Mani in alto

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MANI IN ALTO

Commedia in tre atti

di GUGLIELMO GIANNINI

PERSONAGGI

ORESTE MAURIN

DARIO GABIRENT

GIUSEPPE TOLESTEFAN

ARMAND LUXEN

GIOVANNI CARISIOS

ORAZIO RAUBER

LEVI ANGORAC

TOMASO BRANDT –IOVANNI CARI-Ginevra, il mendi­

CARLO MARTIN

USCIERE

GIACOMO, au­tista

VERA ARLINGTON

MARIA LUXEN

LUISA, cameriera

ELISSA, impie­gata

Commedia formattata da

ATTO PRIMO

{Lo studio di Armand Luxen nella villetta ch'egli si è costruita alla peri­feria della città. Ambiente chiaro, fresco, i cui colori dominanti sono il rosa, il rosso-mat­tone, il grigio-chia­ro: la stanza di la­voro ideale per un costruttore intelli­gente, ricco d'istin­tivo gusto del bello e del moderno. Mo­bili in armonia con l'ambiente. A sini­stra avanti un divano e appresso una poltrona, addossati alla parete. Subito dopo un passag­gio, con due o tre scalini visibili, che mette negli ap­partamenti superiori (prima porta a sinistra). Dopo il passaggio un breve tratto di parete sporgente, quindi una porta a vetri, colorati in vari ed allegri colori (seconda porta a sinistra). Al fondo un bel camino nel centro della parete, di stile moderno, in mattoni rossi, con fuoco di legna acceso. Sul camino varie terraglie, qualche porta­cenere, ed altri oggetti graziosi. Ai lati dei piccoli scaf­fali, bassi, larghi, pieni di libri. A destra, in fondo, una porta (destra) che mette nelle stanze del pianterreno. Più avanti, a destra, una scrivania ampia, che è quasi un tavolo da disegno, con su carte, progetti, telefono, penne stilografiche, una scatola di compassi, delle squa­dre e righe da disegno, matite, tiralinee. Davanti al tavolo l'altra poltrona compagna del divano e della pol­trona a sinistra. Dietro il tavolo una confortevole sedia-poltrona d'accompagno. Qualche pianta in vasi di terra colorati, alcune sedie. Alle pareti vari bozzetti di villini, castelli, palazzi. Un plastico d'un edificio su Un tavolino messo a contatto con la scrivania verso il fondo. Le sei d'un pomeriggio verso la fine dell'inverno. Il sole manda i suoi ultimi saluti dalla porta à sinistra, che è per metà aperta),

Armand                         - (trentacinque-quarant'anni, un po' malan­dati per eccesso di lavoro e di tensione nervosa. E' in pantaloni e panciotto, e veste da camera. Il suo abbi­gliamento rivela un'eleganza trascurata da qualche tempo. 1 capelli un po' scarmigliati. Passeggia nervo­samente fumando un mozzicone di sigaretta).

Luisa                             - (venticinque anni, bel tipo di serva ancora mezzo contadina. Spolvera e spazza, dando ogni tanto un'occhiata di sfuggita ad Armand).

(S'ode il campanello del telefono).

Armand                         - (si ferma).

Luisa                             - (prende il microtelefono) Pronto! (Pausa). Pronto... chi parla?... Chi è, lei? Non ho capito... (Guardando Armand) Sovari?

Armand                         - (vivo gesto di diniego).

Luisa                             - Nossignore, il signor ingegnere non c'è... Non so quando ritorna... Non cena in casa! Buon...gi­va bene! Buonasera! (Rimette il microtelefono a posto).

Armand                         - (nervoso) Te l'avrò detto cento volte! Devi dire subito che sono uscito... non dopo aver chiesto chi parla!

Luisa                             - Scusi, se m'ha detto subito parla con Somari!

Armand                         - Sovari!

Luisa                             - E' lo stesso! Ed è meglio così che dire non lo so, vado a vedere... Si capisce subito il trucco!

Armand                         - (impaziente) Va, va... fa' quello che devi fare e sbrigati. (Riprende a muoversi nervoso).

Luisa                             - E mi sbrigo, altro che mi sbrigo! (Spolvera, accostandosi al plastico).

Armano                         - (prende un'altra sigaretta, l'accende al moz­zicone che stava fumando).

Luisa                             - (con affettuoso rimprovero) Ora accende un'altra sigaretta!

Armano                         - Non mi seccare!

Luisa                             - E' la terza da quando son qui! Una dopo l'altra!

Armano                         - La seconda!

Luisa                             - La terza! Ora vado a dirlo alla signora. (Si muove verso la destra).

Armand                         - (stizzito) Fermati, alt... Basta... Sciagurata... (Spegne con rabbia la sigaretta in un portacenere). Cosa altro hai da fare, qui?

Luisa                             - Spolverare!

Armand                         - Spicciati!

Luisa                             - (spolverando il plastico, guardando Armando e ridendo) Spicciati... perché muoio dalla voglia di fumare! (Urta il plastico che vacilla, lascia cadere lo spolverino, afferra il plastico).

Armand                         - (spaventato, correndole accanto) Ehi, ehi, che fai, cosa rovini, bestia feroce che non sei altro (Afferra anche lui il plastico) Lascia!

Luisa                             - (tenendo il plastico) Ma cade!

Armand                         - (c. s.) Lascia, ti dico!

Luisa                             - (lascia il plastico).

Armand                         - (lo spinge a posto, e ciò facendo si ferisce un dito della mano destra. Ha un'esclamazione di dispetto, e, messo a posto il plastico, si succhia il dito che san» guina) Accidenti!

Luisa                             - (dolente) S'è fatto male?

Armand                         - (seccato) Sì che mi sono fatto male!

Luisa                             - Vado a prendere la tintura di jodio. (Esce dalla destra).

Armand                         - (gridando) Ma no... non occorre... Non spa­ventare la mamma, stupida!

Maria                             - (sui cinquantacinque anni, bellissima donna, energica, dolce, amantissima del figlio, entra dalla se­conda porta a sinistra, abito da casa molto elegante, con una larghissima paglia da giardiniere in testa, grembiale di rigatino azzurro, forbici da giardino in mano, un po' allarmata, ma sempre sorridente) Cosa c'è?...

Armand                         - Oh, niente, mamma, una scorticatura... Mi sono stretto un po' il dito sotto al... (indica il plastico). Non è niente.

Maria                             - (ha deposto forbici e cappellone e s'è accostata, gli prende la mano, esamina, poi, un po' allarmata) Come, niente... Ma perché non stai più attento, Dio santo... (avvolge col fazzoletto la mano di Armando, e subito appare qualche macchia di sangue sulla tela). Luisa! Luisa!

Luisa                             - (dall'interno a destra) Sto prendendo la tin­tura...

Maria                             - (stringendo il fazzoletto) Com'è successo? Armano          - (un po' seccato) Con quell'uragano di ra­gazza che spacca tutto ciò che tocca...

Luisa                             - (dalla destra, con dell'ovatta e una boccettina di tintura di jodio) Ah, io spacco? Non è vero, sa, si­gnora? S'è seccato perché gli ho detto che fumava troppo... (Porge la tintura e l'ovatta).

Maria                             - Ma no, ci vuole alcool e garza, niente ovatta... Vieni, vieni nel bagno, sporchiamo tutto qui... (trascina Armand verso la destra).

Armand                         - (uscendo, vibra un'occhiataccia a Luisa).

Luisa                             - (smorfia come per dire: «Le sta bene, ci ho gusto ».)

Maria                             - (esce per la destra).

Armand                         - (segue).

Luisa                             - (segue).

Martin                           - (entra dalla seconda porta a sinistra; dopo una pausa, bussa ai vetri, quindi) E' permesso?... permesso?... (Apre la porta, entra. Tipo d'esattore, piut­tosto anziano, borsa sotto il braccio, baffi, occhiali, dignitosamente povero). Permesso?

Luisa                             - (dopo una pausa dall'interno a destra) Chi è?

Martin                           - Amici!

Luisa                             - (rientra dalla destra, riconosce Martin, ha un gesto di dispetto) Ah, è lei! Avevo capito amici...

Martin                           - (timidamente) Si dice sempre amici per...

Luisa                             - Sì, sì, ho capito. L'ingegnere è occupato.

Martin                           - (c. s.) L'aspetterò. La rata è già scaduta e...

Luisa                             - Dovrà aspettare parecchio. E' meglio che ripassi un altro giorno.

Martin                           - (c. s., ma deciso) Visto che mi trovo, aspetto... Non capito spesso da queste parti... Il villino è così lontano dal centro... (Siede sul divano, deciso a rimanervi).

Luisa                             - Eh, qui c'è l'aria buona... Aspetti, allora... (fa per uscire dalla destra).

Armano                         - (rientra dalla destra con la mano fasciata a Martin) Ah, è lei... scusi...

Maria                             - (lo segue).

Martin                           - (s'è alzato).

Armand                         - Mi dispiace che s'è incomodato...

Martin                           - (cortese, deciso) Ma le pare, ingegnere... Sono due rate.

Maria                             - (guarda stupita Armand).

Armand                         - (sorridendo) Due...? Ma... (Ricordando) Ah, già, difatti... Mi pare d'aver dimenticato di pagare l'ultima...

Martin                           - ...e la penultima... Lei forse non ha tenuto presente che il pagamento dovrebbe essere anticipato...

Armand                         - Già... non ho tenuto presente... Ho tanto da fare, e... Quanto è?

Martin                           - (cavando le ricevute dalla borsa) Tremila e due...

Armand                         - (stringe un po' le labbra) Tremila... come vanno su i conti quando si è distratti... Tremila e due... Ora le farò un assegno... (Va verso la scrivania, cerca, fruga, poi, senza guardare Martin). Dove si sarà cac­ciato il libretto di chèques... (Ne scarta due o tre, poi) Le darò un assegno su Milford... per lei è lo stesso, non è vero?

Martin                           - Tanto lo do in pagamento.

Armano                         - (sedendo) Benissimo, allora... Dunque... (Scrive) Milford, diciotto marzo... Metto la data di Mil­ford, dato che il conto è là...

Martin                           - (gentile) Può mettere anche la data di dopodomani per risparmiare due giorni d'interessi... Intanto che lo chèque arriva...

Armand                         - (scrivendo) Ormai ho già scritto... Dunque, diciotto marzo... all'ordine dell'Istituto del Sacro Cuore... Tremila... duecento... (Firma, asciuga, porge lo chèque a Martin) Ecco, a lei.

Martin                           - Grazie. (Prende lo chèque, dà le ricevute, chiude la borsa) Altri ordini, ingegnere?

Armano                         - No, grazie. Arrivederla. Martin     - Arrivederla.

Armand                         - (fa cenno a Luisa d'accompagnare Martin).

Luisa                             - (va alla seconda porta a sinistra, apre).

Martin                           - (esce).

Luisa                             - (lo segue e chiude la porta).

Armand                         - (si muove nervoso per la scena).

Maria                             - (s'è seduta sul divano e fissa intensamente il figlio).

Armand                         - (movendosi guarda di sfuggita la madre e s'incontra col suo sguardo. Finisce col sorriderle).

Maria                             - (sorride anche lei, un po' preoccupata, poi) Ti fa ancora male la mano?

Armand                         - (sorridendo) No... affatto... Mi dispiace solo che tu ti sia... spaventata... Non sei abituata a... alla mia vita un po'... movimentata... Sempre nel tuo angolo di provincia, felice, tranquilla... Qui... in città... si lotta sempre... e si lavora... Non è la prima volta che mi scortico un po' la pelle sul... lavorando... (s'imba­razza di più sotto lo sguardo persistente della madre). Tu... non ti ci trovi, ecco. Lo capisco. So benissimo che ardi dal desiderio di ritornare alla tua pace... fra il verde... all'ombra di quei magnifici alberi...

Maria                             - Mi stai facendo la descrizione di un ci­mitero...

Armand ....................... - (tentando di nascondere la sua preoccupa­zione, scherzando). Ma come ti viene in mente (Ride). Dicevo così, pensando che devi sentire la no­stalgia della tua casa...

Maria                             - Si, sento una profonda nostalgia della mia casa...

Armand                         - (contento) Ah, ecco...

Maria                             - Della casa come la intendo io... In ordine...

Armand                         - (evasivo) Ah, certo...

Maria                             - ...serena...

Armand                         - (c. s.) Tu hai sempre vo...

Maria                             - (interrompendo) ...senza creditori alla porta...

Armand                         - Ma scusa, mamma, siamo in tempo di crisi, e...

Luisa                             - (dalla prima porta a sinistra, quasi imbron­ciata) C'è quella!

Armand                         - Chi, quella?

Luisa                             - La signora Vera... signorina, dice lei!

Armand                         - (premuroso) Dov'è?

Luisa                             - Nel giardino.

Armand                         - (movendosi, seccato) L'hai lasciata in giardino?

Luisa                             - No, l'ho vista quando ha aperto il cancello, e me ne sono andata come se non l'avessi vista!

Armano                         - (seccato) Ah, che bestia! Presto... spa­risci... (Si precipita alla prima porta a sinistra, esce).

Luisa                             - (a Maria) Il signor ingegnere crede chissà che... ma quella viene qui solo perché ha uno scopo!

Maria                             - Non dire sciocchezze... va, va in cucina!

Luisa                             - (andando alla destra) Creda a me, signora... Queste femmine troppo profumate non hanno niente dentro... Sono tutto fumo... e poco arrosto! (Esce dalla destra).

Armand                         - (rientra. Ha lasciato la veste da camera ed ha messo la giacca) Scusa, mamma... (Esce in fretta dalla seconda porta a sinistra).

Maria                             - (fa per uscire, ma, ripensandoci, si ferma sul secondo scalino, in attesa).

Armand                         - (dall'interno a sinistra) Oh! che bella improvvisata... Buongiorno, Giacomo...

Giacomo                       - Buongiorno, signor ingegnere.

Vera                              - (dall'interno a sinistra) Sono costretta a ve­nirvi a scovare... (entra: bellissima donna sui venticin­que anni, prepotentemente elegante, esuberante, gesti­colante). Visto che la montagna non va a Maometto, Maometto va alla montagna... (si ferma, un po' confusa: ha visto Maria che la fissa).

Armand                         - (è entrato: anche lui ha un gesto d'imba­razzo vedendo la madre, poi) Mia madre... la signo­rina Vera Arlington... Sai... la nostra grande stella...

Maria                             - (fissandola) La conosco... Ho visto qualche suo film...

Vera                              - Oh... sono molto contenta di... Ah! Ma che bella mamma avete, Luxen...

Maria                             - Troppo buona, signorina...

Vera                              - E non mi dicevate niente! Come si fa ad avere una mammina così affascinante e tenerla chiusa a chiave...

Maria                             - Non è lui che mi tiene chiusa a chiave, sono io che esco poco... Vivo in provincia, ed è solo per combinazione che mi trovo qui... Sono di passaggio.

Vera                              - Spero che si fermerà un po'...

Maria                             - Una madre moderna deve saper sempre andarsene a tempo... (Movendosi) Con permesso, si­gnorina.

Vera                              - Come... Crede che... sia già tempo d'an­darsene?

Maria                             - Lei è venuta per parlar d'affari, non è vero?

Vera                              - (sconcertata) Ah sì... certo...

Maria                             - E io non me ne intendo. Arrivederla. (Esce per la prima porta a sinistra).

Vera                              - (dopo una pausa, sbalordita). Ah, sapete... E' una vecchietta energica davvero!

Armand                         - (imbarazzato, facendola sedere sul divano) Vecchietta... Se vi sentisse...

Vera                              - Quanti anni ha?

Armand                         - Cinquantasei.

Vera                              - Appena sei più di voi?

Armand                         - Mi date cinquant’anni, ora?

Vera                              - Non ve li do, ve li prendete... La vostra se­rietà, la vostra compostezza...

Armand                         - (supplichevole) Signorina...

Vera                              - Il vostro muso duro...

Armano                         - Insomma, siete venuta proprio per battervi...

Vera                              - No, tiro troppo bene, non sarebbe cavalleresco.

Armand                         - Se continuate a maltrattarmi chiamo mia madre!

Vera                              - (ha un breve riso, contro voglia).

Armand                         - (anche ride, più preoccupato).

Vera                              - (dopo la pausa) Avete un'idea del pericolo che sfido venendo a farvi visita?

Armand                         - (la guarda, poi scuote la testa, indeciso).

Vera                              - Siete ammutolito?

Armand                         - Non so cosa rispondere.. Se dico di sì faccio la figura del presuntuoso, se dico di no...

Vera                              - ...fate quello dello sciocco...

Armand                         - Forse.

Vera                              - Ma non dicendo nulla farete una figura anche peggiore...

Armand                         - Quella dell'uomo che ha paura...

Vera                              - C'è una parola più breve.

Armano                         - (con un sorriso forzato) Aver paura non significa sempre esser vigliacco.

Vera                              - (ridendo) Ah?

Armand                         - Ci sono degli eroi che hanno avuto paura.

Vera                              - E voi vi credete un eroe?

Armano                         - Credo d'essere un eroe che ha avuto paura. Non oso ritornare all'assalto quando sono stato respinto una volta.

Vera                              - (fra sorridente e nervosa) Stupido... (Pausa, poi) Ieri sera mi sono battuta anche troppo per voi, tanto che Dario s'è seccato e non me l'ha nascosto...

Armand                         - (aspro) ... e naturalmente continuerà a tor­mentarmi per vendicarsi... ossia, credendo di vendicarsi... Almeno avessi peccato... Sopporterei meglio... Tutti i miei guai sono cominciati da quella sciocchezza che avreste potuto perdonarmi con più generosità... Dopo tutto un bacio è sempre un omaggio che un uomo rende ad una donna!

Vera                              - (lo fissa, ferita, si muove nervosa, poi) Cre­dete ch'io abbia detto a Dario che m'avete baciata?

Armand                         - (la guarda stupito).

Vera                              - (tornando verso di lui fremente, dopo la pausa) Credete che basti un bacio-, dato all'improvviso, per conquistare una donna? Uno schiaffo era il meno che potevate ottenere!

Armano                         - E l'ho ottenuto...

Vera                              - E meritate ben altro! Ho potuto perdonarvi solo dopo molto tempo... quando ho capito che siete un ingenuo...

Armand                         - Un ingenuo?

Vera                              - Un inesperto, un timido inguaribile, foderato di superbia per paura di farsi scoprire...

Armano                         - (protestando) Signorina...

Vera                              - Oh, state zitto, non mi fate indispettire! (Pausa più lunga). E' tanto che penso al modo d'aiutarvi, di salvarvi...

Armano                         - (preoccupato, confuso) Di salvarmi?

Vera                              - (interrompendo) Non siete la prima mosca che cade nella tela del ragno, né sarete l'ultima... Accet­tate il consiglio d'una donna che conosce bene la vita... Cedete... Penserò io a farvi ottenere quello che è pos­sibile, fra qualche tempo... quando Dario si sarà cal­mato.

Armand                         - (la fissa, poi) Cosa stanno macchinando contro di me?

Vera                              - E' troppo lungo per dirvelo... Non lo capi­reste... non lo' capisco bene nemmeno io... E poi... io non sono venuta a tradire nessuno... ma solo a tentare d'aiutarvi... (Gli si accosta un po').

Luisa                             - (entra dalla seconda a sinistra, senza bussare, fissando Vera con ostilità).

Vera                              - (si scosta vivamente da Armand).

Luisa                             - C'è Oreste.

Armano                         - (stupito) Chi?

Luisa                             - Oreste, il suo cugino...

Armand                         - Ah... E di' il signor Maurin, perbacco... (Sbuffando) Oreste!

Luisa ........................... - Oreste si chiama. Lo faccio entrare?

Armand                         - Fallo aspettare.

Vera                              - Un momento soltanto. Ho solo un'altra cosa da dirvi.

Luisa                             - E allora faccia presto. (Esce).

Armano                         - (scuote la testa).

Vera                              - (ridendo) Dove l'avete trovata?

Armano                         - (ridendo) Me l'ha mandata mia madre.

Vera                              - Dev'essere innamorata di voi.

Armand                         - (mezzo ridendo, mezzo seccato) Insomma...

Vera                              - Si vede. E' troppo sgarbata con le visitatrici.

Armand                         - Con voi non si sa mai quando si parla sul serio... (Le è molto vicino),

Vera                              - E con voi?

Armano                         - (si morde le labbra, pausa, poi, sorridendo) Dunque... Cos'altro volevate dirmi?

Vera                              - (lo fissa, poi) Questo. (Lo bacia sulla bocca, s'allontana in fretta verso la seconda porta a sinistra).

Armand                         - (stupito) Vera! (Fa per afferrarla).

Vera                              - (facendo il gesto di dargli uno schiaffo) Ah... (Esce dalla seconda porta a sinistra).

Armand                         - (rimane stupito in mezzo alla stanza, si tocca le labbra fissando la porta per dove è uscita Vera).

Luisa                             - (dopo una pausa) Ecco Oreste. (Si fa da parte).

Armand                         - (si riscuote).

Oreste                           - (entra per la seconda a sinistra. Quaranta­cinque anni, benissimo portati, corretta eleganza, cap­pello, bastone, disinvolto senza sfacciataggine. Fa il ganascino a Luisa, sorridendo) Grazie, tesoro.

Luisa                             - Prego. Ma stia fermo con le mani. (Va alla destra, esce).

Oreste                           - (avanza ridendo, togliendosi il cappello, che deporrà col bastone e coi guanti sul divano a sinistra) Be'? Come va?

Armand                         - (con un gesto di fastidio) Male... maledet­tamente... Ho un diavolo per capello...

Oreste                           - ... ed hai ancora molti capelli... Dev'essere una faccenda seria.

Armand                         - Serissima... Ma siediti.

Oreste                           - (movendosi) No, grazie... Sono stato seduto fino adesso... Venticinque chilometri d'automobile... Sento il bisogno di sgranchirmi.

Armand                         - Non è il giro del mondo... Si fanno in un quarto d'ora...

Oreste                           - Tu... che fili a centoventi... Non io che vado piano, ammirando il paesaggio, respirando aria pura...

Armand                         - A trenta chilometri all'ora...

Oreste                           - A venti, se occorre. Io non ho mai fretta... Dunque? Cosa c'è?

Armand                         - (con lieve esitazione) Ho bisogno di chie­derti... un favore.

Oreste                           - Ahi!

Armano                         - (con angoscia) Non dirmi che non hai da­naro! Sono in una situazione terribile.

Oreste                           - (attento) Lo dici in un modo che sembra vero!

Armano                         - Mi occorrono centomila fiorini.

Oreste                           - (balzando) Eh? E vuoi che te li regali io?

Armand                         - Ti offro il villino in garanzia.

Oreste                           - (pausa, poi) Io sono contrario ai prestiti... Quando proprio non posso farne a meno... regalo... a fondo perduto... Non ci penso più, come non penso più ai diecimila fiorini che t'ho dato l'anno scorso.

Armano                         - (ferito) Li consideri perduti?

Oreste                           - Scusa: me li hai restituiti?

Armand                         - No, ma li devi avere.

Oreste                           - E' una bella soddisfazione!

(Squilla il campanello del telefono).

Armand                         - (dopo una pausa, a Oreste) Senti tu, per favore.

Oreste                           - (fissa Armand, poi va al telefono) Devo dire che ci sei?

Armand                         - Ripeti il nome, fingendo di non capirlo bene, e ti farò segno...

Oreste                           - (sospirando) Ho capito... (Al telefono) Pronto... Sì... Ah... Che numero vuole, lei? Ah, sì, sì, è il quarantaquattro-ventuno... Sì... Milford?

Armand                         - (andando al telefono) E' l'intercomunale... ho chiamato Michele Jarack...

Oreste                           - Ah?... (Al telefono) Pronto, quarantaquattro-ventuno, sì... Michele... sei tu? Come stai? No, parla Oreste Maurin... sì, io... No, ti vuole Armand... sì, sono in casa sua... Eccolo... Ciao... Grazie... Arriv... Sì, grazie, ciao! (Porge il microtelefono ad Armand).

