Marea di settembre

Stampa questo copione

MAREA DI SETTEMBRE

Commedia in tre atti e quattro quadri

Di DAPHNE DU MAURIER

Versione italiana di Ada Salvatore

PERSONAGGI

Stella Martyn

Cherry 

Evan Davies 

Jimmy 

Roberto Nanson

La signora Tucket

Il primo atto si svolgo nella stanza di soggiorno: sono le sei pomeridiane di un giorno d'estate. Il secondo atto ha due quadri: il primo è lo studio, circa due mesi dopo, di pomeriggio; il secondo quadro si svolge nello stesso am­biente, la sera del medesimo giorno. Anche il terzo atto ha due quadri: il primo è la stanza di soggiorno, e siamo al mattino dopo; il secondo è conseguente: stesso ambiente, poche ore dopo


La casa di Stella, in un estuario della Cornovaglia. L'azione si svolge nella stanza di soggiorno della casa e nello studio. La stanza di soggiorno è un ambiente lungo e basso, con pareti a calce di un bianco-crema e pavi­mento di pietra. A sinistra sì vede della roccia naturale, contro la quale è costruita la casa. Caminetto a sinistra, al di là di questo porta che mette in anticamera. In fondo, a sinistra, credenza con liquori ecc. e una scri­vania. In fondo, a destra e a sinistra, piccole finestre che affacciano sul porto; in centro una porta che conduce all'imbarcatoio e con sopra un finestrino a sbarre incrociate, quasi sempre aperto. A destra, a lato della finestra, un piano a mezza coda; dietro a questo una scala che conduce nello studio o soffitta. Accanto al camino un divano e una poltrona. Nella stanza si deve sentire chiaramente l'atmosfera del mare; bisogna rendersi conto che la casa è proprio sul porto e guarda sull'estuario. Sì può sentire, ogni tanto, il rumore di qualche imbarcazione e magari lo sciacquìo dell'acqua quando la marea è alta. E il grido intermittente di qualche gab­biano. Vi sono fiori sulla tavola e sul piano; ma la stanza non ha nulla di eccessivamente femminile o lezioso. Reti da pesca per i crostacei in un angolo; possibilmente qualche impermeabile appeso in prossimità della porta in fondo. In un angolo del divano un cestino da lavoro e qualche indumento da aggiustare, perché la casa appartiene a una donna. Ed è la casa in cui essa è felice. Sono circa le sei di un pomeriggio d'estate. La scena è vuota. Il sole penetra attraverso il finestrino della porta che conduce all'imbarcatoio. In distanza l'ululo di un rimorchiatore del porto.

ATTO PRIMO

(Dall'anticamera entra la signora Tucket. E' grassottella, con un seno abbondante, capelli non troppo ben pettinati, espressione gaia. Grembiule da cucina; porta un cesto con pezzi di legno e canticchia a mezza voce. Mette la legna vicino al fuoco, poi va alla credenza a prendere un vassoio e dei bicchieri. Raddrizza le reti che sono un po' a sghimbescio, poi esce nuovamente da sinistra. In questo mo­mento, dall'imbarcatoio qualcuno fischia e chiama «Stella». Un uomo guarda attraverso l'apertura a sbarre. E' Roberto Nanson, l'amico di famiglia. E' sulla cinquantina ma dimostra di più. Può avere i capelli grigi oppure un'incipiente calvizie. Uno di quegli uomini che sono preziosi nei momenti difficili. Buono, premuroso e fedele; gli manca al­quanto il senso dell'umorismo, non è affatto bril­lante, ma tanto caro e simpatico).

Roberto           - Salve, ehi di casa! Stella? Non c'è nessuno? (Entra, vede il vassoio coi bicchieri. Sor­ride e posa sulla tavola una bottiglia di whisky che aveva sotto il braccio, avvolta in un giornale. Da

 sinistra rientra la signora Tucket) Buona sera, si­gnora Tucket.

La signora Tucket         - Oh, buona sera, signor Nanson. La signora Martyn è uscita da poco per andare in paese a vedere se può trovare del whisky all'albergo del traghetto.

Roberto                         - Avrei potuto risparmiarle la gita, si­gnora Tucket. Mi sono ricordato che ne avevo una bottiglia nascosta nello stipetto del mio battello.

La signora Tucket         - (ammirando) Molto bene. La signora Martyn sarà contentissima. Aveva mez­za bottiglia di gin; ma pare che il signor Davies non beva altro che whisky.

Roberto                         - Hmm. Di questi tempi bisogna con­tentarsi di quello che si trova; e ringraziare Dio quando si trova qualcosa!

La signora Tucket         - Questo è vero. Ma lei sa com'è la signora Martyn. Se il signorino Jimmy o la signorina Cherry chiedono qualsiasi cosa, biso­gna che l'abbiano; e ora sarà lo stesso col signor Davies. Abbiamo messo tutto sottosopra oggi, per far pulizia e preparare ogni cosa. Abbiamo dovuto mettere un altro letto nella camera della signorina e fare una quantità di preparativi. Non che mi dispiaccia lavorare: ho lavorato da quando sono al mondo; non come le donne di questo paese. Il mio povero Tom diceva sempre: « Quando ti metti a fare una cosa, non ti fermi finché non l'hai termi­nata; e fatta con tutte le regole! ».

Roberto                         - Hmm. Certo la signora Martyn deve esservi molto grata per il vostro aiuto; e anche la signorina Cherry... ma dimenticavo che non dob­biamo più chiamarla « signorina Cherry »: ormai è la signora Davies.

La signora Tucket         - Signora Davies. Ci vorrà un po' di tempo per abituarsi.

Roberto                         - Immagino che la signora Martyn sia molto agitata, vero?

La signora Tucket         - Si figuri! Parla già di ni­potini e di una nuova ala della casa che vuol far costruire fra la cucina e il garage. Non si può cre­dere! Ha visto come ha trasformato la soffitta?

Roberto                         - No. Che ha fatto?

La signora Tucket         -Ne ha fatto uno studio per il signor Davies. Tutto in due giorni! Non si riconoscerebbe più. Ha dipinto lei stessa le pareti. Si ricorda, vero? Era una specie di legnaia dove il signorino Jimmy andava a giocare nelle giornate di pioggia.

Roberto                         - Sarà meglio che aspetti di essere in­vitato dal signor Davies.

La signora Tucket         - (prendendo i giornali dalla tavola) C'è tutta una colonna per lui oggi nel « Corriere del Mattino ». Con la sua fotografia. L'ha vista? (Gli mostra il giornale).

Roberto                         - Sì, l'ho vista al Circolo.

La signora Tucket         -Pare che sia proprio un uomo celebre, no? Dicono che ha dei quadri nella Galleria Leicester, vicino al cinema Odeon. Li ha visti lei?

Roberto                         - No, mai.

La signora Tucket         - (ridendo, mentre piega il gior­nale) Già, lei s'intende più di battelli, non è vero? Be', è una bella cosa che la signorina Cherry si sia sposata; ed è bello per la sua mamma averla nuovamente a casa. Sa che cosa mi ha detto la signora Martyn?

Roberto                         - Che cosa?

La signora Tucket         -Oh, signora Tucket, mi ha detto - ma è stato dopo che la signorina Cher­ry aveva telefonato per dire che erano stati allo Stato Civile - sono tanto felice per la signorina Cherry; ma avrei preferito che fosse venuta a casa prima e che si fosse fatto qui un bel matrimonio, come usava una volta!

Roberto                         - Poche probabilità di fare le cose come si usavano una volta, con una ragazza come la si­gnorina Cherry per figlia e un artista per genero!

                                      - (Si nota una vaga disapprovazione per quel matri­monio).

La signora Tucket         -Credo anch'io. La signo­rina Cherry ha sempre voluto far tutto a modo suo. Andarsene a stare a Londra da sola, per dipingere, come ha fatto da un anno... Chi sa che cosa poteva succederle! Dev'essere stato l'aver fatto l'ausiliaria durante la guerra che l'ha resa così irrequieta. Io l'ho sempre detto; ma la signora Martyn non vuole che si dica neanche una parola contro sua figlia.

Roberto                         - Viziata. Questo è stato il malc. sem­pre. E lo stesso anche per il fratello. Ma forse, il servizio militare in marina lo raddrizzerà, il ragaz­zo. La madre è stata troppo buona per tutti-e due, sempre, fin da quando morì il padre. Non ha mai pensato a se stessa, in tanti anni. Soltanto a loro.

La signora Tucket         -Verissimo, signor Nanson. No, l'ho sempre detto: non ce n'è un'altra come la signora Martyn. (Una pausa).

Roberto                         - Be'... immagino che a momenti saran­no qui. (Va verso la porta in fondo e guarda fuori facendosi solecchio con la mano) Vedo il traghetto che sta attraversando proprio adesso; e c'è una che mi sembra proprio la signorina Cherry.

La signora Tucket         - (gli va vicino per guardare) Sì, sì, sono loro. Per una volta tanto il treno dev'essere arrivato in orario. Alla stazione ci hanno detto che quello di stamattina ha fatto un'ora di ritardo. Oh, la signora Martyn sarà spiacentissima di non essersi trovata qui a riceverli! (Si affaccenda senza motivo).

Roberto                         - Se fossi in voi andrei in paese...

La signora Tucket         -Credo anch'io che sia meglio.

Roberto                         - ... per avvertirla che la coppia felice sta per piombarle addosso.

La signora Tucket         -Lei non rimane, signor Nanson?

Roberto                         - Fossi matto! (Esce dal fondo. Si ferma sulla soglia) Verrò più tardi, quando saranno siste­mati e il ghiaccio sarà rotto. Del resto, debbo andare a mettere a letto il mio battello. Buona sera, signora Tucket. (Esce).

La signora Tucket         -Buona sera. (Dopo una rapida occhiata attorno, esce a sinistra. La scena ri­mane vuota. I gabbiani gridano. Si sente fuori una giovanile voce di donna eccitata che ride).

Evan                              - (d. d.) Che diamine significa questa stu­pida imitazione nautica?

Cherry                           - (d. d.) Macché imitazione! E' auten­tica. E' una vera campana di bordo che abbiamo staccato da una goletta che venne a fracassarsi nel fiume; e da allora l'abbiamo sempre adoperata come campanello della porta. Mamma! Dove sei? (Cher­ry entra da sinistra. Circa ventitré anni; graziosa, con riccioli corti come un ragazzo; in lutto l'insieme ha qualche cosa del maschietto. Indossa un abito tur­chino chiaro e non porta cappello) Mamma? Mam­ma? (Si guarda attorno; poi chiama verso la porta) Vieni, Evan! La mamma non c'è. Si sarà dimenti­cata che dovevamo arrivare... Oh, lettere... (Si volta ridendo verso Evan che entra. Evan ha circa trentotto anni; ma spesso sembra più giovine. Un viso sensibile, vigile, che non passa inosser­vato. Rimane immobile sulla soglia, guardando la stanza. Cherry si è avvicinata alla tavola dove sono le lettere e le scorre) Signora Davies... signora Davies... signora Davies... Perché una cosa tanto semplice come un matrimonio esalta tanto gli ami­ci? Impossibile rispondere a tutti... E d'altronde, non saprei che dire... Oh, whisky; che bellezza, Evan! Non c'è che mamma per ricordarsi... (Si vol­ta a guardarlo) Che hai?

Evan                              - Questa stanza... l'avevi descritta molto male.

Cherry                           - Davvero? Sei deluso?

Evan                              - Dio mio, no... (Si guarda attorno) E' per­fetta. Il tipo di stanza che ho sempre desiderato.

Cherry                           - (felice) Ma te l'avevo detto che era deliziosa! Non ascolti mai quello che dico. Certo immaginavi che fosse un'orribile villetta delle so­lite, con l'asta per la bandiera in mezzo al giardino e le felci in anticamera. (Va al finestrino e guarda fuori) Non puoi immaginare che gioia sia l'essere di nuovo a casa... (Fa un cenno di saluto col braccio) Chei... Roberto?... Chei... (Volge la testa verso Evan ridendo felice) E' Roberto che se ne va. Il fedele amico e corteggiatore di mamma; sta spingendo il suo battello contro corrente. Non ho mai potuto capire a chi vuole più bene: al suo battello o alla mamma. (Grida) Roberto!... Come va? Venite a bere qualcosa!

Evan                              - Oh, per l'amor di Dio... Non cominciare coi ricevimenti. Ne ho già abbastanza di dover scontrare mia suocera!

Cherry                           - Roberto, non è un ricevimento; e do­vrai pur conoscerlo, una volta o l'altra. Dirige tutto in paese: dall'Ospedale ai Ragazzi esploratori. E' leggermente pretenzioso, ma a parte questo, è un tesoro. Quanto alla mamma, ti ho detto mille volte che è la creatura più semplice del mondo... Piace­vole e cordiale come una buona tazza di tè.

Evan                              - A me il tè non piace. Lo detesto. (Va alla tavola e prende la bottiglia del whisky). Cherry          - Come vedi, però, si è ricordata del tuo whisky. Questo è un buon punto a suo vantaggio. Mamma non dimentica mai niente. Io prenderò un po' di gin. (Versa i liquori) Quanto a cucinare è un vero e proprio « cordon bleu ». Ha imparato tutto da sé durante la guerra. Ma niente stupida «autorità». E... che ti avevo detto? Vedi che c'è il fuoco acceso, anche se siamo in estate. Non puoi immaginare, Evan, che cos'è per Jimmy e per me venire qui a riposarci. E sapere che non dobbiamo fare nulla di nulla, perché la mamma fa tutto per noi. Rammenda perfino la nostra biancheria.

Evan                              -  Vedendo in che stato è la tua, immagino che avrà molto da fare.

Cherry                           - Oh, io non posso prendermi questo fa­stidio. Non ho mai infilato un ago e non lo infi­lerò mai. Ma la mamma è all'antica. Profumo di lavanda e merletti. Straordinariamente domestica. Le dico sempre che avrebbe dovuto vivere cento anni fa e portare i mezzi guanti.

Evan                              - Mi riempi sempre più di apprensione e non saprò proprio che cosa dirle.

Cherry                           - Non hai bisogno di parlare, se non ne hai voglia. Penserà lei a discorrere, contentissima.

Evan                              - Lo credo perfettamente, ma se non fosse per il fascino assolutamente inatteso di questa stanza, e la vista del porto, riprenderei il traghetto per tornare a Londra col prossimo treno.

Cherry                           - Non potresti fare una cosa tanto vile e scortese. (Pausa. Cherry guarda verso la scala a destra) Chi sa... che avrà voluto dire, parlando di una sorpresa in soffitta? (Posa il bicchiere e sale la scala. Evan si appoggia al finestrino e beve il suo whisky guardando il porto. Cherry, con un grido di gioiosa sorpresa, d. d.) Oh, Evan!

Evan                              - (senza voltarsi) Che c'è?

Cherry                           - Non puoi immaginare!... Ha trasfor­mato la soffitta in uno studio. Vieni a vedere. (Viene in cima alla scala e guarda Evan che è giù).

Evan                              - Non m'importa dello studio. Voglio go­dermi questo panorama.

Cherry                           - Lo vedi anche di quassù; anzi, si vede meglio. Vieni, presto.

Evan                              - (sorridendo e posando il bicchiere) E va bene. Che ha fatto la vecchia signora? Ha com­prato una scatola di colori e un manichino di le­gno? Io non sono venuto qui per dipingere. sono venuto per sdraiarmi al sole o pescare.

Cherry                           - Non puoi sdraiarti al sole, in Cornovaglia. Piove un giorno sì e l'altro no. E i pesci non esistono più in questo mare. sono scomparsi. D'al­tronde, devi lavorare. Io ti ho sposato soltanto perché eri celebre; non puoi diventare un fannul­lone qualunque! (Evan ride; piegandosi sul piano­forte suona un accordo, come per provare lo stru­mento. Cherry con impazienza) Suvvia, vieni!

Evan                              - (sale borbottando, ma di buon umore) Cosa sono tutte queste storie? (Si ferma sulla soglia ed emette un fischio di sorpresa) Perbacco! Questo sì che mi piace!

Cherry                           - Non te lo avevo detto? (E' molto contenta) Ma che diamine sta facendo la mamma? E' strano non trovarla ad aspettarci con le braccia spalancate: non le somiglia! Certo sarà andata in paese a prendere qualche cosa. (Scende).

Evan                              - (seguendola) Lasciala tranquilla. L'idea di trovarmi di fronte a una suocera mi fa venire in mente le più vecchie e stupide barzellette che esi­stano. Ma dove ho messo la mia roba?

Cherry                           - Abbiamo piantato tutto in anticamera. Non vuoi vedere il resto della casa? (Va in anti­camera).

Evan                              - Non ne provo affatto il desiderio. Vorrei non muovermi mai da questa stanza. Vieni ad aiutarmi a portar su la mia roba.

Cherry                           - (riapparendo con valige e soprabiti) Ec­cola.

Evan                              - Attenta al soprabito. C'è una bottiglia di whisky in tasca. (Prende una valigia e il suo so­prabito, tira fuori dalla tasca dì questo la bottiglia di whisky e la mette sul tavolino vicino all'altra).

Cherry                           - Sei tremendo! (Guarda le bottiglie) Ti prego, non cominciare subito a bere come un fac­chino! Voglio che tu faccia una buona impressione.

Evan                              - Comincio quando mi pare e piace. Anzi, con la prova che sto per affrontare, più presto co­mincio e meglio è per tutti quanti. (Beve ancora; poi sale la scala portando valigia e soprabito).

Cherry                           - Allora fai come credi; ma avvertirò la mamma di quello che l'aspetta. Ormai non può tardare. (Esce da sinistra).

Evan                              - (ridiscendendo) Lasciala stare, se è an­data a portare un po' di brodo a qualche vecchio invalido. Io non ho bisogno di niente. (Va in anti­camera e torna portando alcuni pacchi e un caval­letto. Lascia questo in fondo alla scala e va a portare i pacchi nello studio).

Stella                             - (appare dalla porta in fondo. E' assoluta­mente diversa dal tipo di madre che ci si poteva aspettare. sebbene i capelli comincino ad avere dei fili d'argento, il suo volto è giovanile e -molto bello: grandi occhi che esprimono quasi tutto quello che le passa per la mente. E quando sorride, mostra il suo cuore a nudo. Indossa un abito di tela che deve avere qualche anno, ma è ancora grazioso e le sta molto bene; maniche corte, niente cappello; magari una sciarpa. Si guarda attorno, sorride ve­dendo il disordine dell'arrivo. Porta un mazzo di rose e una bottiglia di whisky. Vede le altre due bottiglie sulla tavola e mormora: «.Meno male!-». Va ai piedi della scala ed esamina il bagaglio. Nel far questo, urta involontariamente il cavalletto che cade rumorosamente).

Evan                              - (dallo studio, gridando) Per carità, non toccare la mia roba! (Stella guarda in alto, un po' spaventata. Rialza il cavalletto. Evan esce dallo studio. Nell'entrare) Che diamine stai facendo? (Vede che è Stella e non Cherry, come aveva cre­duto. Rimane immobile a fissarla. Si deve com­prendere che è una grande sorpresa per lui, come lo è stata per noi. Non dice nulla).

Stella                             - (un po' intimidita, è la prima a ripren­dersi) Ben arrivato... sono la mamma.

Evan                              - (scende lentamente) Ah... Grazie.

Stella                             - Devo baciarvi?

Evan                              - Non lo so.

Stella                             - (Io bacia. Poi fa un passo indietro e lo guarda) E' assurdo, ma non so come devo com­portarmi. Non ho mai avuto un genero...

Evan                              - Forse io sono il primo di una lunga serie. (Sorridono tutti e due. Questo rompe il ghiaccio).

Stella                             - Ho portato delle rose per il vostro stu­dio. Lo avevo dimenticato. E non sono neanche sicura se vi piacciono o no. Conosco poco i gusti e le idee degli artisti.

Evan                              - Mi piacciono. E molto, anchc.

Stella                             - (posa le rose sulla tavola dove ora sono tre bottiglie di whisky) Dov'è Cherry?

Evan                              - E' venuta a cercarvi.

Stella                             - Ero andata in paese per procurarmi del whisky. Cherry mi ha detto che ne bevete molto. E' vero?

Evan                              - Purtroppo, sì.

Stella                             - Mi dispiace che sia tanto difficile pro­curarsene. Bisognerà che vada in giro a dare qual­che mancia... Io bevo soltanto quando debbo fron­teggiare qualche cosa di spaventoso; fare un di­scorso all'Istituto femminile o parlare col vescovo. Ora berrei volentieri un goccio...

Evan                              - (ridendole in faccia) Come, sono tanto spaventoso?

Stella                             - (desolata) Dio mio, che sciocca.

Evan                              - (versandole del whisky) Ma no, affatto. E' la cosa più naturale del mondo avere una certa apprensione per un estraneo che vi piomba in casa come caduto dal cielo.

