Marcellino pane e vino

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un prologo e due tempi

di Raffaello Lavagna

dal racconto di José Maria Sanchez Silva

Ed. Massimo - Milano

I   PERSONAGGI

Voce di Gesù

Marcellino

Superiore

Fra Pappina

Frate Porta

Fra Malato

Fra Dindon

Donna, madre di Manuel

Pasquale   il sindaco

La Moglie del Sindaco

La Guardia

I Consigliere

II Consigliere

LA SCENA

Al centro è un refettorio1 di convento, con un tavolo centrale e sgabelli vari — a sinistra, un esterno con porta d'ingresso che dà sul refettorio dei frati — a destra, una cucina, separata dal re­fettorio da una parete con porta.

Sulla cucina si intravede una soffitta, a cui si accede da una scaletta-ballatoio sul fondo del re­fettorio.

Per «economia» di tempo, e di attori, le due scene dei consiglieri possono essere tolte, anche se nell'economia generale del lavoro, il rompere un po', e sortire dall'ambiente «convento», è vale­vole per una maggior varietà e alleggerimento di tutta l'azione scenica.

Per la scena della casa del Sindaco, basterà un siparietto che cala dall'alto oppure due spezzati che si incuneano nella scena, al centro, dinanzi al refettorio   tenendo il sipario a filo di scena.

1 Refettorio: Il locale, più o meno ampio, dove si svolge la refezione, dove,  cioè si prendono i pasti.

PROLOGO¬

(Una laude1 francescana inizia al buio — poi il sipario si apre lentamente, e nella penombra si intravede  la scena).

Storico —   C'era una volta... un convento, che un gruppo di frati francescani2 s'eran costruiti, pietra su pietra, sulle rovine d'un vecchio ca­stello. Erano passati più di cinquant'anni dall'arrivo dei primi frati in quel posto solitario, diventato, con l'andare del tempo, molto fre­quentato e visitato dai fedeli dei vari paesi dei dintorni. Un giorno...

(La laude torna in primo piano, mentre le luci andranno illuminando del tutto la scena all'esterno del convento,  dove  una  donna  sta depositando un bambino in fasce, bambino che bacia, fuggendo, poi, precipitosamente. Il bim­bo comincerà a piangere, mentre la luce illu­minerà anche la cucina dove frate Porta e fra Pappina stanno sbucciando fagioli, o altro).

Porta — Non ti sembra di udire un rumore,  un lamento...

Pappina — Un lamento?

 

(il lamento continua).

Porta — Eppure mi pare di sentire qualcosa...

Pappina — Sarà il rumore del vento che fischia, quassù...

Porta — No... ecco... senti... non senti niente?

Pappina — Io no.

Porta — Mi pare proprio il lamento d'un bambino che piange.

Pappina — Io, sarà che sono duro d'orecchi, ma non sento proprio un bel niente!

Porta  — Ma si sente benissimo, ora.

Pappina — Io, niente del tutto.

(Una pausa, s'ode, distinto, il piangere).

Porta — Zitto, ecco, ma sei sordo davvero! (va verso la finestra).

Pappina — Se vien di lì, è certo il vento che soffia  in  soffitta!

Porta — No, non è di qua, dev'essere verso la porta d'ingresso. E' proprio il lamento di un bimbo! (ascolta un momento verso la porta).

Pappina — Sarà qualche povera donna, allora, di quelle solite che vengono a chiedere l'elemosina, col bimbo in braccio, per far più compassione!

Porta — Guardo un momento! (toltosi il grembiulone passa attraverso il refettorio, va alla por­ta esterna, apre).

Porta — Oh, Gesù Santo! (si china a raccogliere) Un bambino davvero... Fratelli, fratelli, un bambino. (a fra3 Dindon che accorre) Suona la campana, fratello, chiamali tutti. (ai frati che entrano) Fratelli, ho trovato un bambino...

Frati — Un bambino?... Cosa?... Dove?

Porta — Stava sulla porta. (a fra Pappina) Te lo dicevo! Era un bambino davvero!

Pappina — A  me sembrava  il vento!

Porta — Piangeva sulla soglia.

Pappina — Adesso, però, non piange più. U... e... eh!  (lo tocca).

Porta — E non toccarlo!

Pappina — Che, è tuo?!

Dindon — Chissà da quanto tempo stava piangendo!

Malato — Guardate che occhi!

Pappina — Sfido, a veder tante facce di frati!

Malato — Chissà, piuttosto, da quanto tempo non mangia!

Pappina — Già, la prima cosa da fare, sarebbe di trovare un bel ciuccio!

Dindon — Vallo a trovare in un convento!

Malato — Bisognerebbe trovare chi lo allattasse.

Pappina — Ecco, occorre una balia!  (fa un segno significativo).

Dindon — Sei matto!... Una donna in convento?!

Porta — Non è il caso di dir sconvenienze!

Pappina — Eh, mica possiamo noi, eh!

(Il bimbo ricomincia a piagnucolare).

Dindon — Lui piange, e voi state a chiacchierare...

Porta — Lo vai a fare, 'sto ciuccio?

Pappina — Ma certo, vi faccio vedere io come si fa!   (se ne va).

Malato — E' molto grazioso, guarda com'è paffutello, eh...  cc... cc...

Porta — Non ricominciate a toccarlo.

Dindon — Non è tua proprietà, ch'io sappia!

Porta — L'ho trovato io, per questo!

Malato — Ma è di tutti, ora: ogni cosa in con­vento è comune.

(Qualcuno s'avvicina).

Porta — Sst... sst... ecco il Padre Superiore...

Dindon — E adesso? (a frate Porta) L'hai trova­to tu, tu l'hai portato in convento!

Superiore — Fratelli, che c'è? Chi ha suonato?

Dindon  (alza timido la mano) — Io, Padre...

Porta — Padre, abbiamo... (ad uno sguardo di fra Dindon) ... ho trovato sulla porta un bambino.

Malato — Guardate. Padre... è proprio un amore...

Superiore — Fratello!

Malato — Oh, scusate!

Porta — Potremo tenerlo con noi?

Superiore — Un momento: bisognerà prima sape­re di chi è figlio.

Dindon — Già, deve pure  avere un padre...

Porta — E una madre...

Malato — Però, abbandonare una creatura così...

Dindon — Succede, purtroppo!

Malato — Però, se hanno pensato di sgravarsene...

Superiore — Fratello...

Malato — Oh, scusate; sì, se han voluto liberarsene, lasciandolo qui...

Superiore — Per questo, vedremo.

Malato — E' un peccato, padre...

Superiore — Che cosa, peccato?

Malato — Volevo dire che... sarebbe bello poterlo tenere con  noi!

Superiore — Sarebbe peccato tenerlo, piuttosto; le nostre regole non contemplano che il convento diventi un  asilo...

Dindon — E per bambini lattanti, per giunta...

(Il bimbo si lamenta, a questo punto, e Dindon va verso la cucina).

Dindon — Ci vuol tanto per fabbricare un pezzo di ciuccio?

Pappina (rientra) — Oh, diamine! Mica come tirar la campana come fai tu! Trovare il pezzo di tela, lo zucchero, il filo... ecco, così, su; su... vedrai  com'è buono... cc...  cc...

Porta — Guarda, guarda, come ciuccia...

Malato — Gli piace il dolce, eh! (detto a fra Pap­pina) Bravo!

Dindon — Un secolo... e farlo piangere tanto!

Pappina (con sguardo di ripicco) — Quello che ci voleva! E lui se lo ciuccia, eh... cc...

Porta — Cosa ne faremo, padre, ora?

Malato — Non potremmo proprio tenerlo con noi?

Pappina — Porterebbe un po' d'allegria in convento...

Dindon — Tutti i frati a fare da balia!

Superiore — Ma è la regola che non permette cose del genere!

Pappina — Perché, in quanto a fare da balia (e si dirige a fra Dindon) non tutt'insieme...

Porta — Certo, basterebbe uno per volta.

Pappina — E farai più piano, adesso, nel suonar le campane.

Dindon — Lo so io quello che devo!

Malato — Io per esempio, mentre prego, lo posso cullare.

Porta — A proposito ci vorrebbe una culla.

Malato — Si  può fabbricare...

Dindon — Che bisogno c'è di una culla!

Pappina — Già, tutta la notte (con una smorfia a Dindon, e un dondolio delle braccia!) su e giù!?

Superiore — Fratelli, ma non possiamo tenere il bambino in convento!

Porta — Dobbiamo rimetterlo in mezzo alla strada?

Superiore — Non ho detto questo. Innanzitutto, non dobbiamo affezionarci a questa creatura.

Malato — Ma è stata abbandonata!

Superiore — Appunto, dobbiamo trovare da chi è stata abbandonata.

Porta — Intanto, però, potremmo tenerlo qui, con noi...

Superiore — Per adesso, beh...

Malato — E un'altra cosa possiamo fare pure, col permesso   del  Padre.

Superiore — E cioè?

Malato — Battezzare il bambino.

Superiore — E' la prima cosa da farsi.

Dindon — Finalmente una cosa sensata.

(Via la luce, mentre una musica d'organo in­tervalla; la luce si riaccende in cono dall'alto; i frati sono nel centro attorno a fra Pappina che dondola sulle braccia il piccolo).

Porta — Allora, che nome gli mettiamo?

Dindon — Potremmo  dargli  il  nome  del nostro santo Padre Francesco.

Malato — E perché non dargli il nome del santo di oggi:  San Marcellino.

Pappina — Un bel  nome,  Marcellino!   (coccolandolo) Vedrai, ti piacerà!

Superiore  —  L'idea del  Santo di  oggi  mi  pare buona. E' arrivato il giorno di San Marcellino

e  questo sarà  il   suo  nome,   in  terra  ed  in cielo.

Dindon  —  Chi gli  farà da  padrino?

Pappina — Io che gli ho fatto il ciuccio...

Porta — Io che l'ho trovato.

Superiore — Ogni frate gli farà da padrino e madrina...

Pappina (sottovoce) — Padrino, passi... ma madrina!?

Superiore — E finché resterà in convento ognuno avrà cura di lui...

(La luce si attenua, si ode un bisbiglio di pre­ghiere. Il Superiore indossa una cotta1 e una stola,2 l'organo sale in primo piano, alcuni istanti, poi va in sottofondo).

Superiore — Marcelline, ego te baptizo, in nomi­ne Patris et Filii et Spiritus Sancti.3

Tutti — Amen.

(Il Superiore si toglie la stola e bacia Marcellino in fronte, seguito in ciò da tutti i frati, commossi e compunti).

Malato — Guarda, guarda, come si lecca le labbra!

Dindon — Gli piace il sale,4 eh!

Pappina — Sarà un bambino intelligente.

Porta — Ha degli occhietti così vivi!

Pappina — Bisognerà ora procurare un po' di latte in più.

Malato — Io rinuncio alla mia porzione dì latte.

Pappina — Ecco, potrei mettere un po' meno di latte,  il mattino...

Dindon — Come ce ne fosse, qualche volta, anche l'ombra soltanto!

Pappina — Ci metto quello che passa il convento (con ripicco a Dindon!?)

Superiore — Fratelli. Vi ripeto, non state a pen­sare che noi si possa tenere il bambino Ab­biamo le nostre mansioni e gli impegni in con­vento, e, fuori, la cerca, il ministero. Qui, persuadiamoci, ci vuole una persona che lo possa accudire, una donna, una mamma

Pappina — Possiamo fargli da padre, intanto, vi­sto che...?!?

Superiore — Ma è dell'affetto materno che sentirà il bisogno.

Dindon — Sua madre l'ha abbandonato.

Superiore — Non possiamo giudicare. Piuttosto, quelli di voi che devono andare alla cerca5vedano di informarsi in paese, e all'intorno. Al ritorno, mi riferiranno, e se non riuscire­mo a trovare i genitori lo consegneremo alle autorità del Paese...

Porta — Oh, padre, questo no, diventerebbe il figlio di nessuno.

Dindon — Beh, in fondo...

Malato — No, non è figlio di nessuno, ora è bat­tezzato, è come se fosse nostro figlio, figlio di tutti, figlio stesso della Provvidenza di Dio!

(Via la luce. Il suono dì una campanella e illuminazione dell'esterno, dove è arrivata la guardia che risuona e poi bussa).

Porta — Chi è?

Guardia — Amici, padre, sono José, la guardia municipale.

Porta (ha guardato dallo spioncino) — Un mo­mento, apro subito. Avanti, avanti... E come mai, qui, oggi?  Novità?

Guardia — Eh, no, piuttosto novità da voi, in convento!

Porta — Che novità?

Guardia — Accidenti... (faccia di Porta) Oh... scu­sate! Non v'è nato un bambino in convento?

Porta (fa una faccia brusca) — Nato, nato. Ehi, non scherziamo!

Guardia — Volevo dire: che s'è saputo che alle­vate un bambino in convento.

Porta — Ah! E chi vi ha detto?

Guardia — Mia moglie.

Porta — E come ha fatto a saperlo?

Guardia — Eh, le donne, padre! Non scappa loro nemmeno un amen dei frati!? Una avrà sen­tito, passando,  il piagnucolare del  bimbo.

Porta — Pacifico che, saputo una, lo sa tutto quanto il paese!

Guardia — Volevan sapere da me, che indagassi dove diavolo... (gesto di Porta) Oh, scusate; ma dove l'avete pescato?

Porta — L'ho trovato io, sulla porta che piangeva.

Guardia (finge un dubbio malizioso) — Trovato, proprio?!

Porta — Come sarebbe a dire?

Guardia — Eh, già, i bambini non nascono come i funghi, né li porta la cicogna per i conventi di Spagna...

Porta (con gesto quasi arrabbiato) — Siete una lingua... peggio che...

Guardia — Non vi arrabbiate, padre, sapete che dico per scherzo.

Malato (entra in quel momento) — Olà, il nostro Josè, come mai qui?

Guardia — Ah, ecco, mia moglie mi ha incaricato di portarvi questo involtino!

Porta —- Che cosa è?

Guardia (aprendo il pacchetto) — Certo è roba difficile a trovarsi... nel guardaroba dei frati!

Porta   —  Tacete, ereticaccio!1

Malato — Guarda, guarda, che meraviglia di ro­ba per il nostro bambino...

Guardia — Sentito, eh, vostro? (gesto di risposta del frate).

Porta — Uh!

Guardia — C'è di tutto, padre, un piccolo corredo.

Malato — Bello! Pannolini, fasce, corpetti... mutandine. (è entrato fra Pappina).

Guardia (apposta) — Che parole scandalose dite mai, padre!

Pappina — Senti, senti, chi si scandalizza.

Guardia — In confidenza, ma voi le portate? o no?

Pappina — Che cosa?

Guardia — Eh, sì, le... (gesto di Pappina).

Malato — Non c'è niente da vergognarsi, le por­tava anche il nostro Padre Francesco, che spesso donava anche quelle.

Pappina — E cos'è tutta questa mercanzia?

Guardia — Per il «vostro» bambino!

Pappina — Nostro? Andiamoci piano!

Guardia — D'accordo: per il bambino che avete ospitato in convento.

Porta — Ospitato, sia ben chiaro, non nato, mh!

Guardia — E chi ha detto niente!

Pappina — Ma come v'è saltato in mente?

Guardia — Lo sanno tutti in paese ormai e allora mia moglie mi ha detto: se passi al convento, porta questa roba ai frati, penso non farà loro dispiacere

Malato — Una buona donna, tua moglie; proprio un'idea eccellente

Guardia — Ho pensato anch'io che, certo, un frate che andasse a comprare di questa roba al mercato, non so,  se mi spiego...

Porta — Siete incorreggibile proprio!

Pappina — Piuttosto, dite, non si sa, all'intorno, di chi possa essere il bimbo?

Guardia — Escludo senz'altro che c'entrino i fra­ti... (al gesto) No, adesso lasciamo gli scher­zi; tutti pensano l'abbiano portato da lonta­no, appunto per far perdere le tracce. Sapete, il giorno di mercato vien gente, qui, d'ogni parte, e come si fa! L'avrebbero saputo i sas­si... Certe cose come fare... a nasconderle...

Pappina (senza volerlo fra Pappina accompagna con un gesto significativo!) — Certo, se fosse cosa del paese, immaginiamo!

Guardia — Non mi scandalizzate anche voi, padre!

Porta — Senti chi parla, che ne dice di quelle... da fare tremar le montagne!

Malato — Ma dite, possiamo stare tranquilli che non si troverà la mamma?

Guardia — Posso indagare di più.

Porta — No, no, lasciate stare...

Malato — Anzi, cercate di ignorare, se potete...

Guardia — Come, come?

Pappina — Ecco, vedete, noi frati...

Porta — Vorremmo tenere il bambino.

Malato — Ma il Superiore...

Guardia — Non c'è niente di male.

Porta — Eh, sì, ma le regole non contemplano che i frati debbano allevare bambini in convento...

Guardia — Potrei vederlo un momento?

Malato — Ecco, ma piano, venite in cucina... sstt... eh!  Non è bello, eh!

Guardia (si affacciano in cucina dove fra Dindon culla Marcellino) — Bello davvero!

(Fra Dindon: ss... lo fulmina con gli occhi. Fa per toc­carlo, ma Dindon gli batte sulla mano, e i frati lo trascinano via con dei grandi «ss-sstt»).

Un bel passatempo per voi frati, in fondo!

Pappina — Specialmente la notte!

Guardia — Allora me ne vado, perché devo pren­dere servizio tra poco  (si avviano).

Porta — A proposito, dite, avete sentito nulla nei riguardi del nostro convento?

Guardia — Beh, c'è il Vice sindaco, Pasquale, il maniscalco... mhm...

Pappina — Quel mangiapreti1 arrabbiato?

Guardia — Non potrei parlare veramente...    

Malato — Sempre il chiodo di mandarci via, perché il convento è del comune?

Guardia — Questo, e che so io! Certo è che se diventa  sindaco lui...

