Ma il mio cuore non sa parlare

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Ma il mio cuore non sa parlare

…dalla vita alla musica di Billie Holiday

di Erika Barresi

codice di registrazione S.I.A.E. – sez. D.O.R. – 863869 A

Dalla dx entrano i musicisti che si sistemano sullo stesso lato. Al centro, poggiato a terra un manichino da sarta, con un abito appuntato con degli spilli, è rosso. Sul fondo del palco, in direzione del tavolino, un bancone con degli sgabelli, sul piano ci sono dei bicchieri sporchi.

Contemporaneamente entra una donna accompagnata da un elegante ragazzo che le scosta la sedia da un tavolino sistemato sulla sinistra.

Il complesso comincia a suonare Strange Fruit – preludio.

La donna ha una vestaglia in dosso, ma porta delle deliziose scarpe bianche anni ’40 con un tacchetto discreto, non ha le calze. L’uomo estrae dall’altra tasca un altro cofanetto e un fazzoletto piegato stretto e comincia a colorarle il viso mentre lei comincia a parlare…

Lidia:         (Contrabbasso) Nel sud gli alberi maturano frutti bizzarri con sangue sulle foglie e sangue fino alle radici. Corpi neri d’ebano ondeggiano alla brezza, frutti bizzarri pendono dai pioppi, una scena bucolica dell’orgoglioso sud (?!?) gli occhi di fuori e la bocca deformata. Il profumo di magnolia, dolce e fresco, e poi all’improvviso il puzzo delle carni che bruciano… ecco qui un frutto perché i corvi lo strappino, perché la pioggia lo gonfi, perché il vento lo secchi, perché il sole lo imputridisca, perché l’albero lo lasci cadere, ecco qui un bizzarro e amaro raccolto… …

                  (Marcia – Strange Fruit)

                  Nigger! Nigger! Negro, zulù, scimmia, mangia banane… negra… non deve essere piacevole sentirsi chiamare così, mentre sei in ginocchio su uno scalino a pulire con uno di quei prodotti viscidi e puzzolenti una macchia che è un’ora che ci lotti contro, e così ti senti dire… “Negra, non perdere tempo ho gli ospiti per le cinque!”… anche a me verrebbe voglia di allungare i loro zuccherosi darjeeling tea con i quintali di acqua saponata che ci vuole per levare le loro impronte di scarpine sante da quei damned steps – dannati scalini! E se a me, che non sono mai stata chiamata negra, viene questo istinto immagino a chi come Lady Day ha passato una vita a non rimanere altro che una nigger a dispetto della sua voce, della sua arte, delle parole nel suo inconfondibile swing… black – bodies – swinging in the southern breeze… il profumo di magnolia, com’è dolce e fresco e poi all’olfatto l’acre smell delle carni lasciate ad ardere… il corpo del padre che si consuma, come sulla brace, alla ricerca di uno ospizio, un letto d’ospedale che non serva solo da preambolo alla tomba, il frutto strano, bizzarro e perversamente crudele che ormai marcio arriva alla bocca dei nigger, non degni delle leggi comuni agli esseri umani, ai bianchi…

I can’t get started...

Lidia seduta si strucca, poi, lentamente si avvia verso il fronte palco e raccoglie da terra il manichino, ma l’abito cade e raccogliendolo comincia a pensare….

Lidia:         Ho chiaro il concetto del colore legato all’umore, alcuni colori hanno proprio la capacità di rilassarti o metterti di buon’umore, indossare un abito piuttosto che un altro determina il tuo stato d’animo, e per il lavoro che faccio come potrei non esserne convinta… gli abiti che Billie Holiday indossava… gli anni quaranta, i decolté, le spalline aperte sulle braccia… gli abiti di Billie… donna, dicevano, donna… invitava il mondo senza aprircisi… dicevano donna… cosciente, determinata, caparbia, forte al punto che gli uomini, la galera, le privazioni, nulla poteva abbattere la sua energia. Avrei voluto essere così. Vorrei ora raccogliermi e andare in direzione del domani. Sono stata forte, ma non come lei… sono stata forte come sua madre. Io ho affrontato il mondo come una madre, per andare avanti… la duchessa, così chiamavano la mamma di Billie, anzi era Lester Young, amico e fratello, amante ma per complicità, il buon Lester l’aveva soprannominata la duchessa, le dava il giusto rispetto, in fondo era la madre di una Lady… provate ad esserlo voi… io ho dei figli che sono dei principi!