Stella                             - Non avevo apprensione. soltanto... cu­riosità. (Prende il bicchiere e guarda Evan che riempie il proprio) Vedete, tutto questo mi ha emo­zionata enormemente. Vivo tanto sola... Ed ho la disgrazia di essere una di quelle mamme che sono completamente stupide nei riguardi dei loro figli.

Evan                              - Lo immagino.

Stella                             - (beve un sorso) Tutto è accaduto così all'improvviso. Non avrei mai pensato che Cherry si sarebbe sposata. O per lo meno non prima di qualche anno. Perciò, se mi vedete ad un tratto diventare isterica e scoppiare in lagrime non ci badate.

Evan                              - Se non per darvi un po' di whisky.

Stella                             - (sorride e crolla la testa) Oh, se sapeste come sono felice.

Evan                              - Davvero? Anch'io. (Vanno al divano. Stella siede).

Stella                             - Lo credo! Nelle sue lettere Cherry par­lava qualche volta di voi, ma indifferentemente; non avevo idea che fra voi due vi fosse qualche cosa di serio. Sapete che siete tutto diverso da quella fotografia che c'è nel giornale? Quell'orri­bile barba!

Evan                              - E' una vecchia fotografia. Sono anni che non porto più la barba.

Stella                             - E dovete promettere di non farvela cre­scere mai più.

Evan                              - Non faccio promesse. Per principio.

Stella                             - Ah? Capisco. Un tipo difficile.

Evan                              - (deciso) Molto.

Stella                             - Capriccioso nel mangiare?

Evan                              - Straordinariamente.

Stella                             - (con apprensione) Allergico per le ara­goste?

Evan                              - Non posso neanche toccarle.

Stella                             - Allora stasera rimarrete digiuno...

Evan                              - (ridendo) Non vi preoccupate. Le arago­ste, comunque cucinate, sono il mio piatto preferito.

Stella                             - Davvero? Per esempio, all'americana?

Evan                              - Squisite.

Stella                             - E poi dei carciofi?

Evan                              - Di quelli rotondi? (Fa il gesto con le mani) Non troppo verdi, con le foglie un po' allar­gate e innaffiati di burro fuso?

Stella                             - (felice) Sì.

Evan                              - Una delle mie passioni. Come avete fat­to a saperlo?

Stella                             - Intuito. E' l'unica mia qualità. Non sono eccessivamente intelligente, come Cherry vi avrà detto.

Evan                              - Cherry non mi ha detto niente. O se mi ha detto qualche cosa era completamente sbagliato. (Siede accanto a lei).

Stella                             - Perché avete sposato la mia adorabile figliola?

Evan                              - Perché pulisce i miei pennelli meglio di come li pulisco io.

Stella                             - (un po' scossa) Interessante. E questo è tutto quello che chiedete a una moglie?

Evan                              - Non tutto. Per esempio, Cherry è inesti­mabile per rispondere al telefono, dicendo che io sono fuori Londra mentre non è vero. E poi, di­stingue benissimo un bel quadro da uno che non vai nulla.

Stella                             - Ah! Questo è certamente importantis­simo.

Evan                              - Sì. Specialmente quando andiamo a ve­dere i quadri degli altri. Come tutti gli artisti, mi secco se mi si dice la verità sui miei.

Stella                             - Naturalmente lei trova meraviglioso tutto quello che fate.

Evan                              - Niente affatto. E' troppo intelligente per questo. Ma considera il mio lavoro almeno il cin­quanta per cento migliore di quello di tutti gli altri. La qual cosa mi sembra lusinghiera e con­fortante. Vedete, la guerra mi ha portato via una buona parte della mia vita di pittore. Guidare avanti e indietro un aereo carico di bombe giova poco a un ingegno creativo. Ora debbo riprendere tutto quel tempo perduto.

Stella                             - A giudicar dai giornali, pare che vi riu­sciate benissimo. E Cherry? Credete che abbia talento?

Evan                              - Debbo esser sincero?

Stella                             - Vi prego. Detesterei un genero che non lo fosse.

Evan                              - Cherry può fare delle graziosissime car­toline d'augurio. Un fascio di lillà in un porta­fiori di ebano. Questo è il genere, press'a poco.

Stella                             - (mortificata) Capisco... Meno male che non ha avuto l'idea di studiare il canto. E' uno studio che costa molto. La scuola d'arte è stata re­lativamente poco dispendiosa, a parte l'aver dovuto prendere un appartamentino a Chelsea. Però, se ha imparato a pulire i vostri pennelli, le economie della famiglia non sono state completamente sprecate.

Evan                              - Al contrario. Sono state investite ottima­mente. E ho dimenticato di dirvi un'altra grande qualità di Cherry, che scopersi fin dai primi giorni della nostra conoscenza. Conosce tutti i bar e le ri­vendite di Chelsea dove si può comprare il whisky a bottiglia.

Stella                             - Si vede che il servizio di ausiliaria inco­raggia certe iniziative. Questo non può averlo im­parato al collegio di Santa Maria... (Si alza) Insomma, tutto ciò è molto eccitante e simpatico, per voialtri due: ma io non posso fare a meno di pensare che i giovani d'oggi si sposano per motivi piuttosto strani. Ben diversi dai motivi pei quali io mi sposai nel millenovecentoventicinque.

Evan                              - (gravemente) Assolutamente diversi. Ve­dete: le cose per le quali voi vi sposaste nel mil­lenovecentoventicinque erano allora un po' diffi­cili da raggiungere senza il matrimonio. Oggi ve le offrono senza che neppur dobbiate chiederle.

Stella                             - (un po' affettata) Mi dispiace, ma non capisco.

Evan                              - Ne sono lietissimo. (Vuota il bicchiere).

Stella                             - (guardando la bottiglia) Meno male che ne abbiamo tre. Cherry ed io ci accontenteremo di limonata.

Evan                              - (indicando le bottiglie) E che succede se rimaniamo senza?

Stella                             - Si va dall'altra parte, all'albergo del tra­ghetto, e si compra. Ditemi: vi piace il vostro stu­dio? (Dispone i fiori sul piano).

Evan                              - Mi piace tutto. Il porto. Il panorama. Il mio studio. E soprattutto, questa stanza. (Indica at­torno con la mano) Sistemata tutta da voi?

Stella                             - Sì.

Evan                              - Anche per questo, intuito.

Stella                             - Credo. La casa, la cucina e occuparmi degli altri è sempre stata la mia specialità. Come per voi la pittura. Io sono molto ignorante, sapete. Non ne capisco niente...

Evan                              - Di che cosa?

Stella                             - Di pittura.

Evan                              - Non è necessario. (Continua a guardarla mentre lei parla. Non con impertinenza o familia­rità, ma perché la trova graziosa).

Stella                             - (ricordando) Ricordo di essermi innamo­rata, una volta, di un artista. Avevo diciotto anni. Ma era uno che non riusciva a cavare un ragno da un buco. Non una celebrità come voi.

Evan                              - E come andò a finire?

Stella                             - Non ne ho più saputo nulla. Sposai in­vece un marinaio. (Ride con gli occhi).

Evan                              - Molto saggio. Che cosa vi fece decidere?

Stella                             - (siede su una poltrona accanto al piano) Tutti quei galloni d'oro; e sapere che al matrimonio i suoi colleghi ci avrebbero fatto passare sotto un arco di sciabole incrociate.

Evan                              - Una bimba superficiale. Niente emozioni profonde.

Stella                             - A quell'epoca, no. Un'uniforme era tutto quello che contava! Perfino quella del poliziotto all'angolo della strada... Ma ditemi (con serietà) ren­derete felice Cherry, non è vero?

Evan                              - Veramente non ci ho mai pensato.

Stella                             - Allora sarebbe tempo di pensarci.

Evan                              - (si alza e posa il bicchiere sulla tavola) Come debbo incominciare?

Stella                             - Facendole sapere che lei è la cosa più importante della vostra vita.

Evan                              - Ma non è affatto vero!

Stella                             - Oh!

Evan                              - Il mio lavoro è molto più importante.

Stella                             - In questo caso mi tocca bere ancora... (Evan ride e le riempie il bicchiere. Ma Stella è so­lenne) No, parlo sul serio. Non mi sento di scher­zare su questo. Specialmente trattandosi della mia unica figlia. Il matrimonio è una cosa molto seria.

Evan                              - Non c'è niente che valga la pena di di­ventare serio.

Stella                             - Sciocchezze. Grazie a Dio io ho avuto dei genitori puritani che mi hanno educata con una mentalità di altri tempi. Questa la ragione per cui il mio matrimonio fu felicissimo.

Evan                              - Mi domando...

Stella                             - Che cosa?

Evan                              - Se questa è la ragione per cui siete stata felice. Non credo che sia dipeso dall'educazione.

Stella                             - E allora datemi una ragione migliore.

Evan                              - (la guarda come se stesse per dire qualcosa. Poi cambia idea e dice con altro tono) Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Stella                             - Questo mi sembra irriverente.

Evan                              - Probabilmente lo è. (Si sente Cherry che chiama « Mamma! » dall'anticamera. Subito dopo entra seguita dal cane).

Stella                             - Tesoro! (Si alza e le va incontro. Si ab­bracciano. Evan le osserva) Ho paura di mettermi a piangere.

Cherry                           - (ridendo e stringendola) Non fare la stu­pida. Che diamine c'è da piangere?

Stella                             - Tutto! (Ride, si soffia il naso, bacia nuo­vamente Cherry e guarda Evan come per scusarsi) Avete visto? Ve lo avevo detto! (Evan sorride. stella va al camino, seguita da Cherry).

Cherry                           - Sei così incredibilmente sentimentale! Matrimoni, battesimi, la bandiera bianca su una nave da battaglia, l'inno nazionale, tutto ti fa di­ventare un rubinetto... Guarda un po'. Sei ridotta un cencio! Conosco bene i sintomi: capelli in di­sordine, mani tremanti...

Evan                              - Colpa del whisky.

Cherry                           - L'hai fatta bere? Ma è fatale per lei!

Stella                             - (ride ravviandosi i capelli)  Che imperti­nente! (Siede sul divano con Cherry).

Cherry                           - Figurati: corro in paese per cercarti, facendo una specie di maratona che mi ha messa in un bagno di sudore e intanto tu te ne stavi qui a gozzovigliare con mio marito. Dovresti vergognarti. (Accoccolandosi vicino a lei) Be'? Come lo trovi? Meglio di quello che ti aspettavi?

Stella                             - Molto.

Evan                              - Che cosa vi aspettavate?

Stella                             - Quell'uomo barbuto che era sul giornale, coi capelli lunghi che gli cadevano sul colletto.

Evan                              - Sandali e piedi sporchi. Lo so. Per esser sincero, in casa porto sempre i sandali; ma non quelli senza punta. Anzi vado a mettermeli subito. E anche una sciarpa, invece di questo colletto e cravatta che mi soffocano.

Stella                             - Benissimo! Voglio che abbia un'aria ar­tistica per Roberto. Verrà a momenti.

Evan                              - (prendendo il cavalletto) Chi è Roberto?

Cherry                           - (prendendo da bere e una sigaretta) Te l'ho già detto. Il vecchio corteggiatore di mamma. L'adora da quando il babbo è morto e forse anche da prima. Le chiede di sposarlo una volta al mese, regolarmente. E' questione di «routes».

Evan                              - Che significa « routes »?

Cherry                           - E' una parola del linguaggio speciale di mamma; vuol dire qualcosa che avviene infallibil­mente con regolarità, come la luna nuova o le maree.

Stella                             - E' il mio codice: vorrebbe dire «rou­tine».

Evan                              - Ho capito. Allora, se per Roberto è « rou­tes » fare la sua richiesta, per voi è « routes » ri­fiutarlo?

Stella                             - Si capisce!

Evan                              - Un'altra rapsodia della Cornovaglia. (Sale nello studio).

Stella                             - (gli grida dietro) Se volete cambiarvi adesso, Cherry vi mostrerà la vostra camera.

Evan                              - (d. d.) Ma è questa, la mia camera!

Stella                             - (a Cherry) Tesoro, ho trasportato il letto di Jimmy nella tua stanza e ho spostato l'armadio mettendolo fra le due finestre; poi...

Cherry                           - Accidempoli, avrei dovuto dirtelo. Noi non dormiamo insieme.

Stella                             - (sconcertata) Oh!

Cherry                           - Voglio dire... non stiamo nella stessa camera. Evan detesta dormire in compagnia... E poi, dice che è la fine di tutto...

Stella                             - Ai tempi miei non lo era.

Cherry                           - I tuoi tempi erano diversi.

Stella                             - Lo credo!

Cherry                           - D'altronde, devi pensare che Evan è un artista. E gli artisti non sono come gli altri uomini.

Stella                             - (interessata) Davvero? Dimmi, dimmi.

Cherry                           - Non dire quel «dimmi» come se ci fosse qualche cosa di strano in Evan. Davvero, sai, mamma: la tua generazione è assolutamente osses­sionata dalla faccenda sessuale. Non pensate ad altro.

Stella                             - (offesa) Non è vero. Non ci penso per nulla.

Cherry                           - Non c'è da fare altro che mettere len­zuola e coperta su quel comodo divano che è nello studio. Evan è entusiasta di quell'ambiente.

Stella                             - (dubbiosa) Ma gli toccherà venir giù e attraversare l'anticamera al buio e poi risalire, se vuol venirti a trovare.

Cherry                           - Be', e con questo?

Stella                             - (con fermezza) Tuo padre non lo avrebbe mai fatto per me.

Cherry                           - Oh, be', non facciamo confronti. Del resto, se Evan vuole andare in giro al buio e se si rompe il collo, la pelle è sua!

Stella                             - (ridendo stupidamente) Ah, ah, ah, davvero!

Cherry                           - (severa) Hai bevuto troppo whisky. Sei stata molto cattiva, tesoro; lo sai che l'alcool ti dà subito alla testa.

Stella                             - (indignata) Non è vero. Ho la testa so­lida, io. Molto più della tua. E quando mi sono fi­danzata ero perfettamente in me, mentre comincio a sospettare che di te non si possa dire lo stesso.

Cherry                           - Lo so, dolcezza mia. (Sdraiandosi sul di­vano) Eravate su uno yacht a Cowes, c'era la luna piena, qualcuno sulla spiaggia cantava la canzone dei canottieri di Eton e babbo ti disse: « Ah, perché non possiamo fermare quest'attimo divino? ». No, fra me e Evan è stato tutto diverso. Pioveva a di­rotto, nella King's road, ed eravamo sbronzi tutti e due.

Stella                             - Che cosa anti-romantica.

Cherry                           - (ridendo) Storie. Era divertentissimo. Evan declamava dei brani dell'« Amleto » e a mo­menti cadeva inciampando nel marciapiedi. Fu al­lora che gli cadde la chiave di casa in un chiusino e gli toccò venire a dormire da me.

Stella                             -  Non credo neanche una parola di questa storia. Hai sempre esagerato, fin da quando avevi tre anni e dicevi che la bambinaia ti aveva pic­chiata col ferro da stirare. Non era punto vero; quella donna ti adorava.

Cherry                           - Era una peste; e legava Jimmy e me nei nostri lettini coi cordoni elettrici! Ad ogni modo, Evan ed io ci siamo fidanzati nella King's road, in uno stato di euforia alcoolica. Ora nessuno di noi riesce più a ricordarsi se fu quella notte o se fu la mattina seguente che decidemmo di sposarci.

Stella                             - (alzandosi) Spero che sia stato quella sera... Tesoro, se avessi immaginato che facevi di queste cose, non ti avrei mai permesso di prendere quell'appartamentino!

Cherry                           - Perché no? Non c'è stato niente di male. se ami una persona e questa prende una sbornia, il meno che tu possa fare è accompagnarlo a casa e cedergli il tuo letto.

Stella                             - (un po' rigida) Be'... Non posso fare a meno di provare un gran sollievo perché tutto è finito bene.

Cherry                           - (si rizza a sedere; maliziosa) Risparmi molti fastidi, vero? Essere sposati, voglio dire. Per esempio, se si viaggia o se si va in giro. E' straordi­nario, come sono schizzinosi in certi alberghi. Per esempio, a Brighton - dove si potrebbe credere che fossero di manica larga - sono terribilmente noiosi; mentre invece a Cumberland che è un paese di metodisti, puoi fare tutto il tuo comodo.

Stella                             - (scandalizzata) Non vorrai dire, Cherry, che sei andata in giro con Evan... prima di essere regolarmente sposati?

Cherry                           - (sorpresa) Ma certo. Figurati, cara, co­nosco Evan da un secolo. Pensa: sei mesi! E che volevi che facessimo il sabato e la domenica?

Stella                             - (scrollando le spalle) Non riuscirò mai a capire come ci si comporta al giorno d'oggi. E' al di­sopra delle mie facoltà. Se io avessi fatto una cosa simile, quando avevo la tua età... non so che cosa sarebbe successo.

Cherry                           - (sorridendo) Io lo so. Probabilmente avresti avuto un esaurimento nervoso... o un bam­bino. O forse tutt'e due. Te l'ho detto or ora: la tua generazione era molto ridicola, per quanto concer­neva le questioni sessuali. Grazie a Dio, noi siamo diversi. Ad ogni modo, in quei pochi giorni che Evan ed io abbiamo passato a Cumberland, face­vamo delle grandi passeggiate e discutevamo Van Gogh.

Stella                             - E la sera?

Cherry                           - Giocavamo a ramino e dormivamo come marmotte.

Stella                             - Allora non capisco perché vi siate presi il disturbo di andare a Cumberland... Oh, insomma, non farmi quella faccia. Se la tua condotta è stata poco ortodossa prima del tuo matrimonio, è ancor meno ortodossa adesso. Vieni, andiamo a prendere le lenzuola nell'armadio della biancheria. La si­gnora Tucket sarà straordinariamente scandalizzata, domattina.

Cherry                           - E perché?

Stella                             - Sposi da quindici giorni che dormono in camere separate! Sicuro che sarà scandalizzata.

Cherry                           - (sbalordita) Che vecchia antipatica e nauseante! (Escono tutt'e due da sinistra. Qualche minuto dopo, Evan scende. Ha messo i sandali, ha cambiato la giacca e attorno al collo, invece del col­letto, ha una sciarpa di colore vivace. Va alla tavola ed esamina gravemente le bottiglie di whisky. Guarda quella aperta e fa « hmm » vedendo quanto è già diminuito il contenuto. La rimette sulla tavola e prendendo le altre due ancora chiuse le porta di sopra, nel suo studio. Ritorna e si versa altro whisky dalla prima bottiglia. Con la sciarpa vistosa e la bot­tiglia in mano appare un po' come un « bohème » a Roberto Nanson che in questo momento spinge la porta in fondo).

Roberto                         - Oh, buona sera. Immagino che siate il marito di Cherry.

Evan                              - (voltandosi) Precisamente. Accomodatevi. Posso offrirvi?...

Roberto                         - Visto che è il mio whisky di cui di­sponete così liberamente, accetterò.

Evan                              - Vostro? Ma siete infinitamente sentile! Siete forse il proprietario dell'albergo del traghetto?

Roberto                         - No. Mi chiamo Roberto Nanson e sono un vecchio amico di vostra suocera.

Evan                              - (annuendo, con aria saputa) Ah, capisco « routes».

Roberto                         - Come?

Evan                              - (misterioso) La luna nuova. La marea. Vo­lete un po' del vostro whisky? Servirà a darvi coraggio per la prossima volta. (Gli versa il whisky e glielo porge. Roberto prende il bicchiere senza par­lare, con aria di disapprovazione. si rende conto che Evan ne ha già bevuto troppo. Evan indica a Roberto una sedia, sentendosi già padrone di casa) Cenate con noi?

Roberto                         - No. Sono venuto soltanto per farvi i miei rallegramenti.

Evan                              - Per che cosa?

Roberto                         - Ma per il vostro matrimonio.

Evan                              - Un po' presto per dei rallegramenti. Io aspetterei almeno sei mesi perché potrebbe essere anche un vero e proprio disastro.

Roberto                         - Hmm! (Ha più che mai l'aria di ripro­vazione).

Evan                              - (sedendo sul bracciolo del divano) Che vo­lete, tutti i matrimoni sono come giocare a testa o croce. Vi ricordate la vecchia storia di quel tale che sposò una cantante? Dopo la prima notte di nozze, al mattino la guardò bene e disse: Per carità, canta! Mi pare che questo esprima ciò che molte donne e alcuni uomini provano in quelle occasioni.

Roberto                         - Mi sembra un atteggiamento piuttosto cinico.

Evan                              - Sì? (Trangugia il whisky) Discuteremo, uno di questi giorni, sull'argomento.

Roberto                         - (pare che non abbia il menomo desiderio di affrontare questa discussione) Avete conosciuto Cherry a Londra, vero? In quale ricevimento?