Porta — Se c'è qualcosa che non va, avvisateci, mi raccomando...

Malato — Pregheremo per voi.

Guardia — Per l'eretico che sono?

Pappina — Incorreggibile, sempre! Grazie, comunque  della  mercanzia...

Guardia — Dovere per il «vostro» bambino. (Ge­sto di Pappina; intanto pianto di Marcellino)

Pappina — E l'avete anche svegliato.

(E va filato in cucina dove Marcellino è cullato tra le braccia di fra Dindon. Intanto Porta ha ac­compagnato fuori la  guardia).

Pappina — Dai, dai qua, tu non sei buono altro che a far dondolar le campane.

Dindon — Come se, quando lo prendi tu!

Pappina — Ma ci vuol garbo e maniera. (e quello piange).

Dindon — Si vede, si vede!

(Entrano Porta e Malato).

Porta — Non sapete nessuno come si culla un bambino. (e lo prende lui in braccio).

Malato — Vorrà qualche cosa.

Dindon — Io non capisco, non fa che piangere sempre, di notte poi, sembra lo faccia appo­sta; appena ci ritiriamo per dormire... tacche­te, sembra una sveglia!

Porta — Io dico che è ammalato.

Malato — E perché dovrebbe essere malato?

Pappina — Ma se mangia e ciuccia che Dio lo conservi!

Porta — Quando un bambino piange, vuol dire che qualcosa gli duole: se qualcosa gli duole, vuol dire che  e ammalato,  ora lui  piange... ergo...2  è  ammalato!

Malato — Già, è così semplice; la capirebbe an­che un bambino!

(E Marcellino piange davvero).

Dindon — Già, un bambino in fasce... che piange?

 

(Marcellino è  finito in braccio a fra Pappina, che s'accorge della pipì, dalla mano bagnata, si asciuga la mano, ed alla risata dei frati)

Pappina — Beh, chissà quante volte sarà successo anche a voi!

(Dopo il buio e un intervallo con una ninna nanna, le luci si accendono in refettorio e in cucina, dove i frati fanno la spola).

Dindon — Sai dove sono i cucchiai?

Porta — Dovrebbero essere in cucina. (e si spo­sta verso la cucina dov'è Malato). Hai visto dove sono i cucchiai?

Malato       Anch'io sto cercando la mia medicina.

Dindon — E' un po' di tempo che qui in cucina le cose vanno a rovescio, non si trova più niente...

Malato —  Ecco,  qua, la mia medicina...

Porta — Ho trovato, i cucchiai, sono qui... e le scodelle, vediamo...

(Vanno aiutandosi l'un l'al­tro nel preparare il tavolo del refettorio).

Dindon — Ecco, le scodelle... guardate questa, vi sembra pulita?...

Malato — Per carità, non farti sentire.

Dindon — Non dico forse la verità?

Porta — Già, ma poi il Superiore dice: perché le cose non sono fatte a dovere?

Dindon — E' ben quello che dico. Il frate cuci­niere da un po' di tempo fa il comodo suo, e non pensa...

Porta — Già, fa il comodo suo; per esempio, ades­so dorme perché ha vegliato tutta la notte Marcellino.

Dindon — Beh, io non dico...

Malato — Sstt... il Padre Superiore.

(Arriva il Superiore, serio).

Superiore — Manca qualcuno?

(I frati si allargano per coprire il posto vuoto).

Porta — No... non credo.

Superiore — Non manca, per caso, il fratello di cucina?

Malato —  Ah, sì...

Dindon — Non sta troppo  bene, mi pare; vero, fratello?

Malato — Sì, non sta bene, aveva bisogno di un po'  di riposo... ho insistito io, che riposasse, che dormisse ancora un poco!

Superiore — Ho capito. Fratelli, intanto che sia­mo   qui   radunati,   vorrei   parlarvi   un   po'... m'avete capito... ormai è un mese che questo bambino è qui presso di noi.

Porta — E cresce, padre, cresce, a vista d'occhio.

Malato — Merito nostro...

Dindon — Di tutti che...

Superiore — ...che non abbiamo però la precisa missione1 di allevare bambini in convento Ora, la prima indagine non ci ha dato la pos­sibilità di sapere qualcosa sui genitori di Marcellino.

Porta — Meno male.

Malato — Probabilmente, saranno già in cielo.

Dindon — Sono contento!

Superiore — Come?

Dindon — Contento... che siano in cielo!

Superiore — Voi capite, però, cinque frati attorno ad un bambino; i nostri doveri!

Malato — Cercheremo di non trascurarli, padre!

Dindon — Ci aiuteremo... io potrei far qualcosa in cucina...

Superiore — Già  quando il cuciniere ha vegliato tutta la notte per cullare il piccino.

Porta ( tra loro) — Lo sapeva, hai sentito?

Dindon — Mica è stupido, eh!

Malato — Padre, faceva pena, stanotte, e piangeva,  piangeva!...

Dindon — Per questo, sì, di notte — pare impossibile — ci prova un gusto speciale!

Malato — Non so cosa avrei dato perché potesse prendere sonno!

Superiore — Vedete! E' per il nostro bene, e per il suo, che non dovrebbe restare più qui.

Porta — Certo, sostituire la mamma...

Dindon — Scusate, d'accordo, sostituire la mam­ma... ma, una volta ch'è nato... (movimento tra i frati) Beh, è la verità. In questo mese in fondo, siamo bastati noi, un po' per uno...

Superiore — Ma il problema è per quando diven­terà più grande... gli ci vuole una famiglia, una famiglia dove si trovi a suo agio, con degli   altri bambini...

Malato — Oh, padre, a me sembra, con Marcellino, di  tornare di nuovo bambino.

Dindon — Ma, non dice il Vangelo... se non sarete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli?

Superiore — Sì, ma il Vangelo non dice però... se alleverete bambini! Quindi, fratelli, ho deci­so: d'ora in poi, in virtù di santa obbedienza,1vi comando di cercare in paese se qualche famiglia timorata di Dio volesse accoglierlo in casa.

Dindon — E con l'obbedienza ci ha... (fa il segno, come dire,  ... puntini?!?).

Malato — Sst...  (e gli ferma il braccio)

Superiore — E per oggi, basta così! Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo.

Tutti — Così sia.

(E sul «sia» via la luce; che si riaccende all'esterno, dove fra Pappina sta trafficando; arriva Porta).

Pappina — Allora? Hai trovato?

Porta — Fossi matto!

Pappina — Vieni, vieni. Racconta. Da chi sei an­dato?  (entrano in refettorio, si siedono).

Porta — Sono andato da quei due sposini, laggiù in fondo alla vallata. Ho cominciato col dire: «Vi piacerebbe avere un bambino?». Si sono guardati con malizia negli occhi e hanno sorriso. «Magari», ha detto lui. E io: «Ma voi non dovete fare niente». E hanno stralu­nato gli occhi come se avessi detto chissà che eresia!2

Pappina — Pressappoco!

Porta — E io : «Certo, non dovete far niente, perché il bambino c'è già». «C'è già?» dico­no loro. «E di chi si tratta?». Rispondo : «Di quel bambino che abbiamo al convento; però, sapeste: non lascia chiudere un occhio a nes­suno, dobbiamo fare il turno per cullarlo, la notte». E quelli si guardavano interrogandosi con gli occhi. E io a rincarare: E poi... mangia, uh!

Pappina — Dillo a me quanto mangia!

Porta — E continuo: pensate, qualche volta ci tocca  digiunare,  persino.  (controscene di fra Pappina!). E poi strilla, strilla senza posa... e, sì, credo che... che sia... anche ammalato... Beh, forse, malato, no... ma...

Pappina — Posso immaginare la risposta che ti hanno dato... eh! Un bel no!

Porta — E d'altra parte non ho detto neppure una bugia. Piangere... piange.

Pappina (controscene) — M'ha fatto passare l'al­tra notte tutta in bianco! Strillare... strilla, mangiare... si mangia buona parte del latte che il convento prima passava1 per colazione!

(Il Superiore che viene lentamente dal fon­do, con Marcellino in braccio, ha ascoltato).

Superiore — Proprio nemmeno una, di bugie?

Pappina — Oh, padre, datelo a me... (e prende Marcellino in braccio).

Superiore — E allora?

Porta — Niente, padre.

Superiore — Già, ho sentito poco fa...

Porta — Non posso negare che, la risposta, m'ha fatto piacere.

Superiore — Eh, già a sentirvi, infatti...

(In quel momento entra fra Dindon).

Superiore — E voi, avete trovato?

Dindon — Per  trovato,  veramente,  c'era chi lo voleva il bambino.

Porta — Chi?

Dindon — Pasquale, il maniscalco, il vice sindaco...

Pappina — Quello scomunicato?2

Superiore — Ci siete andato apposta, perché sapevate che v'avrebbe detto di no...

Dindon — Ma è successo il contrario di quel che pensavo. Lo voleva,  invece!

Pappina —  Il bambino?

Porta — E tu?

Dindon — S'era cominciato a parlare del più e del meno, mentre stava lavorando; e vedevo che lasciava andare scappellotti a dei ragazzotti che l'aiutavano, mentre sottolineava ogni tanto il discorso con qualche bestemmia. Ad un certo momento, io non ne ho potuto più. e l'ho ripreso. E lui allora è andato su tutte le furie; ed io a dirgli che in presenza di ragazzi non doveva fare così; e lui a bestemmiare sempre di più, e io di ripicco alla fine: e il bambino, allora, non te lo diamo, se è per educarlo a quel modo.

Pappina — Bravissimo!

Dindon — E lui: «bestemmio quanto voglio, hai capito, non sono in convento»; e io: «non si deve bestemmiare e dar cattivo esempio né in convento né fuori» e quello ad infuriarsi, fino a che è uscito fuori in un: «vattene, frate del diavolo», al che io — sapete, se mi toccano! — «sono un frate di Dio e ringrazio che lo sia, perché se no... (e fa il gesto di chi si era tirato su le maniche). Ma poi ho pensato bene...

Pappina — Ah! Se ci fossi stato io... (ha fatto anche lui la controscena).

Superiore — Fratelli! Avete fatto bene, non sa­rebbe stata quella la famiglia in cui Marcellino avrebbe potuto crescere bene... (pausa) Visto così, allora, e dato che sembra non ab­biate avuto molta fortuna nelle vostre ricerche...

Pappina — Allora possiamo tenerlo...

Porta — E' chiaro, nessuno lo vuole...

Dindon — E a chi lo vorrebbe, in coscienza non possiamo darlo.

Pappina (parla con Marcellino) — Hai visto, te ne stai con i tuoi frati: eh, vedete, sta zitto anche lui,  capisce, eh... cc... c...

Superiore — ... visto questo, un altro frate si inte­resserà di trovare una famiglia per Marcellino...

Porta — Come?

Malato — E perché?

Pappina — E chi, scusate?

Superiore — Il vostro Padre Superiore!

Pappina — Siamo fritti!?

(E si tura la bocca, men­tre il Superiore parte, mostrando di non aver sentito! La luce se ne va sulla faccia contrita dei frati, ed una nenia1  intervallata triste; la luce ritorna e trova gli stessi ammosciati2e tristi).

Porta — Chissà, a che ora tornerà il Padre Superiore?

Dindon — Speriamo che, anche lui, non riesca a trovare.

Pappina — Zitti, è qui! (momento teso,3 va a vedere). No, è il fratello anziano!

Malato (entra tutto stanco) — Finalmente!

Pappina — Hai trovato?

Malato — Cercato, sì.

Porta — Dove?

Malato — Lassù, sono salito sulla montagna, a nord del paese.

Dindon — Ma sei matto, tutta quella salita...

Porta — Sei andato... da quel pastore solitario?

Malato — E gli ho spiegato la faccenda.

Dindon — E lui...

Porta — Ti ha detto di no?

Malato — Naturale!

Pappina — Sfido io! Ha ottant'anni!

Malato — Certamente! Volevate che andassi da qualcuno che mi dicesse: sì, prego, s'accomo­di, le prendiamo il bambino, eh! Ho fatto l’obbedienza.

Porta — Un po' addomesticata...

Pappina — E sì, che la tua...

Dindon — Sstt... Sento un passo.  (va a vedere) attenzione, c'è il Padre Superiore.

Pappina — Gesù Santo (si segna), fa che il bambino rimanga.

Superiore (entra lentamente senza lasciar trasparire nulla).

Dindon (sottovoce) — Che faccia ti pare...

Pappina — Non mi sembra troppo...

Porta — (a Dindon) Domandagli tu .

Dindon — Io, mica l'ho trovato io? Tocca a te, semmai!

Porta — Io?

Malato (toglie tutti dall'imbarazzo) — Avete trovato, Padre Reverendo?

Superiore — Certo.

Pappina — Buona notte!?

Dindon — Lo sapevo io!

Superiore — Una famiglia buonissima, la famiglia del mugnaio Vargas.

Porta — E' fatta.

Superiore — La famiglia è ottima... però...

Tutti — Però...

Superiore — Però, il luogo lascia alquanto a desi­derare; il mulino potrebbe essere pericoloso, (controscene descrittive da parte dei frati!) c'è il torrente da una parte, dall'altra i cana­li che portano l'acqua al mulino, e tutti sono a fior di terra... insomma... Marcellino...

Tutti (sospesi come un cuor solo e una voce sola) — ...Marcellino?...

Superiore (si scarica di un peso) — Marcellino rimarrà al convento...

Tutti (scaricando la tensione) — Ah... sia lodato Iddio... meno male... ci ha pensato il Signore.

Dindon — Beh... noi... e il Signore!

Superiore — A meno che...

Tutti (la sospensione li blocca) — ...a meno che?

Superiore — Il Padre Provinciale1 non voglia disporre altrimenti.

Porta — Speriamo di no.

Malato — Tutto sta a come Vostra Riverenza vorrà presentare la cosa.

Pappina — Ci mancherebbe, proprio ora, che comincia a mangiare le prime pappine!

Superiore — E d'ora in poi ogni frate gli farà da padre e da madre...

Pappina — Io gli insegnerò a cucinare.

Porta — Io a coltivare l'orto.

Dindon — Io...

Pappina — Tu, a suonar la campana, che altro vuoi insegnargli!

Superiore — E, a pregare, chi glielo insegnerà?

Malato — Io, padre, se permettete!

(Un lamentio viene in primo piano).

Pappina — Oh, Dio, s'è svegliato.

Dindon — A chi tocca?

Porta — A me.

Pappina (scappando) — Tocca a me, invece.

Superiore — Ed ora, fratelli, che abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere, anche se... con un po' d'indulgenza...

Dindon — Un po' tanta, direi!

Malato — Ce la perdonerà il Signore.

Superiore — Ora preghiamo, fratelli, affinché in mezzo a noi Marcellino cresca nel santo timore di Dio.

(Fra Pappina è venuto in mezzo ai frati con Marcellino in braccio, che se ne sta tutto calmo).

Pappina — Guardate, Padre, sorride; ha capito; e contento, è contento anche lui!

(E la laude francescana dell'inizio sale su in primo piano e conclude solenne sul quadro dei frati che sorridono facendo corona a Marcellino).


I   TEMPO

Storico — Sono passati sette anni (si varierà... secondo l'età del bambino interprete di Marcellino!) dalla decisione dei frati di trattenere Marcellino in convento. Egli si è fatto un ragazzetto buono e vivace, anche se un po' birichino! In paese, intanto Pasquale, il maniscalco, è diventato sindaco, e non ha dimenticato che i frati non avevan voluto dargli Marcellino.

(Si apre il sipario con la casa del sindaco).

Moglie (prepara vino e bicchieri) — Ho preparato qui. Va bene? Quanti verranno?

Pasquale — I due consiglieri anziani. (assaggia) Può andare. Eh, adesso che sono sindaco, pa­recchie cose avran da cambiare, in paese. E prima fra tutte, ci sarà da sistemar la fac­cenda di quei frati che col vecchio sindaco non m'era riuscito.

Moglie — Ma non ti hanno fatto nulla di male.

Pasquale — Male, mhm, male! Non voglio fannulloni in paese!

Moglie — Fanno una vita di sacrificio, di cui non tutti sono capaci...

Pasquale — Gente attiva ci vuole! Cosa rendono, cosa producono in paese costoro?

Moglie — Fanno elemosine, e spesso chi non ha pane, trova sempre qualcosa da loro. E, poi, adesso compiono un'opera di vera carità con quel  bimbo,  riconoscilo!

Pasquale — Già! Ma poteva essere nostro, che non abbiamo avuto bambini; e non l'hanno voluto dare a me, per puntiglio, quei villanzoni.

Moglie — Avranno avute le loro ragioni!

Pasquale — Ragioni, sì, ma ora sono sindaco, e glielo voglio far rimangiare il loro puntiglio!

Moglie — Ma non dire così : non puoi, ora, per un capriccio...

Pasquale — Capriccio? Sloggiare, sloggiare do­vranno dal convento. Sono io il padrone, io, il Sindaco, ora.

Moglie — Pasquale, non farlo; la gente, in paese, in fondo è attaccata alla religione.

Pasquale — La gente! Sono io, la gente... e quei frati... me l'han da pagare le loro ragioni...

(Hanno bussato alla porta).

Moglie (va ad aprire) — Oh, avanti, avanti!

I Consigliere — Permesso?

II Consigliere — Si può?

Moglie — Ma prego, prego.

Pasquale — Avanti, avanti, accomodatevi, senza complimenti.

I  Consigliere — Non vorremmo disturbare!

Moglie — Ma prego!

Pasquale — Eccovi qua, tutto pronto.

II  Consigliere — Era nostro doveroso omaggio.

Moglie — Seggano, seggano pure.  (intanto versa da bere).

Pasquale — Volevo proprio brindare con i miei due consiglieri anziani.

I Consigliere — Ed è un onore essere stati eletti con voi.

Pasquale — Una sola elezione, ed una sola bevuta. Prego. Alla salute!

I Consiglieri — Salute, salute.

