Manager o operaio

Stampa questo copione

Manager o operaio

di Vincenzo Rosario Perrella Esposito

(detto Ezio)

01/05/2009

Personaggi:   10

Alfredo Valoroso

Beatrice Pugliesi  

Raimondo Valoroso

Tekla

Nello Stipetto

Marina Di Ascea

Demetrio Demente

Pasqua Di Domenica

Andrej

Mimì Siderurgico

Napoli, tempi di oggi. Il manager Alfredo Valoroso vive con sua moglie Beatrice Pugliesi. La loro vita sembra felice. In realtà Alfredo nasconde un segreto che non ha il coraggio di confessare alla sua donna: non è un manager, bensì un operaio. Riesce ad imbrogliare la donna, perché al mattino esce tutto ben vestito, in abito scuro e ventiquattrore alla mano. Ma appena giunge negli spogliatoi della fabbrica dove lavora, si cambia ed indossa la tuta da operaio, sua rale mansione. E così, ogni volta che torna a casa, torna a vestire i panni del manager, mentre quando torna al lavoro, riveste quelli di operaio. Beatrice, in verità, è perplessa dal fatto che suo marito, nonostante sia un manager, non abbia un guadagno commisurato al ruolo che ricopre. I suoi sospetti che qualcosa non quadri aumentano quando il marito, in preda alla foga nel cambiarsi d’abito in continuazione, talvolta sbaglia e si presnta mezzo vestito a manager e mezzo vestito da operaio.

Numero posizione SIAE 233047

Per contatti Ezio Perrella 3485514070 ezioperrella@libero.it

 

            Napoli, Via Ferraris. La scenografia: per metà è sala da pranzo di casa di Alfredo Valoroso. Si accede da un ingresso a destra; al centro, una porta conduce alle altre stanze. In stanza, a destra, c’è un divanetto e verso sinistra una credenza. L’altra metà è lo spogliatoio della fabbrica di carta igienica PULISC SRL: c’è un armadietto e una panca.

ATTO PRIMO

1. [Alfredo Valoroso e Beatrice Pugliesi. Poi Raimondo Valoroso e Tekla]

                 Al centro: Alfredo (in camicia, cravatta e pantaloni di un abito scuro), ripreso da

                 sua moglie Beatrice (in vestaglia e bigodini) che mostra il lenzuolo del loro letto.

Beatrice: (Arrabbiata) Ma è possibile? Io nun ce pozzo credere. Tu non sei più in bambino.     

                 E alla tua età… faje ancora ‘a pipì ‘int’’o lietto?

Alfredo:  E che t’aggia dicere? E’ capitato!

Beatrice: Ma capita ogni notte! E tutt’’e ssante matine, aggia lavà ‘e llenzole.

Alfredo:  E va bene, le lavo io quando torno dal lavoro.

Beatrice: Ma ‘o problema nun è chisto. Tu hai una posizione blasonata: sei un manager.

Alfredo:  Però songo ‘o manager ‘e ‘na fabbrica ‘e carta igienica!

Beatrice: E allora?

Alfredo:  Ringrazia a Dio che dint’’o lietto faccio sulo ‘a pipì e nun faccio pure ‘o riesto! 

Beatrice: (Si calma) Alfré, tu non puoi andare avanti così. Perché non ti metti il pannolino?

Alfredo:  Ma tu me vuo’ fa’ sfottere ‘a tutte quante? E che direbbero dove lavoro io? “Uh,

                 guarde ‘o manager Alfredo Valoroso: porta ‘o pannulino!”.

Beatrice: Almeno vai da un dottore.

Alfredo:  (Prende la giacca all’appendiabiti) A chi, Beatrì? Non se ne parla proprio.

Beatrice: E allora comme vuo’ fa’?

Alfredo:  Preferisco ‘o pannulino! Statte bona!

                 Prende la ventiquattrore all’uscita ed esce via di casa. Lei resta sconsolata.

Beatrice: Pazzesco! (Posa sulla spalliera di una sedia il lenzuolo bagnato) Sulo quanno se

                 ne va a faticà, stongo qujeta! Mò ‘o veco direttamente stasera. Menu male!

                 Ma Alfredo torna in stanza.

Alfredo:  A proposito…

Beatrice: Che vaje truvanno, ancora?

Alfredo:  Sto pensando una cosa: quase quase me piglio duje juorne ‘e festa ‘o lavoro.

Beatrice: E pecché?

Alfredo:  Così mi riposo un poco. Secondo me, ‘a pipì che faccio io, è ‘na cosa nervosa!

Beatrice: (Va da lui e lo spinge ad andare via) Va’ a faticà, va’!

                 Alfredo esce via. Beatrice torna al centro e commenta.

                 E sì, ce manca sulo che rimane ‘int’’a casa a durmì fin’e miezjuorno! ‘A

                 sindrome ‘e Peter Pan: po’ dice che nun esiste. E invece esiste e comme!

                 Suonano alla porta. Beatrice si arrabbia.

                 Sta ancora ccà? Ma mò abbusca proprio!

                 Esce con rabbia a destra e la si sente urlare.

                 Uhé, ma te ne vuo’ ì?... Uh, scusa!

                 Poi torna seguendo Raimondo, fratello di Alfredo, tenendo una mano su un

                 occhio, dolorante.

Raimondo: Ah, mannaggia ‘a capa toja, Beatrì! M’he’ quase cecato ‘n’uocchio!

Beatrice:    E io mi pensavo che eri mio marito.

Raimondo: Ma pecché, a tuo marito ce miette ‘o dito ‘into all’uocchio?  

Beatrice:    Siente, tuo fratello è gghiuto a faticà. Jamme, che vaje truvanno?

Raimondo: Niente, sono passato per presentarvi… per presentarvi… (Guarda verso

                    destra, cioè l’uscita) E che d’è? Addò sta?

Beatrice:    Ma chi?

Raimondo: Steva appriesso a me. (Poi la chiama quasi come fosse un cane) Tekla, Tekla!

Beatrice:    (Fa altrettanto) Qua Tekla, qua, qua!

Raimondo: Ma Tekla nun è ‘nu cane. E’ ‘na perzona. Forse l’he’ chiusa fora ‘a porta.

                    Suonano alla porta.

Beatrice:    Ha da essere essa.

Raimondo: E va’ a arapì, va’!

Beatrice:    Uffà!

                    Va a destra. Raimondo si guarda intorno, nota sul tavolo il vassoio di frutta.

                    Mette una mela in una tasca della giacca ed una arancia nell’altra tasca.

Raimondo: Questa frutta… m’’a pozzo vendere! (Poi va alla credenza, apre e prende una

                    statuina a forma di Pulcinella) Chisto pure m’’o pozzo vennere!

                    Beatrice torna con Tekla.

Beatrice:    Raimond… (Lo nota davanti alla credenza aperta) Ma che staje facenno?

Raimondo: (Fa finta di niente) Ehm… che bella credenza! Mò l’he’ accattata?

Beatrice:    No. Comunque, fora ‘a porta ce steva ‘sta tizia. E’ essa Tekla?

Raimondo: Sì, sì, è essa. (E si spaparanza al tavolo) Vai, Tekla, presentati.

Tekla:         (Ha un accento dell’est europeo) Piacere, io sono Tekla. E tu?

Beatrice:    Beatrice. Ah, ma non sei italiana? Sei ucraina?

Raimondo: No, viene dalla Polonia: è poloniana!

Beatrice:    Ah, ho capito. Ti sei lasciato con tua moglie e ti sei messo con lei!

Raimondo: (Prende un posacenere dal tavolo, lo guarda bene) Ma che staje dicenno? (Lo

                    nasconde nella tasca interna della giacca) Tekla è la mia badante!

Beatrice:    ‘A badante? Ma tu nun sì viecchio.

Tekla:         E a voi cosa frega? Lui mi pagare e io fare sua badante.

Beatrice:    Eh, e nun t’arraggià. Ho capito, ho capito. Raimò, vuo’ ‘o ccafé?

Raimondo: Sì, sì, andiamo in cucina. Così io vedo che ci sta di buono. Jammuncenne!

                    I tre escono al centro.   

2. [Alfredo, Nello Stipetto, Marina Di Ascea e Demetrio Demente]

                    Nello spogliatoio della PULISC, giunge Alfredo. E’ spiato da sinistra da Nello

                    Stipetto e Marina Di Ascea. Toglie l’abito scuro, sotto cui tiene una tuta da

                    lavoro. Posa l’abito nell’armadietto, poi si volta e nota Nello e Marina.

Alfredo:     Ate fernuto ‘e ve guardà ‘o spettacolo?

Nello:         (Parlando, dice spesso “cioè”) Cioè… cioè…

Alfredo:     Siente, nun accummincià a dicere sempe “cioè”!

Marina:     Anche se sei molto sexy, mi domando chi te lo fa fare di venire vestito in abito

                   elegante, per poi dover lavorare in tuta.

Alfredo:     Néh, ma facìteve ‘e fatte vuoste!

Nello:         Cioè… mamma mia, comme stamme nervuse!

Marina: Anche quando è nervoso, è sexy!

Nello:     Azz, guagliò, ma tu si’ ruffiana forte!

Marina: Qualche problema?

Nello:     Siente, mò aiésce ‘nu mumento. Aggia parlà cu’ Alfredo.

Marina: Non me lo rubare per troppo tempo. (Poi ad Alfredo) A dopo!

               Gli fa l’occhiolino ed esce via.

Alfredo: Ma che vvo’, chella?

Nello:     Nun ‘a da’ retta. Cioè, ma inzomma, nun he’ parlato ancora cu’ mugliereta?

Alfredo: E comme, io ce parlo tutt’’e juorne.

Nello:     No, no, tu hai capito benissimo quello che voglio dire. Stamattina sei venuto

               ancora vestito da manager. Ma ce ‘o vvuo’ dicere che tu sì ‘n’operaio?

Alfredo: Stattu zitto, nun alluccà. Nello, io nun m’’a sento ‘e ce ‘o ddicere. Se le dico che

               faccio l’operaio e non il manager, mi lascia subito! (Dalla ventiquattrore, tira

               fuori la merenda e poi le scarpe antinfortunistiche) Hai capito?

Nello:     Cioè, ma tu miette ‘a marenna vicino ‘e scarpe?

Alfredo: No, direttamente ‘int’’e scarpe! (Indossando le scarpe antinfortunistiche) E che ce

                pozzo fa’? ‘O spazio ‘int’’a vintiquattore chill’è! (Ripone le scarpe che portava

                sotto l’abito scuro nella ventiquattrore che poi la posa nell’armadietto)

Nello:     Ma aggia dicere ‘a verità? E’ proprio scema tua moglie. Cioè, possibile che nun

                s’accorge che tu faje ‘o manager ma ‘o stipendio tuojo è chillo ‘e ‘n’operaio?

Alfredo: E io sono furbo. E poi mi vendo gli oggetti d’oro che mi hanno regalato al

                battesimo, alla comunione, alla cresima e al matrimonio. E così tengo più soldi.

Nello:      Cioè, tu te sì accattato ‘o Mercedes. Ma cioè, me vuo’ dicere comme he’ fatto?

Alfredo: Ma chi se l’ha accattato? Io me l’aggio arrubbato e ce aggio cagnato ‘a targa!

Nello:     Overamente?

Alfredo: Sì. Mi trovavo a Milano. E’ successo due anni fa!

Nello:     Mannaggia a te. E vabbuò, jamme a faticà. Oggie ‘o capomastro sta nervuso.

Alfredo: Sì? Demetrio Demente sta nervuso? E allora jamme, jamme.

               Ma mentre stanno per uscire, Marina entra e li blocca.

Marina: Aspettate un momento, adesso è il turno mio di parlare con Alfredo.

Nello:     Ma che vvuo’ parlà? Nuje amma faticà.

Marina: Ci sta ancora tempo. Su, adesso vai fuori.

Alfredo: E vabbuò, Nello, jesce ‘nu mumento. Famme sentì che m’ha da dicere.

Nello:     Uhé, facìte ambresso, però, cioè!

               Nello esce. Marina afferra per la tuta Alfredo e lo spinge contro l’armadietto.

Alfredo: Oh, ma sì scema?

Marina: (Gli si avvicina, sexy) Questo è il mio modo di mostrarti affetto.

Alfredo: Ancora cu’ ‘sta storia? Ma tu già lo sai: io sono sposato.

Marina: Divorzia!

Alfredo: E perché? Mia moglie mi vuole bene.

Marina: E invece io ti amo. Quindi, tengo qualcosa in più di lei.

Alfredo: Marina, per favore, andiamo a lavorare.

Marina: Vogliamo fare l’amore qui?

Alfredo: Ma che si’ scema?

Marina: E allora vengo a casa tua e faccio uno scandalo!

Alfredo: Marina, ti prego, jamme a faticà. O si no vene chillu demente d’’o capomastro

               Demente e ce rompe ‘e scatole!

                     Entra proprio Demetrio Demente.

Demetrio:    Bravo, mò he’ ditto buono. Io già stongo ccà!