Evan                              -  Affatto. Non vado mai a nessun ricevi­mento. Cherry è capitata una sera in uno dei bar che frequento di preferenza e le offersi da bere.

Roberto                         - (seccamente) Quando ero giovine que­ste cose si facevano in Leicester Square.

Evan                              - Forse si fanno anche adesso. Ma a Chelsea siamo più contegnosi. Le ragazze approfittano delle domande di matrimonio; cioè le prendono sul serio.

Roberto                         - Sono un po' troppo antiquato, io. Non capisco questo genere di discorsi. Mi pare che la guerra non abbia migliorato l'educazione né la mo­rale. Peccato.

Evan                              - Certo l'educazione attuale fa nausea: sono d'accordo con voi. Ma la morale è press'a poco quella che è stata sempre. Per i puri, tutte le cose sono impure. Ma non mettetevi in mente che Cherry abbia condotto una vita troppo libera a Chelsea. Per quanto mi risulta, era molto a posto, per una ragazza della sua età.

Roberto                         - Lo spero!

Evan                              - Dovreste conoscere un po' di questa gio­ventù moderna. Piccoli animali. Bisognerebbe te­nerli in gabbia. Ancora un po' di whisky?

Roberto                         - No, grazie. (Siede) Veramente non ho avuto una buona impressione di qualche amica che Cherry ha condotto qui un paio di volte. Robetta di second’ordine. Probabilmente voi metterete un termine a queste relazioni...

Evan                              - Non me lo sogno nemmeno! La vita pri­vata di Cherry è affar suo. (L'espressione di Roberto è sbalordimento) Da quanto tempo conoscete la famiglia?

Roberto                         - Da una quindicina d'anni. Si stabili­rono qui quando il marito di Stella lasciò la Marina. Ho conosciuto i ragazzi da piccoli. Ho insegnato a Cherry la manovra della barca. E' sempre stata un maschiaccio.

Evan                              - Lo è ancora. Carattere vivace. Felice do­vunque si trovi. Anche se andasse in prigione, si adatterebbe benissimo. Questo rende tutto molto fa­cile per me. (Va verso il finestrino della porta e guarda fuori).

Roberto                         - (va alla tavola di sinistra. Guarda la bot­tiglia di whisky, tetro) Contate di trattenervi un pezzo qui?

Evan                              - Per tutta la vita, suppongo. Non ho mai visto un luogo che mi piacesse di più.

Roberto                         - Ah! Però voglio avvertirvi che da que­ste parti è difficilissimo trovar casa.

Evan                              - Perché, che inconvenienti ha questa?

Roberto                         - Semplicemente che appartiene a vostra

suocera.

Evan                              - Questo non importa. Possiamo stare tutti insieme. Una prospettiva piacevolissima.

Roberto                         - (accendendosi) Forse lei non la pensa così. E, comunque, una coppia di sposi deve star­sene per conto proprio.

Evan                              - (voltandosi) Non sono d'accordo. Qualun­que casa governata da Cherry sarebbe una babele dopo cinque minuti. Avreste dovuto vedere la sua casa a Londra. Un vero porcile. (Entrano Cherry e Stella; Stella porta lenzuola e coperte).

Stella                             - Salve, Bob. Arrivate a tempo per l'aperi­tivo. Vi siete già presentati?

Roberto                         - Sì.

Cherry                           - (va a dare un bacio a Roberto) Salute, amico del mio cuore. (Stella, intuitiva, si rende conto che l'incontro fra i due uomini deve aver mancato di cordialità).

Evan                              - Abbiamo bevuto il suo whisky. E nella bottiglia ne sono rimaste appena due dita. Se avessi saputo che era suo sarei stato più parco...

Stella                             - E dove sono andate a finire le altre due

bottiglie?

Evan                              - Di sopra. Vicino al mio letto. (Roberto sembra disgustato; Stella se ne accorge).

Stella                             - (in fretta) Dovete condurre Evan a fare una gita nel vostro battello, Bob caro. Cherry mi ha detto che gli piace molto la pesca. E' vero, Evan?

Evan                              - (deciso) Verissimo. Ho l'intenzione di an­dare a pescare tutti i giorni. Senza fallo. Comunque sia il tempo, sole o pioggia « routes ».

Stella                             - (g}i dà un'occhiataccia e comincia a parlare molto in fretta) Lo scenario è magnifico, sapete, lungo tutta questa costa. Alcuni preferiscono il nord, ma a me sembra troppo nudo e troppo battuto dal vento. Qui abbiamo tante piccole insenature e bei valloncelli e fiori selvatici; e ci sono sempre i gab­biani che svolazzano all'imboccatura del porto. C'è da fare dei quadri magnifici.

Cherry                           - Ma Evan non fa il paesaggio, mammina cara!

Stella                             - No? Oh, come sono stupida! E che cosa dipingete, Evan?

Evan                              - Figure. Donne svestite.

Stella                             - Ah, nudi. Molto belli, in una galleria; ma fuori posto crederei in una stanza come questa. (Incomincia ad essere un po' smarrita).

Evan                              - Pienamente d'accordo. Non vi è nulla di così poco attraente come la media delle donne quando sono nude. Io dipingo esclusivamente per le gallerie. E mi faccio pagare molto bene. Che cosa fate con tutta quella roba? (Le prende le len­zuola, ecc.).

Stella                             - La stavo portando su per il vostro di­vano. Niente intuito questa volta. Ordini di Cherry. (Occhiata piuttosto severa).

Evan                              - Vi chiedo scusa del fastidio. Vi dispiace questo?

Stella                             - (gaiamente) Dispiacermi? E perché? Non è la mia luna di miele. (Il whisky le ha dato un po' alla testa).

Roberto                         - (impacciato, disapprovando tutti quanti)  Be', bisogna che me ne vada.

Stella                             - (sollevata) Davvero? Ma no, è ancora presto. Aspettate un pochino... Evan, volete fare il vostro letto?

Evan                              - L'ho sempre fatto da me. (Si volta e por­tando lenzuola ecc. sale con una certa solennità la scala. Cherry lo segue dopo avere strizzato l'occhio

a Stella).

Cherry                           - Verrò a darti una mano. Buona notte,

Roberto.

Roberto                         - Buona notte, Cherry.

Stella                             - (va verso il camino; un po' ansiosa) Sim­patico, vi pare?

 

Roberto                         - Il marito di Cherry? Preferisco tacere la mia opinione.

Stella                             - (mortificata) Conosco questo tono. Vuol dire che non vi piace.

Roberto                         - Ha fatto una discreta strage del mio whisky.

Stella                             - Era vostro davvero? Come siete stato gentile! (Gli rivolge un delizioso sorriso).

Roberto                         - (vinto) Non ve lo avevo promesso?

Stella                             - Sì, ma so che è tanto difficile trovarne. Non dovevate disturbarvi.

Roberto                         - Sentite, Stella. Voglio in cambio una promessa da voi. Di non affannarvi e stancarvi per questi due. Lasciate che se la cavino da loro. Sono perfettamente in grado di farlo.

Stella                             - Ma mi piace occuparmene.

Roberto                         - Lo so. Ma io so come sono questi ar­tisti. Si stabilirà qui, non farà che alzare il gomito e dire un sacco di stupidaggini, e voi sarete la vittima che dovrà sopportarne tutto.

Stella                             - (va attorno riordinando) Siete poco gen­tile verso Evan. Non è possibile che lo giudichiate in questo modo, avendolo visto solo per dieci mi­nuti. Del resto, questo è un periodo di vacanza per lui. Cherry mi ha detto che solo un paio di giorni fa ha avuto una magnifica offerta da New York. Dovranno viaggiare molto.

Roberto                         - (seguendo Stella attorno alla stanza) Hmm. Poco fa mi ha detto che vuole stabilirsi qui per tutta la vita.

Stella                             - (con interesse) Davvero? Questo mi fa molto piacere! (Mette i bicchieri sul vassoio, vuota un posacenere ecc.) Ora devo andare a vestirmi e ad occuparmi della cena. Non volete restare? C'è aragosta all'americana. Ed è molto grossa: ce n'è per tutti.

Roberto                         - No, cara: vi ringrazio molto. Ma c'è una riunione alla Capitaneria del Porto e sono già in ritardo. Sentite, Stella!

Stella                             - Dite.

Roberto                         - Se Cherry e quel tipo decidono di ri­manere qui e stabilirsi in casa vostra per sempre e voi, a un certo momento, ne avete abbastanza, sapete quello che dovete fare, non è vero?

Stella                             - Ditemelo. (Sa già quello che Roberto dirà).

Roberto                         - C'è una casa in cima alla collina che da molto tempo piange dal desiderio di essere di­retta da voi...

Stella                             - (dolcemente) Caro Bob...

Roberto                         - Bene. Non voglio annoiarvi con la solita storia. Ma sapete quello che voglio dire, vero?

Stella                             - Sì.

Roberto                         - Sempre lo stesso pensiero: ieri, oggi e domani. Sempre.

Stella                             - Buona notte, Bob. (Lo segue un mo­mento con lo sguardo; poi torna indietro, rimette qualcosa a posto, sprimaccia un paio di cuscini, alza gli occhi alla porta dello studio, poi esce da si­nistra canticchiando).

Cherry                           - (fa capolino mentre Stella esce) Se n'è andato?

Stella                             - (sulla soglia) Chi, Roberto? Sì, perché?

Cherry                           - Evan vuol sapere se c'è stato « routes ».

Stella                             - (uscendo) Di' a Evan che si occupi dei fatti suoi. (Cherry scende ridendo; getta un pezzo di legno sul fuoco e si accende una sigaretta. Dopo un momento scende Evan).

Evan                              - Dov'è andata?

Cherry                           - Mamma? A preparare l'insalata, credo, e a guardare come va l'aragosta. E a drappeggiarsi in quello che chiama «abito da pranzo». E' molto all'antica sai; la guerra non l'ha cambiata per nulla. Un sacco di vecchie scimmie, qui, approfittano della possibilità di mettere un'uniforme dandosi delle grandi arie. Mamma invece è rimasta serena e fem­minile, occupandosi di arrotolare fasce, di preparare pacchi di viveri e di soffiare il naso ai piccoli bom­bardati di Plymouth. Certo il tuo arrivo l'ha emo­zionata. Aspetta a vedere la cena: tutto in tuo onore. Quando è sola si contenta di pane e burro e una tazza di tè.

Evan                              - (sedendo al piano) Una tazza di tè? Que­sta è stata l'immagine che hai usata per descriverla.

Cherry                           - Sì, non trovi che corrisponde? (Evan ride senza rispondere) Avanti: prova quel vecchio pianoforte. Avrà le corde arrugginite: non lo suona mai nessuno. (Evan comincia a suonare molto som­messamente una vecchia canzone di trenta anni fa. Cherry si avvicina a lui e gli rimane accanto. Il sole sta tramontando) L'accordatore viene da Exter ogni tre mesi e dice alla mamma che non deve met­tere i fiori sul piano; lei gli sorride dolcemente, pro­mettendo di non metterli più, e appena lui è fuori li rimette. Cos'è questo che stai suonando? Non l'ho mai sentito.

Evan                              - Non è dei tuoi tempi. Roba del 1918.

Cherry                           - Per carità! Quanti anni avevi allora?

Evan                              - Nove, circa. Avevo smesso il vestito alla marinara, avevo la prima giacchettina da « uomo » e mamma mi portò a teatro in galleria di prima fila. Aveva una gardenia nei capelli ed io le com­prai una scatola di cioccolatini che pagai mezza corona.

Cherry                           - Eri precoce.

Evan                              - Sì, molto. (Passa a una canzone sentimen­tale della stessa epoca).

Cherry                           - E' una novità, per me, sentirti suonare questa specie di musica. Credevo che non la po­tessi soffrire.

Evan                              - Davvero? Ma allora mi conosci ben poco...

Cherry                           - Credi? (Entra Stella. Ha indossato un abito da mezza sera che le sta molto bene e si è messa un « clip » fra i capelli).

Stella                             - Oh, la mia canzone favorita. Come fate a conoscerla?

Evan                              - Intuito. Bevete un altro po' di whisky.

Stella                             - (felice) Dio vi benedica. Come mi rin­giovanisce sentire questa musica. (Si versa un po' di whisky).

Cherry                           - (ridendo) Sei incredibilmente senti­mentale.

Stella                             - No, non sentimentale. sono romantica. C'è una gran differenza. Non è vero, Evan? (Siede sul divano).

Evan                              - Fra romanzo e sentimento? Neppur per ombra. Io mi delizio di tutt'e due.

Cherry                           - Bugiardo! Un cinico come te.

Evan                              - Lo credi tu. Ma io sono Jekyll e Hyde. Tu conosci soltanto Hyde. (Attacca la « Vedova allegra »).

Cherry                           - A momenti vedrai mamma in lagrime; e addio cena! (A Stella) Sei un amore e hai un profumo delizioso. Come sempre. Vado a lavarmi le mani e incipriarmi il naso; ma non è necessario che cambi abito, no?

Evan                              - (dal piano, a Cherry) Indecente, sbrodolona. (Cherry gli fa una smorfia ed esce a sinistra).

Stella                             - (alquanto scandalizzata) In questo modo uno sposo si rivolge alla sposa?!

Evan                              - Sì, quando la sposa è come Cherry. (Ride) E' bello il colore del vostro abito.

Stella                             - (guardandosi il vestito) E' abbastanza vecchio e un po' stinto. Ma ho l'abitudine di cam­biarmi per cena, anche quando sono sola. E' uno dei miei principi. (Va alla finestra).

Evan                              - Come i missionari della Nuova Guinea. E' un modo per non diventare come gli indigeni. Si potrebbe farvi un bel ritratto.

Stella                             - Grazie. Ma credevo che dipingeste sol­tanto i nudi.

Evan                              - Quando mi mancano altre ispirazioni. (Smette di suonare).

Stella                             - Oh, continuate. Mi piace tanto. Suonate di nuovo la canzone di prima. Vi ho sentito, da sopra. (Evan ricomincia) Sì, questa. La cantava Thorpe Bates, vero? Vi andai il giorno del mio compleanno. Ricordo che avevo un abito rosa vivo e non feci che piangere durante tutto il terzo atto.

Evan                              - Perché? Per quello che c'è di artistico in voi o per il tenente di marina?

Stella                             - Nessuna delle due ragioni. Piangevo per Thorpe Bates. (Evan ride) Però non so come fac­ciate a conoscere questa canzone. Dovevate essere un bambino a quell'epoca. In fasce. (Si avvicina al piano e si curva su lui).

Evan                              - Un bimbo, forse. Ma non in fasce. La scuola preparatoria stava facendo di tutto per con­gelare la mia anima romantica, ma senza riuscirvi.

Stella                             - Sono contenta.

Evan                              - Di che?

Stella                             - Che non siano riusciti. Se fossero riu­sciti, probabilmente in questo momento non suone­reste il piano per me. Quando Jimmy cominciò ad andare a scuola, a otto anni e tre mesi, continuai a portare gli occhiali neri per una settimana. Se qualcuno mi rivolgeva la parola mi mettevo a pian­gere. Infatti, tornò cambiato in modo da essere ir­riconoscibile. Non mi sono mai potuta adattare a quest'idea.

Evan                              - Un giorno o l'altro tornerà ad essere come prima. Succede sempre. Tornano a casa come i co­lombi domestici.

Stella                             - Oh, quanto a ritornare, sì. Quando ha bisogno di qualche cosa. Ma non è quello che avrei voluto...

Evan                              - Lo capisco benissimo. (Pausa; Evan con­tinua a suonare).

Stella                             - Avete ancora vostra madre?

Evan                              - No. Morì di polmonite quando io avevo quattordici anni. Allora la mia anima si congelò davvero... per parecchi anni.

Stella                             - (dolce) Povero piccolo.

Evan                              - Non povero piccolo. Piccolo mascalzone odioso.

Stella                             - Le cose e le persone ci fanno tanto male quando siamo giovani, non è vero? E poi, con gli anni, pare che il dolore si attenui; non è più lo stesso. Non più lacrime sul guanciale. Non più pugnalate nel cuore. (Evan è arrivato alle ultime battute della romanza e mentre le suona canta quasi senza accorgersene; e Stella fa altrettanto con voce sommessa. In quel mentre, la campana dì bordo suona dall'anticamera, violentemente per avvertire che la cena è pronta) La cena. Cherry deve aver fame.

Evan                              - (sorridendole) Oh, al diavolo la cena! (Riattacca la seconda canzone ma a ritmo più ve­loce. stella si alza, va a tirare le tende e accendere le lampade, seguendo la musica con voce sommessa. Evan canticchia anche lui; e Stella torna dietro a lui, col bicchiere in mano. Tutti e due stanno can­tando gaiamente. I due cantano alzando il tono di voce senza rendersene conto; Cherry entra dall'anti­camera suonando violentemente la campanella).

Cherry                           - (con un gesto di disperazione) Oh! Per l'amor di Dio!

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

QUADRO PRIMO

Lo studio. Due mesi dopo. Pomeriggio. E una stanza difficile a descrivere: meglio lasciarla alla fantasia dello scenografo. Originariamente era una soffitta; dovrebbe essere bassa, lunga, con pareti in pendio e finestre ad abbaino. Al centro della parete si apre una porta agganciata alla parete, dalla quale si scende, mediante una scala a piuoli, allo sbarcatoio che è tre metri più in basso, in fondo a si­nistra è la porta dalla quale si scende nella stanza dì soggiorno. Ancora a destra un piccolo focolare aperto, specie di caminetto, alla cui sinistra verso il davanti, un divano, una poltrona, un paravento. Le pareti sono a calce; sul pavimento un paio di bei tappeti. Alle pareti sono tele, incorniciate e no; un tavolino con tutto quanto si trova nello studio di un pittore: pennelli, tubetti di colore ecc. (La signora Tucket è inginocchiata a terra, con uno scialle sulle spalle, in posa per Evan il quale è da­vanti al cavalletto a sinistra davanti alla porta, in­tento a lavoro).

Evan                              - (col tono di chi non ha ascoltato una parola di quanto gli è stato detto prima) E dopo la sua undicesima operazione... che cosa fece vostro marito?

La signora Tucket         -Riprese forza per qualche mese, signor Davies; ma non fu più capace di un lavoro pesante, dopo che gli avevano levato la pie­tra. Grande come un uovo di piccione, era! Il chi­rurgo disse che non ne aveva mai vista una simile in trent'anni che faceva operazioni! Era naturale che il mio povero Tom non avesse più voglia di mangiar niente...

Evan                              - (con un pennello fra i denti) Naturalis­simo.

La signora Tucket         -Fu la prima cosa che mi preoccupò vederlo mangiar poco, perché Tom era sempre stato una buona forchetta. Non rifiutava mai una frittatina col prosciutto. Ma era diventato così magro e si teneva sempre la mano sul fianco e la notte non poteva riposare. si figuri, signor Da­vies, che stava seduto in mezzo al letto con le gi­nocchia tirate fin sul mento; diceva che in quel modo sentiva meno il dolore. E sudava... non ho mai visto un cavallo sudare in quel modo. (Evan, sempre col pennello fra i denti, emette dei grugniti di partecipazione e simpatia) Ma fu il bagno che gli fecero fare all'infermeria che finì di rovinarlo. Si era sentito male durante il pranzo e il dottore lo fece chiamare per visitarlo. La suora avrebbe ben dovuto sapere l'impressione che poteva fargli l'acqua, non essendo abituato. Disse all'infermiera che lo accompagnò: « Morrò se mi metterete lì dentro ». E difatti morì.

Evan                              - (molto lentamente, mentre ritocca con atten­zione un punto del suo dipinto) E difatti morì.

La signora Tucket         -Era stato un buon marito, signor Davies. Un buon marito. Mai una parola ir­ritata. Ci siamo voluti bene sino alla fine. Così do­vrebbero essere tutti i matrimoni, come dicevo sta­mattina alla signora Martyn mentre facevamo i letti.

Evan                              - (preoccupato del suo lavoro) Hmm. Hmm.

La signora Tucket         -Bisogna continuare come quando si è fidanzati, signora Martyn, ho detto. Questa è la ricetta del matrimonio felice. Da quando si esce dalla chiesa dopo le nozze fino al momento in cui ci portano via coi piedi in avanti, bisogna continuare a fare i fidanzati. Cortesie e tenerezze. (Una pausa).

Evan                              - Comunque, la vostra dev'essere stata una: vita faticosa.

La signora Tucket         -Mah, sono andata avanti. E mi sento come se avessi vent'anni. Posso dire che dentro di me sono giovine come la signorina Cher­ry e il doppio più attiva di lei.

Evan                              - Questo non è difficile.

La signora Tucket         -Dio la benedica, cara crea­tura. E' una gran bella figliola.

