

                   creditori che ti corrono appresso. In cucina ci sta pure la padrona di casa.

Salvatore: Pure? E allora ccà ‘a varca sta affunnano. E io m’aggia mettere in salvo.

Gaetano:   Siente, nun m’he’ risposto ancora ‘a domanda che t’aggio fatto.  

Salvatore: No, ccà ddinto nun pozzo parlà. Jamme ‘nu mumento ‘int’’o studio mio.

Ciro:          Jamme ‘int’’o studio tuojo.

                   I tre si avviano verso destra, poi però Gaetano li ferma.

Gaetano:   Aspettate ‘nu mumento, ma pecché invece nun ce ne jamme a parlà ‘int’’o Bar

                   ccà ffora? Ce pigliamme pure ‘nu café.

Salvatore: Ma sì, bona idea.

                   I tre si avviano alla comune, quando però Gaetano li ferma ancora.

Gaetano:   Aspettate ‘nu mumento. Nun gghiamme ‘int’’o bar. Ce stanne troppi ggente.

                   Nun voglio fa’ sapé ‘e fatte nuoste.

Salvatore: Giusto. He’ raggione. Allora jammece a piglià ‘o ccafé ‘int’’a cucina mia.

                   I tre si avviano verso sinistra, poi però Gaetano li ferma.

Gaetano:   Aspettate ‘nu sicondo. ‘Int’’a cucina ce sta ‘a padrona ‘e casa. Nun se po’ gghì.

Salvatore: (Stufo) E basta! Jammuncenne ‘int’’o studio mio e nun ne parlamme cchiù. Oh!

                   I tre escono a destra (la seconda porta).

4. [Vittoria, Raffaella ed Annarita. Poi Betta]

                   Da sinistra escono Annarita, Raffaella e Vittoria che appena fuori consegna dei

                   soldi (in banconote da 500 Euro) a Raffaella, contandoli nelle sue mani.

Vittoria:   Sono 500, 1.000, 1.500, 2.000, 2.500, 3.000, 3.500, 4.000 Euro!

Raffaella: Ecco qua, finalmente i 5 mesi di pigioni arretrate: 800 Euro al mese.

Annarita: Signò, e nun ce putite fa’ ‘nu sconticino? 

Raffaella: Quale sconticino? Mica le sto vendendo una maglia?

Annarita: E ve pare giusto che ‘na crestiana ha da pavà tutte ‘sti sorde?

Raffaella: Diceva Gesù: “Porgi l’altra guancia”!

Annarita: Signò, ma mia cognata nun v’ha dato ‘nu pacchero, v’ha dato quattemila Euro!

Raffaella: Diceva Sant’Agostino…!

Vittoria:   Signò, io nun songo ‘na santa. Comunque, mò v’aggio pavata. Stateve bona.

Raffaella: No, aspettate. Devo parlare con vostro marito. Deve restituirmi altri soldi.

Vittoria:   Ancora?

Annarita: E meno male che non vi ha cercato 3.500 Euro per lavorare all’Agraria. Coloro

                  che danno i soldi a mio cognato per questo fatto, so’ ‘na maniata ‘e scieme!

Raffaella: Signora, quelli glieli ho dati pure io.

Annarita: Vabbé, ma gli altri so’ ‘na maniata ‘e scieme, voi invece no!

Vittoria:   In ogni caso, signora, passate un’altra volta e troverete mio marito.

Raffaella: Perfetto, ora vogliamo recitare un Padre Nostro?

Vittoria:   Pozzo recità ‘n’Eterno Riposo pe’ mio marito? Speramme che ghietta ‘o sango!

Raffaella: Ho capito, non è aria. Siete troppo in collera. Allora vi saluto. E grazie dei soldi.

Annarita: Arrivederci, arrivederci. La messa è finita, andate in pace!

Raffaella: Rendiamo grazie a Dio!

                  Ed esce via lentamente. Annarita e Vittoria si siedono al divanetto.

Annarita: Vittò, ma che chiagne a ffa’?

Vittoria:   Ma chi sta chiagnenno? Io stongo p’’e fatte mie!

Annarita: E allora nun te piglià collera. Nun ne vale ‘a pena.

Vittoria:   E già. Una volta ero una donna piena di risorse. ‘A quanno m’aggio spusata a

                  Salvatore, songo addiventata ‘na perdente.

Annarita: ‘O bello è che primma ‘e te spusà, te chiammave Vittoria Meritata! (Notando che

                  Vittoria la guarda male, cerca di riparare) No, ma io l’aggio ditto pe’ pazzià!

Vittoria:   Annarì, io sto’ gghienno a fernì a mare cu’ tutt’’e panne. Comm’aggia fa’?

Annarita: Boh! Menu male che mio marito fatica ‘ncoppa all’Agraria. Però, overamente!

Vittoria:   Già. Invece Salvatore sta proprio ‘nguajato. Anche se licenzierà un sacco di

                  operai, non servirà a niente. Speriamo solo che caccia a quella antipatica della

                  sua segretaria. Io nun ‘a supporto proprio, a chella!

                 Dalla comune entra proprio Betta.

Betta:       Commendatore!

Vittoria:   Ah, stevo parlanno d’’o diavolo e so’ apparùte ‘e ccorne!

Betta:       (Avvicinandosi a Vittoria) Signora, non c’è vostro marito? Mi deve dare i soldi

                  per il francobollo di posta prioritaria!

Vittoria:   E vabbuò, accattàtele vuje e ppo’ ve facìte da’ ‘e sorde.

Betta:       Non posso. Io già ho imbucato la lettera e poi dopo ho imbucato pure la busta!

Vittoria:   Che? (Si alza, sconvolta, si defila verso sinistra) Uh, Giesù, chesta è tutta scema!

Betta:       (Ad Annarita) Ma perché, che ho fatto?

Annarita: (Si alza, arrabbiata) Signurì, ‘a lettera ‘eva ì ‘int’’a busta, e poi dopo dovevate

                  mettere tutto insieme nella buca postale!

Betta:       E il francobollo dove lo dovevo mettere?

Annarita: Signurì, nun me facìte addiventà volgare, una cosa! Il francobollo andava

                  azzeccato fuori alla busta.

Vittoria:   (Stufata) Annarì, nun perdere tiempo cu’ chesta. Aggie pacienza, dance duje

                  Euro. Po’ t’’e ddongo aroppo!

Annarita: E vabbuò. (Prende la propria borsa, da cui estrae 2 Euro) Vittò, questi 2 Euro

                  sono a titolo di prestito! Vuoi firmare una cambiale?

Vittoria:   Nun te prioccupà, t’’e restituisco.

Annarita: Va bene. (Li dà a Betta) Tenete.

Betta:       Grazie. Adesso compro il francobollo. Ma devo buttarlo nella buca postale?

Annarita: Signurì, io v’aggio dato ‘e duje Euro, e mò ‘o ruolo mio è fernuto!

Betta:       Ho capito. Devo vedermela da sola. Va bene, allora arrivederci.

Annarita: Arrivederci.

Betta:       (Va da Vittoria) Signora Vittoria, arrivederci pure a voi.

Vittoria:   (Senza degnarla di uno sguardo) Arrivederci, arrivederci.

Betta:       E se vostro marito mi cerca, io sto in fabbrica.

Vittoria:   Va bene, va bene. Ora però andate.

Betta:       Sì. E se occorre qualcosa pure a voi, io sto a disposizione.

Vittoria:   Aggio capito. Però mò jatevenne.

Betta:       D’accordo. E salutatemi il commend…

Vittoria:   (Si stufa e corre da lei, afferrandole un braccio) Signurì, e ve ne vulìte ì?

                  L’accompagna fino all’uscita, poi torna da Annarita.

                  Ecco qua. (Poi serafica) Annarì, ce vulìmm’ì a affaccià ‘nu poco ‘o balcone?

Annarita: Vuo’ piglià ‘nu poco d’aria?

Vittoria:   No, sto’ penzanno ‘e me menà abbascio!

Annarita: (Sorridendo) Vittò, si’ sempe comica, tu! Jammece a affaccià ‘o balcone, va’!

                  Le due escono a destra, prima porta.

5. [Salvatore, Gaetano e Ciro]

                   Dalla seconda porta di destra tornano Salvatore, Gaetano e Ciro.

Salvatore: E questa è tutta la verità su di me. Ora sapete tutto.

Ciro:          Papà, tu non sei bravo a fregare la gente. Ti manca la mia genialità.

Salvatore: (Ironico) E già, è arrivato ‘o scienziato! Ma se tu volevi mettere a frutto la tua

                   intelligenza, perché non sei venuto a lavorare nella mia fabbrica?

Ciro:          Pe’ carità, ‘a fabbrica toja sta jenno in fallimento!

Salvatore: (Gli fa le corna) Tié!

Ciro:          Lo dicono tutti. Io invece mi sono laureato come ingegnere elettronico. E per

                   fortuna, ho trovato subito lavoro nell’azienda Star Life.

Gaetano:   Ma io nun aggio capito ancora che produce l’azienda addo’ fatiche tu.

Ciro:          Prodotti per il benessere della salute fisica. Oggi la gente vuole comprare le cose

                   che fanno bene alla salute.

Salvatore: E cioè? Invece ‘e parlà sulo, fance vedé coccosa.

Ciro:          Subito! Dov’è la mia ventiquattrore? Ah, eccola là. (Va al tavolo, apre la

                   ventiquattrore e vi estrae una strana cintura) E questo è il nostro gioiello.

Gaetano:   Gioiello? A me me pare ‘na cintura!

Salvatore: Ma chella è ‘na cintura overamente!

Gaetano:   Embé, e che tene ‘e speciale?

Ciro:          Adesso ve lo mostro subito. Papà, indossala. Su, indossala.

Salvatore: L’aggia indossà? E vabbuò, dammella. (Se la fa consegnare) E comme se mette?

Ciro:          Come una normale cintura.

Salvatore: (La indossa) Ecco fatto. Ma mò me vuò dicere a che serve?

Ciro:          Questa è una cintura massaggiante a tre velocità. Sul lato sinistro della cintura,

                   puoi notare tre tasti: il primo regola le velocità, il secondo il movimento, il terzo

                   serve per andare avanti o indietro.

Gaetano:   Ma che scimmità! E chi è ‘stu deficiente che ha ‘nventato ‘sta cosa?

Ciro:          Io!

Gaetano:   (Imbarazzato) Ma comm’è bellella ‘sta cintura! Salvatò, vide comme funziona.

Salvatore: E vabbuò. Facìmme cuntento a mio figlio. (Preme il secondo tasto e comincia

                   ad ancheggiare, come se volesse fare la “mossa”) Uh, funziona overamente!

Ciro:          Lo vedi? Questa è ginnastica passiva: non ti stanchi e fa bene.

Gaetano:   Salvatò, me pare che staje facenno l’Hula Hop!

Ciro:         (Ridendo) Buona, questa!

Salvatore: E già. Vabbuò, mò però stutamme ‘stu coso. S’avessa rompere? (Preme il tasto,  

                   ma continua a ondeggiare) Ehm… Ciro, qual è ‘o buttone pe’ stutà st’aggeggio?

Ciro:          (Imbarazzato) Ah, e chi s’arricorda?

Salvatore: (Preoccupato) Ciro, jamme, nun fa’ ‘o scemo. Addo’ se stuta ‘stu coso?

Ciro:          Papà, te sto’ dicenno ‘a verità. Quello è solo un prototipo. Non è ancora in

                   commercio. Per cui, veramente non mi ricordo come si spegne.

Gaetano:   Salvatò, e spriemme ll’ati bbuttune.

Salvatore: E ‘nu mumento. (Così fa, ma comincia ad andare più veloce) Oddio mio!

Gaetano:   Mamma ‘e ll’Arco! Salvatò, spriemme ‘n’atu buttone.

Salvatore: Vabbuò. (Così fa, ma improvvisamente non ancheggia più, bensì si muove col

                   busto in avanti e indietro) Maronna mia, che sta succedenno?

Ciro:          (Sconvolto) Papà, premi un altro tasto.

Salvatore: Ma ch’aggia spremmere chhiù? (Preme tutti i tasti ed improvvisamente vibra col

                   busto, ma cammina in direzione di Gaetano) Aiuto!

