MA L'EROE NON MUORE
Partitura in prosa per attrice sola
Monologo
di
Salvino Lorefice
Personaggi:
Vedova di un grande scrittore
La vedova è un’anziana donna, che sta seduta su un’alta poltrona, quasi un trono, che fa primeggiare la sua figura. È ospite in uno studio televisivo del futuro.
Un grande schermo sullo sfondo.
È come se fosse presente il conduttore dello show, che a volte parla al pubblico per bocca della vedova. Egli vive nelle battute che la vedova stessa ripete, come se le rievocasse. Con tali battute si rivolge spesso – anche a gesti - all’operatore Tv, al quale dà ordini e consigli per le riprese e le inquadrature.
Le persone del pubblico presente in studio non sono altro che ombre cinesi, o dei pupazzi, o sagome di cartone, che ridono o applaudono quando su un pannello luminoso appare, lampeggiando, la scritta “risate” oppure “applausi” oppure “fischi” ecc.
Il cameraman e il presentatore, anche se non compaiono mai, sono come una presenza che dà spesso fastidio alla vedova.
Studio televisivo. La scena è al buio. Improvvisamente un “occhio di bue” illumina la vedova.
VEDOVA:
Se voi lo considerate poco o lo giudicate male, è perché lo conoscete da poco e solo nel suo ruolo di impiegato.
Io, se l’ho sposato, è perché lo conoscevo da dieci anni: da quando era studentello in ingegneria… - pulito e figlio di famiglia –
…a quando cominciò ad avere crisi esistenziali.
Da quando cominciò ad avere idee tutte sue, a quando abbandonò gli studi.
Da quando era mezzo barbone… - e dico "mezzo"solo perché aveva un tetto –
…a quando divenne un mezzo terrorista.
Da quando stava per diventare pazzo, a quando decise di diventare scrittore per non morire.
Da quando, lasciata ingegneria, riprese gli studi in lettere, a quando diventò un impiegato statale quasi modello.
/
E tutto questo in dieci anni.
Un uomo così, vi sembra un uomo uguale a tutti gli altri? Vi sembra un uomo comune?
Io l’ho sposato sessant’anni fa. Ora è morto, da dieci anni. E voi lo volete far rivivere.
Me l’avete chiesto.
Bene, cercherò di fare del mio meglio, Signori Della Televisione.
Vai coi primi piani, Tony. Un primo piano, Tony, un bel primo piano. Riprendi questo viso sereno… non lasciartelo sfuggire… Così.
Ed io ero lì, davanti a quelle "persone", una parola di cui si è ormai perso il significato. E quel molliccio presentatore…
"Ci dica , signora..." Che sorriso ipocrita, ignobile, aveva!
Era un presentatore della TV Internazionale, l’unica. Stavano registrando uno spettacolo televisivo, l’unico della settimana, seguitissimo in tutto il mondo, e volevano sapere tutto di Lui. Lo avevano scoperto da poco, come scrittore. Da un anno appena. Ma Lui era morto da dieci e scriveva da sessant’anni.
(La vedova comincia ad emozionarsi, fino a piangere, sommessamente, con discrezione.)
E voi lo avete lasciato morire come uno sconosciuto, col desiderio in corpo di vedere pubblicato un suo lavoro.
Le lacrime, Tony, le lacrime. Un primissimo piano di queste lacrime. Che scoop! Oh! Che scoop! Una donna che piange! Non se ne vedeva da almeno un trentennio.
Ed io a scusarmi per quelle lacrime, per quel pianto che i più non conoscevano. Da decenni, ormai, per legge veniva somministrato un vaccino a tutti i neonati. Un vaccino che atrofizzava le ghiandole lacrimali. “Eliminando gli effetti del dolore – dicevano – elimineremo anche le cause”. E chi poteva smentirli? Coloro che volevano “ostacolare il progresso” erano misteriosamente spariti. E tutta la gente adulta, quella immune al vaccino, avrebbe dovuto evitare – pena la morte - di piangere in pubblico: piangere era diventato nell’arco di un mese un reato contro l’ordine pubblico, contro la tranquillità mondiale. E tutti i capi di stato e di governo si erano mostrati d’accordo con gli scienziati.
Scusate se piango…
Scusate.
Ma tanto non fa nulla. Non c'è da preoccuparsi. Non posso intaccare nessuno più, ormai. Quindi nessuno mi torcerà un capello, fino a quando sarò qui dentro.
Siete d’accordo voi del pubblico?
Grazie per il caloroso applauso.
(applausi)
E’ la prima volta che piango, da quando c’è la legge. Credetemi. Dovete credermi. E non l’avrei fatto se non mi aveste fatto ricordare Lui, se non mi aveste chiesto di venire a parlarvi di Lui, alla TV internazionale.
Vogliono che vi parli di Lui, del Grande scrittore che fu mio marito. Va bene.
Il Grande scrittore. Aveva letto da qualche parte una frase e la ripeteva spesso:
”L’eroe non muore. Come il sole, l’eroe non muore. Egli non può morire. O, se muore, è una cosa temporanea – come il sole dietro le nubi. L’eroe deve rinascere, resuscitare, restare eterno”.
Che volete d’altro? Non vi basta questo? Lasciatemi andar via, ora, vi prego.
Riprendi qua e là, Tony, un po’ ovunque: carrellate, carrellate sul pubblico, riprendi i visi degli spettatori, le reazioni.
(Sul grande schermo appaiono volti inespressivi.)
Le luci risplendevano, colorate; quelle più grosse e bianche – i riflettori – abbagliavano. E quel pubblico, sempre lì che mi guardava! E quell'odiosa voce, di quell’odioso presentatore, incalzante: "Ci parli di Lui, signora".
Ma che volete? Che volete da me? Volete che vi dica che prima di andare al cinema voleva fare delle lunghe passeggiate in modo da stancarsi per poi godersi meglio la poltrona del cinema, mentre guardava il film? “Una sana stanchezza”, la definiva. “Se il corpo è riposato, gusto di più lo spettacolo”. Vi piacerebbe sapere questo? Che gusto ci provate?
Va bene, va bene.
Vi sta bene.
Purché ne parli, vi sta bene tutto.
Cercherò di ricordare più che posso. Il resto verrà da sé.
“Sta andando benissimo", diceva quell'orribile presentatore. E mi incitava: "Avanti. Vada avanti".
Voleva diventare scrittore e vi riuscì: dopo la sua morte, però. Proprio come un Ercole, che solo dopo le dodici fatiche venne assunto nell’Olimpo, come un Dio.
E anche Lui viene accolto oggi dai nuovi dei, come un eroe. Come un eroe ridestato.
Evocato.
Ma quel presentatore molliccio sembrava non ascoltare. Gli interessava lo spettacolo. Voleva fare spettacolo, quel mollusco. Si rivolgeva a un’invisibile sala di regia posta lì in alto (indica un punto impreciso alla sua destra, in alto, davanti al proscenio) e mi interrompeva sul più bello.
"Aspetti, signora. Aspetti. Lassù in regia: va bene lo stacco? … Ok! Seguo l’iter concordato… Tu ci sei, Tony?… Bene... Vada avanti, signora".
Quel vada avanti era per me insopportabile. Era più odioso di quel presentatore presuntuoso ed ignorante a cui mancava solo qualche piuma ed un becco per essere la riproduzione di un pappagallo. I colori li aveva già in quel suo ridicolo vestito di scena.
(In audio parte un brano musicale, uno stacco che ricorda la musica elettronica e nello stesso tempo la musica da circo così come potrebbe essere nel futuro. Il tono della vedova è quello degli imbonitori che invitano a vedere il fenomeno volante o la donna barbuta.)
E allora va bene. Andiamo a incominciare lo spettacolo, siori e siori. Ecco a voi una vecchia. Un vecchio residuo della vita che ci parlerà di colui che una volta veniva chiamato "marito".
(La musica cessa di colpo)
Il vecchio residuo della vita sono io.
La vecchia sono io.
E sono depositaria di ricordi che nemmeno immaginate, che nemmeno sognate.
(Lo stacco musicale riprende, ma diventa dolce, suadente.)
Possedevo oltre cinquecento libri. Li avevo acquistati nel corso dei miei anni giovanili, durante i miei studi. Avevo romanzi, saggi… Quando, approfittando dell'assenza dei miei genitori, Lui venne per la prima volta a casa mia con l'intenzione di fare l'amore - almeno così credevo - non si interessò per niente a me.
Appena dentro – ne ero sicura - mi sarebbe saltato addosso. I suoi discorsi erano stati espliciti, credetemi, per questo io ero emozionata, tremavo… il cuore mi batteva…
Credevo fosse quella l'eccitazione.
Credevo fosse quello, l’amore.
Forse era proprio quello.
Ma, appena entrati in casa, i suoi occhi scoprirono gli scaffali della libreria. Non badò più a me e corse verso gli scaffali e il suo sguardo balenò sui titoli. Li scorreva avidamente, velocemente, come se non avesse tempo e dovesse sbrigarsi prima del ritorno dei miei genitori, come se stesse facendo l’amore con quei libri. Ogni tanto ne estraeva uno dalla fila, lo apriva e guardava la copertina o l’anno di edizione o chissà che cosa. Poi lo riponeva delicatamente. Quando ebbe finito di guardarli tutti – ma proprio tutti - mi disse: “non m’importa se non hai nessuna dote, ma quando ti sposerò mi dovrai regalare questi libri.” “E se non volessi darteli?”, replicai. “Non ti sposerei”, minacciò.
Quella sera piansi.
Per molto tempo mi rimase il dubbio che volesse sposarmi per i miei libri. Un dubbio che mi rimase anche dopo esserci sposati.
Che uomo, il Grande Scrittore!
Ma come si fa a dire che era un uomo? Come facevo a saperlo? Non mi aveva toccata. Non un bacio, non una carezza.
Era uno scrittore: forse sì.
Grande: forse sì.
Ma uomo…
Ecco, vi dirò del suo romanzo più bello. Volete sapere qual è stato il romanzo più bello che abbia scritto?
Lo diceva sempre, Lui: "il mio più bel romanzo? È questa meravigliosa vita che sto vivendo con te da più di sessant’anni. E vorrei che non avesse mai una fine".
Il suo autore preferito? Era Bukowski. Un certo Charles Bukowski, un tipo come Lui, con le sue stesse idee sul mondo. Sembravano uguali, prima che mi sposasse.
MA CHE DOMANDE MI FAI? CHE DOMANDE MI FAI? … Avete sentito? Mi ha domandato… mi ha domandato… "Lei è una delle pochissime donne anziane ancora in circolazione: a cosa pensa sia dovuto?" che senso ha una domanda del genere?
Oh, ma che volete da me? Che volete… (comincia a piangere) Oh, ma perché mi viene sempre da piangere? Perché mi fate parlare sempre di Lui?
Ecco, vedete? Alla fine ho ancora bisogno del fazzoletto. (piange… si soffia il naso…si asciuga le lacrime…)
E tu non trionfare, presuntuoso presentatore.