                     Di spalle entra Nello, si ferma sulla soglia e bisbiglia ad Alfredo e Marina:

Nello:           Alfré, Marina, ascìte. Ce sta chillu demente d’’o capomastro Demente in giro!

                     Poi si volta e si ritrova faccia a faccia con Demetrio, così gli sorride.

                     Buongiorno, egregio, illustrissimo, meraviglioso, maestoso capomastro!

Demetrio:    Jamme a faticà, jamme.

                     Si sposta e lascia spazio a Marina, che però osserva innamorata Alfredo.

                     Compagnia, dietro front!

                     Marina e Nello si voltano verso l’uscita, Alfredo verso l’armadietto.

                     Avanti, marsch!

                     Marina e Nello vanno via mentre Alfredo va a sbattere contro l’armadietto.

                     Cretino! Ma addò vaje?

Alfredo:      (Lo osserva) E vuje ate ditto: “Compagnia, dietro front”!

Demetrio:    Ascolta bene: se vuoi rimanere in questa fabbrica, devi rigare dritto. Capito?

Alfredo:      Capitissimo!

Demetrio:   E ppò he’ venì ambresso a faticà. Ma chi te pienze ‘e essere? ‘Nu manager?

Alfredo:      Eh!

Demetrio:   Ma ‘a vuo’ fernì ‘e fa’ ‘o scemo?

Alfredo:      Subitissimo!

Demetrio:   Va’ a faticà, va’.

Alfredo:      Agli ordinissimi!

Demetrio:   E va’!

                    Alfredo esce dalla stanza. Demetrio scuote il capo, poi lo segue.

3. [Raimondo, Beatrice, Tekla. Poi Pasqua Di Domenica]

                    E’ il tardo pomeriggio: sono quasi le 17.

                    Dal centro, escono Raimondo, con una caffettiera in mano, Beatrice e Tekla.

Raimondo: Cara cognata, ti ringrazio per il caffè.

Beatrice:    Sulo ‘o ccafè? Tu e la tua badante eravate venuti solo per il caffè, stamattina

                    alle 8. Embé, vuje ate pure pranzato ccà!

Tekla:         Ma da noi in Polonia ospite è sacro.

Beatrice:    Pure addù nuje, però a ‘na certa ora se n’ha da ì!

Raimondo: E andiamo via. Ho lasciato pure mia moglie nel mio negozio di 99 centesimi. Beatrice:    A proposito, ma che d’è ‘sta caffettiera che tiene ‘nmana?

Raimondo: T’’a vuo’ accattà?

Beatrice:    Ma è tale e quale ‘a mia.

Raimondo: E allora nun me movo cchiù ‘a ccà.

Beatrice:    Vabbuò, quanto costa?

Tekla:         Dieci Euro!

Beatrice:    Azz, ‘a badante sape pure ‘e prezzi! Comunque no, 10 euro sono troppi.

Raimondo: Facciamo 9 Euro e 90 centesimi!

Beatrice:    Ecco, mò sì. Aspiette, mò t’’e piglio.

                    Va alla credenza e prende i soldi da una zuccheriera vuota. Lui la osserva.

Raimondo: Uh, mannaggia, e penzà che lloco ddinto già aggio guardato. E chella

                    zuccheriera, po’, l’aggio tuccata pure!

Beatrice:    (Torna da lui coi soldi) Ecco qua, 10 Euro. (Glieli dà) Damme ‘a caffettiera.

Raimondo: (Gliela cede) Affare fatto!

Tekla:         Raimondo, dai me 10 Euro!

Raimondo: Subito. (Così fa) Azz, e comme staje pronta!

Beatrice:     Ma come, glieli dai a lei?

Raimondo: E sai com’è, io le pago lo stipendio a rate!

Beatrice:     E il resto?

Tekla:         Arrivederci.

Beatrice:    (La guarda male) Aggio capito, arrivederci, arrivederci.

Raimondo: Arrivoldolce!*                                                            *(pare che dica: “Arriva ‘o dolce”)

Beatrice:     Comme?

Raimondo: Arrivodolce!

Beatrice:     Ma comme parle brutto, Raimò. Comunque, jamme, jatevenne.

Raimondo: Salutami ad Alfredo e…

                    Suonano alla porta.

                    Tekla, va’ a arapì ‘a porta.

Tekla:         Subito.

Beatrice:     Aspié, addò vaje? Questa è casa mia. Devo aprire io la porta.

Tekla:         Tu non preoccuparti. Vado io aprire porta! Con permesso.

                    Esce via a destra. Beatrice pare stufa.

Beatrice:     ‘E che gghiurnata , oggie! Ma pecché nun me trovo ‘nu lavoro pur’io?

Raimondo: E che lavori a fare? Tuo marito fa il manager, guadagna bene, allora rilassati!

Beatrice:     Ma io voglio sapé chi sta trasenno d’’a porta. Tengo ‘o diritto?

Raimondo: E tra poco lo saprai.

                    Da destra torna Tekla, con Pasqua Di Domenica (moglie di Raimondo).

Tekla:         E’ signora Pasqua Di Domenica.

Raimondo: Ciao, tesoro!

Pasqua:       Puozze passà ‘nu guajo! Staje ancora ccà? A chi aspiette a turnà ‘o negozio.

Raimondo: Cuore mio, saluta un momento a Beatrice.

Pasqua:       Cià, Beatrì.

Beatrice:     (Seccata) Cià, cià.

Pasqua:       (Indica Tekla a Raimondo) E t’he’ purtata pure a ‘sta meza scema?

Tekla:         No, io non “meza scema”, io badante!

Pasqua:       Uhé, stattu zitta, o si no… o si no… Oddio, me sento male!

Raimondo: Presto, aiutiamola.

                    Raimondo e Tekla la aiutano a sedersi sul divanetto.

Beatrice:    Uh, mamma mia. Chiamo un’ambulanza?

Tekla:         No, no, ci vuole aceto.

Raimondo: Brava Tekla. Beatrice, prendi l’aceto. E pure il vino. E pure qualche birra.

Beatrice:     E che ce azzecca?

Raimondo: Tu non ti preoccupare. Corri, corri!

                    Beatrice corre subito al centro. Così subito Pasqua si rialza e i tre si mettono a

                    scavare nei mobili, nella credenza, sotto il divanetto e in ogni altro dove.

Raimondo: Forza, forza, facìte ambresso, facìte ambresso!

Pasqua:      E ‘nu mumento, damme ‘o tiempo.

Tekla:        (Prende un ombrello dal portaombrelli) Signor Raimondo, ombrello va bene?

Pasqua:      No, no, che ce ne amma fa’?

Raimondo: Ma chella ha domandato a me. Brava, Tekla, l’ombrello va bene. Però

                    muovetevi, prima che torna…

                    Riecco Beatrice con una boccetta d’aceto.

Beatrice:    Ecco l’aceto.

                    I tre la attorniano: Raimondo e Pasqua le si mettono sottobraccio, Tekla dietro.

Pasqua:      Ehm… no, adesso mi sento meglio!

Raimondo: E sì, forse è meglio che andiamo in camera da letto, così cerchiamo nei cassetti!

Pasqua:      No, vuole dire che mi metto sul letto.

Tekla:         Andare, andare!

                    E rientrano al centro.

4. [Alfredo, Marina e Mimì Siderurgico. Poi Beatrice e Pasqua]

                    Nello spogliatoio della PULISC, da sinistra entra Alfredo con una fasciatura

                    enorme sul dito (e una scatolina nell’altra mano). Marina è con lui.

Alfredo:      Ah, mannaggia ‘a capa toja. A ‘n’appoco, m’he’ segato ‘o dito!

Marina:      E scusami, ma io mi sono distratta guardando i tuoi occhi!

Alfredo:      Ma si io perdo ‘o dito, po’, a muglierema, chi ce ‘o ddice?

Marina:      Glielo dico io.

Alfredo:      A chi? (Poi si tocca il fondo schiena, dolorante) Ah, me fa male l’antitetanica! 

                    Come odio le siringhe. (Legge sulla scatolina) Qua c’è scritto… c’è scritto… 

Marina:      Io ti amo!

Alfredo:      No, sta scritto: “Agisce in mezz’ora”! (Getta via la scatolina) Uhé, jamme,

                     jesce fora, m’aggia vestì.

Marina:      No, io non mi muovo di qui. (E gli dà un bacio sulla guancia)

Alfredo:      E allora me vesto ‘o stesso! (Si volta all’armadietto, prende l’abito scuro e la

                    camicia e si veste sulla tuta) Aggia fa’ ambresso a turnà ‘a casa.

Marina:      E io?

Alfredo:      Tu te ne tuorne ‘a casa toja. Non ti basta che mi hai sfasciato un dito?

Marina:      Embé, se fossi io la padrona di questa fabbrica, ti licenzierei in tronco.

Alfredo:      E invece il padrone è il dottor Mimì Siderurgico, chillu fetaciato fetente!

                    Da sinistra ecco Mimì Siderurgico, titolare della fabbrica. Ha un pessimo alito.

Mimì:          Chiedo scusa.

Marina:      Oh, mio Dio!

Alfredo:      (Sconvolto) Il dottor Mimì Siderurgico!

Marina:      Devo andare, devo andare! Con permesso.

                    Esce via, tenendosi una mano sul muso a tapparsi il naso.

Alfredo:      Uh, Maronna ‘e ll’Arco!

Mimì:          Signor Valoroso, come vi sentite con quel dito?

Alfredo:      (Porta una mano davanti a bocca e naso) Benissimo, benissimo!

Mimì:          Volete che vi porto all’ospedale?

Alfredo:      No, no, per carità.

Mimì:          Scusate, ma perché state indossando l’abito scuro?

Alfredo:      Ehm… perché devo andare a una festa.

Mimì:          (Gli si avvicina e gli parla in faccia) Aspettate, ma fatemi vedere la ferita.

Alfredo:      P’ammore ‘e Dio!

                    Mezzo vestito, prende le sue cose (ventiquattrore compresa) e fugge via.

Mimì:           Aspettate!

                     Lo rincorre.

                     Più tardi, a casa Valoroso: dal centro, escono Beatrice e Pasqua.                     

Beatrice:     Pasqua, sono preoccupata perché mio marito doveva stare qua da parecchio, ma

                     ancora non si vede.

Pasqua:       Nun te prioccupà. Chillo se sarrà fermato certamente a parlà cu’ cocche amico. 

Beatrice:     No, ma Alfredo nun se ferma maje a parlà cu’ nisciuno.

Pasqua:       Allora sarrà juto certamente a giucà cocche schedina. 

Beatrice:     No, ma Alfredo nun joca maje, pecché ‘o calcio nun le piace.

Pasqua:       Allora sarrà juto certamente a s’accattà coccosa ‘o supermercato.

Beatrice:     No, ma Alfredo nun s’accatta niente ‘o supermercato, pecché ce vaco semp’io.

Pasqua:       Allora sarrà juto certamente… 

Beatrice:     No, ma Alfredo…

Pasqua:       (Seccata) E’ muorto certamente! Vabbuò?

Beatrice:     Grazie dell’incoraggiamento.

                    Ed esce via offesa nella porta centrale.

Pasqua:       Sarraggio strana, ma m’è venuto ‘nu dubbio: forse aggio ditto coccosa che nun

                     va? Mah! (La chiama) Beatrice…

                     La raggiunge.

5. [Alfredo e Raimondo]

                    Da destra, con chiavi della porta in mano, entra Alfredo, in abito scuro e

                    cravatta, con la fasciatura grande al dito pollice e le scarpe antinfortunistiche

                    ai piedi. Getta a terra la ventiquattrore e poi si abbatte sul divanetto, sfinito.

Alfredo:      Nun ce ‘a faccio cchiù!

                    Poi silenzio. Dal centro, entra Raimondo che si guarda intorno in stanza.

Raimondo: E chesta fosse ‘a casa ‘e ‘nu manager? ‘E che schifezza! Nun ce sta quase

                    niente che me pozzo vennere. (Poi prende la sedia che sta al muro) Chesta però

                    m’’a pozzo vennere! (E la mette sotto la giacca, con ovvie difficoltà)

                    Cosicché Alfredo smette la posizione di sdraiato e si siede, notando Raimondo.

Alfredo:      Raimò!

Raimondo: Eh? (Lo osserva, imbarazzato)

Alfredo:      Ma che staje facenno cu’ chella seggia sotto ‘a giacca?

Raimondo: Ma pecché, se vede?

Alfredo:      (Ironico) No, p’ammore ‘e Dio! Miettatella ‘int’’a sacca, è meglio!

Raimondo: E nun ce trase!

Alfredo:      Raimò, ma che staje cumbinanno? Vieniti a sedere vicino a me.

Raimondo: (Lascia la sedia, con rimpianto e va da lui) Cià, fraté! Grazie della visita!

Alfredo:     Ma si’ tu che ssi’ venuto addù me!

Raimondo: Ah, già. E che hai fatto al dito?

Alfredo:     No, niente, fesserie. Mi sono ferito mentre tagliavamo la carta.