Armand                         - (al telefono) Ciao, Michele... Come va? Io così così... Senti... Ho rilasciato un assegno di... eh, per forza... scusa sai, poi faremo tutto un conto... sì.... tremila e duecento... Ma no, scusa... Per il bambino... è la retta del collegio... Vedrai che lo chèque è intestato all'Isti­tuto del Sacro Cuore... Non potevo' farne a meno... Ti dico che non potevo... Oh...! Senti... Hai nulla da dirmi per il villino... Niente? E quando speri?... Ma non posso aspettare fino a... Bada che se non ricevo notizie dopo­domani prendo il treno e... No, signorina, lasci... Senti... Sì, un'altra cosa... Ho dimenticato il portafoglio con le tessere all'Hotel... C'è anche la patente automobilistica... Fammi il favore di mandarlo a ritirare e spedirmelo... Sì, grazie... Ecco, bravo... Grazie, ciao... Tante cose alla Clara... e a Nino... Sì... (Ad Oreste) Ti saluta...

Oreste                           - Grazie... (s'avvicina al telefono).

Armand                         - (al telefono) Grazie anche per lui... Come? Ah... (Ride). No, signorina, lasci... Ho capito... Benis­simo... Aspetto. Bravo, grazie... Arriv... Sì... Ciao.

Oreste                           - (gridando, al telefono) Addio, Jarack!

Armano                         - (al telefono) Va bene. Arrivederci. (Rimette il telefono a posto, poi, dopo una pausa, a Oreste) Dunque...

Oreste                           - Vedo che la situazione è assai più grave di quanto mi dici.

Armand                         - Scusa... non mi pare d'averti nascosto...

Oreste                           - Sei riuscito finalmente a rovinarti del tutto.

Armand                         - Sono rovinato solo se tu non m'aiuti...

Oreste                           - Sei rovinato dal giorno in cui ti sei messo negli affari... che non hai mai capito, e che non capirai mai...

Armand                         - (brusco) Io ho bisogno d'aiuto, non di pre­diche. Si tratta d'un imbarazzo momentaneo. In quindici giorni, un mese al più...

Oreste                           - ... sarai allo stesso punto di oggi.

Armand                         - (si muove nervoso, pausa, poi) Scusa: vuoi farmi la grazia di ascoltarmi cinque minuti senza inter­rompermi?

Oreste                           - (lo fissa, poi) Avanti. (Siede).

Armano                         - Ho bisogno di centomila fiorini per rein­tegrare il capitale della mia società, che è completamente esaurito. La...

Oreste                           - (interrompendo) Come s'è esaurito?

Armand                         - Spese... esperimenti... tentativi... affari sbal­lati...

Oreste                           - Ma dammi qualche dettaglio... fammi vedere i libri...

Armano                         - Io mi occupo della parte tecnica, non dell'amministrazione...

Oreste                           - Male.

Armano                         - Non me ne intendo...

Oreste                           - A quanto ammontava il capitale esaurito?

Armand                         - Duecentomila.

Oreste                           - Tutto versato?

Armand                         - Tutto. Centomila da Dario Gabirent, cen­tomila da me...

Oreste                           - Versati come? In contanti?

Armand                         - No, con il mio brevetto dei cementi extra­rapidi...

Oreste                           - Che è stato valutato centomila fiorini?

Armand                         - Precisamente.

Oreste                           - E li valeva, secondo te?

Armand                         - Ah, vale enormemente di più. Consente di fabbricare due volte più rapidamente che con i cementi ordinari, e con meno della metà della spesa viva... Ora la situazione è questa: la società non ha più un soldo per andare avanti, e se non versiamo altri centomila fiorini ciascuno, io e Gabirent, la società va in liqui­dazione.

Oreste                           - (riflettendo) Capisco... E se la società va in liquidazione, il brevetto sfuma...

Armano                         - E' l'unica attività esistente, e bisogna alie­narla per pagare i debiti.

Oreste                           - Ho paura che t'abbiano messo nel sacco, e che il tuo brevetto sia perduto senza rimedio... (Con ama­rezza) E' un vecchio trucco, questo... Molti sedicenti capitani d'industria è così che hanno fatto i milioni... E' per questo che la saggezza popolare diffida istintivamente di chi s'arricchisce troppo presto...

Armand                         - (è atterrito: guarda l'amico con gli occhi sbarrati, poi, dopo una pausa) Tu... tu pensi che... (si ferma).

Oreste                           - Ne sono sicuro. Hanno portato la Società sull'orlo del fallimento per impadronirsi del brevetto.

Armand                         - Allora sono davvero rovinato.

Oreste                           - (dopo una pausa) Forse no... Se, fidando sulla tua ignoranza, l'hanno fatta troppo sporca, c'è an­cora mezzo di cavarne le mani... Gabirent ha sempre la responsabilità di amministratore delegato, e quando par­lerà con me non potrà dire tante sciocchezze...

Armand                         - (è rimasto pensoso, quasi sperando. Ma a questo punto della battuta ha un'esclamazione di dolore) Ma... aspetta... Non si può... L'amministratore delegato non è Gabirent...

Oreste                           - (spaventato) Chi è? Non dirmi che hai com­messo la corbelleria di farlo tu!

Armand                         - No, io sono solo presidente... L'ammini­stratore delegato è un altro... un certo Angorac... Levi Angorac... Me ne ero dimenticato.

Oreste                           - Cosa? Ti dimentichi dell'amministratore delegato della tua società?

Armand                         - Avevo dimenticato che lo fosse... E’ sempre così umile e rispettoso... Non lo vedo quasi mai... E' un vecchio impiegato di Gabirent... Amministratore dele­gato per modo di dire... prò forma...

Oreste                           - Non potevi consigliarti con me, prima d'im­pegnarti? Sai che le conosco bene le anonime, io...

Armand                         - Ma scusa, un affare fatto a perfetta metà, io presidente, in piena buona fede... Mi pare di vivere un romanzo giallo...

Oreste                           - Altro che romanzo giallo... I reati di sangue sono sciocchezze in confronto... Alla base d'un reato di sangue c'è quasi sempre una passione... gelosia, ira, odio, amore... Chi viola il Codice penale spesso è solo un disgraziato che ha perduto il lume degli occhi e non ragiona più... E' fra i violatori del Codice civile e del Codice di commercio che si trovano i veri farabutti... freddi, spietati... filosofi del delitto tranquillo, col mi­nimo dei rischi, senza passionalità, senza coraggio... E' per questo che mi sono ritirato a quarant'anni, appena entrato in possesso dell'eredità della mia povera zia... Per non lottare con questi vermi velenosi, per non infan­garmi più... (Cava il fazzoletto, se lo passa sulle labbra, ha una smorfia amara).

Luisa                             - (dalla destra) C'è l'avvocato Stefano...

Armand                         - (sussulta) Tolestefan?

Luisa                             - Eh, sì, proprio lui.

Armand                         - (a Oreste) E’l'avvocato di Gabirent... del mio illustre socio.

Oreste                           - (a Luisa) Digli d'aspettare un momento, che l'ingegnere ha una visita.

Luisa                             - (guarda Armand) Va bene?

Armano                         - Sì, sì, va.

Luisa                             - (esce).

Oreste                           - Dove sono le carte della società?

Armand                         - Quali?

Oreste                           - L'atto costitutivo, lo statuto, i verbali d'as­semblea...

Armand                         - Li ha l'amministratore delegato... Levi Angorac...

Oreste                           - (seccandosi) Non hai nemmeno una copia dell'atto costitutivo?

Armand                         - Una copia sì... credo di sì...

Oreste                           - Dammela.

Armand                         - (cava una cartella piena zeppa di carte in disordine e la porge a Oreste) Ecco... questo è tutto quello che ho della società...

Oreste                           - (aprendo la cartella e frugando febbrilmente fra le carte) Vediamo... Ah... la copia dell'atto costi­tutivo c'è... e anche quella dello statuto... Ah... ecco, anche qualche copia di verbali d'assemblea... Benissimo (chiude la cartella). Ora dammi una stanza e un tavo­lino... (si tocca sul petto), la penna ce l'ho... Lasciami studiare tutta la faccenda... Voglio vedere come stanno realmente le cose... (Si mette la cartella sotto il braccio). Dove posso andare?

Armand                         - In camera mia...

Oreste                           - Benissimo. (S'avvia verso la prima porta a sinistra) Tu intanto...

Luisa                             - (dalla sinistra) L'avvocato dice che ha fretta!

Oreste                           - Fallo entrare.

Luisa                             - (esce).

Oreste                           - (ad Armand) Lascia che parli lui, e di' il meno possibile.

(Esce dalla prima porta a sinistra).

Luisa                             - (rientra dalla seconda porta a sinistra).

Tolestefan                     - (la segue. Piccolo, magro, serpino, velenoso, sui quarant'anni, calvo, baffetti sottilissimi, brizzolati, eleganza un po' equivoca, sorriso untuoso, pieno di falsa dignità e di vera viltà, portafoglio sotto il braccio, cap­pello in mano) Caro Luxen... Lei si sta facendo inse­guire... (Depone la borsa e il cappello sul divano).

Luisa                             - (esce dalla destra).

Armand                         - Inseguire? (Gli offre la mano).

Tolestefan                     - (stringendogli la mano) E' da stamane che lo cerco in ufficio, al cantiere, in casa...

Armand                         - Ho avuto una giornata molto movimentata...

Tolestefan                     - Lei m'ha evitato in questi ultimi cinque giorni... Ed ha avuto torto...

Armano                         - (imbarazzato) Creda che non ho mai pen­sato a...

Tolestefan                     - (interrompendo) Lei m'ha sempre giu­dicato sfavorevolmente... Eppure ho cercato d'aiutarlo in tutte le maniere. Le società anonime... Oh! Sono degli ingranaggi terribili! Ci si entra con un dito e, a poco a poco, ci si trova prigionieri con tutto il corpo! Bisogna tenere gli occhi non aperti, ma spalancati!

Armand                         - Lei sa che io ho agito sempre nella mas­sima fiducia e buona fede...

Tolestefan                     - Sì, ma a chi lo dice, questo? A chi lo dice?

Armand                         - (cominciando a seccarsi) A lei, scusi!

Tolestefan                     - A me? E’ al magistrato che deve dirlo...

Armand                         - Al magistrato? Siamo già davanti al ma­gistrato?

Tolestefan                     - (compunto) Purtroppo.

Armano                         - E perché? Cos'è successo di nuovo?

Tolestefan                     - (grave) E' successo un fatto molto grave... Gabirent... Dario Gabirent... mio amico e cliente, ma, che in questa circostanza io giudico con la serenità d'uno spartano... ha definitivamente perduto la pazienza.

Armand                         - (c. s.) Ah. Lui.

Tolestefan                     - E ha preso dei provvedimenti radicali. Ha ordinato una revisione amministrativa e di cassa...

Armand                         - E a me che me ne importa?

Tolestefan                     - Come, che glie ne importa! Ha dimen­ticato d'essere il presidente della società?

Armano                         - Ma i conti li fa l'amministratore delegato,

Tolestefan                     - Il responsabile davanti alla legge è lei! La società è in situazione fallimentare!

Armand                         - (fissa Tolestefan, poi) Non capisco... Cinque giorni fa lei mi disse ch'era esaurito il solo capitale liquido...

Tolestefan                     - (alzando la mano) Prima di tutto tengo a precisare che quanto dico io non ha valore legale. Io non sono amministratore della società... non sono nem­meno socio... Sono soltanto il consulente legale, e, fra parentesi, mi permetto di ricordarle che non ho ancora ottenuto il saldo delle mie ultime parcelle, di modo che ne sono anche creditore.

Armand                         - (nervoso) Va bene, me l’ha già detto varie volte. Ma ora desidero sapere con esattezza: questo bene­detto capitale liquido è esaurito' o no? O lei, o Gabirent, o Angorac, qualcuno me lo dovrà dire!

Tolestefan                     - Glielo dice il bilancio, che lei, in qualità di presidente, ha firmato.

Armand                         - Ho firmato un sacco di carte perché An­gorac me le ha fatte firmare, ma non so niente.

Tolestefan                     - La legge non ammette che si firmi senza leggere... La firma in calce a un documento è la prova, per chi l'ha firmato, d'averne cognizione legale!

Armano                         - (nervoso) Questo lei me lo dice adesso, però!

Tolestefan                     - Non credevo che ci fosse bisogno di dirglielo... E' elementare, scusi...

Armand                         - (irritandosi) Avvocato... non mi faccia dire ciò che non ho detto... e soprattutto non mi faccia fare la figura del cretino... So benissimo che chi firma assume la responsabilità di ciò che firma...

Tolestefan                     - (consequenziale) E allora, dunque!

Armand                         - Ma fino a pochi giorni fa tutto è andato liscio come l'olio... Abbiamo proceduto d'amore e d'ac­cordo, senza formalità, senza diffidenze... Amichevolmente, se non le dispiace...

Tolestefan                     - Amichevolmente... Amichevolmente si regolano i conti al tavolo di bridge, ma nelle società anonime l'amministrazione non può essere che rigida... precisa, formale... come impone la legge...

Armand                         - Permetta...

Tolestefan                     - Scusi... lasciamo parlare le cifre, che sono esatte... (Cava alcune carte dal portafoglio). Ecco i risultati dell'ispezione contabile... (Guarda il foglio)... Oltre al, capitale liquido di centomila fiorini, comple­tamente esaurito, risultano le seguenti passività...

Armand                         - (sbalordito) Come? Oltre quella del capi­tale ci sono altre perdite?

Tolestefan                     - E notevolissime! Guardi... (Gli porge il foglio, ma Armand non lo prende). Sessantamila fiorini a suo carico...

Armand                         - (c. s.) Io ho un debito di sessantamila fio­rini con la società?

Tolestefan                     - (calmo, porgendo il foglio) Guardi... è scritto qui.

Armand                         - Ma io non ne so assolutamente nulla!

Tolestefan                     - (c. s.) Ecco i documenti relativi... Dodici ricevute di cinquemila ciascuna...

Armand                         - (ridendo di sprezzo dopo aver guardato) Ma è il mio stipendio d'un anno, questo...

Tolestefan                     - Piano... stipendio... Lei non ha stipendio...

Armand                         - Come non ho stipendio? Cinquemila fiorini al mese di...

Tolestefan                     - (interrompendo) ... di anticipo in conto utili, non stipendio...

Armand                         - E' la stessa cosa!

Tolestefan                     - Non è la stessa cosa... Lo stipendio si prende sempre, ma gli utili si prendono solo quando ci sono... E' grave, molto grave.

Armano                         - (spaventato) Eravamo d'accordo, Dario ed io, che avrei prelevato questa somma mensile...

Tolestefan                     - Perché si prevedevano degli utili... Ma, in mancanza di utili... in presenza, anzi di un notevole deficit... lei aveva il dovere di non prelevare nulla!

Armand                         - Ma cosa ne sapevo, io, che non mi sono mai occupato dell'amministrazione?

Tolestefan                     - Caro ingegnere, le sue sono delle belle e buone ragioni, ma come saranno- giudicate? Qui sta il busìllis.

Armand                         - (tentando di convincere) Ma scusi... Come potevo vivere senza guadagnare? Un anno senza prele­vare nulla... Sono trecentosessantacinque giorni, sa...

Tolestefan                     - Lei parla come se si trattasse di con­vincere me... Ma qui si tratta di convincere il magistrato! Dobbiamo cercare di salvare la situazione... prenderla per i capelli! Lei può essere arrestato domani stesso!

Armand                         - (spaventato) Arrestato? Ma cosa ho fatto, chi ho assassinato, si può sapere?

Tolestefan                     - Se non mi lascia parlare! Stia attento... e, soprattutto, stia calmo! (Riprende le carte) Guardi: passivo: tutto il capitale liquide... Debiti... sessantamila fiorini che risultano prelevati da lei... (Armand fa per parlare, Tolestefan interrompe)... altri centotrentamila di debiti vari per forniture di materiale edilizio...

Armano                         - Ma questo materiale è fornito da Gabirent!

Tolestefan                     - E non glielo vuol pagare? Sono dunque cento di capitale liquido, sessanta prelevate da lei, cen­totrenta di forniture... a cui bisogna aggiungere...

Armand                         - (interrompendo, fremente) C'è dell'altro?

Tolestefan                     - ...le mie competenze... sono un amico, è vero, ma non posso lavorare gratis... E poi ci sono le spese generali, gl'impegni verso gl'impiegati, le liqui­dazioni al personale dei cantieri... Sono- oltre quattro­centomila fiorini di passivo, caro ingegnere. (Si ferma).

Armand                         - (sopraffatto) Io non mi sono mai occupato di contabilità... L'amministratore delegato era vigilato da Gabirent, non da me...

Tolestefan                     - (premuroso) Ma non lo dica nemmeno per ischerzo... Gabirent non ha nessuna funzione nella società... Non è che un semplice azionista...

Armand                         - Ma ha sempre fatto tutto lui!

Tolestefan                     - Questo a me non risulta...

Armand                         - (fissandolo) Non risulta?

Tolestefan                     - (imperterrito) Non risulta. Ed anche se mi risultasse non avrebbe importanza... Lei non può dire al magistrato che un socio qualunque, senza incarico preciso, faceva tutto nella società... Il magistrato le rispon­derebbe che lei era il presidente, e che aveva il dovere di impedirlo...

Armand                         - (si muove nervoso, si allenta la cravatta e il colletto, respira forte, poi, dopo una pausa, basso, fre­mente) Ho capito. M'avete rovinato... Ci siete riusciti...

Tolestefan                     - (dignitoso) Permetta...

Armand                         - (interrompendo) Ora vedo tutto chiaro. Se cedo tanto meglio... Se resisto sarò sacrificato, anche a costo di sacrificare con me quel disgraziato di Angorac... Un incosciente, un idiota che pur di prendere lo stipen­dio ha dato tutto al padrone... la coscienza, la dignità...

Tolestefan                     - (scandalizzato) Ingegnere!

Armand                         - Alle corte: cosa propone l'amico Gabirent per sistemare tutto?

Tolestefan                     - Che lei esca dalla società cedendo' il suo pacchetto d'azioni...

Armand                         - Per quanto?

Tolestefan                     - Ha fatto un'offerta generosa... creda, generosissima. La società non vale un...

Armand                         - Sentiamo l'offerta generosa.

Tolestefan                     - Cinquantamila.

Armand                         - (ha un balzo) Cinquantamila fiorini per il mio brevetto...

Tolestefan                     - Il brevetto non è suo, ma della società... che è oberata di debiti, di cui la metà dovrebbe pagarli lei...

Armand                         - E se rifiuto... il fallimento... la bancarotta... l'infamia bollata...

Tolestefan                     - E' doloroso... ma non c'è altra via di uscita...

Armand                         - (si torce le mani) Ed ecco come si rovina un uomo... Poi, quando un disgraziato non connette più o non sente altro che il bisogno di distruggere a sua volta... (fissa Tolestefan minacciosamente, stringendo i pugni).

Tolestefan                     - (terrorizzato) Ingegnere... Io non sono che un ambasciatore...

Armand                         - (dopo una pausa) Quando posso avere questo danaro?

Tolestefan                     - Subito. Ho con me l'assegno... e il compromesso.

Armand                         - Già fatto?

Tolestefan                     - Non si tratta che di firmarlo...

Armand                         - Senza leggerlo nemmeno., come tutto quant'altro ho firmato... Faccia vedere.

Tolestefan                     - (cava dalla borsa due fogli di carta legale e un assegno bancario e porge il tutto ad Armand).

Armand                         - (prende le carte e rassegno, dà una rapida occhiata ai fogli legali) La cessione è già firmata da Gabirent, eh?

Tolestefan                     - (imbarazzato) Scusi, Gabirent...

Armand                         - (amaro) ... era già perfettamente sicuro che avrei accettato... capisco. (Legge l'atto) Con il presente atto il sottoscritto cede l'intera sua partecipazione azio­ naria nella Società Imprese e Gestione Edilizie, ivi com­ preso il brevetto sul cemento extrarapido N. 48371 di registro al signor Dario Gabirent... e dichiara di non aver più nulla a pretendere né dalla società né dal signor Gabirent. (Fissa Tolestefan) E non si parla dei cinquan­tamila fiorini?

Tolestefan                     - (indicando l'assegno) L'assegno è sulla Banca del Nord, al suo nome, emesso dalla Società Edi­lizia... può incassarlo quando crede.

Armand                         - E non se ne deve parlare nel contratto di cessione?

Tolestefan                     - Se se ne parla, il contratto diventa una ricevuta per cinquantamila fiorini... Ed è meglio non farne cenno...

Armano                         - (amaro) Naturale... Così nessuno sa con quale miseria sono stato messo alla porta...

Tolestefan                     - (untuoso) Ma, ingegnere... non ha ca­pito... E' per evitare tasse di bollo, imposta sul reddito, noie fiscali... Ho creduto più conveniente far così e fi­nirla...

Armand                         - (febbrilmente) Sì, finirla... una volta per sempre! (Afferra la penna, firma uno dei contratti) Che schifo...

Tolestefan                     - (porgendogli l'altra copia) Una copia rimane a me, l'altra a lei.

Armano                         - (firma l'altro foglio, lo porge a Tolestefan) Ecco. Se ne vada, ora.

Tolestefan                     - (lo guarda) La prego di credere che in tutto questo increscioso rapporto la mia parte è stata quella del mediatore disinteressato ed equanime... Il suo carattere... mi permetta di dirglielo... vivace... violento... è stato il suo vero nemico... l'unico autore della situa­zione d'incompatibilità che s'è a poco a poco determi­nata... Non voglio separarmi da lei senza averle detto la mia ammirazione per il suo talento, e quanta personale simpatia e stima io abbia verso di lei che, in fondo...

Armand                         - (con le mani strette sullo schienale d'una sedia, senza alzar la voce) Se ne vada.

Tolestefan                     - (dignitoso) Volevo solamente dire...

Armano                         - (dominandosi) Se ne vada!

Tolestefan                     - (prende il cappello, le carte, la borsa ed esce in fretta per la seconda porta a sinistra, senza vol­tarsi).

Armand                         - (cade a sedere con la faccia fra le mani).

Maria                             - (viene dalla prima porta a sinistra, osserva un po' turbata il figlio).

Armand                         - (si riscuote, ha un sorriso per Maria).

Maria                             - (un po' ansiosa) Ti senti poco bene?

Armand                         - No, mamma... solo un po' stanco.

Maria                             - Fra poco si cena.

Armand                         - A proposito... C'è anche Oreste.

Maria                             - (contenta) - - Ah... lo vedrò con piacere. E' certo che verrà?

Armand                         - E' già venuto... E' nella mia stanza a fare certi conti...

Maria                             - (preoccupata) Non gli avrai... (si ferma).

Armand                         - (alzandosi, sorridendo) ... chiesto del da­naro? No, rassicurati... Sono ricco, vedi...? (Le fa vedere l'assegno) Ricchissimo... Cinquantamila fiorini da spre­care, mandare in fumo in pochi giorni...

(La scena comincia a oscurarsi lentamente).

Maria                             - (esitante) Chi... come li hai?

Armand                         - (febbrilmente) Affari... Grandi affari... Un colpo da maestro! Domani partiremo... verrò a stare un po' con te... nella tua casa tranquilla e felice... Mi acco­glierai con piacere, spero?

Maria                             - (turbata, per niente ingannata dalla artificiosa gaiezza di Armand) Ma... certo...

Armand                         - (c. s.) E poi... (agita l'assegno)... posso pa­garti la pigione... sono ricco... ricchissimo...

Maria                             - (fissa il figlio, commossa, poi gli tende le braccia).

Armand                         - (andandole incontro, con uno scoppio di pianto) Mamma... Mamma!

Maria                             - (abbracciandolo) Figlio mio... (L'accarezza). Cos'è successo'?