Pasquale — A proposito, io non perdo tempo, eh, stavo appunto dicendo a mia moglie che, la prima cosa da fare, in consiglio, sarà la sistemazione del convento, lassù.

I Consigliere — Ah, la vostra idea!

Pasquale — Il vecchio sindaco, ch'è morto, ha trascurato i diritti del Comune, e bisogna procedere prima che la prescrizione1 dia diritto ai frati di diventare padroni.

I Consigliere — Giusto! Il diritto è diritto, certo.

II Consigliere — Ecco, però, mi permetterei di osservare che... non c'è solo l'aspetto giuridi­co,2 c'è anche il lato morale...

Pasquale — Che c'entra la morale, scusate! E poi, la morale è cosiffatta, che noi dobbiamo salvaguardare gli interessi del Comune.

Moglie — Conta anche l'opinione della gente...

II Consigliere — Ci sono fattori morali, religiosi... e direi che...

Pasquale — Che cosa? Che ci ha da vedere, qui, la religione...

Moglie — Ha ragione, ci sono cose...

Pasquale — Cose, ed affari, in cui le donne non devono mettere il naso!

Moglie — Ma, un consiglio!

Pasquale — Per questo ci sono, appunto, i consiglieri. Vai, vai pure...

Moglie — Non vuoi proprio mai sentire ragioni.

Pasquale — Da te, semmai, meno che dagli altri!

Moglie — Scusate!  (è uscita brontolando).

Pasquale — Abbiate pazienza, ma con le donne, se non si è chiari fin dal principio!

I Consigliere — Per me, ha ragione. Gli interessi del Comune sono un conto, e la religione un altro. E poi si tratta di affermare un principio; che poi i frati vadano, o restino, sarà cosa sulla quale si potrà sempre decidere.

Pasquale — E' già deciso: dovranno andare via, al più presto.

II Consigliere — Ma sono un elemento moderatore; la religione anche per chi non crede, è sempre un elemento di pace.

Pasquale — Il benessere lo porteranno delle leggi civili, sociali, non delle preghiere.

I  Consigliere — Le bigotterie3 non sono mai piaciute  a nessuno.

II  Consigliere — La carità non è bigotteria; vedete, per esempio, quanto han fatto per quel trovatello!

Pasquale — Oh, ecco, proprio qui vi volevo! Quel bambino in convento! Con tutti quei frati che gli fanno da balia! Andiamo. C'erano famiglie che l'avrebbero ricevuto il bambino; io, per esempio!

II Consigliere — Non vorrete dirmi che non siano capaci di educarlo, di farne un uomo...

Pasquale — Ma se non lo sono nemmeno loro, uomini.

I  Consigliere — Ne faranno un frate tutt'al più!

Pasquale — Comunque, avete capito come la penso; avremo tempo di parlarne meglio, di que­sto e del resto, poi, in consiglio; allora, grazie della visita.

II  Consigliere — Dovere,4 per carità....

(Il I Consigliere si è già avviato...).

Pasquale (al II Consigliere) — No, voi fermatevi un momento, ho da parlarvi. (Saluta l'altro): arrivederci. (a bassa voce) Vi ricordate di quel denaro che mi dovete? Beh, nel dare il vostro voto per la questione del convento, pensateci!

II Consigliere — Sarebbe un ricatto?

Pasquale — Ricatto, oh, no, voi approverete, o... sapete, sono chiaro abbastanza! E' una que­stione, la mia, personale; sarà un puntiglio, ma voglio spuntarla.

II Consigliere — Ma è anche una questione di coscienza, questa.

Pasquale — Fatela fruttare, se vi riesce.

II Consigliere — Scusate, ma un conto sono gli interessi del Comune, e un conto gli interessi privati, e i ripicchi coi frati!

Pasquale — Poche storie, mi dovete quel denaro, lo sapete; quindi, o approvate con gli altri, o fuori il denaro; pensateci. Sono io, il sindaco! E la politica, da che mondo è mondo, la fa chi comanda!

(Via le luci di botto, stacco musicale lungo, e di nuovo il refettorio; al centro Marcellino, con fra Malato).

Malato — Bene, ripetiamo ancora un'ultima vol­ta: Padre nostro...

Marcellino — Padre nostro...

Malato — Che sei nei cieli...

Marcellino — Che sei nei cieli...

Malato — Sia santificato...                                    

Marcellino — Sia santificato... fra Malato... il cielo... è quello che si vede, su, in alto.

Malato — Sì, tutto quell'azzurro, in alto, lassù.

Marcellino —  E  quando  ci  sono   le  nuvole,  e piove?

Malato — Beh, c'è lo stesso, solo... è più su, più su delle nuvole.

Marcellino — E... dove finisce?

Malato — Non finisce mai!

Marcellino —  E, dovendo  cercare una  persona che è già andata in cielo?

Malato — Beh! Bisogna andare lassù!

Marcellino — Dev'essere bello, no?

Malato  —   E  chi   vorresti   andare  a  cercare  in cielo?

Marcellino — La mia mamma. Mi ha detto fra Pappina che è già in cielo! Mi aiuti, a cercarla?

Malato — Certo, ma quando sarai più grande. E per ora basta... perché vedo... non ce la fai proprio più!

Marcellino — Posso andare un po' a giuocare?

Malato — Sì, ma non fare dispetti, come hai fatto ieri, che hai messo un grillo sotto la scodella di fra Pappina.

Marcellino — E' peccato?

Malato — Sì, e no; comunque, non sta bene.

Marcellino — Ma io lo faccio, così, per giuocare; non c'è mai nessuno, qui; se non giuoco un po' con voi.

Malato — Vai, vai... malandrino!

(Marcellino se ne va verso l'esterno, mentre fra Malato riassetta il refettorio. Uscendo, Marcellino guarda la campanella, appesa nell'interno della porta d'entrata; serve per chi chiama dall'esterno, e per convocare i frati. Marcellino non ha indugi: con un pezzo di panno fascia il batacchio della campana. Po­co dopo Dindon passa in refettorio, e va a tirare la corda della campana, che fa un suo­no fesso. Dindon si ostina).

Malato — Ma che cosa fai?

Dindon — Sto cercando di suonare.

Malato — Fai singhiozzare, non suonare, la campana!

Dindon (s'è accorto, toglie il panno) — Bisogna farla benedire dal Padre Superiore.

Malato — E perché?

Dindon — Ogni tanto, e non solo alla campana, succedono le cose più strane in convento! Ie­ri, ho trovato una rana in cella, e tutto era chiuso... C'è qualche spirito folletto che gira per casa... (ha visto qualcosa). Un momento, mi par di capire chi è...

Malato — Chi?

Dindon — Il folletto?!

(E sottovoce, indica Marcellino che ogni tanto spunta; va piano dietro il pilone che sostiene la campanella; fa bau-bau, e Marcellino, sorpreso, fa un grido e scappa).

Dindon — Ah, brigante matricolato,1 aspetta, che se ti piglio...

Malato (trattiene Dindon) — Lascia stare, porta un po' d'allegria in convento...

Dindon — Allegria, sì! Non mi fa suonare la campana quand'è tempo, e lui magari la suona,

quando tutti stanno beatamente dormendo!! Mhm!!

(Marcellino è tornato piano piano di nascosto, e fa lui a sua volta bau-bau, rincorso dai due frati che si divertono, si scontrano fra loro su questo parapiglia buio, uno stacco gioioso L'azione e la luce si spostano in cucina dove fra Pappina sta sgranocchiando qualcosa, mez­zo dormendo. Marcellino, entrato piano piano, con una piuma gli fa il solletico, e dapprima Pappina scaccia, con la mano nel collo voi capisce, e, facendo lo gnorri,2 si volta e afferra Marcellino, che gli getta le braccia al collo e lo disarma, ridendosela).

Pappina — Malandrino d'un malandrino.

Marcellino — Mi vuoi proprio picchiare?

Pappina — Io? E da quando in qua!

Marcellino — Credevo... vuoi che ti aiuti?

Pappina — A combinare dei guai?

Marcellino — Sono tanto cattivo?

Pappina — No, solo un po'... birichino.

Marcellino — E tu, lo sei stato?

Pappina — Io? Beh...  (accenna col capo) un pochino...

Marcellino — E' ben per questo che noi ci intendiamo!

Pappina — Ehi, andiamoci piano, noi!

Marcellino — E il Padre Superiore?

Pappina — Ah, lui; non so...

Marcellino — Fra Pappina, vanno in cielo i bambini... birichini?

Pappina — Ecco, ci sono birichini buoni... e birichini cattivi...

Marcellino — E io come sono?

Pappina — Mezzo... e mezzo!

Marcellino — Senti, e come si fa per andare in cielo? Ci si va con le scale?

Pappina — Con le scale? Cosa c'entrano le scale?

Marcellino — Come quella che va in soffitta?

Pappina — Ah, no... con quella no, per quella non devi mai salire, te l'ho già detto!

Marcellino — E tu ci sei stato?

Pappina — Dove?

Marcellino — Ma  in cielo!  Di che  stiamo parlando?

Pappina — Ah! No, ma spero di andarci.

Marcellino — E io, ci potrò andare?

Pappina — Certo.

Marcellino — Presto?

Pappina — Sicuro... mhm... cosa mi fai dire?

(Squillo prolungato di campanello, dall'esterno).

Marcellino — Vado a vedere chi è?

Pappina — Lascia, c'è frate Porta.

Marcellino  (va lo stesso) — Già! E se fosse un po' la mia mamma che viene a cercarmi?

(All'esterno è arrivata la Guardia municipale e Marcellino visto frate Porta e la Guardia, sta a guardare, in disparte).

Guardia — Buon giorno, fratello.

Porta — Che c'è? E successo qualcosa?

Guardia — Son corso per avvertirvi che deve venire quassù, al convento, il Sindaco.

Porta — Credevo avesse preso fuoco il paese!

Guardia — In consiglio era tutto infuriato!

Porta — E cosa c'entriamo noi frati?

Guardia — Credo sia per via del convento.

Porta — Del convento? Aspettate, chiamo subito il Padre Superiore...

(Marcellino, che era appostato, si fa vedere).

Guardia — Ehi, tu, hai paura?

Marcellino — Un po'!

Guardia   (tira  fuori  un  fischietto, fa  un  mezzo fischio, e Marcellino si avvicina incuriosito) — Ti piace?

Marcellino (gesto con la testa di sì) — E... a che serve?

Guardia — Per fischiare, quando i ragazzi per strada combinano guai.

Marcellino — Me lo regali?

Guardia — L'ho portato per questo!

Marcellino — Grazie!   (tenta un timido fischio).

Guardia — E non è la prima volta che ti regalo qualcosa!

Marcellino — A me?

Guardia — Certo; quel giacchettino che porti, era del mio bambino.

Marcellino — Davvero! E'... anche lui, birichino?

Guardia — Eh, credo... pressappoco come te.

Marcellino — Allora, me lo porti qualche volta a giuocare quassù?

Guardia — Qualche volta, chissà; ma è tanto distante il convento!

Marcellino — E lui la mamma ce l'ha?

Guardia — Sicuro! E' proprio lei che ti manda sempre qualcosa.

Marcellino — Davvero? Me la fai conoscere? Non l'ho mai vista, una mamma!!

(Arriva qualcuno).

Ecco... Arriva il Padre Superiore... Me la porti, poi, una volta? Ciao.

(Mentre arriva il Superiore, egli fischiettando se ne esce all'esterno).

Superiore — M... bè, avete le lacrime agli occhi...

Guardia — A dir la verità, Marcellino...

Superiore — Ha fatto qualcosa?

Guardia — No, anzi; ma. mi ha fatto una pena; mi domandava della mamma... cioè di mia moglie e del bambino...

Superiore — Eh, lo so, è un grosso problema, e l'ho sempre detto ai frati: ci vuole una famiglia, degli affetti di casa... ma, ora, il guaio è che ci siamo cosi affezionati... Mah, vedre­mo in seguito; ditemi piuttosto...

Guardia — Ecco: m'è sembrato di capire che il sindaco ha delle intenzioni,1 piuttosto bellicose,  nei vostri riguardi...

Superiore — Sempre per il convento?

Guardia — Prende scusa della proprietà del co­mune, su cui avete costruito, dice lui, abusivamente2 il convento.

Superiore — Ma il sindaco, quei sant'uomo che è morto, ce ne aveva dato il permesso...

Guardia — La questione del terreno e del con­vento è una scusa: l'ha saputo, in confidenza, mia moglie dalla moglie del sindaco... Sapete le donne, tra loro! (gesto del Superiore). Gli brucia1 che non gli abbiate voluto dare il bam­bino; si sente offeso, e ora che è sindaco, vuo­le rifarsi! E' un tipo quello che vuoi vincerle tutte, ed ho paura che...

(Un fischiare, poi Marcellino che entra di corsa).

Marcellino — Padre, sta arrivando un uomo grosso, brutto...

Guardia — Accipicchia, se mi trova qui... ora!

Superiore — Niente paura, passate dall'interno del convento, per l'orto; Marcellino, accompagnalo, tu... e grazie tante per l'informazione...

Guardia — Dovere, padre, e io... non ho detto niente!

Superiore — State tranquillo.

Guardia — A rivederla, padre. (Bacia il cordone e poi si avvia con Marcellino).

Marcellino — Glielo dici alla mamma del tuo bambino che io ti ho salvato?

Guardia — Ma certo...

Marcellino — E quando combino qualche guaio, non fischiare, mi raccomando!

(Se ne sono usciti dal fondo del refettorio; in quel mo­mento, viene suonato dall'esterno).

Superiore (apre lui personalmente) — Oh, buon giorno, signor sindaco, e benvenuto quassù Entrate, entrate...

Sindaco — Non so se direte ancora benvenuto, quando...

Superiore — E' sempre benvenuto ciò che dispone il Signore.

Sindaco — Non scomodate quello lassù; perché per certe cose di quaggiù può disporre il Sindaco!

Superiore — Disporre di che?

Sindaco — Che voi dobbiate sloggiare da questo convento.

Superiore — E perché?

Sindaco — Perché, qui, si avrebbe intenzione di farne, forse, chissà... un ricovero... un asilo...

Superiore — Per questo, lo stiamo facendo, anche noi.

Sindaco — Già, con Marcellino, vero? E' un vec­chio conto, Padre mio, un conto da regolare con l'allora vice-sindaco Pasquale.

Superiore — E' già stato tutto regolato; perché, già da allora, s'era deciso di trattenere il bambino in convento.

Sindaco — Ma il vostro frate prima voleva darmelo... e poi me l'ha rifiutato.

Superiore — Avrà avuto le sue buone ragioni, per farlo...

Sindaco — Già, le vostre ragioni... che vorrebbero insinuare che  io...

Superiore — Non insinuo niente!

Sindaco — Potevo allevarlo e mantenerlo in casa mia.

Superiore — Bisogna anche saper educare.

Sindaco — Vorreste dire che io...

Superiore — ... che noi potevamo farlo, con tutto il rispetto, forse meglio di voi!

Sindaco — Non sono abituato ad avere rifiuti, avete capito? E da voi frati, in specie... ora sono sindaco, e vorrei vedere... mi rifiutaste...

Superiore — Che cosa?

Sindaco — Mi rifiutaste ancora il bambino.

Superiore (i frati intanto erano comparsi qua e là nel fondo) — E' proprio così!  (i frati che stanno, in silenzio, assistendo al duello, approvano senza parlare).

Sindaco — Allora, rifiutate definitivamente di darmi Marcellino?

Superiore — Sì, e senza pentimenti.

Sindaco — E potrei  sapere?  Sono un  assassino, un delinquente... sono...

Superiore — Niente di tutto questo, che mi risulti. Siete sindaco, vi dobbiamo come cittadini ubbidienza, ma sul piano educativo e morale — permettete — è un'altra cosa. E poi, lasciatemelo dire chiaro: siete iracondo, ed è la peggior qualità che ci sia per allevare e trattare i bambini; non amate la religione, e questo è importante, tanto quanto il latte materno per loro...

Sindaco — Certo, ci vogliono delle balie asciutte1 come voi per educare...

(Fra Pappina ha un primo gesto, fermato dal Padre Superiore).

Superiore — E non offendete, se non volete essere offeso...

Sindaco — Voglio il bambino, e non m'importa niente, né di voi, né della vostra religione.

Superiore — E il bambino è nostro, e non l'avrai per nessuna ragione del mondo Perché, tu vuoi solamente soddisfare il tuo orgoglio; non vuoi bene al bambino, e non lo alleveresti nel santo timore di Dio; vuoi solo aver ragione e mantenere il puntiglio. Per questo, noi non ti daremo il bambino, neanche se ce lo venissi a strappare con la forza!

Sindaco — E va bene, tenetevi il marmocchio, ma qui, no, parola di sindaco!

Superiore — Parola di frate, qui, o altrove, educheremo noi  il bambino.

Sindaco — Il bambino potete tenervelo, ma né voi, né lui, resterete in questo convento.

Superiore — Resteremo, od andremo, secondo come vorrà il Signore.

Sindaco — Questo sarà da vedersi, fratacci della malora...   (e se ne va sbattendo la porta).

Dindon (d'impeto) — Te la vorrei far vedere io...

Pappina (con un mestolone) — Se diceva ancora una parola, questo aveva da sentire in testa...

Superiore — Fratelli, calma, non sono i nostri improperi2 che potranno impetrarci3 la grazia di restare ancora in questo convento; solo la nostra preghiera potrà far sì, che Dio ci guardi, e protegga. Nel nome del Padre...

Tutti — ... e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Così sia.

(Via luce e stacco musicale).

Donna (sta chiamando fuori scena) — Manuel, Manuel... (e arriva di fronte alla porta del convento, dove Marcellino sta giuocando).

Marcellino — Chi cerchi?

Donna — Un bambino, come te; non è stato qui?

Marcellino — Ne ho visto passare uno poco fa, laggiù. E tu, chi sei?