Gaetano:   Salvatò, ma pecché staje venenno appriesso a me?

Salvatore: Ma che ne saccio? Io nun me riesco a fermà cchiù!

                   Cammina in quella maniera andando verso la comune.

Ciro:          Uhé, acchiappamme a papà.

Gaetano:   Muvìmmece!

                   I due afferrano per un braccio Salvatore, ma in pratica partecipano solo al suo

                   strano movimento. Pian piano, i tre escono di casa.

6. [Annarita e Vittoria. Poi l’avvocato Criscuolo, Raffaella, Ciro, Gaetano e Salvatore]

                   Da destra, prima porta, Annarita tira per un braccio Vittoria e la rimprovera.   

Annarita:  Disgraziata, ma che staje cumbinanno? Te vulìve ittà abbascio?

Vittoria:    Làsseme sta’, Annarì, voglio murì!

Annarita:  No, nun te lasso sta’. Assiéttete. (La fa accomodare con forza al tavolo)

Vittoria:    (Dolorante al braccio) Mannaggia ‘a capa toja. M’he’ fatto male ‘o raccio!

Annarita:  Vittò, guàrdeme ‘nfaccia: tu non ti puoi suicidare, buttandoti giù.

Vittoria:    E pecché?

Annarita:  E pecché sotto ce sta ‘a machina ‘e mio marito! Si ‘a scasse, chi ‘o sente!

Vittoria:    E tu m’he’ salvata pe’ chesto?

Annarita:  No, non solo per questo. Anche perché ti voglio bene. E voglio che reagisci.

Vittoria:    Annarì, ma che vuo’ reaggì? Mio marito sta ‘nguajato… e di conseguenza pure

                   io. Si gghiamme annanzo ‘e chistu passo, amme bisogno ‘e ‘n’avvocato!

                   Dalla comune entra l’avvocato Criscuolo.

Criscuolo: Presente! (E si avvicina alle due)

Vittoria:    L’avvocato Criscuolo? (Si alza in piedi) Buongiorno avvocà, che vi serve?

Criscuolo: Nulla.

Vittoria:    E allora perché state qua?

Criscuolo: Perché ho sentito che vi serve un avvocato.

Vittoria:    No, avvocà, avete capito male. A proposito, vi presento a mia cognata.

Annarita:  Piacere, Annarita Imbranati. Ma voi lo sapete? Io tengo pure un marito!

Criscuolo: (Ironico) E tanti auguri!

Vittoria:    Avvocato, allora abbiamo chiarito l’equivoco: non ci servite!

Criscuolo: E invece sì. Ho trovato la soluzione per risolvere tutti i vostri problemi!

Vittoria:    E in che modo?

Criscuolo: Vorrei parlarne alla presenza di vostro marito.

Vittoria:    Ma mò nun ce sta. Può darsi pure che sia morto!

Annarita:  Scusate, ma non ci potete anticipare qualcosa?

Criscuolo: Si tratta di 1.000.000 di Euro!

                   Vittoria e Annarita vanno avanti e indietro (separate), chiamando Salvatore.

Vitt&Ann: Salvatòòòò! Salvatòòò!

Vittoria:    (Va alla comune) Salvatò, si’ asciuto? Curre subito ccà: stanno arrivando i soldi!

                   Ma alla comune arriva Raffaella: prende sottobraccio Vittoria, vanno al centro.

Raffaella:  Uh, che bella notizia! Stanno arrivando i soldi.

Vittoria:    Signò, mò nun è proprio ‘o mumento.

Raffaella:  Quando si parla di denaro, è sempre il momento. Buongiorno, avvocà!

Criscuolo: Signora, è inutile che mi guardate. Io già vi ho pagato l’affitto.

Raffaella:  E certo, voi abitate al piano di sopra. E quelli del piano di sopra, hanno pagato

                   tutti quanti. (Poi osserva Annarita) Cara signora!

Annarita:  E’ inutile che me guardate pure a me. Io nun stongo ‘e casa ‘int’a ‘stu palazzo!

Raffaella:  Tranquilla, volevo solo salutarvi. E il vostro consorte non c’è?

Annarita:  Boh! E’ sparito.

                   Dalla comune entrano Gaetano e Ciro. Sono affannati. Si siedono al divanetto.

Gaetano:   Mamma bella, ce simme perze a Salvatore!

Ciro:          Chi sa mò addo’ è gghiuto a fernì!

Vittoria:    (Si avvicina ai due) Gaità, Ciro, ma Salvatore addo’ è gghiuto?

Gaetano:   (Affannato) Aspié… Vittò… stamme affannate! Facce piglià ‘nu poco ‘e ciato.

Raffaella:  (Ironica) Il signor Salvatore sarà sicuramente scappato per evitarmi. I debiti che

                   deve pagarmi sono troppi! (E se la ride) Ma non mi sfuggirà!

                   Mentre ride, dalla comune entra Salvatore, sempre vibrando col busto, si dirige  

                   dietro Raffaella e finisce con l’abbracciarla. Lei si spaventa.

                   Aiutooooo! Chi è?   

Salvatore: Scusatemi, signora Raffaella, sono io.

Raffaella:  (Spaventata) Mamma mia!

                   Si fa il segno della Croce e poi fugge via di casa, gridando spaventata.

                   Il demonioooo!

Salvatore: (Va avanti e indietro per la stanza) Mamma mia, aiuto!

Criscuolo: E fermatevi.

Salvatore: Nun pozzo. E’ pe’ mezza ‘e ‘sta cintura. S’è scassato ‘o buttone d’’o stop!

Criscuolo: Aspettate, adesso ci penso io.

                   Preme un tasto al volo, Salvatore smette di vibrare, ma balza addosso a lui e  

                   così i due, abbracciati, cominciano a saltellare. Vittoria, Annarita, Gaetano e

                   Ciro accorrono per fermarli, ma alla fine cominciano a saltellare pure loro.

FINE ATTO PRIMO

            Salone di casa Della Terra, una settimana dopo: in stanza non c’è più il tavolo (ma solo le quattro sedie) e non c’è più la credenza, a causa di un sequestro giudiziario.

 

ATTO SECONDO

1. [Salvatore, Gaetano, Ciro, Vittoria e Criscuolo]

                   Seduto al centro c’è Salvatore, dolorante al bacino. Sul divanetto Ciro. In piedi

                   gironzola Gaetano che tiene in mano “Il sole 24 ore” e ragiona con Salvatore.

Gaetano:   Salvatò, tu ti devi decidere. Devi chiudere quella maledetta fabbrica, prima che

                   vai a mare con tutti i panni. (Gli sventola il giornale davanti) Salvatò, ma tu non

                   li leggi i giornali? Le borse stanno crollando tutte. Perfino la borsa inglese.

Salvatore: Quale borsa?

Gaetano:   La borsa di Guallera Stretta!

Ciro:         No, ‘o zio, Wall Street! 

Gaetano:   E vabbuò, io l’aggio chiammata in napulitano!

Salvatore: Embé, e che me ne ‘mporta che sta in crisi? Io nun stongo in Inghilterra.

Gaetano:   E pure l’Italia sta in crisi. Devi vendere i BOT e i DDT!

Salvatore: Ma che DDT? Si chiamano CCT. Gaità, he’ fernuto ‘e fa’ ‘a ciucciuvettola?

Gaetano:   Ciucciuvettola io? Qua parlano i giornali.

Salvatore: Ma nun ‘e dda’ retta, ‘e ggiurnale. E poi tra poco viene l’avvocato Criscuolo che

                   mi deve dire una cosa. Pare che ci sta una novità che può sanare i miei debiti.

Ciro:          Sì, ma quando viene, quest’avvocato?

Salvatore: E che ne saccio? ‘O ssape màmmeta.

                   Da sinistra entra Vittoria con un vassoio con una tazzina di caffè.

Vittoria:    ‘O ccafé è pronto. (Posa il vassoio su una sedia)

Salvatore: (Nota l’unica tazzina presente) Ma comme, ce sta sultanto ‘na tazzina ‘e café?

Vittoria:    Sì, sultanto pe’ l’avvocato.

Salvatore: E nuje che ffacimme? Guardamme a isso?

Vittoria:    Sì. A te ‘o ccafé nun te fa durmì. A proposito, ‘a schiena te fa male ancora?

Salvatore: (Dolorante) Ah, mamma mia, che dulore! E’ ‘na semmana che stongo accussì.

Ciro:          Almeno tu stai a casa. All’avvocato Criscuolo, l’he’ mannato ‘o CTO!

Salvatore: Io? E’ stata chella specie ‘e cintura massaggiante. L’he’ ittata ‘int’’a munnezza?

Ciro:          E pe’ forza: so’ stato pure licenziato!

Gaetano:   Aéh, ‘e che bellezza! Mò staje ‘n’ata vota a carico ‘e tuo padre!

Salvatore: Gaità, si’ peggio ‘e ‘na jatta nera. E statte ‘nu poco zitto.

Vittoria:    Vabbuò, nun v’appiccecate. (Si siede sul divanetto) Aspettamme all’avvocato.

                   Dalla comune ecco Criscuolo, zoppicante.  

Salvatore: (Non lo ha notato e ne parla male) Ma secondo me, è muorto direttamente!

Criscuolo: (Va verso di lui e parla con una flebile voce) No, no, sono ancora vivo!

Salvatore: (Si volta di scatto, imbarazzato) Ah, avvocato… ehm… dicevo così, per dire.

Criscuolo: Sì, sì va bene. Buongiorno a tutti voi. Scusatemi, fatemi accomodare.

Gaetano:    Prego, prego.

Criscuolo: (Si siede su una sedia, molto lentamente) Ah, mamma mia! E’ una settimana che

                    sto così. E dopo cinque giorni di ospedale, eccomi qua.

Vittoria:     Avvocà, prendetevi il caffè.

Criscuolo: Veramente, io non ne bevo. Comunque, lo accetto. E dove sta?

Vittoria:    Sulla sedia. Aspettate, ve lo porto io. (Si alza e glielo porta)

Criscuolo: Grazie, signora. Ma il tavolo dov’è finito?

Gaetano:   Non ci sta più. E nemmeno la credenza. Se li è presi il giudice!

Criscuolo: Non è che se li è presi lui. Il giudice ve li avrà espropriati. Il tavolo e la credenza

                   verranno messi all’asta per soddisfare i creditori.

Salvatore: Avvocà, nun facìte pure vuje ‘a ciucciuvettola! Piuttosto, esponetemi il vostro

                   piano per salvare le mie cose, la mia fabbrica, la mia vita!

Criscuolo: E va bene. Però, ciò che sto per dirvi, deve rimanere in questa casa. Mi capite?

Gaetano:   Scusate, ma allora io non posso andarmene mai più?!

Criscuolo: Voi sì. Però, quando uscirete da questa casa, non dovrete dire niente a nessuno.

Gaetano:   State senza pensiero

Criscuolo: Ed ora ascoltatemi bene: qui a Bagnoli vive un uomo d’onore, tale Ruggiero

                   Infame. Questo tizio è un giocatore di poker incallito. Purtroppo ultimamente ha

                   giocato una partita che non doveva giocare, mettendo in palio… la fidanzata!

Ciro:          E l’ha persa?

Criscuolo: Esattamente. E tutto questo perché, tra i suoi avversari giocatori, c’era un baro.

Gaetano:   Un baro? Cioè, uno che vende le bare?!

Criscuolo: No, un imbroglione. Si tratta di un facoltoso imprenditore. Ruggiero Infame ha

                   poi scoperto che la fidanzata era d’accordo con il baro. Così l’ha picchiata. 

Vittoria:    Ha fatto buono!

Salvatore: Vabbuò, ma comunque io che c’entro in questa storia?

Criscuolo: Commendator Salvatore Della Terra, voi volete 1 milione di Euro?

Salvatore: Azz!

Criscuolo: E allora Ruggiero Infame, uomo d’onore, deve recuperare la propria dignità. E

                   così, l’imprenditore che Ruggiero sta cercando, caro Salvatore… siete voi!   

Vittoria:    (Si alza inviperita e va da Salvatore, insultandolo) Uh, disgraziato! Infamone!

Salvatore: Uhé, ma che vvuo’ ‘a me?