Evan                              - (fa un passo indietro per guardare il suo la­voro) Una bella figliola.

La signora Tucket         -Ma le dico una cosa, si­gnor Davies. Quantunque sia sua moglie e sia una bella ragazza, non sarà mai bella come la madre. (Fa una pausa per avere la conferma di quanto dice: Evan non risponde) Conosco la signora Mar­tyn da una dozzina d'anni, cioè da quando sono venuta a stare in questo paese; ed è anche più ca­rina adesso di prima. Giovine, allegra, piena di vita. E' per la gioia di avere qui lei e la signorina Cherry, Da quando loro due sono arrivati, pare ringiovanita di dieci anni; è proprio cambiata. Lo dicevo ieri a mia figlia. Del resto è giusto. Non è naturale per una donna vivere sala, specialmente un tipo come la signora Martyn.

Evan                              - Perché la signora Martyn più di un'altra?

La signora Tucket         -Perché è di quelle che vo­gliono sempre dare. Di quelle che si buttano via, che si consumano per gli altri. E sono quelle che amano più a lungo. (Pausa). Lei non ha conosciuto il comandante, vero?

Evan                              - Che comandante?

La signora Tucket         -Il comandante Martyn, padre della signorina Cherry.

Evan                              - No.

La signora Tucket         -Bell'uomo, ma malaticcio. Soffriva sempre di qualche cosa. Il signorino Jimmy è come lui. Ne ho avuto l'impressione l'ultima volta che è venuto in licenza. Vedrà. La signora Martyn finirà di logorarsi per lui,1 come fece per il coman­dante. (Pausa).

Evan                              - Beh... per oggi mi pare che basti, signora Tucket.

La signora Tucket         -Basta?

Evan                              - Sì. Abbiamo utilizzato la luce migliore. (Si volta e comincia a pulire i pennelli, tavo­lozza ecc.).

La signora Tucket         - (si alza, si tropiccia le ginoc­chia. Si vede che è stanca) Posso dare un'oc­chiata?

Evan                              - Ma sì. Guardate pure.

La signora Tucket         - (gira attorno al cavalletto) Oh, Dio!

Evan                              - Piace?

La signora Tucket         -Bello. Bel lavoro. Si può dire parlante.

Evan                              - Sono contento.

La signora Tucket         -E questo sarà messo in una galleria di Londra?

Evan                              - Credo bene!

La signora Tucket         -Ed entrano le persone a vederlo?

Evan                              - A centinaia. Probabilmente ci vorranno le guardie per trattenere la folla. (Ride).

La signora Tucket         -Ma davvero?! (Da fuori Cherry fischia; poi la sua testa appare in cinta alla scala a pinoli, alla porta a destra. Si arrampica ed entra. Indossa calzoni da marinato e blusa. Ha i ca­pelli in disordine).

Cherry                           - L'ho perso per mezzo minuto. Quell'i­diota di Ruby ha preso una raffica di vento del sud proprio mentre arrivavamo davanti al Circolo Nau­tico e ci è passato sotto il naso. Spero che almeno avrà sentito quello che gli abbiamo detto dietro. Be', come va?

Evan                              - Bene, Ho smesso adesso.

La signora Tucket         -Oh, signorina, venga a ve­dere il mio ritratto. Come è bello!

Cherry                           - (vicino al cavalletto) Ah, hai poi tolto quelle ombre!

Evan                              - (accanto a lei) Sì; mi pare che sia molto meglio. No?

Cherry                           - Molto. Buona la modellatura degli zi­gomi.

Evan                              - Ci ho lavorato proprio adesso.

Cherry                           - Buono. Buono davvero.

Evan                              - Hmm. Non c'è male. Debbo ritoccare l'occhio sinistro. E' un po' storto...

La signora Tucket         - (indignata) Che cos'ha il mio occhio? Per sua regola io non ho mai avuto bisogno di occhiali!

Cherry                           - Non vi preoccupate, signora Tucket, starò attenta io che non sciupi la vostra bellezza.

La signora Tucket         -Si capisce! Altrimenti, poi, qualcuno vorrebbe sapere perché; non è vero? (Strizza l'occhio scherzosamente a Cherry).

Cherry                           - (siede ridendo sul divano) Sicuro, Evan; devi stare attento che qualcuno non ti faccia un brutto scherzo. Il vecchio amico della signora Tucket, quello che fa il servizio del traghetto, non approva che lei posi per farsi fare il ritratto da te.

Evan                              - (scherzando anche lui) Mi dispiace molto! Ma non mi avete detto niente, signora Tucket. Credevo che non aveste altri corteggiatori all'in-fuori di me.

La signora Tucket         - (raggiante) Sicuro, signor Davies! Joe, il traghettiere, mi fa la corte insistente­mente da cinque anni; ma non ha mai ottenuto niente. « Siete tutto pelle e ossa, Joe » gli dico sem­pre. « Non potete dar calore, nelle notti d'inverno! ». (Andando verso la porta). Crede che ci sia qualche cosa da fare giù per la signora, signorina Cherry?

Cherry                           - Non credo. Ha rigovernato dopo cola­zione, vero? E ha riordinato la mia camera? Se fossi in voi, me ne andrei a casa a prendere il tè.

La signora Tucket         -Allora ci vediamo domat­tina. E sarò libera di nuovo alle due per il signor Davies, se la signora Martyn è contenta. E' un pia­cere per me... Buon giorno a tutti e due. (Esce dalla porta che va nella stanza di soggiorno).

Cherry                           - (rìde mentre accende una sigaretta) Che vecchia chiacchierona! (Una pausa).

Evan                              - (continuando a pulire la tavolozza) Perché diamine non mi ha detto che venendo qui a po­sare trascurava tutti i lavori domestici?

Cherry                           - Perché credo che sia ben contenta di liberarsene.

Evan                              - E le cose sono andate così da quando posa per me?

Cherry                           - Quali cose?

Evan                              - Stella che rigoverna e fa quello che nor­malmente dovrebbe fare la signora Tucket.

Cherry                           - Sicuro. Ma che importa? Mamma lo fa volentieri. (Pausa).

Evan                              - Le hai mai offerto di aiutarla?

Cherry                           - Dio mio. Le avrei dato fastidio.

Evan                              - Almeno avresti potuto rifare la tua camera!

Cherry                           - Ho fatto il mio letto! A proposito; mi sono alzata alle dodici e mezzo e sono stata in barca tutto il pomeriggio. (Sbadiglia, si stira, si passa la mano fra i capelli).

Evan                              - Che cosa credi che stia facendo adesso?

Cherry                           - Mamma? Credo che stia lavando tutte le spazzole per i capelli. Ne ho visto una fila sul suo balcone poco fa. (Si alza, gironzola attorno allo studio, guarda le tele attaccate alle pareti) Peccato che non hai continuato quella testa del piccolo Brian. Era così interessante.

Evan                              - Era troppo irrequieto, il ragazzo. Non c'era modo di farlo star fermo un minuto. (E' con le Sfalle voltate a Cherry).

Cherry                           - (volta una tela che è contro il muro, dà un grido di sorpresa) Oh! Ma Evan... è magni­fico! Quando lo hai fatto?

Evan                              - (si volta in fretta) Che cosa?

Cherry                           - Questa testa della mamma.

Evan                              - Lasciala stare.

Cherry                           - Perché? Che cos'è?

Evan                              - (è molto irritato) Dammela.

Cherry                           - (rimette la tela come stava) Come sei strano! Perché tanto mistero? (Lo guarda, stupita; poi il suo viso si rischiara). Ah! Ho capito. Vecchio furfante! Una sorpresa per il mio compleanno. E' vero?

Evan                              - (dopo una pausa) Sì. Ma ora hai sciupato.

Cherry                           - Mi dispiace moltissimo di averti tolto questa gioia. Prometto di non guardarlo più. Ma che bell'idea! Quando ci hai lavorato? La mamma non mi ha detto niente.

Evan                              - Non lo sa.

Cherry                           - Non lo sa!? Che vuoi dire?

Evan                              - (con impazienza) Non ha posato. La fac­cio a memoria. Lavorando di mattina presto.

Cherry                           - Straordinario! Ora capisco perché hai voluto avere una sveglia! (Prende la sveglia che è vicino al divano). Fammi vedere. sicuro! E' sulle cinque e tre quarti. Non avrei mai immaginato che vi fosse qualcosa che potesse farti alzare all'alba! Furbacchione che non sei altro! Be', se riesce il capolavoro che promette di essere, bisognerà rico­noscere che valeva la pena di sacrificare il sonno. Per la mamma, poi, sarà la più grande emozione della sua vita.

Evan                              - (aspro) Oh, per carità!

Cherry                           - (sorpresa) Eh, non essere cattivo. Sai benissimo che sarà molto contenta. (Pausa) Be', ora andrò a vestirmi se voglio andare al cinema con Pamela Tremayne. Tu vieni?

Evan                              - No.

Cherry                           - Va là, vieni. Ti farà bene. E' un film di Ingrid Bergman; la tua simpatia.

Evan                              - Niente affatto. Mi annoia da morire. (In questo momento entra Stella dalla porta di sinistra, porta le spazzole di Evan e ha le braccia cariche di legna).

Stella                             - Chi è che ti annoia da morire? (Indossa una sottanella scozzese e un pullover di lana di cammello. Un po' affannata e rossa per aver portato la legna, ma giovine e gaia).

Evan                              - (irritato di vederla così carica) Ma che diamine fai? Te l'ho detto già che non voglio. (Lei prende la legna e la getta a terra).

Stella                             - Non è pesante. (Vede l'espressione dei volto di lui e si volge interrogativa a Cherry, la quale si stringe nelle spalle) Di che stavate discutendo?

Cherry                           - Pam ed io andiamo al cinema. Stavo cercando di persuadere Evan a venire con noi.

Stella                             - Ma sì... divertente. Va con loro, Evan.

Evan                              - Non ne ho voglia.

Stella                             - Ti divertirai.

Evan                              - No. (E' affaccendato coi suoi pennelli dì colorì).

Cherry                           - Non bisogna cercare di far fare ad un uomo quello che non vuol fare. Ho imparato almeno questo dal matrimonio, se non ho imparato altro. Mi hai aggiustato i calzoni, tesoro?

Stella                             - Sì; sono sul tuo letto.

Cherry                           - Puoi prestarmi la tua sciarpa? Quella ; nuova?

Stella                             - Si capisce.

Cherry                           - Non aspettarmi a cena. Probabilmente dopo il cinema andremo in qualche bar e poi. finiremo la serata al Cervo Bianco. State buoni e abbiate giudizio. (Fa una smorfia dietro alle spalle di Evan e sorride a Stella). Nutriscilo bene! (Esce: a sinistra. Evan continua volgendo le spalle di Stella. Questa si avanza, dopo aver messo le spaz­zole su un tavolino).

Stella                             - (dopo una pausa) Avresti dovuto an­dare con lei.

Evan                              - Perché?

Stella                             - Le avresti fatto molto piacere.

Evan                              - Ti ho detto molte volte che io non son di quelli che tengono a far piacere agli altri. No lo sono mai stato e non lo sarò mai. (Altra pausa

Stella                             - (si inginocchia per guardare il fuoco) volte sono in pensiero per te e per Cherry.

Evan                              - Perché?

Stella                             - Non so... Siete così indifferenti. Forse io sono di un'altra epoca; ma tutto mi sembra così diverso da quando io ero una giovane sposa.

Evan                              - Infatti è diverso.

Stella                             - Vedi... anche aver qui voialtri due diverso da quello che immaginavo. Non fate mai niente insieme, come io credevo che avreste fatto, Cherry se ne va in barca per suo conto, o al ci­nema con un'amica, come stasera... e tu o rimani qui a dipingere o suoni il piano o stai a chiacchie­rare con me. Vorrei sapere se tutti i matrimoni moderni mancano così di... (Pausa).

Evan                              - Di che?

Stella                             - Ma... di intimità, per dirla chiaramente.

Evan                              - Pensi al tuo passato romantico?

Stella                             - No... non precisamente. Non so dirti precisamente quello che penso. Forse mi chiedo che cosa proverei se fossi al posto di Cherry. (Si alza, si muove).

Evan                              - Cioè?

Stella                             - Ecco... io vorrei condividere tutti i mo­menti di mio marito. Vorrei stare sempre con lui. In battello o in uno studio, o dovunque fosse: non m'importerebbe, purché fossimo insieme. Non pen­serei mai a me stessa. (Pausa). Forse la guerra ha ucciso questa specie di istinto. Non pretendo di capire che cosa c'è nella mente di Cherry. (Apre la scatola delle sigarette, vede che è vuota). Hai bisogno di sigarette. Ne ho comperate stamattina, ma temo che non siano quelle che preferisci. Ma non avevano altro. (Riempie la scatola; poi prende la caraffa del whisky che è quasi piena) Sei diven­tato molto bravo. L'ho riempita la settimana scorsa e vedo che ne hai consumato appena un dito. Come mai?

Evan                              - Non ne ho avuto voglia.

Stella                             - Forse preferisci del gin?

Evan                              - No; non desidero niente.

Stella                             - (felice) E' merito di quella nuotata pri­ma di colazione. E' una cosa molto sana, il bagno mattutino. Sai che mi fai da orologio? Quando sento che ti tuffi, buttandoti dallo sbarcatoio, dico «sono le otto e mezzo. E' ora di alzarsi».

Evan                              - (sorride) Ah, sì? (Dal basso Cherry grida: « vado »).

Stella                             - (rispondendo a Cherry) Ciao, gioia. Di­vertiti. (Dopo una pausa). Eppure, credo che avresti fatto bene ad andare con lei. (Evan non risponde. stella siede sul divano, si guarda attorno, si mette gli occhiali, prende la sua borsa da lavoro) Sono contenta che questa stanza ti piaccia e che tu sia felice qui. Non puoi immaginare come sia stato divertente prepararla per te. Ed ero anche ansiosa, perché non sapevo se sarebbe stata di tuo gusto. Avevo tanta paura che tu fossi stravagante e che ti venisse in mente di metterti a dipingere in cucina o Dio sa dove. (Pausa) A volte venivo a sedermi qui quando i ragazzi andavano a scuola. Non era ammobiliata in nessun modo, ma avevo una vec­chia tavola abbastanza buffa e nei pomeriggi di piog­gia me ne stavo qui a rammendare la biancheria. Era così tranquillo e sereno... Ricordo che rimanevo qui per delle ore, ascoltando l'acqua che saliva, con la marea e copriva l'imbarcatoio; sognavo... non so io stessa che cosa. (Sorride felice, ricordando).

Evan                              - Non ti muovere.

Stella                             - (inconsciamente alza la mano a ravviarsi i capelli) Perché?

Evan                              - Rimani così un momento. Per favore. (Va a prendere la tela che è rivolta al muro e la mette sul cavalletto. Rimane a fissarla con le brac­cia conserte, gli occhi socchiusi) Avevo ragione. Quella piccola linea all'angolo della bocca, volta all'indietro. (Afferra la tavolozza e dipinge con ar­dore).

Stella                             - Ma che stai dicendo?

Evan                              - Taci.

Stella                             - (rimane immobile un po' innervosita, men­tre Evan lavora in silenzio) Quanto tempo debbo rimanere così?

Evan                              - Fino a quando te lo dirò io.

Stella                             - Dimmi perché, caro Evan. Faccio le veci della signora Tucket?

Evan                              - No, tesoro. (E' intento al lavoro e non si accorge di averla chiamata « tesoro »).

Stella                             - (ha alzato gli occhi, un po' ansiosa, un po' perplessa. Una pausa) Evan... Veramente sono venuta quassù per parlarti di molte cose.

Evan                              - Di che genere?

Stella                             - Ma... dell'avvenire. Di quello che hai intenzione di fare. Dei progetti tuoi e di Cherry.

Evan                              - Non faccio mai progetti.

Stella                             - Quell'offerta dell'America. Cherry mi ha detto che ti hanno scritto nuovamente una set­timana fa. Pensi di andare?

Evan                              - Dio mio, no.

Stella                             - Perché?

Evan                              - Perché dovrei andare in America mentre sono così felice qui?

Stella                             - A Cherry farebbe piacere. E probabil­mente piacerebbe anche a te. E sarebbe ottima cosa per tutti e due.

Evan                              - Hai voglia di liberarti di noi?

Stella                             - (turbata) Oh no... no...

Evan                              - E allora sta' zitta e non muovere la testa. (Dipinge con fervore per un momento; poi fa un passo indietro, fissa la tela, sorride, posa la tavolozza. Accende una sigaretta) Ecco. Finito. Anche se non dovessi dipingere più niente per tutta la vita non me ne importa un accidente. Fio fatto quello che desideravo. E ho fatto una bella cosa.

Stella                             - (esitando) Posso vedere?

Evan                              - (la guarda un attimo) Se ti fa piacere... (Stella si alza e va al cavalletto. Una lunga pausa mentre Stella guarda il ritratto. Il suo viso cambia, diventa pensoso, melanconico, come se guardando il ritratto ella guardasse per la prima volta se stessa. Le vengono le lacrime. Rimane ancora un attimo, poi va verso la porta voltando le spalle a Evan) Do­ve vai?

Stella                             - In camera mia.

Evan                              - Perché?

Stella                             - (si volta a guardarlo) Perché non voglio che tu mi veda piangere. (Rimangono a fissarsi per un momento. Poi dal basso giunge la voce di Ro­berto che chiama € Stella, Stellai». Poi chiama an­cora, evidentemente dal basso della scala che porta alla stanza di soggiorno. Stella va a sedere nuova­mente sul divano, col suo lavoro d'ago. Rispon­dendo) Salve, Bob. Sono quassù, nello studio. (Evan le dà un'occhiata; poi rapidamente toglie la tela dal cavalletto e la rimette contro il muro, sostituendola con quella della signora Tucket. Si sente Roberto che sale la scala. Stella si curva sul lavoro).

Roberto                         - (entrando) Salve. salve. Ho chiamato; ma non avendo avuto risposta credevo che foste tutti fuori.

Stella                             - Evan mi stava mostrando il ritratto della signora Tucket. Molto ben riuscito.

Roberto                         - Ah, bene. E' permesso guardarlo?

Evan                              - (calmo) Prego.

Roberto                         - (si avvicina al cavalletto. Dopo una pausa) . Sì... si riconosce subito che è la signora Tucket...

Stella                             - Questo si può definire un capolavoro di critica! (A Evan) Vuol dire che gli piace.

Evan                              - Ne sono lieto.

Roberto                         - Lo esporrete a New York, immagino?

Evan                              - Che cosa ve lo fa credere?

Roberto                         - Mi pare una cosa che deve piacere agli americani, no? Il colore locale eccetera. E pen­sate quanti dollari.

Stella                             - (vivamente) Ma Evan non va a New York, Bob, perciò non è il caso di parlare di dollari.

Roberto                         - Oh! Mi pareva di aver saputo da Cherry che c'era stata non so che proposta. Forse non ho capito bene. A proposito, dov'è Cherry? (Siede).

Stella                             - E' andata al cinema.

Roberto                         - Sola?

Stella                             - No, con Pamela Tremayne.

Roberto                         - Una brutta serata. Prenderà la pioggia.

Stella                             - Ha l'impermeabile. (Una pausa. L'atmo­sfera, non si sa perché, è alquanto tesa).

Roberto                         - (alzandosi) Si alzerà il vento, al mo­mento della marea. Credo che si preveda una bur­rasca perché ho visto che hanno sollevato la boa. (A Evan) La barca di Cherry è semplicemente an­corata con l'ancora piccola?

Evan                              - Non ne ho la più lontana idea.

Roberto                         - Oh! Perché, se si alza il vento che prevedo, bisognerà provvedere. Non si può mai sa­pere quello che può succedere con le maree di settembre. (Pausa. Nessuno parla) Ho visto più danni prodotti in questo periodo dell'anno che in tutti i mesi d'inverno. Nel mio battello ho messo venti amarre, sicché non corre nessun pericolo. Ricordo che una volta...

Stella                             - (non molto insistente) Un aperitivo, Bob?

Roberto                         - (va verso di lei; occhiata a Evan) No, grazie. Venendo in barca mi sono tutto inzuppato; vado diritto a casa per cambiare abito. Ero venuto a dirvi, Stella, se non vorreste venire a pranzo da me stasera.

Stella                             - Oh, molto gentile. Ma stasera non posso, Bob. Cherry verrà direttamente a casa dopo il ci­nema e debbo farle trovare la cena calda; e sapete che la signora Tucket la sera non viene. Verrò con molto piacere un'altra volta. Anche perché sta per venire il diluvio... (Tende l'orecchio; in questo!  momento si sente la pioggia battere violenta sui ve­tri degli abbaini) Oh, eccolo! (Lo dice quasi con sollievo) E' meglio che vi sbrighiate ad andare a casa, Bob, prima di bagnarvi come un pulcino.