Donna — La sua mamma.

Marcellino — Una mamma?

Donna — Sì, e perché?

Marcellino — E'... la prima volta che vedo una mamma.

Donna — Come?

Marcellino — Io, la mamma, non ce l'ho.

Donna — E dove abiti?

Marcellino — Qui.

Donna — Qui? E da quanto?

Marcellino — Da sempre. Ma, mi ci trovo bene, sai.

Donna — E il papà?

Marcellino  (triste) — Il papà non ce l'ho!

Donna — Oh, mi dispiace, caro. (e lo accarezza).

Marcellino — Sì, ma ne ho cinque di papà!!

Donna — Come, come...

Marcellino — Sì, tutt'i frati! (voce di fra Pappi­na, che passa magari in distanza, e poi si al­lontana). Vedi, quello è uno: fra Pappina.

Donna — Che bel nome... fra Pappina!

Marcellino — Sì, è il mio papà... di cucina!

Donna — Ah!

Marcellino — Li faccio un po' arrabbiare, ma in fondo, mi pare che, qualche volta, ci godano quasi!

Donna — E tu vuoi bene a tutti?

Marcellino — Sì, a tutti... a fra Malato...

Donna — Fra Malato?

Marcellino — Sì, perché spesso sta male; sai, sono nomi che gli ho dato io, e han finito per chiamarsi fra loro così... ma il più curioso, e il più brontolone, però, è fra Dindon...

Donna — Dindon?

Marcellino — Sì, lo chiamo così, perché...

Donna — E' quello che suona sempre la campana!

Marcellino — Hai indovinato, brava! (pausa, la guarda bene). Sai, che sei bella!

Donna — Grazie del complimento.

Marcellino — E sono così, tutte le mamme?

Donna — Tutte sono belle.

Marcellino — Anche la mia, allora?

Donna — La propria mamma, è, sempre, la piùbella.

Marcellino — Dici davvero?

Donna — Certo, ma ora bisogna che vada...

Marcellino — Aspetta... posso farti una domanda?

Donna — Dimmi, caro.

Marcellino — Manuel, dove l'hai preso?

Donna — E'... è venuto... dal cielo...

Marcellino — E... anch'io, sono venuto dal cielo?

Donna — Beh, anche tu; tutti!

Marcellino — Ed è là, che si ritrovano le mamme?...

Donna — Sì, lassù, tutte le mamme aspettano i loro bambini.

Marcellino — io, allóra, voglio andarci al più presto.

Donna — Beh, quando il Signore vorrà... Ma dove sarà andato, ora, Manuel?

Marcellino — Me lo fai conoscere, poi?

Donna — E perché?

Marcellino — Per giuocare un po' con lui. Sai, con  i  frati!

Donna — Va bene; adesso vado, e se posso, poi, te lo mando.

(Si ode la voce di Pappina).

Marcellino — Senti, è fra Pappina; mi chiama, devo proprio andare... ti chiamano sempre sul più bello!

Donna — Ma tu sei bravo, e vai subito. Fai conto che ti chiamasse la tua  mamma.

Marcellino — Oh, se fosse lei, a chiamarmi davvero!

Donna — E tu, come ti chiami?

Marcellino — Marcellino.

Donna — Che bel nome!

Marcellino — Me l'hanno dato i frati!

Donna — Addio, allora, Marcellino, e sii buono. Ciao. (gli fa una carezza).

Marcellino — Salutano così, le mamme?

Donna — Beh! Non proprio...

Marcellino — E perché non fai come loro?

Donna (quasi si inginocchia e lo abbraccia, e bacia, e lui si stringe, piangendo a lei) — Ciao, Marcellino, sii buono, come la tua mamma vorrebbe. Ma, non piangere, adesso, su!

Marcellino   (subito  sorride) — Così,  sì,  che  mi piace!

Pappina   (esce e  vede   la scena) —  Marcellino...

(Marcellino sì libera e saluta con la mano).

Marcellino — Ciao.

Donna — Addio, Marcellino; buon giorno, padre. Sia lodato Gesù Cristo. (e si ritira rispettosa).

Pappina (mezzo imbronciato) — Sempre sia lodato. Ma chi  è?

Marcellino — Una mamma.

Pappina — E che stava facendo con te?

Marcellino — Mi baciava, come fanno tutte le mamme, no?

Pappina — Bambinate, tu sei un ragazzo ormai.

Marcellino — E te, non ti ha mai baciato tua mamma?

Pappina — Io...  beh...   (gli viene da piangere)

Marcellino — Ma, scusa, perché piangi?

Pappina — Io, piango? (e cerca di inghiottire)

Marcellino — Ho detto qualcosa di male? Lo sapevi tu, che loro ci aspettano?

Pappina — Loro, chi?

Marcellino — Ma. le mamme... che ci aspettano, lassù, in cielo.

Pappina — Si, ma aspettano i bambini...

Marcellino — ... buoni?

Pappina — Già... e non quelli birichini...

Marcellino — Perché? Io...

Pappina (con la mano) — Eh, tu...

Marcellino — Sai che era bello?

Pappina — Cosa?

Marcellino — Quando mi baciava!

Pappina (scrolla le spalle, asciugandosi gli occhi col dorso della mano) — Vai, vai che fra Malato ti aspetta!

(Marcellino è entrato in refettorio e poi, dub­bioso un momento, si dirige verso la scala della soffitta; è già sul secondo, terzo scalino, quando entra fra Pappina).

Pappina — Marcellino, quante volte ti ho detto, e ripetuto, che non devi salire quella scala!

Marcellino — E perché?

Pappina — Perché no!

Marcellino — Ma è solo per giuocare.

Pappina — Ti potresti fare del male. Ci sono degli oggetti pericolosi, lassù... e poi, là, c'è un uomo... un uomo grande e grosso.

Marcellino — Come te?

Pappina (gesto, soprattutto se l'attore è un po' grassottello!) — Come me, sì, e se ti vede...

Marcellino — Che mi fa?

Pappina — Ti porta via...

Marcellino — Dove?

Pappina — Ti  porta via, per sempre...

Marcellino — In cielo?

Pappina — Cosa dici?! Basta; capito? Lassù non devi salire, né per giuocare, né per... e fila via, e non fare sempre tante domande... sc... scc...

 (Gli dà uno sculaccioncello scherzoso, lui si tocca nel sedere, poi fa un bel marameo, e se ne va rincorso da fra Pappina. La luce si è spostata in cucina, dove sono Porta e Dindon).

Dindon — Questo ragazzo sta diventando troppo dispettoso.

Porta — E' l'età.

Dindon — Ma esagera; siamo in un convento di frati.

Porta — Sei pentito che l'abbiamo tenuto?

Dindon — No, ma mette tutto sossopra; nemmeno in cappella si può stare più tranquilli, na­sconde la roba... cambia di posto ogni cosa...

Porta — Ma fa né più, né meno, di quello che facevamo noi, alla sua età!

Dindon — Poi, in cucina, non dovrebbe venire!

 

(Marcellino è entrato, di nascosto, dietro Pap­pina e va a nascondersi dietro i frati; poi pas­sa sotto il tavolo, consenziente fra Pappina che lo ha visto).

Dindon — Fa troppi dispetti; l'altro giorno, quello della campana; ieri ha lasciato andare un paio di rane in cappella...

Pappina — Qua, qua.

(Marcellino si è unito).

Dindon (guarda sospettoso) — C'è poco da fare il verso. Si stava pregando in cappella! Eh, questo, no, si diverta fuori.

Pappina — Fuori non vuoi che vada.

(Marcellino raccoglie il cordone di Dindon e con cura vi lega un barattolino al fondo).

Porta — Ma sono marachelle che i bambini hanno sempre fatto.

Pappina — Voglio vedere, un bambino che stia fermo!

Dindon — D'accordo, cammini, salti, ma non combini dei guai.

Pappina (ha strizzato l'occhio a Marcellino) — Non brontolare sempre.

Porta — Uh! Un po' di movimento in convento... non guasta!

Dindon —Ma c'è modo e modo, e poi per il rispetto dell'abito, eh, dove siamo... (E si alza, ge­stendo)

(Marcellino si caccia ben sotto, e il barattolo viene trascinato per terra dal cordo­ne del fratello, che subito se ne accorge).

Dindon — Ah, birbante, sì, dove sei, dove ti sei cacciato, se ti piglio...

(Sulle matte risate dei due frati che trattengono Dindon, Marcellino riesce a scappare. Via la luce sul refettorio, per passare sull'esterno, dove Marcellino si è messo a giuocare da solo).

Marcellino — Vedi, Manuel, quanta bella roba. E' il mio tesoro, questo, il mio tesoro nasco­sto. Guarda, questa è una zampa di gallina, me l'ha data fra Pappina. Questo, è un bottiglino di medicina... chi mai me l'ha dato? Ah! L'ho preso a fra Malato... ne ha tanti, lui-anche fra Dindon, quello che brontola sem­pre, mi ha dato un pezzo di vetro colorato... guarda che bello, contro sole splende, brilla, come la vetrata nella cappella dei frati... Non ci sei mai stato, Manuel?... ti ci porto, poi... e questi gambi, indovina cosa sono?... Manuel?... sono per acchiappare le lucertole... un'inven­zione di fra Porta...

(Fra Malato viene a cercarlo, gli si siede accanto).

Malato — Ehi! Birbante! Se non ne combini qualcuna, sempre! Adesso vieni qui, faccia­mo un po' di scuola, se no, tu! Oggi dobbiamo imparare un'altra vocale.

Marcellino — E quando le avrò imparate tutte, saprò leggere?

Malato — Beh, quasi.

Marcellino — E potrò scrivere?

Malato — Non è la stessa cosa.

Marcellino — Si può scrivere in cielo?

Malato — E a chi vuoi scrivere, scusa?

Marcellino — Alla mia mamma... tutti mi dicono che è in cielo.

Malato — Benissimo, e allora sta attento...

Marcellino — Me le puoi insegnare subito tutte?

Malato — Cosa?

Marcellino —  Ma... le vocali!

Malato — Eh, no, bisogna andar piano... una per volta... oggi vediamo la o, che è rotonda.

Marcellino — Come la luna?

Malato — Bravo, quando è piena e tonda...

Marcellino — Come la ruota d'un carro?

Malato — Precisamente.

Marcellino — Sai, che ho visto una mamma.

Malato — Cosa?

Marcellino — Là, fuori..., mi è piaciuta, sai!

Malato (lo guarda di traverso per scoprire qualcosa, poi) — Dunque... dicevo: la o è rotonda come la luna.

Marcellino —  Ce  l'abbiamo  tutti una  mamma?

Malato — Certamente, tu, io...

Marcellino — Pure il Padre Superiore?

Malato — Pure lui.

Marcellino (sempre ingenuo, assorto) — E vanno tutte sempre in cielo, le mamme?

Malato — Tutte.

Marcellino — E io, potrei andarci subito a trovare la mia?

Malato — Ci andrai, a suo tempo. (lo vede sem­pre estraneo) Mi pare che, oggi, non ci siamo proprio! Cos'hai sempre per la testa... Mah! Senti, va, va, in cucina a vedere se fra Pappina, ha bisogno di aiuto...

Marcellino — Subito!

(Marcellino passa lento nel refettorio, dove la luce lo accompagna; guarda la scala, si volta bene a vedere se vie­ne nessuno, si avvicina, sale due, tre gradini; in quel momento entrano dalla cucina fra Pappina, e dal fondo frate Porta).

Pappina — Che fai lì?

Marcellino — Nulla.

Pappina — Volevi salire in soffitta?

Marcellino  (crolla le spalle).

Pappina — Quante volte te lo devo ripetere, che non devi salire lassù!

Marcellino — Anche tu. frate Porta, non ci puoi salire.

Porta — Lo proibisce anche a me! (Porta ha preso una sporta) Allora, cosa devo prendere al mercato?

Pappina — Le solite provviste di verdura.

Porta — Tarderò un po', perché il Superiore mi ha detto di passare da quell'ammalato che ha chiesto dei frati...

Marcellino — Vai al mercato, dove ci sono tutti quei giuochi? Mi ci porti?

Pappina (i due frati si guardano) — Eh! Sarebbe un'idea; intanto fai di ogni stanza, qui, un mercato!

Porta — Se però  prometti  poi di  star buono.

Marcellino — Promesso, promesso.

Pappina (faccia dubbiosa) — E non combinare guai anche là, mi raccomando!

Porta — Avvisa tu il Padre Superiore.

Pappina — Ci penso io. (e si siede, mentre quelli si avviano). Staremo, se Dio vuole un poco tranquilli.

(Marcellino torna indietro dopo aver fatto l'occhiolino a frate Porta, sale su uno sgabello e mette tra il collo e il cappuccio a fra Pappina un po' d'acqua. Pappina salta in piedi, e rincorre Marcellino che frate Porta si tira dietro, ridendo anche lui; via le luci, intervallo musicale con musiche da fiera, gio­stre, poi il refettorio dove i frati stanno con­fabulando1 in  refettorio).

Malato — E' tutto il giorno che non vedo Marcellino; dove s'è ficcato?

Pappina — E' andato in paese, al mercato!

Dindon — Ecco, adesso, anche fuori, in paese, lo lasciate andare.

Pappina — Ma è andato in compagnia di frate Porta.

Dindon — Io sono dell'idea che non bisogna mandarlo fuori, così.

Malato — Vorreste tenerlo sempre qui dentro

Dindon — E fatelo uscire.

Pappina — E teniamolo dentro, allora, facciamolo scoppiare qui dentro. I bambini sono come le caldaie bollenti: mettici il coperchio, e tieni­lo fermo, sopra, se puoi... sono un cuoco, eh! Altro che barattoli appesi al cordone.

Dindon — Ma gli potrebbe succedere qualcosa.

Malato — Può succedere dappertutto, qualcosa

Pappina — D'altra parte, bisogna che ci convincia­mo che non potrà sempre stare dentro, con noi; Marcellino è come tutti i bambini; e lui poi! Anche, Manuel, quel bambino che chia­ma sempre... è un compagno che lui si è crea­to... un compagno di... fantasia, così per un bisogno di giuocare, di divertirsi in compa­gnia  di   qualcuno...

Dindon — Per fantasia i bambini ne hanno da vendere, sì, ma io dico, non doveva uscire!

Malato — C'è pure il fratello che lo accompagna.

Dindon — Eh, quello! A tenerlo, in convento, non bastano cinque frati... immaginiamo, al mercato.

Pappina — Non sei capace altro che di vedere nero, nero dovunque; e poi è già grandino, sa arrangiarsi, è furbo.

Dindon — Per questo, dì pure, matricolato!

Pappina — Affari suoi!

(Arriva il Padre Superiore).

Superiore — Fratelli, dov'è Marcellino?

Pappina — Al mercato, col fratello portinaio.

Dindon — Per me, non doveva uscire.

Malato — Mi sembra giusto che lo si porti un po' in giro, che si muova.

Superiore — D'altra parte, qualcuno di voi m'ha detto che Marcellino comincia ad immalinconirsi, che si fa sempre più strano.

Malato — Sembra proprio che cerchi qualcosa... che non riesce a trovare qui.

Pappina — Ma è una compagnia, dei bambini con cui giuocare, saltare.

Dindon — Potresti farlo tu, con lui!

Pappina — E non me ne vergognerei!

Superiore — Calma, fratelli; certo il problema della famiglia torna a farsi importante...

Malato — E se volesse farsi frate?

(Arriva  Porta,   con   Marcellino  sulle  spalle, trafelato).

Porta  —  Mamma  mia, che corsa!

Malato — Che è successo?

Dindon — Ha combinato qualche guaio, sicuro!

Porta (posa Marcellino) — Domanda scusa al Padre Superiore.

Dindon — L'avevo detto che combinava qualcosa!

Marcellino — Domando scusa

Porta — Per quello che hai fatto...

Marcellino —  Chiedo scusa .

Porta — Avanti.

Marcellino — ... per... per... per avere rubato una mela.

Pappina — Ih, per una mela tanta tragedia.

Dindon — E di mele, non ce n'è anche in convento?

Superiore   - Tutto qui?

Porta — Fosse tutto qui, Padre! E' successo il finimondo, tutto il mercato per aria.

Dindon — Lo dicevo io!

Pappina — Il mercato per aria?

Malato — Ma che ha combinato?

Porta — Io, Padre, ero entrato un momento a trovare quel malato in paese... Marcellino do­veva aspettarmi fuori, sulla porta.

Dindon — E tu sei stato buono buono, sulla porta, come un angioletto, vero?

Marcellino — Un ragazzo mi pregò di aiutarlo a spingere un carretto...

Porta — Non dovevi aiutare nessuno, o per lo meno tornare subito!

Marcellino — Ma poi c'erano tante cose nuove, da vedere! (con ingenuità, si accende). Avessi visto, fra Pappina, c'erano dei porcellini con delle code tutte ricce ricce, ch'era un piacere a tirarle!?

Pappina — E' successo, per questo, il finimondo?

Porta — Racconta, racconta pure le tue avventure!

Marcellino (si entusiasma) — Più in là, dopo i porcellini, c'era una bella giostra; avessi visto, fra Malato, che bella...

Dindon — Non divagare, com'è successo il finimondo?

Marcellino — Per una mela!

Superiore — Ma vuoi dire che cosa hai combinato?

Porta — Rispondi al Padre Superiore.

Marcellino — Ma niente, ho combinato... passavo vicino ad un banco... c'erano delle bellissime mele che profumavano tutte, su, come un gran muro inclinato.

Dindon — E allora ti è venuto in mente... no? (fa gesto : rubare!).

Marcellino — Bravo, proprio così, e dicevamo con Manuel...

Superiore — E chi è Manuel? Quel bambino che avevi aiutato...

Marcellino — No, padre, è il mio amico di giuochi; fra Pappina lo conosce.

Pappina — Io?

Marcellino — E anche fra Malato... (gesto vago del frate) ... e allora diciamo tra noi... la prendiamo, o no?