Criscuolo: No, no, signora, calmatevi, adesso. Vostro marito non c’entra niente. Fa solo

                   parte del mio piano per ricevere il milione di euro. E Ruggiero Infame lo sa.

Salvatore: E chesto è tutto? E vabbuò, ma io, pe’ ‘nu milione ‘e euro, voglio abbuscà ‘a

                   chistu Ruggiero Infame. Avvocà, facìtele venì ccà.

Criscuolo: E no! Gli uomini d’onore, per fatti come questi, non picchiano. Sparano!

Salvatore: Che cosa? E io avéssa essere sparato?

Criscuolo: E certamente.

Ciro:          Scusate, ma poi mio padre verrebbe solamente ferito?

Criscuolo: No, ucciso!

Vittoria:    (Dopo un attimo di silenzio generale) Beh, ma in fondo, nun è accussì grave!

Gaetano:   E’ ‘o vero, ‘na vota s’ha da murì!

Ciro:          E ppo’ nun è che papà more gratis. Chillo vene pavato!

Salvatore: Uhé, aspettate, scieme! Ma che state dicenno? Avìte capito ca io aggia murì?

Vittoria:    E nun te prioccupà, Salvatò, nuje te facìmme ‘nu funerale come comanda Dio!

Gaetano:   E io te porto tutt’’e juorne ‘e ciure ‘ncoppa ‘o cimitero!

Ciro:          E io invece erediterò la tua fabbrica, risanata dal milione di Euro che riceverò.

Salvatore: ‘O che? Chiste già m’hanne fatte ‘o funerale primma ca io moro! Ma po’, chi

                    v’ha ditto ca io accetto?

Criscuolo: Commendatore, con 1 milione di Euro, pagherete tutti i debiti, salverete la

                    vostra attività, i posti di lavoro e terrete perfino qualche soldo in banca!

Vittoria:    (Felice) He’ ‘ntiso, Salvatò?

Gaetano:    Tu sarai un eroe.

Ciro:          Papà, resterai per sempre nei nostri cuori!

Salvatore: (Si alza, stufo) Ma jate a ffa’…! (Ma sente dolore al bacino) Ah, che dulore!

Vittoria:    (Supplichevole) Salvatò, pe’ piacere, fatte sparà!

Ciro:          Tanto, che te costa?

Gaetano:   Tu nun siente niente: ‘a pallottola è veloce!

Salvatore: Ma facìteme ‘o piacere! Facìteve sparà tutt’e tre. E pure vuje, avvocà!  

                   Se ne va nella seconda porta a destra, nel suo studio. Gli altri restano perplessi. 

Ciro:          Dicìte chello che vvulìte vuje, ma secondo me nun ha accettato!

Gaetano:   E se capisce che nun ha accettato. Mò se n’è gghiuto ‘int’’o studio suojo.

Vittoria:    Avvocà, ma non si potrebbe fare una finzione dell’uccisione di mio marito?

Criscuolo: Una finzione? Signora, l’omicidio di vostro marito, lo devono vedere tutti. E’

                   ciò che più interessa a Ruggiero Infame.

Ciro:          Ma poi questo tizio non va carcerato?

Criscuolo: E no, perché il commendatore dovrà morire con una pistola in mano. In questo

                   modo, Ruggiero Infame potrà dire che gli ha sparato per legittima difesa.

Gaetano:   E intanto, mò, chi ‘o cunvince a mio fratello. Chillo ave pure raggione.

Criscuolo: Se il commendatore rifiutasse, Ruggiero troverebbe subito un altro povero

                   disgraziato che accetterebbe al posto suo. Con la crisi che c’è! (Si alza in piedi)

                   Vabbé, se il commendatore cambia idea, fatemi sapere alla svelta. Arrivederci.

                   Lascia il bicchierino di carta del caffè su una sedia e va via, zoppicando. I tre

                   rimasti, si guardano in faccia senza parlare. Poi…

Vittoria:    Mò ce vaco a parlà io. In fondo, io songo ‘a mugliera.

                   Prende il vassoio col caffè ed esce via nella seconda porta a destra.

Gaetano:   E mò ce vaco a parlà pur’io. In fondo, io songo ‘o frato.

                   Esce pure lui nella seconda porta a destra.

Ciro:          E io nun so’ niente? Io songo ‘o figlio. Picciò, ce vaco a parlà pur’io.

                   Esce pure lui nella seconda porta a destra. 

2. [Annarita e Betta. Poi Salvatore. Infine Davide]

                   Dalla comune entrano Annarita e Betta (che ha una busta per lettere in mano).

Annarita:  Signorina Betta, ma voi dovete dire qualcosa di importante al commendatore?

Betta:        Sì, devo dirgli notizie drammatiche sulla fabbrica. Hanno sbagliato pure a

                   spedirci della merce. Meno male che c’è una postilla sul contratto!

Annarita:  Sentite, è inutile che mi spiegate. Io non ne capisco di queste cose.

Betta:        Sì, ma c’è dell’altro: due ex operai vogliono denunciare il commendatore.

Annarita:  Per il fatto che lui li ha licenziati?

Betta:        No, lui si è preso 3.500 Euro da loro per farli assumere all’Università di Agraria.

Annarita:  Ah, e allora hanne raggione.

Betta:        (Dubbiosa) In che senso?

Annarita:  Non esiste nessuna assunzione sull’Agraria.

Betta:        Ma siete certa?

Annarita:  Assolutamente. Mio marito lavora là come segretario.

Betta:        Allora le denunce al commenda sono tre.

Annarita:  Ma non erano due?

Betta:        No, sono tre, perché ci sta pure la mia! 

                   Dalla seconda porta a destra torna e si ferma sulla soglia Salvatore, nervoso.  

Salvatore: Jatevenne, nun me sfuttite cchiù! Mò me n’aésco proprio! (Nota le due) Vuje?

Annarita:  Uhé, Salvatò, buongiorno.

Betta:        Commendatore, buongiorno. Come state?

Salvatore: E meglio che nun te rispongo! Ma come mai da queste parti?

Betta:        Commendatò, la mia presenza non vi deve suggerire niente di buono!

Salvatore: E te pareva. A me me pare ch’a vuje ve piace ‘e cuntà ‘e guaje. E tu, Annarì?

Annarita:  No, io stongo ccà pe’ parlà cu’ Vittoria. Ma è venuto l’avvocato?

Salvatore: Sì.

Annarita:  E che t’ha ditto? T’ha fatto cocche proposta interessante?

Salvatore: No, niente d’interessante. Siente, si vuo’ ì addù Vittoria, sta ‘int’’o studio mio.

Annarita:  Va bene. Allora ce vedìmme aroppo. Con permesso.

                   Esce via nella seconda porta a destra.

Salvatore: Signorina Betta, che mi dovete dire?

Betta:        Guai in fabbrica. C’è la tributaria.

Salvatore: Ma i nostri conti sono a posto.

Betta:        Però il commercialista, il dottor Paradiso, non ne è contento. Si è pure licenziato.

Salvatore: Meglio così. E per il resto?

Betta:        I gabinetti che abbiamo ordinato più di una settimana fa sono arrivati.

Salvatore: Sì, ma non grazie alla vostra lettera. Ma ch’ate cumbinato? Al nostro fornitore è

                   arrivata prima la lettera, poi la busta e il francobollo… tutti e tre separati!

Betta:        E questo non è niente. I gabinetti che ci hanno mandato, non sono quelli che  

                   abbiamo ordinato. Ma niente paura, io già ho scritto la lettera di contestazione.

                   Sta in questa busta. E insieme alla lettera, ho messo pure una copia del contratto.

Salvatore: Aspettate, cioè voi avete scritto una lettera? E fatemela leggere, per piacere.

Betta:        (Apre la busta e gli consegna la lettera) Ecco a voi. Buona lettura!

Salvatore: Ma che stongo leggenno, ‘nu rumanzo? (Poi legge) Dunque, l’intestazione va

                   bene, eccetera eccetera…! E poi… “Oggetto: gabinetti”!... Oggetto: gabinetti?

Betta:        E certo. Il gabinetto non è un oggetto?

Salvatore: Cretina, l’oggetto sarebbe l’argomento della lettera. E fatemi leggere ‘sta lettera.

                  (Così fa) “Egregi signori, non ci siamo…”! (Guarda male Betta) Non ci siamo?

Betta:        Sì, è per rendere la lettera più drammatica. Ma leggete il pezzo forte della lettera.

Salvatore: (Legge) “I gabinetti che ci avete inviato non sono quelli da noi ordinati.  Massa

                   ‘e scieme!”. Ma come, voi chiamate “Massa ‘e scieme” i nostri fornitori?

Betta:        E quelli sono la concorrenza. Che ce ne frega? Ora leggete il finale della lettera.

Salvatore: (Legge) “Insieme a questa lettera, vi spediamo una copia del contratto leccato”!

                  (Stupito) E chi l’ha alliccato, ‘o cuntratto?

Betta:        No, “leccato” vuol dire che è unito alla lettera.

Salvatore: Stupida, si dice “allegato”. Però non avete scritto la cosa più importante.

Betta:        E cioè?

Salvatore: Sul contratto c’è una pastiglia!

Betta:         No, no, non ci sta niente.

Salvatore: Ma come, io l’ho vista.

Betta:         Io non me la sono mangiata.

Salvatore: Che cosa?

Betta:         La pastiglia.

Salvatore: Ma no, la pastiglia è una precisazione.

Betta:         Ah, una postilla: se la merce non è quella richiesta, noi gliela restituiamo.

Salvatore: E loro ci restituiscono i soldi.

Betta:         Va bene, allora vado a spedire la lettera?

Salvatore: Addo’ jate? Voi la dovete riscrivere, correggendo gli errori che avete fatto.

Betta:         Va bene. Ma prima devo dirvi un ultimo guaio che è successo: stamattina sono

                   arrivate due denunce sulla vostra scrivania. Si tratta di quel fatto delle

                   assunzioni sull’Agraria. E presto arriverà pure la terza denuncia!

Salvatore: Si tratta delle denunce di iei due ex operai. Ma la terza di chi sarà?

Betta:         La mia! Da buoni intenditori, poche parole! Con permesso, commendatore.

                   Esce via di casa. Salvatore rimane sorpreso. Si siede e commenta.

Salvatore: Chesta me vo’ denuncià? P’’o fatto ‘e ll’Agraria? E comm’è?

                   Dalla comune entra Davide. Nota Salvatore, pensante, e gli si avvicina.

Davide:      Commendatore.

Salvatore: Davide Del Prete? Alla fine mi hai denunciato.

Davide:      (Si siede pure lui su una sedia) Avete visto? Ho mantenuto la promessa.

Salvatore: Ma non potevi aspettare? Ti ho detto che il lavoro all’Agraria è imminente.

Davide:      Ah, sì? E che cosa gli racconto a mio figlio Giorgio? Quello tiene 3 anni. Non

                   capisce nemmeno perché suo padre resta a casa la mattina invece di lavorare. E

                   tra poco non avrò nemmeno più una casa: mi stanno sfrattando.

Salvatore: Pure?

Davide:      (Si alza in piedi e lo addita) E’ troppo facile fare l’imprenditore, sedersi dietro

                   una scrivania e comandare a bacchetta. Poi, quando le cose non vanno più bene:

                   “Signori, tutti a casa!”… e vi vendete la fabbrica per levarvi dai guai.

Salvatore: E tu pensi che io mi diverta a licenziare la gente?

Davide:      (Ha uno scatto di ira) Embé, commendatò, si tenésse ‘na pistola, ve sparasse!

Salvatore: Pure? Nisciuno cchiù me vo’ sparà?

Davide:      E sarebbe il minimo! Vabbuò, basta, mò me so’ scucciato ‘e ve vedé. Me ne

                    vaco. Ci vedremo davanti al giudice per quell’affare dei 3.500 Euro.

Salvatore: E dove te ne vai, adesso?

Davide:      Mio padre, buonanima, mi ha lasciato una bettola a Nola. Tiene pure la terra.

Salvatore: Tuo padre non c’è più? E tua madre?

Davide:      Neppure. Tenevo un fratello e una sorella, ma pure loro sono saliti al cielo!

Salvatore: Aéh! Praticamente, tu si’ rimasto unico superstite! E te ne andavi pure tu, poi!

