Stampa questo copione

MANI

MANI

di

Lorenzo Marvelli


Buio. Urlo. Colpo di pistola.
Luce: la donna è a terra, l’uomo osserva nervosamente la pistola.

Uomo
Silenzio, silenzio!
Queste mani hanno ucciso per il sangue, sia di monito a tutti il sangue.
Soldati, queste mani hanno procurato il sangue per voi.
Soldati, dove siete?
Io vi sento... là... e di là pure: dietro i corpi accatastati e destinati al macero, tra il fumo fetido dei bambini cadaveri.
Soldati, soldati, soldati!
Adunata, dico! Subito, tutti qui... per il sangue versato, per le cataste di carni marcescenti e...
(rivolto alla donna) e tu, tu maledetta, per colpa tua io ora... tutti via per te... codardi... tu sei stata...

Donna
Tu sei stato già Dio! Dio ed origine di tutto questo sangue, Dio delle carneficine, Dio padrone e vendicatore, Dio della vita e della morte, non c’è differenza per te.
Eppure sei stato anche...

Uomo
Oh, no, no! Tu sei stata, tu sei stata... 
Maledetta ribelle, guardali gli occhi vitrei dei tuoi fratelli morti, la cerea fissità della fine, guarda i vermi che mangiano le loro carni.
Come hai potuto... donna sanguinaria.
Non attribuire a me ciò che tu hai causato. Ti sarebbe bastato così poco per evitare tutto questo.
Ma sarebbe stato chiederti troppo. 
Orgoglio di donna, ferita inguaribile dell’animo che si dice gentile, nuvole grigie che incombono, epidemia di peste che non risparmia nessuno: ho visto correre gente impazzita perché contagiata dal morbo, ho visto implorare aiuto con occhi che piangevano sangue, in ginocchio ai tuoi piedi.
Intorno grida, lamenti, dolore... tutto all’altare della tua indifferenza, tu simulacro di peste, tu simulacro di morte.
Come hai potuto... donna sanguinaria!
Tu, anarchica... tu, mai accondiscendente... tu, pazza rivoluzionaria...
Tu sei stata...pazza, pazza, pazza!

Donna
Tu sei stato già mio padre! Mio padre, ricordi?
Mio padre... alla casa alla pineta: si vedeva il mare dalla finestra, non dalla mia stanza, non aveva finestre la mia stanza.
Le aveva il tuo studio però, tu il mare lo vedevi dalla finestra.
Mamma ti aveva chiesto di occuparti di me, era all’ospedale a partorire l’ennesimo figlio, ricordi papà, il piccolo morticino nella bara bianca? 
Io lo vedo lì... guardalo anche tu... è lì papà, lo vedi? Marcisce insieme agli altri nel mucchio, il volto tumefatto raccolto nella cuffietta bianca, gli occhi ancora aperti che implorano pietà... li vedi gli occhi? Ci chiedono di risparmiargli il dolore, ci chiedono perché lo abbiamo fatto!

Uomo
Stai zitta, cosa dici, sogni a voce alta, stai zitta, il tuo delirio non servirà ad affrancati dalla morte.

Donna
Ho sempre creduto che fui io la causa di quella morte.
Non riuscii a piangere di fronte alla bara, troppo grande la colpa che mi portavo dentro. 
“Non sei stata una brava bambina”, ricordi papà?
Io continuo a sentirle le tue parole e per questo non riesco a piangere.
Dovevi portarmi a scuola, te lo aveva chiesto la mamma.

Uomo
La mamma... io non sono quello che tu credi che io sia... non riuscirai a salvarti sollevando il fumo della compassione: tu sei come tutti quei corpi ammucchiati...

Donna 
Non ci andai a scuola!
Vedevo il mare dalla finestra: in estate c’erano i bambini a giocare, mi pareva di sentirne le voci, i piccoli traffici, mani delicate all’opera, mani incapaci di ferire, mani innocenti che cercheresti al contatto, piccole gioie di mani che si danno a vicenda.

Uomo
(Guardandosi le mani) Le mani? Cos’hanno le mani?

Donna 
...e il mare. Attraversando una strada senza pericoli, in definitiva pochi metri e subito la spiaggia, il chiosco con le granite alla menta ed al limone ed un’infinità di colori che le mie mani non hanno mai potuto toccare.
Non volevi che andassi lì, a giocare con gli altri bambini, il tuo divieto era secco, perentorio, senza nessuna spiegazione, non volevi tornarci più, il tuo “No!” era definitivo, nessuna preghiera, nessuna intercessione.
Non ci andai a scuola quella mattina.
Eri così, una sola parola. L’unica.
Imparai subito ad immaginarli i miei giochi, a vederli dalla finestra, sulla spiaggia, lontani dalle mie mani: il piacere del tatto negato, mani sudate che si toccano nervosamente, mani poggiate sui vetri della finestra, immobili e lontane da altre indaffarate e gioiose. 
Perché non mi portasti a scuola quella mattina?
Papà!