                  (Fine and Mellow – Blues)

La duchessa e suo padre ebbero la possibilità di sposarsi quando Billie aveva già tre anni, lei aveva sedici anni e lui diciotto, gli anni giusti per sposarsi e andare in guerra (?!?). La duchessa per tutta la vita legata ad un marito che decise di vivere il proprio sogno, lontano da lei. La duchessa incapace di uscire da un ruolo, madre di tutti gli amici di Billie, di tutti gli spiantati… beh, se Billie, diceva, non aveva mai pensato che si potessero metter su soldi cantando, la duchessa non avrebbe mai pensato di uscire viva dai grembiuli a servizio delle ricche bianche del nord… New York fece di sua figlia Lady Day e di lei una duchessa…

Fine and Mellow

           

Lidia:         Lester Young, amico, fratello e amante, per la musica, perchè con lo swing ti avvicini, cerchi l’afflato con chi suona con te, insieme... le jamming session, finite le serate nei locali della 52° strada, quando niente si vendeva di più dell’illegalità, droga, alcool e  mescolanza razziale… le regole sociali e le leggi dello stato, il proibizionismo che legalizzava ogni differenza, molti abusi, e ben poco salvaguardava la vita ma spingeva alla speranza di cavarsela senza guai.

                  Malgrado la buona volontà ben poco separava la vita di un nigger dalla galera, non vi erano limiti, nemmeno prove a discarico che potessero confutare l’inadeguatezza della razza rispetto la ben pensante razza bianca… in fondo si trattava di conoscere bene la lingua, tradurre tutto in quello che alcuni più tardi hanno definito il “white english”… la lingua dei bianchi…

(Glenn Miller – In the mood)

                  Per esempio: una undicenne violentata da un cinquantenne, condannava lui alla prigione e traduceva in prostituta la piccola zulù… condanna a cinque anni di riformatorio, dove donne poco sensibili, cercavano di abusare di te e la realtà si svela in tutte le sue ipocrisie, snoda il dubbio che certi sorrisi dei bianchi, ogni tanto ti fanno sorgere…

                  Billie cantava in un’orchestra di musicisti bianchi e per loro era una vera lotta, mai nessun uomo si è battuto per lei come Artie Shaw. Ecco lui si che era un uomo che ci credeva… ci credeva ma… non vinse la sua lotta, dopo poco in tournèe massacranti durante le quali spesso non poteva nemmeno lasciar stare Billie sul palco per tutto il tempo dello show, per il sud, si dovette prendere un’altra cantante, bianca, ovviamente… e poi, quando ormai erano massacrati dal ritmo del torpedone, la grande occasione… la Blue Room del Maria Kramer’s Lincoln, nella 43° strada… non un granché di show ma trasmesso nelle radio nazionali… dallo show completo però Billie passò a fare un solo numero e… così li mollò, il coraggio di lasciare… quella sì che era coscienza di se’…

                  (La chitarra fa un accordo – Artie la invita a cantare e lei comincia – Do nothin ‘till you hear from me – dando l’attacco per l’ensemble)

Lidia:         (Si siede per terra davanti al manichino) Quando le bambine, le ragazzine, all’istituto cattolico minorile, dovevano scontare una punizione, venivano vestite da donne, anzi da prostitute in gergo… gli facevano indossare un abito rosso tutto sbrindellato con il quale dovevano attraversare il cortile, sotto gli sbeffeggi di tutte le loro compagne di sventura… come poteva essere bello quell’abito, e come doveva essere umiliante portarlo… santa Teresa, così le monache ribattezzarono quella bimba perduta di Billie, la piccola Eleonora, con il vestito rosso a scontare la sua umiliazione pubblica… un giorno l’abito alle monache non sembrò abbastanza, e la rinchiusero in una cella buia insieme al cadavere dell’ultima punita che, nel suo abito rosso aveva deciso di spingere l’altalena in alto, fino al cielo, fino a che non tornò più indietro…