Davide:      E a mio figlio Giorgio chi ci pensava?

Salvatore: Giusto. Se vuoi, vengo a trovare a te e a Giorgio nella tua terra di Nola.

Davide:      Nun ve permettite proprio. Si v’appresentàte, ve sparo cu’ ‘o fucile! Vabbuò?

                   Addio, commendatò! Anzi, arrivederci… in tribunale.

                   Esce via a passo svelto. Salvatore si alza in piedi, dolorante al bacino.

Salvatore: ‘O dulore aumenta. Forse, si me facesse sparà, sentesse meno dulore!

                   Esce via a sinistra, a passo lento.

3. [Gaetano e Annarita]

                   Dalla seconda porta a destra tornano Gaetano e Annarita. Lei pare sconvolta.

Annarita: Uh, mamma mia bella! Ma tu ‘o vero staje dicenno? Vonno sparà a Salvatore?             

Gaetano:  Ma no, nun è ch’’o vonno sparà. E’ Salvatore che ha da cercà ‘e se fa’ sparà,

                  accussì ce danno ‘nu milione ‘e Euro.

Annarita: (Sorpresa) Ma pecché, si uno se fa sparà, vene pavato?             

Gaetano:  Esatto.

Annarita: E pecché nun te faje sparà pure tu?             

Gaetano:  E pecché si io moro, tu te piglie ‘o milione!

Annarita: Gaità, ‘stu fatto nun m’è proprio chiaro!             

Gaetano:  Annarì, già è assaje che t’’o stongo cuntanno. Io non dovrei parlare mai più.

Annarita: E pecché?              

Gaetano:  Ancora cu’ ‘stu “pecché”? Stamme facenno ‘o “gioco del perché”! Annarì, me

                  l’ha ditto l’avvocato Criscuolo che nun aggia parlà cchiù. Nun ‘o ssaccio pecché.

Annarita: Vabbuò, è meglio che ce ne jamme. Noi non c’entriamo niente in questa storia.           

Gaetano:  E jammuncenne.

                  Dalla cucina (sinistra) si sente un rumore. Gaetano lo fa notare a Annarita.

                  He’ ‘ntiso? ‘Nu rummore ‘int’’a cucina.

Annarita: (Timorosa) Gaità, facìmmece ‘e fatte nuoste. E si po’ è ‘nu marjuolo?

Gaetano:  Niente paura, ce penz’io! (Va alla parete e prende la cornice con la laurea di

                  Salvatore, poi torna da Annarita) Annarì, chesta è ‘a laurea ‘e Salvatore!

Annarita: Oddio, ma che vvuo’ fa’?

Gaetano:  Ce ll’aggia da’ ‘ncapa ‘o marjuolo!

Annarita: No, ma che vvuò fa’?

Gaetano:  Nun te prioccupà, chesta è arta mia!

Annarita: Gaità, ma che vvuo’ fa’?

Gaetano:  Embé, mò t’’a dongo ‘ncapa a te, si nun te staje zitta! Seguimi e stai tranquilla.

                  Si dirigono verso sinistra, poi Gaetano si ferma e si ferma pure lei.

                  No, nun è cosa.

Annarita: E pecché, Gaità?

Gaetano:  E si po’ ‘o marjuolo è armato?

Annarita: E allora jamme a cercà a Salvatore e dicimmancéllo a isso. Forza, jamme.

                  Gaetano si avvia a destra seguito da Annarita, poi si ferma e si ferma pure lei.

Gaetano:  No, nun è cosa. E si Salvatore nun ce sta? Po’ essere pure ch’è asciuto. Allora io

                  dicésse: ascìmme e gghiamme a chiammà ‘a polizia.

Annarita: So’ d’accordo.

                  Gaetano si avvia al centro seguito da Annarita, poi si ferma e si ferma pure lei.

Gaetano:  No, nun è cosa.

Annarita: E pecché?

Gaetano:  Ce vò troppo tiempo.

Annarita: Gaità, si’ sempe l’eterno indeciso! Amma ì ‘int’’a cucina? E gghiamme!

Gaetano:  E’ chello ch’aggio ditto primm’io. Jamme, viene ‘nzieme a me.

                  I due finalmente escono a sinistra.

4. [Ciro, poi Salvatore e Gaetano. Poi Raffaella e Betta]

                  Dalla seconda porta di destra entra Ciro con uno scatolo in mano.

Ciro:         Anche se sono stato licenziato dalla Star Life, io non mi arrendo. (Posa su una

                  sedia lo scatolo) Farò qualcosa che cambierà il mondo! E lo faròper mio padre.

                  Da sinistra torna Salvatore, tenendosi la testa dolorante. Lo segue Gaetano.

Salvatore: Ah, mamma mia bella, Gaità, ma si’ scemo? (Si siede su una sedia)

Gaetano:   Te si’ fatto male?

Salvatore: E se capisce. ‘A laurea mia è pesante: io aggio acchiappato 110 e lode!

Ciro:          Ch’è succieso, papà?

Salvatore: No, niente, ‘o zio Gaitano m’ha dato ‘a curnice cu’ ‘a laurea ‘ncapa!

Ciro:          E pecché?

Gaetano:   L’aggio scagnato pe’ ‘nu marjuolo. Sulo che nun aggio cugliuto sulo a isso, ma

                   pure a muglierema. Aggio menato mazzate addo’ coglio coglio!

Ciro:          E mò addo’ sta?

Gaetano:   ‘Int’’a cucina. Però adesso sta bene. L’aggio ammaccato ‘o bombolone ‘ncapa!

Salvatore: (Nota lo scatolo) Ciro, che ce sta lloco ddinto?

Ciro:          Un mio progetto futuro. Quando diventerò il titolare della tua fabbrica,           

                   trasformerò il tipo di attività. E in questo scatolo c’è il mio capolavoro!

Salvatore: ‘E che se tratta?

Ciro:          (Preleva dallo scatolo due ginocchiere e due gomitiere) Stimolatori elettronici.

Gaetano:   E a che servono?

Ciro:          Per la ginnastica passiva di braccia e gambe. All’interno c’è pure un lettore

                   musicale e delle casse acustiche. Il tutto consente al soggetto di ballare

                   passivamente a ritmo di musica. Papà, li vuoi provare questi stimolatori?

Salvatore: Io? P’ammore ‘e Dio! Io tengo ancora ‘e segni d’’a cintura d’’o benessere!

Ciro:          Ma questa è una cosa più tranquilla.

Salvatore: E vabbuò, vedìmme comme funziona. (Li prende, toglie la giacca, sbottona le

                   maniche di camicia, mette le gomitiera, poi alza le gamba del pantalone, mette  

                   le ginocchiere, intanto commenta) Tanto, ormai, che m’ha da succedere cchiù?

                   M’hanna sulo sparà! Anzi, lo sapete che Davide e Maria mi hanno denunciato?

                   Sì, per quella sciocchezza del lavoro sull’Agraria. 

Gaetano:   Hanne fatto buono! E la fabbrica?

Salvatore: Il mio commercialista si è pure licenziato.

Gaetano:   Ma chi? Paradiso? Uh, comme me dispiace.

Salvatore: E già, pure a me. (Si alza in piedi) Ecco qua, aggio fernuto. Ma nun funzionano?

Ciro:          Ah, già. (Dallo scatolo estrae…) Manca il telecomando! Tieni. (Glielo cede)

Salvatore: Bene, ora premo il telecomando e… (Preme il tasto) Nun succede niente!

Ciro:          E che t’aggia dicere? Hanno sempe funzionato.

Salvatore: Vabbuò, lasse sta’. (Mette il telecomando in tasca) Ora ascoltatemi un attimo.

                   Stamattina in fabbrica è arrivata la tributaria. Sta jenno a fernì tutto cose a mare.

                   A chistu punto, nun pozzo fa’ cchiù niente. Ruggiero Infame m’ha da sparà.

Gaetano:   Salvatò, ma si’ sicuro ‘e chello che staje dicenno?

Salvatore: Purtroppo sì.

Ciro:          Ma tu non sei obbligato.

Salvatore: Non sono obbligato dalla gente, ma dagli eventi sì. Ciro, chiamma all’avvocato

                   Criscuolo e falle venì ccà ‘nzieme a ‘stu Ruggiero Infame. Io so’ pronto.

Ciro:          Ma…

Salvatore: Uhé, nun discutere… se no poi cambio idea. Va’, vall’a chiammà.

Ciro:         (Indeciso) E… vabbuò.

                   Esce di casa, ma camminando, ogni tanto osserva immalinconito suo padre.

Gaetano:   Salvatò, io aggio penzato ‘na cosa: mettiti un corpetto antiproiettili, così quando

                   Ruggiero Infame ti spara, tu fai finta che sei morto… però sei vivo. Che ne dici?

Salvatore: Gaità, è l’idea cchiù scema ch’aggio mai ‘ntiso. Aiùteme a levà ‘sti ginocchiere

                   e chist’ati cose ‘ncoppa ‘e gomiti, che nun ‘e supporto cchiù.

Gaetano:   E vabbuò, assiéttete.

                   Salvatore si siede su una sedia, mentre Gaetano gli scopre un po’ la gamba del

                   pantalone. Entra in casa Raffaella (non notata) che vicino ai due da dietro.

Salvatore: Gaità, però fa’ chianu chiano! Tu si’ troppo irruento!

Gaetano:   (Si ferma e lo osserva) Salvatò, sarò delicatissimo!

Salvatore: Ma me staje facenno male. Non è meglio che mi levo i pantaloni?

Gaetano:   Te li levo io? Quelli perciò si chiamano “Levi’s”, perché si devono levare!

Salvatore: Ma sì, va’! (Si alza in piedi) Però facciamo presto, prima che viene qualcuno.

Raffaella: (Inorridita) Che schifo!

I due:        (Si spaventano e si abbracciano) Mamma mia! (Poi la osservano stupiti)

Raffaella: Mai immaginavo che in questa casa si svolgessero simili sconcezze!

I due:        No, ma io, veramente…!

Raffaella: Silenzio! Andatevi subito a confessarvi e raccontare tutto al prete.

Gaetano:   Signò, ma noi siamo fratelli!

Raffaella: E a maggior ragione. Vergognatevi! In quanto a voi, commendatore, dove stanno

                   i 500.000 Euro che mi dovete dare?

Salvatore: Ma a me ancora m’hanna sparà! Accòmme m’hanne acciso, ve porto ‘e sorde!

Gaetano:   Cretino, e si t’hanne acciso, comme ce ‘e ppuorte?

Salvatore: (Osserva Raffaella, stupita) No, niente, non gli date retta.

Raffaella: Ho capito, non me li volete restituire più perché non li tenete. E va bene, io

                   potrei pure rinunciare ai soldi, ma voglio vedere in voi la conversione.

Salvatore: Cioè?

Raffaella: La vostra unica ambizione dovrà essere entrare nella casa di Davide!

Salvatore: Aggia trasì ‘int’’a casa ‘e Davide? Signò, chillo me spara cu’ ‘o fucile!

Raffaella: Ma chi?  

Salvatore: Davide!

Gaetano:   E ave pure raggione!

Raffaella: Ma perché, voi siete stato nella terra di Davide?

Salvatore: No, però saccio addo’ sta.

Raffaella: E dove sta?

Salvatore: A Nola!

Raffaella: Ma che state dicendo? Noi siamo tutti figli di Davide.

Salvatore: No, signò, chillo tene ‘nu figlio sultanto. Se chiamma Giorgio!

Raffaella: Oddio, cosa sentono le mie orecchie! E allora dovete cercare la Vergine Maria.

Salvatore: A chi? Maria ha ditto che si me vede, m’ha da da’ ‘na capata ‘nfaccia!

Gaetano:   E se capisce, tu ce vaje a cercà tremilecinqueciento Euro!

Salvatore: Sono fatti miei! Signò, e vuje ‘a chiammate pure vergine?

Gaetano:   Insomma, nun è cosa, Davide e Maria ‘o schifano a mio fratello Salvatore!

Raffaella: Commendatore, ma voi dovete cercare il Paradiso.

Gaetano:   Ah, he’ capito? Sta parlanno d’’o commercialista tuojo: Paradiso.

Salvatore: Ma chillo s’è licenziato. E che l’aggia cercà a ffa’?  