"Una donna che piange, cari spettatori!”, urlava il trionfante presentatore. “C’è ancora una donna che piange! E noi ve la stiamo facendo vedere."
Come un animale raro.
Mi mostrava come un animale raro: al pubblico, quello visibile presente in studio e quello invisibile, lontano nel mondo ormai in balia di… di…
Le lacrime, Tony, inquadra le lacrime, gli occhi, il fazzoletto umido che stringo tra le mani tremanti. Vedi?… Fai dei bellissimi primi piani di queste meravigliose, rarissime, introvabili lacrime.
Scusate se piango. (Ride, cerca di ridere) Piango senza motivo. Piango al solo pensiero di quei ricordi.
Devo ricordare sforzandomi di non piangere.
Ma non è colpa mia.
Quando Lui era vivo non piangevamo mai. Né io né lui. Anzi ridevamo sempre, anche nei momenti difficili, anche se non era famoso.
Soprattutto perché non era famoso.
E non piangevano neppure i nostri figli.
Ne abbiamo avuti due, sapete? Ma per i nostri figli era naturale. Era naturale non piangere: erano stati vaccinati.
I nostri bambini!
Il più grande adesso fa il docente universitario in Francia… quella che era la Francia, una volta... Insegna Religione.
Veramente voleva fare il musicista.
Aveva studiato musica e aveva persino cominciato ad insegnarla.
Creava bella musica e la suonava, anche. Ma poi hanno detto che la musica era inutile… che assopiva le coscienze… che era pura droga… anzi, peggio: certa musica è dettata dal demonio, dicevano.
Era stato legiferato che non si poteva creare. Né musica né altro.
Solo Dio può creare.
E può distruggere.
E così, inizialmente, cominciò ad insegnare Storia delle Religioni. Ma successivamente fu costretto ad insegnare una sola Religione, quella voluta da chi ci governava e da chi continua a governarci.
L'altro mio figlio vive in America. Fa il medico. Aiuta la gente a morire.
Eutanasia.
Adesso è permessa, in quel mondo. Anzi, far morire la gente è diventato un business. Come tutte le cose in America, far morire è diventato un lavoro. Si diventa ricchi facilmente con quel lavoro, me lo ha scritto il mio bambino. Lì vi sono cliniche… - cliniche?… Sì, mi sembra che le abbia chiamate cliniche… - Vi sono delle cliniche dove si va solo per andare a morire. Vi si entra per andare a controllare a che punto della vita ci si trova e si diventa consapevoli che non se ne uscirà più. Mai più.
Nemmeno da morti.
Si viene nuclearizzati, dopo.
/
/
I miei bambini!
Quand’erano piccoli si addormentavano con una ninna nanna bellissima, inventata proprio da Lui. Gliela cantava proprio Lui.
(La vedova ripete la ninna nanna con una cantilena ritmata, accompagnata dal ritmo moderato di un tamburo o di un timpano o di un bonghetto. Quasi un "rap")
Adesso ti porto a giocare. /
Sulla spiaggia, col trenino, col secchiello e la formina. /
Sull’ondina, con Simone. /
Io e te sulla scogliera, con le alghe, le conchiglie e le telline. /
Te le mangi le telline? /
Sono buone: meglio crude e col limone: raschia-raschia e mangia-mangia./
Con papà che te le prende te le apre e te le porge. /
Io e te. Tu e papà. Andiamo soli? /
O ci portiamo anche la mamma che sta sotto l’ombrellone? /
E tutto il mondo a quel paese. /
Quel mondone che per te è solamente un pollicione /
pollicione da succhiare. /
Poi cammini, piano pianino, /
sulle rocce, sugli scogli, /
con le alghe, scivolose, /
che annidano conchiglie, quelle buone, /
come prima, che mangiammo col limone. /
Poche gocce. Saporite. Da gustare. /
Poi di nuovo, a camminare, /
all’indirizzo di Ponente, /
ad inseguire sempre il sole, che sparisce dentro il mare. /
E raccogliere conchiglie ed anche pietre. /
E ti pesco anche un bel granchio, anzi due: /
mamma granchio e il figlioletto: /
ma li butti presto in mare, /
è la pietà che te lo dice. /
Poi di corsa, avanti e indietro, /
avanti tu, indietro io. Avanti io, indietro tu. /
E risate su risate. Solo ridere: ci basta. /
Figlio e padre. Stella mia. /
E Simone che salta e balla. /
E le alghe vengono a galla. /
Con le ondine, col gommone, col secchiello e le formine. /
Sulla spiaggia…
Sulla spiaggia…
Sulla spiaggia…
…Shhh!…
………….
………….
E poiché tu sogni già, il papà ti porta là, /
sul lettone, tra un abbraccio ed un bacione. /
Che bel giorno, già finito. /
Ma domani ci sarà. /
Ancora il sole, ancora il mare, /
con le alghe con i pesci che ondeggiano giù in fondo /
ed un granchio già fuggente, /
che saluta sorridente. /
sorridente…
sorridente…
sorridente…
………..
(il suono del bonghetto si affievolisce sino a scomparire)
……….
Ed io vedo gli occhi chiusi del mio bimbo che sorride con la felicità di un fanciullo sazio.
Il mio bimbo di due anni, che tra un anno ne avrà tre, e che ora dorme sul lettone, con papà che gli vuol bene.
Niente ninna, niente nanna. Solo papà che gli racconta ciò che Simone, sognando, canta.
………..
/
/
/
I miei bambini!
/
Ora, uno è in America, è medico.
/
L’altro è in Francia, è docente universitario.
Sono entrambi sposati, hanno a loro volta dei bambini e vivono felici: perché dovrei piangere? Eh? Ditemelo, perché?… Perché? …
/
/
/
Voi volete ridere, invece, eh?
Ebbene vi farò ridere.
Vi parlerò del rapporto che c’è tra il colore dei capelli delle donne e i loro peli pubici: il tutto secondo la visione di quel Grande Scrittore che era l’uomo che volete commemorare.
“Saggio d’alta filosofia genetica antropologica”, lo definiva. Scherzando, naturalmente.
Per minimizzare, diceva Lui. Ecco, ce l’ho qui (estrae dalla borsetta un foglietto spiegazzato). Il giorno dopo che me lo lesse glielo rubai e lo nascosi, per punirlo. Lui non lo cercò mai. Forse non ne ebbe il coraggio. O forse se ne dimenticò, chissà. Ecco, leggilo tu, per favore (porge idealmente il foglietto al presentatore, che si appresta a leggere)
(La vedova cambia tono di voce e imita il presentatore, leggendo briosamente, senza soluzione di continuità, ma con opportuna interpretazione. Il suono di un sassofono fa da sottofondo: un blues)
“Se avete notato, tutte le bionde hanno i capelli lisci e morbidi. Ebbene: così è anche per i loro peli pubici: li hanno serici. Tutte le donne, così come hanno i capelli, allo stesso modo hanno i peli del pube. Le bionde, dicevo, sono appariscenti e quando un uomo ne incontra una e le guarda i capelli, inconsciamente pensa ai peli. Ora, se la moglie di quell’uomo non è bionda, quell’uomo sarà inevitabilmente attratto dalla bionda. I peli delle bionde sono come di seta: lisci e scivolosi; una morbidezza unica; sono lucidi come il crine di un cavallo sudato. Oh! Bontà! Le nere, specie quelle nere-nere, coi capelli più neri della pece, quelle certe bellezze mediterranee – in particolare le siciliane o le spagnole – hanno i peli pubici tutti arricciati: riccioluti di sogno, belli. Oh, desiderio! Ecco perché l’uomo è attratto dalle nere, perché l’ancestrale ricordo lo riporta alla madre-natura, nella notte dei tempi, quando le donne erano tutte nere e quando più visibile era l’oggetto che lo attraeva, quello che lo calamitava. Peli riccioluti! Divini! Giocarci e guardarli estasiato! Toccarli e baciarli e avidamente inebriarsi! Pube peloso! Cespuglietto! Cespuglietto in cui immergersi e perdersi! Ebbene, la stessa cosa non si può dire delle rosse, benché siano parimenti attraenti. Hanno il pelo pubico crespato, quasi pungente, comunque gradevole: il rosso è per chi ama le emozioni forti, quasi filo spinato. Non bello da toccare, non attraente, è pelo irsuto. Di solito le donne rosse sono orgogliose dei loro capelli. Citano film: Gli uomini preferiscono le bionde e concludono: però sposano le nere. A volte tracimano nella mitologia: La rossa più buona ha ucciso suo padre. Loro, le rosse, non si mettono in competizione, ma si vantano come se fossero le vittoriose su tutte le altre. A volte si consolano, dicendo che gli uomini sposano le nere, sposano le bionde perché sono le più comuni: a caccia si acchiappano più anatre che cicogne, ossia: roba facile da trovare, e le cose facili da trovare, si sa, sono le preferite ma non le più prelibate: margherite e orchidee. Ecco perché tutti gli uomini impazziscono appena vedono una rarità, cioè una rossa. Una volta, una rossa fece persino un paragone floreale: tra le bionde, le nere, e le rosse c’è la stessa differenza che esiste tra le rose, i carciofi e le orchidee. Esempio bello e suggestivo. Chi poteva smentirlo?”
/
Fine del saggio.
/
Voi ridete.
Invece io piansi quando lo lessi.
Piansi.
Piansi perché non era pericoloso, allora, piangere. Ci volle del tempo, molto tempo, perché dimenticassi quel… saggio.
Il tempo è un grande distruttore, ma anche un grande costruttore.
Cosa?… Come sarebbe a dire "Lasci stare queste cose- continui a narrare- ci parli di Lui"?
ERA LUI, QUESTO.
Questo, era Lui
Vuoi fatti specifici?
Vuoi le sue azioni, allora. Non le sue idee.
Vuoi che ti dica che pazzo era?