Armand                         - (riprendendosi, già pentito) Niente...

Maria                             - Cosa t'hanno fatto?

Armano                         - Niente, mamma, niente... Va a preparare, son quasi le otto, e Oreste avrà appetito... (Gira la chia­vetta della luce, la scena si rischiara). Bada che Luisa si faccia onore... (Le dà un bacio).

Maria                             - (gli restituisce il bacio, esce dalla destra scuo­tendo la testa).

Armano                         - (siede al tavolo, e dopo una pausa si prende la testa fra le mani. A voce bassa, fremente) Ah... io impazzisco... impazzisco...

Oreste                           - (viene dalla prima porta a sinistra, sorridente e felice, con due fascicoli di carte legali in mano) Addio... Palamede!

Armand                         - (alza la testa, guarda Oreste, smarrito).

Oreste                           - (senza notare niente di strano nell'amico) Credo suppongo immagino penso ed opino... d'averli cucinati!

Armand                         - (lo fissa, poi, abbassando la testa) Ah.

Oreste                           - (sedendo, beato di riposarsi, di distendere i nervi dopo un periodo di tensione) In questi contratti fatti per imbrogliare capita quasi sempre che l'imbroglio si rivolti contro l'imbroglione... Forse è la logica fata­lità d'un'oscura legge di compensazione... Ho studiato attentamente statuto ed atto costitutivo della società, e posso dirti che ho i tuoi furfanti in mano (stende una mano, stringe il pugno) …così! Li farò saltare come grilli!

Armand                         - (cupo) Non c'è più niente da fare, ormai.

Oreste                           - (non comprendendo) Ce tutta da rifare, in­vece... Sta attento... Ti leggo l'atto costitutivo... Articolo primo: E' costituita una società, sotto la ragione sociale di Società Anonima Imprese e Gestioni Edilizie, fra pa­rentesi Saige... per lo sfruttamento e la gestione del bre­vetto N. 48371 sul cemento extrarapido... (Prende l'altro fascicolo) Ed ecco lo statuto. (Legge) E' costituita una società eccetera, con la denominazione eccetera... (cal­cando)... per lo sfruttamento e la gestione del brevetto eccetera. E' chiaro?

Armano                         - (amaro) Ah, è chiarissimo... Li so a me­moria quegli articoli...

Oreste                           - Ma non li hai sviscerati...

Armand                         - (amaro) Non c'è più niente da sviscerare. ET finita.

Oreste                           - (allarmato) Ma... che stai dicendo... cos'è successo?

Armano                         - (c. s.) E' successo che avevi ragione tu. Non sono un uomo d'affari, sono un imbecille... E un imbecille finalmente e completamente rovinato.

Oreste                           - (c. s.) Ma... in nome del Cielo... cos'hai fatto?

Armand                         - (porgendogli la copia del contratto di cessione che ha firmato a Tolestefan e l'assegno) Ecco... guarda...

Oreste                           - (senza prendere il foglio) Hai ceduto?

Armand                         - Ho dovuto. Domani stesso avrei potuto es­sere arrestato...

Oreste                           - E perché?

Armand                         - Per bancarotta fraudolenta... M'ha dimo­strato coi bilanci alla mano che la società aveva debiti per il triplo del suo capitale liquido...

Oreste                           - E tu ci hai creduto?

Armand                         - E' la verità... Le cifre sono quelle... Le ho lette cento volte in questi giorni...

Oreste                           - (disperato) Ma pezzo e poi d'animale... Le cifre non si leggono, si « interpretano... ».

Armand                         - (cupo) Ho pensato al bambino... a mia madre... Non ho un soldo da parte... Un solo mese di carcere sarebbe la rovina... la fame, per loro...

Oreste                           - (ha un gesto furioso, si muove, poi) Cin­quantamila fiorini... Ne avrai almeno il doppio di debiti.

Armand                         - Lavorerò... cercherò d'impiegarmi... E' il mio destino...

Oreste                           - Certo... il destino delle bestie da soma... lavorare, inventare, esaurirsi il cervello, perché i vari Gabirent ammucchino milioni senza aver altra abilità che quella dei falchi, degli avvoltoi... Ah, è un bel de­stino, senza dubbio! (Legge il contratto di cessione) ... il sottoscritto cede l'intera sua partecipazione azio­naria nella Società Anonima Imprese e Gestioni Edilizie... (calcando) ...ivi compreso il brevetto sul cemento extra­rapido... Ah che bestia... che bestia!

Armano                         - (rassegnato) Non c'è che fare       - (la fasciatura alla destra s'è un po' allentata e comincia a rimetterla a posto). Domani me ne andrò con mia madre... Alla fine dell'anno scolastico metterò il bambino in un collegio più economico... povero piccino... Abbandonerò il vil­lino ai creditori... se la sbrigheranno loro...

Oreste                           - (aspro, senza guardarlo) Oh, se la sbrighe­ranno benissimo... Se ti daranno quattro soldi di resto dovrai ringraziarli...

Armand                         - (stringendo la fasciatura) E li ringrazierò.

Oreste                           - (furioso, sempre senza guardare Armand) E avevo trovato il cavillo meraviglioso... Portavo via la polpetta dal piatto con un colpo di forchetta magistrale!

Armand                         - Ora se la papperanno loro! (Stringe coi denti la fasciatura alla destra),

Oreste                           - (si volge a guardarlo, sentendo la voce falsata dal fatto che i denti stringono la fascia. Dopo una pausa) Cos'hai alla mano?

Armano                         - Niente... Una scalfittura che mi sono fatta per reggere quello... (indica il plastico col mento). Un'altra idea grandiosa... (ride amaramente) ...un so­gno... Come vedi anche i miei sogni mi feriscono. Aiu­tami a stringere, scusa...

Oreste                           - (aiutandolo a stringere la fasciatura) Questo po' po' d'apparecchio per una semplice scalfittura?

Armand                         - Sai mamma com'è...

Oreste                           - (stringe la fasciatura pensoso. Improvvisa­mente ha un balzo, e, indicando la mano fasciata d'Ar­manti) Ma... è la destra!

Armano                         - (stupito, toccandosi la mano) Direi...

Oreste                           - Ed hai firmato con la mano fasciata?

Armand                         - (c. s.) Si, ma...

Oreste                           - (fremendo) Fammi vedere... fammi vedere questa firma... Dov'è... (ad Armand che lo guarda stu­pito)... la carta... la cessione... quella cretinissima rinun­zia... dov'è?

Armand                         - L'ho data a te...

Oreste                           - (gridando) Dove, quando? (Si tocca le ta­sche) Ah... (Cava il documento che s'è messo in tasca distrattamente) Ecco... (Lo spiega, ne esamina con atten­zione la firma) Sì... sì... può essere... si direbbe una firma alterata...

Armand                         - Come vuoi ch'io possa negare di...

Oreste                           - (urlando) Sta zitto! Non farmi urlare! E, d'ora in avanti, non fare più nulla se non te lo dirò io... (Febbrilmente) Dammi... Dammi qualcosa... un docu­mento... un accidente qualsiasi... con la tua firma solita...

Armand                         - Il passaporto...

Oreste                           - Fa' vedere...

Armand                         - (prende dal cassetto un passaporto e lo porge a Oreste).

Oreste                           - (lo apre febbrilmente, osserva la firma sul pas­saporto e sul contratto) Non c'è dubbio... La diffe­renza è notevole... Ci vorranno periti e controperiti...

Armand                         - Ma come posso negare d'aver firmato?

Oreste                           - Negando... è semplicissimo! Coi ladri non si fanne complimenti! La cessione è in data d'oggi, pro­veremo che oggi non eri qui...

Armand                         - E dove ero?

Oreste                           - (fremente) A Milford, da Jarack!

Armand                         - E credi che Jarack si presterà a...

Oreste                           - (c. s.) Comincia con l'andare a Milford... Il treno... no, niente treno: puoi incontrare qualcuno che ti conosce. Andrai in macchina: domattina all'alba sei là... Presto... (Armand non si muove). Ti spaventano sei­cento chilometri di macchina?

Armano                         - (esitante) Sto pensando... Con la fortuna che ho da qualche tempo sono certo che mi pescheranno senza patente...

Oreste                           - (scattando) Ma è il momento questo di pen­sare alla pa... (Sgranando gli occhi) Ma... non m'hai detto che l'hai dimenticata a Milford?

Armano                         - Sì, all'albergo...

Oreste                           - (si precipita al telefono, forma il numero).

Armano                         - Che vuoi fare?

Oreste                           - Zitto, bestia... (Al telefono) Signorina?... Signorina? (Pausa fremente). Oh, signorina, grazie per aver risposto così presto... No, no, affatto, non lo dico per prenderla in giro, ma sinceramente... per ringra­ziarla... ho una fretta enorme, e, se mi permette, le of­frirò un palco per l'opera... Ma sicure... perché dovrei scherzare... Lei si presenta stasera al... per domani sera? Benissimo, allora glielo manderò in ufficio. Come si chiama? Eh... deve darmi il nome a cui indirizzare la lettera... Rossiter, benissimo... (Ad Armand) Scrivi: Adalgisa Rossiter, centrale quarta... (Al telefono, mentre Armand scrive) Grazie... Dunque senta, signorina bella... Come so che è bella? Ma dalla voce, perbacco... Si vede! Ho bisogno d'una comunicazione con Milford... non urgente ma fulminante... (Ad Armand) Il numero di Jarack...

Armand                         - Trentasei-dodici...

Oreste                           - ( al telefono) Trentasei-dodici Milford... Fra due minuti debbo parlare... Assolutamente... Grazie….. grazie... e domattina avrà il suo palco... con quattro in­gressi! Grazie! (Riattacca il telefono, ad Armand) Ora tirami fuori tutte le carte della società.. Tutti i con­tratti... Tutto quello' che hai... appalti, forniture... anche un conto di quindici soldi può servire per piantare una grana...

Armand                         - (ha aperto i cassetti, ha cominciato a tirar fuori documenti e carte) Ecco... non c'è molto... non so cosa vuoi fare, ma se riesci solo a dar fastidio è già una soddisfazione... (Porgendo un rotolo di carta legale) Questi sono i verbali della prima assemblea... Assemblea per modo di dire, perché scrisse tutto Tolestefan, e noi non facemmo altro che firmare... (Prendendo una busta legata con uno spago colorato) E questo è il famoso brevetto...

Oreste                           - (balzando, afferrando la busta) Cosa... Hai avuto il genio di trattenerti il brevetto?

Armand                         - (amaro) Oh... per distrazione, sai...

Oreste                           - (mettendo la busta in tasca) Per ora è qui e resterà qui. C'è altro?

Akmand                        - (guardando) Mi pare di no.

(Squilla il campanello del telefono).

Oreste                           - (si precipita al telefono) Pronto... Viene Milford? Grazie signorina! Lei è un tesoro! Pronto... Pronto... Chi parla? Sei tu, Jarack? Oh perbacco! E dov'è? Accid... Tutto a rovescio, sempre... Chi parla, scusi? Ah sei tu, Nino? Io sono Maurin... Oreste Mau-rin... Oh, finalmente! Grazie, sto benone. Dov'è papà? Non sai dove pescarlo? Be', sta attento, e se farai a puntino quello che ti dico ti regalerò un bel cinquecentone appena verrò su... Puoi contarci! Senti... Corri immediatamente all'Hotel Bristol... Ecco, bravo... Sei conosciuto? Benone, così risparmio di telefonare io! Va dal portiere e fatti consegnare il portafoglio con le tessere d'identità e la patente automobilistica che ha dimenticato' l'ingegner Luxen... Sì, Armand Luxen! No, non rimandare niente... Appena hai le tessere e la pa­tente vai all'Hotel Continental e prendi una camera sotto il nome di Luxen, esibendo la patente... Hai ca­pito bene? Ecco, bravo! No, non ti faranno difficoltà... prendi una camera a due Ietti con bagno, gli alberghi sono sempre lieti di fittarle... (Pausa) Bravo, sei un genio! E... sì, stai attento... telefonami, appena hai fatto, qui, a casa di Luxen... Bravo... Addio Nino... grazie... grazie... (Con altro tono) Sì, signorina ho finito.. Gra­zie™ Addio, Nino... (Riattacca il ricevitore, poi ad Armand) Ed ora, al garage... tira fuori la macchina, corri a fare il pieno...

Armand                         - Ma la macchina è a Milford... L'ho la­sciata là...

Oreste                           - (indignato) Ma sei un disastro... Ti manca tutto... (Decidendosi con sforzo) Prendi la mia... bada che è stata pagata in contanti... Ti farò preparare dei panini... Fra un quarto d'ora devi essere partito ed all'alba devi trovarti a Milford!

Armand                         - (è indeciso, va verso la porta sinistra, poi torna indietro) Sei certo che non finiremo in galera tutti e due?

Oreste                           - (aspro) Non cominciare a dire corbellerie! Esiste una legge che vieti ad un libero cittadino di an­dare a Milford?

Armand                         - No, ma vedendomi arrivare all'alba...

Oreste                           - (interrompendo) C'è una legge che vieti di rincasare all'alba?

Armand                         - Sì, ma il portiere...

Oreste                           - All'alba non c'è il portiere, ma un came­riere qualsiasi... Sbrigati... Non perdere più tempo... (Impazientendosi vedendo Armand esitare) Ti muovi o no?

Armand                         - (lo guarda, poi, dominato, s'avvia alla seconda porta a sinistra).

Oreste                           - (raccogliendo le carte) Ah, un momento-Firma qui... (Gli porge una penna e un foglio di carta legale).

Armand                         - (torna, prende la penna, guarda il foglio) Un foglio in bianco?

Oreste                           - Sicuro. Non si sa mai... posso aver bisogno d'una procura generale. Firma. Oh, ma senza fasciatura, eh? (gliela strappa).

Armand                         - (firma).

Oreste                           - (prende l'assegno, ritira il foglio firmato, mette l'assegno davanti ad Armand) Firma anche questo.

Armand                         - (guarda l'assegno stupito, poi) Ma... è l'assegno!

Oreste                           - Sicuro... Cosa credevi che fosse, il Trattato di Versaglia?

Armand                         - (abbrutito) Ma... mi pare d'aver capito che vuoi impugnare la cessione.

Oreste                           - Be'?

Armand                         - Se impugni la cessione devi restituire l'as­segno!

Oreste                           - Brava la bestia!

Armand                         - (lo fissa smarrito, poi) Ah, già... restituen­dolo fornisci la prova che l'hai ricevuto in cambio della cessione...

Oreste                           - Non dire stupidaggini! Che c'entra la ces­sione con l'assegno? Sono due cose distinte e separate. Sulla cessione non si fa cenno di somme ricevute da te.

Armand                         - (tentando di convincere) Naturale... Tolestefan non ne ha parlato per evitare tasse di bollo, noie fiscali...

Oreste                           - Non mi risulta. Noi siamo degli onesti cit­tadini che non oserebbero mai ingannare il fisco. Siamo felicissimi di pagare le tasse e ce ne vantiamo. Firma!

Armano                         - (esitante) Ma... allora... vuoi incassarlo?

Oreste                           - Certo! Abbiamo la causa da fare: vuoi che le spese le anticipi io?

Armand                         - (sbalordito) Tu... vuoi servirti del loro danaro... contro di loro?

Oreste                           - (affermativo) Eh! Preso un cannone al ne­mico lo si rivolta contro il nemico... L'ha fatto Napoleone, non posso farlo io?

Armand                         - (lo fissa, stupefatto).

Oreste                           - (gestendo) Sbrigati!

Armand                         - (esitante) Sto pensando che...

Oreste                           - (scattando) Fammi il santissimo piacere di non pensare! Non è roba per te! Tu la testa l'hai solo per ornamento! Firma!

Armand                         - (firma rapidamente).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

 (L'ufficio di direzione della Società Anonima Cantieri Gabirent. Avanti a sinistra entrata. Più indietro, paral­lela alla parete sinistra, un'ampia scrivania, con tutto l'occorrente per lavorare, telefono, tastiera di campa­nelli, ecc. Dietro la scrivania una sedia in stile; avanti, in alto, una poltrona di cuoio. Al centro del fondo una larga entrata ai lati della quale sono due librerie, uguali, basse, dello stesso stile della scrivania e della sedia re­lativa, con gli sportelli vetrati, chiusi. Nell'angolo fra il fondo e la destra, altra entrata. Avanti a destra, addos­sato alla parete, un divano di cuoio. Prima del divano una seconda poltrona di cuoio. Davanti al divano un tavolinetto con portacenere, giornali, ecc. Due giorni dopo gli avvenimenti del primo atto, verso le dieci del mattino).

Tolestefan                     - (seduto alla scrivania legge varie carte legali).

Elissa                             - (impiegata, bella ragazza sui venticinque anni, elegante e un po' provocante pur nella tenuta nera di ufficio, in piedi a sinistra di Tolestefan, ritira dalle mani dell'avvocato le carte che questi man mano finisce di leggere).

Carisios                         - (tipo d'ufficiale giudiziario, sui cinquanta­cinque anni, baffi, cappello in testa, abito frusto, sigaro in bocca, portafoglio di cuoio nero, abbastanza logoro in mano, è seduto sulla poltrona verso destra).

Tolestefan                     - (verificando le ultime due carte legali) Benissimo... questa volta non c'è nessun errore. Brava. (Elissa fa per ritirare le due carte, Tolestefan le trattiene) No, deve firmarle il signor Angorac. Lo chiami e mi porti il timbro della Società Imprese e Gestioni Edilizie, l'amministratore delegato.

Elissa                             - (esce per la destra).

Tolestefan                     - (a Carisios) Dunque... lei ha capito bene?

Carisios                         - (togliendosi il sigaro di bocca) Ho capito benissimo. (Riprende a fumare).

Tolestefan                     - (fissandolo) Non mi sembra molto con­vinto.

Carisios                         - Ah, non sono convinto affatto.

Tolestefan                     - (seccato, alzandosi) Allora perché dice che ha capito? (Viene verso Carisios).

Carisios                         - (calmo) Perché ho capito. Capire è una cosa, esser convinto ne è un'altra.

Tolestefan                     - (seccato) Sentiamo cos'ha capito!

Carisios                         - (c. s.) Ho capito che devo recarmi in casa dell'ingegner Armand Luxen in compagnia d'un ufficiale giudiziario e di due testimoni a intimargli di conse­gnarmi l'originale del brevetto, dato che l'intimazione fattagli ieri di consegnarlo nelle mani dell'amministra­tore delegato della Società Imprese e Gestioni Edilizie nella mattinata di oggi è rimasta senza effetto.

Tolestefan                     - (c. s.) E allora? Di che non è convinto?

Carisios                         - Non sono convinto d'avere il brevetto. Lei s'è accorto che mancava dall'ufficio l'altro ieri sera, poco dopo che Luxen le aveva firmata la cessione. Ab­biamo telefonato subito a casa Luxen e ci hanno risposto che l'ingegnere era partito... mentre poco prima era là. Ieri mattina abbiamo fatta l'intimazione: se volevano consegnare il brevetto avrebbero potuto già farlo. Ora lei vuole divertirsi a mandare una seconda intimazione per consegna in mani dell'ufficiale giudiziario... s'acco­modi. Ma son certo che torneremo indietro con le cosid­dette pive nel cosiddetto sacco.

Tolestefan                     - (ironico) E' d'un ottimismo che fa rab­brividire, lei.

Carisios                         - (calmo) Vedrà. Ho fatto l'ufficiale giudi­ziario per venticinque anni... e da dieci che sto con lei le ho spesso dimostrato che non sbaglio quando fiuto una situazione.

Elissa                             - (ritorna dalla destra) Il signor Angorac non è ancora tornato.

Tolestefan                     - (seccato, stupito) Se è uscito da due ore! Il Ministero dell'industria è vicinissimo!

Elissa                             - Se vuole posso telefonare...

Tolestefan                     - Ma sì, telefoni subito, ufficio quinto, archivio, stanza del signor... (esita non ricordando il nome).

Elissa                             - Conosco: signor Darzac. Telefono subito. (Esce dalla destra).

Tolestefan                     - (brusco) Che cretino... Io non so certa gente perché vive!

Carisios                         - Oh... Angorac vive appunto perché è cre­tino... Non ha altro da fare che la testa di legno... Fir­mare tutte le carte che gli si danno da firmare, senza curarsi nemmeno di leggerle... E' stato per un intero anno Amministratore Delegato della Società Edilizia e non se n'è nemmeno accorto!

Tolestefan                     - (rabbioso, guardando l'orologio) Sono a momenti le undici... Chiami l'ufficiale giudiziario, intanto.

Carisios                         - Oh, è pronto da un'ora coi testimoni, stia tranquillo. Io non mi faccio mai trovare impreparato. L'intimazione sarà fatta in perfetta regola e a tempo de­bito, anche se non avrà effetto.

Tolestefan                     - (seccato) E dagli! Perché è così sicuro che non avrà effetto?

Carisios                         - Perché conosco i miei polli. La faccia di quell'uomo non mi piace.

Tolestefan                     - Quale uomo?

Carisios                         - Quello che ho trovato ieri mattina a casa dell'ingegnere... Ha voluto mettere l'ora e il minuto pre­ciso in cui ha ricevuto l'intimazione...

Tolestefan                     - E lei si preoccupa di queste sciocchezze?

Carisios                         - Mi preoccupo della meticolosità... Quando trovo uno così preciso, novanta volte su cento vengono fuori grane e discussioni.

Tolestefan                     - Quando riceverà la seconda intimazione cambierà idea. (Prende i due fogli di carta legale dalla scrivania, li scorre con gli occhi, trova il punto, legge) ...con la presente si avverte l'ingegnere Armand Luxen che, non consegnando nelle mani dell'ufficiale giudi­ziario latore il brevetto n. 48371 indebitamente e frau-dolentemente asportato da esso intimato dalla sede legale della società... (calcando) ...verrà immediatamente de­nunziato per appropriazione indebita qualificata, aggra­vata dall'abuso della relazione d'ufficio ai sensi degli articoli, eccetera! Sono stato preciso, come vede!

Carisios                         - Io scommetto che se quel tale non vuole consegnare il brevetto, dichiarerà che l'ingegnere è fuori, ch'egli non sa dove avvertirlo e aggiungerà che non gli risulta che il brevetto si trova nel domicilio dell'inti­mato. Per me, scusi sa, avvocato... noi perdiamo tempo. Faceva più presto a chiedere una copia del brevetto all'ufficio della Proprietà Intellettuale... Con una piccola spesa si risparmiava tanti andirivieni.

Tolestefan                     - (sdegnoso) E cosa crede che sia andato a fare quell'asino di Angorac al Ministero dell'industria? Precisamente a ritirare una copia del brevetto ordinata fin da ieri!

Carisios                         - (stupito) E allora perché sprechiamo carta bollata?

Tolestefan                     - (c. s.) Perché il signor Gabirent, che deve costituire la grande società per le costruzioni inten­sive, vuole l'originale e non la copia!

Carisios                         - Agli effetti legali è lo stesso!

Tolestefan                     - Ma non agli effetti morali. Del resto questo non ci riguarda. Noi dobbiamo obbedire, non discutere.

Carisios                         - Ah, io non discuto affatto. Per me...

Elissa                             - (entra dalla destra) Il signor Angorac ha lasciato il Ministero da cinque minuti.

Tolestefan                     - Ah... Va bene.

Elissa                             - Sta salendo il signor Gabirent, con l'avvo­cato Rauber.

Tolestefan                     - (vivamente) Ah, benissimo, grazie.

Elissa                             - (esce dalla destra).

Camsios                        - (si toglie il cappello).

Tolestefan                     - (tornando alla scrivania) Credo inutile raccomandarle di tenere per sé le sue peregrine idee.

Carisios                         - (calmo) Ah, certo!

Usciere                          - (apre dall’interno la porta in fondo facendosi rispettosamente da parte).