(Lester comincia a giocare a dadi con gli altri del complesso) Qualche anno più tardi, giusto perché i colori rispettano una simbologia precisa, dopo aver messo da parte il primo gruzzoletto, Billie si compra un abito bianco latte, con delle scarpe dello stesso colore, ebano e avorio… era bellissima…

                  (Intro di Night & Day, chitarra – giocano a dadi)

Billie, in quel periodo di locali per neri e show a tre ore di sonno uno dall’altro, investiva tutto ciò che guadagnava in Lester, e Lester giocava, e perdeva anche ma questo non gravava sull’umore della buona Lady… a pensarci bene, anche i momenti più drammatici della sua vita non furono mai sottolineati dal suo abbattimento, Eleonora, aveva ben altri obiettivi, l’arrendersi non era messo in conto…

                 

(Night & Day)   

                  Arrendersi… nemmeno davanti la certezza che Jimmy Monroe l’avrebbe svuotata d’amore e sofferenza… certo fece stare molto in ansia la duchessa, che non avrebbe mai voluto avere un genero tale… la violenza faceva parte dei tempi… non dai fiducia a chicchessia, e un cuore che si apre viene ferito a morte dalle delusioni. Jimmy era un uomo che sapeva vivere, un uomo di mondo, e non avrebbe certo smesso accanto a Billie, la sposò, certo, ma anche quella non era una promessa che avrebbe mantenuto. Beveva sciampagna… champagne, ma Lady non lo gradiva, nemmeno a me piace, preferisco una buona birra ghiacciata, o del buon “spacca budella”, come Billie, per le vere cose… lo rivedreste, Jimmy, dietro i bar alle feste, accanto alle vetrinette dei liquori, vicino al piano, sempre con il bicchiere in mano… (Jimmy porta due bicchieri, li porge a Lidia, che lo lascia sul posto mentre avanza verso il centro)

Molti credettero che la droga fosse la drammatica conseguenza della separazione da Jimmy. La classica goccia che fece traboccare il vaso, dopo le violenze, la casa di miss Florence e la prostituzione come unica via di fuga dalla miseria, la cugina Ida e le sue mani pesanti, le violenze, o l’incontro con Joe Guy… ma per me Billie faceva ciò che Billie voleva, nessuna vicissitudine poteva spingerla a fare qualcosa, la droga, l’alcool erano solo quello che doveva ancora affrontare, voleva sentirsi a quel modo, attraverso quel mondo… anche io vorrei aver avuto la forza di mettere un filtro tanto potente alla realtà e poi, ancora avere la tenace volontà di ritornare al vero, alla vita che vivo, a quella che sognerò ancora.

(Intro di You’ve changed)

 Tutto questo lasciò il segno in una canzone … you’ve changed…

(You’ve changed)

                  Il mondo meglio perderlo che trovarlo… mia madre se ne è liberata da poco, ora sì che vive felice… lontana dal mondo e dalle preoccupazioni, non più affannata dalla necessità di sopravvivere. Il rapporto con la morte forse è importante, ma lo è di sicuro quello con la vita. Non so se ci si sofferma mai a pensare quanto tempo passiamo ad angustiarci per la fine, quanto la morte ci fa paura, quanta fretta di ottenere le cose, di raggiungere obiettivi inconsistenti…

                  Quando era piccola Billie fu lasciata dalla mamma alla cugina Ida, donna dai principi precisi: Billie era il diavolo incarnato! La sua mano punitiva si posava costantemente su di lei, a dispetto del cuginetto seviziatore e della cuginetta vittima di un ambiente decisamente malsano… in casa abitava anche la bis-nonna, l’unica, a sua memoria, che le volesse veramente bene lì… la nonna aveva lavorato nelle piantagioni di un signorotto irlandese, il quale ne aveva fatto la sua “prediletta”, riempiendola di figli… nonna era molto vecchia e malata, e non poteva stendersi, aveva imparato a dormire su una sedia dalla quale non c’è memoria di vederla alzata… Billie la accudiva spesso e con molto piacere, forse perché la nonna capiva il suo animo… un giorno volle distendersi, Billie prese una coperta, la stese per terra, aiutò la nonna a stendersi e le si mise accanto, erano tanto stanche… quando si svegliò… la nonna era morta stecchita… ovviamente le botte orbe che Billie prese dalla cugina Ida non le poté dimenticare…