Roberto                         - (secco) Ho anch'io l'impermeabile. (A Evan) Non dimenticate di mettere giù l'altra ancora. Se sapete farlo.

Evan                              - Credo di sì.

Roberto                         - Hmm. Be', speriamo che Cherry si diverta. Non disturbatevi ad accompagnarmi, Stella: conosco la strada. (Esce lasciandosi dietro un'aura i di riprovazione).

Stella                             - (sommessamente) E' su una poltrona scomoda.

Evan                              - (anche lui con voce sommessa) Che cos'è una poltrona scomoda?

Stella                             - (c. s.) Il mio linguaggio privato per dire che è offeso. (Una pausa. Poi si sente lo sbattere della porta in basso).

Evan                              - Ha ragione per la burrasca. Si sta alzando un vento tremendo. (Sgancia la porta di destra e la chiude assicurandola. La stanza è diventata improvvisamente molto buia. La pioggia è violenta) I E' «routes » raccontare delle frottole a Roberto?

Stella                             - Quali frottole?

Evan                              - Ma sì. Prima gli hai detto che ti stavo mostrando il ritratto della signora Tucket; poi che non potevi andare a pranzo da lui perché dovevi preparare la cena per Cherry, mentre Cherry ti ha detto che va a mangiare al Cervo Bianco.

Stella                             - Me n'ero dimenticata.

Evan                              - Proprio?

Stella                             - (con voce piccola) No. (Evan ride. Poi va a prendere un paio di stivaloni che sono in un  angolo) Che fai?

Evan                              - Vado a calare quell'altra ancora finché ci si vede.

Stella                             - Sta' attento. Ricordati che non sei molto pratico. Che cosa vuoi per cena?

Evan                              - (sorride mentre prende il soprabito) Hai mai mangiato l'« omelette à l'esperanza »?

Stella                             - No. Che cos'è?

Evan                              - Un piatto spagnolo. Ho imparato a farlo a Teneriffa. Te lo farò stasera. Qui, nello studio. Hai vino di Borgogna?

Stella                             - « Nuit de Saint Georges »: una bottiglia.

Evan                              - La berremo. Accenderò il fuoco quando avrò sistemato l'ancora; tu porterai il « Borgogna » e lo metterai a intiepidire. Porta su anche una pa­della, mezza dozzina d'uova, qualche cipollina e l'olio. Ma che sia d'oliva. E importantissimo.

Stella                             - Domandi l'impossibile.

Evan                              - Non mi hai mai rifiutato l'impossibile... finora. (Stella ride. E' tornata allegra, dimenticando le lacrime dì poco fa) Un'altra cosa. Da un po' di tempo non metti quell'abito verde... Mettilo stasera.

Stella                             - Che idea stramba? Dobbiamo solenniz­zare qualcosa?

Evan                              - Sicuro. E' una «grande occasione». So­lennizzare il fatto che tu ed io non abbiamo mai cenato soli, prima di stasera! (Esce dalla porta di sinistra mentre Stella ride battendogli una mano sulla sfalla).

Stella                             - (tende l'orecchio un momento; poi va alla porta che dà sull'imbarcatoio e la apre per un pal­mo) Evan?

Evan                              - (di sotto) Che vuoi?

Stella                             - Sta' attento. (Evan risponde con un grido e Stella richiude. Ritorna indietro e dopo un mo­mento va con passo furtivo alla tela che è contro la farete e la mette nuovamente sul cavalletto. Si volta lentamente e va a guardarsi allo specchio che è sospeso alla parete).

Sipario: (Il sipario rimane chiuso pochi istanti per indicare passaggio di tempo).

QUADRO SECONDO

La stessa scena. E' sera. La tavola è stata trascinata nel centro dello studio e sopra vi sono candelabri accesi. Anche sul tavolinetto accanto al divano sono candele accese. Una candela è collocata in un piat­tino sul tavolinetto dove sono ì pennelli, tavolozza ecc. Anche la lampada è accesa; e così pure il fuoco. (Stella, che ha indossato l'abito di mezza sera, è in piedi accanto alla tavola e mescola l'insalata. Evan, inginocchiato davanti al fuoco, tiene una padella sui ceppi mescolandone il contenuto).

Stella                             - L'insalata è condita. Posso fare altro?

Evan                              - Puoi chiudere gli occhi e pregare. E' la mia grande ora. Non ho mai avuto tante uova sbattute e tanto olio con un risultato così modesto. Dammi il sale e il pepe.

Stella                             - (porgendoglieli) L'odore è buonissimo.

(Si china su lui).

Evan                              - Anche il tuo. Che cos'è?

Stella                             - Lillà bianco. Le ultime gocce di una boccetta molto piccola.

Evan                              - Scostati. Non posso concentrarmi. Tutto dipende dai prossimi pochi secondi. (Stella ride e torna alla tavola) Cominciano a rapprendersi a prender vita... cominciano a fare quello che avreb­bero dovuto fare cinque minuti fa. Prega Dio che io non abbia perduto la mia abilità.

Stella                             - Alla peggio, possiamo rifarci sull'arrosto freddo, se è riuscita male.

Evan                              - Non deve riuscir male. Arrosto freddo! Neanche per sogno. Non hai dunque anima, o don­na? Prepara i piatti.

Stella                             - (va a prenderli) E' molto emozionante. Come quando si mangia per la prima volta un'o­strica.

Evan                              - Che invariabilmente dà una delusione. Come tutte le cose della vita, quando si è troppo giovani. (Si alza con la padella in mano e versa una parte dell'omelette nel piatto di Stella; il resto nel suo) Se avrai una delusione, adesso, vorrà dire o che hai il palato guasto o che le uova erano cattive.

Stella                             - (siede. Annusa il piatto) Mi pare squi­sita.

Evan                              - (posa la padella, prende la bottiglia di vino che era a scaldarsi accanto al fuoco, la stappa e ne versa per Stella e per se) Madame est servie. Bon appetit.

Stella                             - Asseyez vous. Sul pavimento. (Comin­ciano a mangiare, poi si guardano).

Evan                              - (a bocca piena) Hmm. (Vuol dire « è buona? »).

Stella                             - (a bocca piena) Hmm. (Vuol dire « ot­tima »).

Evan                              - Poteva rimanere un altro momento nella padella; e ci volevano più cipolline.

Stella                             - Non mi pare. E' squisita com'è. Se fosse stata ancora nella padella si sarebbe cotta troppo.

Evan                              - Vedi, sono proprio un artista, io! Nella cucina, come nelle altre cose. E un artista non è mai contento dell'opera sua. Trova che potrebbe essere sempre meglio.

Stella                             - E il mio ritratto? Ne sei contento?

Evan                              - (guardandola) Lo ero... tre ore fa. Poi non più. Non posso più esserlo quando ti vedo con quest'abito...

Stella                             - (semplice) Te l'ho già detto che è un vecchio vestito. Prendi l'insalata.

Evan                              - (servendosi) Coi piedi a terra e attenta alle cose pratiche; non sei così?

Stella                             - Perché no? Del resto tutti i miei abiti hanno dei secoli. Questo lo comprai allora, per il caso che James ed io fossimo stati invitati a Pa­lazzo reale. Invece non lo fummo mai.

Evan                              - E ti dispiacque?

Stella                             - (guardandolo da sopra il bicchiere e fin­gendo) Sì.

Evan                              - (ride) Ed ora, invece di pranzare in casa del Re dell'Inghilterra, quel povero abito è ridotto a cenare in uno studio, con un artista un po' stram­bo, davanti a un'omelette mal cotta; ma è inutile che te la butti addosso! (Balza in piedi e va a ripulirle la macchia col proprio tovagliolo).

Stella                             - Oh, come sono sgraziata.

Evan                              - Molto. (Torna a sedere e riprende a man­giare).

Stella                             - Che cosa ne farai?

Evan                              - Di che?

Stella                             - Del mio ritratto.

Evan                              - Non lo so. Tu che cosa mi suggerisci?

Stella                             - Di rimetterlo con la faccia al muro, nell'angolo più recondito, dove nessuno possa mai vederlo.

Evan                              - (dopo una pausa) Scusami. Credevo che ti piacesse.

Stella                             - Mi piace. Perciò voglio che tu lo metta via. (Beve).

Evan                              - (la osserva) Dimmi una cosa.

Stella                             - Cosa?

Evan                              - Perché hai pianto?

Stella                             - (per un momento non risponde) Piango facilmente. Credevo che tu lo sapessi. E' uno dei primi sintomi dell'età matura.

Evan                              - Matura un corno. E non hai risposto alla mia domanda.

Stella                             - (spezzando il pane) Non è facile ri­spondere, Evan. Forse perché mi ha ricordato, ina­spettatamente, tante cose di altri tempi. O forse sarebbe più sincero dire... tante cose che avrebbero potuto essere e non furono.

Evan                              - Questo è quello che ti ha detto il ri­tratto?

Stella                             - (dopo una pausa) Sì.

Evan                              - Mentre ci lavoravo, non mi diceva questo.

Stella                             - No? Che ti diceva?

Evan                              - Che non stavo affatto riproducendo il pas­sato. Solo il presente. solo le cose «che esistono».

Stella                             - (sorridendo con un po' di malinconia) Sei proprio molto caro e gentile. (Una pausa. Evan finisce la sua omelette).

Evan                              - Non vi è nulla che vada perduto. Qualunque cosa tu abbia desiderato una volta e abbia o non abbia avuta; qualunque cosa ti abbia resa! felice o triste, rimane nei tuoi occhi, in quelle linee sottili che solcano la tua fronte, in quella curva che incide l'angolo della tua bocca. Le cose in sei stesse sono dimenticate. Mentre io lavoravo a quel ritratto, non dipingevo la Stella di ieri o di dieci, di venti anni fa. Quelli non contano più. Si sono fusi nella personalità completa e definitiva che è la Stella di oggi.

Stella                             - Vi è mai nessuno che sia completo?

Evan                              - Credo di sì. Credo che ognuno raggiunga il momento nel quale è in punta di piedi sul punto di equilibrio e il tempo si ferma per circa 40 se­condi. Un uomo non lavorerà mai così bene come I in quei metaforici 40 secondi e una donna non sarà mai così bella. Entrambi sono per la prima ed ultima ed unica volta della loro vita comple­tamente loro stessi. Poi il punto di perfetto equi­librio viene oltrepassato... e il declino comincia.

Stella                             - Ma... com'è deprimente!

Evan                              - Sì, molto.

Stella                             - E' un po' troppo difficile per me.

Evan                              - Sicuro. Finisci la tua omelette.

Stella                             - (sorride e mangia per un -momento in silenzio; poi respinge il piatto. Con un sospiro) Molto buona e nutriente, la tua « omelette à l'esperanza». Perché si chiama così?

Evan                              - Esperanza è lo stesso che speranza in spagnolo. Per dire la verità ho inventato il nome al momento. Prendi ancora un po' di « Nuit de Saint Georges». Anche questo non è cattivo! (Le riempie il bicchiere).

Stella                             - L'ultimo della mia cantina di ante­guerra. Stasera stiamo dando fondo a tutto. Il vino, il mio profumo; e non credo che porterò molto quest'abito. Niente più « Nuit de Saint George ». Niente più «Lillà bianco». Il declino e la fine di Stella Martyn. Vuoi caffè?

Evan                              - Se non devi andar giù a prenderlo.

Stella                             - No, è qui, nel thermos. (Va al divano e versa il caffè).

Evan                              - (la osserva, fumando una sigaretta) Ho avuto torto, in quello che ho detto a proposito del ritratto. Non è la Stella completa e definitiva. Sei cambiata anche nel poco tempo che abbiamo im­piegato a cenare. Il ritratto è già fuori tempo.

Stella                             - Come sono cambiata? Qualche altra ru­ga? Qualche capello bianco di più?

Evan                              - I tuoi occhi sono più scuri di com'erano j oggi nel pomeriggio; e hai sul lato destro del naso una piccola macchia che non ricordo.

Stella                             - (tirando fuori il fazzoletto) Sono sudicia?

Evan                              - No.

Stella                             - Quel punto di equilibrio che dicevi... Lo sto superando?

Evan                              - (ride. si alza e va verso il cavalletto su cui è il ritratto) Poche ore fa era un ottimo ritratto. Ora non vale più niente. Hai ragione; bisogna metterlo via in un angolo oscuro.

Stella                             - (ha bevuto il caffè mentre Evan si alzava)

                                      - Invece è un bellissimo ritratto; e la ragione per cui vorrei che lo mettessi in un angolo oscuro è perché desidero che nessun altro lo guardi. Vieni a prendere un caffè. (Ma Evan le sorride e non si muove) Che è successo?

Evan                              - Niente. sono felice: ecco tutto.

Stella                             - Perché, così all'improvviso?

Evan                              - (si avvicina e prende le sua tazza di caffè)

                                      - Non all'improvviso. E' tutta la sera che sono felice; ma specialmente in questo momento perché tu hai la stessa idea che ho io sul ritratto. Neanch'io voglio che altri lo vedano. (L'atmosfera è un po' tesa. Stella è incerta; non sa bene che cosa voglia dire Evan).

Stella                             - (un pochino - poco - troppo vivamente) Finisci il tuo caffè. E hai perso un bottone del polsino. Te lo cucio senza che te lo levi. (Comin­cia a sparecchiare, mettendo tutto su un vassoio) Non occorre rigovernare stasera. Lo farà la signora Tucket domattina.

Evan                              - Dammi il vassoio. Lo porto io.

Stella                             - Mettilo in cucina. E chiudi la finestra. Credo di essermene dimenticata. (Evan esce col vassoio. Stella prende il cestino da lavoro che è sul divano e comincia a cercare un bottone, un ago e il filo. Evan torna, versa quello che è rimasto di vino nei due bicchieri, si avvicina. Stella mette dei grossi occhiali cerchiati di tartaruga e seduta sul divano, vicino alla lampada, infila l'ago) Vieni, ti cucio quel bottone. (Evan si inginocchia accanto a lei e porge il braccio, ubbidiente) Hai molta cura della tua roba. Non c'è quasi mai da dare un punto. Cherry è tutto il contrario; e quando Jimmy è in casa non faccio altro che rammendare e aggiustare per lui. Non so perché, ma tutti e due sono tanto disordinati. Forse li ho abituati male. Vieni più vicino: non ci vedo. (Evan sì inginocchia più vi­cino, sicché il suo viso tocca quasi i capelli di lei. Lei cuce, completamente inconscia).

Evan                              - Guardandoti da questa distanza, vedo mille cose che ho sbagliate nel ritratto. C'è molta più luce nei tuoi capelli; ed hai il mento più pic­colo di quello che mi sembrava.

Stella                             - Non riesco a capire come hai fatto, senza che io abbia posato neanche una volta.

Evan                              - Guardando un viso tutti i giorni, per due mesi e non pensando ad altro, si finisce col cono­scerlo abbastanza bene.

Stella                             - Non mi sono mai accorta che mi osser­vavi.

Evan                              - No?

Stella                             - Ora mi hai fatto sfilare l'ago. (Lo riin­fila) E poi non so quando hai potuto farlo. Hai fatto il ritratto della signora Tucket e di altre per­sone...

Evan                              - Mi sono alzato alle cinque e mezzo la mattina. Non ti ricordi di avere osservato che a colazione avevo sempre l'aria assonnata? Difatti ho perduto una quantità di sonno, in un modo o in un altro.

Stella                             - Che sciocchezza da parte tua!

Evan                              - Già. Una sciocchezza.

Stella                             - La stoffa sotto il bottone è strappata. Domani la rammenderò. Non posso, con questa luce; come tu non puoi dipingere. Bisognerà che anch'io cominci ad alzarmi la mattina alle cinque. (Spezza il filo; sorride ad Evan) Ecco fatto. E l'altro? Sta per staccarsi anche l'altro?

Evan                              - No. (Parla calmo, quasi trasognato; come se non sapesse quello che sta facendo le toglie gli occhiali e la bacia. Il gesto è stato compiuto quasi prima che Stella se ne renda conto).

Stella                             - (è rimasta immobile. Dopo un momento sussurra) No, no...

Evan                              - Sì. (La bacia di nuovo).

Stella                             - (desolata, respingendolo) No... no! (Si alza e si scosta. Evan la segue con lo sguardo. Si alza in piedi) Perché hai fatto questo? Mentre era­vamo così felici! Hai sciupato tutto...

Evan                              - Che cosa sciupato?

Stella                             - L'essere tutti insieme in questa casa. Tu, io e Cherry. Cherry... (Si volta a guardarlo. E' difficile per lei dire di più, ed è doloroso).

Evan                              - Cherry non c'entra fra te e me.

Stella                             - Come sarebbe a dire? C'entra sicuro.

Evan                              - No. (Gira attorno alla tavola) Hai detto or ora che qui siamo felici. Dio! Come se non lo sapessi! Non sono mai stato così felice in vita mia. Perché ho sentito che fra noi era un legame che ogni giorno, ogni ora andava diventando più forte, più saldo. E lo sentivi anche tu, nel profondo del tuo cuore; ma non volevi ammetterlo.

Stella                             - (impulsiva) Ma sì, lo ammetto... No... (Evan va verso di lei) Caro... caro Evan. (Cerca le parole) Tu non capisci. Lo sento ma non lo so spiegare. sono stata felice fin dalla prima sera. Non solo a causa di Cherry, ma anche a causa tua. E in tutte queste settimane, è diventato sempre più bello. Le cose che dicevi e quelle che non di­cevi. Ma anche quando non parlavamo e tu te ne stavi in silenzio a fumare la sigaretta ed io sedevo accanto a te, vi era qualcosa di inespresso nell'atmosfera, qualcosa che significava pace e tranquil­lità. Ed ora non è più così.

Evan                              - Perché1? Quello che è accaduto or ora è una cosa assai semplice. E' quello che accade di solito fra due persone che si amano.

Stella                             - Ma Evan... caro... non fare il bambino. Noi non possiamo amarci in quel modo.

Evan                              - Dici « in quel modo » come se io avessi fatto qualche cosa di ripugnante e di osceno. Vi è un solo modo di amare: ed è quello che consiste nel dare tutto, corpo, mente e cuore. Di me puoi avere tutt'e tre, per quel poco che valgono.

Stella                             - (si scosta) Non sai quello che dici. O se lo sai, io rifiuto di capirti. Per la prima volta da quando ti conosco, parliamo un linguaggio diverso.

Evan                              - Davvero? Proprio ora?

Stella                             - (è molto commossa. Siede) A me è stato insegnato a rispettare un codice morale, quello che Cherry si compiace di chiamare «le mie idee Ottocento». E lo rispetto ancora. Lo rispetterò fin­ché vivo. Qualunque cosa io senta nel mio cuore, nella mia mente e nel mio corpo, quelle idee ten­gono il primo posto. Sono salde come una roccia di fronte a qualsiasi sentimento. E' in questo che la tua generazione e la mia differiscono.

Evan                              - La mia generazione non è diversa dalla tua. Vi sono fra essa dieci anni, amari, dolorosi. E quello che dici del codice morale è falso. Falso, come tutte le religioni inventate dall'uomo per paura dei propri sensi. Tu erigi la tua rocca di di­fesa perché hai paura di quello che potrebbe acca­dere se crollasse.

Stella                             - Non ho paura. In quello che provo la paura non c'entra.

Evan                              - E allora perché mi hai respinto quando ti ho baciata? Perché mi hai fissato, per un attimo, con una strana espressione di smarrimento? Non era morale, quello sguardo. Non era a sostegno dei tuoi princìpi. Era perché quello che è accaduto do­veva accadere un giorno o l'altro. Ti ho amata dalla prima sera del mio arrivo. Dio sa che non me lo aspettavo, non lo desideravo... ma è accaduto. Non c'è niente da fare. Non si può tornare indietro. Dio mi perdoni se ti offendo dicendoti questo; ma dovevo dirtelo.

Stella                             - Non mi offendi. Posso lottare contro i miei sentimenti. Non hanno importanza.

Evan                              - E che cosa ha importanza, allora?

Stella                             - (con forza) Cherry. E la conoscenza fondamentale di ciò che è bene e di ciò che è male. Quella che è radicata profondamente in ogni don­na ed in ogni uomo. Anche tu hai questa cono­scenza. Non puoi sfuggirle. E' istintiva in ognuno di noi.

Evan                              - (si inginocchia accanto a lei) In me non è istintiva. Il mio istinto e la mia conoscenza mi dicono che in questi due mesi sei diventata ogni giorno più giovane e più bella, non con l'aiuto dei tuoi princìpi morali e della tua barriera difensiva, ma perché sentivi che ti guardavo e ti amavo; e questo ti rendeva felice, gaia e gioconda.

Stella                             - (sgomenta) Non è vero.

Evan                              - E' vero.

Stella                             - Non voglio che tu mi dica queste cose.