Dario                             - (entra dal fondo. Cinquant'anni, alto, forte, ele­ganza vistosa, bastone, guanti, cappello in testa).

Rauber                          - (lo segue. Quarant’anni, barbetta biondiccia, occhiali, alto, ma con una spalla un po' più bassa dell'altra, testa un po' inclinata, molto elegante, cappello e bastone in mano).

Usciere                          - (sbarazza subito dei cappelli e dei bastoni i sopravvenuti).

Tolestefan                     - (cordiale) i - Buongiorno, signor Gabirent.

Dario                             - (burbero) Buongiorno...

Tolestefan                     - Caro Rauber...

Rauber                          - Caro Tolestefan... come va? (Stringe la mano a Tolestefan, saluta con un cenno Carisios che s'è rispettosamente alzato in piedi).

Dario                             - (fissando Carisios) Lei è già di ritorno?

Carisios                         - (fa per parlare).

Tolestefan                     - (interrompendo) Non è ancora andato, ma...

Dario                             - (seccato, interrompendo) A quest'ora?

Tolestefan                     - L'atto è già pronto, manca solo la firma di Angorac che sarà qui a momenti. (A Carisios) Anzi, lei... tenga... (gli porge i due fogli di carta legale) ...aspetti nella stanza di Angorac... appena viene lo faccia firmare e parta subito.

Carisios                         - Bene, avvocato. (Prende le due carte, si inchina con ossequio a Dario, con sincera deferenza a Rauber, esce per la destra).

Dario                             - (ha risposto al saluto con un cenno altezzoso).

Rauber                          - (ha salutato Carisios con un cenno di ami­chevole protezione).

Tolestefan                     - (cordiale, a Rauber) Sono subito a te... (Prende il microtelefono, breve pausa) Mi porti il pro­getto di statuto e atto costitutivo della società per le costruzioni intensive... Sì, subito. (Rimette a posto il telefono: a Rauber) Sono sicuro che non troverai nulla da ridire, non perché l'ho fatto io...

Rauber                          - (sorridendo) Ne sono convinto... Sei un maestro...

Tolestefan                     - Dopo di te.

Dario                             - (con grossa ironia) Quello che mi secca di più negli avvocati sono i complimenti che si fanno... e che noi disgraziati paghiamo...

Rauber                          - (sorridendo) E' proprio di cattivo umore... se la prende anche con gli avvocati!

Dario                             - E ne ho le mie buone ragioni! Ho pagato una parcella, ieri!

Tolestefan                     - (ironico) Si trattava d'una cosetta da nulla, sai... Una sciocchezza... Il brevetto del cemento extrarapido che gli ho fatto comprare per... Non ti dico per quanto, altrimenti dovresti consigliare i tuoi clienti a non far più la società!

Dario                             - (brontola e gesticola annoiato).

Rauber                          - (c. s.) Oh... orinai è fatta... Il signor Gabirent è un genio in materia di cifre... Quelle le fissa lui e non le sposta... Noi poveri curiali ci limitiamo a scri­verle, invano invidiando...

Dario                             - (con ironia) Poveri sfruttati! Avete per caso bisogno d'un buono per il rancio dei poveri?

Tolestefan e Rauber      - (ridono).

Elissa                             - (viene dalla destra con delle carte legali e le porge a Tolestefan).

Rauber                          - (guarda ammirato Elissa).

Tolestefan                     - (a Elissa) Grazie.

(Elissa esce dalla destra).

Rauber                          - (la segue con lo sguardo, poi, quanoVè uscita) E' un amore!

Dario                             - (sdegnoso, indicando Tolestefan) E si lagna!

Rauber                          - (ridendo) Gliela dovrebbe diffalcare dai conti!

Tolestefan                     - Non glielo dire due volte, perché è capacissimo di farlo! (Porge alcune carte a Rauber tenendone altre per se).

Rauber                          - (ridendo, dà una scorsa alle carte) Bella figliola... Ah, non c'è che dire... Se penso agli orrori che hanno inflitto a me... (Legge con più attenzione) Bene .. benissimo.

Tolestefan                     - (ammiccando a Dario, come per dire: « Stia tranquillo, la cosa va »).

Dario                             - (risponde con un cenno di testa come per dire: « Speriamo! »).

Rauber                          - (dopo una pausa, continuando a leggere) Lo statuto è all'incirca lo stesso dell'atto costitutivo?

Tolestefan                     - (premuroso) Ah, certo... salvo le varianti di legge.

Rauber                          - (sempre leggendo) Bene, bene... In mas­sima va.

Tolestefan                     - (con lievissima ansia) In massima?

Dario                             - (è attentissima) Ha delle modificazioni da suggerire?

Rauber                          - Sciocchezze... Qualche formula che vedrei un po' diversamente...

Dario                             - (respirando) Ah, meno male... Credevo che ricominciasse la discussione sull'apporto...

Rauber                          - (sorridendo) Eh... su quello, purtroppo, ha vinto lei... In materia di cifre... gliel'ho già detto: non ha maestri... Il capitale sociale è ormai fissato in quattro milioni, di cui due in contanti versato da noi, altrettanti apportati da lei col brevetto del cemento extrarapido che si valuta due milioni e non un milionesimo di meno...

Tolestefan                     - Si tratta d'un ritrovato così geniale...

Rauber                          - Non discuto né ritrovato né cifre. La modifi­cazione che vorrei è all'articolo primo... (Legge) La so­cietà ha per scopo sociale lo sfruttamento e la gestione del brevetto N. 48371 eccetera... Lo vorrei così: La so­cietà... vuoi scrivere, scusa?

Tolestefan                     - Fissiamo prima l'idea...

Rauber                          - No, scrivi prima... Poi magari correggiamo.

(Tolestefan prende la penna e scrive). La società... vir­gola...

Tolestefan                     - (sorridendo) Virgola?

Rauber                          - (sorridendo) Sono un po' pignolo, è vero... Ma non riesco a correggermi... La società virgola che per l'avvenuto apporto è proprietaria del brevetto nu­mero 48371...

Tolestefan                     - ...Virgola...

Rauber                          - ...ha per scopo sociale lo sfruttamento e la gestione del brevetto medesimo, eccetera.

Dario                             - (stupito) E' lo stesso, mi pare...

Rauber                          - E' lo stesso, ma detto meglio... Io non ho molte qualità, ma fra quelle poche che posseggo la pre­cisione è la prima.

Tolestefan                     - (ha scritto ed ora sta ridendo) Hai altre obiezioni da fare?

Rauber                          - Due sole, e ti avverto che sarò inflessibile.

Tolestefan                     - Sentiamo!

Rauber                          - La prima è che la costituzione della società dovrà avvenire domani non oltre mezzogiorno, perché all'una dovremo trovarci tutti alla birreria Gambrinus...

Dario                             - (ridendo) ...e la seconda?

Rauber                          - ...che la colazione dovrà essere pagata da lei!

Tolestefan                     - (ride).

Dario                             - E' il mio destino! Sono nato per subire!

Rauber                          - Dica ch'è nato con la camicia... e inamidata! (Ride, si alza).

Dario                             - (si alza).

Tolestefan                     - (si alza lui pure e preme un bottone della tastiera).

Rauber                          - Mah... (A Dario) Come ha accolto la cosa il vostro ingegnere matto?

Dario                             - (con sprezzo) Oh... è un idiota...

Usciere                          - (appare sul fondo).

Tolestefan                     - Il cappello dell'avvocato...

Rauber                          - ...e il bastone... è un caro ricordo!

Usciere                          - (esce dal fondo).

Rauber                          - (a Dario) Così Luxen ha inghiottito la pil­lola senza protestare?

Dario                             - Prima di tutto non ha inghiottito nessuna pillola perché è stato pagato e strapagato... Ne ha fatte tante, in dodici mesi, che non so come ho potuto re­sistere...

Tolestefan                     - Ha commesso anche delle appropria­zioni indebite, figurati...

Rauber                          - E' una testa balzana..: L'appropriazione è per valore rilevante?

Usciere                          - (rientra col cappello e il bastone di Rauber).

Tolestefan                     - (mentre Rauber prende cappello e bastone e si copre) Oh, non si tratta di somme, ma di oggetti... Meschinità, dispettucci... S'è squagliato, fa dire che si trova a Milford, ha nominato una specie di ministro plenipotenziario nella persona di un certo... aspetta... (guarda sulla carta che gli ha lasciato Carisios) ...un certo Oreste Maurin...

Usciere                          - (è uscito per il fondo).

Rauber                          - (con un moto di stupore) Oreste Maurin? Quello delle Ceramiche?

Tolestefan                     - (ricordando) Ah! Ecco perché non mi riusciva nuovo questo nome...

Rauber                          - Dev'esser proprio lui, perché è parente di Luxen... cugino, mi pare... Ricordo anzi che Luxen lo vidi per la prima volta al famoso processo... Sì, è lui, non c'è dubbio... Bada ch'è un uomo pericoloso.

Tolestefan                     - Fu condannato, se non sbaglio?

Rauber                          - Sì, lo feci condannare in tribunale, e solo così lo costrinsi a transigere. Ma dovetti ritirare l'accusa in cambio della transazione, e in appello, in assenza della parte civile, riuscì a farsi assolvere. E' un osso duro: stai attento.

Tolestefan                     - (scrollando le spalle) Oh... ormai! Ce lo siamo levato dai piedi, lui e il cugino pazzo!

Rauber                          - Meglio così. A domani, allora. Va bene alle dieci e mezzo?

Dario                             - Facciamo alle undici.

Rauber                          - Difatti... non si tratta che di firmare... (A Tolestefan) Ah... è inutile che prepari altre copie... prov­vedere il mio ufficio... Ci tengo a risparmiare fatica a quell'angelo di signorina... (Si muove).

Tolestefan                     - Le dirò del tuo gentile pensiero.

Rauber                          - (ridendo) Grazie... Come si chiama?

Tolestefan                     - (accompagnandolo) Elissa!

Rauber                          - Elissa... La dea dei silenzi perfetti... Hai tutte le fortune!

Dario                             - E brontola!

Rauber                          - Arrivederci, signor Gabirent!

Dario                             - Arrivederci, avvocato.

Rauber                          - (a Tolestefan) Addio, filisteo! (Esce ri­dendo dal fondo).

Tolestefan                     - (lo ha accompagnato ridendo, si sporge sul fondo tenendo la porta: dopo una pausa) A do­mani... (Viene avanti dopo aver chiusa la porta).

Dario                             - (burbero) Guardi se l'intimazione è partita!

Tolestefan                     - (andando alla destra) Eh! A quest'ora dev'esser già notificata!

Carisios                         - (entrando dalla destra) Scusi... ho visto uscire l'avvocato Rauber e mi sono permesso... Il signor Angorac...

Ancorac                        - (lo segue. Cinquantanni, forte, massiccio, oc­chiali, maniche di lustrino, capelli grigio-rossi abbondan­tissimi che gli fanno apparir la fronte più bassa di quanto in effetti è, ossequioso, falso, espressione profondamente cretina, vero tipo della mediocrità piccolo-borghese) Una cosa enorme, signor avvocato, enorme! Al Ministero...

Dario                             - (interrompendo impaziente) Parleremo dopo del Ministero... Ha fatto partire l'intimazione?

Angorac                        - (umile) Non ancora perché al Ministero...

Dario                             - (furibondo) Ma basta col Ministero! Lei aveva ricevuto ordine di far partire immediatamente l'intima­zione! Perché non l'ha fatto?

Carisios                         - Scusi... mi lasci parlare un momento... Mi sono permesso io di sospendere la cosa perché m'è sem­brato necessario chiedere nuove istruzioni... L'ufficio della Proprietà Intellettuale, dove il signor Angorac s'è recato stamane a ritirare una copia del brevetto ordinata fin da ieri, ha dichiarato di non poter rilasciare la copia richiesta senza autorizzazione dell'inventore o del suo rappresentante legale...

Tolestefan                     - Be'? E il rappresentante legale dell'in­ventore è la società edilizia di cui il signor Angorac è amministratore delegato. Che c'è di strano?

Carisios                         - C'è di strano che l'ufficio non ha ritenuto la Società Edilizia rappresentante legale dell'inventore, perché ha ricevuto una diffida ieri.

Dario                             - Una diffida?

Carisios                         - Così dicono.

Dario                             - Da chi?

Carisios                         - Ah, non lo so... Non sono andato al Mi­nistero... M'è parso più utile aspettare istruzioni dall'av­vocato...

Tolestefan                     - (ad Angorac) E lei non ha pensato a farsi dire chi aveva mandato questa diffida?

Angorac                        - (confuso) Veramente... mi sono trovato così confuso... così disorientato che...

Dario                             - (furente) Lei è una bestia! Ecco cos'è!

Angorac                        - (umile) Sì, signor Gabirent.

Usciere                          - (appare sul fondo) Scusi... c'è il signor...

Dario                             - (interrompendo furioso) Non ci sono per nessuno! (Gesto imperioso alFusciere di andarsene).

Usciere                          - (esce dal fondo).

Tolestefan                     - Bisogna andar subito a vedere di che si tratta... Ma intanto l'intimazione deve partire ugualmente... (Ad Angorac) L'ha firmata?

Angorac                        - (premuroso) Ah, certo, signor avvocato...

Tolestefan                     - Benissimo. (A Carisios) Lei la notifichi senz'altro e torni subito qui. (A Dario) Io andrò immedia­tamente al Ministero. Si tratterà d'un equivoco certa­mente...

Dario                             - Vengo anch'io. (Si muove verso il fondo).

Elissa                             - (dalla destra) Scusi... c'è un signore che...

Dario                             - Non ho tempo. Ripassi.

Elissa                             - Non vuole lei, ma il signor Angorac.

Dario                             - (fissandola minaccioso) E lei viene a distur­barci per questo?

Elissa                             - (timidamente) Scusi, signor Gabirent... sono entrata perché mi pare che si tratti d'una persona un po' strana... Ha detto che se non è subito ricevuto dal signor Angorac va a chiamare la polizia...

Dario e Tolestefan        - (stupiti) La polizia?

Angorac e Carisios        - (sono sbalorditi).

Elissa                             - Ha detto proprio così... Ecco perché mi sono permessa...

Dario                             - Chi è? Cosa vuole?

Elissa                             - Dice che viene da parte dell'ingegnere Luxen... E' un certo Maurin...

Usciere                          - (dall'interno) Ma scusi, signore... che modo...

Oreste                           - (dall'interno) E levatevi dai piedi, perbacco! (Appare sul fondo: ha un portafoglio sotto il braccio, il bastone in mano, il cappello in testa) Scusi... è questo l'ufficio della Società Imprese e Gestioni Edilizie?

Dario                             - (secco) Questo è il mio ufficio!

Oreste                           - Lei è il signor Angorac?

Dario                             - (c. s.) Non sono il signor Angorac.

Oreste                           - (senza indirizzarsi a nessuno) Chiedo scusa, signori... Esiste un signor Angorac in quest'ufficio?

Angorac                        - (timidamente) Sono io...

Oreste                           - (cordiale) Oh... molto bene! (Gli va incon­tro con la mano tesa) Felicissimo di conoscerla. Sono Oreste Maurin, procuratore generale del nostro presidente, e suo facente funzione per tutto quanto riguarda la so­cietà. (Si toglie il cappello e lo mette, col bastone, sulla scrivania) Ora le mostrerò la procura. Vuole intanto pre­sentarmi ai suoi collaboratori?

Ancorac                        - (stupefatto) Io?

Oreste                           - (aprendo la borsa ch'è piena di carte e cavan­done un foglio di carta legale) Lei... Non sono i suoi impiegati questi signori?

Angorac                        - (atterrito) Impiegati... ma... cosa dice...

Tolestefan                     - Scusi... ci dev'essere uno sbaglio... per­metta, intanto... Avvocato Tolestefan... (ha un breve in­chino).

Oreste                           - (inchinandosi cerimoniosamente) Molto lieto.

Tolestefan                     - (asciutto, indicando Dario) Il signor Dario Gabirent.

Oreste                           - Ah? (S'impadronisce della mano che Dario non gli ha pòrta e la stringe vigorosamente). L'altro socio? Molto, molto piacere. Ho parecchie cose da dirle, sa. Appena avrò un momento di tempo la riceverò. (Vol­tandosi verso Carisios) Il signore... (Riconoscendolo) Ah, mi pare d'averlo visto ieri...

Carisios                         - (disorientato) Difatti...

Oreste                           - Già, lei era con l'ufficiale giudiziario che m'ha portato quella buffonata...

Tolestefan                     - (ferito) Buffonata?

Oreste                           - Eh, già... dispettucci fra amministratori... pettegolezzi... ma ora metteremo a posto tutto, perché io sono di carattere allegro e conciliante. (A Elissa) Lei, signorina, può andare, grazie. (All'usciere) Tu... vattene e chiudi la porta. (Agli altri) Se lor signori vogliono essere così gentili di ritirarsi nelle loro stanze... Vorrei parlare col nostro illustre amministratore delegato, e si tratterà d'una faccenda un po' lunga...

Tutti                              - (sono rimasti sbalorditi, e si guardano con gli occhi sbarrati).

Dario                             - (recuperando per il primo la nozione delle cose, furibondo) Ma... dico... è forse matto, lei?

Oreste                           - (ferito) Dice a me?

Dario                             - A lei, sì! Lei è nei miei uffici... gli uffici della Società di Costruzioni Gabirent, e questa è la mia stanza! Dove crede di stare?

Oreste                           - Scusi... Io so che in questa via e a questo numero si trova la Società Imprese e Gestioni Edilizie... Il portinaio dello stabile m'ha precisato che la società è al terzo piano... Al terzo piano, fra le varie targhe di ottone, c'è anche quella della società che cerco io... Sono entrato: ho interrogato l'usciere, l'usciere m'ha detto che la società è qui... Il signor Angorac, amministratore de­legato, è qui presente... Non ho nessuna colpa se mi sono sbagliato. (Prende il cappello e il bastone, ad Angorac) Mi guidi nei nostri uffici. Non disturbiamo oltre questi signori... (Si muove verso il fondo) Andiamo?

Angorac                        - (gestendo disperatamente verso Dario) Ma...

Oreste                           - Dove sono questi uffici?

Angorac                        - (c. s.) Scusi, io...

Dario                             - (interrompendolo) Lei stia zitto e se ne vada.

Angorac                        - (umile) Si, signor Gabirent. (Va verso la destra).

Oreste                           - (sbarrando col bastone la strada ad Angorac) Eh, eh... piano... dove va? (A Dario) Stia zitto, se ne vada... Che modi son questi?

Dario                             - Il signor Angorac è mio dipendente!

Oreste                           - Quando è in funzione d'amministratore dele­gato della Società Edilizia non è suo dipendente. (Ad Angorac) Vuol avere la compiacenza di condurmi negli uffici della Società o debbo cercarmeli da me?

Ancorac                        - (avvilito) Ma il signor Gabirent ha ordi­nato...

Oreste                           - (interrompendo) Il signor Gabirent non conta: è un semplice socio e nient'altro. Gli ammini­stratori siamo io e lei. Vuol dirmi sì o no dove sono questi uffici?

Dario                             - (furioso, all'usciere) Ta a chiamare una guardia...

Tolestefan                     - (interrompendo con un gesto e uno sguar­do Dario e fermando Tusciere con un gesto dell'altra mano) Scusate... lasciate parlare a me... (A Oreste) Signor Maurin... qui c'è un equivoco che chiariremo su­bito... cominci intanto col calmarsi, la prego...

Oreste                           - Io sono calmissimo... E' il signore (indicandolo) che mi sembra un po' alterato.

Tolestefan                     - Ne avrebbe il motivo... La sua entrata è stata un po' intempestiva, vorrà riconoscerlo...

Oreste                           - L'ho già riconosciuto ed ho fatto implicita­mente le mie scuse quando ho dichiarato che non era colpa mia se m'ero sbagliato... Cercavo gli uffici della società...

Tolestefan                     - E questi, in un certo senso, sono gli uffici della società. Però...

Oreste                           - (interrompendo, cortese) Scusi... perché in un certo senso?

Tolestefan                     - (gentile) In un certo senso perché sono gli uffici della Società Costruzioni Gabirent... La Società Edilizia, qui, è solo un'ospite... Ha un semplice recapito legale: un indirizzo, comprende?

Oreste                           - (stupefatto) Non è possibile...

Tolestefan                     - (cortese) E' così!

Oreste                           - (ad Angorac) E’ così davvero?

Angorac                        - Eh! Se glielo dice l'avvocato!

Oreste                           - Ma è inverosimile! Nel suo bilancio, depo­sitato alla sezione commerciale del tribunale e di cui ho preso copia ieri, lei ha segnato una partita di trentaseimila fiorini per spese di ufficio, pigione d'un anno...

Tolestefan                     - (vivamente) Ecco... Dario  - (idem) Permetta...

Oreste                           - (ad Angorac, continuando) Come fa lei a pagare tremila fiorini al mese per un ufficio che non esiste?

Tolestefan                     - (c. s.) Scusi...

Oreste                           - (cortese, a Tolestefan) Non le pare, avvo­cato? E' naturale che la società sia passiva se si fanno queste spese pazze!

Tolestefan                     - (con cortese energia) Scusi, signor Maurin... Vuol avere la gentilezza di fermarsi un momento con me e col signor Gabirent?

Oreste                           - Volentieri, ma...

Tolestefan                     - (interrompendo c. s.) E' necessario sgombrare il terreno da un equivoco pregiudiziale...

Oreste                           - (gentile) Sono a sua disposizione. Mi lasci parlare un momento col signor Angorac e poi...

Tolestefan                     - Mi usi la cortesia di parlare prima con noi. Vedrà che non avrà più bisogno del signor Angorac. (Insistendo, cortese) Mi faccia questo favore.

Oreste                           - (cedendo) Se lei parla così non posso che mettermi ai suoi ordini... (Si toglie il cappello, lo mette col bastone e la borsa sulla poltrona a destra).

Tolestefan                     - (fa cenno a Elissa, all'usciere, a Carisios e ad Angorac di andarsene),

Elissa e Angorac           - (escono per la destra, stupiti).

Usciere                          - (esce stupito per il fondo).

Carisios                         - (gestisce interrogando Tolestefan).

Tolestefan                     - Cosa vuole?

Carisios                         - Che devo fare, io?

Tolestefan                     - Aspetti!

Carisios                         - (esce dalla destra).

Tolestefan                     - (accennando il divano a Oreste) Vuole accomodarsi?

Oreste                           - (sedendo, cortese) Grazie.

Tolestefan                     - (col tono ed il gesto di chi vuole avviare una conversazione banale) Ho l'impressione che il suo nome non mi sia nuovo... E' parente forse a quel tale Maurin delle Ceramiche?

Oreste                           - (tranquillo, con un mezzo inchino) Sono io.

Tolestefan                     - (con una lieve sfumatura di disprezzo) Ah?

Oreste                           - Già.

Tolestefan                     - (un po' pungente) Se ricordo bene lei ebbe delle noie nel processo...

Oreste                           - (gentilissimo) Precisamente.

Dario                             - (aspro) E fu anche condannato...

Oreste                           - (c. s.) Sì, in tribunale. In appello fui assolto.

Dario                             - (c. s.) Ma fu arrestato, però.

Oreste                           - (c. s.) Purtroppo... Cinque mesi di carcere preventivo, e dovetti tenermeli senza reclamare... (Pausa). Mah... Meno male che è finita.

Tolestefan                     - (ha scambiato un rapido sguardo con Da­rio, poi) Fu un processo un po' oscuro... La Parte Civile all'ultimo momento si ritirò...

Oreste                           - (c. s.) Sì, l'Anonima Ceramiche ritirò l'ac­cusa in seguito ad una transazione che mi ridusse sul lastrico... Ma mi convenne accettarla per riavere un nome pulito.

Dario                             - (brutale) Una capitolazione in piena regola, dunque.