Dindon — E' rubare, quello, non prendere...

Marcellino — Sì, ma una sola; poi avremmo fatto mezza per uno...

Porta (scoppia) — Già una mela sola! Ma la mela era in fondo, e tirata via quella, fu tutto un rovesciarsi di mele in mezzo alla strada; e su­bito: «dai, acchiappa quel monello»; e spin­gi un carretto, urta quell'altro, va all'aria uno steccato, scappano i tori in mezzo al mercato, chi fugge da una parte, chi scappa dall'altra... e su tutto quel finimondo — lo credereste — lui a godersi lo spettacolo, su un palo, e a mangiarsi tranquillamente la mela?

(Sulla tirata finale di Porta, controscena dei frati)

Dindon — Che disastro...

Pappina — Misericordia!

Malato — S'è fatto male nessuno?

Porta — E chi lo sa? Appena m'è riuscito di abbrancarlo, sono scappato con il nostro bell'ar­nese1 in spalla, ed eccoci qua.

Superiore — La cosa è molto grave, Marcellino.

Marcellino — Ma io non credevo, padre...

Superiore — Devi chiedere scusa a tutti i frati, perché questo può essere un grave danno per tutti.

Dindon — Chissà che il sindaco non voglia prenderne pretesto per scacciarci di qui...

Marcellino — Chiedo scusa.

Porta — Di'... non lo farò più.

Marcellino — Non ruberò più mele, al mercato.

Dindon — Né al mercato, né altrove!

Pappina — Beh, adesso non ti accanire, hai capito, non lo farà, vero?

Marcellino — Non ruberò mai più... nessuna mela del mondo. (Scoppia a piangere dirottamen­te e si rifugia in braccio a Pappina).

Pappina — Ma no, su, non piangere. (a Dindon) Anche tu sei tremendo.

Superiore — Portatelo a letto.

Malato — Qua a me, vieni, vieni, Marcellino, su non piangere.

(Malato se lo prende in braccio, esce).

Pappina — Era il caso di piantar su un tribunale d'inquisizione,1 manco avesse ammazzato qualcuno.

Porta — Speriamo non si sia fatto male davvero qualcuno.

Dindon — Io dico solo che, se stava a casa, non avrebbe combinato  i bei  guai.

Pappina — Ma non si potrà eternamente tenerlo legato alla  catena!

Dindon — Ma almeno averlo sempre sotto gli occhi.

Porta — Forse la colpa è mia.

Dindon — Non avresti dovuto portarlo fuori.

Superiore — Fratelli, quello che è successo, oramai è successo... dobbiamo sì rimproverarlo perché impari, ma dobbiamo anche essere comprensivi.

Pappina — Chissà quante ne ha combinate lui...

Dindon — Io?

(Arriva trafelata la guardia municipale, suona).

Porta (va ad aprire) — E' successo qualcosa di grave?

Guardia — Ma, no, state tranquilli, un po' di trambusto, ma poi tutto s'è calmato.

Pappina — Hai visto, tu, che facevi tante storie?

Dindon — Chiamale storie!

Guardia — Lo steccato è stato rimesso, e i tori son potuti  rientrare...

Dindon — Ma dici poco, tutto un branco di tori che passeggia in paese!

Superiore — E' successa, piuttosto, qualche disgrazia?

Guardia — No, tutto s'è potuto arginare,2 solo un po' i mercanti, che hanno protestato col sindaco...

Dindon — Ecco, sarà una buona occasione per farci mandar via.

Superiore — E il Sindaco, che ha detto?

Guardia — Certo, a lui non è parso vero, di inveire3subito contro di voi: che il bambino non sapete tenerlo...

Dindon — L'ho sempre detto... deve star dentro!

Pappina — Mamma mia, una questione di stato,4per un bambino!

Porta — Ma i bambini hanno sempre combinato dei guai!

Superiore — Il Sindaco ha detto qualcosa che potesse alludere5 a...

Guardia (abbassa la voce) — Sentite, ma... mi raccomando.

Dindon — Cosa credete che non sappiamo tenere un segreto?!

Pappina — Come in confessione...

Guardia — Ha chiamato i consiglieri, e continuato a ribattere che voi dovete andar via, il terre­no non è vostro, ma del Comune... che questa del bambino è una prova...

Dindon — Bel risultato, dovremo andarcene per le sue marachelle!

Pappina — Ma che ne sa un bambino...

Guardia — Comunque, non dovete prendervela, perché c'è in seno al consiglio anche l'altro partito, che tiene per voi; e poi, a tutto c'è rimedio, anche a qualche chilo di mele perdute...

Dindon — Già. se tutto finisse li, ma...

Guardia — Se potessi darvi un consiglio, con il dovuto rispetto... (e guarda Pappina, e si in­china, gesto di quello).

Superiore — Dite, dite pure...

Guardia — Perché non c'è da spaventarsi se lui fa la voce grossa, ci sono, come vi dicevo que­gli altri consiglieri che... se si impuntano, non c'è barba di sindaco che possa... Ora, se poteste arrivare a parlare con le mogli, per quella del sindaco ci pensa mia moglie, che ci va, ogni tanto per casa.

Pappina — Che c'entrano le mogli?!

Guardia — Sapete, paroletta oggi, paroletta do­mani, le donne, lo sapete meglio di me... eh!

Pappina — Oh! Noi sappiamo un bel niente!

Guardia — Ve lo dico io, le donne ti fanno fare sempre quello che vogliono loro!

Pappina — Beh... andiamoci piano.

Guardia — Scherzi a parte... regolatevi voi, ché adesso devo andare davvero. (e si avvia).

Superiore — Grazie! Teneteci pure informati piuttosto; farete un'opera buona!

Guardia — Sempre volentieri, per i nostri padri reverendi... e  per il  loro... (vorrebbe dire... figliolo) protetto... monello...  (al gesto di Pappina, scatta, saluta, e se ne va sorridendo).

Superiore — E adesso, Dio ce la mandi buona!

(Nel segno di Croce del Padre Superiore, se­guito dai frati, via la luce; l'azione si sposta all'esterno).

Marcellino (sta giuocando fuori, passa Porta con una zappa) — Posso aiutarti?

Porta — No.

Marcellino — Vuoi che ti porti la zappa?

Porta — T’ho detto di no!

Marcellino — Ti posso accompagnare?

Porta — No, vado solo.

Marcellino — Non mi vuoi, perché sono stato cattivo?

Porta — Certo.

Marcellino — Per la mela?

Porta — Per i guai che hai combinato, rubando una mela.

(Porta se ne va, brusco).

Marcellino — Vedi, Manuel, non mi vuole... dobbiamo averla combinata ben grossa.

(Mentre attraversa il refettorio, si ferma in­terrogativo ai piedi della scala, vorrebbe sali­re, si ritrae, e si dirige in cucina).

Marcellino — Fra Pappina, vuoi che ti aiuti?

Pappina — Non ne ho bisogno.

Marcellino — Perché, fra Pappina?

Pappina — E non voglio che mi chiami così.

Marcellino — Ti ho sempre chiamato così.

Pappina — Devi chiamare i frati con i loro nomi, e non con quelli che hai inventato tu.

Marcellino — Sì... ho capito... ma mi scappa... (pausa) Fra Pappina...

Pappina — Mhm...

Marcellino — Non vuoi proprio che ti aiuti?

Pappina — Adesso no.

Marcellino — E perché?

Pappina — Perché, prima eri un bambino buono.

Marcellino — E adesso non lo sono più?

Pappina — No.

Marcellino — E se ci fosse la mia mamma, credi che mi perdonerebbe... per aver rubato una mela?

Pappina — Io... non so... io non so niente...

Marcellino — Ma a te, la tua mamma, ti avrebbe perdonato?

(Pappina si volta per nascondere la sua emo­zione, e crolla le spalle; però Marcellino ha preso la cosa come un ulteriore gesto di allon­tanamento, e se ne viene via).

Marcellino — Hai sentito, Manuel, non mi vogliono più bene... (passando in refettorio, intanto, dà uno sguardo alla scala e alla soffitta). Oh, senti... e se andassimo in soffitta a divertirci... eh, lassù non ci saranno guai da combinare... Che  dici,   Manuel?  Perché  adesso  è il  momento migliore, poi viene l'inverno, i frati sono sempre per casa... Tentiamo? (e tenta vari gradini). Però,  non capisco  perché  fra Pappina non vuole che salga lassù! Ci de­v'essere qualcosa, chissà! Guardiamo, però, bene, prima... se non viene nessuno. (dà un'oc­chiata bene, ascolta) Togliamoci i sandali, è meglio...

(Mentre sale su, voce di fra Malato).

Malato — Marcellino, Marcellino! (si affaccia in refettorio, mentre Marcellino di botto, im-paurito, si è steso sul pianerottolo, bocconi) Marcellino, è l'ora della lezione! Mhm! Dove si sarà cacciato...  (riesce).

Marcellino (si rialza) — Meno male, ce l'abbia­mo fatta, Manuel... Allora proviamo ad apri­re la porta; (cigolii) ih, queste porte... che fracasso... fermo, avranno sentito? Niente... allora apriamo del tutto, piano... che scuro, guarda, quanta roba... mamma mia, c'è un uomo, scappiamo (corre via). Hai visto c'era un uomo, un uomo grande con le braccia aper­te... aveva ragione fra Pappina... che paura... (Si ferma in refettorio, ansante. A questo pun­to, tutto preso dal suo discorso, non si accor­ge dei tre frati che lo ascoltano dal fondo). Hai visto come ci ha guardato quell'uomo? I suoi occhi, però, sembravano buoni... (sulle controscene dei frati si avvia fuori, mentre questi entrano in refettorio).

Pappina  — Avete sentito? Ha detto:   quell'uomo.

Dindon — Se badiamo a tutto quello che dice: immaginazioni!

Pappina — Prima Manuel, ora un uomo, mah, chi ci capisce!

Porta — Bisognerà starci  un po' attenti, sorvegliarlo di più!

Dindon — E se fosse un po'... (fa il segno di smarrito) eh,  tutto  può darsi!

Pappina  (a Dindon) — E se, invece, fossi tu, un po'!?   (sulla reazione) Tutto può  darsi! No!?

(E se ne vanno, continuando a parlare e ge­stire, mentre l'azione è all'esterno, dove Marcellino sta col suo tesoro, giuocando).

Marcellino — Vieni, Manuel, proviamo a giuocare, a  costruire  una   fortezza...   ecco...  qui  ci vorrebbe, no, non ci trovo più gusto... Sai che però, lassù, ci andrei ancora un po' a curiosare... che ne dici? Al massimo, scappiamo di nuovo, no? (e rientra, risale, parlando). E poi quell'uomo aveva lo  sguardo buono... d'altra parte, se avesse voluto portarci via, come di­ceva  fra   Pappina,  l'avrebbe  già   fatto,   no? Prendiamo questo bastone... non si sa mai... e se si muove... scappiamo!! (cigolìo) Uffa... non si  sente altro che  cigolii  in  questo  conven-to... piano, mi batte il cuore; anche a te? E adesso facciamo un po'  di luce...   (e col bastone apre una finestrola e una luce sopran­naturale illumina  la  stanza, e  il Crocifisso). Niente, non si muove...  com'è grande...  Manuel!   (si avvicina al Cristo!). Sei solo? Non parli mai con nessuno?

(Un organo dolcissimo prepara il parlato del Cristo, che dovrà essere rappresentato dalla luce stessa che viene dall'alto, e investe Marcellino. La voce del Cristo potrà essere regi­strata con un alone, e l'organo sottofondo, as­sieme a quella di Marcellino, che si doppierà agevolmente).

Gesù — Non ti faccio paura?

Marcellino — Oh, no. Come sei magro! Sei malato? Hai fame?

Gesù — Tanta, Marcellino.

Marcellino — Oh! Sai il mio nome?

Gesù — Il tuo, e quello di tutti.

Marcellino — Anche quello di fra Pappina...

Gesù — Di fra Pappina, fra Dindon, frate Porta, fra  Malato...

Marcellino — Ti piacciono i nomi che gli ho dato?

Gesù — Li ha dettati il tuo cuore.

Marcellino — Ma dicono che sono cattivo: eppure cerco, mi sforzo,  di  essere buono.

Gesù  — Bisogna esserlo sempre  di più.

Marcellino — Lo farò; ah, dicevi che avevi fa­me... aspetta, scendo e ti porto qualcosa, vado e torno.

(scende giù sicuro, dall'alto delle scale guarda)

Hai visto, Manuel. poveretto, aveva fame... ecco, qui tutto pronto.

(è entrato in refettorio dove c'è il vane affettato sul tavolo) Prendiamo... una bella fetta di pane... qui, no, nel centro... e poi accostiamo, così non se ne accorgono!  (accosta dalle due parti per nascondere il vuoto).

E se portassimo anche un poco di vino... i frati dicono che è buono... e adesso, Manuel, bisogna che mi aiuti, con tutta questa roba. (Esplora all'intorno): nes­suno? Forza, su; mamma, se mi sorprendono, ora, sarebbe un bel guaio! (risale, spinge la porta). Richiudiamo, così non ci sentono par­lare. (arrivato, porge il pane ed il vino, e li mette ai piedi della Croce, o verso la luce). Ecco, guarda: ti ho portato un po' di pane... è buono, lo fanno i frati... il vino no, ma è buono... Sai, se lo bevono loro!?

Gesù — Grazie, Marcellino.

Marcellino — Oh, niente; dimenticavo di presentarti M...

Gesù — Manuel!?

Marcellino — Conosci anche lui?

Gesù — Certo, io conosco tutti!

Marcellino (incerto e pauroso, ma poi, quasi con speranza) — Ma... allora... tu...

Gesù — Sai chi sono?

Marcellino — Sei Dio.

Gesù — Ed io ti benedico, Marcellino.

Marcellino — Vuoi che ti porti ancora pane, e vino? E' poco, ma...

Gesù — E' il cuore che conta.

Marcellino — Domani, se posso, ritorno.

Gesù — Bene, e, da oggi in poi, tu ti chiamerai: Marcellino, pane e vino.

Marcellino — Marcellino, pane e vino? Che bello, mi piace!

(Voce lontana di fra Pappina che chiama).

Senti, mi chiamano, ora devo andare, fra Pap­pina mi cerca... (è sulla porta, si rivolta). E grazie per il nome... Marcellino, pane e vino, è proprio bello... sai! E domani, di pane e vino, te ne porto di più! (si avvia, giunto sul limitare, si volta). Permetti? (scocca un bacio in direzione del Cristo, saluta con la manina). Ciao! (si tira dietro la porta, e contempora­neamente, veloce, cala il sipario).


II   TEMPO

Storico —   Ormai Marcellino ha trovato un Amico, Colui che nella sua malinconia lo consolerà della mancanza dell'affetto materno. E la sof­fitta diventerà il posto di convegno, cui si appunteranno tutte le sue speranze di poter un giorno, per mezzo del suo amico Gesù, ri­trovare la mamma. Ma la minaccia del sin­daco Pasquale, che vuole sloggiare dal con­vento i frati, è ancora incombente.

(Il sipario si apre sulla casa del Sindaco, dove la moglie sta rassettando; viene bussato).

I Consigliere — E' permesso?

Moglie (apre) — Buon giorno, avanti, avanti.

I  Consigliere — Buon giorno.

II  Consigliere — C'è il signor Sindaco?

Moglie  — No,  ma  dovrebbe  essere  qui,  a  momenti.

I Consigliere — Eravamo venuti  per  parlare... beh, (all'altro) ma forse una parola qui..... con la signora...

II Consigliere — Non so se sappiate qualcosa, a proposito della decisione del Sindaco... per il convento dei frati...

Moglie — Le mogli sono sempre informate, più di quel che si crede!

I   Consigliere  —  Oh,   per  questo,   basta   essere donne!

Moglie — Non è un disonore, dopo tutto!

II  Consigliere — Vorremmo ci aiutaste a convincere vostro marito...

Moglie — Avete sentito, l'altra volta, come...

I Consigliere — S'è intestardito, e il Comune ci farà una brutta figura.

Moglie — Anch'io l'ho capito, ed è da un pezzo che glielo vado dicendo.

I Consigliere — D'altra parte le donne pendono sempre un po' dalla  parte...

Moglie — Della religione? Neppure questo è un disonore! Ma, non eravate proprio voi, l'altra volta, a dar ragione a mio marito...

I  Consigliere — Già, ma sentita, poi, l'opinione in paese, anch'io...

II  Consigliere — Su, non aver paura a dire che... il parere te l'ha fatto cambiare tua moglie...

Moglie — E questo, non è neppure per voi un disonore! Contiamo, eh, contiamo qualcosa... (passi) ma ecco, dev'essere mio marito...

Pasquale (entra deciso) — Oh, buon giorno, eccoci puntuali. Ci  saranno parecchie cose da sistemare stamattina in consiglio. Prego, accomodatevi. Vi ho chiamato a parte, perché volevo sentire... beh, comunicarvi... sì, per la faccenda dei frati, là, che io penso ormai si possa far partire l'ordine.

II Consigliere — Ordine di che?

Pasquale — Beh, di sgombero del convento, al più presto.

I Consigliere — Senza il parere dei consiglieri?

Pasquale — Consiglieri? Ma, scusate, voi prima, non...

I Consigliere — Sì, ma... a ripensarci, e valutando meglio l'opinione  della  gente...

Pasquale — Ah! Vi hanno persuaso... che, scacciare via... quei frati... poverini...

I  Consigliere — Anche mia moglie...

Pasquale — Mh, vostra moglie, bene, bene!

Moglie — Per qualcuno, contano ancora, le mogli!

Pasquale — Contano, ma non in queste faccende!

II   Consigliere  —  D'altronde,   in paese   tutti  la pensano in questa maniera.

Pasquale — In paese comando io, almeno per cinque anni.

Moglie — Pasquale, non si tratta di comandare...