Evan                              - « Debbo » dirtele. (Si odono grida fuori, dalla parte dell'imbarcatoio; grida confuse, fra il vento e la pioggia).

Stella                             - (accasciata e infelice) C'è qualcuno giù, all'imbarcatoio. Guarda chi è.

Evan                              - (va alla porta che è sopra allo sbarcatoio e la apre. E' quasi respinto dalla forza del vento; curvandosi fuori) Ehi! Chi è, che volete? (Qual­cuno risponde con grida rauche. Non si capisce quello che dice) Va bene. Vengo. (Assicura nuo­vamente la porta e sì volta) E' il dinghy. Il vento lo ha portato via dall'imbarcatoio e sta andando alla deriva. Bisogna che vada ad assicurarlo.

Stella                             - Ma come? Che vuoi fare?

Evan                              - Lo raggiungo a nuoto. E' appena tre metri lontano. (Si leva le scarpe e comincia a rim­boccarsi i calzoni).

Stella                             - (avanzando) Non 'farai una cosa simile! Sei pazzo. Lascia che affondi. Che cosa importa?

Evan                              - Ci vorranno cinque secondi.

Stella                             - Evan... no... no. Non ti lascio andare. E' pericoloso. (Lo prende per un braccio e cerca di trattenerlo).

Evan                              - E se anche fosse? Che te ne importa? Preparami un asciugamano e degli abiti asciutti; e versami le ultime gocce della « Nuit de St. Geor­ges ». (Apre la porta che il vento sbatte contro la parete e scende la scala a piuoli nell'oscurità. Il vento penetra nella stanza soffiando fra ì capelli e l'abito di Stella che è rimasta pietrificata).

Stella                             - (molto impaurita) Evan... Evan... Torna indietro! (Aspetta un momento per sentire il tuffo nell'acqua. Si affaccia mentre il vento quasi la re­spinge) Evan? Evan? Oh... (E' mezza piangente scossa e snervata. Si muove per la stanza come una sonnambula, cercando gli abiti asciutti. Prende un asciugamano dietro al paravento e lo scalda davanti al fuoco. Il vento ha spento le candele; solo la lam­pada è rimasta accesa e il fuoco, e magari un'u­nica candela. Poi Stella torna alla porta) Evan... Evan... (Questa volta si sente un grido di risposta e dopo un momento Evan appare in cima alla scala a pioli ed entra. Rinchiude la porta e rimane fer­mo per un momento, gocciolante e sorridente) Oh,  Dio sia ringraziato... Tieni. (Gli dà l'asciugatoio, getta gli abiti su una sedia e questa volta, pian­gendo dirottamente, va accanto al camino e siede nella poltrona volgendogli le spalle e cercando il fazzoletto. Evan si toglie la camicia bagnata e si stropiccia con l'asciugatoio. Poi va fuori, a sinistra o dietro al paravento e si cambia gli abiti; intanto le parla gridando attraverso la porta oppure da die­tro al paravento).

Evan                              - Quella maledetta gomena era andata a ficcarsi sotto alla scala. Ho dovuto nuotare solo per un paio di metri, stando sempre attaccato al bat­tello. Una manovra semplicissima e anche diver­tente, in una bella notte di luna. Come diamine la corda si è ingarbugliata lì sotto, non riesco a capirlo. Ringrazio Dio, altrimenti il dinghy a quest'ora sarebbe in mezzo al porto. E non sarebbe stato piacevole nuotare fin là. Sta venendo una ma­rea da far paura. Strano. E l'acqua non è punto fredda. Piuttosto piacevole. Forse è sempre così quando ha tanta violenza. (Rientra. Guarda Stella che non si è mossa ma continua a piangere silen­ziosamente guardando il fuoco) Che avresti fatto se non fossi tornato? Saresti corsa in paese a cercare aiuto? O ti saresti attaccata al telefono per chiamare le barche di salvataggio? Ma forse non si muovono per un solitario che affoga. Solo per gli equipaggi delle navi. Un uomo solo non conta. Deve cavarsela da sé. (Stella non risponde. Evan le va accanto) E' la seconda volta oggi che ti faccio piangere.

Stella                             - (si volge piangendo) Ho avuto tanta paura... So com'è forte la marea all'imbarcatoio. Cento anni fa è affogato un uomo, qui sotto, fa­cendo ciò che hai fatto tu.

Evan                              - (molto dolce, ma quasi ridendo) Cento anni. E' passato tanto tempo? (Le sfiora i capelli).

Stella                             - Ne parlano ancora, in paese. si chia­mava Alberto Pearn. (Evan ride e la stringe a sé. Ma Stella è ancora angosciata. Gli tocca le mani, cerca di scaldargliele) Sei sicuro di non aver preso freddo?

Evan                              - Sto benissimo. Ma guarda... questo pull­over è rotto peggio della camicia. Bisogna pren­dere nuovamente l'ago e il filo. (Si inginocchia e la circonda con le braccia).

Stella                             - (tenendoselo accanto) Quando sei uscito da quella porta... ho creduto che non saresti più tornato. Oh, non per il vento, la pioggia, la ma­ rea Per un momento, un momento terribile, ho avuto paura che non saresti più tornato. Per tutto quello che ti avevo detto.

Evan                              - Desideravo che tu lo pensassi.

Stella                             - Che crudeltà!

Evan                              - Ti ho detto che non sono di quelli che si curano di far felici gli altri.

Stella                             - Eppure mi hai fatta felice fino a stasera.

Evan                              - Questa doveva essere la nostra serata, non è vero? L'omelette della speranza e la « Nuit de St. George». Invece ti ho fatto piangere. Devi per­donarmi.

Stella                             - Ti perdono tutto, meno l'essere andato a cercare il battello. Mi sarei buttata nell'acqua dietro a te.

Evan                              - Sai nuotare?

Stella                             - No.

Evan                              - (è in piedi e la guarda) La rocca della difesa. La marea l'ha fatta crollare, non è vero? (Le tocca i capelli) Non devi ricostruirla. Lasciala distrutta per cento anni, come Alberto Pearn. (Le prende le mani e gliele bacia).

Stella                             - Mai, mai più devi farlo.

Evan                              - (con dolcezza) Che cosa, amore?

Stella                             - Buttarti nell'acqua.

Evan                              - (sorride e la guarda) Ora sarebbe il mo­mento di farti il ritratto. Ora, con quella lacrima che trema ancora sull'orlo del tuo occhio sinistro. (Tocca la lacrima. Ad un tratto il telefono trilla in anticamera. Una pausa. Si voltano tendendo l'orecchio) Vado a rispondere. (Esce da sinistra per scendere al pianterreno. Si sente la sua voce che risponde al telefono. Stella va al camino e riaccen­de le candele con un cerino. Evan rientra e rimane sulla soglia).

Stella                             - Chi era?

Evan                              - (lentamente) Pamela Tremayne. Dice che Cherry rimane con lei. Non può tornare a causa della burrasca. Il traghetto non funziona più sta­sera. (La pioggia batte a scrosci contro gli abbaini; una raffica di vento urla contro la porta da destra ma senza aprirla. Evan va alla porta di destra, si appoggia contro lo stipite, guardando Stella).

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

La stanza dì soggiorno. La mattina seguente. La porta che mette sull'imbarcatoio è spalancata; il sole entra dalle finestre. Grida dì gabbiani; si ha la sen­sazione della mattinata fresca dopo il temporale. (Al levar del sipario la signora Tucket è in ginoc­chio davanti alla porta in fondo e pulisce il pavi­mento di pietra. Dopo un momento si alza; porta il secchio sull'imbarcatoio e lo vuota nell'acqua del porto. Ritorna torcendo lo straccio. Da sinistra en­tra Cherry).

Cherry                           - Buongiorno, signora Tucket.

La signora Tucket         - (sorpresa) Oh, signorina Cherry! Si è alzata presto! E' il sole che l'ha fatta saltare giù dal letto?

Cherry                           - Non ho dormito qui. Ieri sera, dopo essere stata al cinema, sono stata bloccata dal cattivo tempo e sono rimasta a dormire dalla signorina Tremayne.

La signora Tucket         -Dio mio! Oh, c'era un vento come non l'ho mai sentito! Pareva che but­tasse giù il tetto, a casa mia. E la marea era così alta che mi ha inondato tutta la cucina.

Cherry                           - (guardando dal finestrino) Il dinghy è a posto. Il signor Davies deve averlo tirato all'e­stremità dell'imbarcatoio. Mi date una tazza di tè, signora Tucket?

La signora Tucket         -Subito, signorina. Ma non sono ancora entrata in camera della mamma.

Cherry                           - Non importa: voglio solo il tè. (Guarda un piatto che è sul piano e prende una mela) Evan? (Chiama verso lo studio) Evan? (La signora Tucket esce da sinistra).

Evan                              - (appare in cima alla scala e guarda giù) Ciao... Quando sei arrivata?

Cherry                           - Un momento fa. Che bella serata, vero? Chissà qui, il vento! (Evan non risponde e scende) Noi ci siamo divertite. siamo andate in tutti i bar, in un raggio di cinque miglia; poi siamo tornate indietro e abbiamo cotto le aringhe nella cucina di Pam e bevuto una quantità di birra. Ne ho fatto un'indigestione Be', che ne dici del clima del nostro paese? Un po' capriccioso, no?

Evan                              - (siede sul davanzale della finestra) Abba­stanza. Il tuo dinghy se n'era andato alla deriva. Mi è toccato andarlo a ripescare.

Cherry                           - E come hai fatto?

Evan                              - L'ho raggiunto a nuoto.

Cherry                           - Ma è stata una pazzia! Avrei voluto ve­derti. Con un po' di frangia, potremmo far pubbli­care la storia nel giornale locale. Con un magni­fico titolo. « Celebre artista trascinato dalla marea ». Un bel tema per le chiacchiere della gente. E i cronisti qui alla porta...

Evan                              - Ho paura che sarebbero un po' delusi. Il battello era legato saldamente. L'ho scoperto so!o dopo aver fatto il tuffo. (Si alza e va a sedere al piano).

Cherry                           - Oh! Questo toglie interesse alla storia. Peccato. Mi stavo già figurando di vederti in mezzo al porto e la mamma che urlava dalla finestra, come la moglie di Barbablù. E' una fortuna che tu non abbia dovuto allontanarti. Se ti fossi trovato a dover nuotare un pochino più al largo, non saresti qui a raccontarmela.

La signora Tucket         - (entra col vassoio) Ecco il tè, signorina. Anche lei ne prende una tazza, signor Davies?

Evan                              - No, grazie, signora Tucket.

La signora Tucket         - Sono andata dalla mam­ma, signorina Cherry e mi ha detto che stamattina non ha tempo di far colazione perché ha troppo da fare. Ha tirato fuori tutta la biancheria dell'armadio e la sta marcando di nuovo; perfino le coperte da inverno.

Cherry                           - (beve il tè accanto al camino) Mamma ha di queste febbri di lavoro ogni tanto; e sceglie sempre momenti meno opportuni. Mi ricordo che aveva l'abitudine di vuotare l'armadio della bian­cheria il giorno prima della partenza di Jimmy pei il collegio, quando c'era bisogno che si occupasse di lui. Dobbiamo frenarla, altrimenti metterà sottoso­pra tutta la casa. Ad ogni modo, sarà una bella gior­nata. Il barometro sta salendo.

La signora Tucket         - (finisce di spolverare) Quando si alza subitamente, come quando precipita è brutto segno. Così mi ha detto Joe, quello del traghetto.

Cherry                           - Certo Joe vi avrà tenuta abbracciata tutta la notte. Non aveva altro da fare, visto che il traghetto non funzionava.

La signora Tucket         - (ridendo) Ma signorina! Un po' di rispetto per i miei capelli grigi.

Cherry                           - Perché dovrei averne, quando Joe non ne ha?

La signora Tucket         -Il signor Davies è scanda­lizzato.

Cherry                           - Proprio lui! Non è facile scandalizzarlo. Vero, Evan? Vi avrebbe tenuta abbracciata anche lui, per poco che fosse stato possibile.

La signora Tucket         -Allora so dove andare la prossima volta. Non si dimentichi, signor Davies. A volte si suonano delle belle canzoni su un vec­chio violino. (Esce da sinistra contenta del proprio scherzo).

Cherry                           - (ride e guarda Evan) Non aver quell'aria imbronciata. Che ti è successo?

Evan                              - (suona leggermente qualche accordo ogni tan­to) Proprio niente. soltanto il pensiero di un abbraccio con la signora Tucket mi riesce piuttosto repulsivo.

Cherry                           - (guardando dal finestrino) Chi crede­rebbe che dopo quell'ira di Dio di stanotte sarebbe spuntata questa meravigliosa mattinata? Dovremmo andar fuori a far merenda o qualcosa del genere. (Esce sull'imbarcatoio) Non gli è successo gran che al battello. E' soltanto pieno d'acqua piovana; nient'altro. (Stella entra. Ha un grembiulone sopra al vestito. Evan smette di suonare).

Stella                             - Dov'è Cherry? Come sta?

Evan                              - Sta benone. (Si alza) C'è qualche ragione per cui non debba star bene?

Stella                             - (siede alla sua scrivania) No... affatto. Non dipingi stamattina?

Evan                              - No. (Cherry rientra).

Cherry                           - Salve, tesoro. Hai l'aria molto casalinga.

Stella                             - Be', com'è andata? Ti è piaciuto il film?

Cherry                           - Bellissimo. Ma non era Ingrid Bergman. Era una vecchia pellicola di Grace Moore. «Una notte d'amore». Che pensi di fare adesso, cara? Cominciare con la dispensa, quando hai fi­nito l'armadio della biancheria? ,

Stella                             - E' probabile, ma prima debbo fare qual­ che telefonata.

Cherry                           - Non si può telefonare. Ci sono circa cinquanta linee interrotte fra qui e Plymouth. Se vuoi del pesce, ti avverto che non ce ne. E la po­sta è in ritardo. Questo sono le notizie del mondo esterno. (Guarda l'ima e l'altro; Stella si volge al­trove; dopo una pausa) Be', sarà meglio che vada a vuotare il dinghy.

Evan                              - (guarda Stella) Ci vado io.

Cherry                           - Oh, sei troppo gentile. Ti viene lo spi­rito marinaro tutto in una volta? Verrò a darti una mano per scendere dall'imbarcatoio. (Esce dal fon­do. Evan esita un momento; poi la segue. stella ri­mane immobile. sente Cherry che ride. Ha l'aria afflitta, ossessionata. Cerca dì prendere una deci­sione su qualche cosa. Prova il telefono ma questo non risponde).

Stella                             - (chiamando verso l’anticamera) Signora Tucket...

La signora Tucket         - (appare sulla soglia) Mi ha chiamata, signora?

Stella                             - Sì... il telefono non funziona; le linee devono essere interrotte o c'è qualche altro guasto... Ho bisogno di parlare stamattina col signor Nanson... una cosa importantissima. Potreste farmi il favore di arrivare da lui, sulla collina e dirgli di passare di qui appena può?

La signora Tucket         - (asciugandosi le mani col grembiule) Sì, signora. Vado subito. Questione di pochi minuti.

Stella                             - Grazie. (Torna alla scrivania; è nervosa).

Cherry                           - (entra dal fonda ridendo) Non so che cosa è successo a Evan.

Stella                             - Perché?

Cherry                           - Ha insistito per vuotare lui il battello e mi ha detto di venire in casa e occuparmi di te. Molto filiale. sono proprio commossa. Che hai, te­soro? Mi sembri preoccupata.

Stella                             - (si alza dalla scrivania) Non ho niente. Debbo andare a mettermi in ordine. Fra poco vie­ne Roberto.

Cherry                           - Roberto sta molto sulla sua da un po' di tempo. Credo che Pam abbia ragione.

Stella                             - In che cosa?

Cherry                           - Secondo lei, e anche secondo parecchie altre persone, Roberto non viene più qui perché ha antipatia per Evan.

Stella                             - (nervosa) Che assurdità.

Cherry                           - (sedendo) Pare anche a me. E poi, an­che se fosse vero, non me ne importa proprio nien­te. Roberto è proprietà tua, non mia.

Stella                             - (prende una decisione, con grande sforzo) Cara., debbo parlarti... molto seriamente.

Cherry                           - (indifferente) Di che?

Stella                             - Di... te e di Evan. Questa vita in co­mune non va. Voi due dovreste star soli.

Cherry                           - Non dire ridicolaggini.

Stella                             - Non sono ridicolaggini. Quello che dico è giusto. Me ne sono resa conto da un pezzo. (Si muove irrequieta per la stanza).

Cherry                           - (sbigottita) Ma a noi piace stare qui e stare con te. Evan è tutto diverso da com'era a Londra. E' felice, sta bene in salute e non tocca quasi più whisky. E per di più, sta facendo pit­tura di prim'ordine. Non puoi immaginare che belle cose.

Stella                             - (siede) Sì, cara, lo so. Ma lavorerebbe anche meglio e tutti e due sareste più felici se rima­neste qui soli. Parlo con semplice senso comune. Tre è un numero disgraziato e lo è sempre stato. Vivere coi parenti è piacevole per un certo tempo, ma anche un uomo ha bisogno di sentirsi in casa sua... di non sentirsi ospite in casa altrui. So che a Evan il posto piace; e quanto a te... ti piacerebbe molto di più se fosse tuo.

Cherry                           - Non capisco. Come mai ti è venuta quest'idea così improvvisamente? (Si alza, va verso dì lei, stupita) Che ti ha detto Evan? Siete tanto strani stamattina, tutti e due. se è stato poco gen­tile o sgarbato con te, non glielo perdonerò mai!

Stella                             - (avvilita) Ma non è stato né sgarbato ne poco gentile. Tutto questo lo avevo in mente da diverse settimane. Forse il temporale di ieri sera me lo ha fatto vedere più chiaramente. Ero sveglia, e pensavo a voi due; e pensavo anche a me stessa. Se non è giusto per te ed Evan stare qui con me non è neanche giusto per me stare qui con voi. Cherry... che ne diresti se ti dicessi che ho deciso di sposare Roberto?

Cherry                           - (la fissa inorridita) Oh mamma!

Stella                             - Perché no? Sì, lo so che ne abbiamo sempre riso... Tu, Jimmy ed io abbiamo sempre scherzato sulle richieste matrimoniali «routes». Ma eravamo ingiusti.

Cherry                           - (adirata e con rimprovero) Non hai mai parlato in questo modo. Hai riso, sempre, di Roberto e della sua orribile casa piena di modelli di navi e di uccelli impagliati! Impazziresti dall'or­rore, se dovessi abitare là.

Stella                             - La casa per se stessa è carina; e così pure il giardino. Soltanto è trascurata; nient'altro. E ad ogni modo, è un uomo della mia età, della mia generazione, e ci comprendiamo a vicenda. (Si alza).

Cherry                           - (quasi sfidandola) E gli dirai tatto que­sto stamattina, quando verrà?

Stella                             - (con lo stesso tono) Probabilmente sì. Perché?

Cherry                           - (molto sconcertata) E allora va bene. Fai pure. se vuoi commettere un grandissimo er­rore, fallo. Non è tua figlia che te lo può impedire.

Stella                             - (supplichevole) Cherry...

Cherry                           - (amara, senza voltarsi) Che vuoi?

Stella                             - (vorrebbe parlare ma non può. Va un ge­sto con la mano) Niente... niente... (Esce da si­nistra molto commossa).

Cherry                           - (quasi in lacrime, va alla porta in fondo e chiama fuori) Evan? Vieni qui. Ho bisogno di parlarti (Rientra e va al caminetto).

Evan                              - (appare sulla porta strizzando uno straccio) Che c'è?

Cherry                           - Che cos'ha la mamma?

Evan                              - Come? Perché? (Butta lo. straccio sull'im­barcatoio).

Cherry                           - Non ne avrai fatta una delle tue, ieri sera? Non ti sei ubriacato o sei stato villano o altro?

Evan                              - No.

Cherry                           - Ma allora che le è successo? Ha detto un sacco di cose assurde, sulla necessità di andar­sene e lasciare la casa a noi. E dice che non è più felice qui e vuole sposare Roberto.

Evan                              - (molto piano) Ah!

Cherry                           - Ieri era perfettamente normale. Che diamine le è successo? Se si butta a capofitto a commettere una sciocchezza con la pazza idea di aiutarci, non so che farò.... L'adoro io! (Sta per piangere. Volta le spalle a Evan).

Evan                              - (lentamente) Tanto le vuoi bene?

Cherry                           - E' la sola persona che conti, nella mia vita, dopo di te. E' vero che scherzo e la prendo in giro per la sua mentalità «Ottocento»; ma lei sa benissimo che questa è la ragione principale del mio affetto infinito. Se mi chiedesse di uccidermi, lo farei.

Evan                              - (commosso) Non me lo hai mai detto. Mai. Credevo che Stella fosse per, te qualche cosa di... abitudinario. Ed hai uno strano modo di mo­strare il tuo affetto, sai!