Uomo
Soldati, soldati, avanti fuori dai nascondigli, ho ordinato l’adunata!
C’è da fare pulizia... sangue, cadaveri dappertutto.
Soldati!
Via questa donna, via prima degli altri!
Lei farnetica, imbroglia... (tra sé) cos’hanno le mani.
Soffocate questo suono di peste, squilli che ammaliano, voci che imbrigliano, mani che mischiano...
(Rivolto a lei) Non ti sento sai, non ti sento!
Sei morta tra i morti, marcisci come tutti ormai.
Lo senti l’odore del sangue?
Toccalo il sangue sulle mie mani!
Guardale queste mani!
Le senti addosso ora, toccale mentre ti toccano!
Sì, così... voglio sentirti patire il contatto, voglio sentirle tremare e bagnarsi di paura.

Donna
Papà, eccole le tue mani. Eccole!

Uomo
Non hai capito, non hai mai capito!
Queste mani ti accarezzavano e tu soffrivi, piangevi come fossero schiaffi ed erano solo carezze... sono carezze, le vedi?

Donna
Non è vero, ne sento il peso, il dolore... la vergogna!

Uomo
Smetti di guardarmi così, potrei tirarti uno schiaffo, smetti di piangere, non lo sopporto.
Piangevi per quelle insignificanti goccioline di sangue sulle lenzuola.

Donna
...insignificanti... come puoi, papà!

Uomo
Non è niente bambina mia, è una cosa che ti ha chiesto papà... tu vuoi bene a papà, no?
Lasciami giocare, papà vuole giocare con te, lasciami toccare, stai ferma e... zitta.
Non sei stata una brava bambina!
La mamma soffre in ospedale e tu sei così cattiva, vuoi che papà si arrabbi?
Smetti di piangere.... zitta!

Donna
Come puoi, papà...

Uomo
La mamma non c’è e papà vuole bene solo a te.
Ci sei solo tu e nessun altro.
Non far soffrire la mamma, stai ferma, dammi la manina... dammela ti ho detto!
Ecco, tocca qui, tocca: senti come ti vuole bene papà?
La mamma non c’è e papà ha bisogno di te, ti vuole bene papà.
Ma cosa hai fatto?
Hai fatto pipì sul letto, hai bagnato tutto, ora papà si arrabbia... anzi sai che facciamo?
Se stai buona e non dici nulla, ci pensa papà alle lenzuola: tu stai zitta e la mamma non lo verrà a sapere.
Non dire nulla!
(Rivolto ai soldati) E voi, soldati... non dite nulla e fate sparire tutto in fretta. Il sangue, i cadaveri, pulite tutto qui intorno!
E togliete lei prima di ogni altro. Forza soldati...

Donna
Tutto quel sangue... “non accendere la luce, mi vergogno”.
Piangevo perché avevo sporcato mentre mamma era in ospedale.
Tu eri arrabbiato per questo, così credevo, perché avevo sporcato.
“Non accendere la luce, papà, mi vergogno!”
Non soffrivo le tue mani, mi toccavi con quelle mani grandi, ruvide, pesanti, le tue mani sui miei polsi per impedirne il movimento, la difesa, la tua mano sulla mia bocca per impedirmi di gridare o solo di respirare ma io non le sentivo più le tue mani, piangevo per il sangue, il sangue sul letto, sapevo che c’era, percepivo il suo viscido calore sotto la schiena: era buio, non volevo la luce, meglio la morte che la vita, la mamma ne sarebbe morta, il bambino che stava nascendo ne morì.

Uomo
Non fu colpa mia, non fu colpa mia!

Donna
Lo toccò, mia madre. Lo sentì freddo, già morto e portò le mani sul volto per disperarsi.
Aveva toccato la morte di suo figlio ed ora le fissava in lacrime quelle mani.
Tu toccavi me mentre lei toccava il figlio morto.
Lo vedi là, tra i cadaveri accatastati?

Uomo
Loro non c’entrano! 