Pasquale — E stai zitta, che anche qui, in casa, comando io, e quando ho deciso una cosa...

Moglie — Non t'impicciare, Pasquale.

Pasquale — Non t'impicciare, tu, piuttosto.

Moglie — Lo dico per il tuo bene, bada che in paese...

Pasquale — Non m'importa di nessuno, e smettila anche tu di parteggiare per quei fannulloni.

Moglie — E' per il bambino.

Pasquale — Proprio qui, ti volevo! E voi pure! Dopo tutto quello che ha combinato al mercato...

I  Consigliere — Ma è un ragazzo...

II  Consigliere — Come si può mettere sotto accusa un bambino...

Moglie — Senti, anche loro...

Pasquale — Il bambino forse no, ma i signori frati,   sì!

Moglie — Almeno, fallo per lui...

Pasquale — Insomma, vuoi piantarla? Questi so­no affari del Comune, e le donne non ci de­vono entrare; e vattene, e lasciaci in pace...

Moglie — Va bene. (s'avvia, brontolando) Ma è un puntiglio, e non sarai tu, a vincerla in que­sta faccenda...

Pasquale — Ma vattene, o...

Moglie — Va bene, me ne vado, sindaco! (e se ne va, sbattendo la porta)

Pasquale — Scusate, ma con le donne, se non si strilla!

I  Consigliere — Io non ho ancora capito bene, se ce l'avete col bambino, o coi frati...

Pasquale — Con tutt'e due, e voglio spuntarla.

II  Consigliere   —   Il  guaio  è...   che  quella  gente lì, spunta anche le armi più affilate!

Pasquale — Con me c'è poco da fare! Comunque, voi sapete come la penso, e vi prego di decidere in merito. E preciso anche che tu (al II Consigliere) ... mi devi quei denari, e se voti contro, entro le ventiquattro ore, devi saldare il debito E tu (al I Consigliere) ... per quel permesso che ti sta tanto a cuore, per la concessione a quel tuo pa­rente... vedremo, se sarà il caso di mettere, o meno, una firma... secondo... mi spiego. E con questo, signori, a presto. E vedremo chi vincerà la partita...

(Via la luce, via il siparietto, e dopo un bre­ve passaggio musicale violento, l'esterno del convento).

Marcellino — Manuel, facciamo un po' alla guer­ra?  Mettiamo  tutti   questi   sgabelli   di   qua, come  una   trincea.  Tu,  Manuel, ti  metti   di qua, io di là... per le armi... vediamo un po', c'erano di quelle patatine... ah, eccole! E se avanza il nemico... pim, pum, pam, lo faccia­mo fuggire... ecco, attenzione, viene qualcuno, sta per arrivare il nemico,tiriamo, forza... dài, il nemico avanza...  colpito, colpito...

Pappina (entra, difendendosi, in avanti, con le mani) — Marcellino, che fai?

Marcellino — Ti arrendi?

Pappina — Mi arrendo, mi arrendo...

Marcellino — Fermo, Manuel, il nemico si arrende.  Facciamo la pace?

Pappina — Ma che pace, che guerra! Quante volte devo dire che la cucina non è un campo di battaglia?

Marcellino— Mi ci vuoi di nuovo, ad aiutarti?

Pappina — E va bene, basta non combini altri guai.

Marcellino — Abbiamo vinto, Manuel! (si sono avviati, Marcellino, si ferma). Vengo subito, devo prima fare una cosa...

Pappina — Hai sempre da fare, da un po' di tempo in qua.

Marcellino — Eh, sì, delle cose importanti!

Pappina — Vai a trovare fra Malato?

Marcellino — Vado... a trovare...   qualcuno...

Pappina — Quell' uomo? Sta attento, eh, non uscire...

Marcellino — Sto dentro, sto dentro, sta tranquillo, non esco.

Pappina — Ma, sbrigati, e poi vieni subito. (e se ne va).

Marcellino — Forza, Manuel... andiamo a portare qualcosa lassù... vediamo se c'è tutto ancora... l'avevo nascosto qui... sotto... ecco. (prende la roba e sale) Tutto calmo, mi pare... (guarda dall'alto della scala) Allora, andiamo. (apre, cigolìo della porta) Sstt... Ecco, ti ho portato ancora del pane e del vino.

Gesù — Grazie, Marcellino.

Marcellino — Hai del sangue sulle mani, e sui piedi. Ti fa male? Posso curarti io, le ferite; sono bravo, sai!

Gesù — Le puoi curare essendo buono, Marcellino.

Marcellino —  E se ti togliessi quei chiodi?

Gesù — Non potrei star più sulla Croce.

Marcellino — Almeno toglierti quella corona di spine.

Gesù — Se è per farti contento.

Marcellino — Ti ha visto così, la tua mamma?

Gesù — E soffrì tanto per questo.

Marcellino —  Era bella?

Gesù — Bella, la più bella di tutte.

Marcellino — E la  vedi?

Gesù — La vedo sempre.

Marcellino — Vedi anche la mia?

Gesù — Anche la tua.

Marcellino — E potrò vederla anch'io?

Gesù — Un giorno, se sarai sempre buono.

(La  voce  di fra Pappina, che chiama: Marcellino!)

 

Marcellino — Oh, mi chiamano... ne parliamo un'altra volta... sai, m'interessa... se no, arrivo in ritardo, ciao...

(E scende di corsa, dopo aver esplorato dall'alto).

Pappina   (entra,  portando un  grande vassoio di castagne) — Se mi aiuti così.

Marcellino — Sono stato puntuale, però!

Pappina  — Silenzio,  mi  raccomando,  oggi  legge fra Dindon, in refettorio.

(I frati in silenzio vengono a prendere posto; Dindon prende il libro dei Fioretti,1 per leggere).

Superiore — Bénedic, Domine, nos et haec tua dona, quae de tua largitate sumus sumpturi. Per Christum Dominum nostrum.2

Tutti — Amen.

Dindon — Iube, Domne, benedicere.3

Superiore — Mensae caelestis faciat nos participes, Rex aeternae gloriae.4

Tutti — Amen.

(Tutti si siedono al loro posto, facendosi  il segno  della  croce).

Dindon — Fioretti del glorioso Santo Francesco e dei suoi frati.

(Fin dall'inizio Marcellino mette in tasca ca­stagne prendendole dal suo piatto, e appena può, anche dal piatto dei frati).

Un giorno Santo Francesco et alcuni frati andavansi limosinando, et all'intorno accattando con la tasca,1 per lo pane, e con un vasello,2 pel vino...

Marcellino — Io mi chiamo: Marcellino pane e vino.

Pappina — Sta zitto. Mangia... e non mettere la roba in tasca.

Dindon (una prima occhiata) — E Santo France­sco con li suoi frati, spesse fiate,3 manducava pane et vino, accattati, ciò facendo sull'esem­pio di Cristo nostro Signore con li discepoli suoi...

Marcellino — Io lo so che anche Gesù, mangia pane e vino!?

Pappina — Mangia, e sta zitto...

Dindon (una seconda occhiata di traverso) — Un altro giorno, poi, un fanciullo, molto puro et innocente, fussi4 ricevuto in convento. Or det­to fanciullo puosesi5 in mente di spiare le vie di Santo Francesco per poter sapere quel­lo che il Santo faceva.

Marcellino — Anche San Francesco voleva bene ai  bambini?

Porta — Se non stai zitto, Marcellino, ti porto fuori!

Dindon (legge, ma sta per scoppiare) — E, il summentovato6fanciullo Santo Francesco che parlava col Cristo, caddesi in terra per metà tramortito...

Marcellino — Ma io, quando parlo con lui, non...

Dindon (si è fermato) — O la smette Marcellino, o io non leggo più una riga!

Superiore — Non disturbare la lettura, su, Marcellino, da bravo!

Marcellino — Legge cose... vere!

Superiore — Lo sai che bisogna far silenzio, durante il pasto dei frati.

Marcellino — Ma io non sono un frate, padre.

Porta — Non rispondere al Superiore.

Marcellino — Scusate, padre.

Superiore — Sta' più attento.

Marcellino — E se mi scappa?

Pappina — Tappa la bocca, così. (e gli tampona la bocca con la sua manona)

Dindon (con faccia cipigliosa) — Posso continuare?

Superiore — Continuate pure.

Dindon — Poi, compiutosi il mistero di quella apparizione e tornando Santo Francesco al luogo suo, trovò il detto fanciullo giacere quasi morto per terra...

Marcellino — Oh... (Pappina per tempo gli ha turata la bocca).

Dindon (un'altra occhiataccia) — Poi Santo Fran­cesco si levò il fanciullo in braccio, e riportollo7 come fa il buon pastore con la sua pe­corella...

Marcellino — Anch'io voglio essere una pecorella...

Porta (visto che Dindon s'è fermato severo) — Basta, vai in castigo...

Marcellino — Perché non mi hai... (fa a Pappina il gesto di tappargli la bocca).

Pappina — Eh, con te, come si fa a...

Marcellino — Mi è proprio scappato...

Porta (prende Marcellino, lo conduce fuori) — Starai qui, in castigo, per tutto il pasto dei frati; così imparerai a non disturbare...

(Intanto che i frati continuano a mangiare, Marcellino si mette a giocherellare con gli oggetti suoi, davanti alla porta d'ingresso).

Marcellino — Hai visto, nemmeno a tavola mi vogliono più... ma, mi scappava... e poi, erano cose che sembravano dette per me... Eh, sì, San Francesco sì, che era un frate davvero! (sta rovistando). Ehi, Manuel, nel tesoro è entrato un brutto bestione... ih, che tenaglie... Signore, chi le ha permesso di entrare... (un urlo). Ahi, ahi, fra Pappina (si mette ad ur­lare e piangere disperatamente)

(I frati si alzano, Pappina parte come un razzo, prende Marcellino e lo porta dentro il refettorio).

Pappina — Santissima Vergine...

Porta (è entrato, dopo aver spiaccicato lo scorpio­ne) — E' uno scorpione.

Malato — La colpa è nostra.

Dindon — Se l'è meritato.

Pappina (inviperito contro Dindon) — E tu taci, se no...

Superiore — Fratello!...

Pappina — Scusate.

Superiore — S'è fatto male?

Porta — Gli scorpioni sono pericolosi a quest'ora di sole alto... c'è un solo rimedio... succhiare subito la ferita... (a Pappina) Tienilo forte. (Succhia e sputa).

Malato — Frate Porta, ma ti puoi avvelenare...

Pappina — (sempre a Dindon) Si fosse avvelenato lui...

Superiore — Fratello!

Porta — Basta non avere ferite in bocca.

Dindon — Poteva capitare a chiunque, anche a noi che andiamo a piedi scalzi...

Pappina — Ma noi possiamo difenderci... un bambino no!

Porta (ha sorbito ancora e sputato) — Mi pare che basti.

Superiore — Sarà meglio applicare sulla ferita qualche po' di verbena1 per togliere il gonfiore.

Pappina  —  Lo porto in cucina.

102

Dindon (ferma Pappina) — Scusami, Marcellino, la colpa è mia.

Pappina — Eccolo, lì, ora, il coccodrillo che piange!...

Marcellino — Vedrai, fra Dindon, non interromperò mai più, te lo giuro...

Pappina — E tu, non giurare, per carità!?...

(Gli altri frati si ritirano verso il fondo; fra Pappina è in cucina con Marcellino).

Marcellino — Sono stato cattivo.

Pappina — Direi! (fascia il piede, mettendovi qual­che intruglio2).

Marcellino — Quello che fra Dindon leggeva... è proprio vero?

Pappina — Sì, ma tanto tempo fa...

Marcellino — Oggi, non possono capitare delle cose... uguali, o pressappoco, ai bambini?

Pappina — Mhm... (gli lascia il piede). E stai fermo, e ora lasciami sparecchiare...

Marcellino — Ti aiuto?

Pappina — No. faccio io, poi ti stanchi.

(Pappina va e viene in cucina, Marcellino, zoppicando si dirige verso la scala, poi sale alcuni gradini; ritorna e prende qualche cosa rimasta sul tavolo; risale, ma sente rumore e si lascia scivolare sulla ringhiera della scala).

Pappina — Santo cielo, che fai?

Marcellino — Niente.

Pappina — Scendi subito, non vedi che ti puoi far male? Non puoi proprio star fermo un momento?!

Marcellino — Tu lo stavi?

Pappina — Cosa?

Marcellino — Fermo, quando eri bambino!

Pappina — Mhm! Ma ti sei fatto male; e poi, ti ho detto che non devi salire per quella scala... lassù  c'è  quell'uomo grande...

Marcellino — Sei  proprio  sicuro?

Pappina — Vai, fila, è l'ora di andare a riposare, e mi raccomando...

(Raccoglie quanto rimasto e va in cucina. Marcellino, viene alla porta, lo vede rigovernare, sale su per la scala).

Marcellino — Aiutami, Manuel, con 'sto piede!... Spingi, spingi anche tu la porta, senti, non scricchiola più... ci ho messo, con la piuma di fra Dindon, l'altro giorno, un po' d'olio! Ciao, ti ho portato un po' di castagne, oggi...

Gesù  — Grazie, Marcellino!

Marcellino — Sono stato in castigo, lo sai?

Gesù — Lo so.

Marcellino — Per colpa di San Francesco!

Gesù _ Solo sua?

Marcellino — Beh, no, un po' anche mia. Anche San Francesco voleva bene ai bambini?

Gesù — Gliel'ho insegnato io.

Marcellino — Lo sai che io ti voglio bene?

Gesù — E quanto?

Marcellino — Tanto, tanto così... (allarga le braccia, si odono tuoni) Senti, tuona. Hai paura tu, dei tuoni?

Gesù — Io no, e tu?

Marcellino — Io sì.

Gesù — Vieni vicino a me, allora.

Marcellino (si avvicina) — Ora non ho paura più! E' proprio bello, sai, stare con te! Li sentono anche la mia mamma e la tua i tuoni? E hanno paura?

Gesù — Dove sono loro non esiste più alcuna paura.

Marcellino — Allora vorrei andarci anch'io! Ma tu hai freddo... non hai niente addosso... aspet­ta...

(Esce a guardare sul pianerottolo, è qua­si buio, lampi solcano la scena, scende, va verso il fondo, ritorna quasi subito con una coperta, proprio mentre fra Pappina esce di cucina, si scontra con lui, al buio).

Pappina — Che fai con quella coperta?

Marcellino — Ho freddo.

Pappina   — Uh! Vai a dormire,  che  tu...

Marcellino — Facevo il lupo nella foresta. (e va fingendo dei rumori e delle voci di lupo).

Pappina — Vai a dormire, tu non me la conti giu­sta.

(E riporta qualcosa in cucina, mentre Marcellino torna indietro, spia, poi va difilato su per la scala).

Marcellino — Forse ce la facciamo... Manuel,  presto, che non rientri fra Pappina... Ti ho portato una coperta.

Gesù — Grazie, sei bravo. Marcellino.

Marcellino — Mica tanto, così almeno dicono i frati. Fa freddo in cielo?

Gesù — Oh, no.

Marcellino — E perché non te ne vai in cielo, allora?

Gesù — Per essere vicino a te.

Marcellino — Anche vicino ai frati?

Gesù — Anche.

Marcellino — Parli pure con loro?

Gesù — Qualche volta; soprattutto se hanno il cuore puro ed innocente come il tuo.

Marcellino — Quante belle cose mi dici..... e il bello è che non posso parlarne coi frati! Sen­ti, io scendo, se no, se fra Pappina mi cerca, domani, ti porto qualcosa di meglio (si avvia) Ah, se vedi mia mamma, salutamela, e anche la tua... glielo dài un bacio... no, due... uno per uno (e lancia due baci con le mani, esce, scende, sta per avviarsi, ancora fra Pappina).

Pappina — Ehi, tu, dove vai?...

Marcellino — A dormire.

Pappina — Dove hai messo la coperta?

Marcellino — Non lo so.

Pappina — Ma se l'avevi poco fa; che misteri sono questi?

Marcellino —  Ho  un  segreto,  no?

Pappina (pensa ad una stravaganza) — L'hai imprestata a Manuel, scommetto...

Marcellino — Ecco... può darsi... aveva tanto freddo... lui!

Pappina — Senti, Marcellino... io ti voglio bene, ma bada che bugie, a me, non devi dirne... riportami la coperta, se no mi arrabbio, e lo dico al padre Superiore... e adesso fila via, se no... te le do... (e fa il gesto, cui Marcellino risponde, scappando, con un marameo; fra Pappina torna in cucina, mentre Marcellino fatto un giro circospetto, ritorna, risale).

Marcellino — Scusa, se sono tornato...

Gesù — Fra Pappina vuole la coperta.

Marcellino — Già e come faccio, io, ora?

Gesù — Riprenditi la coperta, non ho più freddo.

Marcellino (prende la coperta) — Ma se hai freddo, dimmelo, te la porto di nuovo, anche a costo di dire una bugia.

Gesù — Non bisogna mai dire bugie.

Marcellino — Bene, allora vado, se no, stasera....

Gesù — Buona notte, Marcellino, e grazie.

Marcellino — Grazie a te! Sai, mi hai tolto dai guai. Ciao. (e scende giù, va a guardare in cu­cina, e gongolante da a fra Pappina la coperta).

Pappina — Ma che stai combinando, si può sapere?

Marcellino — Ti ho ubbidito, non sei contento?

Pappina — Non hai più freddo?

Marcellino — Non ha più freddo, no!

Pappina — Ma mi vuoi spiegare tutti questi segreti...

Marcellino — Senti, se non fosse un segreto... potrei dirtelo, no?...   ma siccome lo è!? (e ne va via, tutto felice, lasciando fra Pappina con la coperta).

Pappina — Sembra proprio la logica di un frate in convento!

(Sulla battuta, via la luce, passaggio scherzo­so musicale, poi luce all'esterno, donde arri­verà il Sindaco).