Raffaella: Ma no, io mi riferisco al paraclito. Sapete chi è il paraclito? L’avvocato.

Salvatore: E l’avvocato ci sta già aiutando. Perciò, signora, stiamo in buone acque!

Raffaella: Sentite, commendatore, adesso basta. Vostra moglie mi ha pagato di tasca sua i

                   cinque mesi di arretrato. Ora tocca a voi pagare il resto dei debiti. Capito? (Va

                   verso l’uscita, poi si ferma e si volta verso i due) Commendatore, volete un

                   consiglio? Rivolgetevi con fiducia a Santa Chiara. Baciatele le mani.  

                   Esce via. I due si guardano perplessi. 

Salvatore: Santa Chiara? E che ce azzecca Santa Chiara, mò?

Gaetano:   Salvatò, ma staje durmenno? Santachiara è ‘o cugnomme d’’a segretaria toja!

Salvatore: Ah, già. Chella se chiamma Betta Santachiara. Embé, e pecché m’aggia

                   rivolgere con fiducia a essa? E pecché l’aggia vasà ‘e mmane?

                   Dalla comune entra Betta.

Betta:        Commendatore! (Corre subito da lui)

Salvatore: Uh, eccola qua. (Le si inginocchia davanti e le bacia una mano) Gaità, pure tu!

Gaetano:   Sì, subito. Signurì, aggiate pacienza, v’aggia vasà ‘a mana! (Così fa)

Betta:        (Imbarazzata) Ma… che state facendo?

Salvatore: Signorina Santachiara, io mi debbo rivolgere con fiducia a voi!

Betta:        Non mi avevate mai chiamata col cognome. Voi mi chiamate sempre Betta.

Salvatore: (Smette di baciarle la mano e si alza in piedi) Basta, Gaità, nun vasà cchiù!

Gaetano:   (Si alza anche lui) Vabbuò.

Betta:        Commenda, una buona notizia: la tributaria non ha trovato niente di irregolare.

Salvatore: (Sconvolto) No! Ma questo è un miracolo!

Betta:        Però torneranno domani mattina. Vogliono vedere le fatture dell’anno scorso.

Salvatore: Le fatture dell’anno scorso? Mi è venuta un’idea. Seguitemi.

                   I due escono di casa. Gaetano è rimasto solo.

Gaetano:   Oh, ma addo’ jate? Voglio sentì pur’io st’idea!

                   Esce anche lui.

5. [Vittoria e Annarita. Poi Ciro, Gaetano, Salvatore, Criscuolo e Ruggiero Infame]

                   Da sinistra torna (ha una fasciatura che le avvolge la fronte) Annarita.

Annarita:  (Dolorante) Ah, mamma mia! Che dulore! Ma Gaetano è addiventato scemo?

                   Da destra torna Vittoria.

Vittroria:  Ma addo’ hanne jute, tutte quante? (Nota Annarita) Oddio, Annarì! (Va da lei) E

                   che t’è succieso? T’hanne dato ‘na botta ‘ncapa?

Annarita:  E’ stato Gaitano. M’ha fatto ‘nu bumbulone ‘ncapa! Io e lui abbiamo sentito dei

                   rumori che venivano dalla cucina. Ma era sulo chill’imbranato ‘e Salvatore.  

Vittoria:    Ma mò te fa male ancora ‘o bernoccolo?

Annarita:  No, nun tanto. Piuttosto, con Salvatore che hai deciso di fare?

Vittoria:    Beh, a me m’è venuta ‘n’idea: e si io e isso ce ne fujésseme all’estero? Per

                   evitare le conseguenze del fallimento della fabbrica e per non pagare i debiti.

Annarita:  E addo’ te ne vulìsse fujì?

Vittoria:    Me ne fujo in Venezuela.

Annarita:  E tu saje parlà “veneziano”?

Vittoria:    No. Mannaggia, e allora addo’ me ne putesse fujì?

                   Dalla comune torna Ciro.

Ciro:          Papà, papà… !

Vittoria:    No, nun ce sta. Chi sa addo’ se n’è gghiuto? Va’ fujenno sempe, tuo padre.

Ciro:          Mammà, ‘a zia, papà s’è convinto. M’ha chiesto ‘e cercà l’avvocato Criscuolo.

Vittoria:    (Pentita) Aggia dicere ‘a verità? ‘Stu fatto nun me fa piacere.

Ciro:          E manco a me. Guarda la disperazione che cosa fa fare.

Annarita:  Ma io ce ll’aggio ditto a Gaetano: “Fatte sparà tu ‘o posto ‘e Salvatore”! E isso,

                   niente, nun ha vuluto accettà.

Vittoria:    E ave raggione. (Si alza in piedi) Sapìte che ve dico? Simme tutte scieme. Basta,

                   ‘stu fatto nun se fa cchiù. Ciro, va’ addù ll’avvocato Criscuolo e dincello.

Ciro:          Ma sì, è meglio accussì. Vaco e torno.

                   Esce via di casa.  

Vittoria:    Annarì, pe’ piacere, aiùteme a levà ‘nu poco ‘e muina. ‘Sta casa è ‘nu mercato!

Annarita:  Apprufittamme che nun ce stanne Salvatore e Gaitano.

                   Dalla comune tornano proprio Salvatore e Gaetano.

Salvatore: Gaità, io songo ‘n’ommo intelligente!

Gaetano:   ‘O vero? Nun l’aggio mai visto ‘stu fatto!

Annarita:  (Li indica a Vittoria) Aggio parlato troppo ambresso. ‘E vvi’ lloco!

Salvatore: Uhé, vuje state ccà? Allora priparate ‘o ccafé. Hanna venì l’avvocato Criscuolo e

                   Ruggiero Infame.

Vittoria:    No, nun vene proprio nisciuno: aggio mannato a Ciro a cancellà ‘a prenotazione!

Gaetano:   ‘A prenotazione? Ma che d’è, ‘n’agriturismo?

Salvatore: E pecché l’he’ mannato addù Criscuolo? Io me so’ deciso, voglio fa’ chillu fatto.

Vittoria:    Lasse sta’, Salvatò. Chiuttosto, fujìmmencenne in Canada.

Salvatore: E mica tenìmme ‘a casetta piccolina?!

Vittoria:    E allora aggio deciso: jamme in Paraguay!

Salvatore: Ma pecché, nun t’abbàstene tutte ‘e guaje che ce stanne ccà?  

Vittoria:    E allora in Uruguay!

Salvatore: E dalle, afforza vo’ ì addo’ stanne ‘e guaje! Nenné, Salvatore Della Terra è nato

                   a Napule e a Napule ha da murì. Affronterò il mio destino.

                   Esce a sinistra.

Vittoria:    Mò s’è fissato che s’ha da fa’ sparà.

Gaetano:   Vittò, e falle passà ‘o sfizio!

Annarita:  Ma che cosa? Speramme che Ciro ha parlato cu’ ll’avvocato.

                   Dalla comune entrano proprio Criscuolo e Ciro. E vanno dai tre.

Criscuolo: Signori, buongiorno!

Gli altri:    Buongiorno!

Ciro:          Avvocà, io vi stavo giusto cercando per dirvi che non se ne fa più niente.

Criscuolo: Troppo tardi. Ho già parlato con Ruggiero Infame.

Vittoria:    Vabbé, ma fortunatamente adesso non è venuto. Ora lo telefoniamo e…

                   Dalla comune entra un figuro in abito bianco e cappello. Non saluta.

Annarita:  E chi è chillo?

Vittoria:    Boh!

Criscuolo: Lui è il carnefice.

Gaetano:   Ah, e allora è ‘o macellaro? Nun è chillo che ha da sparà a Salvatore?

Criscuolo: Ma io ho detto che è il carnefice.

Gaetano:   E il carnefice chi è? Quello che vende la carne!

Criscuolo: Vabbé, andiamo oltre. Signori, voglio presentarvi il signor Ruggiero Infame.

Gli altri:    (Sconvolti) Ah!

Criscuolo: (Si avvicina a Ruggiero) Don Ruggiero, vi presento la signora Vittoria, moglie

                   del commendatore. Lui invece è il loro figlio Ciro. Poi c’è il signor Gaetano,

                   fratello del commendatore, con la sua consorte Annarita.

                   Ruggiero non dice nulla. Semplicemente si scappella ad ogni nome che sente.

Annarita:  Ma… non dice niente?

Criscuolo: Meglio che lui non parli, credetemi! E allora, dov’è il commendatore?

Vitttoria:   Ehm… niente, quello aveva pensato di rinviare la cosa.

Ciro:          Magari tra un paio di anni, ci rivediamo e ne parliamo.

Annarita:  Però può darsi pure che non ne parliamo mai più.

Gaetano:   Se poi, nel frattempo, trovate un’altra vittima, senza impegno, fate i fatti vostri!

                   Ruggiero fa segno col viso a Criscuolo, come a dire: “Ma che dicono, questi?

Criscuolo: Ehm… ma non ci sta proprio il commenda? Almeno gli facciamo salutare il

                   signor Ruggiero. Lui si è tanto disturbato a venire fino a qui.

Vittoria:    Mio marito è partito per la Colombia!

                   Da sinistra torna Salvatore, con una tazzina di caffè in mano.

Salvatore: Ecco qua!

Gli altri:    (Esclamano sconvolti, tranne ovviamente Criscuolo e Ruggiero) Oddio!

Criscuolo: Ma… non era in Colombia?

Gaetano:   Ehm… sì. Quello era andato a prendersi il caffè e adesso è tornato!

Salvatore: Uhé, caro avvocato! Se lo sapevo che venivate, portavo il caffè pure a voi!

Criscuolo: Non importa. Caro commendatore, vedete questa persona che è con me? E’ lui?

Salvatore: (Non si scompone proprio) Lui? Veramente? (Gli si avvicina) Molto piacere.

                   Al solito, Ruggiero non dice nulla. Si scappella soltanto. Salvatore è perplesso.

                   Ma non parla? E’ sordo?

Gaetano:   Ma quando uno non parla, è cieco!

Ciro:          No, zio, quando uno non parla, è muto. E comunque, lui non è muto.

Criscuolo: Infatti. Ruggiero Infame è uno che parla coi fatti.

Salvatore: (Posa la tazzina su una sedia) Vabbé, io sono pronto. Che cosa devo fare?

                   Ruggiero prende una pistola di piccolo calibro e la porge a Salvatore, stupito.

                   A me? (La prende) E ch’aggia fa’ cu’ ‘a pistola?

Criscuolo: Bisogna far finta che si tratti di una sparatoria. Lui deve estrarre la sua pistola

                   per legittima difesa.

                   Ruggiero, dalla tasca della giacca, estrae una pistola di grosso calibro.

Salvatore: (Sorpreso) ‘A faccia d’’a pistola! E chillo me pare ‘nu fucile!

Gaetano:   Scusate, ma non c’è proporzione.

Criscuolo: Queste sono le regole. Su, mettete nelle vostre tasche le rispettive armi.

                   I due così fanno. 

Salvatore: Scusate, prima di fare quello che dobbiamo fare, voglio vedere i soldi.

Criscuolo: (Dalla tasca della giacca estrae un assegno bancario) Ecco il milione di Euro.

Salvatore: Ma io lo voglio vedere sottoforma di banconote. Primma ‘e murì, voglio almeno

                   ‘o sfizio d’’e ttuccà!

Criscuolo: Mi dispiace, sarebbe troppo pericoloso portare denaro liquido appresso.

Salvatore: Bene. Allora lasciatemi dire almeno addio ai miei familiari. Sentite, Vittoria,

                   Ciro, Gaetano e Annarita: salutatemi a tutti gli altri parenti.

Vittoria:    Io ti saluto a mia madre.

Salvatore: No, a mia suocera no! Non le voglio dare la soddisfazione di sapermi morto!  

                   Vittoria, appena l’avvocato ti darà i soldi, pensa a mettere tu le cose a posto. Io

                   mi avvio all’altro mondo. Ti aspetto là. Però ti raccomando: non venire presto!

Vittoria:    (Commossa) Nun te prioccupà.

Salvatore: Vivi più che puoi! (Poi a Ruggiero) Io sono pronto. Ora caccio la pistola. (Ma

                   dalla tasca tira fuori altro) Uh, pe’ sbaglio aggio cacciato ‘o telecomando!