Cherry                           - (soffocata) Non sono mai stata capace di dire a una persona quanto l'amo.

Evan                              - E' così? (La fissa un momento, poi va a destra e versa un po' di whisky in un bicchiere. Una pausa).

Cherry                           - Un po' prestino, no, per bere?

Evan                              - Troppo presto.

Cherry                           - Ne berrei anch'io, se non avessi paura che mi faccia male. Mi sento tanto giù... (Si guarda nello specchio) Ho bisogno di lavarmi la faccia.

Evan                              - Fa sempre bene (E' detto mezzo scherzosamente).

Cherry                           - (gli sorride con malinconia) Questa è una delle cose simpatiche nel nostro matrimonio. Nessuna falsa sentimentalità. Sappiamo sempre come la pensiamo, uno dell'altro. Come se fossimo sposati da anni. Oh, Evan... che dobbiamo fare?

(Gli si avvicina impulsivamente).

Evan                              - (lentamente) Non lo so... (Voci in anti-camera).

La signora Tucket         - (d. d.) Vuole accomodarsi? Credo che la signora sia qui.

Cherry                           - ( agitata, va verso il fondo) E' Roberto! Non posso trovarmi con lui; direi qualche tremenda scortesia e renderei la situazione cento volte peggiore. Te la caverai tu... (Corre fuori dalla porta dell'imbarcatoio. Evan ascolta, si versa ancora del whisky, riflette).

Roberto                         - (entrando) Salve, salve! Buongiorno.

Evan                              - Buongiorno.

Roberto                         - Che brutta nottata, eh?

Evan                              - Orribile.

Roberto                         - La pioggia ha filtrato il tetto dello studio?

Evan                              - Non me ne sono accorto.

Roberto                         - Lo domando perché una volta, quando mi servivo della soffitta come deposito per le vele, ci pioveva dentro.

Evan                              - Non sapevo che aveste frequentato molto la soffitta.

Roberto                         - No? Dimenticate che sono amico di famiglia da quindici anni.

Evan                              - Oh, me lo ricordo anche troppo. E' cosa che vi dà un enorme vantaggio su chiunque altro. Ne volete? (Indica il whisky).

Roberto                         - (gesto di rifiuto) No, grazie. Ho fatto colazione appena un'ora fa.

Evan                              - E con questo? L'ho fatta anch'io. (Versa ancora nel bicchiere) A volte, sapete, mi pare che voi ed io ci rassomigliamo molto.

Roberto                         - Non posso dire di avere la stessa idea. Credo che non esistano due persone più diverse.

Evan                              - Superficialmente... sì. Ma interiormente, e quando si tratta di qualche cosa di fondamentale, allora ecco la somiglianza. Tutti e due abbiamo una tenacia di propositi incrollabile. Tutti e due siamo capaci di controllare emozioni a volte profonde solo con la forza di una decisione ferrea; e quando si tratta dei nostri affetti, una volta fatta la nostra scelta non cambiamo più...

Roberto                         - Un bellissimo discorso. Ma non ho la più lontana idea a che cosa si riferisca, e perché sia pronunciato a quest'ora mattutina.

Evan                              - No?... Allora non pensiamoci più. Non ha importanza, in verità. Ma quello che avete detto della soffitta mi ha fatto pensare. Un'ora... contro quindici anni. Molto arretrato da ricuperare. Voi vincete la partita. Sapete, con un altro bicchiere di whisky divento addirittura eloquente. sono stato un grande imbecille in queste settimane a vivere di frutta e di limonate. Fatale per l'ingegno. Col tempo, avrebbe finito di rovinarmi. Il whisky è e sarà sempre l'unica bevanda per un individuo che ha il mio temperamento. Specialmente alle dieci del mattino. (Sale la scala dello studio con un passo un po' vacillante).

Roberto                         - Sono ben contento di poter dire che non ne assaggio mia prima delle sei pomeridiane.

Evan                              - E' l'unico errore della vostra vita. Questo - (accenna al whisky) mette a posto lo stomaco, rin­salda i nervi e vi fa dire accidenti... a tutte le donne che amate. (Mentre egli parla, Stella entra da sinistra. Si è tolta il grembiulone e porta un piatto di frutta e della limonata) Ah! Com'è ap­propriato! La padrona di casa che porta fra le mani un grappolo d'uva... Per voi, naturalmente, Ro­berto. Uva dolce, immagino, non acerba. Un po' di whisky, Stella? (E' evidente, per gli altri due, che Evan è più che brillo. Stella guarda la bot­tiglia, poi Evan).

Roberto                         - Dovevate parlarmi di qualche cosa, Stella. Ma forse sarà meglio che io venga in un altro momento. (Non bada più a Evan; come se egli non ci fosse).

Evan                              - Molto meglio. Ora abbiamo tutti molto da fare per mettere in ordine l'armadio della bian­cheria.

Roberto                         - (a Stella) Se per voi è impossibile avere qui un po' di libertà, venite da me. Naturalmente, se si tratta di cosa urgente...

Stella                             - Sì, è piuttosto... urgente.

Evan                              - (appoggiato alla ringhiera) Macché, non può essere tanto urgente. Hai aspettato più di dieci anni senza venire a una decisione. Certo un'ora di più o di meno non ti farà morire.

Roberto                         - Cherry è in casa? Se c'è, non sarebbe male che persuadesse suo marito ad andare a letto. Mi pare che sia già a temperatura alta.

Evan                              - Niente affatto, vecchio amico. Sono ancora in ottima forma. Non romperò la faccia a nes­suno almeno per altre ventiquattr'ore.

Stella                             - (lentamente) Sarà meglio che andiate via, Bob. Io so come fare con Evan.

Roberto                         - (volgendosi altrove) Se avete bisogno di me, Stella, sarò in casa tutto il giorno. Anzi, sarà bene che voi e Cherry veniate su a mangiare, a mezzogiorno. E se avete in casa ancora di quella roba (accenna al whisky) sarà meglio che la met­tiate sottochiave. (Esce da sinistra).

Stella                             - (torna in centro. A Evan) Come ti per­metti di comportarti così in casa mia?

Evan                              - (scende vivamente) Perdonami. Volevo levarmelo dai piedi. Non c'era altro mezzo.

Stella                             - (lo guarda sbalordita) Non sei... ubriaco?

Evan                              - Ci vuol altro che un paio di whiskies per ubriacarmi! No, sono perfettamente in me. E quello che importa, è che ho raggiunto il mio scopo. Non hai parlato da sola con Roberto. E non gli parlerai.

Stella                             - (va al caminetto voltandogli le spalle) Che cosa ti fa pensare che volessi parlargli da sola?

Evan                              - Me lo ha detto Cherry. Non gli dirai che sei disposta a sposarlo.

Stella                             - Perché no?

Evan                              - Perché non lo ami e non lo amerai mai.

Stella                             - Roberto mi ama fedelmente e devota­mente da quindici anni. Mi hai detto che sono sola; e avevi ragione. sposando Roberto mi premu­nisco contro la futura solitudine.

Evan                              - Non serve. Inutile mentire.

Stella                             - Evan... non posso continuare a vivere in questa casa con te e con Cherry. Non posso, dopo quello che ci siamo detti ieri sera.

Evan                              - (le va vicino. Le prende le mani. Calmo) Quello che abbiamo detto ieri sera dev'essere dimen­ticato. Ti amo abbastanza per riuscirvi. Non ac­cadrà mai più che io ti baci. Forse non mi credi...

Stella                             - Ti credo. Credo che tu abbia una forte volontà, ma io non l'ho. Tu potresti continuare a star qui, e tutto continuerebbe per te come prima. Ma io non potrei. Sono fatta in un altro modo, io. (Sì stacca da lui, va verso destra).

Evan                              - Non capisco.

Stella                             - (con crudeltà) No?!... la tua generazione non capisce.

Evan                              - E vorresti rinunciare a tanta compren­sione, cameratismo, affetto... per quello che ti ho detto e che tu non volevi sentire?

Stella                             - (siede sullo sgabello del piano e lo guarda) Ma sì che volevo sentirlo. Questo è quello che non posso perdonarmi. Questo è quello che mi ha resa sleale e traditrice... Evan, quando mi sono guardata poco fa nello specchio, la luce del mat­tino è stata senza pietà. Era la vera Stella quella che mi guardava. Avresti dovuto finire il ritratto in quel momento.

Evan                              - Chi è la vera Stella?

Stella                             - Una creatura dura ed egoista, con strani e spaventosi pensieri. Una persona che in poche ore è diventata gelosa della propria figlia. (Distoglie lo sguardo).

Evan                              - Che stai cercando di dirmi?

Stella                             - Tutto... e nulla. (Sì alza, va alla fine­stra) Quello che so è che il mondo è diventato diverso; mi sento sconcertata, smarrita, sgomenta in un modo che non riesco a capire.

Evan                              - Stella... cara... (Va verso dì lei).

Stella                             - (tendendo le mani per tenerlo lontano) No... (Indietreggia, si regge alla scala dello studio) Vedi... tutti e due siamo diversi da ieri.

Evan                              - Forse. Ma se credi questo, come puoi andartene da questa casa e sposare Roberto? (Va vivamente verso di lei; Stella lo guarda immobile) Puoi farlo? (In questo momento si sente bussare alla porta d'ingresso e la voce di Cherry).

Cherry                           - (d. d., forte) Va bene. Datelo a me. (Entra da sinistra con un telegramma) Un tele­gramma per te, tesoro. Il fattorino aspetta, se per caso vuoi rispondere.

Stella                             - (si rimette con grande sforzo) Un tele­gramma... di chi? Che cos'è?

Cherry                           - Non ne ho la più lontana idea, gioia cara. E' meglio aprirlo e leggerlo. (Le dà il tele­gramma e va a sedere sul divano).

Stella                             - (si guarda attorno) Dove ho messo gli occhiali?

Evan                              - (calmo) Sono nello studio. Ma non ne hai bisogno con questa luce. (Stella lo guarda. Poi va vicino alla porta in fondo per leggere il tele­gramma).

Cherry                           - Grandi notizie?

Stella                             - (è turbata e allarmata. Un po' stordita) E' di Jimmy. La sua nave è arrivata ieri sera a Plymouth, e lui ha avuto non so che incidente. Dice che la gamba... Un osso fratturato... Arriva oggi in licenza per malattia. (Va verso Cherry).

Cherry                           - Sempre così, Jimmy. Arriva quando meno lo si desidera.

Stella                             - (ansiosa e amorosa) Ma io lo desidero sempre.

Cherry                           - L'agnellino smarrito che torna all'ovile.

Evan                              - (dolcemente) Non è l'agnellino smarrito: è il piccione domestico... Be', Stella, c'è il fattorino che aspetta; vuoi rispondere?

Stella                             - Sì... sì, naturalmente. Hai un lapis? (Siede vicino a Cherry).

Evan                              - Lo scriverò io. Che cosa vuoi dire? (Vede che Stella non riesce a concentrarsi. Trae dì tasca un lapis e una busta vecchia e scrive).

Stella                             - (dopo una pausa, lentamente) Scrivi: « La tua camera è pronta per te come sempre, te­soro mio. Tenerezze». E firma: «Mamma». (Evan scrive).

QUADRO SECONDO

Sei ore più tardi. Il sole penetra adesso attraverso il finestrino della porta in fondo e i suoi raggi sono sul tappeto.

(Jimmy è coricato sul divano, con la gamba sor­retta da un cuscino. Lancia delle frecce di carta contro un bersaglio che è accanto alla mensola del camino, ma senza alcun successo. Cherry è accoccolata sul pavimento e legge un libro. Un grammo­fono suona, col massimo volume di voce, una stri­dula rumba. Evan siede accanto alla porta in fondo e guarda il porto dal finestrino aperto. Si ha l'im­pressione che ascolti la conversazione dei due, ma senza parteciparvi).

Jimmy                           - Non è questione di apparenza. E' il loro modo di muoversi, di sorridere, di chiacchierare... Ti dico che le nostre donne non possono neanche paragonarsi con quelle del Sud-America.

Cherry                           - (senza alzare gli occhi dal libro) Fatti marinaio per vedere il mondo.

Jimmy                           - C'è poco da scherzare. Parlo su serio. Il modo di concepire la vita è del tutto diverso, per le donne di oltre Atlantico. Non puoi imma­ginare che cosa succede, Cherry, quando uno di noi sbarca in quei luoghi.

Cherry                           - Oh, lo immagino benissimo. E' quello che voialtri definite « piantare la bandiera » e costa parecchi milioni ai contribuenti inglesi. (Rac­coglie una freccia lanciata da Jimmy) E non ti insegnano neanche a mirare dritto.

Jimmy                           - Sei invidiosa perché non sei mai uscita dall'Inghilterra. A proposito... Ti ho mai raccon­tato quella storia della ragazza, lo scozzese e il sottomarino?

Cherry                           - Sì. E non ho voglia di risentirla.

Jimmy                           - Ah... Be', ce n'è una anche più buffa su una vecchia, una bottiglia di cognac e un cacatoé.

Cherry                           - Taci. La mamma può sentire.

Jimmy                           - (si agita inquieto) Accidenti a questo maledetto piede. Avrei voglia di un bicchiere di birra, Cherry.

Cherry                           - Chiama perché te lo portino.

Jimmy                           - (gridando) Mamma! (Fra se) Bel diver­timento qui inchiodato. Dio sa per quanto tempo. Mamma!

Stella                             - (dall'anticamera) Vengo, tesoro. (Entra portando un pesante cesto di legna che posa ac­canto al camino, ansando un poco. Evan, voltan­dosi, vede e si alza per aiutarla, via troppo tardi).

Jimmy                           - Dammi un po' di birra, mamma. E un altro pacchetto di sigarette. Dove sei stata finora?

Stella                             - A occuparmi di cento cose, tesoro mio. La signora Tucket il sabato va via a mezzogiorno. Ora vado a prenderti la birra.

Cherry                           - Due bicchieri, mammina. Voglio bere anch'io. (Stella va alla credenza per prendere i boc­cali e la birra, ma Evan l'ha raggiunta preceden­dola. Mette i boccali e la bottiglia su un vassoio, senza dir niente. stella lo guarda un momento, poi si volge altrove. Evan va a sedere sui gradini della scala. Il grammofono è assordante).

Stella                             - Oh Jimmy... no, no... chiudilo. (Si porta le mani alle orecchie) Fa un tale chiasso...

Jimmy                           - (sorpreso) Scusami. Non me n'ero ac­corto. (Chiude) Mi pareva una bella musica.

Stella                             - La sentirò più tardi. (Dà la birra ai due figli).

Jimmy                           - Perché non ne bevi anche tu? Ti fa­rebbe bene.

Stella                             - Non ne ho voglia, caro.

Jimmy                           - Hai paura che ti faccia ingrassare? '

Stella                             - Oh, non me ne importa niente, di quello. Come va il piede?

Jimmy                           - (irritato) Mi dà un fastidio d'inferno. Non potresti allentarmi un poco la fasciatura?

Stella                             - Fra poco sarà qui il dottore. Ti fascerà lui come si deve. (Si china a guardare il piede).

Jimmy                           - Niente affatto. Sarà mille volte peggio. Fanno sempre così loro. Ahi, sta' attenta!

Stella                             - Scusami, caro. Non vedo il nodo.

Jimmy                           - Non hai gli occhiali?

Stella                             - No. (Si guarda attorno. Si muove per cercarli. Evan, senza dir niente, tira fuori di tasca gli occhiali e glieli dà. Questo gesto ha per loro due un significato che bisogna intuire).

Stella                             - (con voce quasi impercettibile). Grazie. (Va ad inginocchiarsi accanto al sofà, allenta il nodo; Evan la guarda, appoggiato alla ringhiera).

Jimmy                           - Forse avrei avuto la possibilità di essere nominato nella nostra squadra di calcio, e doveva andarmi a succedere questo.

Cherry                           - Se vai a fare gli esercizi sulle torrette della nave e scivoli che cosa puoi aspettarti d'altro?

Jimmy                           - Non ero sulla torretta, idiota. Ero nella Santa Barbara. E se quell'imbecille di McFadden non mi avesse dato uno spintone, non sarebbe suc­cesso niente.

Cherry                           - Poco male. Il piede di un guardiama­rina. 0 la faccia di un guardiamarina. E giocare come degli stupidi nella Santa Barbara. Sfido io che il pubblico ha sempre una grande opinione della nostra Marina!

Jimmy                           - Oh, ma brava; dieci con lode.

Stella                             - Ragazzi... ragazzi... (Sì alza e aggiusta il cuscino sotto alla testa di Jimmy; poi si china a baciarlo) Va meglio cosi, caro?

Jimmy                           - (le sorride) Molto meglio. (Le accarezza la guancia; Evan, che è sempre appoggiato alla ringhiera, si muove inosservato e sale nello studio. A Stella) Suvvia, non puoi sederti un momento qui vicino? Non abbiamo ancora scambiato due parole, in tutto il giorno.

Stella                             - (siede accanto a lui sul divano) Non è ; vero. Ho giuocato due ore a « backgammon » con te, dopo la colazione.

Jimmy                           - Sì, ed eri terribilmente distratta. Non sapevi mai quello che facevi.

Stella                             - Non ricordo più come si giuoca quando stai via tanto tempo.

Jimmy                           - Puoi giocare con Evan quando io non ci sono. E' bravissimo. Mi ha dato una di quelle le­zioni, prima del tè... Vero, Evan? Oh... dov'è Evan? (Tutti guardano verso lo studio).

Cherry                           - Sarà andato a rimuginare suoi suoi quadri.

Jimmy                           - E tu non «rimugini» con lui?

Cherry                           - No. Non conosci mio marito. E' di quei gatti che camminano soli.

Jimmy                           - Però mi pare che tu non abbia scelto male, sorellina. Tu che ne pensi di tuo genero, mamma?

Stella                             - Mi piace molto.

Jimmy                           - Veramente, ora che ci penso, è più vi­cino alla tua generazione che alla nostra.

Cherry                           - Dovresti vederli insieme la sera! Posi­tivamente ante-prima-guerra. Evan siede al piano e suona dei valzer, mamma sta a guardare il fuoco con aria sentimentale. Uno spettacolo da spezzare il cuore!

Jimmy                           - Affascinante! Ci offri una rappresenta­zione stasera, mammina? Un bel pianto ci starebbe bene, no? (Stella si alza) Oh, eccola di nuovo in movimento; proprio ora che cominciavamo a stare un po' quieti. Come sta il tuo adoratore, mam­mina?

Stella                             - (subito sensibile) Che dici?

Jimmy                           - Avanti, non fare la ritrosa. Il fedele Ro­berto. Ha ripetuto la sua domanda recentemente? Ora che non hai più da pensare a Cherry, sarebbe il momento di prenderla in considerazione. (Cherry gli fa dei cenni per farlo tacere; ]immy rimane per­plesso) Eh? Oh... (Comincia a zufolare) Non so perché ho tanta sete. Avresti ancora della birra?

Stella                             - Credo di sì. (Va alla credenza) Lo ri­cevi qui il dottore, o in camera tua?

Jimmy                           - In camera mia. La luce è migliore, per osservare bene la ferita esterna.

Stella                             - Allora vado a preparare degli asciuga­mani puliti e dell'acqua calda. (E' irrequieta; ha bisogno di essere occupata).

Jimmy                           - Non c'è fretta.

Stella                             - Meglio che vada a preparare tutto adesso. Così non ci penso più. (Si ferma un mo­mento, guarda verso lo studio, esita poi esce da sinistra).

Jimmy                           - Che succede? Perché mi hai fatto quei cenni?

Cherry                           - Volevo dirtelo, ma non abbiamo an­cora potuto parlare. Roberto è un argomento che bisogna non toccare in questo momento. C'è tutto un dramma che si sta svolgendo.

Jimmy                           - Hanno litigato?

Cherry                           - Magari! Ha detto che lo sposa.

Jimmy                           - Dio mio, no? Così all'improvviso? Senza motivo?

Cherry                           - Nessunissimo. Soltanto, continua a dire che Evan ed io dovremmo star soli. Che abitare qui tutti insieme non è bene per nessuno.

Jimmy                           - Ma vanno d'accordo, no?

Cherry                           - Chi? Mamma ed Evan? Altro che; ami­coni... Perciò si stava bene qui. Tutto andava liscio. Naturalmente, lui è un « nuovo venuto » in fami­glia; non dobbiamo dimenticarlo. Non può com­prendere mamma come la comprendiamo noi.

Jimmy                           - Questo è certo.

Cherry                           - (muovendosi attorno) Gli uomini sono così egoisti. Chi sa se Roberto non è riuscito a commuoverla parlandole della sua solitudine e di­cendole che non può vivere senza di lei... Mamma ha un cuore così tenero che è capacissima di im­pressionarsi. Se pensa di rendere infelice qualcuno, non resiste a quest'idea. Le sembra di commettere un delitto.