                  Credo abbia segnato la sua vita, non le botte – quelle segnano in ben altra maniera! -, ma l’idea di non poter far nulla, anche se nemmeno avrebbe potuto fare nulla… questo mondo meglio perderlo che trovarlo… la duchessa morì un giorno che lei era lontana, in viaggio per una delle tournee… sentì distintamente l’abbandono… quando si svegliò disse al suo compagno che la mamma era morta, andò con questa consapevolezza in teatro dove erano già pronti a darle la notizia, ma non era necessario, lei lo sapeva, e partì subito… Joe Glaser, il solerte impresario ed amico, aveva organizzato già ogni cosa per i funerali, Billie non avrebbe potuto far nulla nemmeno stavolta, dinnanzi la morte, poteva solo… cambiarla d’abito, era stata parata a morte, mentre era una donna che aveva vissuto, e che, aveva voluto vivere - anche se da vedova e da madre - non aveva mai smesso di essere presente… per ben trent’otto anni aveva sopportato la vita, e Billie, che ne aveva venticinque, era già convinta che non li avrebbe superati…

                  Certi giorni io me ne sento addosso duecento, ho superato i trent’otto sana eppure non è che mi senta tanto bene… non è un dramma, a venticinque anni Billie sembrava averne vissuti molti di più… tanto, forse troppo, di brutto aveva vissuto ed io, che di mondo non ne ho visto e di vita poca ne ho vissuta penso che questo mondo, se non per i miei figli, è meglio perderlo che trovarlo… (Porta, dietro l’orchestra, il manichino)

                 

Presentatore:                       Benvenuti signori e signore in questa memorabile serata, siamo felici di vedere tanta accorata partecipazione…

                  Stasera salutiamo la straripante energia e l’inconfondibile sound di miss Billie Holiday, l’indiscussa Lady del Jazz.

                  Nel 1915 Baltimora le diede i natali e New York 44 anni dopo la saluta con una degna marcia funebre… i fiati composti per darle l’ultimo saluto… gli amici, i musicisti, i suoi fratelli…

                  Benny Goodman il primo ad incidere un disco con lei nel 1933. La Columbia Recording.

                  La sua orchestra 1936 l’accompagna nella notissima Billie’s Blues

                  Count Basie che la condusse per le strade del paese e la riportò nei “clubs” della 52 ° strada. Artie Shaw il cavaliere bianco che la rivelò al famoso “Cafè Society” nel 1939, scoprendola profonda e sensibile, scrive ed interpreta la acclamatissima “Strange Fruit” .

                  Dieci anni dopo il suo primo disco l’ Esquire la nomina migliore cantante jazz dell’anno 1943. Hollywood la chiama per New Orleans ma il ruolo è quello di una serva fidanzata del fratello Louis Armstrong.

                  Joey Glaser, suo impresario ed anch’egli fratello, l’accompagnò nell’ascesa al successo fino alle incisioni con Stan Getz, ed alle esibizioni alla Town Hall ed alla Carnegie Hall.

                  Non menzioniamo gli amori, se non il suo sempre compagno, Lester Young che salutò il mondo con lei nel 1959.

                  Eleonora Holiday, Billie, Lady Day muore all’ospedale di Harlem, New York, sotto l’emblematica sorveglianza della polizia era stata scortata da Phoenix fin là, incriminata al termine di un concerto per detenzione di droga.

Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan… ma… quello che è stata la voce, la personalità, l’anima di Billie è quello di una “Lady sings the blues”.

Il suo sound, la sua nuova classe, ed il buon vecchio blues… signori, stasera proviamo a sognare il palcoscenico della consacrazione, il mitico gotha della musica jazz, contro la discriminazione, la furia della società, contro la violenza dei tempi, la sua voce risuona al Teatro Apollo.

                  Ladies & Gentlemen… Tonight Show… Please Wellcome… Miss, Billie Holiday!

                  BODY & SOUL