Oreste                           - (c. s.) E già. Ero legato mani e piedi prima che si potesse sospettare l'odore d'un processo... Quando cominciarono gli atti ero già accerchiato senza saperlo... Prigioniero d'un contratto di ferro, precedentemente stu­diato dal legale delle Ceramiche...

Tolestefan                     - (maligno) Sì, conosco... l'avvocato Rauber.

Oreste                           - (c. s.) Appunto... suo illustre collega... (Tolestefan s'inchina) Un autentico farabutto. (Tolestefan ha un balzo, Oreste s'inchina sorridendo graziosamente) Mah! Ormai è passata. Pensiamo al presente. Dunque?

Dario                             - (dopo aver guardato Tolestefan ch'è un po' scon­certato, a Oreste, con tono altezzoso) Senta, signor...

Oreste                           - (gentile) Maurin.

Dario                             - (c. s.) Signor... Maurin... Lei ha ricevuto ieri un atto...

Oreste                           - (cortesemente interrompendo) Ecco...

Dario                             - (brutale) Oh, non tergiversiamo, a me consta che lo ha ricevuto.

Oreste                           - (c. s.) Sicuro che l'ho ricevuto, ed è per questo che son qui... Si tratta d'una intimazione all'in­gegner Luxen, mio rappresentato, di restituire un bre­vetto che si afferma fraudolentemente asportato...

Tolestefan                     - Ecco: fraudolentemente!

Oreste                           - ... dalla sede di questa società che, viceversa, non ha sede...

Dario                             - Non giuochiamo sulle parole. Io non voglio calcar la mano su nessuno, ma la pazienza umana ha dei limiti ch'io dichiaro d'aver raggiunti e che non intendo assolutamente oltrepassare!

Oreste                           - Spero che non sia stato il mio amico Luxen a farlo impazientire...

Dario                             - (secco) E' stato proprio lui, invece... col suo carattere, con le arie assolutamente ingiustificate che si dà...

Oreste                           - (scuotendo la testa) Ah, certo, è un ca­ratteraccio... Qualche giorno fa parlava di bastonare, di sparare... (Dario e Tolestefan hanno un moto di paura) Ce n'è voluto per calmarlo... e per togliergli la rivoltella di tasca! (Dario e Tolestefan hanno un moto di spa­vento). Ma ora ci sono io, e con me possono star si­curi che tutto andrà bene. Io sono per la calma e la moderazione. Vedrà che non avrà occasione di la­gnarsi di me.

Dario                             - (altezzoso) Non ne dubito. Ma credo che difficilmente avrò il piacere di trattare nuovi affari con l'ingegner Luxen!

Oreste                           - (cordiale) E' un benedetto uomo che gli affari non li capisce... (Dario e Tolestefan acconsen­tono ironici). Si lascia mettere nel sacco dal primo lestofante che gli capita... (Dario e Tolestefan si guar­dano stupiti, poi fissano Oreste) ... intrappolare dal primo ladro che gli viene fra i piedi. Mentre io, invece, i ladri li so trattare... Sono stato cinque mesi fra loro, in ga­lera... ed oggi... (annusa verso Dario e Tolestefan)... li riconosco al fiuto.

Tolestefan e Dario        - (si fissano stupiti, poi guardano Oreste con una certa preoccupazione).

Tolestefan                     - (dopo Una pausa) Scusi... ma che c'en­tra, questo?

Oreste                           - (compitissimo) Dicevo per chiarire le ra­gioni che m'hanno indotto a interessarmi degli affari di Luxen... che ho studiato e conosco tutti perfettamente, dal più modesto conto di cassa al rapporto Società Edi­lizia Gabirent...

Dario                             - (interrompendo, tagliando l'aria con la destra) Oggi finito!

Oreste                           - (cortese, stupefatto) Finito?

Dario                             - (asciutto) Finitissimo dall'altro ieri.

Oreste                           - (c. s.) Scusi, non capisco... Com'è finito questo rapporto?

Tolestefan                     - In modo legale e totalitario, mediante regolare atto di cessione piena ed incondizionata.

Oreste                           - (scattando) Possibile?

Tolestefan                     - Dico... non crederà che le stiamo rac­contando delle favole?

Oreste                           - (indignato) E non ha detto niente a me?

Dario                             - (beffardo) Vede? Da questo può giudicare l'uomo!

Oreste                           - (c. s.) Ah, ma è enorme! Fantastico! Mi vien voglia di gettar per aria tutte le sue scartoffie e tornarmene a casa mia!

Dario                             - (c. s.) Guadagnerebbe una quantità di tempo prezioso che potrebbe impiegare molto più utilmente, creda!

Oreste                           - (ripensandoci, e indignandosi di nuovo) E' j assurdo... Indelicato! Venirmi a romper l'anima per farmi occupare dei suoi pasticci... Scongiurarmi con le lacrime agli occhi... e poi, quando ho perduto un mese di tempo... mettermi brutalmente di fronte al fatto com­piuto!

Dario                             - (c. s.) Eh, caro lei... questo capita a chi si imbarca con certa gente... Ora capirà perché non ho voluto più saperne...

Oreste                           - Ah, certo... Me ne rendo conto!

Dario                             - La correttezza negli affari non è una reli­gione praticata da tutti!

Oreste                           - Purtroppo... (Fissando Dario) Che mascal­zone!

Dario                             - (c. s.) E' la parola più adatta.

Oreste                           - (smarrito) Io... io non so cosa dire... sono confuso, umiliato... Non m'aspettavo questo fulmine a ciel sereno... Mi dicano loro cosa devo fare... come debbo regolarmi... E soprattutto in che posso rendermi utile... almeno finché mi occuperò di quello sciagurato... e sarà per poco. Sono a loro disposizione. (S'inchina, fra l'av­vilito e l'indignato).

Tolestefan                     - (cordiale) Ecco... la cosa potrebbe esser grave, ma non lo sarà perché ho pregato il signor Gabi­rent di lasciar correre, e son certo che sarò esaudito. Non vale la pena di far cause contro chi non ha nulla da perdere... Il suo caro amico Luxen ha semplicemente e puramente asportato dalla sede della Società Edilizia il famoso brevetto del cemento extrarapido! Ora lei, se conosce bene il rapporto come non dubito, saprà certa­mente che quel brevetto è l'unica attività dell'Anonima Edilizia, mandata deliberatamente in rovina...

Oreste                           - Proprio così... deliberatamente!

Tolestefan                     - Vede, dunque... Ce ne siamo accorti poco dopo firmato l'accordo... Non le dico la nostra in­dignazione! L'amministratore delegato... carattere docile, tranquillo, accomodante... Lei l'ha visto, del resto...

Oreste                           - Eh, altro!

Tolestefan                     - ... una buona creatura, incapace di far male a una mosca... voleva correre a denunziarlo per appropriazione indebita...

Obeste                           - Accidenti!

Tolestefan                     - ...qualificata ed aggravata! Lei capisce... possibilità d'arresto immediato!

Oreste                           - Eh, altro che! Per quanto... scusi, sa? Per quanto si tratti d'un valore relativo, perché gli aventi diritto possono ottenere la copia d'un brevetto sempre che vogliano.

Tolestefan                     - D'accordo, ma...

Oreste                           - (interrompendo) Sì, capisco, lei vuole dire che l'originale ha sempre un valore morale...

Tolestefan                     - Appunto...

Oreste                           - (c. s.) ...« può costituire, in mani non le­gittime, una sorgente di cavilli, intralci, fastidi...

Tolestefan                     - (come chi dà cortesemente una lezione) Quando non esiste una cessione, naturalmente.

Oreste                           - Ah, certo, una cessione regolare...

Tolestefan                     - (affermativo) Ecco...

Oreste                           - ... perfetta, inoppugnabile... Fatta per atto pubblico...

Tolestefan                     - (colpito) Per atto pubblico?

Oreste                           - Eh già... l'ultima legge sul diritto d'autore lo specifica chiaramente... (Recitando) La cessione delle opere dell'ingegno' deve avvenire per atto pubblico sotto pena di nullità...

Dario                             - (aggressivo) Ma cosa sta almanaccando lei? Che c'entra il diritto d'autore? Si tratta forse d'una can­zonetta ?

Oreste                           - (gentilissimo, cavando rapidamente un volu­metto dalla borsa e aprendolo ad una pagina segnata) Si tratta d'un'opera dell'ingegno, e la legge dice tassa­tivamente... (leggendo) Sono protette tutte le opere dell'ingegno...

Dario                             - (alzandosi, interrompendo) Be' be', basta... Non perdiamo tempo. Avevo sperato per un istante che fosse possibile ragionare, ma vedo che m'ero sbagliato. (A Tolestefan) Lei prepari la denuncia per appropria­zione indebita e la presenti oggi stesso...

Oreste                           - (gentile, quasi umile) Scusi, non s'arrabbi­ il brevetto lei può averlo anche subito perché è qui... (prende la cartella, ne cava la busta che contiene il bre­vetto e lo mostra) Eccolo...

Dario                             - (beffardo) Ah... ora cominciamo ad andar d'ac­cordo... Con le buone maniere s'ottiene tutto! (Stende la mano per prendere la busta).

Oreste                           - (ritirando la busta con gesto gentile e gra­zioso) Senza dubbio... Lei mi provi che ne è il legit­timo possessore ed io glielo consegnerò, senza costrin­gerlo a denunziare nessuno!

Dario                             - Il brevetto è mio perché m'è stato ceduto con atto di cessione regolarissimo che nessuno può im­pugnare!

Tolestefan                     - (persuasivo, a Oreste) Io capisco il suo scrupolo, ma...

Dario                             - (esasperato) Ma che scrupolo! Non mi faccia ridere!

Tolestefan                     - (dignitoso, a Dario) Ho il dovere di precisare questo punto giuridico, scusate... Al signor Maurin spettano queste spiegazioni! (A Oreste, persua­sivo, cortesemente autorevole) La legge sul diritto d'au­tore non c'entra... Non si tratta d'una commedia, ma di un brevetto industriale! (Oreste fa per parlare, Tole­stefan interrompe) Permetta... Lo spirito della legge è tutt'altro... L'inventore non è autore... Sono due attività distinte e separate... Quindi per la libera cessione d'una invenzione non occorre nessun atto pubblico... E' così, mi creda!

Oreste                           - (cortese) Questa è « la sua » interpretazione della legge...

Tolestefan                     - (c. s.) Non si può interpretarla diver­samente.

Oreste                           - E' il « suo » parere... non il mio

Dario                             - (dominandosi) Ma dico... cosa dobbiamo fare? Una causa?

Oreste                           - Eh! Quando non ci si trova d'accordo sull'interpretazione d'una legge, spetta al magistrato de­cidere.

Dario                             - (c. s.) Ma una causa simile può durare degli anni!

Oreste                           - Io non ho nessuna fretta.

Dario                             - Voi avreste il coraggio d'impiantare una causa come questa? Ma sapete cosa vi costerebbe?

Oreste                           - Ah, a noi niente... Noi non impiantiamo nessuna causa... Il brevetto è in nostre mani e ce lo te­niamo... Siete voi che dovete farci una causa per dimo­strarci che abbiamo torto... Solo quando saremo citati verremo a rispondere... Come stanno le cose in questo momento, la questione per noi non esiste nemmeno... La ignoriamo.

Dario                             - (stringe i pugni, si morde le labbra, poi fissa Tolestefan).

Tolestefan                     - (è preoccupato come chi ha trovato un av­versario più temibile di quanto pensava).

Dario                             - (a Oreste) Senta, avvocato...

Oreste                           - (gentile) Prego... non sono avvocato...

Dario                             - Insomma, senta... Io capisco benissimo dove vuole arrivare... Sono troppo pratico...

Oreste                           - (c. s.) Scusi, io...

Dario                             - (interrompendo, brutalmente) Stia a sentire... Qui non c'è né autore né inventore... C'è semplicemente un azionista... l'azionista Armand Luxen... Mi segue?

Oreste                           - Lo seguo. C'è l'azionista Armand Luxen.

Dario                             - Ora questo azionista... anzi: questo ex-azio­nista... mi ha ceduto l'intera sua partecipazione azionaria nella Società Edilizia... tutto il suo pacchetto d'azioni, insomma. E' chiaro?

Oreste                           - Chiarissimo.

Dario                             - Non vorrà sostenermi che questa libera ces­sione di azioni debba esser fatta per atto pubblico... né che le azioni siano opere dell'ingegno...

Oreste                           - Affatto...

Dario                             - Oh!... Le azioni possono essere cedute anche in borsa, con semplice fissato-bollato!

Oreste                           - Sicuro.

Dario                             - (conclusivo) E allora mi dia il brevetto e finiamola. Io ho la totalità delle azioni della Edilizia, e la società è completamente mia.

Oreste                           - (cortese) Scusi... a parte il fatto che questa cessione lei non me l'ha ancora mostrata...

Dario                             - (interrompendo) Gliela mostro subito... (A Tolestefan) Avvocato...

Tolestefan                     - (andando alla scrivania, e aprendo il ti­retto) Eccola... (Cava dal tiretto un fascicolo in cui vi è il foglio firmato da Armami).

Oreste                           - (c. s.) Permettano... A parte la cessione... che l'avvocato è così gentile da volermi esibire... cosa c'entra la società col brevetto?

Tolestefan                     - Come come come come? Scusi, sa... ma adesso mi pare davvero di non capire più niente... La società è la proprietaria del brevetto...

Dario                             - Ed io sono proprietario della società!

Oreste                           - Ma la società non ha affatto la proprietà del brevetto...

Dario                             - (furioso) Ma è matto?

Oreste                           - (cortese) Scusi1... (Cavando un altro fasci­colo dalla borsa) L'atto costitutivo, che ho letto atten­tamente...

Tolestefan                     - (interrompendo, prendendo un altro fa­scicolo dal tiretto) E che io ho scritto attentissima­mente, caro signore...

Oreste                           - Non ne dubito... Dice precisamente così... (Leggendo) Articolo primo...

Tolestefan                     - Leggo io, se permette... (leggendo sul suo fascicolo) E' costituita una società, sotto la ragione sociale di Società Anonima Imprese e Gestioni Edilizie, fra parentesi, Saige... (Guardando Oreste) Mi segue?

Oreste                           - Perbacco!

Tolestefan                     - (riprendendo a leggere) ...per lo sfrut­tamento e la gestione del brevetto N° 48371 sul cemento extrarapido...

Oreste                           - (cortese) Alt. E' inutile andare avanti.

Tolestefan                     - (contento) E' convinto, ora?

Oreste                           - (c. s.) Oh, ero convinto fin dal primo mo­mento. La società non è proprietaria del brevetto.

Dario                             - (furente) Ma se lo scopo sociale...

Tolestefan                     - (calmandolo con un gesto) ... appunto, se lo scopo sociale è precisamente lo sfruttamento e la gestione del brevetto?

Oreste                           - (sempre sorridente) Sfruttamento... gestione! La società può sfruttare il brevetto.», può gestirlo... ma non ne è proprietaria!

Dario                             - (vibra una fulminea occhiata a Tolestefan).

Tolestefan                     - (è sbalordito).

Dario                             - Ma questo è un cavillo brigantesco!

Oreste                           - (dignitoso) Brigantesco? Io non so come lei può osare di parlare così a un persona che non co­nosce... e che se non sbaglio la sta trattando con la massima deferenza... Esiste un codice civile, io me ne servo... Ci sono degli usi commerciali, io me ne avvalgo. Esercito il mio diritto' di cittadino contro il quale lei è libero di opporre il suo, ma nelle dovute forme e nella sede competente... Per me, fin quando una sentenza di Corte Suprema non mi dirà il contrario, sfruttamento e gestione saranno una cosa, e proprietà ne sarà un'altra...

Dario                             - (è atterrito).

Tolestefan                     - (perdendosi) Ma se è lo stesso identico; rapporto...

Oreste                           - Affatto! Se lei prende in fitto un fondo, lo sfrutterà, coltivandolo e facendo il raccolto... lo gestirà,; vendendo quel raccolto a terzi... ma non ne sarà mai' proprietario! Il gestore e il proprietario sono due persone giuridiche distinte e separate... e mi maraviglio che queste cose debba dirle proprio io... e proprio a lei che conosce profondamente la legge!

Tolestefan                     - (è rimasto a bocca aperta).

Dario                             - (è furente, ma riesce a dominarsi. Dopo unii pausa, con sprezzante ironia) Cosicché... secondo lei.. io mi sarei presa la briga d'assicurarmi la totalità delle azioni d'una società che non vale un soldo?

Oreste                           - Scusi... io negli affari degli altri non c'entro... Lei può aver avuto delle ragioni sentimentali... !

Dario                             - (feroce) Ma che sentimento... Io mi son fatto cedere le azioni solamente perché tengo al brevetto. Me ne infischio della Società Edilizia... Gliela regalo se vuole!

Oreste                           - Vediamo questo famoso contratto di cessione... E' permesso?

Dario                             - (a Tolestefan) Glielo mostri.

Tolestefan                     - (ancora atterrito, prende il contratto di cessione fra le carte che ha in mano, e lo sporge un po', come temendo di vederselo strappare).

Oreste                           - (tranquillo) Oh, non si preoccupi, avvocato... Non lo tocco nemmeno... (Si china per leggere meglio) Con il presente atto il sottoscritto cede l'intera sua partecipazione azionaria nella società eccetera... ivi compreso mhhhhh... (Fermandosi di botto, fissando Tolestefan) Ma... (Tolestefan si spaventa) Dico... quest'atto reca la data del diciotto marzo!

Dario                             - Sì, dell'altro ieri!

Oreste                           - Ma l'altro ieri Luxen era a Milford!

Tolestefan                     - (balzando, urlando) Se ha trattato e concluso con me, in casa sua, verso le sette di sera!

Oreste                           - Non è possibile. Luxen è partito solo sta. sera da Milford dove era da vari giorni, e non arriverà che stasera, col direttissimo delle sei!

Dario                             - (fissa Oreste con gli occhi sbarrati).

Tolestefan                     - (perdendosi) Ora usciamo dai limiti... Questo non si chiama più cavillare, ma mentire... Io non posso tollerare d'essere preso in giro così... Luxen era I casa sua l'altro ieri sera diciotto marzo ed ha firmato, me presente...

Oreste                           - (interrompendo) Questa non è la firma di Luxen. (Prende dalla borsa il passaporto di Armand, b offre aperto a Tolestefan) Guardi: la vera firma eccola. (Fa vedere il passaporto a Dario, poi lo rimette nella borsa).

Tolestefan                     - (sopraffatto) Evidentemente c'è uni lieve differenza, ma deve dipendere certamente dal fatto che ha firmato con la mano fasciata...

Oreste                           - Non mi risultano mani fasciate: mi risulta solo una differenza fra la firma della cessione e quella del passaporto; Non voglio accusare nessuno, ma è indi­scutibile che il documento che lei mi esibisce costituisce un falso, e come tale lo impugno da questo momento. (Chiude la borsa, prende il cappello e il bastone).

Tolestefan                     - (abbrutito) Lei impugna di falso una cessione per cui ho pagato cinquantamila fiorini contanti?

Oreste                           - Sulla pretesa cessione non si fa cenno di questo preteso pagamento.

Tolestefan                     - (con collera feroce, ma calma) Per fortuna gli ho dato un assegno bancario e ne conservo la ricevuta. (Va alla scrivania, scartabella, trova la rice­vuta dell'assegno e la mostra da lontano a Oreste) Ec­cola. Farò presto a sapere se è stato incassato e da chi. (Prende il microtelefono, batte nervosamente sul gancio).

Oreste                           - (calmo) Scusi... Credo che lei stia facendo una telefonata inutile. Quell'assegno l'ho incassato io.

Tolestefan                     - (con gioia feroce) Ah! E reca la data del diciotto marzo!

Oreste                           - Non m'interessa. Io l'ho incassato oggi, ap­pena m'è giunto da Milford con la posta del mattino.

Tolestefan                     - (c. s.) Il suo amico Luxen dovrà dimo­strare però come se ne è trovato in possesso.

Oreste                           - E lo dimostra. Lo ha avuto dalla Società Imprese e Gestioni Edilizie... Non c'è niente di strano. Ha avuto anche altre somme dalla stessa società, e sem­pre a mezze di assegni della medesima banca... Sessan­tamila fiorini.

Dario                             - (sta fissando a bocca aperta Oreste, involonta­riamente ammirato).

Tolestefan                     - (con rabbia concentrata) Quello era «lo stipendio» del signor ingegnere!

Oreste                           - No, no, Luxen non ha mai avuto stipendio, ma solo «anticipi» in conto utili. E' chiarissimamente detto sul bilancio.

Tolestefan                     - E lei oserebbe sostenere che una so­cietà dissestata possa dare cinquantamila fiorini in conto utili?

Oreste                           - Non lo sostengo affatto, anzi lo biasimo. (A Dario) Qui si è fatto scempio del danaro della so­cietà. Inizierò subito una inchiesta amministrativa sull'operato del signor Angorac... dopo di che lo farò arrestare...

Dario                             - (balzando) Arrestare?

Oreste                           - ... certo, per truffa, aggravata dall'abuso della relazione d'ufficio. Arrivederci, signori. Se avranno bi­sogno di me mi troveranno al villino Luxen, telefono quarantaquattro-ventuno, dove da questo momento tra­sferisco la sede della società.

Tolestefan                     - (sbalordito) Cosa? Lei trasferisce la società...?

Oreste                           - Sì, allo scopo di risparmiare tremila fiorini al mese di pigione... Nell'interesse degli azionisti, natu­ralmente... A quest'ora il signor Angorac deve aver già ricevuto l'intimazione legale di portarsi nei nuovi uffici con i libri e le carte sociali...

Tolestefan                     - Angorac si guarderà bene dal muoversi!

Oreste                           - In caso di rifiuto l'ufficiale giudiziario gli notificherà un secondo atto ed asporterà lui i libri e le carte di cui ho ottenuto il sequestro...

Dario                             - (sbalordito) Oh... ma è enorme!

Tolestefan                     - Ed inverosimile! Un sequestro di que­sto genere non si può ottenere senza citare la contro­ parte! »

Oreste                           - (gentile) Ho chiesto l'urgenza e l'applica­zione della procedura direttissima...

Tolestefan                     - Ma... ma per ottenerla... occorre la fla­granza d'una illegalità... o una cauzione molto forte!

Oreste                           - E difatti ho dovuto versare una cauzione molto forte: ventimila fiorini... che ho prelevato dal fa­moso assegno della Banca del Nord. Buongiorno, si­gnori. (Si mette il cappello, esce dal fondo e chiude la porta).

Tolestefan e Dario        - (rimangono qualche secondo sba­lorditi).

Tolestefan                     - (dopo la pausa) Ah, ma... ma è as­surdo, fantastico... Incredibile...

Dario                             - (che segue un altro pensiero) Appunto: in­credibile.

Tolestefan                     - Io... io non mi convinco che non sto sognando... Quasi mi farei dare dei pizzicotti... (si piz­zica un braccio) ...degli schiaffi per svegliarmi!

Dario                             - (c. s.) Sì, ve la meritereste davvero una bella faccia di schiaffi, ma, disgraziatamente, non rimedierebbe a niente.

Tolestefan                     - (fissa stupito Dario) Si direbbe che vo­lete prendervela con me!

Dario                             - Con chi dovrei prendermela? Voi m'avete messo in questo pasticcio!

Tolestefan                     - (abbrutito) Io?

Carisios                         - (irrompendo dalla destra) Scusi... E' ve­nuto un usciere...

Angorac                        - (seguendolo ha un occhio nero, è scarmi­gliato).

Dario                             - (seccato) So, so già... Non è colpa sua. Vada pure.

Carisios                         - (un po' seccato) Scusi... lei non ha capito...

Dario                             - (sdegnoso) Eh?

Carisios                         - (c. s.) Non può aver capito perché non m'ha lasciato parlare... L'usciere è venuto, ma non ha sequestrato nulla!

Dario                             - (ha un guizzo) Ah?

Tolestefan                     - (stupito) Non aveva l'ordine di seque­stro ?