Raimondo: Eh? Tu stive taglianno ‘a carta? E pecché? Mica faje l’operaio?

Alfredo:     (Mette una toppa) Ma cosa dici? E’ solo che noi manager dobbiamo saper fare

                    tutto. E io mi sono cimentato. Tutto qua.

Raimondo: Ah, ecco. (Poi gli nota le scarpe) E pecché tiene ‘e scarpe antinfortunistiche?

Alfredo:      Ah, ehm… perché sotto l’abito elegante ci stanno benissimo. Sono alla moda!

Raimondo: Sarrà, però si io jesse a ‘nu matrimonio, nun m’’e mettesse maje! (Poi gli

                    osserva la guancia) E ‘stu bacio che tiene ‘nfaccia che rrobba è?

Alfredo:     (Sconvolto) Ma pecché, se vede?

Raimondo: Azz!

Alfredo:     (Scatta in piedi, cancella il bacio e gironzola in stanza) Ehm… allergia!

Raimondo: A che cosa? All’uommene?

Alfredo:     Raimò, nun fa’ ‘o spiritoso!

Raimondo: (Si alza e gironzola, passandogli davanti, ironico) Non ti preoccupare. Questa è

                    la prova che ti piacciono ancora le donne!

                    Alfredo cerca di dargli uno scalpellotto dietro ma lo manca. Raimondo si volta.

                    Alfré, ma che ffaje?

Alfredo:     No, niente, stongo caccianno ‘na mosca! Dicevi?

Raimondo: Ma niente, dicevo che nella vita coniugale può succedere di trovarsi un’amante.

                    Alfredo cerca di dargli uno scalpellotto dietro ma lo manca. Raimondo si volta.

                    Alfré, ma che ffaje?

Alfredo:      Niente, ‘na zanzara!

Raimondo: Ma ‘sta casa è ‘na palude! Comunque, ti do un consiglio: non gettarti afflitto.

Alfredo:      E si nun ghietto ‘o flit, comme l’accido ‘e mosche e ‘e zanzare?!

Raimondo: Alfré, puoi stare tranquillo, io non dirò niente a tua moglie.

Alfredo:      (Gli si mette sottobraccio e lo porta a passeggio in stanza) Ma hai capito male.

                    Quella è una mia collega che… E come sta andando il negozio di 99 centesimi?

Raimondo: ‘Na bellezza. Tengo nuovi articoli da vendere ed altri ancora arriveranno.

Alfredo:      Ah, sì? E quando?

Raimondo: Eh, dipende ‘a te e ‘a mugliereta! No… nel senso che arriveranno presto. Ma

                    mò pecché nun ce fermamme? Io nun ce ‘a faccio cchiù a cammenà accussì.

Alfredo:      Hai ragione, Raimò. (Lo fa fermare e lo fa sedere sul divanetto, poi gli siede

                    accanto) E che prodotti nuovi tieni?

Raimondo: Cose bellissime. (Dalla tasca della giacca tira fuori la statuina di Pulcinella)

                    Guarda qua: Pullecenella!

Alfredo:      Uh, è tale e quale al mio. Ma sì, ora me lo compro, così faccio la coppia.

Raimondo: Costa 10 Euro.

Alfredo:      (Li prende dalla tasca) Affare fatto! (Prende il Pulcinella) Ora lo metto vicino

                     all’altro! (Si alza e va alla credenza) Voglio vedere come stanno insieme!

Raimondo: Nooo!

Alfredo:      Fammi fare, Raimondo. ‘A casa è ‘a mia e pozzo fa’ chello che voglio io!

                     Così Raimondo si alza ed esce via di casa, quatto, quatto. Invece Alfredoapre

                     la credenza e vi guarda da cima a fondo. 

                     Ma… nun capisco. Addò sta ‘o Pulcinella mio? Vabbuò, nun fa niente, ‘o

                     trovo aroppo. Per adesso ci metto il Pulcinella che mi hai venduto tu. Ecco qua.

                     Ti piace? (Si volta e non vede più Raimondo) Raimò, addò si’ gghiuto? Forse è

                     trasuto ‘int’’a cucina? Ma io nun l’aggio visto ‘e passà accà. Allora è asciuto

                     d’’a casa. (Si avvia all’uscita, commentando) Ma chi ‘o capisce, a chillo?!

                     Esce via di casa.

6. [Pasqua, Beatrice e Tekla. Poi Andrej, Marina e infine Alfredo]

                     Dal centro, tornano Beatrice, Pasqua (con una pila di piatti tra le mani) e

                 Tekla (con tovaglie, tovaglioli e un mattarello nelle mani).

Pasqua:   Cara Beatrice, grazie del caffè.

Beatrice: ‘O ccafé? Ma io nun l’aggio fatto cchiù!

Pasqua:   Ah, ehm…. Volevo dire, grazie dei biscotti.

Beatrice: Non tengo biscotti.

Pasqua:   E allora, grazie di esistere! Io e Tekla dobbiamo scappar… cioè, andare via!

Beatrice: Fate pure. (Nota gli oggetti che tiene in mano) Ma… che cos’è quella roba?

Pasqua:   No, niente, delle cose che devo vendere nel negozio “99 centesimi”.

Beatrice: Ma le hai portate prima? Io non te le avevo viste in mano.   

Pasqua:   E non ci hai fatto caso.

Beatrice: (Nota gli oggetti che ha Tekla) Ma… quella tovaglia è mia. La riconosco bene.

Tekla:      No, voi sbagliate! Questa tovaglia dobbiamo vendere in negozio 99 centesimi.

Beatrice: No, no, quella tovaglia è mia. Ci stanno ancora le macchie di vino sopra!

Pasqua:   (Richiama Tekla) Cretina, e tu vaje a piglià proprio ‘o mesale?

Beatrice: Eh?

Pasqua:   No, niente, una cosa tra me e lei!

Beatrice: (Tira la tovaglia di mano a Tekla) Ma miette ccà!

Tekla:      (Gliela tira di nuovo di mano) Ma questa è mia.

Beatrice: (Tira la tovaglia di mano a Tekla) No, è mia.

Tekla:      (Gliela tira di nuovo di mano) E’ mia.

                 Suonano alla porta.

Beatrice: Ringrazia a Dio che sta sunanno ‘a porta. Ma accomme torno, facìmme ‘e cunte!

                 Esce a destra. Pasqua allora rimprovera Tekla.

Pasqua:   Cretina, annascùnne subito ‘sta rrobba.

Tekla:     (Nasconde il tutto nel proprio giubbotto e chiude la cerniera) Va bene così?

Pasqua:   Brava! E mò truvàmme ‘o modo ‘e ce ne ì… senza dare nell’occhio!

                 Da destra entra Andrej, fidanzato geloso di Tekla, seguito da Beatrice.

Andrej:   Dove stare lei?

Beatrice: Ma chi?

Tekla:      Oh, no, Andrej!

                 Gira intorno al divanetto, inseguita da Andrej.

Andrej:   Disgraziata, non correre tu. Dove scappi?

Beatrice: Alt!

Andrej:   Che vuoi tu, signora?

Beatrice: Ma chi si’, tu?

Andrej:   Io fidanzato geloso di Tekla.

Pasqua:   Siente, vattenne mommò. Nuje stamme faticànno.

Andrej:   Non frega niente. Tekla viene con me.

Pasqua:   Si nun te ne vaje, te scasso ‘e piatte ‘ncapa!

Andrej:   Io non ho paura. Tekla, fidanzata traditrice!

Tekla:     Oddio, io ho paura!

Andrej:   Vieni qui!

                 Andrej insegue Tekla in cucina (al centro) che a sua volta è seguito da Pasqua.                

Pasqua:   Uhé, io nun pozzo correre!

                 Ed esce via.

Beatrice: Ma che cacchio sta succedenno, oggie?

                 Suonano alla porta.

                 E chi è, mò?

                 Va ad aprire e torna seguita da Marina. Beatrice la osserva con perplessità.

Marina:   Signora, buongiorno.

Beatrice: Ci conosciamo?

Marina:   No. Io mi chiamo Marina Di Ascea. 

Beatrice: Io Beatrice. Ma a che devo questa visita?

Marina:   Vede, io sono un’operaia della PULISC. Ho seguito fin qui l’uomo che mi ha

                 fatto perdere la testa! Erano anni che volevo farlo.

Beatrice: Ah, forse aggio capito ‘e chi state parlanno. E lo volete incontrare? Sta in cucina.

Marina:   (Sorpresa) Che cosa? E voi non avete nulla in contrario?

Beatrice: Ma che me ne ‘mporta, a me? Jate ‘int’’a cucina e pigliatavìllo!

Marina:   Ma… non capisco.

Beatrice: Ho detto, andate in cucina, forza!

Marina:   Va bene, va bene. Con permesso. Jahuuuu!

                 Esce via al centro.

Beatrice: Azz, a chesta le piace ‘o polacco. E chillo fa pure ‘o geluso cu’ ‘a ‘nnammurata!

                 Suonano alla porta.

                 Speramme ch’è Alfredo.

                 Va ad aprire e torna seguita da Alfredo.

                 Alfré, finalmente si’ arrivato. Ma addò si’ gghiuto fin’e mò?

Alfredo:   No, niente, fesserie. Stevo cercanno a mio fratello Raimondo.

Beatrice: (Nota il dito fasciato) E che hai fatto al dito?

Alfredo:   No, niente, fesserie. Mi sono ferito mentre tagliavamo la carta.

Beatrice: Eh? Tu stive taglianno ‘a carta? E pecché? Mica faje l’operaio?

Alfredo:   Pure tu, mò? Ma cosa dici? E’ solo che noi manager dobbiamo saper fare tutto. E

                 io mi sono cimentato. Tutto qua.

Beatrice: Ah, ecco. (Poi gli osserva le scarpe) E pecché tiene ‘e scarpe antinfortunistiche?

Alfredo:   Ah, ehm… perché sotto l’abito elegante ci stanno benissimo. Sono alla moda!

Beatrice: Capisco. (Poi gli osserva la guancia) E ‘stu bacio che tiene ‘nfaccia che rrobba è?

Alfredo:   (Stupito) Ma pecché, se vede ancora? Ehm… cioè, ma cosa dici? E’ un’allergia.

Beatrice: (Sospettosa) ‘N’allergia? E a che cosa?

Alfredo:   Ah, ehm…

                 Dalla cucina si sentono grida e rumori. Alfredo allora domanda a sua moglie.

                 Ma che sta succedenno, lloco ddinto?

Beatrice: Niente, ci stanno Pasqua, la badante di Raimondo e il suo fidanzato geloso. E poi

                 ci sta la spasimante del fidanzato geloso.

Alfredo:   Eh?

                 Dal centro entrano Pasqua, Tekla e Andrej (lui tiene per il braccio Tekla).

Andrej:    Disgraziata, io uccido te di botte!

Tekla:       No, no, pietà!

Alfredo:   (Va da lui) Eh, ma che succede qua? Tu chi sei?

Andrej:    Io Andrej!

Alfredo:   Addò vaje? M’he’ dicere primma chi si’!

Andrej:    Ma io Andrej!

Alfredo:   No, no, nun te mòvere ‘a ccà! Ma pecché vuo’ vattere a chesta?

Andrej:    Mia fidanzata.

Beatrice: E non la puoi picchiare, perché hai torto. C’è un’altra donna che ti sta cercando.

Tekla:        Che?

Pasqua:     (Gli schiaffeggia la mano che tiene il braccio di Tekla) ‘Stu ‘nfame!

Andrej:      Ma chi è? Io non so!

                   Dal centro torna Marina.

Marina:     Chiedo scusa, ma dov’è lui?

Beatrice:    Eccola, è lei!

Alfredo:     (La osserva e rimane sconvolto) Mamma ‘e ll’Arco! Io andrei!

Andrej:      No, io Andrej!

Alfredo:     E allora jammuncenne tutt’e dduje!

                   Andrej ed Alfredo scappano fuori casa.

Marina:     Amore mio, aspettaaaa!

                   Corre fuori casa anche lei. Beatrice e Pasqua si guardano perplesse.

Beatrice:    Pasqua, ma tu he’ ‘ntiso a chella Marina? Ha chiamato “amore mio” il polacco!

7. [Mimì e Demetrio. Poi Alfredo e Nello. Infine, Marina]

                   Il giorno dopo, ore 9 passate.

                   Nello spogliatoio della PULISC, ci sono Demetrio (che porta sul volto una

                   mascherina) e Mimì. Stanno parlando.

Mimì:        Capomastro Demente, scusi la domanda: come mai sta portando la mascherina?

Demetrio: Per parlare con lei! No, nel senso che… per non mischiarle batteri patogeni. 

Mimì:        La ringrazio per l’attenzione. E comunque le devo fare un richiamo ufficiale. Ha

                   visto? Il signor Alfredo Valoroso non si è presentato al lavoro. E sono già le 9.

Demetrio: E cosa c’entro io?

Mimì:        Ieri s’è tagliato un dito al settore pressa. Non deve scattare l’assicurazione.