Gaetano:   Ma comme, te miette ‘o telecomando d’’a televisione ‘int’’a sacca?

Salvatore: No, chisto è ‘o telecomando ‘e chell’invenzione ‘e Ciro. (Lo rende a Ciro) Tié,

                   guagliò. La tua idea era bella. (Poi va da Ruggiero) Allora, signor Infame,

                   eccomi a voi. Guardiamoci negli occhi!  

Ciro:         (Osserva il telecomando) Peccato che questo telecomando non funziona.

                   Ma schiaccia un tasto del telecomando e all’improvviso a Salvatore parte un

                   calcio che colpisce la tibia di Ruggiero, che saltella dolorante (ma silenzioso).

Salvatore: Oddio! Ch’aggio fatto? Scusate, signor Infame, io non capisco. Adesso vi aiuto.

                   Gli parte una gomitata sotto il mento di Ruggiero che cade a terra svenuto. E

                   gli altri (tranne Ciro, intento a gestire il telecomando) s’avvicinano a Salvatore.

Vittoria:    Salvatò, ma che staje facenno?

Salvatore: E che ne saccio?!

                   Improvvisamente mena calci e gomitate e colpisce tutti (tranne Ciro) che si

                   dileguano in stanza (Vittoria dolorante al naso, Gaetano alla bocca, Annarita

                   al ginocchio e Criscuolo ad un piede).

Ciro:          Papà, se sarrà scassato ‘o telecomando!

Criscuolo: (Si avvicina a Salvatore) Fermatevi, fermatevi!

                   Ma Salvatore gli da un calcio sotto il basso ventre e lui si distanzia, saltellante.

Salvatore: Marò, nun me riesco a fermà cchiù!

Ciro:          Aspetta, ho trovato come fare. (Schiaccia un altro tasto del telecomando) Ecco.

                   Ma dagli stimolatori partono canzoni: pochi secondi di “Ufo robot”, pochi

                   secondi della musica del “Pinocchio” di Comencini, pochi secondi di “Billie

                   Jean”. Salvatore balla come un robot, poi come burattino, poi fa il Moonwalker

                   come Mickael Jackson. E infine il “Ballo di Paride”, saltellando per la stanza.

Salvatore: Aiutooo!

                   Dalla comune entra Raffaella, sorpresa.

Raffaella:  Néh, ma che sta succedenno ccà ddinto?

                   Ma parte il tango “La cumparsita” e Salvatore afferra Raffaella per un braccio,

                   la fa girare una volta su sé stessa e poi le fa ballare il tango. Lei si spaventa.

                   Oddio mio!

                   Salvatore poi le fa fare in casquet e lei cade in terra svenuta.

Ciro:          Papà, finalmente ho trovato il tasto giusto! (Preme un tasto) Fatto!

Salvatore: (Parte “Let’s twist again” e lui balla, sempre più svelto) Maronna miiiiiiaaaaaa!

Ciro:          (Gli si avvicina) Papà, resisti! Ecco il tasto: tàcchete!

                   Preme il tasto, ma parte il “Disco Samba”: A-E I-O-U-Y. Salvatore (disperato)

                   prende per un braccio Ciro (stupito) e i due fanno il trenino per tutta la stanza.

FINE ATTO SECONDO

            Salone di casa Della Terra, tre giorni dopo: la stanza è vuota, ci sono solo due sedie.

ATTO TERZO

1. [Salvatore, Gaetano e Ciro. Poi Vittoria, infine l’avvocato Criscuolo]

                   Seduti al centro ci sono Salvatore (col collare) e Gaetano (col viso pieno di

                   medicazioni) che si tocca la guancia destra dolorante. Ciro è in piedi tra i due.

Salvatore: (Si lamenta, dolorante) Ah, mamma d’’o Carmene! Me fa male tutto cose!

Gaetano:   (Parla con la “zeppola”) A chi ‘o ddice? Tre denti mi sono saltati! Quando dico

                   le parole con le “esse”, provo ancora più dolore!

Ciro:          Vabbé, ma in fondo, la soddisfazione è che la mia creazione funziona!

                   I due lo guardano male. Lui si giustifica.  

                   Aggio capito: l’aggia ittà ‘int’’a munnezza!

I due:         Bravo!    

Ciro:          Intanto, una buona notizia l’ho avuta: sono stato assunto dalla ditta Bel Bagno!

Salvatore: Che cosa? I miei concorrenti?

Gaetano:   E’ ‘a primma vota ch’’o pato e ‘o figlio se fanne concorrenza!

Ciro:          E che ci devo fare? Si salvi chi può!

Salvatore: Stattu zitto! Sparisce ‘a nanzo all’uocchie mie. (Ha una fitta al collo) Aaaah!

                   Da sinistra entra Vittoria (col naso medicato): porta un bicchiere con medicina.

Vittoria:    Salvatò, t’aggio purtato l’antidolorifico.

Salvatore: Menu male, ce vo’ proprio. (Prende il bicchiere e beve)

Ciro:          Papà, non puoi uscire per un po’. Devi restare in casa forzatamente.

Gaetano:   E nun te prioccupà, Salvatò. Per ingannare il tempo, ti regalo un puzzle.

Salvatore: No, pe’ piacere, nun me regalà rrobba che puzza! Io già tengo a muglierema.

Vittoria:    Ma pecché, io puzzo?

Salvatore: No, nel senso che ce staje tu che me faje cumpagnia. A proposito, come ti senti?

Vittoria:    Eh, inzomma. M’he’ dato ‘na gomitata, m’he’ ammaccata ‘o naso!

Gaetano:   Ma quello che sta peggio di tutti, è l’avvocato Criscuolo.

Ciro:          Infatti, papà gli ha ammaccato il basso ventre! Mò sta ‘n’ata vota ‘o CTO!

                   Proprio Criscuolo arriva e si ferma silenziosamente sotto la comune.

Salvatore: (Non lo nota e ne parla male) Menu male, almeno ce ll’amme levàto ‘a tuorno!

Criscuolo: No, io sto ancora qua! (E viene avanti, camminando a gambe strette)

Vittoria:    Avvocato, buongiorno. Siete uscito dall’ospedale? Auguri!

Criscuolo: Grazie. Scusate, vorrei accomodarmi… pecché nun ce ‘a faccio a sta’ all’erto.

Vittoria:    Ciro, va’ a piglià ‘na seggia.

Ciro:          Impossibile, ce le hanno sequestrate tutte, insieme al divanetto. Le ultime due, le

                   tengono papà e zio Gaetano. Adesso vado dalla vicina di casa.

Vittoria:    E va’, va’.

                   Ciro esce via dalla comune.

Salvatore: Avvocà, mi dispiace per l’incidente che vi ho causato. Però è stato involontario.

Criscuolo: Non importa. Piuttosto, sono i vostri guai che aumentano. C’è molta gente che si

                   sta rivolgendo a me: vuole farvi causa per quel fatto del lavoro all’Agraria.  

Salvatore: Avvocà, facciamo così: voi mi difendete in tribunale.

Criscuolo: Questo è impossibile. Io devo difendere le persone che vi vogliono denunciare.

Salvatore: Avvocà, ma vuje state cu’ me o contro di me?

Criscuolo: Io sto con chi mi paga. In questo caso, con coloro che vi denunceranno. Ma

                   quanno arriva ‘sta seggia?

                   Torna Ciro con una sedia.

Ciro:          Eccola qua, bella fresca fresca! Accomodatevi.

Criscuolo: Grazie. (Si siede pian piano)

Vittoria:    Avvocato, un caffè?

Criscuolo: (Rassegnato) E vabbé. Sì, certo.

Vittoria:    Ciro, va’ add’’a vicina ‘e casa ‘e fatte prestà ‘o ccafé. Io t’aspetto ‘int’’a cucina.

Ciro:          E vabbuò. Con permesso.

                   Vittoria esce a sinistra, mentre Ciro esce via di casa.

Criscuolo: Niente di meno, vi hanno sequestrato pure il caffè?

Salvatore: Appunto! Ma adesso veniamo a noi. Che dobbiamo fare, avvocà?

Criscuolo: Voglio sapere come si chiama la vostra fabbrica.

Salvatore: “Bagni Super”.

Criscuolo: Partita Iva?

Salvatore: Comme?

Criscuolo: Partita Iva?

Salvatore: Non lo so. (Poi a Gaetano) E’ partita?

Gaetano:   Chi?

Salvatore: Iva!

Gaetano:   E chi è?

Salvatore: E chi ‘a sape?

Gaetano:   E allora pecché ‘o vvuo’ sapé ‘a me?

Salvatore: Me l’ha domandato l’avvocato Criscuolo!

Criscuolo: Ma no, io voglio sapere qual è la vostra partita Iva.

Salvatore: Ah, ecco. E chi s’’a ricorda? Ve la faccio portare dalla mia segretaria, più tardi.

Criscuolo: Va bene, fate voi. Ora però devo andar via. A proposito, ma ‘stu ccafé arriva?

                   Dalla comune torna Ciro con un barattolo in mano.

Ciro:          Arriva subito. Adesso lo porto a mammà e lei lo prepara.

                   Esce via a sinistra.

Criscuolo: E allora, commendatore, parliamo della questione aperta con Ruggiero Infame.

Salvatore: Ah, già. Sentite, ma lui non ha detto niente di quello che è successo tre giorni fa?

Gaetano:   E che ha da dicere? Chillo nun parla proprio!

Criscuolo: E invece parla e come! E’ ancora disposto a portare a termine il nostro accordo.

Gaetano:   Salvatò, si’ furtunato: Ruggiero Infame te vo’ accidere ancora!

Salvatore: ‘E che cunsulazione!... La verità proprio, avvocà, ci sto un poco ripensando.

Criscuolo: E perché?

Salvatore: Il fatto è che mi metto paura. Io non so morire. Ecco. Non sono mai morto. Se

                   qualcuno me lo può spiegare come si fa…! Per esempio, tu, Gaità!

Gaetano:   Ma pecché, io cocche vvota so’ muorto?

Salvatore: No, vabbé, ma io dico a grandi linee.

Gaetano:   Ma che t’aggia dicere? Quanno uno more… more, basta! Si indurisce sano sano!

Criscuolo: Commendatore, ditelo chiaramente: volete continuare, oppure lasciamo stare?

Salvatore: Nun ‘o ssaccio. Gaità, tu che ddice?

Gaetano:   ‘N’ata vota mò? Afforza ‘a me ‘o vvaje truvanno. Addimànnancello a Vittoria.

                   Da sinistra torna Vittoria. Appare desolata.

Vittoria:    Ehm… scusatemi, avvocato, devo darvi una notizia orribile!

Criscuolo: Oddio, ch’è successo?

Vittoria:    Non vi posso preparare il caffè. Salvatò, è fernuta ‘a bombola d’’o gas!

Salvatore: E falla portare. Telefona.

Vittoria:    Ce hanne staccato ‘a linea telefonica! Ci sono rimaste solo l’acqua e la luce.

Gaetano:   Aeh, Salvatò, stamme a sentì a me: falla finita con questo mondo infame!

Vittoria:    Gaità, mò basta. Mio marito nun se fa sparà pe’ nisciuna cifra al mondo!

Criscuolo: Peccato. (Si alza in piedi lentamente) Ruggiero Infame ha alzato la posta in palio

                   a 1 milione e mezzo di Euro!

Vittoria:    (Cambia repentinamente idea) Avvocà, jatele a chiammà: Salvatore accetta!

Salvatore: Ma io…

Vittoria:    Salvatò, sei un grande uomo. Grazie al tuo sacrificio, salverai molte vite umane!

Salvatore: E vabbé, avvocà, che devo dire? Andatelo a chiamare e facciamola finita.

Criscuolo: Bene. Ci rivediamo tra una decina di minuti. Con permesso.

                   Esce di casa camminando a gambe strette. Gateano si alza in piedi pure lui.

Salvatore: Allora me vaco a priparà ‘int’’o studio mio. Vi raccomando, non mi disturbate!

                   Esce via nella seconda porta a destra. Vittoria e Gaetano si guardano perplessi.

Vittoria:    Eh… beh… ch’amma dicere? A proposito, Gaità, Annarita comme sta?