Carisios                         - Lo aveva in perfetta regola, ma io ho dichiarato che il signor Angorac era assente e che non sapevo dove potevano trovarsi quelle carte...

Dario                             - (contento) Ah, bravo!

Tolestefan                     - (stringendosi nelle spalle) Fra dieci minuti Maurin sarà di ritorno con l'usciere, andrà dritto dritto da Angorac...

Carisios                         - Mi sono permesso di dichiarare all'usciere che il signor Angorac era in Inghilterra e che non sapevo quando poteva essere di ritorno...

Dario                             - (c. s.) Benissimo!

Angorac                        - (stupefatto) Ma... allora... ha fatto' bene?

Dario                             - Naturale... (Fissando stupito Angorac) Cosa le è successo?

Angorac                        - (indica Carisios) E' stato lui...

Dario                             - (guarda severamente Carisios).

Carisios                         - Finivo appena di dire che era in Inghil­terra che lui già voleva chiarire la cosa. Allora l'ho inter­rotto, e siccome ho capito che non aveva capito mi sono preso la libertà di spingerlo fuori della stanza.

Dario                             - (contentissimo) Benone!

Angorac                        - (disperato) Come, signor Gabirent... Lei approva...?

Dario                             - Certo!

Angorac                        - (c. s.) Ma ora che l'usciere tornerà con quell'altro...

Dario                             - Stia zitto. (A Carisios) Dove sono le carte della società?

Carisios                         - Ho mandato tutto a casa mia.

Dario                             - Bene. (Va alla scrivania, scrive col lapis blu su un foglio di carta, lo porge a Carisios) Passi alla cassa, ritiri questi duemila fiorini, ne dia mille al signor Angorac e lo carichi con la famiglia sul primo treno in partenza per andare a curarsi quell'occhio almeno per dieci giorni. Gli altri mille li tenga per se come gratifi­cazione. Appena finito si presenti a me a qualunque ora e dovunque mi trovo.

Carisios                         - Sì, signore. (Spinge Angorac fuori della destra, esce e chiude la porta).

Dario                             - (a Tolestefan) Ecco: quello è un uomo!

Tolestefan                     - (aspro) Io devo far le cause, non pren­dere a pugni la gente. Ho la laurea e mi basta. E mi pare che - fino ad oggi - ho sempre vinto...

Dario                             - Avete vinto per fortuna... giuocando sulla paura che il mio ufficio legale incute agli avversari. Ma al primo intoppo siete inciampato ed è andato tutto all'aria!

Tolestefan                     - (irritandosi) Non è andato niente all'aria. La società l'abbiamo in mano noi, la cessione è in piena regola! Ci vogliono dei testimoni, dei periti...

Dario                             - (interrompendo) Appunto... un giudizio nelle dovute forme... da vincere in tribunale, appello, cassa­zione... Ed io che avevo bisogno del brevetto domani mattina dovrò friggere per tre o quattro anni!

Tolestefan                     - Ma cosa posso farci io!

Dario                             - (c. s.) Il vostro dovere era di farmi avere il brevetto! Invece del brevetto ho una causa!

Tolestefan                     - Che vinceremo! Tutta la ragione è dalla nostra parte!

Dario                             - Le cause si fanno quando si ha torto. Solo allora conviene correre il rischio. Fare una causa quando si ha ragione è bestiale! Se perdiamo, Luxen ci man­gerà vivi... Se vinciamo cosa gli leviamo? Vi rendete conto del guaio in cui m'avete messo?

Tolestefan                     - (abbattuto) Io ho fatto il possibile...

Dario                             - (interrompendo) Maurin ha fatto l'impossi­bile! (Irritandosi di più) E l'ha fatto col danaro mio! Ah, no, voi non avete la più pallida idea dell'ufficio legale che serve a me.

Tolestefan                     - (tentando d'interrompere) Io...

Dario                             - (continuando) Noi che abbiamo il danaro siamo perpetuamente in guerra con chi vuole prendercelo. L'ufficio legale deve difenderci con tutti i mezzi, ed il migliore di questi mezzi è sempre quello di mettere gli aggressori nell'impossibilità di aggredire... L'avete fatto questo? Lo avete fatto? No: perché Luxen, che doveva esser messo a terra, è in piedi e ci salta alla gola con l'energia della disperazione!

Tolestefan                     - Non è Luxen che ci salta alla gola, è quel mascalzone di Maurin!

Dario                             - Dovevate prevedere Maurin. Dovevate saper tutto di Luxen, le sue abitudini, i suoi vizi, i suoi de­biti, i suoi amici, le sue amanti... Per esempio: son certo che non sapete che Luxen ha un figlio...

Tolestefan                     - So che non è ammogliato...

Dario                             - ... e che ha ugualmente un figlio, che educa nel Collegio del Sacro Cuore, ed a cui vuol molto bene! Questo figlio senza madre è un segreto della sua vita, un dramma forse. Sapendolo, potremmo avere a quest'ora un'arma di più contro di lui... Ma voi non sapete niente... ; Non sapete nemmeno che la mia amica Vera Arlington, ne è incapricciata e fa tutto quello che può per aiu­tarlo...

Tolestefan                     - (timido) Ne avevo avuto un vago so­spetto, ma non mi sarei mai permesso di...

Dario                             - (interrompendo, brutale) E perché no? In affari tutto serve... (Sdegnoso) Non potevate prevedere Maurin... Ma era fatale un Maurin... inevitabile... com'è inevitabile la reazione quando si comprimono le cose e gli uomini oltre il limite massimo di resistenza! Liqui­dare Luxen con cinquantamila fiorini... Non vi siete reso conto che lo rovinavate?

Tolestefan                     - (c.s.) Ma... m'avevate detto che non bisognava metterlo in grado di rialzarsi tanto presto, di inventare qualche altra cosa e farci una pericolosa con­correnza...

Dario                             - E per ottenere questo scopo bisognava co­minciare col non rovinarlo! Un uomo ricco è pericoloso, ma un uomo rovinato è pericolosissimo perché non ha più nulla da perdere e tutto da guadagnare! Se è tenuto in una mezza miseria non si muove per paura di cadere nella miseria intera... Ma quando c'è caduto e non s'è rotto le gambe chi lo frena più? Qualunque rischio gli conviene... Ed è l'ottimo avvocato Tolestefan, pagato da me, che lo ha messo in queste condizioni formidabili!

Tolestefan                     - (vinto) Se considerate la cosa da questo punto di vista paradossale non c'è altro da fare che transigere...

Dario                             - Vi sembra facile, oggi, con Maurin?

Tolestefan                     - (avvilito) Me lo dica lei, allora, cosa bisogna fare!

Dario                             - (rabbioso) Vorrei saperlo! E lo saprei, se il i mio ufficio legale pensasse per me, come sarebbe suo dovere! E' per questo che noleggio dei cervelli, io!

Usciere                          - (appare dal fondo) C'è la signorina...

Dario                             - (ha un gesto di fastidio) Le hai detto che ci sono?

Usciere                          - Ha visto l'automobile, giù...

Dario                             - (si stringe nelle spalle) Fa passare.

Usciere                          - (esce).

Dario                             - (rabbioso) Bisogna trovare qualcosa, prima di stasera, assolutamente. Domani devo costituire la società... Rimandare la riunione è un rischio grave... (Vedendo Vera apparire sul fondo) Finalmente! Abbiamo l'onore di vedervi!

Vera                              - (è entrata per il fondo, allegra, birichina, vestita diversamente che nel primo atto, ma sempre elegantis­sima).

Usciere                          - (l'ha introdotta ed è uscito chiudendo la porta in fondo).

Tolestefan                     - (s'inchina cerimoniosamente).

Vera                              - (o Dario, mentre porge a Tolestefan la mano a baciare) Come state, amico mio?

Dario                             - (asciutto) Sempre bene quando vi vedo, e sono tre giorni che non ho quest'onore.

Vera                              - (porgendogli la mano a baciare) Colpa vostra... io sono sempre a vostra disposizione, come una schiava sottomessa e fedele.

Dario                             - (baciandole la mano, con ironia) Fedele!

Vera                              - (sedendosi) Oh... non cominciate a dir cose di cattivo gusto. (Sorridendo, a Tolestefan) Come state, avvocato?

Tolestefan                     - Male, grazie.

Vera                              - Oh? Perché?

Tolestefan                     - (indicando Dario) Mi strapazza come una vecchia serva che non si sa come fare per mettere alla porta!

Vera                              - (mentre Dario si stringe nelle spalle) Oh... com'è possibile? Non m'avete detto una volta che se Dario vi mandasse via avete in mano tanto da farlo bal­lare?

Dario                             - (colpito) Ah?

Tolestefan                     - (atterrito) Ma... signorina... cosa dite... chi s'è mai sognato di parlarvi di queste cose?

Vera                              - (ingenua) Se non me l'avete detto voi l'avrò sentito da un altro... Ma il certo è che ho sentito che potete farlo ballare... Sarei tanto contenta se fosse vero!

Dario                             - (c. s.) Oh guarda!

Vera                              - (c. s.) Certo! Non sapete ballare e non mi permettete di ballare con gli altri... Non posso mai con­cedermi il piacere d'un fox o d'un tango...

Tolestefan                     - (mezzo seccato) Signorina... vi assicuro che il vostro spirito è corrosivo in questo momento.

Vera                              - Lo spirito è sempre corrosivo. (Guardandoli alternativamente tutti e due) Avete da fare molto?

Dario                             - Circa.

Vera                              - Mi dispiace, perché ho un programma.

Dario                             - Sentiamo.

Vera                              - Prima di tutto ho un terribile appetito e voglio andare a far colazione in un posticino carino.

Dario                             - Poi?

Vera                              - Poi mi trovo in una tremenda situazione finan­ziaria per cui ho bisogno di batter cassa...

Dario                             - Quindi?

Vera                              - Quindi e quindi ho un affare...

Dario                             - Ahi!

Vera                              - Un film...

Damo                            - Ma che bisogno hai di fare un film?

Vera                              - Debbo guadagnarmi la vita. Non posso pas­sare per la tua mantenuta!

Tolestefan                     - (dopo una pausa) Be'... io vado nella mia stanza. M'è venuta una mezza idea e voglio svilup­parla. Prima d'andarvene chiamatemi. ('Fa un breve inchino a Vera, esce per la destra).

Vera                              - (dopo una pausa) Che antipatico!

Dario                             - (nervoso) Che idiota, devi dire!

Vera                              - Cos'aspetti per levartelo di torno?

Dario                             - Di trovarne uno meno stupido. Sapessi che problema è quello dei collaboratori!

Vera                              - Avevi Luxen.

Dario                             - Luxen... Un collaboratore di genere perico­loso... E intelligente.

Vera                              - Or ora ti sei lagnato perché quest'altro è stupido.

Dario                             - (vago) In un altro ramo... E poi Luxen non è soltanto intelligente... Lo è troppo. Dimmi tu, piut­tosto... (Pensa, poi) Cosa sai di lui?

Vera                              - Di Luxen?

Dario                             - (paziente) Di Luxen. So che lo vedi spesso.

Vera                              - (con lieve preoccupazione) Io?

Dario                             - (con lieve impazienza) Tu. Non tergiversare, non mentire, rispondimi francamente.

Vera                              - (dignitosa) Vuoi farmi una scena?

Dario                             - Ho assolutamente bisogno di sapere di quale natura sono i vostri rapporti... Non per strangolarti come Otello, capisci? Ma per regolarmi! Puoi dirmi la verità senza nessuna paura.

Vera                              - (lo fissa, poi) Non sono la sua amante.

Dario                             - (la fissa, pausa, poi) Senti... Voglio darti la prova che dico sul serio... Quel braccialetto di rubini e brillanti che ci mostrò Tortoni la settimana scorsa... (si ferma).

Vera                              - (impaziente) Non fermarti sul più bello!

Dario                             - Se mi confessi la verità telefono di portar­telo subito!

Vera                              - (fissando Dario) La verità?

Dario                             - La verità! E' il tuo amante?

Vera                              - (scoppia in pianto).

Dario                             - (furioso) Ma non piangere, non allagarti, non perdere tempo! E' vero sì o no?

Vera                              - (piangendo) Oh... mio povero Dario... (sin­ghiozza).

Dario                             - (c. s.) Vuoi deciderti a dirmi questa male­detta verità?

Vera                              - (singhiozzando) Tu mi trascuri tanto da qualche tempo... Alle volte stai delle settimane senza vedermi... Alla fine io sono una donna... una piccola donna... fragile, debole... Ho bisogno anch'io d'affetto... di carezze... come ne ha bisogno un cane, un gattino... Gli abiti, il lusso... non bastano... ho anche un cuore, capisci... e dei sensi... Anch'io... Non sono una bam­bola di cera... (Singhiozza) Uh!... Sono tanto... tanto infelice (si soffia il naso).

Dario                             - (con rabbia concentrata) Insomma... Sì... o no?

Vera                              - (singhiozzando) Sì...

Dario                             - (quasi soddisfatto) Oh!

Vera                              - (c. s. vivamente) Ma una volta, sai? Una volta... E' stata la carne, credimi... L'anima non c'era... non poteva esserci...

Dario                             - (si muove, volge le spalle a Vera, si ferma accanto alla scrivania, pensoso).

Vera                              - (ne spia l'azione col fazzoletto in mano).

Dario                             - (dopo una pausa) Quando è successo?

Vera                              - (c. s.) Due mesi fa... Mentre eri a Milford...

Dario                             - (voltandosi vivamente) Alla fine di gennaio?

Vera                              - (stupita) Sì...

Dario                             - (facendo spallucce, furioso) Disgraziata! (Si muove in preda alla collera).

Vera                              - (allarmata) Cosa vuoi fare, adesso? Maltrat­tarmi? (Dario ha un gesto di furore) Dopo d'avermi promesso il braccialetto di Tortoni se confessavo... (Piangendo) Oh...

Dario                             - Smettila! Alla fine di gennaio Luxen era in Francia!

Vera                              - (involontariamente) Ah già!

Dario                             - Se m'hai tradito in quell'epoca sarà stato con un altro, non con lui!

Vera                              - (sbalordita) Non ricordavo...

Dario                             - Perché mi dici delle sciocchezze quando ti domando la verità?

Vera                              - Scusa, mi pareva che ti facesse piacere...

Dario                             - (brusco) Stupida!

Vera                              - Bada però che t'ho detto solo mezza bugia-Se non è vero ch'è il mio amante è verissimo che ha ripetutamente tentato di diventarlo! E l'ultima volta l'altro ieri!

Dario                             - (pensa, poi, scattando) L'altro ieri?

Vera                              - L'altro ieri, sicuro, a casa sua, dov'ero andata a trovarlo per cercare di rimetterlo in buona con te!

Dario                             - L'altro ieri... diciotto marzo?

Vera                              - (affermativa) Eh!

Dario                             - A che ora?

Vera                              - Saranno state le cinque... Anzi, aspetta... le cinque e mezzo , precise. Me ne ricordo perché ho guar­dato il segnabenzina sul cruscotto e ho visto anche l'ora...

Dario                             - (dubbioso) Naturalmente non hai avuto la felice idea di farti accompagnare dall'autista...

Vera                              - E invece l'ho avuta, caro signore! Mi ha accompagnata proprio Giacomo, e se ricordo l'ora è appunto perché c'era lui! E' stato lui a dirmi che non c'era benzina e che doveva fare il rifornimento. E' così che ho guardato il segnabenzina e l'orologio!

Dario                             - Dimmi esattamente tutto quanto è successo senza trascurare un solo particolare!

Vera                              - Sono scesa dalla macchina e sono entrata nel giardino spingendo il cancello con la mano destra e mettendo avanti il piede sinistro...

Dario                             - Ti prego di non farmi imbestialire!

Vera                              - Vuoi tutti i particolari, scusa...

Dario                             - (stringendo i pugni) Vai avanti!

Vera                              - La cameriera m'ha vista dalla finestra ma ha finto di non vedermi. E? entrata in casa a dirglielo, e lui è uscito sulla veranda...

Dario                             - (attento) Sulla veranda? Ne sei sicura?

Vera                              - Ma... certo... è uscito sulla veranda dicen­domi: «Oh che bella improvvisata...».

Dario                             - (c. s.) Se è così, Giacomo può averlo visto...

Vera                              - L'ha visto e l'ha salutato...

Dario                             - L'ha salutato? Ricordi bene?

Vera                              - (impaziente) Ricordo benissimo! Gli ha detto: «Buongiorno, ingegnere...» e lui ha risposto: « Buongiorno, Giacomo ». Che c'è di straordinario?

Dario                             - (s'è precipitato al tavolo e preme nervosa­mente un bottone della tastiera, poi, a Vera) Dov'è ora? E' con te?

Vera                              - Chi?

Dario                             - Giacomo!

Vera                              - E' giù, nella macchina!

Tolestefan                     - (irrompe dalla destra) Ho trovato.,

Dario                             - No! Io ho trovato! Ecco chi ci salva! (Indica! Vera).

Vera                              - (spaventata) Io?

Tolestefan                     - Lei?

Dario                             - Lei! (Fremente) Ah, caro signor Maurin, v'insegnerò io a far l'avvocato difensore! (Chiamando)Giacomo! Giacomo! (Esce dal fondo) Giacomo!

Vera e

Tolestefan                     - (si guardano sbalorditi).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La stessa scena del primoa tre ore dal secondo. Nel caminetto del fondo arde uri fuoco di legna).

Oreste                           - (è alla scrivania e sta scrivendo tranquillamente su un grosso registro. Altri registri ha davanti, sui quali scriverà man mano che procederà la scena).

Armand                         - (non ha più la mano fasciata. Si muove per la scena irrequieto, stuzzica il fuoco. Sta fumando un mozzicone di sigaretta, ed a quello accende una 'siga­retta nuova).

Oreste                           - (senza alzar la testa) Vedi che ha ragione Luisa? Fumi come un camino. (Scrive).

Armand                         - (spegne rabbiosamente la sigaretta) Ciò che mi fa inferocire è la tua calma!

Oreste                           - (c. s.) Con la calma, la pazienza e le, buone maniere si arriva a tutto.

Armand                         - Ma potrei almeno sapere cosa vuoi fare?

Oreste                           - (c. s.) Non lo so, amico mio.

Armand                         - (sbalordito) Non lo sai?

Oreste                           - (c. s.) Non lo so. Regolo la mia condotta su quella degli avversari... Se loro non si muovono, come

Armand                         - Non si muovono? Se appena due ore fa ci hanno notificato un'altra diffida?

Oreste                           - E noi abbiamo risposto immediatamente con una controdiffida, a cui loro non hanno opposto nulla. Sono quindi due ore che non c'è niente di nuovo sul fronte.

Armand                         - E tu t'illudi che non facciano nulla?

Oreste                           - Se faranno qualcosa lo sapremo... Scusa, sta zitto qualche secondo... (Scrive, conta sulle dita, scrive una cifra e ricomincia a sommare) Nove,., e otto dicias­sette... ventiquattro, trentadue, quaranta, cinquanta, cin­quantasei, sessantatre... e nove settantadue! (Scrive) Ho trovato altri settantaduemila fiorini di differenza sulle forniture di materiale.

Armano                         - Altri debiti?

Oreste                           - No, al contrario... Oserei dire crediti. Sai quanto ha speso per legname d'armamento e da ponte la tua società? Oltre trecentomila fiorini in un anno... Potrebbe avere un bosco! Il tuo brevetto dev'essere sul serio un affare di prim'ordine. Se dopo un anno di ge­stione simile, pagando il cemento, la sabbia e il le­gname a peso d'oro, tutta la perdita si riduce a quello che dice il probo Tolestefan, vuol dire che il tuo ritro­vato consente degli utili grandissimi. Non lo cederò per meno di mezzo milione.

Armand                         - (seccato, sfiduciato) Mezzo milione?

Oreste                           - Almeno.

Armand                         - (sdegnoso) Che bella cosa possedere una testa come la tua!

Oreste                           - Ah, certo.

Armand                         - (ironico) Non so cosa darei per avere il tuo cranio!

Oreste                           - Ti comprendo. Il tuo non servirebbe nem­meno a fare un colapasta!

Armand                         - (ha un gesto di furore) Se tu capissi quanto male mi fai, smetteresti di tormentarmi! Credi di farmi piacere dicendomi: « T'hanno rubato ventimila qui, tren­tamila là, cinquantamila su, centomila giù... ».

Oreste                           - Cerco di diminuire le passività... mi pare che dovresti essere contentissimo...

Armand                         - E invece sono scontentissimo... umiliato e furioso!

Oreste                           - Furioso lo capisco, ma umiliato...

Armand                         - Umiliato, immiserito... vergognoso come un bambino... A che mi serve il cosiddetto talento che tanta gente m'attribuisce e m'invidia, se non son capace di giovarmene... Il cemento extrarapido... Ma non vale un soldo nelle mie mani... Non m'è servito che ad indebi­tarmi, a crearmi un mucchio di fastidi e di guai... Sono un imbecille! Gabirent invece, senza nessuna genialità, senza aver mai inventato niente, ha i milioni, e se ne infischia!

Oreste                           - Ti sbagli, caro. Anche Gabirent ha una sua genialità. Tu ti sei scelta un'attività che consiste nel produrre... lavorare, seminare... La sua attività consiste nell'organizzare la produzione, far lavorare gli altri, rac­cogliere...

Armand                         - (rabbioso) Ma lui è ricompensato dalla vita... io no!

Oreste                           - (si alza, si muove, poi, calmo, sereno) Tutto dipende dal modo di considerare il compenso. Non ti arrabbiare: cerca di capirmi... Quando Gabirent fa un buon affare, guadagna un milione e lo chiude nella cas­saforte... E' il suo compenso... Ora, dimmi... Quanto tempo hai studiato e cercato per trovare il cemento extra­rapido?

Armand                         - Tre anni!

Oreste                           - Quanti esperimenti hai fatti?

Armand                         - (più calmo, come se il parlare della sua in-venzione gli faccia bene) Non ricordo... migliaia! .

Oreste                           - E quando dopo tre anni di ricerche appas­sionate e migliaia di esperimenti un giorno vedesti fi­nalmente il tuo blocco di cemento solidificarsi in venti secondi e diventare duro come il granito in pochi mi­nuti...

Armano                         - (quasi sorridendo) Ah... che momento fu quello...

Oreste                           - (con dolcezza) Avesti una gioia?

Armand                         - (commovendosi) Sconfinata... sovrumana... non posso descrivertela... Mi si strinse la gola, scoppiai a piangere... Mi misi a correre per il giardino come un pazzo... mi gettai sulla mamma che puliva i garofani e me la strinsi fra le braccia quasi soffocandola... gri­dando, baciandola... Non capivo più niente...

Oreste                           - E quello fu il tuo compenso... il tuo mi­lione...

Armano                         - (fissa Oreste sbalordito come chi ha improv­visamente ed interamente compreso).

Oreste                           - La vita non ci paga tutti con la stessa moneta. Ecco perché l'artista è spesso più ricco d'un re!

Armand                         - (ha una breve risata) Hai un modo di vedere le cose, tu...

Oreste                           - Ciascuno ha il suo cranio...

Armand i                       - Bravo cranio... Vorrei però che ti mettessi d'accordo con te stesso...

Oreste                           - Sono d'accordissimo...

Armand                         - Se io ho avuto il mio compenso e Gabi­rent il suo, mi pare inutile continuare a sfidare il Codice penale come stiamo facendo da tre giorni...

Oreste                           - ...e cedere? Mai! E' una gioia artistica anche questa lotta. E poi Gabirent ha esagerato.

Armand                         - Io non vorrei andare in prigione.

Oreste                           - Non ci andrai.

Armand                         - Siamo già alla terza diffida con minaccia di denunzia per appropriazione indebita.

Oreste                           - E noi abbiamo già controdiffidato per la terza volta che non ci siamo appropriati di niente.

Armand                         - Io però non riesco a non aver paura.