Demetrio: Stia tranquillo, l’operaio Alfredo Valoroso fa tutto quello che dico io.

Mimì:        Però è strano: un operaio che viene al lavoro in giacca e cravatta e poi si cambia!

Demetrio: Mah! Però in compenso, è un tipo sveglio.

                   Proprio Alfredo (in abito scuro, ma trasandato) si presenta alla porta, mezzo

                   addormentato. Vi si appoggia e russa.

Mimì:        Questo sarebbe sveglio?

Demetrio: Eh, beh!

                   Alfredo, con gli occhi chiusi, si reca verso l’armadietto. I due gli fanno spazio.

Mimì:        Ma cosa fa? Il sonnambulo?

Demetrio: Valoroso, si svegli!

Alfredo:    Chi è? (Si volta e nota i due) Uh! Scusatemi tanto. (E si cambia velocemente)

Mimì:        Comodo, comodo, signor Valoroso. Tanto, lei già ha un ritardo di mezz’ora.

Alfredo:    (Mentre si cambia) No, il fatto è che la puntura conteneva una medicina che

                   porta la sonnolenza, allora la sveglia suonava, ma io non la sentivo.

Mimì:        (Gli si avvicina e gli parla in faccia) Non m’interessa questo!

Alfredo:    (A causa del pessimo alito di Demetrio, si mette spalle sull’armadietto e porta

                   una mano sul viso) Mamma miaaa!

Mimì:        Cosa fa?

Alfredo:    Mi dispero perché sono desolato!

Mimì:        (Gli parla in faccia) Io voglio sapere se il dito le fa male ancora.

Alfredo:    (Sofferente per l’alito) Per carità, non mi fa male!

Mimì:        E lei mi garantisce che non farà ricorso all’assicurazione?

Alfredo:      (Sofferente per l’alito) Glielo giuro su mia madre!

Mimì:          Bravo! (Poi si volta verso Demetrio) Andiamo!

                    Ma entrano Nello e Marina che appena lo vedono, si bloccano. Mimì li saluta, 

                    parlandogli a breve distanza.

                    Buongiorno!

                    I due portano le mani al viso, voltandosi di scatto. Mimì richiama Demetrio.

                    Ha visto? Questa è l’educazione dei suoi operai: non salutano nemmeno. Ma

                    ora so io cosa fare. Parola di Mimì Siderurgico!

                    Mimì esce via. Demetrio dice ancora qualcosa ai tre.

Demetrio:   Un’altra volta imparate a lavorare senza mascherina!

                    Esce via anche lui. I due vanno da Alfredo.

Nello:          Alfré, tutt’a posto?

Alfredo:      M’ha squagliato’a faccia, chillo!

Marina:      Ma perché hai fatto così tardi, stamattina?

Alfredo:      E tu pecche’ aiére si’ venuta ‘a casa mia? (Finisce di cambiarsi) Hai rischiato

                     di mettermi nei guai con mia moglie.

Nello:          Uhé, a tutt’e dduje, basta a parlà ‘e scimmità! Ora parliamo di cose serie.

Marina:      E già. (Preoccupata) Alfredo, ci sono dei problemi.

Alfredo:      In che senso?

Nello:          Mimì Siderurgico vuole tagliare alcuni operai.

Marina:      Gli unici a salvarsi sono i manager.

Alfredo:      Ah, embé, io songo manager!

Nello:          Alfré, io parlo dei manager, quelli veri.     

Marina:      Alfredo, qua il momento è grave.

Nello:          E già. Rischiamo il licenziamento.

Marina:      No, ma il problema è che poi io ed Alfredo non ci possiamo più sposare!

I due:          Ma vatténne!

Alfredo:      Sentite, io avrei un’idea: se ci vogliono licenziare, noi minacciamo il suicidio.

Marina:      (Entusiasta) Uh, io sono d’accordo. Se non posso vivere con te, voglio morire

                    insieme a te.

Nello:          (Non convinto) Ehm… facciamo così: poi ci pensiamo. Ora andiamo al lavoro.

Alfredo:      E andiamo. Tanto, io non ho paura. (Ed esce a sinistra)

Marina:      E nemmeno io. (Ed esce pure lei)

Nello:          Io invece sì! (Ed esce pure lui)

8. [Beatrice, Tekla, Raimondo e Andrej. Infine Alfredo e Mimì]

                    A casa Valoroso, Beatrice è sul divanetto. Legge un libro. Suonano alla porta.

Beatrice:    Uffà, sempre questa porta. (Si alza in piedi) Non riesco mai a leggere il mio  

                    libro preferito: “Cappuccetto rosso”!

                    Va ad aprire. Poi torna seguita da Tekla e Andrej (litiganti) e Raimondo.

Andrej:       Tu malafemmina!

Tekla:         Come permetti tu?

Andrej:       Io permetto perché tu tradisci me.

Tekla:         Non vero, non vero.

Beatrice:    Oh, e calmatevi! Raimò, ma pecché m’he’ purtato a ‘sti duje ccà ddinto?

Raimondo: Pecché se stevene appiccecanno ‘a casa mia, e io nun ‘e suppurtavo cchiù!  

Beatrice:     E allora?

Raimondo: Falle appiccecà ‘a casa toja. Po’, quanno fernéscene, m’he’ manne ‘a casa mia!

Beatrice:    Ma che? Portali ad appiccicarsi in mezzo alla strada.

Andrej:      Signora, tu devi fare appiccicare noi! Non devi interrompere.

Tekla:         In nostro paese c’è più libertà.

Andrej:      Mai possibile che in Italia sempre così scostumati?

Tekla:         Io e Andrej vogliamo rispetto.

Beatrice:    (Spazientita) Oh, e basta! Mò me state scuccianno overamente. Avìte capito?

Raimondo: Beatrice, ma cosa sono questi modi? (Si siede) Io ti ho sempre consideratauna

                    donna al di sopra delle parti.

Beatrice:     (Gli siede accanto) Veramente? In che senso?

Raimondo: Dunque…

                    Raimondo, senza farsi notare da lei, con la mano fa segno ai due di andare. Ed

                    essi, dopo aver tirato fuori due sacchi vuoti, entrano nella porta al centro. Così

                    Raimondo parla con Beatrice (e ogni tanto guarda la porta dietro di loro).

                    Devi sapere che, quando conoscesti mio fratello, io già ero innamorato di te.

Beatrice:    (Adulata) Ma non me l’avevi mai detto.

Raimondo: E già. Ma ‘sti duje scieme quantu tiempo ce mettene?!

Beatrice:    Quali scieme?

Raimondo: ‘E scieme? Ah, ehm… io sto parlando ancora del passato. Anni fa dissi: “Ma

                    ‘sti duje scieme quantu tiempo ce mettene… a se fidanzà?”…

Beatrice:     Ah, ecco. E così io e Alfredo ci siamo messi insieme. Ma tu poi hai sofferto?  

Raimondo: Io? Uff! (Osservando verso la porta al centro) Embé, mò me ne vaco proprio!

Beatrice:     Te ne vaje? Perché?

Raimondo: Ehm… nel senso che, appena vidi che voi due vi eravate fidanzati, me ne andai.

Beatrice:     Come sei romantico!

Raimondo: Comme si’ scema!

Beatrice:     Hai ragione, sono scema. Tuo fratello non era adatto a me. Forse eri meglio tu.

Raimondo: (Osservando verso la porta al centro) Oh, ma quanto ce vo’?

                    Dalla porta centrale, escono i due coi loro sacchi pieni di roba e un coperchio

                    di pentola in mano a testa. Andrej fa cadere il coperchio. Raimondo si dispera.

Beatrice:    Ch’è stato? (Si alza e li osserva) E che ci fanno questi due con quei coperchi?

Raimondo: (Si alza, raccoglie il coperchio, lo cede ad Andrej) Ehm… niente, combattono! 

                    I due fingono di sfidarsi a singolar tenzone. Lei li stoppa.

Beatrice:    E basta! Piuttosto, ditemi che cosa tenete in quei sacchi.

Raimondo: Oh, no!

Beatrice:    E perché fai quella faccia? Voglio comprare le cose che hanno loro. Pure i  

                    coperchi. Anche se devo dire che sono tali e quali ai miei.

Andrej:      Signora, ma voi pagate?

Raimondo: Cretino, e se capisce che pava! Mica s’’e piglia gratis? Non farci caso, Beatrice.

Beatrice:    Ma si può avere uno sconticino?

Tekla:         No, non possibile!

Raimondo: Imbecille, ma certo che si può avere lo sconticino.

Beatrice:     Bene, allora mi avvio in cucina. Seguitemi.

                    Così fa, Raimondo la incita.

Raimondo: Vai, vai, vai pure. (Appena uscita, lui ammonisce i due) Scié, ringraziate a Dio

                    che chella è cchiù scema ‘e vuje! Jamme a vennere, jamme!

                    I tre entrano al centro. Da destra, invece, entra Alfredo: è in tuta da lavoro

                   (anziché in abito elegante) e la ventiquattrore. Parla al telefono con Mimì.

Alfredo:     Pronto, chi è?

Mimì:         Signor Valoroso, sono il suo titolare: Mimì Siderurgico!

Alfredo:     (Copre il cellulare) Uh, ‘o fetaciato! Giesù, ‘o ciato ‘e chisto se sente pure pe’

                    dint’’o telefono! (Riprende a parlare, col naso tappato) Ma prego, dica pure.

Mimì:         Ma lei è raffreddato?

Alfredo:     No, c’è puzza! Cioè… va bene, mi capisco io. E come mai mi ha telefonato?

Mimì:         Ho saputo che tra gli operai serpeggia malumore, visto che forse devo licenziare

                    molta gente. E per questo motivo, hanno delegato uno di loro per fare da

                    sindacalista. E vuol sapere chi è questo imbecille?

Alfredo:     Chi è?

Mimì:         Lei!

Alfredo:     Io? Ma io nun saccio niente. Mi hanno delegato a mia insaputa.

Mimì:         (Si altera) Dite tutti così, quando venite scoperti!

Alfredo:     (Allontana un po’ il telefono) Mamma ‘e ll’Arco! Chisto me sta appestanno!

Mimì:         Ora vengo a casa sua e ne parliamo. Assolutamente. Capito? (E riaggancia)

Alfredo:     (Riavvicina il telefonino all’orecchio)Dottore, scusi, non ho capito le ultime

                    parole, per colpa della puzz… cioè, di un’interferenza! Dottore! Pronto, pronto!

                    (Chiude il cellulare) Comme ‘o schifo, a chisto!

                    E si abbatte sul divanetto.

9. [Alfredo, Raimondo e Beatrice. Poi Mìmì, Nello e Marina. Infine Andrej e Tekla]

                    Mentre Alfredo riposa, dal centro riecco Raimondo (conta dei soldi) e Beatrice.

Raimondo: Sono 70, sono 80, sono 90, 100 Euro tondi tondi!

Beatrice:    Però mi sembra un po’ caro 100 Euro per 4 bicchieri, un mattarello, 3 tovaglie

                    natalizie, 2 pentole e 2 coperchi.

Raimondo: Beatrì, ma tu stai scherzando? Quelle sono cose di marca.

Beatrice:    Sarà, ma somigliano tanto alle cose che tengo io in cucina. Io le ho comprate,

                    così dopo getto via le vecchie.

Raimondo: Ecco, brava. Però ti raccomando: non dire niente ad Alfredo. Tanto, quello non

                    ci fa nemmeno caso che tu compri le cose per la casa.

Alfredo:     (Si alza in piedi e si rivolge ai due) E chi te l’ha ditto?

Beatrice:    Uhé, Alfré, mò si’ turnato?

Raimondo: (Osserva la tuta da lavoro) Ma… ma… Alfré, comme staje vestuto?

Beatrice:     E già, overamente!

Alfredo:     (Constata) Uh, mamma mia, m’aggio scurdato!

Raimondo: Che t’he’ scurdato?

Alfredo:     ‘E me cagnà! No, cioè… ma perché vi meravigliate? Queste sono le nuove tute

                    dei manager della PULISC!

Beatrice:    Che cosa? Ma tu me pare ‘n’operaio!

Alfredo:     Ma cosa sono questi paroloni? Operaio. A me!

                    Se la ride. Suonano alla porta. Alfredo continua a ridersela.

                    Beatrì, va’ a arapì ‘a porta, pe’ piacere.

Beatrice:     E vabbuò.

                    Va a destra. Alfredo si avvicina a Raimondo.

Alfredo:      Caro fratello, hai venduto qualcosa a Beatrice. E’ così?

Raimondo: Ehm… sì, ma poca roba.

Alfredo:      Bravo, i tuoi affari vanno bene. Un giorno mi farai conoscere il tuo fornitore?

Raimondo: E comme, azz! Va bene, ora io vado. Arrivoldolce!*            *(pare che dica: “Arriva ‘o dolce”)                                         

Alfredo:      Comme?

Raimondo: Arrivodolce!

Alfredo:      Qualu dolce?

Raimondo: Nisciunu dolce. Stongo salutanno.