Gaetano:   Dopo il calcio di Salvatore, cammina con la stampella. Sono tre giorni che

                   dorme sempre per colpa dei calmanti. Menu male, accussì parla cchiù poco!

                   Escono via a sinistra.

2. [Annarita e Betta. Poi Maria, Davide e Raffaella]

                   Dalla comune entrano Annarita (che ha una stampella e zoppica) e Betta.

Betta:        Signora Annarita, come state con quella gamba?

Annarita:  E comm’aggia sta’? Tengo ll’acqua ‘int’’o ginocchio!

Betta:        No, caso mai, tenete il liquido.

Annarita:  Ma pecché, ll’acqua nun è liquida?

Betta:        Giustamente!

Annarita:  A proposito, avete denunciato a mio cognato Salvatore?

Betta:        Certo. Però devo dire la verità? Mi fa pena. Sta rischiando la bancarotta. E per

                   giunta, quelli della tributaria, pensano che lui stia tentando di corromperli.

Annarita:  Pure? Chillu scemo! Speramme che fa ambresso a se fa’ sparà!

Betta:        (Stupita) Eh?

Annarita:  Uh, ch’aggio ditto? Vabbuò, ormai m’’ite ‘ntisa. Devo dirvi per forza tutto.

Betta:        Ma io…

Annarita:  No, fate silenzio. Non negate di avermi sentita. Il commendatore deve farsi       

                   sparare da un tizio. In cambio riceverà una cifra con sei zeri!

Betta:        Ma voi che state dicendo?

Annarita:  Lo so, non dovrei dirvelo. Ma ormai mi avete scoperta e ve lo devo confessare.

Betta:        Sentite, mi promettete che oltre a me non lo saprà nessun altro?

Annarita:  Ma scherzate? Io sono una donna seria.

Betta:        Molto bene. Adesso però vado dal commendatore. In fabbrica non è venuto.

Annarita:  Andate, andate. Starà nel suo studio.

                   Betta esce nella seconda porta a destra. Annarita si siede su una sedia e riflette.

                   Mamma mia, ave raggione mio marito: tengo ‘a vocca troppa aperta! M’aggia

                  sta’ accorta a comme parlo. Il fatto di Salvatore non lo devo dire più a nessuno.

                  Dalla comune entra Maria.

Maria:      E’ permesso?

Annarita: No!

Maria:      Ma come, non posso entrare?

Annarita: Voi potete entrare, ma io non vi dò il permesso, perché questa non è casa mia!

Maria:      (Entra ugualmente) Sentite, ho bisogno di parlare col commendator Della Terra.

Annarita: E che ha combinato? Quello è una brava persona.

Maria:      Io sono una sua ex operaia. Lui mi ha licenziata e non riesco a trovare un altro

                  lavoro. E me la pagherà cara. Soprattutto perché si è preso da me 3.500 Euro.

Annarita: Pure voi? Mamma mia, che disastro! Io non dovrei dirvelo, e infatti non ve lo

                  dico, ma il commendatore si deve far sparare per eliminare tutti i suoi debiti! 

Maria:      Come, come?

Annarita: Oddio, l’ho detto un’altra volta. E va bene, ormai ho fatto il guaio. Ci sta un

                  uomo che ha promesso 1 milione di Euro al commendatore se lui si fa sparare!

Maria:      Però! Questa cosa è molto interessante. Adesso il commenda sta in fabbrica?

Annarita: No, si è fatto male. Forse ora sta nel suo studio. Però è meglio che non ve lo

                  dico, se no voi andate da lui!

Maria:      Grazie dell’informazione! E vi raccomando: non dite a nessun altro quello che

                  avete detto a me. Capito? Allora, con permesso.

Annarita: Prego.

                  Maria esce nella seconda porta a destra. Annarita pare risollevata.

                  Meno male, mi pensavo di aver fatto un altro guaio. E’ meglio che me ne vado!

                  Annarita va per uscire di casa, quando si imbatte in Davide che sta entrando.

Davide:     Buongiorno, signora Annarita: voi siete la cognata del commendator Della Terra.

Annarita: Sì, sono io. E voi chi siete?

Davide:     Davide Del Prete, ex operaio del commenda. Non vi ricordate di me?

Annarita: Sentite, per piacere, non mi fate domande, se no rischio di dirvi tutta la verità sul

                  commendatore, mio cognato.

Davide:     Cioè?

Annarita: Praticamente, rischia di sparire. Defunto! Un tizio lo vuole pagare per spararlo.  

Davide:     Overamente?

Annarita: Sì. E oggi non è sceso a lavorare, perché sta tutto ammaccato! Sicuramente starà

                  nel suo studio.

Davide:     Ho capito. Va bene, grazie dell’informazione. E vi raccomando: non dite a

                  nessun altro quello che avete detto a me. Capito?

Annarita: Me puòzzene sparà!

Davide:     Brava. Allora, con permesso!

Annarita: Prego, prego.

                  Davide esce nella seconda porta a destra. Annarita pare preoccupata.

                  Speramme che chisto nun dice niente a nisciuno! Mamma mia, che situazione!

                  Dalla comune entra Raffaella che va direttamente accanto ad Annarita.    

Raffaella: Buongiorno, signora Annarita!

Annarita: Buongiorno a voi, signora Raffaella! Ma mica state cercando a mio cognato?

Raffaella: Sinceramente, sì. Voglio vedere se è ancora vivo!

Annarita: Ah, ma allora voi già sapete tutto. Meglio, se no in giro diranno che sono stata io

                  a dirvi che lo vogliono sparare!

Raffaella: Lo vogliono che…?

Annarita: Sì, un tizio vuole pagarlo per farlo fuori!

Raffaella: No, questo non lo sapevo.

Annarita: Uh, mamma mia! Aggio fatto ‘n’atu guajo!

Raffaella: No, no, invece avete fatto bene a dirmelo. Però vi raccomando…

Annarita: Sì, lo so: non lo dirò a nessun altro! Lo sapete solo voi!

Raffaella: Perfetto. Ma adesso dove sta?

Annarita: Oggi non è sceso a lavorare, perché sta a riposo. Quindi, starà nel suo studio.

Raffaella: Allora, con permesso.

Annarita: Prego, prego!

                  Raffaella esce nella seconda porta a destra e così Annarita commenta il tutto.

                  E’ meglio che vaco addù Vittoria. Le devo dire una cosa fondamentale: nun ha   

                  da dicere a nisciuno ‘o fatto ‘e Salvatore!

                  Esce a sinistra.

3. [Tutti i personaggi, a partire da Criscuolo e Ruggiero]

                   Dalla comune entrano Criscuolo (che cammina a gambe strette) e Ruggiero.

Criscuolo: Don Ruggiero, eccoci arrivati. Pare che finalmente il nostro uomo si sia deciso.

                   Gli ho detto che avete alzato la cifra di 500.000 Euro. Ho fatto bene?

                   Ruggiero annuisce col capo. Criscuolo allora gli espone il piano.

                   Molto bene. Allora, un colpo di pistola al cuore, dopodiché, una volta morto il

                   commenda, chiameremo l’ambulanza e i giornalisti. Va bene?

                   Ruggiero annuisce nuovamente col capo. Criscuolo prosegue la spiegazione.

                   Perfetto. In quanto al pagamento della somma pattuita, me ne occuperò io. Voi,

                   intanto, dopo l’omicidio, dovrete sparire prima dell’arrivo della polizia. OK?

                   Criscuolo ride e Ruggiero sorride (silenzioso). Da sinistra ecco Ciro e Gaetano.

Ciro:          (Nota i due) ‘O zio, guarde lloco.

Gaetano:   (Preoccupato. Parla con la “zeppola”) Ah, già stanne ccà?

Ciro:          E pecché stanne rerénno?

Gaetano:   (Parla con la “zeppola”) Si avéssena essere sparate lloro, nun reréssene cchiù!

Criscuolo: (Nota i due) Don Ruggiero, guardate chi c’è. Il fratello e il figlio della vittima.

                   Ruggiero si scappella per salutare i due, poi va alla comune, vi esce poco fuori,

                   incurante degli altri. Criscuolo si avvicina a Gaetano e Ciro, con fare gentile.

                   Oh, carissimi signor Gaetano e Ciro. Avete visto a chi vi ho portato?

Gaetano:   (Ha difficoltà a parlare) Già, l’assassin… l’assass… l’ass…! Mannaggia, ‘a

                   parola “assassino” tene troppi “esse”! E io ho perso tre denti!

Criscuolo: Ma io non capisco. Non sembrate più contenti di vedere Ruggiero Infame. Ma è  

                   cambiato qualcosa nei vostri piani?

Ciro:          Avvocà, veramente, a nuje nun ce ha maje fatto piacere d’’o vedé, a chillo.

Criscuolo: Beh, ormai don Ruggiero deve andare fino in fondo. E’ inevitabile. Mi spiace.

Gaetano:   (Ha difficoltà a parlare) Ma che razz… ma che razz… che razz…!  

Ciro:          Mio zio vuole dire: “Ma che razza d’ommo è chillo?”… Effettivamente, un

                   uomo che paga la gente per farsi sparare, è una bella schifezza!

Criscuolo: Sentite, non discutiamo su queste cose. Dov’è il commenda?

Gaetano:   Boh! Secondo me sarà uscito a salutare un po’ di amici. Quello è molto amato!

                   Ma dalla seconda porta a destra entra Salvatore, seguito da Maria, Davide,

                   Betta e Raffaella che lo contestano duramente.  

Davide:      E vuje ve penzate ‘e ce fa’ fesse accussì?

Maria:       Ve vonno pavà pe’ ve fa’ sparà e nuje nun amma sapé niente?

Betta:         E pecché nun ce l’avite ditto?

Raffaella:  Comunque, vi sta bene! E badate bene, una parte del milione di Euro che vi

                   vogliono dare, lo dovete destinare a noi.

Betta:        (Meravigliata) ‘Nu milione ‘e Euro?

Maria:       ‘A faccia d’’o baccalà!

Raffaella:  Madre benedetta di Medjugorje!

Salvatore: Ma qualu milione d’Euro? Chi ve l’ha ditta ‘sta palla?

Davide:      ‘A signora Annarita.

Salvatore: Che cosa? Inzomma, che vvulìte fa’ ‘o tiatro ‘int’’a casa mia? (Si avvia alla

                   comune) E badate, che a me non mi ammazza nessuno. E se si presenta

                   l’assassino, songo io ch’accido a isso. Capito? E mò me ne vaco!

                   Ma mentre sta per uscire, si trova faccia a faccia con Ruggiero. Si imbarazza.   

                   Ehm… don Ruggiero! No, non stavo dicendo che uccido a voi. Io stavo

                   parlando di un altro signore che mi vuole uccidere pure lui!

Criscuolo: (Va da Salvatore) Sentite, ma che mi state combinando? Cosa vogliono quelle

                   persone da voi? E perché gli avete detto che dovete morire?

Salvatore:  Néh, ma chi ha ditto niente? E che sso’ scemo?

Gaetano:   (Si avvicina a lui, ma non riesce a parlare bene) Salv… Salv…

Ciro:          (Si avvicina pure lui) Papà, ‘o zio sta dicenno: “Salvatò!”…

Salvatore: Gaità, làsseme stà ‘npace!

                   Si sposta verso destra della stanza, ma si ritrova i quattro che lo contestano. 

I quattro:  Disgraziato! Ommo ‘e niente!

Salvatore: Uff! (Si sposta verso sinistra) Ma addo’ me n’aggia ì pe’ sta’ qujeto?

                   Da sinistra tornano pure Vittoria ed Annarita. Vittoria sgrida suo marito.

Vittoria:    Salvatò, che staje facenno?

Salvatore: E ch’aggia fa’? Niente.

Vittoria:    (Nota i quattro contestatori) E chilli quatte che ce fanne lloco?

Salvatore: Sanno che Ruggiero Infame mi deve sparare. E sai chi gliel’ha detto? Annarita.

Annarita:  Io?

Betta:         Sì, esatto.

Maria:       Voi avete detto che il commenda, per farsi sparare, riceverà 1 milione di Euro.

Annarita:  E me so’ sbagliata, pecché ‘a cifra è aumentata: 1 milione e mezzo di Euro!