Donna
Non dimenticare quegli occhi: ci imploravano aiuto e noi eravamo a casa, sordi a quei lamenti perché affaccendati a toccarci.
Quanto furono responsabili le nostre mani!
Ed il sangue!
Il sangue di mio fratello schizzò fino alle lenzuola, il fiotto di quel cordone ombelicale così malamente reciso raggiunse il letto dove le mie mani tenevano strette le tue... mani colpevoli, mani sporche.
Quanto furono responsabili le nostre mani!
Chiediglielo papà, chiediglielo: è là, lo vedi?

Uomo
Come posso farlo! Loro non c’entrano, loro non c’entrano!

Donna
Lo strano destino delle mani: mani violente, mani violate, mani violacee, mani di morte, di sorte, mani che si ammanicano, si ammucchiano, si ammassano.
Per contatti infelici, per il sangue versato.
Nel letto di mamma.
Nel letto di morte.
Papà che hai fatto!
Papà che abbiamo fatto!

Uomo
Cosa ho fatto...

Donna
Abbiamo, papà, abbiamo...

Uomo
...piccolo...

Donna
E innocente...

Uomo
...mio figlio...

Donna
E’ morto!

Uomo
...morto...

Donna
Lo abbiamo ucciso...
Lo vedi...è lì. In mezzo agli altri, papà.

Uomo
(Rivolto ora ai soldati ora alla donna come agendo una doppia personalità) Non ti sento, non sento e quel corpo che tu indichi è morto come gli altri, sono tutti uguali i morti, la tua peste non risparmia i bambini, il vento dell’infezione è sordo ai vagiti e fa carneficine soffiando violento nelle strade, nelle case, nei nascondigli di fortuna... non c’è pace, non c’è pace, vero soldati!
Soldati, via lei prima degli altri ho detto, non fatevi incantare, lei è donna e possiede l’arte dell’ammaliare: sa offrirti una mano e mentre attendi una carezza ecco che con un atto fulmineo t’afferra il cuore e lo spreme lentamente per raccoglierne il succo con il quale prima o poi spegnerà la sua sete. 
Lei è donna e cagiona malattia, peste: sorridi al calore della sua vicinanza ma nulla puoi quando questo muta in fuoco per bruciarti le carni, arrostirti, incenerirti!
Lei è donna ed ha mani lisce, dita affusolate, smaltate all’estremità, taglienti come artigli di aquila.
Queste mani invece hanno lavorato sodo, guardate i calli... mani consumate dalle fatiche, mani che non cambiano, non truccano: mani grandi ma sincere.
Mani di Dio, mani di padre.
Mani di sangue?
Forse... ma ogni atto ha un tributo.
Lottare contro la peste vuol dire scoprire il male che si nasconde dietro angoli insospettabili, vuol dire intimare inutilmente a quella bestia di fermarsi e poi lanciarsi all’inseguimento evitando macerie, corpi già morti, cumuli d’immondizia che bruciano e finalmente costringerla, spalle al muro, davanti i suoi occhi che sembrano piangere, implorare pietà sino a farti straziare il cuore, sino alla soglia del perdono...
E’ subdola la peste, piega il suo capo sulla spalla, ammicca, sorride, ti tende la mano, la tensione ti abbandona, vorresti quasi abbracciarla ma sarebbe la fine.
Ed allora il bene si sporca, l’amore diviene passione e si tinge di rosso, piacere e dolore possono fondersi in un unico tatto, mani di santi e mani di demoni. Un unica cosa, un unica cosa!
Toccavo con diritto di padre, vero soldati!
Prendevo ciò che era mio, eh soldati!
Ti osservavo alla finestra. Guardavi il mare, guardavi sempre il mare. In silenzio.
Ed io, dietro, guardavo i tuoi capelli raccolti nella treccia tenuta da un grande fiocco bianco.
Dietro. Osservavo le tue piccole spalle magre, le gambe nude infilate nei calzini di lana afflosciati sulle caviglie.
Piccola ed infreddolita: strofinavi le mani e ci soffiavi caldo dentro.
Provavo a chiamarti.
Silenzio.
Guardavi quel mare maledetto mentre io ammalavo di peste, mentre il calore diveniva fiamma, mentre la pelle trasudava liquido bollente, mentre il cuore accelerava la corsa.
Impossibile guarire, impossibile non morire di quel silenzio che accendeva i miei sensi.
La peste, capisci, il germe originava da te ed infettava i miei organi.
No, non potevo lasciarti andare sulla spiaggia, era così freddo fuori.
Dovevo proteggerti, tua madre me lo aveva così raccomandato.
Avevo voglia di stingerti, volevo sentirti vicino, volevo esserti vicino.
Non potevo lasciarti andare sulla spiaggia, anzi, lascia perdere la scuola oggi, stiamo insieme.
Dicevo queste cose convinto che tu non le sentissi neanche... continuavi a voltarmi le spalle.
Io questo non lo sopportavo, non potevo permettertelo, no non lo potevo assolutamente, dovevo farti capire che c’ero e che tu... m’appartenevi, tutto in quella casa m’apparteneva... vero soldati? Tutto m’appartiene... il potere nelle mie mani... toccatele queste mani!
Amore mio, tu non capivi. Non mi ascoltavi, ero dietro di te.
Guardavi il mare dalla finestra, il mare ti allontanava sempre più da me e... prima o poi saresti cresciuta e saresti andata via.
Non potevo permetterlo, non potevo permetterlo... amore mio!