Oreste                           - Io non ne ho nemmeno l'ombra.

Armand                         - Perché non sei minacciato direttamente. Sai benissimo che, nel caso, i guai sono miei...

Oreste                           - - E questa è la tua forza! Sei servito da un cervello libero di preoccupazioni...

Armand                         - Ma sai che sei un bell'animale?

Oreste                           - Sei tu un animale a non capirlo! Appunto perché non ho paura per me posso ragionare con tutta la massa cerebrale, senza che nemmeno un centimetro cubo della mia materia grigia tremi per lo spavento ed eserciti un'influenza deleteria sul resto del cervello...

Armand                         - (fremendo) ...sicuro che, nella peggiore ipotesi, in galera ci vado io...

Oreste                           - Appunto!

Armand                         - E me lo dici con quella faccia?

Oreste                           - Come vuoi che te lo dica? Sei uno stupido se non capisci quale fortuna è la tua... Prima Gabirent aveva una superiorità su di te... Ma oggi il duello con­tinua ad armi uguali...

Armano                         - Uguali?

Oreste                           - Sicuro! Se lui si ripara dietro la pelle di Angorac...

Armand                         - ...tu ti ripari dietro la pelle mia!

Oreste                           - Naturale! E giuoco tranquillo anch'io. Dun­que siamo pari!

Armand                         - Io t'ammazzerei!

Oreste                           - Io no, perché sarebbero capaci di condan­narmi come se avessi ucciso una persona normale.

Armand                         - Senti... se per domani questo pasticcio non è finito, io...

Luisa                             - (entrando dalla destra, imbronciata) C'è quella!

Oheste                           - Chi quella?

Luisa                             - La cosa dell'ingegnere... quella del cinema­tografo!

Armano                         - Vera?

Luisa                             - Eh, sì, Vera!

Armand                         - E non la fai entrare?

Luisa                             - Sta correndo nel giardino e...

Vera                              - (dall'interno bussa alla seconda porta a destra vari colpi rapidi).

Armand                         - Avanti!

Oreste                           - (a Luisa) Apri!

Luisa                             - (apre).

Vera                              - (appare affannata, vestita come nel secondo atto, avanza verso Armand) Dio sia lodato... Vi trovo...

Armand                         - (allarmato) Cos'è successo?

Vera                              - Una... una cosa... grave... (guarda Oreste).

Armand                         - (premuroso) Potete parlare... (Presentando) Oreste Maurin... mio cugino... è come se fosse il mio avvocato...

Oreste                           - (s'è inchinato).

Vera                              - (gli porge la mano, esitante).

Oreste                           - (stringendole la mano) Meglio: sono il suo generale... (fa cenno a Luisa d'andarsene).

Luisa                             - (esce facendo spallucce).

Oreste                           - (dopo una pausa) Dite, signora...

Vera                              - Forse mi giudicherete male... ma non posso star zitta... mi pare un'azionaccia tale che son venuta a dir-velo a costo di farvi pensar male di me...

Armano                         - (allarmato) Ma cos'altro è successo, Dio santo?

Oreste                           - (imponendogli silenzio) Calma. Dite a me, signora... è perfettamente giustificato che, come amica di Armand, siate venuta a metterlo onestamente in guardia...

Vera                              - Ecco, appunto... voglio metterlo in guardia... (Ad Armand) L'altro ieri... il giorno diciotto... voi era­vate qui...

Armano                         - (fa per parlare).

Oreste                           - (interrompendolo) E sta zitto! Lasciala finire! Perché interrompi sempre? Dite a me, signora... Voi supponete che l'altro ieri lui fosse qui?

Vera                              - Io suppongo? Sono venuta a trovarlo, e abbiamo parlato mezz'ora...

Oreste                           - Be', sentiamo il resto... (guardando Armand con severità) ...e tu non interromperla! Lasciala par­lare! Avanti, signora!

Vera                              - Poco fa, prima di colazione, m'è scappato detto che l'ho veduto l'altro ieri...

Oreste                           - Ah... a chi?

Vera                              - A Dario... (Armand ha un gesto di dispera­zione). Oh, non s'è ingelosito affatto, anzi!

Oreste                           - Scommetto ch'è rimasto contento!

Vera                              - Proprio così! E m'ha costretta a firmare una dichiarazione insieme con Giacomo... il mio autista...

Oreste                           - (calmando Armand con un gesto) E che c'entrava l'autista?

Vera                              - Anche lui ha veduto l'ingegnere... E allora l'avvocato Tolestefan ha scritto una dichiarazione... e poi ha detto...

Luisa                             - (in fretta, dalla seconda porta) Sta venendo l'avvocato Stefano, con quel signore di oggi...

Vera                              - (spaventata) Accidenti... Ora mi vedrà...

Oreste                           - Siete venuta con la vostra macchina?

Vera                              - No, ho preso un tassì... Ho pensato ch'era meglio...

Oreste                           - Siete un tesoro. (A Luisa) Falli entrare e perdi tempo... (A Vera) Andiamo. (Va verso la prima porta a sinistra).

Vera                              - (un po' preoccupata) Dove?

Oreste                           - Su... vi faremo uscire da un'altra parte... Ma prima ho bisogno di sapere tutto quello ch'è suc­cesso... (indica la prima porta a sinistra).

Vera                              - (esce).

Armand                         - (la segue).

Oreste                           - (segue, facendo cenno a Luisa di stare at­tenta).

(S'ode bussare).

Luisa                             - (stringendosi nelle spalle va ad aprire).

Tolestefan                     - (entra. E' accigliato, si toglie il cappello) Annunziatemi all'ingegner Luxen.

Carisios                         - (lo segue, levandosi il cappello. Ha il porta­fogli sotto il braccio).

Luisa                             - Vado a vedere se c'è.

Tolestefan                     - Io so che c'è.

Luisa                             - E io no. S'accomodi. (Gli indica il divano).

Tolestefan                     - (ha avanzato verso il divano, ma è rimasto in piedi).

Carisios                         - (lo ha seguito).

Luisa                             - (è andata verso la prima porta a sinistra, poi si ferma) S'accomodi!

Tolestefan                     - (aspro) Grazie! (Non siede).

Luisa                             - (lo guarda, poi esce).

Carisios                         - (dopo una pausa, guarda Tolestefan, poi siede) Visto che c'è un divano... e costa lo stesso a stare in piedi... (Pausa, poi, a Tolestefan, ch'è rimasto rigido) Segga anche lei, avvocato... Ho idea che ci faranno fare parecchia anticamera.

Luisa                             - (rientrando) Il signor Maurin la prega di aspettare. Ha una persona, e appena avrà finito verrà.

Tolestefan                     - Ma io avevo chiesto dell'ingegner Luxen, non del signor Maurin!

Luisa                             - Il signor Maurin questo m'ha detto di dirle, ed io questo dico.

Tolestefan                     - Ma l'ingegnere c'è o non c'è?

Luisa                             - Non lo so. Lo domandi al signor Maurin quando verrà. (Esce per la destra).

Tolestefan                     - (ha un gesto d'impazienza).

Carisios                         - Mah! Speriamo di non fare un altro buco nell'acqua...

Tolestefan                     - (rabbioso) Comincio a convincermi che lei porta iettatura!

Carisios                         - Senta, avvocato... Io, il merito degli altri, quando c'è, lo riconosco e lo rispetto. Lei la pensi come vuole, ma per me, uno che riesce a creare un alibi truc­cato, far trovare a Milford un uomo che è qui, prepa­rare quattro testimoni falsi, negarle la verità sul muso con quella disinvoltura... è degno della massima stima... (si cava il cappello) ...e lo saluto! (si ricopre).

Tolestefan                     - (nervoso) Io non dico che sia uno stu­pido... Riconosco che si difende bene.

Carisios                         - Si difende? Io direi che attacca!

Tolestefan                     - (c. s.) Si difenda o attacchi noni è una ragione per svenire d'ammirazione davanti a lui! Ab­biamo stabilito una linea di condotta e la seguiremo... (Come fra sé) D'altra parte qualcosa bisogna pur farla!

Carisios                         - Ah, certo! Alle volte bisogna fare per far vedere che si fa!

Tolestefan                     - (assorto) Purtroppo.

Carisios                         - (pensoso) Magari delle sciocchezze, pur di gettar polvere negli occhi...

Tolestefan                     - (c. s.) Appunto... (Riscuotendosi e ren­dendosi conto dell'enormità a cui s'è associato) Ma­rna cosa diamine dice, lei... e cosa fa dire a me! Truc­chi... polvere negli occhi... Quando imparerà a parlare come Dio comanda...

Carisios                         - (stupito) Ma... fra noi...

Tolestefan                     - (furioso) Che fra noi e fra noi... Non siamo affatto fra noi... Io non sono noi, intanto, e lei... (s'imbroglia, s'impunta) Uff! Basta, insomma! (Si muove, stizzito) Noi!

Oreste                           - (avanza, si ferma, saluta inchinandosi cor­rettamente).

Carisios                         - (s'è alzato e s'inchina e lo guarda pieno di ammirazione).

Tolestefan                     - (secco) Buongiorno.

Oreste                           - (gentile) Buongiorno, avvocato... In che posso esserle utile? Ma s'accomodi, prego. (Gli indica una poltrona, fa cenno a Carisios di sedere).

Carisios                         - (siede, sempre contemplandosi beato Maurin).

Tolestefan                     - (non siede) Avevo chiesto dell'ingegnere Luxen.

Oreste                           - Lei sa ch'io sono il suo procuratore e lo rappresento in tutto e per tutto.

Tolestefan                     - . Ma c'è o non c'è?

Oreste                           - C'è. E' arrivato pochi minuti fa da Milford e sta facendo un po' di toeletta.

Tolestefan                     - Non ha il coraggio di guardarmi negli occhi, insomma.

Oreste                           - Scusi... ci sono io... guardo io.

Tolestefan                     - (seccandosi) Va bene. Farò a meno del signor Luxen per ora. Intanto prendo atto che si trova in casa... (indicando Carisios) e ne prende atto anche il mio assistente.

Oreste                           - (gentile) Se ci tiene posso dichiararglielo per iscritto.

Tolestefan                     - Non occorre. Il villino non ha che due sole uscite, e sono vigilate tutte e due.

Oreste                           - Ah? E' venuto con la polizia?

Tolestefan                     - (fissandolo) Per ora sono venuto con un ufficiale giudiziario e due testimoni.

Oreste                           - Dove sono?

Tolestefan                     - Al cancello, nella mia vettura.

Oreste                           - (premuroso) Ma li faccia accomodare... cosa sono questi complimenti fra noi... (si muove verso la seconda porta a sinistra).

Tolestefan                     - (fermandolo col gesto) Aspetti. Prima di far agire il messo legale voglio fare un ultimo tenta­tivo. Esito sempre quando si tratta di rovinare defini­tivamente un uomo... So cos'è il carcere.

Oreste                           - No, non sa cos'è... Se lo sapesse non tente­rebbe di mandarci nessuno... Comunque... mi dica... Per principio non sono mai contrario alle soluzioni pacifiche. (Siede) S'accomodi, avvocato.

Tolestefan                     - (siede, pausa, poi) Signor Maurin... premetto che io non ho nessun rancore personale verso di lei...

Oreste                           - (gentile) Grazie.

Tolestefan                     - Lei ha fatto il possibile per difendere il suo amico... io ho fallo altrettanlo nell'interesse del signor Gabirent... Ciascuno di noi fa il suo dovere.

Oreste                           - Io no.

Tolestefan                     - (stupito) Lei no?

Oreste                           - No. Lei è l'avvocato d'una parte, io l'amico dell'altra. Lei fa ciò che deve: io faccio quello che mi piace. Eh!

Tolestefan                     - (si morde le labbra, esita, poi) Ve­niamo al fatto. Stamane lei ha sostenuto delle enormità...

Oreste                           - (interrompendo cortese) Permetta...

Tolestefan                     - (con energia) Enormità! Ha osato dirci che il brevetto 'Luxen non è stato mai apportato nella società a titolo di capitale...

Oreste                           - Non lo dico io: lo dice lo statuto che parla di sfruttamento e gestione.

Tolestefan                     - Non importa! Voglio accettare, per un momento, questa tesi assurda! Il brevetto è stato apportato, è sempre di proprietà del signor Luxen, e la società ne ha solo il diritto di sfruttamento e di ge­stione...

Oreste                           - Son contento di vederla finalmente con­vinto.

Tolestefan                     - Non si rallegri tanto presto. Il signor Luxen, però, è sempre socio a metà dell'Edilizia!

Oreste                           - Ah, certo. Questo è indiscutibile!

Tolestefan                     - Meno male! Il capitale della società è di duecentomila fiorini, il socio Gabirent ha versato la sua metà, centomila fiorini in contanti... Ma se il signor Luxen non ha versato il suo brevetto, che cosa ha versato?

Oreste                           - Altri centomila fiorini, suppongo!

Tolestefan                     - (feroce) Ah! Lei suppone?

Oreste                           - Non posso esserne sicuro. Non ho i libri della società,..

Carisios                         - (ha un balzo, fissa Oreste sempre più am­mirato, quasi sorridendo).

Tolestefan                     - (vibra uno sguardo a Carisios, poi fissa Oreste intensamente, pausa) Scusi... vuole avere la suprema cortesia di spiegarmi cosa c'entrano i libri della società? Se il signor Luxen non ha versato i contanti e non ha versato il brevetto cos'ha versato?

Oreste                           - Può benissimo aver versato il diritto di sfruttamento e gestione del brevetto valutato centomila fiorini...

Tolestefan                     - Ma questo è assurdo...

Oreste                           - Può benissimo aver versato i contanti-Chi lo sa?

Toiestefan                     - (abbrutito) Come... chi lo sa?

Oreste                           - Chi può dirlo? Il mio povero amico Luxen non si ricorda più di nulla... questa lotta estenuante gli ha cagionata un'amnesia veramente penosa... La vera composizione del capitale non potremo saperla che dalla lettura attenta dei libri sociali!

Tolestefan                     - (trionfante) Appunto!

Oreste                           - (interrompendo, gentile, come deprecando una calamità) E dove sono i libri sociali?

Carisios                         - (stupefatto, esclamando) Oh!

Oreste                           - (volgendosi a lui) Eh! Io avevo ottenuto il sequestro di quei benedetti libri... volevo farmeli portare qui per studiare, vedere, cercare di raccapez­zarmi... E invece... spariti... volatizzati!

Carisios                         - (trattiene a stento il riso).

Tolestefan                     - (furioso) Glieli farò vedere subita i libri sociali!

Oreste                           - (dolcemente) Apprezzo molto la sua buona volontà, ma temo che lei s'illuda, caro avvocato... guardi... (Prende una carta legale dalla scrivania gliela mostra) Questo è l'ordine di sequestro dei libri inti­mato oggi alla società Edilizia in persona del suo amministratore delegato signor Levi Angorac... L'ac­cesso ha avuto risultato negativo. I libri sono irrepe­ribili! Guardi, legga!

Tolestefan                     - (c. s. senza leggere) Fra mezz'ora sarò qui con i libri!

Oreste                           - (come se parlasse con un pazzo e volesse con­vincerlo con la dolcezza) E com'è possibile? I libri non possono essermi rimessi che dall'amministratore delegato Levi Angorac...

Tolestefan                     - (fissandolo, timoroso d'un'altra sorpresa) Ebbene?

Oreste                           - (c. s.) E il signor Angorac è in Inghil­terra... legga cosa c'è scritto qui...

Carisios                         - (non ne può più e scoppia a ridere).

Tolestefan                     - (lo fulmina con un'occhiata).

Oreste                           - (gentile, a Carisios) Lei ride? Non crede? (Gli mette il foglio di carta sotto gli occhi) Guardi cosa hanno dichiarato alla sede dell'Edilizia... (Legge) Il signor Levi Angorac trovasi in Inghilterra e non si sa quando sarà di ritorno. I libri sociali sono da lui custoditi e...

Tolestefan                     - (furibondo) Basta! E’ ora di finirla! Io ho la dichiarazione scritta di due testimoni, la signo­rina Vera Arlington e il suo autista, con cui si prova che Luxen era qui il diciotto marzo alle cinque e mezzo, e che quindi non poteva essere a Milford! Di là c'è l'ufficiale giudiziario con l'ingiunzione di con­segnare il brevetto e l'ordine di sequestro dello stesso! O lei mi dà il brevetto immediatamente, o rompo ogni indugio, denunzio Luxen per appropriazione indebita e falsa dichiarazione di nullità di contratto e lo faccio arrestare stasera stessa!

Oreste                           - S'accomodi.

Tolestefan                     - (c. s.) Lei crede che scherzo?

Oreste                           - (freddo) Credo che sogna. A parte la legit­timità di quella dichiarazione e della denunzia, sta in fatto che qualunque atto legale della società contro l'ingegner Luxen non può essere compiuto che dal signor Levi Angorac, solo rappresentante legale dell'Edilizia. Quando il signor Angorac sarà tornato dall'Inghilterra si faccia accompagnare da lui e parleremo. Lei, solo, non è niente e non rappresenta niente!

Tolestefan                     - (fuori di sé) Lei sa benissimo che il signor Angorac si trova...

Carisios                         - (interrompendolo) Andiamo, avvocato. Il signor Angorac si trova dove si trova... Noi possiamo al massimo andare a vedere se è tornato. (Gli prende un braccio, glielo stringe).

Oreste                           - (calmo) In altri termini il suo assistente le sta consigliando di non dire altre corbellerie.

Tolestefan                     - (scoppiando) Corbellerie? Vedrà se sono corbellerie! Vedrà! Ora non è più l'avvocato che parla... E' l'uomo!

Carisios                         - (trascina Tolestefan verso la seconda porta a sinistra).

Oreste                           - Tanto piacere!

Tolestefan                     - (trascinato verso la porta) E la ve­dremo!

Oreste                           - La vedremo. Io ho una vista ottima!

Tolestefan                     - (esce).

Carisios                         - (esce e rientra subito: ha dimenticato il portafoglio sul divano) Scusi... (Va a prendere il portafoglio, se lo mette sotto il braccio, si ferma a guar­dare Oreste con ammirazione).

Oreste                           - (sorride).

Carisios                         - (ride).

Oreste                           - (ride).

Carisios                         - (gli stringe la mano contento) Senta... lei è grande! (Esce).

Oreste                           - (lo guarda uscire ridendo).

Armand                         - (entra spaventato).

Oreste                           - (al rumore dei suoi passi si volge, viene avanti sorridendo).

Armand                         - (è caduto a sedere sul divano con la fronte fra le mani). Tu mi fai morire. E Tolestefan ha ra­gione, sai? Non ho il coraggio di guardarlo negli occhi, è vero... Non mi ci far parlare!

Oreste                           - Hai paura che ti prenda a schiaffi?

Armand                         - Magari! Troverei la forza per picchiarlo anch'io! Ma non me la sento di sostenergli sul muso che non ho firmato, che ero a Milford... E' più forte di me... Non so mentire così spudoratamente.

Oreste                           - (ha un sospiro) Tutti i grandi generali hanno dovuto difendersi contro l'imbecillità dei loro seguaci... Annibale, Cesare, Napoleone... Ora tocca a me!

Armand                         - Puoi darmi dell'imbecille finché vuoi...

Oreste                           - ... che tanto non guarisci, lo so.

Armano                         - Se Tolestefan mi domanda, guardandomi bene negli occhi: «Era a Milford lei, l'altre ieri, di­ciotto marzo, alle ore sette di sera? ». Io sento che debbo rispondergli: «No! Ero qui! ».

Oreste                           - Se dai una risposta simile, allo stato in cui siamo, vai dentro dritto come un fuse... e con te ci andremo io, il portiere dell'albergo, eccetera. E tutto questo perché non sai resistere all'idea che Tolestefan possa pensare che sei un mentitore...

Armand                         - E' precisamente così!

Oreste                           - Supponi che alla domanda di Tolestefan tu potessi, senza averne danne, rispondere così: «Senta, caro lei... Io ero qui e le ho firmato la cessione, sissi­gnore! Ma siccome non voglio essere infinocchiato e derubato, le sostengo che non c'ero e che non ho firmato! ». Sapresti dirglielo senza sentire quello stra­zio all'amor proprio?

Armand                         - Certamente!

Oreste                           - E allora fa conto d'averglielo detto e con­tinua a negare. Tanto, anche se non glielo dici, lui lo pensa, e il tuo amor proprio è salvo.

Brandt                           - (bussa dall'interno alla seconda porta a si­nistra).

Armand                         - (sussulta).

Oreste                           - (si volge verso la sinistra).

Luisa                             - (entra dalla destra, va alla seconda porta a sinistra, esce, rientra quasi subito) C'è uno della polizia.

Armand                         - (sobbalza) Della polizia?

Oreste                           - Fallo entrare.

Luisa                             - S'accomodi.

Brandt                           - (appare. Trentacinque-quarant'anni, corretto, distinto, abito scuro, cappello, guanti, bastone in mano. S'inchina).

Oreste                           - (s'inchina cortesemente).

Armand                         - (ha un mezzo inchino, spaventato).

Brandt                           - L'ingegnere Armand Luxen?

Armand                         - (con un filo di voce) Sono io...

Brandt                           - Ispettore Tomaso Brandt, della Direzione Centrale di Polizia.

Armano                         - (c. s.) E... cerca... proprio di me?

Brandt                           - Appunto... Si tratta d'una cosa... riservata...

Oreste                           - (fa cenno a Luisa d'uscire).

Luisa                             - (esce inquieta dalla destra).

Oreste                           - (a Brandt) S'accomodi, ispettore... per­metta... (Gli va incontro, gli toglie bastone, cappello e guanti, depone tutto su una sedia, poi) Oreste Maurin... procuratore dell'ingegnere... (s'inchina).

Brandt                           - (inchinandosi) Molto lieto...

Oreste                           - (venendo avanti) S'accomodi... (Gli indica una poltrona).

Armand                         - (è atterrito e fissa Brandt senza parlare).

Oreste                           - In che possiamo esserle utili?

Brandt                           - (s'è seduto) Si tratta d'una cosa... un po' delicata... Ho preferito incaricarmene personalmente io... dato la persona dell'ingegner Luxen...

Armand                         - (vibra uno sguardo disperato a Oreste, poi) Dica... non so quale rapporto posso avere con la polizia, ma... (gestisce: non sa più continuare).

Oreste                           - C'è qualcosa che riguarda l'ingegnere?

Brandt                           - Appunto... una faccenda un po' incre­sciosa... mi dispiace molto, ma... lei si rende conto... debbo fare il mio dovere.

Oreste                           - (dominando il terrore di Armand e il proprio spavento, con un gesto di rispettosa protesta) Può parlare liberamente anche in mia presenza... Io sono il consulente legale di Luxen... I suoi affari li dirigo io... Credo che nessuno possa ardire di esperimentare contro di lui una procedura temeraria... La responsabilità di qualunque atto precipitoso nei riguardi dell'ingegner Luxen potrebbe diventare molto grave.

Brandt                           - Se sono qui io è appunto per evitare anche la lontana possibilità d'un malinteso che potrebbe forse insorgere con un graduato o con dei semplici agenti di polizia.

Armand                         - (vibrando uno sguardo carico di rimprovero a Oreste) Insomma... lei mi arresta...

Brandt                           - (cortesemente) Arresto... si tratterà d'un fermo, nel caso, non d'un arresto...

Armand                         - (disperato) E' lo stesso...

Oreste                           - Non è lo stesso... Per l'arresto occorre un mandato di cattura o la flagranza d'un reato... Il fermo è una semplice misura di polizia...

Brandt                           - (ad Armand) Appunto... Lei non deve preoccuparsi affatto... Dopo tutto non si tratta d'un assassinio...

Oreste                           - Ah, certo, spero bene... Di che si tratta?

Brandt                           - Di quella faccenda di Milford.

Armand                         - (guardando Oreste come per dire: «Fedi? »)Ah...

Oreste                           - (tentando di dominare il terrore di Armand) C'è una denunzia?