I quattro:  (Stupiti) Un milione e mezzo di Euro? (Con inni da stadio) A morte, a morte!

Salvatore: (Si arrabbia) Oh, e basta! Ma che vvulìte ‘a me?

Davide:      Fatevi sparare e coi soldi dovete salvare il lavoro di decine di persone.

Maria:       E dovete far riassumere pure a me e a Davide.

Betta:         E vogliamo pure assistere mentre vi sparano.

Raffaella:  Per cui, cominciamo a pregare. “L’eterno riposo, dona a lui signore, risplenda ad

                   egli la luce perpetua, riposi in pace, amen!”…

Salvatore: Ma jatevenne d’’a casa mia mommò! (Va da loro) Jateveeeeenne!

                   Spinge verso l’uscita di casa i quattro che  protestano. Poi parla a Ruggiero.

                   Sentite, a voi: fate quello che dovete fare e andatevene.

Vittoria:    Ma… Salvatò!

Salvatore: Vittò, pe’ favore, stattu zitta. Si nun te fide ‘e vedé, vattenne ‘int’’a cucina.

Vittoria:    No, dico, nun puo’ aspettà ‘na mez’ora? Aggio telefonato a mammà. Ha ditto

                   che te vo’ vedé mentre te ne vaje all’atu munno!

Salvatore: No! Mammeta nun l’ha da avé ‘a suddisfazione ‘e me vedé murì!

                   Salvatore va alla comune e chiude le porte di casa. Poi va al centro, a sedersi.

Scena Ultima. [Salvatore, Vittoria, Annarita, Ciro, Criscuolo, Gaetano e Ruggiero]

                   Salvatore, seduto al centro, riprende fiato. Poi chiama a sé Vittoria. 

Salvatore: Vittò, pe’ piacere, te puo’ avvicinà ‘nu mumento?

Vittoria:    (Così fa) Che me vuo’ dicere, Salvatò?

Salvatore: Nun aggio ancora fatto ‘o testamento.

Criscuolo: Siete pazzo? Volete farlo proprio adesso?

Vittoria:    E se capisce. Io songo ‘a mugliera e m’attòcca tutto cose a me.

Ciro:          E io songo ‘o figlio. M’attòcca coccosa pure a me!

Annarita:  Salvatò, e a me?

Salvatore: E tu nun me sì niente!

Annarita:  Io no, ma Gaitano sì! T’è frato.

Salvatore: E vabbuò, ce lasso ‘a segretaria mia!

Gaetano:   Grazie, Salvatò. A proposito, io aggia chiammà ancora a ‘nu schiattamuorto.

Criscuolo: Ma la morte del commendatore dovrà essere un fatto improvviso. Se fate il 

                   testamento e avvisate le pompe funebri, la polizia si insospettirà. Gli inquirenti

                   si domanderanno come facevate a sapere che il commenda sarebbe morto.

Salvatore: Avvocà, allora ci penserete voi a mettere le cose a posto.

Criscuolo: Ma certo. Però adesso, per favore, sbrigatevi.

Vittoria:    E che fretta ci sta? Non ve lo prendete un caffè?

Criscuolo: Portiamo a termine prima il nostro programma, poi dopo ci faremo un bel caffè.

Vittoria:    E secondo voi, aroppo ch’è muorto mio marito, io me metto annanzo ‘a cucina?

                   Appena è muorto Salvatore, io aggia chiagnere e aggia alluccà!

Annarita:  E pur’io.

Ciro:          E io pure.

Gaetano:   Io nun pozzo chiagnere, pecché aggio perzo tre denti!

Criscuolo: Sentite, se facciamo tutto ora, chiederò a don Ruggiero Infame di aumentare di

                   un milione la cifra in palio. Don Ruggiero, siete d’accordo?

                   Ruggiero annuisce.

                   Avete sentito? Non più 1 milione e mezzo di Euro, ma ben 2 milioni e mezzo!

Salvatore: (Si alza subito in piedi) Basta, nun parlàmme cchiù. (Poi si rivolge a suo figlio)

                   Ciro, t’arraccummànno: gestisci bene la mia fabbrica insieme e tua madre.

Ciro:          Non ti preoccupare, papà. Mi licenzierò dalla Idea Bagni.

Salvatore: Bravo. Ti nomino presidente sul campo! E in quanto a te, Vittò, porta avanti la

                   casa e la mia attività. Ti nomino vice presidente.

Vittoria:    A me? Salvatò, però t’avviso: io nun saccio fa’ niente!

Salvatore: Nun te prioccupà, manch’io saccio fa’ niente! E a te, Gaità, ti nomino segretario!

Gaetano:   ‘E che fregatura!

Salvatore: E infine, Annarita, ti dico: prendi una parte dei 2 milioni e mezzo di Euro e fai

                   mettere i denti in bocca a Gaetano.

Annarita:  Grazie, Salvatò!

Salvatore: Bene, penso che ho finito.

Criscuolo: Allora, procediamo. Don Ruggiero, volete dare una pistola al commenda?

                   Ruggiero estrae una pistola dalla tasca e la consegna a Salvatore. 

                   La dovete puntare contro don Ruggiero e lui vi dovrà sparare.

Salvatore: Va bene. Io sono pronto.

Criscuolo: Ora chiedo agli altri di mettersi in disparte, perché potrebbe essere pericoloso.

                   Gli altri si mettono in disparte, mentre Salvatore e Ruggiero si mettono l’uno di

                   fronte all’altro, come in un duello stile Far West. Criscuolo dà loro istruzioni.

                   Puntate le vostre rispettive armi verso l’altro.

                   I due eseguono. Criscuolo comincia il conteggio.

                   Ora conterò fino a tre, dopodiché don Ruggiero sparerà. Uno… due…

Salvatore: Aspettate, aspettate!

Criscuolo: Che è successo? Perché mi avete interrotto?

Salvatore: Volevo domandare se devo sparare pure io.

Criscuolo: No, voi non dovete. Tanto, la vostra pistola è una scacciacani.

Gaetano:   (Speranzoso) Ma allora pure la pistola di don Ruggiero è una scacc… una

                   scacc… Mannaggia, nun riesco a dicere “scacciacani”!

Criscuolo: No, la sua pistola è vera. E ora fatemi ricominciare il conteggio. Uno… due…

Salvatore: Aspettate, aspettate!

Criscuolo: Ch’è succieso, mò?

Salvatore: Nun pozz’ì ‘nu mumento ‘int’’o bagno? Aggio avuto ‘nu scioglimento ‘e panza!

Criscuolo: Commendatò, ma che ve ne importa? Tanto, tra poco non sarete più in vita.

Salvatore: Però pare brutto.

Criscuolo: Nei confronti di chi?

Salvatore: E come? Nei confronti degli infermieri che mi porteranno in ospedale, del

                   medico che mi farà l’autopsia e nei confronti d’’o schiattamuorto!

Criscuolo: Sentite, portiamo a termine questa storia. Don Ruggiero si sta spazientando.

Salvatore: Veramente, chillo nun sta dicenno proprio niente!

Gaetano:   (Parla con la “zeppola) Salvatò, ma ancora te l’he’ ‘a ‘mparà a don Ruggiero?

                   Isso e l’avvocato parlano telepaticamente!

Criscuolo: Insomma, basta. Preparatevi per il duello.

Gaetano:   Salvatò, preparati per il duetto!

Salvatore: Ma che ce amma mettere a cantà?

Criscuolo: Duello, non duetto. Signor Gaetano, non confondete le idee a vostro fratello! Su,

                   iniziamo. Il commendatore e don Ruggiero si mettano l’uno di fronte all’altro.

                   I due così fanno. Criscuolo comincia a contare.

                   Al mio tre, il commenda punta la sua pistola verso don Ruggiero, il quale punta

                   la propria pistola e spara. Pronti? Uno… due…

Salvatore: Aspettate, aspettate!

Criscuolo: Mò nun accumminciate ‘n’ata vota!

Salvatore: Volevo dire due versi poetici prima di morire.

Criscuolo: E ascoltiamo questi versi poetici.

Salvatore: Dunque: “Anche se sto per lasciare il mondo, sono contento lo stesso, in fondo.

                   Io rimarrei vivo con ogni mezzo, potendo godere di 2 milioni e mezzo!”. Finita!

Gaetano:   Salvatò, stamme a sentì a me: ma muore acciso, ch’è meglio!

Criscuolo: Allora io conto fino a tre… senza interruzioni. (Guarda male Salvatore, poi…)

                   Uno… due… tre!

                   Ruggiero preme il grilletto, ma la pistola non spara. Così ripete l’operazione

                   per tre volte, ma l’arma continua a fare cilecca.

Ciro:          Ch’è succieso? Nun aggio ‘ntiso nisciuna botta!

Criscuolo: Accidenti, si deve essere inceppata la pistola.

Salvatore: Volete la mia?

Criscuolo: Vi ho detto che la vostra non spara. Scusatemi un secondo, la vibrazione del mio

                   cellulare. (Si mette in disparte a rispondere al telefono) Pronto!...

Annarita:  Uffa, quante interruzioni!

Vittoria:    Ma che serietà è chesta!

Criscuolo: (Finisce la telefonata e torna da loro) Bene, una notizia meravigliosa: il baro

                   che don Ruggiero sta cercando, è stato trovato. Adesso si trova a Porta Nolana.

Vittoria:    Uh, questo vuol dire che don Ruggiero non deve più sparare a mio marito?

Criscuolo: Esatto.

Vittoria:    Che bellezza!

Gaetano:   E si’ cuntento? Tu he’ perzo duje milione e miezo ‘e Euro!

Ciro:          E nun fa niente. Meglio accussì.

Salvatore: Va bene, allora, don Ruggiero, tenetevi la scacciacani.

                   Punta la pistola verso Ruggiero e così parte un proiettile che lo colpisce.

Ruggiero:  (Sofferente) Ah! ‘In’’e ccorne ca tiene! (E cade esanime in terra)

Gaetano:   (Sorpreso) Salvatò, sì riuscito a ffa’ parlà a don Ruggiero!

Ciro:          Sì, però l’ha acciso!

Criscuolo: (Accorre al capezzale di Ruggiero) Commendatò, ma che avete combinato?

Salvatore: Ehm… veramente… io ho solamente puntato la pistola e…

                   Ripete il gesto verso Criscuolo e parte un altro proiettile che colpisce

                   l’avvocato sotto il basso ventre.

Criscuolo: (Sofferente) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tiene!

Vittoria:    (Sconvolta) Oddio, Salvatò, ma che staje cumbinanno?

Gaetano:   He’ cugliuto ‘e sfere basse ‘e ll’avvocato!

Salvatore: (Si volta verso Vittoria e le punta l’arma contro) Ma io aggio fatto accussì e…

                   Parte un altro proiettile che la colpisce alla gamba sinistra.

Vittoria:    (Sofferente) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tiene!

Ciro:         (Preoccupato) Mammà! (Poi a Salvatore) Papà, he’ visto che he’ cumbinato?

Salvatore: (Punta l’arma verso di lui) No, ma io, veramente, ho fatto così e…

                   Parte un altro proiettile che colpisce Ciro al lobo dell’orecchio sinistro.

Ciro:         (Sofferente) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tiene!

Gaetano:   Ciro, no! (Poi si rivolge a suo fratello) Salvatò, he’ cugliuto ‘a recchia ‘e Ciro!

Salvatore: (Punta l’arma verso di lui) No, ma io, veramente, ho fatto così e…

                   Parte un altro proiettile che colpisce Gaetano alla mano destra.

Gaetano:   (Sofferente) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tiene!

Annarita:  Gaità, no! (Poi richiama suo cognato) Salvatò, he’ cugliuto ‘a mana ‘e Gaitano!

Salvatore: (Punta l’arma verso di lei) No, ma io, veramente, ho fatto così e…

Annarita:  (Sofferente) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tiene!

Salvatore: (Abbassa l’arma puntandola verso terra) Marò, ch’aggio cumbinato! Però è

                    strano, chesta pistola è ‘na scaccia… (Parte un altro proiettile che la colpisce il

                    proprio piede destro e, sofferente, impreca) Ah! ‘Int’’e ccorne ca tengo!

                    Tutti soffrono per il colpo di pistola ricevuto, Salvatore davanti a tutti.

FINE DELLA COMMEDIA