Donna
Chiami amore la donna che hai appena ucciso?

Uomo
Ti ho toccata, prima!
Ti ho tenuta stretta e non capivi.
Maledetta quella finestra, maledetto il mare, l’acqua, la sabbia...
Maledetta la peste, la peste che appesta, che innesca processi, processi indefessi e s’impossessa del ventre mutandolo in otre ricolmo di melma, di mamme ammalate, di mummie ammuffite, di mostri macerati... la peste
Soldati, soldati!

Donna
Tu sei stato già mio amico fedele.

Uomo
No, padre piuttosto

Donna
Non solo! Non solo!
Credevo un uomo diverso, così credevo.

Uomo
Come sei brava a saltare di palo in frasca!

Donna
Un isola tranquilla nel mare che guardavo dalla finestra.
Così credevo... 
Attraversare la strada di corsa, a piedi nudi sulla spiaggia rovente ed in acqua, per raggiungerti.
In un luogo lontano da lui.
Un isola piena di speranza, una casa con tante finestre, piena di luce ed io, donna ultracentenaria, donna giovane macchiata di colpe, io finalmente impegnata a toccare senza sporcare le mani.
Le mani e le piccole cose giornaliere: mani che carezzano petali di una grande margherita, mani che spolverano pagine di libri ammuffiti, mani che ridanno forma ad un cuscino, mani che intrugliano acqua, lievito e farina, mani che imbandiscono la tavola da pranzo: ti aspettavo così quando eri al lavoro. 
Mani che attendono, mani felici, mani che credono d’aver dimenticato!
Ho creduto allora nell’esistenza di mani diverse: le tue.
Mani che cercano il contatto, mani che condividono, mani bianche e carezzevoli.
In definitiva ho capito che può esserci sangue anche dietro un tatto che si offre a medicare un dolore!
Certo: conforto, piacere, profumo...
All’inizio!
Mani subdole, mani che imbrogliano, mani manipolatrici che presto mutano la lacrima di gioia in lacrime di sangue.
Amico... mi dicesti!
Il tuo genere violento indossava abiti da clown sebbene la laurea in filosofia ti conferisse un aspetto assai serio, una credenziale per me.
Io che avevo vissuto la casa alla pineta, io che avevo vissuto mio padre.
Mi raccogliesti per strada come una roba vecchia, già vecchia nonostante gli anni.
Mi offristi le tue mani: bianche, lisce, profumate.
Accettai quel contatto, mi sollevai e mi offrii io stessa.
Fiduciosa, pronta a dimenticare lui ed a ripartire da capo.
Con te!

Uomo
Ecco appunto!

Donna
Era un bel toccarsi: senza sangue, senza dolore.
Ogni mano si dava preceduta da una parola dolce, da un sorriso, da uno sguardo rassicurante.
Oh, sì... era un bel toccare quello ed era bello scoprirsi in quel modo... attraverso le mani.
Falsa, falsa quella religione!
Anche Dio sa essere falso come i demoni che dice di combattere.
Scoprii presto la verità delle mani.
Anche un tatto proposto come lo fu il tuo, può generare violenza, dolore, sangue e lo fa in modo assolutamente subdolo, strisciante come lo è lo strisciare di un serpente su un corpo ignaro e sognante.
L’isola che abitavo piena di speranza, divenne presto una prigione che tu, ragazzo gentile, ragazzo filosofo, presidiavi sorridendo, ammiccando, trasecolando di fronte ad i miei iniziali sospetti e soprattutto sgusciandomi addosso, leggero ma diffusivo come una massa tumorale sino a che le mie mani percepirono le tue come nemiche.
Falsa, falsa quella religione!
Di nuovo sangue sulle mani, ora me ne appare il rosso inconfondibile, l’odore acre che permeava l’aria, alla casa alla pineta...
Tu come mio padre, identici nel genere anche se così diversi, rossi come il sangue, demoni o dei, maestri nel violare toccando, sfiorando.
Mani violente...