Vuoi sapere fin dove arrivava la sua pazzia? Ti parlo di quella volta, allora. Di quella volta che lui e quel suo amico…
Aveva letto che all’aeroporto erano stati avvistati dei dischi volanti. Ebbene, decise di andare vederli, manco fossero rimasti lì, ad aspettarlo sospesi nel cielo, ad aspettare che la gente andasse ad ammirarli. Lui convinse quel suo amico a seguirlo e il suo amico fu felice di seguirlo. Non era certo da persone mature comportarsi da creduloni, perciò non dissero a nessuno quello che stavano per fare e quella sera, una fredda sera di dicembre, partirono diretti all’aeroporto. Ad un bivio si smarrirono ed entrarono in una trattoria per chiedere la via per l’aeroporto. A quella richiesta, tutti gli avventori si voltarono a guardarli e uno di loro disse: “Andate a vedere i dischi volanti, eh?” e su quella battuta tutti risero. Ma i due amici non si persero d’animo e andarono, cocciutamente, come due bambini, a vedere i dischi volanti. Aspettarono tutta la notte, al freddo, facendo la spola tra il gelo del terrazzino e il calduccio della sala d’attesa - per scaldarsi a turno - ma non videro nessun disco volante. Il giorno dopo il giornale riportò ancora la notizia: AVVISTATI ALTRI DISCHI VOLANTI ALL’AEROPORTO. E veniva anche precisato che erano stati avvistati proprio nelle stesse ore in cui i due amici si trovavano lì. Da allora il Grande Scrittore capì cosa voleva dire “informazione” o “notizia”. Per lui la realtà, la “cronaca”, divenne fantasia. Il Potere cominciava a prendere il potere. Decise che tra realtà e finzione, nella parola scritta, non v’era alcuna differenza. E ne fece il suo credo. Scrisse l’autobiografia e io, che lo conoscevo da cinquant’anni, sebbene non avessi riscontrato in quell’autobiografia niente di quanto gli fosse successo nella sua vita, dovetti ammettere che tutto ciò che vi era “narrato” era proprio la sua esistenza. C’era Lui, in quella narrazione. Non c’erano fatti. In quell’autobiografia c’erano solo opinioni, solo modi di vedere, capire, interpretare la vita: c’erano solo sentimenti. Lui palpitava in quelle pagine senza esservi nemmeno presente.
Riuscite a capire?
Riuscite?
Ma molto tempo dopo, andando dallo psicologo…
…Già, andò persino da uno psicologo… vi dirò dopo il perché… che Lui chiamava strizzacervelli…
Andando dallo psicologo si rese conto di un'altra verità. I dischi volanti erano in realtà un simbolo in cui credere. I dischi volanti come simbolo, veicolo della speranza in qualcosa d'altro, di ulteriore, come antidoto alla paura di essere solo, o di non essere compreso e quindi privo di significato. La sua paura, cioè, di essere stato - di essere - un semplice incidente biologico.
Oh, scusate queste mie lacrime (piange).
Lacrime di una donna che piange!, presentatore burattinaio. (alla cabina di regia) C’è ancora una donna che piange!, invisibili signori della regia.
Sì, C'È ANCORA. ANCORA. E FINCHÉ CE NE SARÀ UNA, CI SARÀ ANCORA UN MONDO. UN MONDO VERO.
Il vostro insostituibile, insuperabile presentatore vi ha annunciato una vera rarità. Ve l'aveva detto. (Piangendo) Eccola, la rarità… la curiosità.
Eccomi…
(A queste parole il pubblico comincia a ridere gradatamente, fino a sghignazzare.)
Perché? Perché ridete? (La vedova si mostra sorpresa, disorientata) Non avete rispetto per le mie lacrime?
Anche tu ridi, ignobile presentatore?
Ridi anche tu?
Ignobile: in questo sei insuperabile.
(La vedova assume un'espressione grottesca, inconciliabile, incompatibile, con le parole che pronuncia. È come se fosse il presentatore a pronunciare la battuta. Cerca di imitarlo e di essere allegra)
Ah! Ah! Ah! Guardatela: forse sono le prime e le ultime lacrime che vedrete nella vostra vita, cari telespettatori e spettatori presenti in studio.
(La vedova cambia repentinamente espressione, diventa aggressiva)
DILLO! E DILLO!
PERCHÉ NON LO DICI? Tu, tu sei … sei tu … li inciti. Credi di essere un mago della comicità, uno stregone dell’applauso. Smettila.
Oh, mi scusi … Mi scusi, ma mi faccia le domande, la prego, signor presentatore… però non quelle… quelle che mi feriscono. Gradirei le altre, quelle che abbiamo concordato.
Per piacere.
(Il pubblico continua a ridere)
Ma perché dici che non abbiamo concordato nessuna domanda? E Voi perché ridete? Che vi ho fatto? Cosa ho detto? Io sto solo soffrendo!
Sì, l'ascolto, signor presentatore. Una domanda facile, semplice, come semplice era Lui.
Ma il signor presentatore mi fece una domanda che mi ferì ancora: "Ci dica, signora, quando e come fu la prima volta che fece il rapporto amoroso col Grande Scrittore?"
(Sconvolta) No, no, no. Io non merito… Non credo di meritare questo. Per pietà. (Piange)
Le lacrime, Tony, ci sono di nuovo: non lasciarti scappare il primo piano delle mie lacrime, se no ti licenziano.
Ma che ci fate con le mie lacrime? Perché interessano tanto? Voi… Tutti voi… non piangete mai. Da quando siete nati non avete mai pianto e non avete mai visto le lacrime. Non avete mai sentito il loro calore sulle guance, mentre scivolano, a volte lentamente, a volte a fiume. Non potrete mai capirle: a che vi può servire guardarle?
E se a qualcuno venisse voglia di piangere?
Impossibile.
E se a qualcuno venisse voglia di imitarmi?
Questo sì , è possibile, ma cosa succederebbe?
Provate a stringere forte gli occhi: vi insegno a piangere, sì… provat…
Oh! È inutile. Non si può insegnare un sentimento. Un sentimento si può solo sentire.
Non potrete mai piangere con le lacrime degli altri.
(La vedova ride di cuore) Ah, ah. Ah. E come era furioso, il grande presentatore, quando dissi queste parole. Era imbarazzato, furioso, cercava di interrompermi. "Giammai! Giammai, signora…- mi diceva - Ma signora… lei è solo una curiosità... La prego… I nostri telespettatori non hanno nessun interesse …a… "
Già.
Nessun interesse…
Ed io l'interrompevo a mia volta: Ma tu lasciami provare, gli dicevo, che ci perdi? Insegnerò loro a piangere. Ci provo…
"Signora!" gridava. "L’insegnamento ce l’hanno già dato: il sentimento uccide l’intelligenza. Pianga lei, se vuole, ma non cerchi di provocare… non cerchi di provocare disordini… Non pensi a… Non pensi."
Già.
Non pensi.
È meglio assistere al dolore degli altri che provare dolore noi stessi.
È meglio veder piangere che piangere.
(Durante la precedente battuta, il pannello con le scritte “applausi”, “risate” ecc. sembra impazzito e le scritte lampeggiano velocemente, con alternanza: di conseguenza si mescolano fischi, applausi e risate di un pubblico frastornato, robotizzato)
(La vedova si rassetta i capelli, guardando davanti a se, in un ipotetico specchio. Sorride, si aggiusta il colletto, si mette di profilo, prima a destra, poi a sinistra… Si mette in posa… Sino a quando il pubblico si quieta)
Ma ora la smetto di piangere, sì. Basta con le lacrime.
Davvero.
Basta con le lacrime, almeno per un po’. Vi parlerò ancora di lui.
"Siamo qui per questo", mi hanno detto. "Non scordiamocelo." (E si gira impaurita a guardare in alto a destra, verso la cabina di regia. Poi cambia tono ed espressione: diventa dolce, accattivante)
Lui, il Grande Scrittore. Al centro dell'attenzione. (È impaurita da un suggerimento che lei ripete a bassa voce) "Forza, signora, racconti."
(Risponde remissiva, come una bambina rimproverata) Sì, sì. Racconto, racconto. Oh, sì, sì scusate. Avete ragione tutti: se non fosse per Lui non sarei qui. Perciò è giusto che vi parli di Lui, del Grande Scrittore, dei miei rapporti con Lui. Bene, vi parlerò delle bambole, va bene? Le mie bambole.
Come dite?… Volete che racconti degli episodi?… Aneddoti?
Ma questo è un episodio.
Ascoltatemi, vi prego.
Ecco: mi piacevano le bambole, da bambina. E anche da grande. Per questo, Lui, me ne regalava di tutti i tipi e di ogni paese. Io ridevo di contentezza, quando me le portava. Una volta ridevo anch’io, sapete? Non so solo piangere…
Sì, sì, vado avanti, vado avanti…
Me le portava, le bambole, e mi diceva: indovina cosa ti regalo!? Ed io facevo finta di non sapere. Poi scartavo il pacchetto e quando tiravo fuori la bambola piangevo. (Si affretta a precisare) Però di gioia.
(Alla cabina di regia) Fatemi andar via, ora.
(al presentatore) No, non mi tratti così, la prego.
Mi tratti con più rispetto.
Non vuoi rispettarmi?
Io me ne vado. Vado via da questo posto… (fa per uscire)
(torna indietro) Anzi, prima però voglio dirti, gentile presentatore, che il rispetto è qualcosa di dovuto. Non una tua gentile concessione. Qualcosa di dovuto! Anche questo me lo ha insegnato Lui, sai? Non l'immaginavi, vero?, presentatore cialtrone. Eh, sì. A qualcosa deve pur servire questa commemorazione di quel Grande Scrittore che fu mio marito. Ma voler insegnare a te il rispetto per gli altri è come voler insegnare a una gallina a pisciare.
Oh, scusami… ti ho mancato di rispetto.
Sapete? Quasi quasi non vado via. C’è ancora da divertirsi. Non vi lascerò così. Non abbandono milioni… (guarda in regia) … miliardi? Miliardi di telespettatori!
Vi ho parlato di lui, no? Era questo che volevate, no? Ma non ho finito, per questo soffro.
Soffro. Così come soffrivo quando lui andava a vedere i film pornografici…
I film pornografici… Non sapete cosa sono… cosa erano i film pornografici? Ma allora questo è uno scoop! Che scoop! Lurido presentatore, ti è andata bene anche stavolta. Senza saperlo hai fatto uno scoop.
Lui andava a vederli, qualche volta, cercando di non farmelo sapere. Ma io, in un modo o nell’altro, lo scoprivo. E soffrivo. E piangevo. Lui, invece, chissà perché, si sentiva un eroe.
(La vedova imita il presentatore) "Piangeva! Ah! ah! ah! ridiamoci su", incitava il lurido presentatore.
Perché? Perché ridete? Basta!
"Non ci faccia caso," mi diceva.
Ma come potevo non farci caso? E mi incitava a parlare di Lui. Sempre di Lui. Era come se mi frustasse. Mi sentivo come un cavallo da soma costretto a trainare tonnellate e tonnellate di peso.
Di Lui. Era un grand’uomo, Lui. Volete sapere questo?
Eccolo il grand’uomo.
Prima che ci sposassimo mi fece soffrire con due sole parole.
Ci avevano regalato un tete à tete, cioè un servizio da caffè per due, e io fui felice: era bellissimo, in porcellana cinese. Noi non avevamo un tete à tete e ci sarebbe servito. Ma lui, vedendomi contenta a sistemare il servizio, disse: “che tristezza!”
Due sole parole: che tristezza.
Il fatto era che Lui si vedeva già, per i successivi dieci, venti, trenta anni, prendere il caffè con quelle tazzine. Per Lui, abituato alla libertà del non fare mai colazione perché si alzava sempre a mezzogiorno, quelle tazzine erano un simbolo, simbolo della costrizione, della morte prematura: sposo novello che si sarebbe alzato alle sette per andare a lavorare e che avrebbe preso il caffè nelle tazze preparate dalla mogliettina. Poi si vedeva già vecchio, con lui ed io seduti su un divano, con le tazzine in mano come le scenette raffigurate da certe sculture di Capodimonte o come certe statuine di Limoges. Seduti su un divano e con le tazzine. Una tazzina in una mano e il piattino nell'altra e lo sguardo perso nel vuoto: vecchi… una parvenza di vita
“Che tristezza”, disse.