Alfredo:      Allora, arrivederci! Ma addò vuo’ ì? Adesso ci divertiamo un poco.

                    Torna Beatrice, seguita da Mimì Siderurgico.

Beatrice:    Alfredo, ci sta il tuo datore di lavoro.

Alfredo:     Oh, cacchio!

Mimì:         Signor Valoroso.

Beatrice:    Ma che signor Valoroso? Mio marito è dottore!

Alfredo:     Stattu zitta! Ehm… dottor Siderurgico, mi dispiace ma ora devo uscire. Addio!

Mimì:         No, lei mi deve cortesemente dedicare cinque minuti. (Va da lui)

Alfredo:     (Lo osserva con terrore, per il suo alito pesante) Oh, no!

Raimondo: E vabbuò, Alfré, ma che te costa? Perché non vuoi parlare con lui?

Mimì:         (Gli parla in faccia, alitando verso lui) Grazie!

Raimondo: (Colpito dal suo alito) Uh, Marò! Mò aggio capito pecché nun ce vuo’ parlà!

Beatrice:    (Anche lei sente la puzza) E aggio capito pur’io! Sentite, perché non vi mettete

                    nell’altra stanza? Così state più tranquilli.

Alfredo:     He’ lassato ‘a fenesta aperta?

Beatrice:    Sì.

Alfredo:     (Rassegnato) E ghiammuncenne a parlà dinto. Prego, dottor Siderurgico.

                    Gli fa strada al centro e i due escono lì. Raimondo fa aria con le mani.

Raimondo: Ma che tene chillo ‘mocca? ‘A Solfatara ‘e Pozzuoli?

Beatrice:     Speriamo che se ne va presto.

Raimondo: E mò me ne vaco primm’io.

Beatrice:     E Andrej e Tekla non te li porti via con te?

Raimondo: Ma no, appena si sono pigliati altra roba… cioè, se ne tornano da soli.

Beatrice:     Va bene, ti accompagno all’uscita.

                    I due escono a destra. Poco dopo, Beatrice torna seguita da Marina.

                    Ancora lei? Ma non le è bastato fare tutto quel casino ieri?

Marina:      Signora, lei deve comprendere una donna innamorata. E le chiedo perdono.

Beatrice:     E di che? A me non interessa nulla. Faccia quel che vuole. Se lo prenda pure.

Marina:      Senta, lei mi deve spiegare una cosa: ma perché non lo vuole più?

Beatrice:     Veramente, io non l’ho mai voluto. Adesso sta in cucina con quella tale Tekla.

Marina:      Un’altra donna? E lei lo lascia fare? Anzi, li lascia fare?

Beatrice:     Guardi, ora tengo altro per la testa. Vada in cucina e faccia quel che deve fare.

Marina:      Non capisco, ma mi adeguo. Con permesso.

                    Esce beatamente nella porta centrale.

Beatrice:     Cose ‘e pazzi! Chillu polacco l’ha fatta overamente perdere ‘a capa.

                    Suonano alla porta.

                    A me invece è ‘a porta che me sta facenno perdere ‘a capa!

                    Esce a destra. Dal centro tornano Alfredo e Mimì.

Mimì:         Cosa? Sua moglie crede che lei sia un manager, mentre lei solo è un operaio?

Alfredo:    Sì, ma non gridi. E poi non si preoccupi: mi abbassi pure lo stipendio, ma non

                  mi licenzi. La prego.

Mimì:       (Gli poggia una mano sulla spalla) Senta, signor Valoroso…

Alfredo:   (Si allontana un po’, tenendo la mano in faccia e voltandosi) Mamma mia!

Mimì:       No, si volti. Io volevo dirle una cosa. Dopo tanto tempo, riuscirò a dirglielo.

Alfredo:   E cioè?

                 Da destra torna Beatrice seguita da Nello.

Nello:       Beatrice, per favore, aiutami.

Beatrice: Non ti preoccupare. Ti aiuterò.

Nello:       Grazie. (Le prende la mano)

Alfredo:   Che cosa? (Scansa Mimì e va da loro) Néh, ma pecché staje ccà, Nello? (Gli

                  schiaffeggia la mano) E lasse sta’ ‘a mana ‘e muglierema!

Nello:       Ma… ma… che cosa pensi? Io non voglio far niente con Beatrice. Io invece…

                 Dal centro tornano Marina, Andrej e Tekla litigando (gli altri fanno spazio).

Tekla:      Signora, lei deve finire di correre dietro mio fidanzato. Capito?

Andrej:    Io sono già impegnato con mia Tekla!

Marina:   Oh, ma chi ‘o vo’ a chisto? Io sono innamorata di Alfredo Valoroso!

Beatrice: Che?

Nello:       Beatrì, liévete ‘nu poco ‘a nanzo! (La scansa) Marina, ma io ti amo!

Marina:   Ma non hai capito che amo Alfredo?

Beatrice: E pure io lo amo!

Mimì:      (Improvvisamente, effeminato) E pure io!

Gli altri:  (Sconvolti) Eh?

               

FINE ATTO PRIMO

Casa di Alfredo Valoroso e spogliatoio della PULISC SRL: è il giorno dopo.

ATTO SECONDO

1. [Beatrice e Alfredo. Poi Raimondo e Pasqua]

                     Beatrice è seduta sul divanetto, imbronciata. Alfredo, in piedi, le parla vicino.

                     E’ vestito col suo abito elegante (ma dai pantaloni si nota il pannolino).

Alfredo:      Beatrì, e mò basta. Ma me vuo’ sta’ a sentì? Sto risolvendo il problema della

                     pipì a letto. Voglio farti vedere una cosa. (Da dietro il divanetto prende uno

                     scatolone di pannolini) Hai visto? Ti ho accontentato. Mi sono messo il

                     pannolino. (Poi posa lo scatolone) Non so se si nota da sotto al pantalone.

Beatrice:     (Lo osserva per un momento, poi risponde lapidaria) ‘E che cunsulazione!

Alfredo:      Beatrì, io l’ho capito: tu stai arrabbiata con per ieri. Ma io non ti ho fatto niente

                     di male. Che colpa ne tengo se la mia collega si è innamorata di me?

Beatrice:     (Si alza e va a sedersi sulla sedia al muro) Collega? Quella è un’operaia, tu no.

Alfredo:      Ma io sono democratico. La chiamo “collega” perché lavoriamo nella stessa

                     fabbrica. Io ho fatto di tutto per farle capire che sono sposato con te. Non ci

                     posso fare niente se non lo ha capito. Però l’ho sempre rifiutata. Puoi giurarci.

Beatrice:     (Si alza e va a sedersi sul divanetto) E il tuo datore di lavoro?

Alfredo:      Rifiuto pure lui! E lo faccio per te. Beh, veramente, lo rifiuterei lo stesso, anche

                     se non fossi sposato con te. Insomma, io sono una vittima. Non mi condannare.

Beatrice:     (Si alza e va a sedersi sulla sedia al muro) Ma chi ti condanna?

Alfredo:      (Seccato) Beatrì, ma ‘a vuo’ fernì ‘e cagnà posto? Me staje facenno ì annanzo e

                     areto. Siediti e ascoltami un momento.

Beatrice:     (Si alza e gli parla a muso duro) Sentimi bene, voglio dimenticare tutta questa

                     storia. Ma tu mi devi giurare che questo è l’unico segreto che mi hai nascosto.

Alfredo:      (Dopo un attimo di imbarazzo) E’ l’unico segreto che ti ho nascosto.

Beatrice:     Oh, meno male.

                     Lo abbraccia per pochi attimi, ma lui non contraccambia l’abbraccio.

Alfredo:      Bene, adesso vado, se no faccio tardi al lavoro. E ti raccomando, se mio fratello

                     bussa alla porta con la badante e il suo fidanzato geloso, tu non aprire. Capito?

Beatrice:     No, non ti preoccupare. Ora vai, caro.

Alfredo:      OK! (Prende la ventiquattrore, s’avvia all’uscita, poi si ferma dubbioso) Però

                     ce sta ‘na cosa strana: stanotte ho dormito col pannolino, ma stamattina ho  

                     trovato di nuovo le lenzuola bagnate. Forse il pannolino sarà difettoso! Mah!

                     Esce via. Beatrice va alla credenza e prende un foglio ed una penna. Poi si

                     siede sul divanetto e scrive.

Beatrice:     Adesso preparo il mio curriculum vitae. Basta, ho deciso di lavorare anch’io.

                    Mentre Beatrice scrive, alle sue spalle (dalla porta centrale), silenziosi,

                    entrano Raimondo e Pasqua.

Raimondo: Trase chiano, nun fa’ rummore.

Pasqua:      Raimò,parìmme duje marjuole!

Raimondo: Nun dicere scimmità. Noi stiamo entrando di nascosto, perché se bussiamo alla

                    porta, disturbiamo! (Nota Beatrice seduta) Uh, guarde chi ce sta: Beatrice!

Pasqua:      Facciamole uno scherzo. Sai come sarà contenta di vederci!

                    I due le si avvicinano da dietro e poi…

I due:          Bu!

Beatrice:    (Salta in piedi dallo spavento) Mamma mia, mamma mia…!

Pasqua:      Ma che d’è? S’è spaventata?

Raimondo: No, se penza ch’è ‘a mamma soja!

Pasqua:      (Le si appaia)Beatrì, ma mica te si’ spaventata?

Raimondo: (Le si appaia) Fatte ‘na resata!

Beatrice:     Vuje? Ma io nun l’aggio ‘ntisa ‘a porta.

Raimondo: ‘A porta? Ma noi siamo entrati per la finestra della cucina per non disturbarti.

Beatrice:     (Ironica) Ah, ecco, perché adesso non mi avete disturbata!

Pasqua:       E che stai facendo?

Beatrice:     Niente, sto scrivendo il mio curriculum vitae. Basta, ho deciso, voglio lavorare.

Pasqua:       E dove lavori? Chi ti piglia alla tua età?

Raimondo: Ma che domande sceme so’ cheste? Lei può lavorare nella PULISC!

Pasqua:       Eh, è ‘na parola!

Raimondo: Pasqua, ma si’ scema? Lei tiene un marito manager. La può raccomandare lui.

Pasqua:       E già, he’ raggione! Fai una cosa, Beatrice: fagli una sorpresa.

Beatrice:     Ma certo: tra poco porto il curriculum di nascosto al suo datore di lavoro.

Raimondo: Chesta sarrà ‘a surpresa cchiù bella d’’a vita ‘e Alfredo!

                    I tre se la ridono.

2. [Alfredo e Nello. Poi Marina. Infine Demetrio]

                   Nello spogliatoio della PULISC, Alfredo sta togliendo l’abito scuro e si nota la 

                   tuta col pannolone sopra. Lo toglie via. Nel posarlo sulla panchina, nota una

                   rosa. La prende. Intanto da dietro entra Nello.

Alfredo:    ‘Na rosa pe’ me? Ah, aggio capito: chesta sarrà ‘e Marina. (Poi si preoccupa) E

                   si invece me l’ha lassata Mimì Siderurgico? 

Nello:         Cioè, l’aggio lassata io.

Alfredo:     Che? Oh, no! Te si’ ‘nnammurato pure tu ‘e me?

Nello:         Cioè, ma che staje dicenno? Quella rosa l’ho lasciata io per Marina.

Alfredo:     E pecché sta annanzo all’armadietto mio?

Nello:         Perché lo avrà rifiutato. Alfré, cioè, ma tu sei un amico?

Alfredo:     Nello, nun te saccio rispondere. Non so più chi mi è amico e chi no.

Nello:         E allora, se mi sei amico, parlale e convincila che io sono l’uomo della sua vita.

Alfredo:     Lo farò sicuramente, per te e pure per me! (Nota qualcosa nella ventiquattrore)

                   Mannaggia ‘a miseria, m’aggio scurdato ‘e scarpe antinfortunistiche!

Nello:         E che ffa?

Alfredo:     E secondo te, io pozzo ì a faticà vicino ‘a pressa cu’ ‘e scarpe classiche?

Nello:         E già. Ma poi, chi lo sente a Demetrio Demente?

Alfredo:     (Prende il pannolone) Fai così: procurami un paio di scarpe antinfortunistiche.

Nello:         Nun te prioccupà, m’’o vvech’io!Io vado e vengo subito, e… (Nota il

                   pannolone) Alfré, ma t’he’ miso ‘a pannolone? (Se la ride) Ahahahahah!

                   Ed esce via.

Alfredo:    E che tene ‘a ridere? ‘O scemo!(Ripone l’abito nell’armadietto)

                   Da sinistra, giunge Marina. Lo nota e gli pone le mani sugli occhi, da dietro.

                   Marina! Riconoscerei le tue mani tra duecento. (Si volta e mostra il pannolone

                    in mano) Senti…

Marina:     (Nota il pannolone…) Uh!(E comincia a ridere)

Alfredo:     Ah, ehm… no, nun è niente. Un errore di abbigliamento. Questo non è mio.

                   Senti, io ti devo parlare di una cosa seria.

Marina:     (Ridendo) Dimmi…!