Marcellino (sta giuocando) — Manuel, stiamo at­tenti, se c'è qualche altro scorpione... (rovi­sta, poi, d'un tratto) Manuel... ma chi è quel­lo laggiù che viene... ma è il sindaco, sì, il nemico... il nemico dei frati... allora, stavolta guerra davvero; ai posti di combattimento... sei pronto... attento... via... (e lancia una sca­rica di quello che ha a tiro, pallottole, pata-tine, ecc). Ta-ta, tarata...

Sindaco — Ehi, manigoldo, che fai... fermo... (è distante, fuori scena).

Marcellino — Manuel, ancora una scarica, poi scappiamo...

Sindaco (è quasi in scena) — Hai capito, farabut­to che non sei altro, di smetterla? O te la faccio smettere io!...

Marcellino — Scappiamo, scappiamo in conven­to... (entra, e mentre il Sindaco arriva, Marcellino gli sbatte la porta in faccia, si appog­gia ansante alla porta, mentre quello strepito, suona). Andiamo a nasconderci... perché, sta­volta l'abbiamo fatta grossa, davvero!

Sindaco — Ehi, apri, maleducato, apri... (suona a lungo). Aprite, aprite...

Porta   (arriva, tranquillo) — Un momento, eh!...

Dindon (compare) — Che c'è: il finimondo?

Sindaco — Il finimondo lo farò io.

Malato — Non gridate, siamo in clausura.1

Sindaco —  Bella  clausura, dove  si  allevano dei poco di buono!

Pappina — Misurate le parole...

Sindaco — Misuro un bel niente... guardate qui, come sono stato conciato...

Porta  —  Chi,  Marcellino?

Sindaco — Sì, quel diavolo a quattro... ma l'avrà da vedere, anzi, l'avrete tutti...

Malato — Questo è luogo di pace e preghiera.

Sindaco — Ah,  luogo  dove  si   educa   alle  belle maniere... (entra il Superiore), sì!

Superiore — Buon giorno, signor Sindaco... a che dobbiamo l'onore?

Sindaco — Bell'onore,  se la  prima  autorità  del paese   deve   essere   ricevuta   così...   da   quel moccioso...

Superiore — Marcellino? Me ne dispiace, e ve ne chiedo scusa per lui...

Sindaco — Quel moccioso, che non m'avete voluto dare... ed ora vediamo... i bei frutti!

Superiore — Tutti i frati decisero, allora, di non darvi il  bambino...

Dindon — Perché ammesso che sia discolo...

Sindaco — E finirà male...

Pappina — Da voi avrebbe imparato ben peggio...

Sindaco — Ah, sì, da me avrebbe imparato a scatenare quel finimondo al mercato!

Porta — Birichinate...

Dindon — Sempre meglio che imparare a bestemmiare...

Sindaco — Ah, sono io che sono un poco di buono, dunque!...

Superiore — Nessuno vuol dir questo.

Sindaco — Io l'avrei allevato un po' meglio, e gli avrei insegnato un  po' d'educazione, almeno.

Pappina — Quell'educazione con cui trattate noi ora...

Sindaco — Come meritate! Perché, signori miei, se avessi ancora avuto un dubbio, ora è del tutto sparito. Voi dovrete sloggiare, dovrete andarvene, voi e il vostro pupillo, la bella canaglia che avete allevato...

(I frati sono attorno al Superiore, a difesa e corona, approvando).

Malato — Non dovete offenderci così.

Sindaco — Dico la verità.

Pappina — Che farsate,2 perché non vi abbiamo dato il bambino.

Dindon — Metterci in mezzo ad una strada, con un ragazzo...

Sindaco — Peggio per voi, che me l'avete negato.

Porta — E che ti negheremo sempre...

Dindon — Perché su questo siamo tutti d'accordo.

Sindaco — D'accordo, sì, perché siete una massa di fannulloni e mangiapane a tradimento...

Pappina — Ah, brutto, farabutto tu, che non sei altro... (e si avanza, fermato dal Superiore) Ripeti, ripeti ancora...

Superiore — Fratello, non così, per amore del cielo! E voi uscite di qua, fate quello che ave­te da fare... C'è però Qualcuno più forte di voi, e di noi, che saprà difenderci. Ma il bam­bino non l'avrai, anche se dovessimo mendi­care di paese in paese per tutta la vita. Il bambino è nostro, e non un capo di bestiame che possa cambiare padrone, ed ora, fuori... per fortuna, questa è ancora casa di Dio...

Sindaco — Va bene, me ne vado, ma la vedremo, fratacci del diavolo  (e parte furioso).

Pappina (gli va quasi dietro, trattenuto dal Padre Superiore) — Uh, se non fossi un frate, te lo farei vedere io davvero, il diavolo...

Superiore — Fratello... mi raccomando... non bisogna fare  così, eh, altrimenti...

Marcellino (s'era già intrufolato ad ascoltare) — Però, io gliele avrei date...

Malato — Dato cosa..... (Marcellino fa cenno... botte!).

Superiore — Non si deve mai fare così, Marcellino, per nessuna ragione.

Dindon — Può scappare sul momento... ma...

Marcellino — Già, come succede a me!

Pappina (s'inginocchia compunto) — Domando scusa al Padre Superiore, e a tutti del mio com­portamento.

(Il Superiore mette la mano sulla testa di Pappina e lo benedice; nel silenzio che segue, mentre tutti si segnano).

Marcellino (a Pappina sottovoce) — Senti, però, potevi dargliele... poi, domandavi scusa lo stesso!?!

(Tutti i frati hanno sentito, sorridono).

Superiore — Senti, Marcellino, adesso devi fare davvero il bravo ragazzo; hai visto in che guai ci hai messo col Sindaco...

Marcellino — Ma io credevo...

Dindon — Ah, sì, tu credi sempre...

Pappina (con ripicco) — E tu non credi mai niente!

Superiore — Non è per rimproverarti, però, stai più attento... se no, alla fine, saremo costretti a...

Malato — Beh, Padre...

Marcellino — Devo domandare perdono anch'io? (detto a fra Pappina, mentre fa per inginoc­chiarsi; ma questi gli fa segno di volerlo scu­lacciare, e lui... via di corsa!).

Dindon — Non dico che sia cattivo, ma qui bisogna prendere un rimedio!

Porta — La cosa, a mio parere, si fa sempre più preoccupante.

Pappina — Padre, giacché ci siamo, io devo confessare un'altra cosa, in coscienza. E' da parecchio che mi manca roba da mangiare, in refettorio, e in cucina.

Dindon — Pure i ladri ci sono ora, in convento.

Pappina — Io non sono sicuro, ma credo sia Marcellino.

Dindon — Ah, pure a rubare s'è messo; ma bene, non ci mancava che questa!

Malato — Rubare, rubare... son cose di casa, e poi... avrà fame...

Superiore — E che manca?

Pappina — Un giorno pane, un altro castagne... l'altro giorno ha pure presa una coperta... l'ha poi restituita...

Malato — Avrà freddo.

Porta — Certo, s'è fatto un po' misterioso da un po' di tempo in qua.

Malato — Ma giuocherà con Manuel, di fantasia, come fanno tutti i bambini...

Pappina — Ma il più grave è, che qualche volta manca... anche del vino...

Dindon — Del vino... santo cielo... s'ubriaca?!

Porta — Non esagerare, adesso...

Malato — Lo prenderà per darlo a qualcuno...   .

Pappina — Ma a chi? E' questo che vorrei sapere!

Superiore — Santa pace, ma anche voi, stateci un po' attenti!

Pappina — Ho cercato, ma lui, non so come faccia, me la porta via, così... (fa il gesto).

Dindon — Ah, per questo, sotto il naso te la fa sempre!

Porta — Eppure a tavola mangia...

Malato — Beh, io ho notato che a tavola qualche volta, di nascosto, mette in tasca il suo... e quello degli altri!

Pappina — Forse, dovevo dirlo prima...

Dindon — Io direi di chiudere a chiave ogni cosa.

Superiore — A chiave, no, forse...

Dindon — Ma se gli resta tutto a portata di mano...

Superiore — Appunto, lo si potrà sorprendere sul fatto.

Malato — Però, siamo sinceri, con tutto ciò, il ragazzo è migliorato, è più buono.

Dindon — Diciamolo buono, uno che s'è messo a rubare!   (prima reazione di Pappina).

Porta — S'è fatto più ubbidiente...

Dindon — Sì! Un bambino che ruba... del vino!

Pappina — E tu finiscila col tuo brontolare! Per­ché, ecco... non vorrei aver detto che Marcellino...

Malato — Io penso che faccia qualche opera buona, porti tutto a qualche povero, fuori.

Dindon — Dopo quello che ha combinato al mercato, non dovrebbe uscire più fuori...

Pappina (scoppia) — Senti, se non la pianti, col tuo fuori e il tuo dentro...

Superiore — Fratello!

Pappina — Padre, io non voglio dire che sia cattivo...

Dindon — Un santino, sì!?

Pappina — Padre, se non sta zitto... io!

Superiore — Fratelli, andiamo! Ma non vi accorgete che, se fate così, è proprio perché, in fondo, gli volete bene?

(Gesto dei due: sì, quello lì!?).

Pappina — Perché, dicevo, c'è qualcosa di stra­no, di misterioso in lui, qualcosa che non si riesce bene a capire...

Superiore — Sentite, fratelli, stateci attenti, osservatelo, seguitelo, e poi riferitemi, appena saprete qualcosa...

(I frati se ne vanno nelle celle dal fondo; Marcellino potrebbe aver sentito nascosto da qualche parte; entra circo­spetto in scena).

Marcellino — Hai sentito, Manuel... qui le cose si van complicando (va in cucina); eppure lassù, Lui ha fame... dobbiamo portar qualche cosa...

(Mentre sta rovistando, si sente un fru­sciare di corona di rosario dalla finestra; Marcellino finge di fischiettare, disegnando con un dito sulla dispensa, mentre una testa dì frate spunta dalla finestra; poi si ritrae).

Hai visto... ci stanno spiando... ah, ma glielo inse­gno io a spiare così...

(si sposta sotto la finestra, fa un rumore apposta, e quando la testa del frate riappare, lui tutto trionfante)

Cuc­cù... (e la testa sparisce).

Hai visto, Manuel, s'è trovato paura... si credono di farla a noi!!! (sta per prendere qualcosa; si sente venire dal refettorio qualcuno).

Attenzione... viene qualcuno... nascondiamoci qua... no... là, dietro la porta...

 

(Fra Pappina ha aperto adagio la porta, per sorprenderlo, poi avanza piano, pia­no, circospetto, guarda da una parte, dall'al­tra... avanza, e intanto Marcellino gli vien dietro in punta dì piedi, e poi, a bruciapelo)

Bau, bau...

Pappina (fa il soprassalto che si può immaginare!) — Mamma mia che spavento mi hai fatto pigliare!

Marcellino — Ti ho fatto paura?

Pappina — M'ha preso un batticuore.

Marcellino — Già, ma tu volevi farlo prendere a me!

Pappina — Beh, ma che stavi facendo?

Marcellino — Mi hai disturbato.

Pappina — Di', che ti stavo cogliendo sul fatto...

Marcellino — E ti ci ho colto io, invece! Vergogna, spiare la gente!

Pappina -- Spiavo... spiavo un bel  niente

Marcellino — Senti, perché hai detto, prima: mamma mia!

Pappina — E' un'esclamazione, così!

Marcellino — Hai invocato la mamma anche tu.

Pappina  — Beh, lo si fa sempre...

Marcellino — Vuoi dire che la mamma è quella che ti può aiutare  «sempre»?

Pappina — Logico! Ma tu — non divagare — tu cosa cercavi?

Marcellino — Me la dai una fetta di pane?

Pappina — Pane? E per chi?

Marcellino — Se ti  dicessi per me... direi una bugia, e non bisogna dirne...

Pappina — Meno male!

Marcellino  —   E  se non fosse  per  me, me  lo daresti lo stesso?

Pappina — Mbè, non potrei veramente.

Marcellino — E un po' di vino?

Pappina — Ah, quello no, nemmeno a parlarne.

Marcellino — Nemmeno un goccino?

Pappina — Né un goccino, né un goccione.

Marcellino — Fa niente, lui, capisce il buon cuore!

Pappina — Lui, lui  chi?

Marcellino — Un mio amico! E' tanto buono sai!

Pappina — E si può sapere chi è?

Marcellino — Eh, no! Fa parte di quel segreto... che poi ti dirò...

Pappina — E va bene, prendi un po' quello che vuoi.

Marcellino — E vino, proprio niente?

Pappina — Vuoi scherzare?

Marcellino — Pazienza! (prende, e si avvia; ma richiusosi dietro la porta della cucina, gli vie­ne il sospetto di essere spiato, e torna e guar­da dal buco della serratura; anche Pappina è dall'altra parte a guardare; allora mette la bocca e: juh... soffia dentro, e fra Pappina si ritrae, stropicciandosi gli occhi, indispettito).

Hai visto, s'era messo di nuovo a spiarci! Scommetto che il pane me l'ha dato apposta! E adesso bisogna tentar di salire senza...

(ma sente la porta lentissimamente aprirsi, torna indietro, e a bruciapelo, attraverso la fessura che si allarga).

Ti faccio di nuovo spaventare?  (e dall'altra parte fra Pappina chiude indi­spettito, definitivamente).

Proprio ci stanno dando la caccia! (e si avvia lesto; ma sente un passo che viene dal fondo, e fa appena in tempo a tentar di nascondere la fetta che te­neva dietro, fra Malato lo ha visto).

Malato — Dove vai, Marcellino?

Marcellino — Mh... andavo fuori...

Malato — Cosa nascondi, dietro la schiena?

Marcellino — Niente!

Malato — Eh, niente... attenzione alle bugie...

Marcellino  —   Sì,  niente di  male.   (Mostra il pezzo di pane).

Malato — Ah, un pezzo di pane? E dove l'hai... (fa  gesto:  rubato!).

Marcellino — Non l'ho rubato; davvero!

Malato — Marcellino, non si devono dire bugie...

Marcellino — Infatti, l'ha detto anche Lui.

Malato  (inarca le ciglia) — Lui, chi?

Marcellino — Lui... sì...

Malato — Ah, vuoi dire che l'ha detto il Signore?

Marcellino — Eh... hai quasi indovinato?

Malato — Indovinato che cosa?

Marcellino — Che... (cambia il discorso) il pane me l'ha dato fra Pappina.

Malato — Dato, dato proprio? O... (gesto).

Marcellino — Parola.

Malato — E che ne fai? Lo mangi tutto tu?

Marcellino — No, se non bisogna dire bugie!

Malato — Bravo! Lo porti a qualche povero?

Marcellino — Ah, per povero, è povero, se vive in una soffitta....

Malato — Soffitta?

Marcellino — Ed ha una fame! Gli porto tutto quello  che posso...

Malato (gli fa il gesto di: sgraffignare!) — Beh! Se è per fare un'opera buona... ma bada che non se  ne accorgano  i frati.

Marcellino — Non me lo dire... ma mi raccomando, sshh!

(Malato si mette la mano sulla - bocca: sshh! Marcellino va verso la porta esterna, Malato verso la cucina, si voltano per guardarsi, e controllarsi, e insieme fanno il gesto: sshh!! Malato scompare in cucina, e Marcellino è uscito per far perdere le tracce; vede però venire Porta e nasconde il pane nel giubbottino, e scompare verso il giardino. Por­ta attraversa il refettorio e va in cucina, ap­pena chiusa la porta, Marcellino spunta, den­tro, dal fondo del corridoio e va deciso, sem­pre circospetto, verso la scala).

Svelto. Manuel, vediamo di far perdere le tracce... (un passo dal fondo).

Mamma mia, ecco un altro frate... via di corsa…

(e sale su, in fretta, è ar­rivato quasi alla porta della soffitta, ma vi rimane appiccicato, quasi in piedi, sentendo).

Dindon — Marcellino, ma dove s'è cacciato... Marcellino! (I frati entrano nel refettorio, chi da fuori, chi dalla cucina, chi dall'interno e Marcellino lassù si fa piccolissimo).

Avete visto Marcellino?

Pappina — E' uscito poco fa di cucina!

Malato — Io l'ho visto andar fuori.

Dindon — Ma se l'ho visto entrare in refettorio, adesso!

Porta — Ma era in giardino, poco fa!

Superiore (arrivato poco prima, sorridente) — Mi sembra parliate di un fantasma;  non dovete farvi prendere in giro da un bambino, così!

Dindon — Non dovrebbe lui prendersi giuoco di noi, piuttosto.

Superiore — E voi cercate di sorprenderlo, e di essere più furbi di lui.

Dindon — Ma quello ci mette tutti nel sacco!

Superiore — E voi prendetelo sul fatto, se ruba qualcosa...

Malato —  Già  che  rubi...  o  qualcuno  gli  dia... (guarda Pappina).

Pappina —  Beh, se  domanda un pezzo di pane, glielo devo negare?

Dindon — Ah, pure glielo date... noi a cercare di coglierlo con le mani nel sacco, e lui...

Pappina — Io, io... affari miei, per questo! Voleva anche  del vino,  ma  quello no.

Dindon — Avrei voluto vedere...

Pappina  — E  se  gliel'ho  dato, il  pane,  era per vedere dove lo portava, seguire le sue tracce.

Dindon — Le fa lui perdere, a noi, tutti quanti!

Pappina — E se tu non la smetti, ti faccio perdere io...

Superiore — Proprio incorreggibili siete tutt'e due, fratelli! (si chinano e fanno «mea culpa»1 baciando il cordone al Padre Superiore).

Malato — Ve lo dico io che ne fa della roba.

Porta — Sentiamo il segreto.

Malato — La porta ad un povero, in una soffitta.

(A questa battuta Marcellino si lascia cadere pian piano, perduto, lungo la porta e cerca di raggomitolarsi, piccolo piccolo; fra Pappina ha guardato e sentito qualcosa).

Dindon — Andiamo, se non esce mai!