Uomo
(Ancora con doppio registro)
Ma che fai, perché mi allontani ?
Adunata!
Guardami ti prego, non può finire così.
Dove siete, soldati... i cadaveri marciscono e la puzza tutt’intorno...
Cosa ti sei messa in testa, io non sono come tu credi.
Il sangue, il sangue...
Non devi considerarmi come tuo padre, lui sì che ti ha fatto del male... io ti ho dato tutta la mia vita, pieno di premure, attento a non riaccendere i brutti ricordi; tuo padre, lui sì che merita il tuo odio ma io... 
Ti sembro il tipo che approfitta della donna che ama?
Guardami ho detto?
Io come tuo padre?
Sei piombata nella mia casa come un animale ferito, ricordi?
Con queste mani ho curato le tue piaghe, ho lenito il dolore, ti ho nutrita senza pretendere nulla. 
Ho atteso, sì, ho aspettato senza metterti fretta rispettando i tempi della malattia...
Ricordi?
Tu stessa in quei brutti momenti dicevi di non meritarmi, piangevi tra le mie braccia e io ti stringevo forte costringendoti a... restare, a fermarti, a non impazzire, a guarire!
Ora che sta succedendo...
Cristo, vuoi almeno guardarmi in faccia!
Non pretendo riconoscenza ma guardami almeno...
Insomma non costringermi a...

Donna
... a fare cosa?

Uomo
Ma cosa hai capito... no guarda che io... ti prego, scusami... è che io non posso lasciarti andar via, ti prego...

Donna
Non puoi? E perché? Quale oscura forza ti impedisce di lasciarle queste mani?

Uomo
Dammele le mani, lasciati toccare, non vedi che sto piangendo: io che non l’ho mai fatto.

Donna
Le tue lacrime non commuovono, non convingono. 
Sono lacrime del boia sul patibolo, appena dopo aver stretto il cappio!

Uomo
Soldati, il sangue: portateli via!
Qui non siamo alla casa alla pineta.
Sei a casa mia, è diverso, è tutto completamente diverso.
Guarda le mie mani, guardale queste mani!
Ti hanno sempre accarezzato, sono mani incapaci di ferire, mani che non appartengono ai tuoi ricordi, mani che ti hanno salvata, mani che hanno offerto un uomo che ti ama come tu non immagini.
Mi parli di boia, di patiboli...
Non andar via, ho bisogno di te, ho necessità di... aiutarti!
Sai, forse è proprio per questo che a volte esagero.

Donna
Ci siamo finalmente!

Uomo
No, aspetta, non fraintendermi... come dire: attenzione eccessiva, amore eccessivo, una sorta di mostro che ho qui dentro e che non controllo, non controllo.

Donna
Necessità di violenza! Il boia appunto!

Uomo
... ma no, no! Non fraintendere: ho paura di perderti, non vivo se non ci sei e per questo ti tengo stretta.

Donna
Stretta? Prigioniera, sarebbe meglio tu dicessi: prigioniera!

Uomo
Ti prego, cogli il bene dietro il male di un attimo di incolpevole follia, oh certo, potrei dirti “il fine giustifica i mezzi” ma sai che odio essere banale ed allora guardale queste mani, ti cercano, ti desiderano... desiderio d’amore totale 
Desiderio di possesso? Sì, forse.
Una sola carne, per sempre!
Vieni qui, stai ferma e lasciati toccare, non vivo più, non vivo più, ora sono io che chiedo il tuo aiuto. 
Ecco, sto bene se ti tocco, sto bene... 
(Le mani sul collo di lei che si divincola)

Donna
Lasciami

Uomo
Fermati, non mi aiuti se vai via, mi distruggi se vai via, io non posso permetterlo, no assolutamente!
Soldati, soldati fermatela, intorno è pieno di sangue, è sporco di carni che marciscono, ordino che si pulisca tutto al più presto.
Lavare il sangue, lavare...

Donna
... lavare la colpa che ti distrugge, rimuovere l’angoscia che ti monta dentro come un mostro. 
Lo hai appena detto, il mostro che ti divora l’anima sporca di rimpianti.
Ti sarebbe bastato poco e invece.