Alfredo:     Marì, io nun pozzo parlà cu’ te che me ride ‘nfaccia!

Marina:     (Ridendo) E tu tieen chillu pannolone ‘nmana!

Alfredo:     Aggio capito, jamme! (Apre l’armadietto e lo getta dentro) Ora posso parlare?

Marina:     Sì, dai.

Alfredo:     Molto bene. Marina, quello che è successo in questi giorni, non dovrà accadere

                    mai più. Tu non puoi venire da mia moglie a rovinare la nostra vita. Io e lei

                    siamo sposati. Fattene una ragione. E ti do un consiglio: accontentati di Nello!

Marina:     Capisco. Va bene. (Si volta e si avvia fuori, ma si sente chiamata da Alfredo)

Alfredo:     ‘Nu mumento, e te ne vaje accussì?

Marina:     E certo. Fai presto a metterti le scarpe antinfortunistiche, dobbiamo lavorare.

                   Ed esce via. Alfredo rimane perplesso.

Alfredo:     Vabbé, in fondo è stato meno difficile del previsto.

                   Alfredo guarda di fuori se c’è qualcuno, poi torna all’armadietto, lo apre e vi

                   estrae di nuovo il pannolone. Non notato, da dietro giunge Demetrio che lo

                   osserva parlare da solo col pannolone in mano.

                   Caro mio, non mi dire niente. Alla mia età, faccio ancora la pipì a letto. Ma io ti 

                   ho messo sulla tuta per fare fessa e contenta a mia moglie. E… (Si volta e nota

                   Demetrio che lo osserva. Così mette una toppa) Questi scherzi io non li tollero.

                   Qualcuno mi ha messo un pannolone nell’armadietto!

Demetrio: E le scarpe antinfortunistiche dove stanno?

Alfredo:    Ehm… in questo momento sono sottoposte a lavori di riqualificazione!

Demetrio: Niente di meno? (Ironico) He’ fatto ‘na gara d’appalto?

Alfredo:    No, e quelle poi…

Demetrio: Silenzio! Mio caro Alfredo Vittorioso, tu stai sulla cattiva strada. Invece di

                   preoccuparti se tua moglie ti crede un manager oppure no, accontentati di

                   conservare il lavoro di operaio, che è meglio.

Alfredo:    Ma io come devo fare? E’ il titolare che decide.

Demetrio: Mimì Siderurgico? Te lo devi tenere buono. Fai quello che ti chiede lui.

Alfredo:    Pe’ carità. Chillo s’è fissato cu’ me!

Demetrio: Ci sta gente che vorrebbe stare al posto tuo.

Alfredo:    Ma perché, lei lo farebbe?

Demetrio: E che c’entro io? Mica rischio il licenziamento?! Caro mio, io non rischio niente.

                   Dalla porta a sinistra vengono scagliate due scarpe antinfortunistiche che però

                   colpiscono Demetrio. Il quale rimane sorpreso.

                   E che è? Sono stato colpito da due scarpe antinfortunistiche? E chi l’ha menate?

Alfredo:     No, nessuno. (Prende le scarpe) Scarpe volanti!

Nello:         (Da fuori, bisbigliando) Alfré, t’aggio purtato ‘e scarpe. Fa’ ambresso, primma

                   che te scopre chillu demente ‘e Demetrio Demente!

Demetrio: (Sbircia fuori) Ma chi è?

Alfredo:    Ehm… ma nessuno.

                   Entra Nello.

Nello:         Alfré… (Nota Demetrio e lo saluta) Buongiorno, arrivederci!

                   Nello esce via.

Demetrio: Alfré, fa’ ambresso. Staje ‘n’ata vota in ritardo.

                   Esce via. Alfredo osserva le scarpe antinfortunistiche.

Alfredo:    Ma che m’ha pigliato, Nello? ‘Sti scarpe so’ piccerelle. Non mi vanno. Uffa!

                   Esce via anche lui.  

3. [Beatrice e Pasqua. Poi Andrej e Tekla. Infine Alfredo]

                      

                   Casa Valoroso:  Beatrice e Pasqua sono sedute al divanetto.                   

Beatrice:   Pasqua, lo sai che il signor Mimì Siderurgico ha deciso di assumermi?

Pasqua:     Uh, come sono contenta! E quando cominci?

Beatrice:   Domani mattina.

Pasqua:     E Alfredo è contento?

Beatrice:   Non lo sa ancora. E io non glielo dico. Sai cosa faccio? Mi presento direttamente  

                   al suo cospetto. Sarà una sorpresa mondiale!

Pasqua:     Lo penso pure io. Allora adesso dovrai parlare come parla lui.

Beatrice:   In che senso?

Pasqua:     Come un laureato manager.

Beatrice:   E chi sa parlare come lui?

Pasqua:     Ma che ce vo’? Per esempio, ieri stavo leggendo su Eva 3000: quando gli chiedi

                   se ha fame, non dirgli se vuole mangiare, ma se vuole manducare.

Beatrice:   Manducare? Sì, sì, glielo chiederò.

Pasqua:     Brava. E com’è questo datore di lavoro, Mimì Siderurgico?

Beatrice:   Niente di che, ma il problema è un altro: tene ‘nu ciato esaggerato!

Pasqua:     Uh, e Alfredo lavora con una persona così puzzolente?

Beatrice:   E quello è un manager. Tiene il naso più forte degli altri.

Pasqua:     A proposito, ma Alfredo fa ancora la pipì a letto?

Beatrice:   ‘Nu mumento, ma tu comm’’o ssaje?

Pasqua:     Ehm… beh…

                   Dal centro entrano Andrej e Tekla, contendendosi una valigia trolley.

Andrej:     Ehi, questa mia! Tu togli mani da qui sopra!

Tekla:       No, questa mia. Trovata prima io.     

Andrej:     Tu sbagli, trovata prima io.

Tekla:       Io!

Andrej:     Io!

Beatrice:  (Va dai due, arrabbiata) Oh, ma che sta succedenno? Pecché v’appiccecate?

Andrej:     Questa è valigia trolley. Se tu vuoi comprare, 100 Euro!

Beatrice:   Ma chesta è ‘a mia! Ce sta pure ‘o nomme ‘a coppa!

Pasqua:     (Accorre subito) Scusali, Beatrice. (Li guarda male) Nun sapite manco arrubbà!

Beatrice:   Arrubbà?

Pasqua:     No, hai capito male. Io ho detto una parola polacca! Ma ora ce ne andiamo.

Tekla:        Ma noi dobbiamo prendere ancora…

Pasqua:     Stattu zitta. Noi ce ne dobbiamo andare, perché tra poco torna Alfredo stanco.

                   Da destra entra proprio Alfredo (con le chiavi di casa in mano, in abito scuro).

Alfredo:    Buonasera.

Pasqua:     Ah, eccolo qua. Ciao Alfredo, noi andiamo.

Alfredo:    E a chi aspettate?

Pasqua:   Ecco. Arrivederci. Salutate!

Andrej:   Arrivodolce*!                                                                                       *(come dice sempre Raimondo)

Alfredo:  Chisto parle comm’e Raimondo!

Tekla:     Andare, andare!

                Pasqua, Andrej e Tekla escono via. Alfonso rifiata, Beatrice lo osserva maliziosa.

Alfredo:  (La nota) Ma che d’è? Pecché me guarde accussì?

Beatrice: Niente, io tengo questo bel marito!

Alfredo:  Aggio capito, coccosa vaje truvanno ‘a me!

Beatrice: (Gli siede accanto) No, volevo chiederti solo una cosa: vuoi manducare?

Alfredo:  Comme?

Beatrice: Vuoi manducare?

Alfredo:  Beatrì, se “manducare” significa quel che penso io… voglio manduca fin’e

                 dimane e matina!

Beatrice: No, ma manducare significa mangiare.

Alfredo:  Ah, ecco. E invece direi di manducare come pensavo io. Tanto, tra non molto non

                 succederà mai più!

Beatrice: Cioè?

Alfredo:  No, niente. E’ una cosa che so io. Una sorpresa! Ma tu perché sei così sorridente?

Beatrice: Sono felice.

Alfredo:  E perché?

Beatrice: Una sorpresa!

Alfredo:  Di che si tratta?

Beatrice: E no, tu non mi vuoi dire la sorpresa tua, io non ti voglio dire la mia.

Alfredo:  (Si alza in piedi) E allora io me vaco a mettere ‘nu poco ‘ncoppa ‘o lietto.

Beatrice: Vai, vai pure.

                 Alfredo esce nella porta centrale. Beatrice lo osserva uscire, poi anche lei entra

                 per un momento nella porta centrale e ne esce con una cruccia che regge una

                 tuta da lavoro. La indossa sugli abiti e nel contempo commenta.

                 Il primo lavoro della mia vita. Anche se mi pagano una miseria, sempre meglio di

                 niente. Coi soldi mi ci compro tante e tante scarpe! Così non devo dipendere più

                 dal mio manager! (Si osserva la tuta) Ecco qua. Però mi sta bene!  

                 Poi torna via al centro.

4. [Nello e Marina. Poi Alfredo. Demetrio e Beatrice]

                 Il mattino seguente, ore 8.05, nello spogliatoio della PULISC:

                 Nello, inginocchiato, recita una poesia a Marina.

Nello:      “Mi sono innamorato di Marina, una ragazza mora, ma carina. Ma lei non vuol

                 saperne del mio amore. Cosa farò per conquistarle il cuor? Un giorno la incontrai

                 sola, sola, il cuore mi batteva a mille all’ora. Quando le dissi che la volevo amare,

                 mi diede un bacio e l’amor sbocciò. Marina, Marina, Marina, ti voglio al più

                 presto sposar…”!

Marina:   (Adulata) Che bella poesia. L’hai scritta tu?

Nello:       (Si rialza) Ehm… sì!

Marina:   Bravo, ma allora sai scrivere pure le poesie? Purtroppo il mio amore Alfredo non

                 me ne scrive mai una.

Nello:       E io dico: ma perché andiamo sempre appresso alla gente che non ci vuole?

Marina:     Lo dici tu che non mi vuole.

Nello:         Ma quello non ti scrive le poesie.

Marina:     E che significa?

Nello:         ‘E che capa tosta che tiene! (Va per andare a sinistra, poi si volta verso lei e si

                   inginocchia di nuovo, recitandole un’altra poesia) “M’ha fatto ‘nnammura’
                   quell’aria da bambina che tu hai. Nun me fa cchiù aspettà, o tiempo vola e tu

                   peccato faje”.
Marina:     Questa pure l’hai scritta tu?

Nello:         (Si rialza, fiero)Sì! E ti pentirai a rifiutarmi.

                   Esce via imbronciato. Marina resta colpita dalle sue parole. Parla compiaciuta.

Marina:     Però che belle poesie che scrive. Si vede che tiene un cuore enorme. Forse ha 

                   ragione, Alfredo mi fa perdere solamente tempo. E poi… fa la pipì a letto!

                   Esce via pure lei.

                   Casa Valoroso: Alfredo (in abito scuro) in casa cerca Beatrice ma non la trova.

Alfredo:    Beatrice! Néh, Beatrì, ma addò staje? Te ne sai andata perché ho fatto di nuovo

                   la pipì a letto? Ma non ti preoccupare, stavolta non l’ho fatta. Sei contenta?

                   (Non sente risposta)Beatrì, ma addò staje? Tu non sei mai uscita alle 8 del

                   mattino. Al massimo, ti sei svegliata insieme a me alle 7.30, ma poi sei sempre

                   tornata a dormire fino a mezzogiorno meno dieci! Niente di meno, chella nun ha

                   ha maje faticato ‘int’’a vita soja. Una volta l’hanno presa in un supermercato…

                   embé, s’è addurmuta ‘nmiezo ‘e scaffale! Secondo me, se n’è andata dalla

                   mamma. Saje che me ne ‘mporta a me? Io vaco a faticà. A chi ‘o vvo’?

                   Prende la ventiquattrore e va via (a destra).

                   Nello spogliatoio della PULISC, Demetrio sta catechizzando Beatrice (in tuta).

Demetrio: Cara Beatrice Pugliesi, oggi è il tuo primo giorno di lavoro. (Le gira intorno e le  

                   osserva la tenuta da lavoro) La tuta è quella ufficiale, ma le scarpe da ginnastica

                   non vanno bene. Molto presto avrai le tue scarpe antinfortunistiche.

Beatrice:   Grazie. Chiedo scusa, capomastro, ma che lavoro devo fare?

Demetrio: Dopo te lo mostro io. Lavorerai alle pressa.

Beatrice:   Bene. E posso andare a salutare mio marito? Fa il manager in questa fabbrica.

Demetrio: Sì? E di chi si tratta? Esposito?

Beatrice:   No.

Demetrio: Cozzolino?

Beatrice:   No.

Demetrio: Russo?

Beatrice:   No.

Demetrio: E noi questi abbiamo. Non ce ne sono più!

Beatrice:   (Si arrabbia e lo intimorisce) Ma come?Il manager, dottor Alfredo Valoroso.