Io piansi. Ma com'era bello, quel pianto. Doveva sposarmi, doveva trascorrere tutta la sua esistenza insieme con la mia e vedeva questo fatto come una tristezza! Che potevo fare, se non piangere?
Oh, lo so bene. Per una sciocchezza del genere, i giovani di allora si sarebbero lasciati. Ma non noi. Non c'era tolleranza. Ma a volte ce n'era troppa.
Oggi non ci sono più di questi problemi.
Oh, che bello. Il mieloso presentatore trova interessante, tutto quello che racconto.
"Davvero molto interessante", mi disse. Ma poi mi punzecchiò, mi spronò ancora. Ma stavolta non ero un cavallo da soma. Mi sentivo come una puledra frustata in dirittura d'arrivo, lanciata verso il filo del traguardo.
"Ma ora non pianga, suvvia," mi disse. "Pensi ai complimenti che le faceva per farla contenta."
Complimenti? Una volta, ad una sua collega disse che era quasi bella. “Quasi“ capite? E questo perché finalmente l’aveva vista con la gonna e non con i soliti jeans, abbigliamento che si usava allora. Quel “quasi “ non fu gradito dalla sua collega, ma per Lui era uno dei migliori complimenti. Donne belle, per Lui, ne esistevano ben poche: “non è dal viso o dal corpo che si vede la bellezza – diceva – bensì dagli occhi, dal sorriso. Sono gli occhi che irradiano bellezza”. E io, che piangevo, come potevo sprigionare sorriso e bellezza? Solo ogni tanto, quando imparai a farlo, mi diceva: “che begli occhi hai, oggi…”
Oggi! …
Lo direste un artista un uomo così? Eppure lo amavo, con i suoi difetti e le sue contraddizioni: oh! Quanti ne aveva! Ed ora amo il suo ricordo, ciò che fu suo, ciò che ha creato… ciò che ha lasciato...
E non ha creato solo con la penna, sapete? Ha creato anche con la natura. Da un frutto che mangiava riusciva ad ottenere – tramite il seme – una piantina, che Lui andava poi a trapiantare in un posto particolare della campagna, un posto difficile da raggiungere, che solo Lui conosceva. In cinquant’anni ha piantato più di trecento alberelli, che oggi sono forti piante da frutto, un grande magnifico frutteto. Quegli alberi esistono ancora, da qualche parte, in un posto segreto, dove il sole non è ancora morto.
Come?… Vuoi sapere dove si trovano?… Curioso d'un presentatore!
E perché lo vuoi sapere? Per poterli ammirare! (ironica) S'intende!
Bugiardo d'un presentatore!
Non domandarmelo mai più. Non lo dirò mai. Mai e poi mai….
I tuoi padroni andrebbero a sostituirli con quelli di plastica.
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Molte altre piante, invece, le lasciò nei vasi.
Ne fece dei bonsai.
I bonsai sono degli alberi nani.
Quegli alberelli erano perfettamente uguali agli alberi grandi. Però erano piccoli.
Alcuni bonsai, i mame, stavano persino sul palmo di una mano.
Perché faceva questo? L'ho già detto: arrivava a creare usando persino la vita come strumento. La natura come tecnica.
(Mentre la vedova si avvia dietro le quinte, parte un accompagnamento musicale – possibilmente un valzer lento; possibilmente che ne sarà del nostro amor. La vedova rientra in scena portando un artistico bonsai di media grandezza e lo va a posare su un piedistallo. Poi va a prenderne un altro e fa lo stesso. Il terzo bonsai che va a prendere è invece un mame, lo porta tenendolo tra le dita. Intanto, sullo schermo gigante iniziano a scorrere alcune diapositive o fotografie raffiguranti artistici, maestosi bonsai.)
(La vedova canticchia i versi di una famosa canzone francese)
Que reste il
de nos amour
que restera
de ces beaux jours
una photo
una photo
de ma jeunesse.
(Che ne sarà / del nostro amor / che resterà / di questi bei giorni / una foto / una foto /della mia giovinezza.)
(La musica si interrompe bruscamente.)
Ottima trasmissione, quella di stasera. Non è vero?
Dove sei, inutile presentatore.
Ma non l’hai ancora capito?… Per Lui non esistevano i complimenti.
Ora ti racconto questa.
Lui era quello che si chiamava una “buona forchetta”. Per Lui, una volta cucinai un fagiano con metodi da alta cucina, in un modo che solo i più grandi cuochi del mondo conoscevano.
Non so perché lo feci, ma quella volta mi venne l’idea di cucinare fagiano. Insomma, gustando quel piatto c’era da leccarsi le dita, e quel giorno Lui se le leccò. Letteralmente. Bevve un buon sorso di vino e restò con espressione estasiata. Io lo guardavo, in attesa che desse un parere, un qualche parere su ciò che io avevo faticosamente cucinato e che Lui aveva golosamente gustato. Non ricevendo parola alcuna, lo stuzzicai, lo incitai a parlare, ad esprimersi.. Poi, finalmente, disse: buono questo pollo. Con tono canzonatorio gli dissi che in realtà aveva appena mangiato fagiano, non il solito pollo. E lui, per tutta risposta, mi disse che un pollo fatto bene non ha nulla da invidiare ad un fagiano fatto bene. Io non mi arrabbiai perché quello era il suo modo di fare complimenti. I suoi complimenti si ritrovavano nelle sue azioni. Quel giorno, infatti, mangiò tre porzioni di fagiano, cosce comprese.. Del pollo, invece, mangiava a stento solo le due ali.
Del resto, il Grande Scrittore era pieno di contraddizioni. Diceva una cosa e due minuti dopo sosteneva il contrario. Con convinzione, affermava: Ho il diritto di cambiare opinione. Tutti gli uomini hanno il diritto di cambiare opinione. Solo i robot non cambiano opinione.
Forse una sola volta mi fece un vero complimento.
Quella volta, non so perché, gli avevo domandato quale fosse stato il più bel regalo che avesse mai ricevuto. Lui mi rispose con tenerezza. Guardandomi negli occhi mi disse: Il più bel regalo sei tu.
Lo direste un complimento?
Certo. Lo pensai anch’io, sul momento, ma dopo qualche secondo diedi un’occhiata di sfuggita al libro che stava leggendo: era ancora aperto ad una pagina dove un personaggio diceva: “Il mio più bel regalo sei tu“. Corsi via piangendo e Lui mi corse dietro cercando di giustificarsi. Voleva farmi credere che non aveva importanza… Non importa se quella frase l'ho appena letta.
Non importa…
Secondo lui, l’importante era che ciò che aveva detto lo pensasse veramente. E aggiunse che la letteratura è psicoanalisi… perché è confronto con la vita reale…e…frasi di questo genere che capiva solo Lui e con le quali mi addolciva. Io cedetti e gliela perdonai.
Anche quella volta lo perdonai.
Non riuscivo a non perdonarlo. E dopo…
Dopo facemmo il rapporto amoroso.
Dev’essere stato allora, quella volta, che concepimmo il nostro secondo figlio.
Sì, dev’essere stato quella volta, perché dopo… Alcune settimane dopo, non fu più permesso concepire figli in quella maniera… (Si perde nei ricordi, tra sé e sé)
Iniziarono con la fecondazione in vetro, prima facoltativa e poi obbligatoria. Continuarono con gli embrioni: per curare le malattie, dissero… Infine venne introdotta la clonazione…
A quei tempi si usava ancora dire certe frasi che ormai non si sentono più. Per esempio: “ti amo“.
Ma sentir dire “ti amo“ a uno come Lui, che non aveva mai fatto complimenti, non era facile.
Anzi no. A volte lo diceva.
Ma lo diceva solo quando era ubriaco.
Ed io, pur di sentirglielo dire, lo facevo ubriacare.
Aveste sentito come diceva, tutto serio: “ti amo“ e poi scoppiava a ridere.
Ma era meglio di niente.
Una volta lo minacciai. Ti lascio, gli dissi. E gli rinfacciai che ad una moglie si doveva dare di più, almeno a parole.
Una donna ha diritto ad avere di più dalla vita matrimoniale, gli dissi. Ma ancora una volta lui mi disarmò dicendomi che nella vita c’è solo quello che la vita ci può dare, non c’è qualcosa di più. Tutto quello che la vita ci dà è un “di più”.
Voi cosa avreste fatto?
Non lo so cosa avreste fatto voi. Io mi rifugiai tra le sue braccia e lo pregai di non lasciarmi mai.
E gli chiesi di stringermi forte forte.
Ed ora passiamo ai litigi. (al pubblico) Me lo stanno suggerendo dalla cabina di regia. (ad alta voce, in direzione della Cabina di regia) VOLETE SAPERE SE HO MAI LITIGATO VERAMENTE COL GRANDE SCRITTORE?
(al pubblico) Litigato? Una volta lo lasciai, addirittura……
Tra i tanti regali che mi fece durante il matrimonio c’era una pelliccia.
L'aveva comprata venti o trenta anni prima. Era una pelliccia di visone, un animaletto ormai estinto. Un animaletto che veniva allevato per fare le pellicce. Poi le pellicce furono vietate.
Era una pelliccia di visone fuori moda, che non usavo più, perciò decisi di disfarmene. Lui mi disse che si sarebbe incaricato personalmente di farla avere ad una Associazione Missionaria e quel giorno se la portò via.
Due mesi dopo andai a trovarlo nel suo studio.
Avevo le chiavi ed aprii.
Lo trovai nell’altra stanza, intento a fare il vecchio sporcaccione con la giovane donna delle pulizie. Oh, come lo odiai!
Vedo ancora quei due corpi nudi, avvinghiati, la flaccida pelle di lui contro il sodo seno di lei.
Lui rideva.
Entrambi erano sulla mia pelliccia, a terra. Ero incapace di muovermi, incapace di gridare… non capii più nulla.
Finalmente riuscii a muovermi. E mentre indietreggiavo via, in punta di piedi, col sangue che mi era diventato acqua, lo udii promettere la mia pelliccia a quella puttanella. "Ooooh! Grazie, professore", cinguettò. "Non ho mai posseduto una pelliccia".
Era una rossa.
Rossa di capelli.
Mentre scappavo tremante, urtai contro un supporto che conteneva le sue pipe: si rovesciò e caddero a terra e qualcuna si ruppe. Uscii sbattendo la porta e andai a rifugiarmi da mia sorella.
Di sicuro Lui deve aver capito che lo avevo scoperto.
Non mi cercò per niente, quel vigliacco.
E quando, dopo una settimana di tormenti, tornai a casa, lui si comportò come se fossi stata assente poche ore. “Ciao, cara“. E mi baciò.
E sul tavolo c’era un pacchetto regalo.