Jimmy                           - Questo è il guaio della sua generazione. Prendono tutto talmente sul serio...

Cherry                           - Lo so. Sono «fatali». Perché non si comportano come noi?

Jimmy                           - Forse vedere te ed Evan insieme le ha dato la sensazione di essere un'intrusa? Sembra una stupidaggine; ma tu capisci che cosa voglio dire.

Cherry                           - (crollando la testa) No. Evan ed io siamo così talmente semplici, talmente « buoni compagni»...

Jimmy                           - Meno male! Di solito è imbarazzante stare in una casa con due sposi o fidanzati; si guar­dano continuamente, hanno le loro allusioni, e chi assiste si sente a disagio. Se tu ed Evan foste così, capirei che la mamma a un certo punto si sia seccata.

Cherry                           - Tu ti seccheresti, ma la mamma è di­versa; più vede unite le persone e più è contenta.

Jimmy                           - Be', è inutile scervellarsi. Se mi parlerà di Roberto la prenderò in giro più che mai; ve­dremo come reagisce. C'è un proverbio, no, che dice che « il ridicolo distrugge tutto ».

Cherry                           - Non credo che sia disposta ad accet­tare gli scherzi. Ha quell'espressione che ti fa ca­pire che basta la più piccola cosa per farla piangere.

Jimmy                           - Allora, non c'è altro che darle molto da fare e tenerla allegra. Grandi occupazioni tutto il giorno, e la sera giochi di ogni genere. Chiasso e risate dalla mattina alla sera. Lascia fare a me.

Cherry                           - Sarà inutile.

Jimmy                           - Ti dico di no. Non possiamo permet­tere che se ne vada e sposi Roberto. Che ne sa­rebbe di me? (Mette un altro disco rumoroso).

Cherry                           - Animale egoista; ciò che importa è che ne sarebbe di lei! (Evan appare in cima alla scala e si affaccia. Deve gridare per superare il rumore del grammofono).

Evan                              - Cherry?

Cherry                           - Eccomi.

Evan                              - Il telefono non funziona ancora?

Cherry                           - Non so. Ora provo. (Va al telefono, prova) Niente. Muto. Oh, aspetta un momento... Centralino?... Sì... Mi sentite?... Sembrate lontanis­sima. Va bene, grazie. (Riattacca) Dice che stanno ancora lavorando sulla linea. Ci avvertiranno quando sarà aggiustato. Ci vorrà poco.

Evan                              - Grazie. (Scende).

Cherry                           - Vuoi che ti chiami qualcuno?

Evan                              - No, non ti disturbare. Non ha impor­tanza... (Va verso il sofà).

Jimmy                           - Visto che sei in piedi, sorellina, fammi il piacere di andare a dire alla mamma che sta­sera mangerei volentieri spaghetti al pomodoro con tanto formaggio. Lei sa come devono essere.

Cherry                           - Bell'ingordo! Nient'altro?

Jimmy                           - Sì. Dille di aprire quella bottiglia di Borgogna. L'ultima volta che sono venuto in licenza ce n'era rimasta una.

Cherry                           - L'ho vista stamattina nella pattumiera. Vuota! (Esce da sinistra. ]immy chiude il gram­mofono).

Evan                              - Come va il piede?

Jimmy                           - Male. E andrà peggio quando il dottore ci avrà messo le mani.

Evan                              - Bevi prima una buona quantità di whisky, così non lo sentirai.

Jimmy                           - Stai tranquillo. Ho del rum disopra, molto forte. Ne vuoi?

Evan                              - (sorridendo) No, almeno per ora.

Jimmy                           - Che sei stato a fare lassù? (Accenna allo studio).

Evan                              - Ho riguardato certi vecchi quadri. Ho scelto i migliori per l'esportazione, scartando gli altri.

Jimmy                           - Mi sembri molto uomo d'affari. Che ne fai di quelli che scarti?

Evan                              - Mah... li manderò all'Accademia.

Jimmy                           - Mi fai il ritratto uno di questi giorni?

Evan                              - Forse. Ma non prima che tu sia diventato Primo Lord dell'Ammiragliato. (Accende una siga­retta e siede sul Turacciolo del divano).

Jimmy                           - Dev'essere strano un artista. Immagino che vedrai nella faccia della gente espressioni che quelli come me non vedono affatto.

Evan                              - Sì... a volte.

Jimmy                           - Ricordo una volta che, da ragazzo, di­segnai un bastimento che mi pareva molto ben riu­scito. Mio padre volle vederlo e allora mi vergognai molto; andai a prenderlo e ne feci un piccolo falò in mezzo al giardino.

Evan                              - Ottima idea. Non ci avevo mai pensato.

Jimmy                           - Si potrebbe fare un bel fuoco coi tuoi scarti, in questa stanza.

Evan                              - Sicuro. (Guarda Jimmy con un'espressione mezzo stranita, mezzo divertita) Ti piacerebbe?

Jimmy                           - Sarebbe una bella fiammata. (Evan si alza, sale e torna con una tela che ha tolto dalla cornice).

Evan                              - Questo è proprio uno degli scartati. Troppo personale per la esportazione e troppo buono per l'Accademia. (E' in piedi davanti al fuoco e guarda la tela).

Jimmy                           - (cerca dì guardare anche lui, ma non ci riesce) Fammi dare un'occhiata... Oh, come sei dispettoso! Potevi lasciarmelo vedere! (Entra Stella da sinistra) E' una donna vero?

Evan                              - Sì. (Guarda Stella, al di là del divano).

Jimmy                           - Nuda?

Evan                              - No.

Jimmy                           - L'amavi?

Evan                              - L'amerò finché vivrò.

Jimmy                           - Tanto meglio per te. Io non so proprio che cosa ci trovi. Cherry è buona, cara, ma niente di speciale.

Evan                              - Cherry? Ah, sì... Be', mettiamola a bru­ciare. (Strappa in due pezzi la tela e la butta sul fuoco).

Stella                             - (venendo avanti, impulsiva) No... no... (Si inginocchia davanti al fuoco ma vede che la tela arde; ricade sui talloni, guarda Evan) Perché? (E' molto desolata. Evan non risponde).

Jimmy                           - E' matto. Completamente matto. Avrebbe potuto ricavarne un bel po' di quattrini.

Evan                              - Nemmeno per sogno. (La tela "brucia).

Jimmy                           - Eccola che se ne va in fumo. Un capo­lavoro perduto per l'umanità. E si poteva ancora salvare, se mamma si fosse voluta bruciare le mani per riprenderlo.

Evan                              - Era troppo tardi. (Si sente la campanella di bordo della porta).

Stella                             - Ecco il dottore.

Jimmy                           - Datemi una mano. (Lo aiutano ad al­zarsi) Vi avverto che se mi fa male urlerò da far venir giù la casa. (Evan gli porge il bastone) Spero che starà attento. Non sopporto il dolore. (Si tra­scina fuori appoggiato a Stella; Evan rimane im­mobile a fissare il fuoco. Stella rientra senza par­lare e si ferma dietro a lui. La luce esterna va a foco a poco diminuendo).

Stella                             - Perché lo hai bruciato?

Evan                              - Lo sai perché.

Stella                             - Avresti potuto darlo a me.

Evan                              - No. Forse un giorno lo avresti diviso con un'altra persona. Con Roberto, se lo sposi.

Stella                             - Questo non accadrà mai.

Evan                              - Ne sei certa?

Stella                             - Certissima.

Evan                              - Che cosa ti ha fatto decidere?

Stella                             - Che importa?

Evan                              - Importa... a me. (Una pausa).

Stella                             - (siede sul divano, lentamente) Ricordi che mentre allentavo la fasciatura di Jimmy, non trovavo i miei occhiali? Mi sono guardata attorno e mi sono accorta che non li avevo mai adoperati in tutto il giorno; l'ultima volta era stata ieri sera, nello studio. Mi sono ricordata che eri in ginocchio accanto a me... E quando mi hai dato gli occhiali senza una parola... c'era qualcosa nel modo in cui mi hai guardata... Ho capito che non avrei mai potuto sposare Roberto o chiunque altro. Semplice.

Evan                              - Semplicissimo. Ma è strano che tu abbia sentito questo.

Stella                             - Perché?

Evan                              - Perché nel momento in cui ti davo gli occhiali, pensavo anch'io all'avvenire.

Stella                             - L'avvenire di chi?

Evan                              - Di Cherry... e tuo... e mio.

Stella                             - Che pensi di fare?

Evan                              - L'unica cosa possibile: andarmene. (Il telefono ha un debole trillo) No, non occorre ri­spondere. Avvertono che il telefono ha ripreso a funzionare.

Stella                             - Dicendo andartene, intendi andare ad abitare altrove portando Cherry con te?

Evan                              - Non è quello che desideri?

Stella                             - (molto commossa) Sì... E avrai cura di Cherry... la farai felice?

Evan                              - Farò il possibile... Strano, non è vero? Ma tu sei la sola che conti, per lei e per me. Non so chi ti vuole più bene: Cherry o io. (Va dietro al divano) Curioso, vero? Come si può essere sve­gliati di soprassalto da piccole cose banali. Oggi ti stavo osservando; e quando ti ho vista seduta con Jimmy mi sono ricordato un'infinità di cose a cui non pensavo più da anni. E tutto il pomeriggio ha continuato a ricordare. Vedere te e Jimmy in­sieme ha aperto una porta che era rimasta moltis­simo tempo chiusa per me.

Stella                             - (dolcemente) Dimmi.

Evan                              - Non c'è altro da dire... Da principio fa male, ma poi passa. Vorrei che un giorno tu fossi fiera di me. Vorrei fare qualche cosa che ti facesse sentire... che valeva la pena di passare attraverso tutto questo.

Stella                             - (con sentimento) Ma io sono già fie­ra di te. Oh, non per i tuoi quadri! La tua pit­tura farà, da ora in poi, parte di me e sarà una cosa meravigliosa. Ma sono fiera di te perché hai deciso di fare una cosa difficile e penosa per tutte e due; senza chiedermelo prima... (Pausa) Andrai a New York, vero?

Evan                              - Credo.

Stella                             - (come se in un lampo vedesse il futuro; dolcemente)  Sarà bellissimo per Cherry. Una nuova vita... un nuovo mondo... Vedrà tante cose nuove. Quando deciderai di partire, non dovranno esservi addii, niente «ultimi momenti», saluti dal traghetto... (Si alza e va al caminetto).

Evan                              - Prometto.

Stella                             - Devi scusarti con Roberto. Crederà che tu vada a fare il direttore di una Compagnia di trasporti...

Evan                              - Non avrebbe tutti i torti. Probabilmente è quello che farò quando avrò attraversato l'Atlan­tico.

Stella                             - Se lo facessi, mi spezzeresti il cuore.

Evan                              - Davvero?

Stella                             - Sì. Abbandonare la tua arte...

Evan                              - Me ne ricorderò.

Stella                             - (siede sulla poltrona accanto al fuoco, ap­poggiando il capo alla spalliera) Chi sa se Jimmy vorrà giocare a « backgammon » tutta la sera.

Evan                              - Temo di sì. Perché?

Stella                             - Avrei voluto andare a letto presto e dor­mire senza interruzione fino a domani mattina... Sono stanchissima. (Non si accorge come queste pa­role lo commuovono profondamente).

Evan                              - (con dolcezza) Stella.

Stella                             - Sì?

Evan                              - Vorrei baciarti ora, in questo momento... lo vorrei più di quanto possa desiderare qualsiasi altra cosa al mondo.

Stella                             - (guardandolo) Perché?

Evan                              - Lo sai perché... adesso (Da lontano si sente un grido di Jimmy: « Mamma! » Stella fa un gesto e si alza) E' giusto. Va' da lui.

Stella                             - (sorride) Vengo, caro! (Esce da sinistra; il telefono squilla forte. Evan lo fissa un momento poi va a rispondere).

Evan                              - Si sente bene adesso?... Allora datemi Penzance 180... Grazie... Sì, rimango in linea... (Pausa) E' la Western Union? Mi chiamo Davies. Evan Davies. Ho mandato un cablogramma a New York ierimattina... Sì. Giusto. Bene, avete il nome e l'in­dirizzo. Ora voglio mandarne un altro che annulla quello di ieri... Sì: « Accetto vostra offerta. Parto per Londra stasera. Ritelegraferò di là per i partico­lari»... Nient'altro. Grazie (Riattacca il ricevitore. Guarda l'orologio, sale nello studio e ritorna con una valigetta e un soprabito. Posa tutto a terra, vicino alla porta dell'imbarcatoio. Cherry entra da sinistra) Mi riempi il portasigarette per piacere?

Cherry                           - Mi era parso di sentire il telefono. (Prende l'astuccio e lo riempie).

Evan                              - Sì. Ho risposto io. Era per me.

Cherry                           - Qualcosa di importante? (Guarda la valigia).

Evan                              - Molto. Debbo prendere il treno di sta­sera per Londra (Si inginocchia a chiudere la va­ligia).

Cherry                           - Oh, caro... Perché? Che è successo? (Una pausa) Scusami...

Evan                              - Di che?

Cherry                           - Ho dimenticato i nostri patti. Non farsi mai domande a vicenda.

Evan                              - A volte, però, ci vogliono. Non sono un marito molto soddisfacente, vero?

Cherry                           - Non ti vorrei diverso.

Evan                              - No? Credo che nessun'altra persona po­trebbe andare d'accordo con me.

Cherry                           - E' una fortuna, dal mio punto di vista. (Si inginocchia per aiutarlo).

Evan                              - Voglio dirti una cosa. Ho deciso di accet­tare quell'offerta di New York. Vuol dire dover lavorare come un cane; lavoro diverso da quello che ho fatto finora. Sei disposta?

Cherry                           - Lo sai già. Grazie, Evan.

Evan                              - Non una parola a nessuno; capito? E' un segreto fra te e me.

Cherry                           - (accenna di sì) Hmm.

Evan                              - Ti telefonerò domani sera da Londra, quando avrò avuto altri particolari. Ci sarà molto da fare. Bagagli eccetera. E stabilire la partenza. Tu puoi raggiungermi con la roba fra un paio di giorni. Sarà molto divertente.

Cherry                           - (felice) Sarà emozionantissimo. Credevo quasi che tu avessi rifiutato l'offerta e non volessi andare.

Evan                              - Ah sì? Dovresti conoscermi meglio. (Le fa una carezza) Strano matrimonio il nostro, vero? Così moderno...

Cherry                           - Non credo.

Evan                              - Sei molto sincera. (Le tocca i calzoni) A New York dovrai portare sottane fino alla ca­viglia.

Cherry                           - Non importa. Mi daranno del fascino.

Evan                              - Ne hai già abbastanza, faccia buffa; ma non sai servirtene. Non pensarci: imparerai. Deb­bo riempire la fiaschetta? No, meglio no. (Guarda il flacone contro luce, poi lo mette in tasca) Da ora in poi lo porterò sempre in tasca come simbolo di maturità. Mi aiuterà a ricordarmi che sono di­ventato maggiorenne.

Cherry                           - Spero bene.

Evan                              - Ma non lo ero ancora: questo è stato il male...

Cherry                           - Non me ne sono mai accorta... Sai, caro, sarà un bello trappo per tutti e due, andar­cene da qui; ma ne vale la pena. A New York lavorerai e farai delle cose più belle di tutte quelle che hai fatto fino ad ora.

Evan                              - Che cosa te lo fa credere?

Cherry                           - Così, una specie di presentimento. Mamma direbbe intuizione. A proposito: non c'è vagone-ristorante nel treno della sera. Avrai biso­gno di qualche sandwich. Vado a dirglielo.

Evan                              - No, aspetta. (Si alza. Va alla scrivania. Scarabocchia qualche cosa su un foglio) Stella ed io abbiamo parlato di questa faccenda di New York prima che arrivasse il cablogramma. Le ho detto che uno di questi giorni avrei lasciato la casa senza che se ne accorgesse; mi ha risposto che è im­possibile. Le scrivo il mio saluto e lo lascio sul pia­no. Crederà che sia uno scherzo.

Cherry                           - Ma... sei sicuro di far bene? Mi sembra uno scherzo crudele.

Evan                              - Affatto. Capirà. (Continua a scrivere).

Cherry                           - Sai, Evan... ho pensato una cosa. Se noi ce ne andiamo, la mamma avrà la casa tutta per sé, perché Jimmy che non ci sta mai...

Evan                              - Sì.

Cherry                           - Hai pensato a lei quando è arrivato il cablogramma?

Evan                              - Ho pensato a voi due. (Si alza, con la busta in -mano).

Cherry                           - Che le hai scritto?

Evan                              - (lentamente) Che lo scherzo mi è riuscito. (Mette il biglietto sul piano).

Cherry                           - Ma sei un tipo ben strano.

Evan                              - Può darsi... Cherry... Se Jimmy ti stuz­zica a proposito di un quadro che ho bruciato, la­scialo con la curiosità. Ho buttato nel fuoco un di­segno fingendo che rappresentasse te.

Cherry                           - Che idiota! E perché?

Evan                              - Un altro scherzo. Jimmy crede che io sia una celebrità nel mondo artistico.

Evan                              - Be', fanne a meno. (Voci in anticamera).

Cherry                           - Ecco il dottore. Fila, altrimenti te li troverai tutti fra i piedi.

Evan                              - Vieni con me sul traghetto; mi accompa­gnerai al treno. (Guarda nuovamente il biglietto sul piano).

Cherry                           - (lo osserva) Può darsi che non lo veda.

Evan                              - Oh, lo vedrà di certo. Mi fai un altro piacere, Cherry?

Cherry                           - Qualunque cosa.

Evan                              - Giuoca a « backgammon » con Jimmy stasera.

Cherry                           - Tutto qui? Ma certo. Sei proprio buffo, sai!

Evan                              - (vivamente) Vieni... (Escono in fretta dalla porta dell'imbarcatoio; voci in anticamera).

Stella                             - (d. d.) Starò attenta che non si muova molto. E se credete che il massaggio gli giovi, farò venire quello donna da Bodmin. Il numero del te­lefono è nell'elenco, (Jimmy entra zoppicando e appoggiandosi al bastone. Va al divano, si adagia con cautela, ha porta esterna sbatte. stella entra).

Jimmy                           - Grazie a Dio è finita. Che mano pesante, quel vecchio maniscalco.

Stella                             - Ma non ti ha fatto troppo male, gioia! Ora resta sdraiato e lascia che ti metta un cuscino dietro le spalle. (Eseguisce) Così va bene. Vuoi bere qualcosa?

Jimmy                           - Ora no. Aspetterò l'ora di cena. Sei set­timane, ha detto che dovrò stare qui con questo piede inutile... Che farò tutto questo tempo?

Stella                             - Sta' tranquillo, caro. Penserò io a curarti.

Jimmy                           - Fa un po' freddo, ora. Metti della legna sul fuoco, per favore. Il falò di Evan ha fatto una quantità di cenere e ha spento la fiamma. (Stella si china su fuoco) Dov'è Evan? Digli che venga a tenermi allegro.

Stella                             - Sarà nello studio. Ora lo chiamo. (Va sulla scala e chiama « Evan » ma senza aver rispo­sta).

Jimmy                           - (accende una sigaretta e gira la manovella del grammofono) Sai che facciamo stasera? Dob­biamo passare una serata allegra, con una quantità di musica. Evan suonerà il piano ed io metterò su tutti i vecchi dischi che sono in casa. (Mentre parla e mette su il disco, Stella trova il biglietto sul pia­no: lo legge; poi tenendolo in mano va al finestrino e guarda attraverso il porto. Rimane in silenzio, con le mani appoggiate all'orlo del finestrino) Ti divertirai tu, vero, gioia? (Il grammofono comincia a suonare il disco di « Anna ha preso il suo fucile ». Jimmy fischietta e canticchia: « So usarlo meglio di te»...) Che stai facendo?

Stella                             - (dopo un momento) Guardavo il tra­ghetto.

Jimmy                           - Dov'è?'

Stella                             - E' già a metà del porto. A momenti sarà sull'altra riva.

Jimmy                           - Vuoi chiudere la finestra, per favore? C'è una corrente che mi arriva dritta nelle spalle. (Stella aspetta un momento, poi chiude il finestrino e la porta. Va alla scrivania, mette la lettera in un cassettino, lo chiude. Va al camino, accende la lam­pada, guarda Jimmy).

Stella                             - Su, caro; abbiamo tempo di fare una partita prima che vada ad occuparmi della cena. (Siede accanto a Jimmy sul divano e agita i dadi; Jimmy canticchia seguendo il disco che ripete una canzone con una stridula voce femminile. Jimmy prende i dadi per la prima mano sempre ripetendo le parole della canzone; inavvertitamente ed astrat­ta, anche Stella le ripete).

FINE