Demetrio: (Capisce e finge) Ah, il manager, dottor Alfredo Valoroso? Ma certo, sì, esiste!

Beatrice:   Quello è uno dei dirigenti più importanti di questa fabbrica.

Demetrio: Uff, importantissimo!

Beatrice:   E quando gli aumentate lo stipendio?

Demetrio: Pure ‘o stipendio aumentato va truvanno?! E mica glielo devo aumentare io?

Beatrice:   Allora chi glielo deve aumentare? Ah, ho capito: il signor Siderurgico. Ma non

                   glielo potete dire voi? Non per niente, ma gli puzza il fiato!

Demetrio: E allora me l’aggia assurbì io? Ma lasciamo stare le cose come stanno. E ora

                   andiamo a vedere il lavoro, che è più importante. Su, marsch!

                      I due escono a sinistra.

5. [Pasqua e Raimondo. Tekla ed Andrej. Infine Alfredo e Marina]

                    Da sinistra, quatta, quatta, nello spogliatoio entra Pasqua, apre l’armadietto

                    (all’interno c’è Raimondo che vi era entrato alcuni minuti prima).

Pasqua:      Raimò, puo’ ascì.

Raimondo: (Vien fuori sofferente) Mamma ‘e ll’Arco, aria, aria!

Pasqua:      Manca ll’aria, lloco ddinto?

Raimondo: No, fete ‘e cazettino!

Pasqua:      E nun penzà a ‘sti scimmità.

Raimondo: Embé, io te facesse trasì ‘nu poco a te, lloco ddinto! Me pare ‘a camera a gas!

Pasqua:      Vabbuò, nun fa niente. Mò jamme a piglià coccosa e ce ne jamme.

Raimondo: Embé, devo riempire il nostro negozio “99 centesimi” di carta igienica!

Pasqua:      Sulo carta igienica?

Raimondo: Nenné, chesta è ‘na fabbrica ‘e carta igienica. Mica ce puo’ truvà ‘a porcellana

                    ‘e Capemonte?!

Pasqua:      Mamma mia, comme si’ difficile. E ‘nu poco d’entusiasmo! Quanto si’ brutto!

Raimondo: E si’ bella tu. Aiésce ‘a parte ‘e fora. Muòvete! (La spintona)

Pasqua:      Liéveme ‘e mmane ‘a cuollo.

Raimondo: E cammina!

                    Pasqua esce dalla stanza. Raimondo fa un’ultima riflessione prima di uscire.

                    Speramme che chilli duje s’’a stanne cavanno meglio, ‘a casa ‘e Alfredo!

                    Casa Valoroso:

                    Andrej e Tekla entrano dalla porta centrale, soddisfatti.

Andrej:      Noi abbiamo fatto proprio buon lavoro.

Tekla:         Penso pure io. Solo che ho dubbio.

Andrej:      Quale?

Tekla:         Io non penso che signor Raimondo e signora Pasqua saranno molto contenti.

Andrej:      E perché? Io ho messo roba che abbiamo trovato dentro sacchi.

Tekla:         Sì, ma per fare più presto, tu buttato sacchi giù da balcone.

Andrej:      E certamente.

Tekla:         Ma dentro sacchi ci stavano bicchieri di vetro, piatti e vasi.

Andrej:      (Dubbioso) Tu pensi che si sono rotti?

Tekla:         Probabile.

Andrej:      Ma no, ottimismo! Portiamo tutto a negozio “99 centesimi”.

Tekla:         Sì, subito. Mamma mia, come sono contenta. Finalmente possiamo sposare.

Andrej:      Non andare di pressa!Su, ora usciamo da balcone.     

Tekla:        (Delusa) Va bene.                

                    Nello spogliatoio della PULISC, giunge Alfredo che posa la ventiquattrore

                    sulla panchina e comincia a slacciarsi la cravatta. Da dietro giunge Marina 

                    che pone le mani sui suoi occhi.

Alfredo:     Nello, riconoscerei le tue mani tra un milione! Jà, ferniscele ‘e fa’ ‘o scemo!

Marina:     (Si mette a braccia conserte, imbronciata)E secondo te, ho le mani di Nello?

Alfredo:     Ah, sei tu, Marina? Scusami, non volevo sbagliarmi. (Toglie giacca e camicia)

Marina:     Sai che Nello è un poeta nato? Mi ha dedicato due poesie meravigliose. Tu mai!

Alfredo:     Marina, io non ho mai dedicato poesie a mia moglie, figuriamoci a te!

Marina:   Ma perché sei sempre così crudo con me?

Alfredo:   Siente, ma mò pecché si’ venuta?

Marina:   Sai chi ho visto qui in fabbrica? E’ il suo primo giorno di lavoro.

Alfredo:   Nun me ne ‘mporta.Nun ‘o vvoglio sapé.

Marina:   Peggio per te.

                 Esce via, stizzita. Lui finisce di prepararsi.

Alfredo:   Brava, se n’è gghiuta! Ma chi sarà mai questa nuova persona che è venuta a

                  lavorare stamattina? Secondo me è un’altra palla di Marina. Quello, Mimì

                  Siderurgico sta licenziando gente. Ma comm’aggia fa’ cu’ ‘sti femmene? E

                  andiamo a lavorare. Ormai sono pronto.

                  Esce dalla stanza.

6. [Alfredo e Mimì. Poi Beatrice. Infine Demetrio]

                  Poco dopo, torna Alfredo di corsa, come un pazzo, disperato.

Alfredo:   Uh, mamma mia! Aggio visto a Beatrice annanzo ‘a pressa! Ma che ce fa lloco?                   

                  (Poi realizza) Aspiette ‘nu mumento… ma forse… è essa ‘a nuova dipendente!

                  E comme faccio, mò, io? M’aggia cagnà subitissimo!

                  Va all’armadietto e prende l’abito scuro. Mentre si cambia, entra Mimì che

                  silenziosamente va dietro di lui e gli pone le mani sugli occhi.

                  Marina, riconoscerei le tue mani tra un milione! Jà, ferniscele ‘e fa’ ‘a scema!

Mimì:       Io sono meglio di Marina!

Alfredo:   (Senza voltarsi, sente la puzza dell’alito) Oh, no!

Mimì:       Come mai non è al suo lavoro? Ha visto? Le ho messo anche compagnia.

Alfredo:   (Si gira verso di lui) Già, e lei sa benissimo che… (Poi realizza) Ma allora lo ha

                 fatto apposta?

Mimì:       Un marito che non vuol far sapere a sua moglie che mansione fa, è solo uno che

                 disprezza il proprio lavoro.

Alfredo:   Io faccio sempre il mio dovere?

Mimì:      Questo sì.

Alfredo:   E allora punto e basta!

Mimì:       E se io lasciassi tua moglie all’pressa, promuovendo te come manager?

                  Però stavolta manager per davvero!

Alfredo:   (Sfacciato) Sì, accetto. Grazie!

Mimì:       E no, ogni cosa ha un suo prezzo. Devi uscire con me a cena. Una cena

                  romantica! Ti consiglio di pensarci. Hai solo 24 ore di tempo.

Alfredo:   Altrimenti?

Mimì:       State ‘nmiezo ‘a via: tu e tua moglie!

                 Esce via. Alfredo torna a vestirsi, mentre fa valutazioni.

Alfredo:   Questo però è mobbing. E’ stalking. Insomma, è un ricatto. E io ci dovrei stare?

                 A un tratto, zitta zitta, entra Beatrice che va da lui e gli pone le mani sugli occhi.

                 Signor Mimì Siderurgico, riconoscerei le sue mani tra un milione! Jà, fernitele ‘e

                 fa’ ‘o scemo!

Beatrice: Ma come, tengo le mani di un uomo?

Alfredo:   (Si volta verso lei) Oddio! (Finge stupore) Ma… sei proprio tu! E che ci fai qua?

Beatrice:   Da oggi lavoro qui.

Alfredo:   (Finge soddisfazione)Uh, che bello! E fino a quando?

Beatrice:   Come, fino a quando? Fino a quando mi vorranno. Ma piuttosto, perché tu sei

                   qua? Il tuo posto è di sopra.

Alfredo:    Ora ci vado subito. Però ti avverto: ogni tanto verrò da te al settore pressa.

Beatrice:   A fare che?

Alfredo:    Controlli.

Beatrice:   E proprio da me devi controllare?

Alfredo:    Sì, perché la carta igienica è importante. Se non è controllata, quando la usiamo,

                   ci facciamo molto male! E poi mi divertirò pure io a lavorare con te.

Beatrice:   Nient’affatto. Tu sei un manager.

Alfredo:    E siccome sono un manager, comando io. Perciò, non decidi tu.

Beatrice:   Va bene, non discuto.

Alfredo:    E ora, vai al tuo posto.

Beatrice:   Agli ordini!

                   Beatrice esce, così subito Alfredo si inginocchia davanti alla panchina.

Alfredo:    E mò comm’’a metto nomme?

                   Entra Demetrio.

Demetrio: Diamoci da fare, Alfredo mio. Se lavoriamo di squadra, tua moglie non ti scopre.

Alfredo:    E voi mi aiutate?

Demetrio: Io no. Però chiudo un occhio, quando ti presenterai a lavorare in abito scuro al  

                   posto della tuta.

Alfredo:    Sì, ma gli altri che diranno?

Demetrio: Staranno tutti al gioco. Sono tutti amici tuoi.

Alfredo:    Pure Marina?

Demetrio: Penso di sì.

Alfredo:    Grazie, grazie!

Demetrio: E ora andiamo a lavorare, se no non potrò giustificare al capo il tuo ritardo.

Alfredo:    Subito, subito.

                  I due escono a sinistra.

7. [Tekla e Andrej. Poi Demetrio, Raimondo e Pasqua]

                 Intanto, a casa Valoroso: Tekla ed Andrej tornano dal centro, delusi.

Andrej:   Mannaggia, balcone è troppo alto. Io paura di cadere giù.

Tekla:     Sacchi sono più coraggiosi di io e te. Noi buttati loro giù, loro caduti senza fiatare. 

Andrej:   Cretina, noi esseri umani, loro oggetti.

Tekla:     E ora cosa facciamo?

Andrej:   Non so. Proviamo a forzare porta.

Tekla:     Sei pazzo? Ci prendono per ladri. Io sono badante, non ladra. Su, facciamo

                coraggio, scendiamo da balcone.

Andrej:   Va bene. Andiamo.

                Si avviano ad uscire dalla porta centrale, poi si fermano e Andrej dice qualcosa.

                Se noi non rimaniamo vivi, voglio che ti sai una cosa.

Tekla:     Che cosa?

Andrej:   Era meglio che noi stavamo in Polonia!

Tekla:     Sono d’accordo.

                I due escono al centro. 

                Nello spogliatoio della PULISC, entra Demetrio che porta per il braccio 

                    Raimondo e Pasqua. I due hanno una serie di rotoli di carta igienica in mano.

Demetrio:   E vuje chi site?

Pasqua:      Ehm… non so. Chi siamo noi?

Demetrio:   E ‘o vvuo’ sapé ‘a me? Me l’avìta dicere vuje.

Raimondo: Noi siamo un uomo e una donna!

Demetrio:   E grazie. Ma che ce facìte cu’ ‘sti rotoli ‘e carta igienica ‘nmana?

Raimondo: Ve la volete comprare?

Demetrio:   (Arrabbiato) Ma questa è nostra. Voi l’avete presa dal nostro magazzino!

Pasqua:      E adesso vi spiega tutto mio marito con calma.

Raimondo: E niente, io e mia moglie stavamo camminando da queste parti, quando

                    all’improvviso siamo stati colti da movimenti viscerali!

Demetrio:   Bell’e buono?

Raimondo: Ma perché, a voi vi mandano un telegramma di avvertimento?

Demetrio:   No!E allora?

Pasqua:      Siamo venuti qui a cercare un poco do carta igienica e l’abbiamo trovata.

Demetrio:   Ho capito, ho capito tutto: voi siete due topi d’appartamento.

Raimondo: Come vi permettete di chiamare topo a me e a mia moglie. Sì, è vero, mia

                    moglie tiene la faccia da topo, ma non lo è!

Pasqua:      Faccia da topo a me?

Raimondo: No, quello è per fare un esempio!

Demetrio:   Sentite, io ho avuto un’idea: siccome qua dobbiamo leggermente lavorare, io  

                    direi che adesso andiamo all’uscita e vi caccio a calci nel sedere.

Pasqua:      E non ci potete cacciare senza calci nel sedere? Sapete com’è, io sono donna.

Demetrio:   Non me ne frega niente, i calci nel sedere ci vogliono. Così imparate!

Raimondo: E va bene, un calcio piccolo, piccolo! Tanto per fare una dimostrazione.

Demetrio:   Certo, certo. E la prossima volta che vi pesco, non vi prenderò a calci.

Raimondo: Ecco, bravo. Ci darete uno schiaffetto.

Demetrio:   Uno schiaffetto? Vi prendo col fucile!

Pasqua:       Nun te staje maje zitto!

Demetrio:   Jammuncenne, fuori!