Tipico.
Si usava fare così, una volta.
Se la moglie scopriva la tresca del marito, ecco pronto un regalino. Per farsi perdonare. Sapevo che molti mariti facevano così, ma non era mai successo a me. Non ero pronta ad affrontare la situazione e mi prese alla sprovvista.
Mi fece trovare il regalino.
Un bel pacchettino.
L'aprii.
Era una parure di brillanti, tutto in una sola scatola.
Diamanti veri.
Li osservai, ma non suscitarono in me nessuna emozione.
Afferrai la collana, gli orecchini, il bracciale e l'anello.
Gli gettai tutto in faccia, lo schiaffeggiai ripetutamente chiamandolo porco e porco e porco…
…E poi lo abbracciai, lo baciai avidamente, mentre singhiozzavo. E lui ricambiò l’abbraccio. E i miei baci. Quella volta non fui sola a piangere. Anche il suo viso era rigato di lacrime. E quando la nostra foga si fu placata, glieli asciugai, teneramente, col palmo della mano.
(La vedova piange sommessamente. Si guarda intorno, come a cercare il cameraman e il presentatore)
Sto piangendo ancora, vedi? Guarda, presentatore sanguisuga.
Tony!?… Tony dove sei?… Non farti sfuggire queste grosse lacrime. Vuoi che continui così?
Presentatore aguzzino! Non hai cuore…
Come dici?… Ne hai uno nuovo?…
E quando te l'hanno trapiantato?
/
/
Cuore, cuore. Non dico “il cuore". Bensì Cuore, come sentimento… Ma già, chi non ha mai pianto…
No, non mi disperdo in parole senza senso, stai tranquillo.
State tranquilli, tutti.
Dopo quella donna delle pulizie ce ne fu un’altra. Un'altra amante, una certa Enrichetta. Era giovane anche quella. Ma ciò che mi fece soffrire di più fu il suo modo di descriverla. Sì, perché quando - per placare la sua coscienza - mi confessò questo suo nuovo tradimento, non gli bastò dirmi che mi aveva tradito un'altra volta.
Devo descriverla, mi disse, altrimenti la mia confessione non è completa. E la descrisse: “era bella… aveva gli occhi dolcissimi… il collo slanciato la faceva sembrare una modella di Modigliani. E quel girocollo con piastrina che le avevo regalato sembrava un ponticello d’oro sul laghetto delle ochette”... Non mi aveva mai descritta così.
Ma io non ero la sua amante. Ero sua moglie.
Un ponticello d'oro sul laghetto delle ochette…
Il laghetto delle ochette è quella fossetta che c’è alla base del collo.
/
/
/
(Gridando) SOFFRII PERCHÉ SUA MOGLIE NON L’AVEVA MAI DESCRITTA IN NESSUNA DELLE SUE OPERE.
Mai.
Neppure un… “crepa”, come si diceva una volta.
E quando glielo rinfacciai mi rispose candidamente: “è perché ti amo. Tu esisti. Esisti per me e per il mondo. Se ti descrivessi in un libro, saresti solo nella mia fantasia. Invece ti ho qui, reale, in carne ed ossa: a che mi serve descriverti?”
(sorride amaramente) Voleva farmi capire che le altre non esistevano, per Lui.
Però ci andava a letto! E poi le descriveva nei suoi romanzi.
/
E la collana? Quel ponticello dorato che le hai regalato?
"Ma a te ho regalato una collana di diamanti, tesoro."
/
Era un fenomeno, vero?
/
Sì, era un fenomeno.
"Il Dio", si autodefiniva. E se ne entusiasmava. Eppure, a volte, pensava davvero di essere potente, imbattibile, di avere delle energie che aspettavano solo di essere utilizzate, estrinsecate. Erano quei momenti in cui credeva – e lo faceva credere anche a me – che il mondo fosse a sua disposizione, a portata di mano. Ognuno di noi aveva di questi momenti, qualche volta, un tempo.
Ora non più.
Oh, ma lasciamo stare queste stupidaggini. Volete fatti, vero? Scusate, stavo dimenticando: fatti, vuole il pubblico, fatti.
Sì, mi concentrerò sui fatti. Eccoveli.
Sapete cosa era capace di fare il Grande Scrittore per dimostrare di essere un vero uomo?
In campagna. Una volta eravamo in campagna, in una specie di fattoria del sud, una masseria. C’erano tanti animali.
Con noi c'era anche quel suo amico. Era sempre tra i piedi, quel suo amico. Una volta dissi loro che cominciavo a sospettare che fossero omosessuali. Si fecero una grande risata. Non so perché, ma da allora in poi la loro frequentazione si diradò. Meglio così.
Dunque, eravamo in campagna e il Grande Scrittorevide un gregge e decise di comprare un agnellino. Parlò qualche minuto con un pecoraio, forse il proprietario del gregge, e all'ombra di un grande albero contrattò l'acquisto di un agnellino. "Ha due settimane di vita", gli disse il pecoraio dal volto scuro e reso rugoso dal sole. “La sua carne è tenera come l'acqua e il suo sangue è dolce come il miele". Lui sorrise e guardò verso il gregge. L'agnellino stava lì, tranquillo nel verde del pascolo, accanto alla sua mamma. Lo pagò più del suo valore, pur di non avere ostacoli. Il pecoraio si precipitò a prendere l'animaletto e lo consegnò al Grande Scrittore. Lui afferrò l'agnellino stringendogli le zampe posteriori e lo tenne qualche minuto a testa in giù. Lo bloccò quindi tra le sue ginocchia, stringendogli la pancia. L'agnello cominciò inutilmente a scalpitare, a belare. E per non farlo più belare…
- con quei belati sembrava che chiedesse aiuto alla sua mamma… -
…per non farlo più belare, dicevo, gli strinse il musetto con una mano. Poi, con l’altra, afferrò il lungo e appuntito coltello a serramanico che gli porgeva il pecoraio e lo conficcò sul lato del collo dell’agnellino, trapassandolo. Il sangue sgorgò dalla vena giugulare, colando come un rubinetto aperto, e si accumulava in una scodella che un bambino molto esperto - di sicuro figlio del pecoraio - aveva prontamente messo sotto il collo del povero animale…
…che scalpitava…
…sempre meno, con minor vigore…
… con sempre minor energia...
…finché la vita… lo abbandonò.
…….
Poi lo lasciò cadere per terra.
/
Il Grande scrittore ansimava. Sembrava ebbro, sazio, come dopo un'effusione amorosa. Il suo amico guardava la scena con indifferenza. Il pecoraio e suo figlio ridevano e stavano quasi per applaudirlo. “Questo sangue è buono da mangiare, dopo averlo fatto indurire", disse il pecoraio. "Vuoi che lo friggiamo in padella, con un po' di sale?"
Al Grande Scrittore brillarono gli occhi e fece immediatamente un cenno, un sorriso: un preludio del suo “sì”.
"Mia moglie, il sangue, lo sa cucinare bene", continuò il pecoraio. "Lo frigge e diventa duro, morbido da mangiare.” Lui guardò il suo amico e sembrarono intendersi. Poi guardò con complicità il pecoraio e con un crescendo da tenore disse "Sì, sì, sìììì…"
Ad un cenno del pecoraio il bambino scappò: Corse contento a far friggere il sangue che poi avrebbero avidamente mangiato, su, alla cascina. All'agriturismo.
Io piansi perché non ero riuscita a farlo desistere, non ero riuscita a impedirgli di uccidere quell’indifeso agnellino. "Perché piangi?" mi disse. "Anche Bukowski l'avrebbe fatto".
No, Bukowski non l'avrebbe fatto, gli gridai.
/
Alla masseria mangiarono il sangue fritto, accompagnato da ricotta salata e bevvero vino. Molto vino. Oh sì. Questo sì, Charles Bukowski l'avrebbe fatto.
Io restai in disparte e non vedevo l'ora di andare via. Ma nel pomeriggio parlarono e trovarono un altro argomento. Lui, il pecoraio, il suo amico e il bambino. Parlarono di pelli e di pellicce e di come si concia la pelle di un agnello e di come alcuni politici inetti che si proclamavano Ambientalisti impedivano di fare pellicce con le pelli di animali. C'erano delle leggi che vietavano di fare pellicce e lui, naturalmente, colse l’occasione per trasgredirle.
Stava sempre in prima fila, Lui, quando si trattava di trasgredire. “È l'unica maniera per sentirsi liberi”, diceva. E si sentiva un eroe.
E così volle che il pecoraio gli insegnasse a fare una pelliccia, partendo da come si ottiene una pelle di animale.
Afferrò una zampa dell’agnellino morto, fece un foro sulla pelle, all'altezza di una zampa, in quel punto che negli uomini corrisponde un po' sopra il tallone, e vi soffiò dentro con forza, poggiandovi le labbra. Il viso del Grande Scrittore diventò rosso e si gonfiò e gli occhi volevano schizzare fuori e le vene del collo gli si ingrossarono: sembrava un trombettista di jazz, sembrava Chat Baker quando suonava. L’agnello cominciò a gonfiarsi come un palloncino: era la pelle, che si staccava dalla carne, dai muscoli, dai tessuti e si gonfiava per effetto della pressione del soffio. Poi, afferrato di nuovo il coltellaccio, squartò l'agnello e spellò il corpo inerme. “Questa la faremo conciare”, disse Il Grande Scrittore alzando la pelle come un trofeo. "E quello…" disse indicando la carne ancora sanguigna dell'agnellino, "quello lo faremo arrosto".
Il Grande Scrittore!
Fiiiu, che fatti, eh?
E non finì lì.
Durante il pasto, consumato all’aperto davanti alla masseria, che allora si chiamava anche agriturismo, Lui e il pecoraio misero a punto un'altra grande audacia. Decisero di castrare un porco. Andarono nel porcile seguiti dal bambino e scelsero il porco più grosso, quello che ingravidava tutte le troie… pardon… scrofe. - Le troie erano un'altra cosa. Per alcuni divertenti minuti i quattro inseguirono il porco nel fango scivoloso e finalmente lo afferrarono e lo rivoltarono a zampe in su. E mentre il Grande Scrittore e il suo amico e il bambino tenevano fermo l'animale, il pecoraio maneggiò da esperto un coltello modello butterfly e con un colpo secco gli tagliò i testicoli. Subito dopo lo liberarono. Il porco, grugnendo pietosamente, raggiunse le sue compagne, forse per avere conforto, ma le troie… pardon… le scrofe, prontamente si allontanarono, scansandolo.
Reietto, povero porco!
Il pecoraio, il Grande Scrittore il suo amico e il bambino, ridendo fieri per l'impresa appena compiuta, raggiunsero gli altri commensali. Il pecoraio sezionò in due ogni testicolo e li depose sulla griglia. Sembravano quattro hamburger. Un orribile lezzo si levò per alcuni minuti e quando i testicoli furono ben cotti, gli uomini ne mangiarono un pezzo ciascuno.
Anche Lui ne mangiò un pezzo.