Uomo
Non ti sento, non ti sento!
Sei brava a rovesciare il piatto!
Non ti conoscevo sotto questa veste, sono sinceramente allibito: queste parole da te, tu che sino a poco tempo fa facevi fatica a pronunciare il solo tuo nome, tu che...
Ma sai che ti dico?
Rinuncio al compito che avevo prefissato, non lo meriti.
L’hai avuta la possibilità, e come se l’hai avuta!
Hai buttato tutto a mare: il mio senso di colpa... stronzate! Piuttosto tu!
Tu come origine stessa dei mali che dici di soffrire, tu colpevole del buio che porti dentro; le tue mani implorano violenza non aiuto e di quella violenza hai bisogno come il pane per continuare ad essere.
Ho capito, ho capito e lo sai anche tu: ti nutri del tuo stesso sangue, sei perversa, masochista, godi del dolore che gli altri ti creano e se non soffri, fuggi via come una bestia selvaggia: le tue mani, le tue mani assassine di te stessa!
Non te l’aspettavi, vero?
Tu che marcisci putrida quando divieni vittima di mani inconsapevoli ed il fumo che ne risulta, quella orribile combustione di morte, è energia!
Sì, energia senza la quale vivere ti è impossibile!
Tu sei perversa, un demonio vestito da angelo, la tua falsa dolcezza è una lama affilata che colpisce giusto qui, al cuore.
Ebbene tu per questo sei morta... morta, capisci? Cadavere che marcisce, poltiglia di strega che è bruciata al rogo delle sue stesse perversioni.
Tu sei morta, vero soldati?
Portatela via, portatela via.
(tra sé) io volevo aiutarti.... non lasciarmi... perdonami, ti prego...
Soldati, presto: dove siete finiti tutti?

Donna
Mani ipocrite, fate finta di sfiorare... Carezze dite?
Sangue, dolore, violenza.

Uomo
Sei tu il male, mani che assassinano te stessa!
Peste che appesta la peste, ammali della tua stessa infezione e rifiuti le cure, fuggi come un demone di fronte ad una effigie sacra.
Tu sei il tuo male!

Donna
Hai ragione: l’ho creduto, almeno per un tempo, ora non più.
Ho creduto d’essere causa di morte... la piccola bara bianca, mia madre che si dispera, le mani bagnate di lacrime sul viso.
Io come la peste...
Hai ragione: ho creduto anche di non meritare l’attenzione che mi riversavi addosso, la tua premurosa dolcezza, la voce spesso melensa, un intruglio dolciastro di miele e filosofia.
Guarda, l’ho così tanto creduto che ho pensato bene di punirmi... che abile incantatore avevo affianco!
Troppe volte sono stata oggetto di smisurati desideri, che pazza, così credevo!
Troppe volte questo corpo ha emanato strani fluidi ad accendere animi, ad attirare mani accaldate su di sé.
Pazza, pazza!
Alla finestra, guardando il mare oltre la pineta, avvertivo il calore di grandi mani che si avvicinavano, le sentivo afferrare l’aria e muoversi verso di me e prima di averle sui fianchi... Dio che ho passato! Dio che vergogna! Dio che terrore.
Tu dici per colpa mia... ma cosa potevo fare se non impedire che il cuore mi esplodesse in petto, se non governare il suo galoppo frenetico.
Così anche con te, ragazzo gentile, giovane incantatore.
Certo, eri diverso: le tue mani non mi pesavano addosso.
Mani leggere, mani d’aria quasi trasparenti ma... onnipresenti; la mia vita piena zeppa delle tue mani lattescenti e viscose, la mia vita priva di spazio, priva di piccoli luoghi vuoti: le tue mani ovunque!
Così la quiete iniziale è divenuta angoscia sotto le false carezze ed il riposo del cuore è divenuto galoppo.
Come prima, alla casa alla pineta.
Anche per te, ho imparato ad odiare il mio corpo che ammalia, attira, circuisce, accende, infuoca.
Io come la peste...
Pazza, pazza, così credevo!
Ed allora che faccio?

Uomo
Sì, dunque, che fai? Andare via da me non ti aiuterà e poi dove?
Oh, certo, con un corpo così non faresti difficoltà a...

Donna
... questo corpo io...
Questa carne io la maledico e l’attacco, l’offendo, l’assalto con impeto!
Il mio corpo malefico... che pazza ad averci creduto!
Ma rifiuto comunque l’esserci dentro, fuggo la sua prigione, i suoi seni grandi, i fianchi sinuosi, origine di mille voluttà.
Queste carni cercano mani, io che vi sono dentro voglio invece fuggirle.
Voglio cancellarlo questo corpo, voglio annullarlo, torturarlo, imbrigliarlo, privarlo d’ogni minimo nutrimento perché il boia non abbia più di un simulacro... solo un simulacro a te, mio padre, alle vostre mani.
Solo un simulacro!

Uomo
Il tuo splendido corpo...