                    Li prende per il braccio e li porta fuori (a sinistra).

8. [Alfredo e Nello. Poi Marina. Infine Beatrice]

                    Nello spogliatoio della PULISC, poco dopo, si presentano Alfredo (che ogni

                    tanto guarda di fuori) e Nello.

Nello:          Alfré, qua la situazione sta precipitando. Mimì Siderurgico è pronto a sbattere

                    fuori un bel po’ di noi. Solo tu gli puoi far cambiare idea. Alfré, ma mi ascolti?

Alfredo:      Nello, io tengo ben altro per la testa. 

Nello:          Ma nun ‘a penzà, mò, a Beatrice. Quella sta lavorando in santa pace.

Alfredo:      Ma dovrei esserci io a lavorare dove si trova lei. E invece vado e vengo dal

                     piano di sopra, dove ci stanno i manager. A un certo punto, Esposito mi guarda

                     e mi dice: “Ma che vvuo’ ‘a ccà? Tuornatenne abbascio!

Nello:          Alfré, io penso che questa sfortunata combinazione che tua moglie lavora qua,

                     ti dovrebbe suggerirle di dirle la verità tutta.

Alfredo:      A chi? Anzi, cerca di tenere buona pure Marina, che ogni tanto passa davanti a

                     Beatrice e la guarda male. Speriamo che non faccia qualche scimmità.

Nello:       Non ti preoccupare, a lei ci penso io. Piuttosto, Alfré, tu ci devi salvare tutti.

Alfredo:   Ma che pozzo fa’, io?

Nello:       E’ arrivata l’ora che vai da Mimì Siderurgico e ti concedi a lui.

Alfredo:   Nello, ma chillo me vo’ purtà a cena fora. Ma si accontenterà solo di questo?

Nello:       Alfré, sei tutti noi. Fai questo sacrificio.

Alfredo:   No, no. Meglio rischiare il licenziamento.

Nello:       E io dico a tutti che tu fai la pipì a letto.

Alfredo:   Già lo sanno.       

Nello:       E io dico a tua moglie che Marina ti ama.

Alfredo:   Già lo sa.

Nello:       E io dico… io dico… che dico?

Alfredo:   Dici ‘n’Ave Maria pe’ me!

                 Esce via. Nello si siede sulla panchina affranto.

Nello:       Egoista! Pensa solo per sé. Ma come fa Marina a stargli appresso?

                 Da sinistra entra proprio Marina.

Marina:   Ditemi quello che volete, ma la moglie di Alfredo che lavora qui dentro, non lo

                 sopporto proprio.

Nello:       Marina, per favore, fai finta di non vederla. Tanto, Beatrice lavora alla pressa.

                 Proprio Beatrice, si ferma alla porta di sinistra e ascolta i due.

Marina:   Ma quant’è scema! Quella si pensa veramente che il marito è manager. Invece è

                 un operaio che la fa fessa e contenta: quando lui sta a casa, tiene l’abito scuro,

                 invece quando viene qua, si spoglia e resta con la tuta da lavoro.

Nello:       E a te che te ne frega?

Marina:   Me ne frega e come. Lui fa tutta ‘sta tarantella, se no lei lo lascia e se ne va. E

                 pensare che io lo accetterei pure come operaio. Ma pure comme munnezzaro!

                 Così Beatrice va via a testa bassa. Intanto lui si alza in piedi, parla a Marina.

Nello:       Marina, si vede che così devono andare le cose. Perciò, lascialo perdere. Vuoi

                 uscire con me?

Marina:   Ma sì, ha ragione Alfredo: quasi, quasi, mi accontento di te! 

Nello:       (Ironico)Eh, grazietante! Accontentati di me. Ma chi si accontenta, gode! E…

                  Ad un tratto, da dentro, si sente rumori di qualcuno che martella sui macchinari.

Marina:   Néh, ma che sta succedendo, lloco ddinto?

Nello:       Boh! (Va a vedere sulla soglia dell’uscita) Uh, mamma mia! Beatrice sta

                 distruggendo ‘e macchinari cu’ ‘o martiello! 

Marina:   E Alfredo dov’è?

Nello:       Sta di sopra, perché deve fare finta di essere manager! Presto andiamo a fermare

                  a Beatrice. Muoviamoci!

                 I due escono via.

 

Scena Ultima. [Alfredo, Beatrice, Raimondo, Pasqua e poi gli altri]

                 Più tardi, a casa Valoroso:

                 Rincasano Alfredo (in abito scuro e ventiquattrore) e Beatrice (in tuta lavoro).

Alfredo:  Dopo una giornata di lavoro, com’è bello rientrare a casa!

Beatrice: Già. (Poi si siede al divanetto e lo guarda male, braccia conserte)

Alfredo:  (Poggia sulla sedia la ventiquattrore)Ed è più bello rientrarecon tua moglie per

                 condividere la stanchezza e il resto della giornata. (Apre la ventiquattrore e tira

                    fuori le scarpe antinfortunistiche) Oddio! (Le rigetta dentro)

Beatrice:    Vero?

Alfredo:     E già.A proposito, ad un certo punto io me ne sono andato sopra e non sono

                    sceso più da te. Ma com’è andato il lavoro?

Beatrice:    (Si alza in piedi e va da lui, subdola) Benissimo! Ho fatto un lavoro perfetto!

Alfredo:     (Sorridente) Veramente? E che hai fatto?

Beatrice:    Ho sfasciato tutti i macchinari!

Alfredo:     (Lentamente, perde il sorriso) Hai sfasciato i macchinari? Della mia fabbrica?

Beatrice:    La fabbrica non è tua. E’ del signor Mimì Siderurgico.

Alfredo:     Ma io sono il manager!

Beatrice:    Sì? Con la tuta di lavoro addosso?

Alfredo:     (Comincia a sudare) Quale tuta? Non lo vedi che ho l’abito scuro?

Beatrice:    Sì, ma sotto l’abito scuro che cosa c’è?

Alfredo:     Ehm… un cuore che batte!

                    Suonano alla porta.

                    Uh, la porta. Ora vado ad aprire io e poi scendo a comprare le sigarette!

Beatrice:    Tu non fumi! Allora è meglio che vado ad aprire io la porta. Tu resta qua! OK?

                    Esce via a destra. Alfredo si preoccupa un po’.

Alfredo:     Uh, Marò! Ma che sta succedenno? Nun è che Beatrice ha capito coccosa?

                    Lei torna seguita da Raimondo e Pasqua, doloranti al sedere.

Beatrice:    Venite, venite, entrate. Ma che c’è? Vi fa male il sedere?

Raimondo: No, niente, è un poco di freddezza! 

Pasqua:      Ah, ma qua ci sta pure il nostro manager.

Beatrice:    (Ironica, acida) Sì, ‘e che manager! Com’è vero che l’abito non fa il monaco.

Raimondo: In che senso?

Beatrice:    Per 13 anni ha fatto il manager alla grande. Chissà quanta gente ha fregato?

Raimondo: Ma che staje dicenno?

Pasqua:       Cioè, tu vuo’ dicere ch’Alfredo nun è manager? E si nun è manager isso, chi

                     l’ha da essere?

Beatrice:     (Va da lui, gli sbottona la camicia e gli abbassa i pantaloni. Nel mentre, parla

                     ai due) Voi vi ricordate la storia di Superman? Con l’abito elegante faceva il

                     giornalista… ma sotto nascondeva la tuta!

Raimondo: Azz, ma allora Alfredo… è Superman?!

Alfredo:      (Ironico) Comme, saccio pure vulà!

Beatrice:     Néh, ma site scieme? (Mostra la tuta di Alfredo sotto i suoi abiti) Ecco qua!

I due:          (Sconvolti) Uh, Giesù!

Raimondo: Alfré, ma che scherzo è chisto?

Alfredo:      Qualu scherzo. Nun è nisciunu scherzo. Beatrice ha scoperto tutto. Quello che

                     non so, è come ha fatto. Chi gliel’ha detto?

Beatrice:     Per puro caso, l’ho sentito dire a Marina. Ne parlava intimamente con Nello.

Alfredo:      (Ironico) Intimamente? Con Nello? Ma si chella ‘o schifa proprio!

                     Squilla il cellulare di Alfredo.

                     Ecco, è proprio Nello. (Risponde) Nello, dimmi tutto.

Nello:           Caro Alfredo, se prima rischiavamo di non lavorare più per il licenziamento,

                     adesso non possiamo lavorare più perché tua moglie ha sfasciato la fabbrica.

Alfredo:      Ma adesso dove stai? Alla fabbrica? Resta là, ti raggiungo subito.

Nello:          No, veramente, io e Marina stiamo all’aeroporto. Siamo in partenza per le

                    Maldive! Alla faccia tua. Anzi, aspetta, adesso te lo diciamo insieme.

Nel&Mar:  Alla faccia tua!

                    Nello riaggancia.

Alfredo:      ‘A faccia mia? Ma ‘a faccia vosta! Ah, finalmente mi sono liberato di Marina.

                    (Canticchia) “Mi sono liberato di Marina / una ragazza mora ma cretina…”!

Beatrice:     Ah, se ne sono andati perché ho distrutto la fabbrica? Bravi, bravi!

Pasqua:       Cioè, tu he’ distrutto ‘a fabbrica d’’o signor Mimì Siderurgico?

Raimondo: E chi ‘o sente, mò? Cu’ chillu ciato…!

                    Squilla il cellulare di Alfredo.

Alfredo:      Eccolo, è proprio Mimì Siderurgico. (Risponde) Pronto!

Mimì:          Signor Valoroso… anzi, Alfredo! E’ successa una cosa grave, inqualificabile!

Alfredo:      Sì, lo so. E chiedo perdono per mia moglie che ha distrutto i macchinari.

Mimì:          No, ma che me ne ‘mporta, a me d’’e macchinarie? Io stavo dicendo che mi

                     hanno arrestato per truffa e frode fiscale. E tra poco un compratore arabo mi

                     porterà via la fabbrica per pochi soldi!

Alfredo:      E quindi non devo più uscire con lei?

Mimì:          E come facciamo?

Alfredo:      Aléééé! E allora ve lo posso dire: ve fete ‘o ciato! Tenete l’alito più puzzolente

                    del mondo. Ma che v’ate bevuto, ‘o petrolio?! Addio per sempre!(Riaggancia)

                    Beatrì, m’è gghiuta bona. Mi sono liberato di Mimì Siderurgico.

Beatrice:    (Acida) In compenso, dovrai ripagare tutti i macchinari che ho distrutto. Io non

                    tengo nemmeno un soldo!  

Alfredo:      Ahia! (Si siede affranto)

Raimondo: Alfré, ma come hai potuto mentire a me che sono tuo fratello? (Si infervora) A

                    me che ti ho sempre invidiato. Ma al colpa non è mia. Io sapevo che tu tenevi la

                    laurea ed eri un affermato diplomatico.

Alfredo:      E invece nun songo né diplomatico e né laureatico!

Raimondo: (Infervorato) E tu mi hai costretto ad aprirmi il 99 centesimi per ripicca! Pensa,

                    in cinque anni di attività, non ho mai comprato un euro di merce.

Alfredo:      (Dubbioso) E chi t’’a deva ‘a merce?

Raimondo: Tu, me la davi tu! Ti ho rubato per cinque anni e ti rivendevo tutte le cose un

                    sacco di volte! Ecco qua, m’aggio sfugato!

Alfredo:      (Si alza e gli parla a muso duro) Che cosa? Ma allora tu he’ fatto tutta ‘na

                    cummedia! Tu, tua moeglie, ‘a badante polacca e ‘o fidanzato suojo! (Comincia

                    a gironzolare in stanza) Com’è brutto essere ingannati. A questo punto, non

                    posso più vivere. Non c’è più scopo. Io me votto abbasciooo!

I tre:           Nooooo!

                    Alfredo fugge centralmente, inseguito dalle due e in ultimo da Raimondo, che

                    però si ferma perché gli squilla il cellulare.                 

Raimondo: Aspiette ‘nu mumento, Alfré, nun te menà ancora abbascio. ‘O telefono!  

                    (Risponde) Pronto! Sei Tekla? E addò staje? Ah, staje ‘nzieme a Andrej appesa

                    ‘a ringhiera d’’o balcone ‘e Alfredo? Che cosa? Nun te movere ‘a llocooooo!

                    Corre al centro. Si sente la sirena dei pompieri. Poco dopo, rientrano: Alfredo

                    (dolorante alla bocca), Raimondo, Beatrice, Pasqua, Tekla ed Andrej.

Alfredo:      Ma chi l’ha chiammate ‘e pumpiere? 

Raimondo: Il salumiere di fronte. Ma non essere ingrato, quelli ti hanno salvato la vita.

Alfredo:      Ma ch’ingrato e ingrato! Chille, pe’ me salvà ‘a vita, m’hanne fatte zumpà tre

                      diente d’’a vocca! Ma che maniere so’ cheste ‘e salvà ‘a vita ‘e ggente?!

                      Gli altri lo osservano perplessi.

FINE DELLA COMMEDIA