(Silenzio ironico della vedova.)
Gli avevano detto che mangiare testicoli di porco faceva aumentare le prestazioni sessuali.
Il viagra? Non era stato ancora scoperto.
E così, anche questo fatto lo raccontò al suo strizzacervelli.
Allora, come va la commemorazione del grand’uomo, del Grande Scrittore, eh? Nulla di strano, vero? Del resto tutti sapevano che il Grande Scrittore era rotto a tutte le esperienze. Si sa persino che rubava.
Già. Rubava, prima di sposarmi.
Era costretto a rubare per sopravvivere. Rubava al mercato, rubava ai grandi magazzini, rubava la vita altrui, le storie altrui. Archeologo della vita, si definiva, e rubava passioni, sentimenti... amore. Anzi no: l’amore è stata l’unica cosa che non ha dovuto rubare. Il mio amore per lui.
(Guarda verso la cabina di regia) Sì, l'amore, il più bel sentimento del mondo.
Che cos’è il sentimento?
Chi non piange non può capirlo.
(La vedova prende a piangere in silenzio.)
Presto, Tony, ancora lacrime, vedi? Presto. Vuoi che continui a narrare mentre piango?… Sì?… Farà più effetto, vero?
MA IO ME NE FREGO DEL VOSTRO EFFETTO. ME NE FREGO… Pardon… ME NE FOTTOOOOO….
Tony, ci sei?… Dove sei, Tony?… Brutto occhio elettronico, vieni fuori.
Andate via... tu e quel porco castrato del presentatore. Lasciatemi andare... Lasciatemi in pace...
(Impotente, la vedova si calma, ma singhiozza; nulla può contro la "tenacia” del presentatore, e del cameraman, perciò capisce che il modo migliore per liberarsi è quello di finire di narrare il più presto possibile.)
Finiamola. Facciamola finita.
Volete sapere del suo lavoro? Vi dirò del suo lavoro.
Prima di diventare famoso era impiegato statale.
Lo direste? Lavorava per il Governo.
Quel lavoro non lo aveva mai interessato. Lo faceva perché poteva avere uno stipendio garantito. Una volta mi disse: “l’unica cosa che mi dispiacerebbe, se morissi, è il non aver fatto niente, nella vita. Vorrei scrivere almeno un libro che lasciasse una traccia del mio passaggio su questa terra”.
Una traccia della propria esistenza!
Solo i pazzi potevano avere un desiderio del genere.
I pazzi e gli eroi.
(Guarda significativamente verso la regia)
Beh, direi che una traccia l’ha lasciata, voi della regia ne sapete qualcosa, eh? E che traccia!
(parte un applauso.)
No, no: niente applausi. …. Niente applausi…
Niente applausi, vi prego.
Non sto facendo spettacolo.
Lui l'avrebbe fatto di certo, lo spettacolo. Per denaro, s'intende…
… Sì il denaro: una volta c'era qualcosa che noi chiamavamo denaro, sapete? Lui aveva rapporti quasi carnali, con il denaro.
Voglio narrarvi qualcosa che ve lo chiarisca.
Quel suo amico possedeva un portafoglio in pelle, lo aveva usato per un breve periodo. Poi la sua ragazza gliene regalò uno nuovo.
Il Grande Scrittore, invece, aveva un portafoglio vecchio, brutto...
- A dire il vero aveva tutto vecchio, prima che ci sposassimo. solo roba vecchia.
…Aveva un portafoglio vecchio, ma non voleva che gliene regalassi uno nuovo. Preferiva usare il suo spelato portafogli di puro cartone.
Un giorno, il Grande Scrittore offrì il caffè a quel suo amico il quale, notando quel logoro portafoglio di cartoncino, si offerse di vendergli il suo, quello usato, di seconda mano ma in ottime condizioni. Quel suo amico era come lui… anzi peggio… anzi meglio... Sentite questa.
Quei due erano sempre insieme.
Il sabato sera, tutti i sabato sera, a tarda ora, i due amici andavano alla ricerca di oggetti antichi, libri antichi, mobili antichi. In realtà andavano alla ricerca di roba vecchia, gettata via accanto ai bidoni della spazzatura. Si erano specializzati. Soprattutto il suo amico. Conosceva i quartieri come le sue tasche. Riconosceva a colpo d'occhio i bidoni che potevano contenere roba interessante. Soprattutto libri o quadri. Una volta trovarono due tele, due dipinte ad olio che poi risultarono di un affermato autore. Bei quadri. Ne presero uno ciascuno. Lui non vendette mai quel quadro. È ancora appeso.
Tutti i sabato sera, dopo mezzanotte, quei due facevano il giro dei bidoni di mezza città. E certe volte si azzuffavano con gli operai della nettezza urbana per conquistare un mobile o qualcos'altro. Proprio come i barboni. Ma quelli, almeno, litigavano per del cibo, nel retro dei ristoranti. Insomma, all'alba i due amici si spartivano il frutto delle loro "ricerche". Il giorno successivo rivendevano i loro "pezzi d'antiquariato" nei mercatini delle pulci. I due amici avevano però fatto un patto: Il Grande Scrittore teneva per sé i libri. Il suo amico teneva per sé i piccoli mobili. Tutto il resto sarebbe stato venduto.
Il suo amico divenne un richiesto e raffinato antiquario.
E ora quel suo amico gli voleva vendere il suo portafoglio usato.
Secondo voi cosa fece il Grande Scrittore?…
ACCETTÒ!
Il portafoglio del suo amico era in pelle. Vera pelle, un po' usato ma in buono stato.
Trovarono l'accordo per 50 monete dopo tre giorni di estenuanti trattative. In seguito mi confessò che lo comprò usato non per risparmiare, ma perché pensava che gli avrebbe portato fortuna.
Il portafoglio di cartone non lo buttò mai via. Lo conservò.
L’ho trovato tra le sue cose… tra le sue vecchie cose.
(Emozionata, la vedova estrae dalla borsetta un vecchio portafoglio.)
Eccolo. (Mostra il portafoglio al pubblico.)
Era un'idea che gli era venuta da ragazzino: non avrebbe mai buttato i suoi portafogli vecchi. Li avrebbe collezionati.
Avrebbe scritto la storia di ognuno di essi e avrebbe seppellito il tutto nel bosco, in una cassetta di metallo inossidabile chiusa ermeticamente.
Vi scrisse tutto ciò che quei portafogli avevano ”vissuto”, i soldi che avevano contenuto, i luoghi che avevano visitato; descrisse i momenti ricchi e i momenti neri in cui furono vuoti, privi dell’essenza che li rendeva necessari: la banconota. Seppellì più di sessanta portafogli, un tesoro di ricordi. Un tesoro.
Questo portafoglio, invece, chissà perché, lo conservò.
Ecco com’era il suo rapporto con il denaro, quando c'era il denaro.
È difficile spiegare cos'è.... Cos’era quello che chiamavamo “denaro”… Vediamo: oggi ci sono le impronte elettroniche, una volta c'era il denaro… Sì.
Il denaro si conservava nei portafogli.
Il suo primo portafoglio era in preziosa pelle di dromedario, decorato…
…Glielo aveva regalato suo padre, a dieci anni, e lo ha conservato per tutta la vita senza mai usarlo. Poi, ancora da suo padre, ebbe in regalo quell'altro portafoglio, quello di cartone, che usò per lungo tempo, sino ai primi anni d’università.
Fu allora che lo conobbi.
(sognante, la vedova sorride)
Quando lo conobbi, facemmo quasi subito il rapporto amoroso.
“Fare il rapporto amoroso": è così che si dice adesso. Non si dice più "fare all'amore". Proprio così: Fa-re-al-l'a-mo-re.
E voi che non l'avete mai fatto, voi che fate l'amore virtuale senza ritegno, senza ritegno volete conoscere quello degli altri. Quello di una volta, che tanto ci rendeva felici.
Volete sapere come fu la Prima Volta?
(dopo un po’ di esitazione cede imbarazzata)
Fu dopo aver mangiato una pizza in pizzeria.
Andammo nella sua soffitta, un monolocale con letto, armadio, sedia, scrivania, scaffali di libri e lavandino. Io mi spogliai e mi misi subito sotto le coperte.
Anche lui era nudo, ma stava alzato e fumava un puzzolente sigaro.
Mi aveva promesso di farmi leggere un suo racconto e io aspettavo che me lo desse.
Non lo avrei fatto avvicinare se prima non mi avesse dato il dattiloscritto.
Mi lanciò una boccata di fumo appestandomi e mi porse le pagine del racconto.
Con quel gesto, secondo lui, mi stava pagando.
Faceva freddo, in soffitta, nonostante la stufa elettrica accesa. Ma sotto le coperte si stava bene.
In quel tepore lessi il racconto avidamente.
Lui, per tutto il tempo, mi osservò senza fiatare.
Finito di leggere non mi domandò neanche cosa ne pensassi: sollevò le coperte e si mise sotto e si accostò a me.
Buttò il sigaro nel lavandino e mi abbracciò.
I nostri corpi erano caldi, caldissimi, e ci percepimmo a vicenda.
Poi spense la lampadina colorata che dava una fioca luce all’ambiente e spense il fuoco che c'era in me.
Il giorno dopo scrisse quella nostra esperienza. E la scrisse a suo modo, naturalmente. Poche pagine, irriverenti. Senza nessun rispetto per me come donna.
Donna… rispetto… irriguardoso… Acqua passata!
Ma il rapporto amoroso veniva fatto proprio così, più di cinquant'anni fa.
Ma no... No, la prego... signor presentatore…Ma cosa sta dicendo?… Botte?… Insulti?… Quali botte? Quali insulti? Lei si sbaglia.
Era uno Scrittore, Lui. Doveva per forza scrivere in quel modo. L’ho già detto: per Lui il mondo reale non si poteva portare negli scritti così com’era nella realtà. Ci voleva qualcosa, qualcosa che lui chiamava forza d'urto, che tutto trasformava.
Anzi no: non “trasformava”… Bensì deformava… Sì, deformava… Deformava la realtà e dalla sua penna uscivano capolavori.
Irriguardoso, il suo amore? No… no.
Vi dico due poesie, ora.
Una la scrisse prima di conoscermi. L’altra dopo, molto tempo dopo avermi conosciuta.
La prima si intitola Senza amore.
Senza amore /
E non sento /
Il bisogno /
Nemmeno /
Di una goccia /
Della sua /
Linfa.
(Improvvisamente, dal portafoglio che la vedova tiene in mano cade accidentalmente una fotografia)
No, non vi spaventate, non è nulla. È solo una foto.
Una foto della nostra giovinezza.
(Sul mega schermo compare la foto. il Grande Scrittore è fotografato di spalle, mentre abbraccia la vedova, il cui viso giovanile e sorridente spunta al di sopra della spalla di lui)
Non fateci caso. È innocua.