Pappina (ha un pensiero, guardando, per conto suo la soffitta) — Già, proprio perché non esce mai!

Malato — Porterà tutto al suo amico, Manuel.

Porta — O a quell'uomo, di cui l'abbiamo sentito parlare.

Dindon — Ma no, tutte fantasie... immaginazioni!

Pappina   (contento, subito) — Fantasie?!

Superiore — Beh, fratelli, mi pare che questo sia il momento di chiarire ogni cosa. Vedete ora dov'è, e se aveva del pane, cercatelo adesso, scopritelo subito; forse, lo sorprenderete pro­prio sul fatto. Andate, e buona cerca... anzi, buona caccia; il convento non è poi un così gran labirinto!1

 (E tutti si muovono, meno fra Pappina che si sposta sotto il ballatoio, in punta di piedi. Marcellino, credendo che tutti siano andati, si rialza, stendendosi, tutto indolenzito).

Marcellino — Se stavo ancora un po' in quella posizione... hai sentito, eh, buona cerca!... pos­sono aspettare a far buona caccia! Adesso, an­diamo, ci aspetta! (apre la porta, che cigola). Bisogna che prenda ancora un po' d'olio a fra Dindon!

 

(Appena entrato, fra Pappina, sa­le su, svelto, circospetto e si mette ad origliare).

Marcellino — Scusa se non sono venuto subito.

Gesù — Lo so che non ti è facile, Marcellino.

Marcellino — Anche a tavola, vedessi! ogni mos­sa che faccio, tutti gli occhi addosso. Così, oggi, ho portato solo del pane.

Gesù — E' l'intenzione che conta, Marcellino!

Marcellino — E non ti dico i giri per far perdere le tracce.

Gesù — So che tu pensi a me, anche quando non ti riesce di venire a trovarmi.

Marcellino — Mi vedi sempre allora?

Gesù — Certo, sempre.

Marcellino — Anche la mia mamma mi vede?

Gesù — Sì, anche lei.

Marcellino — E la tua?

Gesù _ Pure lei, e quando sei buono, fa il più bel sorriso del mondo.

Marcellino — E che fanno le mamme?

Gesù — Donano, donano sempre; danno tutte se stesse, la vita, la luce ai figli... finché diventano bianche e stanche...

Marcellino — Anche brutte?

Gesù — No, Marcellino... anche bianche e stanche, le mamme, sono sempre la cosa più bella del mondo...

(Dal basso salgono voci, chechiamano: Marcellino, Marcellino).

Marcellino — Peccato... sarà meglio che vada, ora...

(S'incammina, mentre Pappina, che ave-va fatto un gesto di disappunto alle chiama­te, sentendo Marcellino che si muove, scappa via, svelto; intanto Marcellino, arrivato alla porta, si volta, e)

Marcellino — Tu vuoi molto bene alla tua mamma?...

Gesù — Tanto!

Marcellino — E io, alla mia... di più! Ciao! (e apre, scendendo veloce, mentre fra Pappina si è nascosto nel sottoscala). E adesso, Manuel, andiamo a nasconderci sul serio... (en­tra verso l'interno dalla porta di fondo, men­tre fra Malato, Porta e Dindon sono all'e­sterno).

Porta — Hai trovato?

Dindon — Niente, eppure ho girato tutto attorno al convento.

Malato (arrivando) — Beh, avete scoperto qualcosa, voi?

Porta — Macché!

Superiore  (arriva) — Allora?

Malato — Mistero!

Dindon — Sono sicuro, se ne starà nascosto da qualche parte, per divertirsi alle nostre spalle...

Pappina (è rimasto sotto l'impressione del dialo­go che ha udito, e mentre gli altri chiacchie­rano fuori, è salito per qualche gradino su; entrati i frati nel refettorio, scende) — Fra­telli... oh, padre...

(Gli sono tutti attorno, a soggetto1:  «che c'è, dunque?»).

Superiore — Avete trovato?

Pappina — Ho scoperto, dove va Marcellino.

(Ancora tutti a soggetto: «dove?, possibile?!», ecc).

Pappina  (indica la soffitta) — Lassù!

Porta — Lassù?

Dindon — In soffitta?

Malato — Avevo ragione, io.

Superiore — E a far cosa?

Pappina — Oh, padre, ho paura quasi a dirlo...

Dindon — Ne ha combinata qualche altra?

Superiore — Beh, dite, ormai...

Pappina — Porta tutta la roba lassù.

Porta — E a chi?

Malato — Ma lassù non c'è nessuno!...

Pappina — L'ho seguito io, poco fa... e ho visto... tanto che ho persino paura d'aver le traveggole...

Dindon — Quel ragazzo, le dà a tutti,2 mi pare!

Malato — Ma che cosa hai visto?

Pappina — L'ho visto parlare col Crocifisso.

Malato — Col Cristo che sta in soffitta?

Porta — Ma non è possibile, tu scherzi.

Dindon — Fantasie, figuriamoci, adesso!?

Pappina — Che fantasia, l'ho sentita io, la voce.

Superiore — La voce di chi?

Pappina — La voce di Gesù che parlava con Marcellino.

Porta — Oh, Signore Iddio!

Dindon — Ubbie, ci vuol altro!

Pappina — Sì! Ubbie le mie; vi dico che...

Superiore — Volete dire che parlava con lui, Marcellino...

Pappina — Parola, padre. Ed era un dialogo stu­pendo, bellissimo. Proprio come narra il Van­gelo, quando Gesù parlava coi bimbi...

Malato — E' meraviglioso tutto ciò!

Dindon — Adesso non fare l'ispirato1 anche tu!

Porta — Scusa, e perché non può essere vero?

Dindon — Ma andiamo, fantasie!

Pappina — No, no, credetemi!

Dindon — Avrai sognato ad occhi aperti?!

Pappina — Aperti un bel niente! Se non vuoi crederci... peggio per te, ma qui veramente c'è qualcosa... che, non so come dire...

Superiore — Fratelli, forse... sarà suggestione... o qualcosa di vero c'è in tutto questo; del re­sto, Marcellino non è mai stato come gli altri bambini; e forse la sua innocenza ha meri­tato che l'occhio di Dio si posasse su di lui. Comunque adesso, almeno, abbiamo un pun­to, per chiarire tutta quanta questa faccenda. Alcuni di voi seguano Marcellino. Anzi, tra voi siano proprio: fra Pappina che ha visto, e fra Dindon, che non crede... oh, scusate, vi chiamo anch'io con i nomi che vi ha dato Marcellino...

Dindon — Ih, padre, nessuna meraviglia! Ormai è il clima di tutti, qui, in convento !

Superiore — E tutto questo, fratelli, mi sembra ci debba invitare alla preghiera. Può darsi che il Signore lo voglia per il bene di Marcellino; e, chissà, magari per benedire il con­vento e proteggerlo da cattive intenzioni. Co­munque, se qualcosa è avvenuto, o avverrà, sia tutto nel nome, e a lode di Dio.

(E la laude francescana dell'inizio viene in primo piano, mentre la luce dissolve sui frati in preghie­ra. Allo sfumare del canto, in luce irreale, appare Marcellino che vede il refettorio pre­parato, e senza tanti complimenti prende due fette di pane, ed un bicchiere di vino; delle teste, nell'ombra, appaiono e seguono l'azione)

Marcellino — Che silenzio, oggi! E quanta roba Che sia festa, Manuel? Allora, una fetta di pane, no, oggi due (si guarda in giro). E an­che un po' di vino. Anzi, un pochetto di più, se è festa!... Ma mi sembra... che ci sia, oggi, troppa calma... chissà!

 

(E va a guardare, so­spettoso qua e là, mentre i frati si ritirano sempre per tempo; rassicurato Marcellino va alla scala e sale lento, e man mano che sale i frati entrano in luce, e in scena; e quando Marcellino ha varcato la soglia, i frati in punta di piedi, sono saliti e restano in fila sul­la scala, tesi ad ascoltare dalla porta rimasta semiaperta, e donde una luce sciabola2  tutti i visi dei frati, fissi ed estasiati).

Marcellino — Meno male! Sai, ce l'ho fatta an­che oggi! Guarda, ti ho portato anche il vino... pare sia festa...

Gesù — E tu vuoi festeggiarla con me?

Marcellino — Sicuro. Lo sai che mi stanno spiando?

(I frati con controscena si ritraggono).

Gesù — E una volta o l'altra...

Marcellino — Ho paura che non mi lascino più venire davvero!

Gesù — E ti dispiacerebbe?

Marcellino — Certo, scusa; e con chi potrei par­lare così, in confidenza, di tante cose... e di te, della mia mamma, e della tua... e poi, mi dici tante belle cose...

Gesù — Che ti piacerebbe vedere?

Marcellino — Oh, sì.

Gesù — E che cosa, di più?

Marcellino — Il cielo.

Gesù — E non ti piacerebbe diventare come fra Pappina, fra Malato?...

Marcellino — Sì, ma prima... vorrei vedere la mia mamma, e la tua.

Gesù — E restare a giuocare con Manuel?...

Marcellino — Se è per giuocare, sì, mi piacereb­be... C'è, anche in cielo, un giardino dove le mamme accompagnano i loro bambini a giuocare?

Gesù — In cielo c'è tutto, Marcellino. E quando vorresti vederla la tua mamma?

Marcellino — Anche la tua, però!

Gesù — La mia, e la tua.

Marcellino — Stanno sempre insieme?

Gesù — Sempre.

Marcellino — E quando posso vederle?

Gesù — Quando vuoi.

Marcellino — Anche subito, adesso?

Gesù — Ma dovrai dormire.

Marcellino — Ma non ho sonno, ora.

Gesù —  Vieni,  ti addormenterò, io,   Marcellino.

Marcellino — Grazie, Gesù! (pausa). Ti cullava così, la tua mamma?

Gesù — Proprio così; ma dormi ora, dormi.

Marcellino — Che bello, essere cullato da te. Ci pensi al bel bacio che mi darà la mia mamma!...

Gesù — Dormi adesso, dormi.

Marcellino — E quando siamo arrivati... svegliami, mi raccomando!

Gesù — Dormi, Marcellino   dormi  in pace.

Marcellino — Buona notte. Gesù!

(Una musica ha iniziato dolcissima sulle ulti­me battute. Sul crescendo di luce, che illu­mina quasi a scena plastica1 tutti i frati in posizione estatica, un coro vocalizzato conclu­de altissimo e celestiale).

FINE


¬ Prologo: introduzione, episodio che dà origine al dramma.

1  Laude: composizione poetica e musicale di soggetto reli­gioso, in lode di Dio e della sua bontà o di Maria e dei Santi.

2   Francescani:   ordine   religioso   fondato   nel   1215   da   San Francesco  d'Assisi,   il  Poverello,  morto  nel  1226  a  poco  più   di  quarant’anni. Il Papa Onorio III approvò la regola dei France­scani nel 1223.

3   Fra' oppure fra: abbreviazione di  frate, fratello.

1   Cotta: veste bianca, indossata  nelle cerimonie  dai sacer­doti e dai chierici,  più corta del  càmice il  quale  arriva  ai   piedi ed   ha  le  maniche  fino   ai   polsi.

2   Stola: altro paramento sacro, a forma di ampia fascia,  di tessuto pregiato e di vario colore, che i sacerdoti indossano sopra la cotta.

3   E' la formula  del  battesimo in latino:  ora  i sacerdoti la pronunciano nella lingua della rispettiva nazione.

4   Nel  rito  del   battesimo,   il  sacerdote  pone  un  pizzico   di sale   sulle  labbra   del  neonato,  a  significare   che la  mente  e   la parola devono uniformarsi alla sapienza divina.

5   Andare alla cerca: andare a cercare, a domandare l'ele­mosina. I francescani, secondo la volontà di S. Francesco, de­vono vivere della carità dei cristiani, professando la povertà, e ricambiando  con servizi  e  opere  fraterne.

1   Ereticaccio: dispregiativo di eretico, l'uomo che mette In dubbio  e  critica  le verità  cristiane.

1   Mangiapreti: nemico del preti, irreligioso.

2  Ergo: parola latina che significa dunque. La adoperano le persone colte, e spesso gli avvocati, a conclusione di un sottile ragionamento.

1   Missione; incarico sacro o comunque importante.

1   In virtù di santa obbedienza: formula di comando, in uso nelle comunità religiose, dove si fa il voto di obbedire agli ordini dei superiori.

2  Eresia: negazione di una  verità  cristiana;   spesso si  dice però  anche per  errore madornale in qualsiasi campo.

1   Ciò che  il convento  passa,  cioè  fornisce ai frati per il loro sostentamento.

2   Scomunicato: è il cristiano considerato «estraneo alla co­munità dei fedeli» e al quale perciò si nega l'uso dei Sacramenti. Qui significa poco religioso, lontano  dalla Chiesa, malvagio.

1   Nenia: canto monotono, noioso, ripetuto a bassa voce.

2   Ammosciati: resi mosci, mogi mogi, senza forza.

3   Teso: di tensione.

1 Padre Provinciale: il Padre a cui obbediscono tutti i Padri superiori dei Conventi della Provincia: a loro volta i Padri Provinciali ubbidiscono al Padre Superiore Generale di tutti i conventi di un ordine  religioso.

1   Prescrizione: termine di legge, secondo cui una persona diventa padrona di un terreno o di un edificio che ha in uso, se nessun altro lo rivendica nel tempo prescritto.

2   L'aspetto  giuridico: il lato legale  di un latto  o  di  una situazione.

3   Bigotterie:   atteggiamenti  da bigotto;   bigotto è  colui che esagera al punto da sembrare maniaco, in gesti e in parole proprie della religione.

4   Dovere, cioè  era mio  dovere: espressione semplificata  di cortesia e rispetto.

1   Matricolato,  segnato   col  numero,   registrato,  quindi   bri­gante senz'alcun dubbio.

2   Far lo gnorri espressione toscana: far l'ignorante, cascai dalle nuvole, per finzione.

1   Intenzioni bellicose, tutt'altro che amichevoli.

2   Abusivamente, contro la legge, irregolarmente.

1   Gli brucia,cioè ne è stato scottato, l'ha sentita come un'offesa.

1   Balie asciutte: le donne che curano i bambini altrui senza allattarli.

2  Improperi: insulti.

3   Impetrarci: ottenerci.

1   Confabulare: il  chiacchierare di un gruppo di  persone, a voce  bassa, sì che nell'insieme si sente un borbottìo indistinto.

1   Bell'arnese, letteralmente bell'attrezzo; come a dire questobel coso, questo bricconcello.

1   Tribunale d'inquisizione: tribunale ecclesiastico contro le eresie istituito nel 1231 dal pontefice Gregorio IX. Nel linguaggio corrente significa un giudizio molto severo.

2   Arginare: far gli argini ai fiumi e ai torrenti, rinforzare le rive per frenare l'acqua; qui, in senso generale mettere un freno  alla furia  della folla.

3   Inveire: lanciare   insulti.

4   Questione  di  Stato: la  questione  che  riguarda   un'intera Nazione; un fatto  di immense proporzioni.

5   Alludere: fare affermazioni su un argomento, ma in modo velato.

1   Il  libro  dei Fioretti, cioè  «I  Fioretti  di  S. Francesco», opera   in prosa  del   Trecento,  in cui  un ignoto  autore   ha  raccolto   i  fatti  più significativi   del   Poverello   d'Assisi  e   dei   suoi primi seguaci.

2   E' la  preghiera  che  in  tutte  le  comunità   religiosa  —  e una volta anche in tutte le famiglie  cristiane — si  recita a ta­vola   prima   di   prendere   il   cibo.   «Benedici,   o   Signore,   noi   e questi  tuoi  doni di  cui,  per tua bontà,   stiamo per  nutrirci.   Per Cristo, nostro Signore».

3   Segue la benedizione rituale dei cibi: uno dei frati com­mensali invita,  secondo  la formula  latina,   il Padre  superiore   a procedere alla benedizione: «Compiaciti   Padre, di benedire».

4   Il  Superiore  accompagna  il  gesto  di  benedizione  con  la formula: «Il Re d'eterna gloria  ci renda partecipi del  banchetto eterno».

1   Accattando con la tasca: andare alla raccolta delle offerte con la borsa.

2   Vasello.   brocca,  recipiente  per  il  vino.

3   Spesse  fiate:  molte  volte,   spesso.

4   Fussi:  si fu,  cioè,  semplicemente,  fu.

5   Puosesi, si puose: modo antico per si pose.

6   Summentovato: su menzionato,  suddetto.

7   Riportollo:lo riportò.

1   Verbena; pianta erbacea, a cui una volta si attribuiva ca­pacità medicinale, contro le infezioni e le infiammazioni.

2   Intruglio:  sostanze  mescolate, alla   buona,  per  guarire  le ferite.

1   Clausura: la parte interna del convento, normalmente chiusa alle visite di estranei, perché sia meglio conservato il pio raccoglimento dei frati.

2 Farsate:  cose  da  farsa, cioè  da commedia  ridicola.

1   Far «mea culpa»: far capire, con gesti di umiltà, di aver torto e  di pentirsi.

1   Labirinto: parola che deriva dalle più antiche leggende e indica  un  luogo,  un  bosco   o un   edificio,  dove   non  si  riesce  a trovar  via d'uscita.

1   A soggetto: modo di dire teatrale che significa: fare gesti e mosse a volontà. Interpretare la scena a proprio piacere, sì che l'insieme risulti il più spontaneo possibile.

2   Aver  le   traveggole:   scambiare  una   cosa  o   una   persona per  un'altra;  dar  le traveggole:  far  vedere  agli  altri  una  cosa per   un'altra.

1   Far l'ispirato: parlare sotto l'ispirazione  di Dio,  come in estasi.

2   Una  luce  sciabola:  sciabolare  è  l'azione della luce che taglia col suoi raggi, come sciabole, l'oscurità.

1   Scena plastica: scena con le figure umane che sembrano scolpite, immobili.