Brandt                           - Certo.

Armano                         - (si torce le mani disperato).

Oreste                           - (c. s.) Ma... la denunzia non basta... Occor­rono delle prove...

Brandt                           - E ce ne sono anche troppe!

Oreste                           - (spaventandosi, e pure lottando contro un'evi­denza che non lo convince) Ma ci vogliono prove indiscutibili! La semplice testimonianza d'una donna e d'un autista non bastano!

Brandt                           - Permetta...

Oreste                           - (c. s.) Scusi... La donna... sì... la signora, diciamo così... si sa che roba è... E l'autista è un dipen­dente... pagato... Io tengo a dichiararle che impugnerò la deposizione per falso!

Brandt                           - Ma cosa vuole impugnare se c'è la fla­granza?

Oreste                           - (sbalordito) La flagranza?

Armano                         - (si copre la faccia con le mani).

Brandt                           - Eh! Noi non teniamo nessun conte di quanto ha detto la... sì... diciamo pure signora... che la polizia conosce benissimo! E di ciò che può dire l'au­tista cosa importa a noi? Il responsabile è l'ingegner Luxen!

Armand                         - (deciso) Senta, ispettore... Le dirò tutta la verità...

Oreste                           - (disperato) Ma lascia...

Armano                         - (c. s.) No. Basta. (A Brandt) Io non sono mai stato a Milford...

Oreste                           - (ha un gesto di collera).

Brandt                           - (fissando Armand) Lei, ora, asserisce di non essere mai stato a Milford?

Armand                         - E' stato uno scherzo... Ecco, sì... uno scherzo... Il rapporto durava da parecchio tempo... mi hanno seccato, tormentato... e così ho pensato a questa allegra vendetta... Questo è tutto.

Brandt                           - (con una lieve sfumatura di disprezzo) Lei m'assicura che non era a Milford l'altro ieri diciotto marzo alle sette e mezzo di sera?

Armand                         - Lo riconosco.

Brandt                           - (asciutto) Debbo confessarle francamente che non m'aspettavo questo da lei.

Oreste                           - (con un sospiro e un gesto rabbioso) Ah, nemmeno io!

Brandt                           - Capisco che si possa tentare di sottrarsi a certe responsabilità, ma negare l'evidenza è poco simpatico.

Armand                         - (a Oreste) Hai visto? (A Brandt) Cosa vuole, ispettore... Alle volte non si è padroni di noi stessi... Si dicono le cose senza pensarci... e poi ci si pente.

Brandt                           - (secco) Mi dispiace. Mi dispiace perché era venuto animato dalle migliori intenzioni verso di lei.

Oreste                           - (ad Armand) Hai visto?

Brandt                           - (c. s.) I fatti sono innegabili. Lei, l'altro ieri diciotto marzo, alle sette e mezzo di sera, era a Milford...

Armand                         - (ha un guizzo).

Oreste                           - (sussulta).

Brandt                           - (continuando) ...e precisamente in piazza della Libertà, pilotando la sua automobile, nella quale c'era una ballerina della Compagnia viennese e nessun autista! .Tentando di sorpassare un autobus sulla destra non ha fatto a tempo ad evitare un taxi che sopraggiungeva in senso contrario e lo ha inve­stito in pieno, andando quindi a finire nella vetrina di un negozio di biancheria!

Armand                         - (è sbalordito).

Oreste                           - (dopo una pausa, superando la sorpresa, ad Ar­mand, severo) Ah! Questo vai a fare a Milford, tu? A divertirti con le ballerine viennesi, ed a sfasciare le vetrine dei negozi? Mentre io sto qui a lavorare per tutti e due?

Armand                         - (non sapendo più che dire) Io...

Oreste                           - (eccitatissimo) Sta zitto, non dir più una parola... nemmeno mezza, capisci? Non parlare, non fia­tare, non voglio sentirti! (All'Ispettore, con sdegno) Dica il resto, ispettore... perché scommetto che c'è dell'altro!

Brandt                           - Se non fosse fuggito dopo l'investimento la cosa sarebbe finita con una contravvenzione e una denunzia al Pretore... Ma l'ingegnere ha avuto il torto di scappare.

Oreste                           - Che bestia!

Brandt                           - Però nell'orgasmo del momento ha la­sciato nella macchina una busta con varie tessere... fra le quali la patente d'automobilista...

Oreste                           - (contento) Ah, benissimo!

Brandt                           - (stupito) Benissimo?

Oreste                           - (riprendendosi) Certo! Così imparerà ad andar piano! Glielo dico sempre io... Piano! Va piano! Ma lui niente. Deve fare il corridore, anche in città, fra la gente, a rischio d'investire vecchi, donne, bam­bini, negozi di biancheria! Sono contento se gli da­ranno una buona lezione!

Brandt                           - Gli sospenderanno la patente per sei me6Ì almeno... poi gli daranno una multa e lo condanne­ranno a pagare i danni!

Oreste                           - Giustissimo!-

Armand                         - (vacilla inebetito, si passa una mano sulla fronte).

Brandt                           - La ballerina, fermata, voleva sostenere che non si trattava dell'ingegnere, ma di un certo Jarack...

Oreste                           - (scandalizzato) Nino Jarack? (Ad Ar­mand) Hai avuto il coraggio di dare il nome del figlio d'un caro amico ad una ballerina? Ah, è enorme... fantastico! Ispettore, mi faccia questa grazia, se lo porti via, lo chiuda in prigione e me lo tenga dentro cinque o sei giorni!

Brandt                           - (ridendo) Oh... Appena avrà firmato il verbale e ricevuta la ramanzina d'obbligo dal vice-questore sarà subito libero... Non solo, ma se l'inge­gnere mi dà la sua parola di non negare il fatto, lo autorizzerò a presentarsi da solo domattina in ufficio... senza la formalità dell'accompagnamento, sempre an­tipatica. Siamo d'accordo, ingegnere?

Armand                         - D'accordissimo... Domattina, alle otto...

Brandt                           - Alle nove. Se vuole, anche un po' più tardi.

Oreste                           - (prende il cappello e le altre cose di Brandt).

Armand                         - Alle nove precise sarò in ufficio. Chiederò di lei?

Brandt                           - Naturalmente... Ispettore Brandt... Si scriva il nome.

Armand                         - Me lo ricorderò per tutta la vita!

Oreste                           - (porge con entusiasmo cappello, bastone e guanti a Brandt, lo accompagna all'uscita).

Armand                         - (cadendo a sedere sul divano) Se non vado al manicomio oggi non ci andrò più finché vivo!

Oreste                           - Ed io se non ti rompo la testa oggi non avrò più pace... Come t'è venuto in mente, insulso e frivolo idiota che non sei altro, di tentare di gettare a terra il meraviglioso edificio che ho costruito per te?

Armand                         - Ma se è andata così bene...

Oreste                           - Così bene un corno! Ti sei salvato solo perché hai una fortuna indecente! Ti vedevo già con le manette! Imbecille... Io tentavo disperatamente di salvare la situazione, e lui: «Ispettore... le dirò tutta la verità... ».

Armano                         - ... Io non so resistere a mentire... Ho il pudore della...

Oreste                           - (interrompendo, indignato) Il pudore di che? Come... io, Oreste Maurin, uomo di genio, che mi sono formata una cultura giuridica alla scuola del principe degli avvocati furfanti Orazio Rauber... che ho perfezionato questa cultura con cinque mesi di ininterrotto soggiorno nel miglior carcere giudiziario della città... che ho sudato settantasette camicie per  - (strapparti dall'abisso in cui eri precipitato... impiegando tonnellate d'ingegno, fiumi d’eloquenza, mari di sapienza, oceani di faccia tosta, dovrei consentire a te d'avere dei pudori? Senti, sai che ti dico? Alla prima del genere che mi fai, ti picchio.

Armand                         - Mi picchi?

Dario e Tolestefan        - (entrano dalla seconda porta a sinistra lasciata aperta da Luisa, si fermano stupiti coi cappelli in mano).

Oreste                           - (ad Armand, senza accorgersi dei sopravvenuti) Ti picchio, ti metto con la testa nel muro, ti avvolgo le gambe intorno al collo, ti sfondo la schiena a forza di calci...

Armand                         - (vede Dario e Tolestefan, balza in piedi).

Oreste                           - (ha un guizzo, vede i due, si rivolge ad Armand e continua con altro tono) Questo gli ho detto... e lui non ha avuto il coraggio di rispondere sillaba. (Vol­gendosi verso Dario e Tolestefan) Oh... buonasera...

Dario                             - (avanzando) Buonasera.

Oreste                           - (a Tolestefan) Buonasera, avvocato.

Tolestefan                     - (burbero) Ci siamo già salutati.

Dario                             - (deponendo il cappello) Vedo con piacere che l'ingegner Luxen è felicemente ritornato.

Oreste                           - Felicissimamente, poco fa, da Milford.

Dario                             - E non mi dici niente, Armand? Non mi sa­luti nemmeno?

Oreste                           - (ad Armand) E saluta! Che razza d'inedu­cato sei?

Armand                         - (inghiottendo) Buonasera, Dario.

Dario                             - Buonasera, Armand. Ti sei divertito a Mil­ford?

Armand                         - (c. s.) Molto.

Dario                             - Bravo.

Tolestefan                     - Io non so certa gente con che faccia osa andare in giro!

Oreste                           - Eh, la faccia, caro avvocato... la faccia…. Ma lasciamo perdere le facce. (A Dario) Lei, certamente, è venuto per dirci qualcosa di più interessante, non è vero?

Dario                             - Sì, signor Maurin. Voglio far finire questo scherzo ridicolo.

Oreste                           - Vedo. Gli scherzi più belli sono i più corti. Lei vuole transigere.

Dario                             - Precisamente.

Oreste                           - Io non chiedo di meglio. Cosa offre?

Dario                             - Cosa vuole?

Oreste                           - Il giusto.

Tolestefan                     - (ha un gesto di indignato furore).

Dario                             - Quanto valuta questo giusto, lei?

Oreste                           - Dica lei, signor Gabirent. Io sa, non sono molto forte nelle cifre. Sono un poeta.

Dario                             - Me ne sono accorto. Ho letto attentamente i componimenti poetici che ci ha fatto notificare in questi due giorni...

Oreste                           - Spero che li avrà trovati esatti.

Dario                             - Molto ben rimati. Ah, non c'è che dire. Come poeta e filosofo lei è all'altezza di quegli antichi umanisti che onorarono la storia dell'arte e della civiltà.

Oreste                           - (commosso, inchinandosi) Sono profonda­mente commosso di quest'omaggio disinteressato, tanto più prezioso in quanto mi viene tributato da un filan­tropo degno di figurare accanto ai grandi benefattori del genere umano, da un...

Dario                             - (freddo) Ha finito?

Oreste                           - Sì, signor Gabirent.

Dario                             - Ho pensato, dunque, che, tutto sommato, non vale la pena di continuare a litigare. La Società Edilizia ha perduto... lasciamo correre. Faccio conto di aver commesso un errore. Rileverò le azioni di Luxen alla pari...

Oreste                           - Alla pari?

Dario                             - Alla pari, più un premio per il brevetto. Centomila fiorini le azioni... più... (si ferma).

Oreste                           - (con dolcezza) Più?

Dario                             - Più i cinquantamila già versati l'altro ieri... mentre l'ingegnere Luxen era... a Milford...

Armand                         - (ha spalancato gli occhi su Oreste).

Oreste                           - (gentile, a Dario) Più?

Dario                             - (un po' sconcertato) Più niente... Basta...

Oreste                           - Centocinquantamila fiorini?

Dario                             - (affermativo) Eh!

Armano                         - (guarda intensamente Oreste).

Oreste                           - (gentile, a Dario) Siamo lontanissimi, signor Gabirent.

Armand                         - (ha un gesto di sconforto).

Tolestefan                     - (rabbioso, a Dario) Ve l'avevo detto!

Oreste                           - (s'inchina a Tolestefan, compiaciuto, poi, a Dario) Vede, anche l'avvocato glielo aveva detto...

Tolestefan                     - (c. s.) Affatto! Io ho detto che non biso­gnava nemmeno cominciare a trattare!

Dario                             - (paziente) L'avvocato non voleva nemmeno trattare, pensando che non avreste chiesto meno di due­centomila fiorini... Ma io, pur di finirla subito, sono di­sposto anche a...

Armand                         - (è emozionato).

Oreste                           - (interrompendo, cortesemente) Non ne par­liamo nemmeno, signor Gabirent... Duecentomila fiorini non possono essere nemmeno la base d'una trattativa.

Armand                         - (s'era levato e ricade a sedere).

Tolestefan                     - (furente) Si può sapere cosa vuole?

Oreste                           - Non è il caso nemmeno di fare una contro­domanda.

Damo                            - (paziente) Sentiamola ugualmente.

Oreste                           - Non esiste il menomo punto di contatto... il più piccolo addentellato fra la sua idea e la nostra valutazione dell'affare.

Tolestefan                     - (scoppiando) Ma, insomma... quanto volete? Mezzo milione?

Oreste                           - Un milione.

Armand                         - (ricade sul divano).

Tolestefan                     - (a Dario) Sono pazzi... Pazzi... An­diamo... Non è dignitoso rimaner qui a discutere...

Dario                             - Calmatevi, amico mio... Non è affatto il caso di drammatizzare...

Oreste                           - Appunto...

Dario                             - E per mio conto non trovo che sia poco di­gnitoso discutere col signor Maurin. Mi piace anzi. Sto cominciando sul serio a nutrire una viva simpatia per una persona così quadrata, così equilibrata...

Oreste                           - (s'inchina) Lei mi vuol confondere...

Dario                             - Affatto... Io prevedo, anzi, che, portato a ter­mine questo primo affaruccio, potremo avere degli altri ed ottimi rapporti, lei ed io.

Oreste                           - La ringrazio... Ma portiamo prima a termine l'affaruccio.

Dario                             - Giustissimo. Lei chiede un milione... Va bene. Io, nei suoi panni, farei lo stesso... forse di più.

Oreste                           - Ah di più... di più, certamente!

Dario                             - Forse. Ma i milioni non basta chiederli. Bi­sogna trovare chi è disposto a darli. Ora io non sono affatto disposto. La simpatia che ho per lei non arriva al punto di farmi sborsare più di quanto ho deciso di sborsare.

Oreste                           - Se vuole il brevetto deve arrivare alla mia cifra, signor Gabirent... Mi dispiace d'irrigidirmi, ma ci sono costretto, benché cominci ad accorgermi che la sua simpatia è sinceramente ricambiata.

Dario                             - Ben detto. Non diversamente si esprimevano gli antichi paladini. Ed ora stia attento, signor Maurin... Io voglio il brevetto: e o lei me lo dà per duecentomila fiorini o me lo prendo gratis.

Oreste                           - Gratis?

Dario                             - Lei sostiene che non è apportato a titolo di capitale? Sta bene. Lei sostiene che l'altro ieri Luxen non ha firmato la cessione perché ha sognato d'essere a Milford? Sta benissimo...

Armand                         - (nervoso) Io tengo a dirti che...

Oreste                           - Zitto, bestia. (A Dario) Io posso dimostrarle la presenza di Armand a Milford nel modo più lam­pante, perché...

Dario                             - (gentile) Lo so. L'ispettore Brandt è venuto a cercarlo in ufficio prima che a casa, e così abbiamo saputo dell'investimento. Perciò mi sono deciso a venir qui. Quando un uomo, oltre alla fortuna d'aver trovato lei, ha anche quella d'investire un negozio nel centro d'una città dove non è stato, è segno ch'è veramente protetto dal destino. Ed io al destino non mi ribello.

Oreste                           - (ha un breve riso).

Dario                             - Dunque niente apporto, niente cessione. Ac­cetto la sua tesi. Il brevetto è solo in sfruttamento e ge­stione della Società Edilizia. Rimanga così e andiamo avanti. Continueremo a sfruttarlo e gestirlo.

Armand                         - (ha un gesto di spavento).

Oreste                           - La società è in situazione fallimentare. Ha perduto tutto il capitale, più...

Dario                             - (con bonomia) Non bisogna mai esser troppo pessimisti. Aumenterò il capitale di questi duecentomila fiorini che lei rifiuta, e si continuerà ad andare come prima.

Oreste                           - Permetta...

Dario                             - (c. s.) Scusi... So già cosa vuol dirmi: che non posso aumentare il capitale da solo senza mettere in minoranza l'altro socio. Benissimo: aumento di altri duecentomila fiorini il valore del brevetto...

Oreste                           - La società non ha il brevetto.

Dario                             - (c. s.) ... della concessione di sfruttamento e gestione del brevetto, e siamo pari. Il capitale della so­cietà sarà aumentato di quattrocentomila fiorini, e la faremo finita.

Tolestefan                     - (soddisfatto) E incassi!

Oreste                           - (dolcemente) Non siamo d'accordo.

Tolestefan                     - (aspro) Ah, caro lei... questo è Codice di commercio... scienza delle finanze... Questa volta è preso!

Oreste                           - Lei prende uno dei più grandi granchi della sua vita, caro avvocato. A questo aumento di capitale si poteva, se mai, far luogo l'altro ieri, prima delle sue diffide, che dichiarano lo stato fallimentare della so­cietà... Non oggi!

Tolestefan                     - La situazione non è mutata. Le per­dite se le assume il signor Gabirent... Il brevetto, sia pure in sfruttamento e gestione, è sempre nella società!

Oreste                           - Affatto. Lo ritiro dalla società.

Dario                             - (balzando) Lo ritira? E come fa a ritirarlo?

Oreste                           - Ritirandolo... è semplicissimo! Per vostra confessione la società è in situazione fallimentare: ciò prova che il brevetto è stato sfruttato e gestito male, per cui io lo ritiro senz'altro dallo sfruttamento e dalla gestione sociale con ampia riserva di danni...

Dario                             - (scoppia a ridere) Vuole anche i danni!

Tolestefan                     - (aspro) Non vedo cosa ci sia da ridere!

Dario                             - Cosa volete, che l'ammazzi? Senta, Maurin... Anche lei sarà convinto che tutto questo discorrere ci può solo ingolfare in un groviglio di cause...

Oreste                           - Io ho una fede cieca nella giustizia.

Dario                             - Anch'io. Lei ritira il brevetto, io le faccio una causa per dimostrare che non poteva ritirarlo...

Oreste                           - ... io le dimostro che potevo...

Dario                             - Perdiamo un sacco di tempo tutte e due...

Oreste                           - Io non ho fretta...

Dario                             - Ma nemmeno io avrò fretta se sarò co­stretto a far le cause. Comincerò col chiamare Luxen a versare la sua quota capitale... Se non versa il bre­vetto qualcosa deve versare...

Oreste                           - E verserà... appena avrà soldi. La società potrà iscrivere una quinta o sesta ipoteca su questo villino...

Dario                             - Potrà ipotecare anche il brevetto...

Oreste                           - Dopo aver vinta quella speciale causa...

Dario                             - (cordiale) Ma io gliene farò cento, di cause, se entro nell'ordine d'idee di fargliele... E voglio am­mettere l'assurdo... che vinca tutte queste cause... che non si stanchi... che trovi i danari per resistere! Quando avrà vinto avrà sconfitto Levi Angorac... non me! Dovrà dimostrarlo che dietro Levi Angorac ci sono io... Pos­sono passare dieci anni... quindici... Vogliamo perdere tutto questo tempo e tutto questo danaro? Se questa le pare una cosa intelligente, lei ch'è cosi intelligente, me lo dica, e non ne parliamo più!

Armand                         - (durante il discorso di Dario ha avuto tutte le controscene relative).

Oreste                           - Il suo ragionamento non fa una grinza... E' perfetto. (Pausa). C'è solo un piccolo punto su cui non siamo d'accordo. Come farà lei ad iniziare tutte queste cause? Lei dimentica un fatto basilare, che di­strugge ogni altra azione o ragione... Il procedimento penale a suo carico...

Dario                             - (sorpreso) C'è un procedimento penale a mio carico ?

Oreste                           - A carico suo' e dell'egregio avvocato Tolestefan... per falso.

Tolestefan                     - (gridando) Per falso?

Oreste                           - Per falso... Non dimentichiamo la cessione che lei asserisce firmata da Luxen il diciotto marzo mentre Luxen era inoppugnabilmente a Milford, ossia a seicento chilometri da qui. Quel documento, creato per mandato del suo cliente signor Gabirent, è la prova patente d'un falso in atto privato, ma con effetti d'atto pubblico. Domattina stessa presenterò denunzia per falso, con riserva di costituzione di parte civile.

Dario                             - (fissa Oreste con la bocca aperta).

Armand                         - (è fremente).

Tolestefan                     - (fissa Oreste, ride nervosamente poi) Non creda d'essere il solo ad avere un cervello fertile... Anch'i», se voglio, ho le mie trovate! A furfante fur­fante e mezzo! In certi casi è necessario! (Balza verso il camino cavando di tasca una carta legale piegata) Veda... questa è la famosa cessione che lei impugna di falso! Guardi cosa ne faccio! (la straccia e la getta sul fuoco).

Dario                             - (s'è alzato).

Armand                         - (ha un balzo verso Tolestefan) Ferma...

Oreste                           - (trattenendolo) Lascia stare. (Va verso la scrivania, prende da una cartella un altro foglio di carta legale) Ora c'è una sola cessione... la copia rila­sciata a Luxen, e controfirmata dal signor Gabirent! (si mette la carta in tasca).

Dario                             - (esclamando) Oh perbacco!

Armand                         - (è stupefatto).

Tolestefan                     - (fuori di sé) Dovete dimostrare come ne siete in possesso!

Oreste                           - Nelle vostre diffide ci avete accusati di sottrazione di documenti. Non neghiamo l'accusa e confessiamo. Fra i documenti sottratti c'era anche la ces­sione!

Tolestefan                     - (leva i pugni per colpire, disperato).

Dario                             - (filosoficamente) Dopo tutto... (si stringe nelle spalle, va alla scrivania, siede, cava un libretto d'assegni, prende la penna, ne riempie uno, lo firma, lo stacca, lo porge a Maurin) Ecco a voi, Maurin. Ho perduto.

Oreste                           - (mentre Dario scrive alza un dito per dire a Luxen: « Un milione», poi prende l'assegno) Grazie, signor Gabirent.

Dario                             - (prende il cappello, si copre, fa per muoversi).

Tolestefan                     - (prende il cappello, ma non si copre).

Armand                         - (timidamente) E... il brevetto?

Dario                             - Me lo porterà Maurin, domani alle dieci, appena avrà incassato l'assegno alla Banca.

Oreste                           - (andando alla scrivania, facendo per pren­dere il brevetto) Ah... se lei parla cosi, mi costringe a darglielo immediatamente!

Dario                             - (fermandolo con un gesto) No... Credo che non resisterei alla tentazione di telefonare alla Banca di non pagare l'assegno... Mi fido più di voi che di me.

Oreste                           - (ridendo) Se è così...

Dario                             - E poi voglio vedervi... parlarvi da solo a solo. M'è venuta un'idea.

Oreste                           - Grazie...

Dario                             - A domani, alle dieci.

Oreste                           - (inchinandosi) Precise.

Dario                             - Arrivederci (esce).

Oreste                           - (a Tolestefan) Arrivederci, caro avvocato.

Tolestefan                     - (ha un gesto di stizza, un grido) Oh! (Segue Dario).

Oreste                           - (li accompagna, chiude la porta, ritorna avanti con l'assegno in mano).

Armano                         - (dopo una pausa) Tremo ancora al pen­siero che avrebbe potuto accettare la tua offerta del brevetto...

Oreste                           - (è davanti alla scrivania, fissa Armand con disprezzo, prende due grandi buste, uguali, ugualmente confezionate e legate con uno spago) In questa c'è il brevetto, in quest'altra dei fogli di carta bianca... Gli avrei dato quest'altra diamine!

Armand                         - (commosso e stupito, abbraccia Maurin).

FINE