(La vedova si affretta a raccogliere la foto e tenta di nasconderla. È confusa, frastornata, sorpresa…)
Tutte le foto sono state abolite e distrutte tanti anni fa. Come ha fatto a nasconderne una? (piange, ma guarda avidamente, contenta, la foto)
Oh, no. Cosa mi faranno adesso?… Io non sapevo che ci fosse ancora.
Era lì, nel suo portafogli, forse infilata in una tasca segreta…
È caduta, l'avete visto tutti… Oh, non m'importa di quel che mi faranno.
In questo momento provo una doppia gioia: la gioia di rivedere una foto e la gioia di sapere che lui nascondeva una nostra foto. Che uomo!
Nonostante la nostra vita vissuta… Nonostante tutto, se lo incontrassi ancora, lo sposerei di nuovo. E ricomincerei con lui, un'altra volta, malgrado le sofferenze…
Oh! Ha nascosto una nostra foto rischiando, per questo, la vita. Che eroe!
Capite? Riuscite a capirmi?
No, non potete capire. Non riuscite a capire cosa si prova a guardare una fotografia.
Per voi è solo un pezzo di cartoncino colorato.
Che senso ha guardare un pezzetto di cartoncino colorato?
(con nostalgia, sospira, ci pensa su, sorride)
/
Si ricorda.
/
/
Si ricorda. Ecco perché sono state abolite.
Le foto permettevano ad una persona di rivivere. Si guardava una fotografia e ci si estraniava dal mondo.
Quando si guardavano delle fotografie, per qualche minuto non si viveva il presente. Si viveva il passato.
Anzi, lo si viveva un’altra volta.
Basta guardare una foto (la guarda commossa) e si ricordano certi momenti. A volte bellissimi a volte meno belli.
Una foto ricrea anche lo stesso sentimento, la stessa sensazione, lo stesso stato d'animo che si aveva al momento dello “scatto”.
Ogni foto era una storia, un fatto. Le foto erano anche testimonianze. E ogni foto poteva far discutere per ore, giorni. Forse è per questo che sono state abolite.
Per far dimenticare.
(Si guarda intorno, come a cercare qualcuno)
Guarda, Tony, guarda che bella. Inquadra questa fotografia.
No, non ti spaventare… Non ti allontanare. (alla cabina di regia, con tono accusatorio) Ehi, lassù, Tony si rifiuta di inquadrare la foto.
(con lo sguardo cerca ancora intorno)
Guardala tu, presentatore coraggioso. Ecco. Tu non hai paura. (alla cabina di regia, con tono divertito) Ehi, il vostro presentatore traditore è rimasto conquistato dalla foto. Continua a guardarla estasiato.
/
Quando sfogliavo un album di fotografie, era come se sfogliassi il tempo.
/
/
/
Sfogliare il tempo! ….
A me piaceva guardare le fotografie.
Qualsiasi fotografia. Davvero. Specialmente quelle fotografie d’epoca, ingiallite, che mi portavano nel tempo che non avevo vissuto. Le fotografie erano vita.
Le fotografie sono vita, anche se sono state vietate.
E noi, qui, stasera, ne abbiamo una.
Non posso crederci.
E questo lo dobbiamo al Grande Scrittore.
TONY, HAI REGISTRATO TUTTO?
Tony?… Too-ny?!?… Perché scappi?… Vieni qui.
Riprendi il tuo diabolico aggeggio e continua a fare il tuo sporco mestiere! TOOOOONYYYY!
Al Grande scrittore piaceva un frutto particolare. Anche quello, oggi, è scomparso. Ma resta una sua poesia, a ricordare quel frutto (comincia a recitare) Denti di morto, mangio / Denti per Re, per pranzi da Re / Denti di morto, sul tetto / Dolci e aspri, rossi e bianchi / O con un punto di carie, nera / Carie nera sui denti di morto / Da buttare, da mangiare./ Buoni, sul piatto / Morbidi e schizzosi / E la pelle amara che vi si attacca, / Denti sporchi di giallo. / Un dente di morto / Due, tre, centoventi più centoventi / Denti di morto nel bicchiere. / Col cucchiaino, mangio / A sette a sette / Per il mio piacere / da gustare, ma solo in autunno / Denti di morto, per non piangere. (pausa. Poi, come se si riprendesse…)
Denti di morto: I grani di melograno!
Si chiamavano poesie. Sì, poesie. Con le poesie si potevano dire tante cose con poche parole. Anche con parole non dette. Per questo sono state abolite, proibite.
Vietato scriverle. Vietato leggerle.
Ne ha scritte tante, di poesie.
(tira fuori dalla borsetta tre o quattro fogli piegati)
Queste.
(mostra i fogli al pubblico e alla cabina di regia)
"Andare dal corniciaio per incorniciare le stampe leonardesche e raffaellite, più quadro ad olio..."
No, no… Mi sono sbagliata: non sono poesie.
Come? Presentatore curioso, dici che è interessante? Sei il solito cacadubbi: come fai a considerare interessante questa robaccia?
(Continua a leggere) "Fare bucato… comprare poesie di Bukowski…”
Ma sono i suoi promemoria...
( c.s.) "...Scrivere ai critici. Battere a macchina i racconti...”
Oh, cosa mi fai fare… Presentatore tiranno.
(si arrende, fingendo impotenza, e riprende a leggere, con sempre maggior foga, avidamente)
"Scrivere agli editori e inviare racconti. Spedire racconti pornografici a riviste specializzate. Fare doccia. Andare al cinema. Telefonare al giornale. Telefonare a Pasquale, il pittore. Scrivere racconto sulla morte di… sulla morte! Andare in banca per versamento. Andare all'altra banca per prelievo. Andare a gabinetto poi fare barba. Andare ufficio collocamento per tesserino disoccupazione... "
Non basta? No? (Piange )
(continua a leggere)"...Falsificare francobolli. Andare al museo. Dichiarazioni redditi: Sì o no?”
(Cerca con gli occhi il cameraman) Tony?! …
(legge)“Rubare libro…"
…Tony, dove sei?
(riprende a leggere) "Fotocopiare manoscritti. Comprare libro Come diventare ricchi nel millenovecento…"
Tony!
(c. s.) "Telefonare a casa. Fare all’amore - Telefonare Sara” (Sorride).
(sognante) Telefonare a Sara: … a… a me!
(legge) "Cominciare a scrivere seriamente. Litigare e mandare affa’nculo il caporeparto. Andare al casinò. Comprare Marijuana. Contattare i terroristi. Licenziarsi dalla Multinazionale. Invitare Sara a cena - o a teatro. Invitare Laura a cena - o a teatro. Invitare Silvia a cena - poi a letto. Recuperare il sonno perso…”
(adirata) Sei contento, adesso?, presentatore merdoso. Cosa ci hai guadagnato?
/
Cosa hai detto?…
…Che questi appunti sono più belli delle poesie?
(con sorriso ironico e con finta calma) Ah sì?… Ah sì?… Per questo li ho letti, sai? Per dirvi di… di Silvia… di Laura… (indica se stessa) … di Sara…
(adirata) ERO COME TUTTE LE ALTRE, IO. DA INVITARE A CENA… POI A TEATRO… E POI A LETTO.
/
ERO ANCH’IO UNA DELL’ELENCO.
/
UN PROMEMORIA.
/
Un promemoria.
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/
Conquistò talmente tante donne che un bel giorno sentì il bisogno imperioso di consultare uno psicanalista.
Ed entrò in analisi. Analisi Transazionale. Per capire il perché. Da che cosa proveniva questa esigenza di amare le donne.
Per Lui, una donna era qualcuno… qualcosa da portare a letto. Non ne poteva fare a meno. Era più forte di lui.
Era un bell'uomo, certo, e le donne non facevano resistenza. Anzi!
Ma con il passare del tempo divennero un'ossessione. Quando conosceva una donna, le sue energie erano tutte protese a cercare il modo di conquistarla. Ne conquistò… oh, non so quante ne conquistò… decine…centinaia…
Non poteva fare a meno di corteggiarle, di coprirle di regali - magari regali riciclati … sino a quando non finivano a letto.
Poi si rese conto che la sua mania, iniziata per divertimento, era diventata una malattia.
Alcune donne che Lui aveva conquistato restarono incinte…, incinte vuol dire che… beh,… era un vecchio modo di far nascere… di creare… bambini. Lui costrinse queste donne a non far nascere i bambini: non voleva figli perché non voleva avere responsabilità.
Ma io… io… mi rifiutai di abortire.
Se non vuoi il bambino, gli dissi, lo crescerò da sola.
Se lo vuoi, devi sposarmi.
E mi sposò.
(Sorride) Però volle lo stesso in regalo la mia biblioteca.
Si decise ad andare dallo strizzacervelli e dopo venti anni, finalmente, la smise di fare conquiste. Gli ultimi anni della sua vita l'ho avuto tutto per me.
/
Anche se non poteva più camminare… era debole…
(Ride amaramente. Ride ancora, una risata calma che gradatamente si trasforma in una risata isterica)
Tony! Tony sei rientrato. Hai ripreso il tuo lavoro con la videocamera.
(alla cabina di regia) Tony ha ripreso il suo lavoro.
(a Tony) Però ti sei perso un sacco di lacrime, sai? Ora sorrido, ma cercherò di recuperare. Stasera la televisione deve battere il record di ascolto!
C’era il buio, davanti a Lui. Si vedeva solo un piccolo, piccolissimo spiraglio, da dove entrava un po’ di luce. Sarebbe riuscito a fare breccia in quello spiraglio e vedere la luce? Le mie emozioni e il mio stato d'animo mi dicevano di sì, ma l’intelletto e la ragione avanzavano molti dubbi. Il destino non esiste o, se esiste, è fatto di tante piccole trappole disposte da noi stessi lungo il cammino della vita. Trappole nelle quali prima o poi cadiamo. Infatti, poco prima che ci sposassimo, venne assunto in un Ente statale, impiegato di sesto livello…
…ve l'avevo già detto, questo? Sì… non importa.
Sin dai primi giorni di lavoro si convinse che nessuno volesse niente da lui, nessuno pretendesse niente dal Grande Scrittore. Tutti volevano che facesse il proprio dovere: le sue ore in ufficio, e nessuno gli avrebbe chiesto nulla. A tutti bastava che Lui lavorasse, che contribuisse a far andare avanti quel carrozzone statale con le ruote contorte e traballanti. Era tutto normale. E per moltissimi anni venne lasciato tranquillo. In fin dei conti, per un miserabile stipendio, faceva fin troppo bene la sua parte per la Società. Ma la sua vita non poteva avere termine in un ufficio statale.
Infatti, divenne un Grande Scrittore.
(gridando)ANZI NO! NON LO DIVENNE.
Lo era già. Lo era sempre stato.
È questo che non riuscite a capire.
Ho l'impressione di parlare ad una specie estinta. Forse è proprio così: siete stati estinti appena nati.
Voi non siete voi, siete una copia di quel che dovevate essere e non siete stati. E adesso vi ritrovate qui, in questo studio o a casa vostra davanti ad uno schermo, e vi volete commuovere con ciò che non avete né vissuto né condiviso. Di ciò che non avete conosciuto se non nella visione letteraria del passato, della vita. Quella visione letteraria che il Potere vi ha permesso di assimilare.