Donna
...solo e semplicemente mutarne l’aspetto: da fata a strega, da sirena a rospo.
Insomma, abbrutire le carni perché cadano i seni a terra, flaccidi, vecchi, disidratati.
E rughe sul viso avvizzito, pieghe di pelle sulla pancia, sui fianchi.
Mani scheletrite, dissolte in squame puzzolenti...
Il vostro desiderio muti in ribrezzo!

Uomo
Non puoi farlo!

Donna
Stiano lontane le vostre mani!
Non toccatemi, non toccatemi più.
Il terrore, il ribrezzo degli uomini è la mia pace, scompare il mio peso, il mio corpo, l’immagine sporca di me, il loro sporco desiderio, branco di cani assetati di carni.
Io sono brutta!
Indesiderabile, schifosa e le ossa che spuntano, crescono, stirano le pelle vecchia, spengono il desiderio, la colpa.
Follia?
Masochismo?
Perversione?
No, no, solo desiderio di pace.
Una sorta d’eutanasia: muoio per non patire le vostre mani!
Non toccatemi, non toccatemi più!
Il corpo è denutrito, ammalato, oggetto di preoccupazione e non desiderio.
Non mangio, solo un po’ d’acqua, se mangio corro subito in bagno a vomitare.
Anoressia, anoressia mentale!
Salvezza mentale!
Non mangio per la pace, non mangio, non posso permettermelo... mangiare, no, assolutamente no! 
Non posso farlo, non posso farlo.

Uomo
Soldati, presidiate i bagni e tutti gli altri luoghi: questa donna non deve star sola, all’erta e massimo controllo!

Donna
Nessun problema per me: vomito nel vaso, di nascosto o in qualsiasi altro recipiente ma anche un semplice fazzoletto, un pezzo di carta che poi faccio sparire... è così facile occultare il vomito, ogni luogo può adattarsi.
Vomito cibi e desideri che suscito, solo così tengo lontano le mani!

Uomo
Io ordino che questa donna sia controllata a vista, contenuta, legata se necessario, è una questione di vita o di morte.
Soldati, dico: all’opera!

Donna
Li chiami soldati, potresti chiamarli dottori o infermieri...
Tu stesso sei già stato uno di loro!
Le stesse mani, mani di gruppo, mani di équipe che si muovono all’unisono, per protocolli indiscutibili, inconfutabili.
Mani che toccano perché così è scritto sui libri.
Mani che curano malattie, mani che forzatamente inculcano cibo, mani che controllano buchi e sfinteri, mani che legano per impedire il vomito, mani che pesano sulla bilancia, la pasta, il pane, la carne, la mela, mani che sottraggono la tara con ossessiva precisione, mani che calcolano calorie, mani che ordinano di prendere chili, mani che ordinano di vivere!
Vivere è obbligatorio in questa repubblica delle mani: luogo di cura, di pesi, di guanti in lattice che coprono mani timorose del contagio, della malattia, della morte.
Ospedali!
Mani guantate, intalcate, gommate che toccano.
In bocca, a spingere a forza il pezzo di carne.
Sui polsi, ad impedire movimenti possibili.
Sulle chiavi, a chiudere porte, finestre, luoghi ove si entra e si esce.
Sulla pancia, a premere la vescica per far uscire pipì e quindi procedere ad un peso più esatto, documentabile sulla cartella clinica.
Mani sulla bocca, sulla cornetta del telefono, non puoi telefonare se non mangi, ma anche sugli occhi per impedirti di comunicare, di guardare, di sognare un luogo diverso da questo.

Uomo
La tua anoressia è incompatibile con la vita ed io per contratto, lotterò perché tu viva.
Con ogni mezzo, te lo assicuro!
Piuttosto dimmi di te, di tua madre, tuo padre... perché guardi le mie mani?
Ma che strano atteggiamento è questo?
Che fai, lasciale, lasciale, insomma, non costringermi a...

Donna
Dottore!