Vi permettono di scoprire il Grande Scrittore solo dopo la sua morte. Forse per una sorta di "ritorno al passato". Si stanno cominciando ad accorgere che il mondo che hanno creato è assurdo. Forse vogliono ricredersi e vogliono farlo cominciando dal Grande Scrittore. Cominciando a divulgare il Vecchio Mondo attraverso la sua vita. E vogliono farne un eroe.
Sin da allora voleva inventare mille cose, ma avete ucciso la sua fantasia ed era come se aveste ucciso Lui. Voleva creare, fantasticare, vivere in mondi di sogni, ma lo avete azzerato, lo volevate come voi: morti viventi. E invece Lui voleva creare mondi, vite.
Mondi migliori…
Vite migliori...
Senza uffici.
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Andava in ufficio al mattino presto e tornava a casa la sera tardi. E le sue opere a metà lo guardavano mute; gli ricordavano chi era e lo facevano star male. Opere create a metà e mai finite, che avrebbe finito, prima o poi. E stavano lì, le sue creature, come aborti che un ufficio aveva impedito di nascere, di scaturire da quell'anima immortale che era la fantasia del Grande Scrittore. E piangeva il padre, e piangeva la madre, madre natura, e piangeva il mondo, e piangevano tutti, anche i morti che morto lo volevano, come loro, felici di lavorare in un ufficio.
E dopo alcuni anni di impiego statale scrisse una poesia che mi fece rabbrividire, che mi fece presagire qualcosa di grave:
“Uomo alle soglie del tempo /
Cosa fai seduto lì /
A guardare inerme /
Mentre la morte /
Comincia a coprirti /
Col suo nero Mantello?”
(La vedova singhiozza sommessamente e piange. Prende dalla borsetta dei fogli e li mostra al pubblico)
Ecco: sono le altre poesie. Presentatore misericordioso, vuole leggerle lei? (alla cabina di regia) posso leggerle io?
Davvero?…Grazie... Grazie.
(Svolge i fogli)
“Passerà questa stagione” - è il titolo. (si schiarisce la voce).
Bianche cime innevate / Lontane, alte a toccare il cielo / Montagne e colline Baciate dal limpido sole mattutino / Voi coronate il mio triste e lento andare. / Persino tu, /Rabbioso e gelido vento, / Persino tu / Urli e piangi un pianto sommesso e impotente / E sembri impedirmi l'andare / Verso il grigio, triste e Mortale Cemento / Che si staglia, feroce e inumano / Verso il cielo sereno / Come spina maligna / Nel cuore innocente di un bimbo. / E Avanzo, lento. / E ancora violente sferzate / Di polvere e gelo / Mi trapassano il cuore. / E le foglie, tristi anch'esse, come me / Gialle animelle senz’ali / Vibrano tutte e si strappano nette / Dai rami grigi e morti / Cedendo al vento dell’uggioso mattino. / Vento complice e tentatore / Cui resisto a stento. / E sembrano fuggire, le foglie / Mentre mi sfiorano, rapide / Il petto, le gambe / Il sangue e l’anima mia / E mi dicono - sadiche e tentatrici / Vieni con noi / Danza con noi / Vola con noi / Fuggi con noi. / Ma io, soldato d’un esercito di morti / Né quel giorno ne mai / Riuscii a disertare / La mia postazione / Una trincea di grigie pratiche da smaltire."
E quest’altra? Quest’altra, vedete? Si intitola “Piccolo uccellino”: l’ha dedicata a me. La scrisse sul frontespizio di un suo libro. La scrisse molto tempo dopo avermi conosciuta.
La leggiamo?… No, questa no: è mia. Non voglio leggerla.
(canzonatoria, come una bambina) Non - la - leggo! Non - la - leggo!
(Sta per partire un applauso d'incoraggiamento che viene smorzato sul nascere)
No. No. Niente applausi, niente applausi. La leggo. La leggo.
"Tu, piccolo uccellino di primo volo, / Tu vorresti volare, lo so / Ma sempre ricadi. / A volte è un’ancora invisibile /La tua ingenuità. A volte tu stesso, testardo. / O i tuoi sbagli. / Tenero uccellino di primo volo! /Volerai, stanne certo / Ti aiuterò a farlo. / Ma sorridi, ti prego."
/
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La scrisse un Natale di tanti anni fa. Non voleva che piangessi. Un giorno mi disse che era stufo di vedermi piangere. “Devi essere felice”, mi diceva. E io gli rispondevo che si può essere felici anche piangendo. Anzi: forse lo si è di più. Chi piange a volte è più felice di chi ride e invece vorrebbe piangere ma non può.
Dopo quel Natale venne distrutto il sentimento. Cominciarono con l'ostacolare il sorriso.
Sembrava impossibile, ma diedero un ordine a cui tutti dovettero obbedire: Niente sorrisi sulle fotografie di riconoscimento. Poi abolirono le foto.
Cominciarono proprio così. Vietando il sorriso, dapprima sulle fotografie. In seguito vietarono del tutto le foto. Le impronte digitali valevano più delle foto. Poi proibirono "certe canzoni". Poi puntarono sulle lacrime. Inizialmente le frenarono inoculando qualcosa a tutti i bambini sotto i dieci anni.
Un esperimento, dissero.
Poi le bloccarono con un vaccino. Tutti i neonati non conobbero più il pianto.
Gli esperimenti sugli embrioni avevano dato i primi risultati.
Non vi siete ancora stancati di vedermi piangere? Ma no! Per voi dev'essere un piacere vedermi piangere. È una tale novità! Anzi, un tale spettacolo! Non è vero?… Un applauso…. Adesso sì.
(Parte una musica festosa insieme agli applausi, calorosi, che poi vanno scemando.)
Oh, lo so, per voi sono una bestia rara. Oh sì.
Una donna che piange non l’avevate mai vista. E non avete mai visto una donna che muore, vero?
Non vi spaventate. Temete questa parola. (infierendo): Morte…. Morte… Vi spaventa, la morte. Quella vi fa paura, fa paura a tutti. Ha sempre fatto paura. La paura della morte non si potrà mai abolire.
Forse.
E volete sapere una cosa? Una cosa veramente segreta sul Grande Scrittore?
/
/
/
L'ho ucciso io.
(Con tono ironico, la vedova parla come se fosse il presentatore, lo imita in maniera buffa)
“Ma signora, si esce dagli schemi. Non è possibile. Ucciso? Ucciso da lei? Non è possibile. Non è possibile. Tony, spegni tutto, non registrare.”
No, Tony. Continua, invece… Continua a registrare.
Riprendili.
Su... Forza…
Riprendili, i miei occhi...
Erano pieni di lacrime, mentre lo uccidevo.
Lui era lì, debole, vecchio.
Era lì, sul letto, senza più forze, ne volontà. Con un ultimo sforzo mi guardò, mi implorò con lo sguardo. Io lo capii.
Lo aiutai ad alzarsi e lo accompagnai nel suo studio. Sugli scaffali vi erano oltre quindicimila libri. "Voglio morire tra i miei libri", anelò. E fu allora che non ebbi dubbi. Presi delicatamente alcuni libri e li depositai sul pavimento, cercando di formare una specie di tappeto su cui adagiarvi il Grande Scrittore. Ma Lui mi venne vicino e prese a scaraventare con furia i libri a terra, disordinatamente. Quasi volesse dirmi sbrigati, non abbiamo tempo. Ammucchiai quindicimila volumi al centro del suo grande studio. Formai una montagna di libri. E Lui vi si avvicinò e vi si distese, come se si sdraiasse su un morbido materasso. E sorrise. E poi credetti di scorgere un luccichio… Erano lacrime.
Mi guardò un'ultima volta e chiuse gli occhi, restando in attesa. "Ora sono pronto", mi disse. "ho sempre sognato di morire tra i miei libri".
Non voleva morire in quelle "cliniche". Ormai lo tenevano sotto controllo e presto sarebbero venuti a prenderlo. Ma Lui ha voluto ribellarsi. A modo suo, come sempre. Ancora una volta da eroe, che è un uomo che con semplicità fa la cosa che ritiene giusta al momento giusto, senza pubblicità. Un uomo che fa ciò che i non-eroi non vogliono o non sono in grado di fare.
Presi un cuscino, mi avvicinai a Lui, lo poggiai sul suo viso mentre sembrava che dormisse e…
/
/
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Poi lo ricoprii con i suoi libri.
E mentre lo facevo, non piangevo.
E rimasi accanto a Lui, ad aspettare i "dottori".
/
/
(Ancora una volta, la vedova parla come se fosse il presentatore, lo imita, stavolta con tono spaventato)
“È incredibile! Cosa è successo? Cosa succederà adesso? Non esistono più omicidi né assassini da almeno trent'anni.”
Ma di che ti preoccupi?, presentatore cacasotto. Questa trasmissione non l’abbiamo voluta né io né tu. L’ha voluta qualcun altro, di proposito, perché non ci fossero più scrittori. Lui è stato l’ultimo. Volevano che fosse l'ultimo, ma l’hanno pescato troppo tardi, dopo la sua morte. Ve lo hanno dato in pasto, prima con la sua opera, per farvelo gustare, assaporare. Ora ve lo vogliono sottrarre, lo vogliono uccidere ancora - me lo vogliono far uccidere ancora - con la mia testimonianza.
Il Grande Scrittore è stato ucciso molte volte, ma è sempre resuscitato. Come un eroe, che nessuno potrà più uccidere.
“Tony, spegni tutto...”
Da decenni conduci questa trasmissione, presentatore inesistente. Tutte le volte l’hai condotta per uccidere la memoria di qualcuno o di qualcosa. Però ti impediscono di parlare di morte. Ma stasera i tuoi miliardi di telespettatori la vedranno, la morte.
Vedranno la morte in diretta. FORZA TONY.
“Tony, nooo!”
Tony è ormai un cane sciolto, presentatore di paglia. Ha assaporato il sangue ed ora del tuo sangue si ciberà. E il pubblico del tuo corpo si sazierà.
(La vedova estrae dalla borsetta un pugnale e si fa minacciosa. Improvvisamente si scaglia contro il presentatore, colpendolo. Attraverso lo sguardo della vedova si capisce che il presentatore si accascia al suolo, morto)
Avevo il mio pianto, la mia solitaria sofferenza. Tu, presentatore ormai carogna, hai fatto rinascere in me il ricordo di Lui, e hai tentato di farmelo uccidere ancora. Colpendo la sua memoria avete cercato di uccidere un eroe.
Ma l'eroe non muore.
Come il sole, l’eroe non muore.
(La vedova lascia cadere il pugnale che, inquadrato in primo piano, compare sul mega schermo dopo una lenta zoomata.)
Inquadratemi pure, adesso. Inquadrate il mio volto, ormai non ho più lacrime.
(Ma l'inquadratura resta fissa sul pugnale.)
BUIO.