Uomo
Ferma, non muoverti, ti avevo avvertita...
Sei furba tu, chi credi di fregare? Io sono più furbo di te, sai quanta gente...
Tocca salire sulla bilancia: spogliati, via il reggiseno, via ho detto!
Vuoi fregarmi, ma chi credi....
L’hai riempito di carta bagnata il reggiseno... eh, ma io non lascio passare neanche un grammo!
Forza avanti, nuda sulla bilancia!
Ieri eravamo a trentacinque. 
Volevi star sola in bagno prima del peso, sì, credevi che io ci cascassi: aprivi i rubinetti facendo finta di urinare, poi magari ci vomitavi dentro al lavandino.
Non ci sono cascato, non ci casco mai: dovrai prenderlo qualche chilo prima o poi.
A meno che tu non voglia star qui a sopportarmi tutta la vita...
E’ dura sai?
Posso essere capace di tutto, posso fare tutto, ne ho facoltà.
Nulla resiste alle mie volontà, io sono nel giusto e per questo determino, decido, pianifico.
Vado avanti per la mia strada, risolvo problemi in un attimo, calcolo il rischio, aggiro l’ostacolo; ogni atto è perentorio, fulmineo, preciso, ogni pratica è perfetta, elegante, lineare, documentabile in diapositive; gli strumenti dei quali mi avvalgo sono limpidi, asettici, sterili, il naturale prolungamento di mani accreditate, laureate, esperite.
Agisco sempre così, il più delle volte da solo, non voglio occhi indiscreti intorno e poi silenzio, assoluto silenzio perché l’atto abbia l’aspetto di un rito, un sacrificio al cospetto di una divinità bianca e pulita.
Non ho paura d’inciampare nel dubbio: non ho dubbi!
Non ho paura di nulla, neanche della peste.
Anzi alla peste sono immune, immune per gli anticorpi che mi circolano nel sangue, per l’abito a trama fitta che impedisce il passaggio a qualsiasi verme.
Non ho paura della peste!
A quel mostro rispondo con queste: mani che impugnano fiale, pinze, bisturi taglienti, medicamenti ipnotici, palloni autoespansibili, espansioni di ego, dominio di mani, imperio assoluto del bianco per cancellare la pazzia dei colori, autarchia di lame per prevenire la peste!

Donna
Infermiere!

Uomo
Non cercare di manipolarmi, io le conosco le tue mani, sono come tutte le altre: sinuose, gentili, affusolate, candide, imploranti e giunte per pregare, per elemosinare aiuto ma se ci casco è la fine.
Sono trappole, precipizi, salti nel buio... sono la malattia, la morte e qui regna la vita.
Questa è la patria della vita ed io ne sono il patriota!
E le mie piuttosto, le mie mani, le vedi?
No, non le freghi queste mani: hanno imparato a difendersi e contrattaccare se necessario.
Io sono un patriota!
Devi mangiare... mangia, mangia, mangia!
Guarda che se mangi sei libera, voglio dire dimessa... a casa, capisci, vai a casa!
Se mangi te ne vai dove vuoi, in montagna, alla spiaggia... ti piace il mare?
E poi, guarda, se metti dentro qualcosa torni ad essere bella come prima... perché eri bella prima, vero?
Nonostante tutto devo ammettere che hai un bel viso, bei lineamenti... lasciati guardare.
Anzi, guarda, lì c’è uno specchio, lì lo vedi?
Guardati, guardati come sei ridotta: un mucchio di ossa, guarda che mani, sei così brutta. Nessuno ti avvicina, nessuno ti tocca.
E questo ti dispiace, sei una donna ed hai la vanità nei geni, non puoi essere compiaciuta del tuo aspetto orribile.
Ce l’avevi il fidanzato, sì, sì, sono sicuro... dovevi essere proprio bella!
Devi tornare com’eri... è un ordine!
Mangia. Mangia, mangia, mangia!
Se non mangi muori, se non mangi ti uccido io, con queste mani!
Le vedi le mani?

Donna
Il boia prepara il cappio.

Uomo
Ma sentitela, soldati: questa donna vuole sfidarmi.
Chi comanda qui, lo sai chi comanda?

Donna
Il mio collo è pronto: fallo subito!

Uomo
Sfacciata!
Diteglielo voi, soldati, chi comanda!
Guardati intorno, guardali questi cadaveri che marciscono dappertutto.
E l’aria fetida imperniata di morte.
E’ la vittoria sulla peste!
Sono queste mani la causa di tutto!
Queste mani hanno lavato, pulito, disinfettato!
Mi è bastato a volte il solo toccare... una sorte di benedizione.
Altre volte ho dovuto stringere sul collo o addirittura sparare sulla tempia.
Per queste mani ho gioito, sofferto, gridato, sussurrato, desiderato, odiato.
Dite soldati, dite... dite delle mie mani: sono loro che fanno, libere, autonome, potenti.

Donna
Fallo ora... lo chiedo alle tue mani: fatelo!

Uomo
Povera illusa, credi di spuntarla, pensi mi manchi il coraggio.
Non le temi queste mani?
Soldati, soldati... è ora!
La pistola, la pistola.
Che muoia come gli altri.
Lei che non si piega alla potenza delle mani!

Urlo. Sparo.

fine