Maria Maddalena

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MARIA MADDALENA

MARIA MADDALENA

Tragedia borghese in tre atti

Di FEDERICO HEBBEL

Traduzione e riduzione di Raffaello Melani

PERSONAGGI

MASTRO ANTONIO, falegname

TERESA, sua moglie

CLARA, CARLO, suoi figli

LEONARDO

FEDERICO, segretario del Borgomastro

WOLFRAM, mercante

ADAMO, usciere

UN ALTRO USCIERE

UN RAGAZZO

UNA DOMESTICA.

In una piccola città.

«Tragedia borghese che, rappresentata per la pri­ma volta allo Stadtheater di Lipsia nel 1846, segna una data saliente negli annali del teatro europeo. Con elementare potenza di rilievo e di sintesi. Hebbel vi rinnova, risolutamente e. dal profondo, pur nell'angustia di un umile interno familiare, la rappresentazione tragica della vita a lui con­temporanea; Con questa tragedia che per la novità del disegno e la incisiva vigoria dei suoi scorci è giustamente considerata come una delle più ori­ginali e significative dell’ Autore, Hebbel riassume e risolve le aspirazioni del dramma romantico tedesco e ricreandone le forme e gli spi­riti, preannunzia e precorre l'intimità espressiva e l'essenziale concretezza del miglior teatro mo­derno, che Ibsen e Hauptmann partono dalla «Maria Maddalena ». Un'opera dunque, degna di reggere il confronto con i maggiori classici; un autentico capolavoro.».

ATTO PRIMO

 (Stanza in casa del falegname Mastro Antonio. Clara è intenta ad osservare sua madre, che si è vestita per an­dare a messa).

Clara                             - Ti sei messa il vestito da sposa! Come ti sta bene! Sembra fatto oggi!

Teresa                            - Sai, bambina mia, la moda corre tanto che, quando non sa più dove andare, bisogna ohe si rifaccia da capo. Questo vestito sarà passato e tornato di moda almeno dieci volte.

Clara                             - Questa volta, però, mamma cara, non direi proprio del tutto: le maniche, sono un po' troppo larghe. Non avertene a male.

Teresa                            - Avermene a male, io? Che dici? Non sono mica come te! .....

Clara                             - Il giorno del tuo matrimonio eri dunque ve­stita così. E avrai avuto in capo anche la tua brava ghirlanda !

Teresa                            - Certo che l'avevo. A che scopo avrei colti­vato per degli anni la mia mortella?

Clara                             - Io te ne ho pregata tante volte, ma tu non hai mai voluto mettertelo, col dire che ormai non era più il tuo vestito da sposa, ma quello da morta, e che, con la morte, non bisognava scherzare; tanto che, ogni volta che lo vedevo appeso là, tutto bianco, alla parete, non lo potevo guardare, senza che mi si riaffacciasse quél brutto pensiero alla mente!... Come mai oggi ti sei decisa?

Teresa                            - Oh! quando non si sta bene, e il male è così grave da non sapere se si potrà guarire, come è stato quello che ho avuto io, ci passano per la testa tante idee... La morte, sai, ifa più paura di quanto non si dica. E' una cosa assai triste! Un gran buio!... Nórt incon­trare più gli occhi di quelli che ci vogliono bene... .del marito e dei figli... un gran buio; sebbene, allora, ti si accenda nel cuore una luce che ti fa vedere assai chiare molte cose, e più di quelle che tu vorresti vedere. Io non credo di aver commesso dei grandi peccati a questo mondo. Ho seguito le vie del Signore e, in casa, ho fatto tutto quello che ho potuto. Ho allevato te e tuo fratello nel santo timor di Dio e ho cercato, per quanto era in me, di risparmiare del sudore a tuo padre. Coi poveri, poi, se m'è riuscito di metter da parte qualche soldo, non sono stata davvero senza carità. Ma tutto ciò éhe vuol dire? Dinanzi alla morte si trema sempre; e, rag­gomitolati in noi stessi come dei vermi, si scongiura il Signore che ci conceda ancora qualche giorno di vita.

Clara                             - ìNon fare questi discorsi, mamma, che ti danno pena.

Teresa                            - No, figliuola mia, mi fanno bene. Eccomi, infatti, qui sana e forte. Il Signore ha voluto solo av­vertirmi sull'orlo del sepolcro, perchè io potessi vedere se il mio vestito di nozze era ancora pulito e lindo come allora; per farmi volgere un po' indietro, e darmi Così il tempo di prepararmi ad altre nozze: a quelle del Cielo! Egli non fu altrettanto misericordioso con quelle sette vergini del Vangelo, che mi hai detto ieri sera. Ecco com'è iche oggi, per andare in chiesa a far la Comunione, mi son messa quest'abito. Il giorno che lo portai per la prima volta formai i più santi propositi della mia vita. Oggi esso deve ifarmi ricordare di quelli che mon ho an­cora adempiuti.

Clara                             - A sentirti parlare, ti si direbbe tuttora malata.

Carlo                             - (entrando) Buongiorno mamma! Addio Clara! Non rispondi? Si vede bene che, se non fossi tuo fra­tello, tu non imi potresti soffrire. Che guardi?

Clara                             - Codesta catena d'oro dove l'hai presa?

Carlo                             - Come, dove l'ho Dresa? Non lavoro io come un dannato? Perchè faccio tutti i giorni lo straordinario? Sei una bella sfacciata!

Teresa                            - Figliuoli, non leticate: è domenica! Vergo­gnati, Carlo!

Carlo                             - Mamma, non avresti mica per caso un fio­rino ?

Teresa                            - Non ne ho proprio punti 'da darti; quei po­chi iche ho, mi bastano appena per la spesa.

Carlo                             - E dammi, uno di quelli; e non brontolerò,poi, se per un 15 giorni le tue frittate saranno un pò troppo sottili. Lo so che fai sempre così. Per dei mesi a tavola piamo stati piuttosto male, solo perchè si doveva comprare il vestito bianco a Clara. Io facevo le viste di non accor­germi di nulla; ma lo sapevo benissimo che cosa c'era per la strada : un qualche gingillo, o un qualche capo nuovo per lei. Ebbene, fallo, per me questa volta.

Teresa                            - Sei uno sfacciato!

Carlo                             - Io eh? Bene! Non ho tempo da perdere, altrimenti... (Fa per andarsene).

Teresa                            - Dove vai?

Carlo                             - Non te lo dico. Così, se il vecchio genitore ti chiede di me, e l'orso brontola, tu, senza compromettere la tua coscienza e doverne arrossire, puoi rispondere che non lo sai. Del tuo fiorino, infine, non ho un asso­luto bisogno; e poi, è meglio non attinger sempre tutta l'acqua allo stesso pozzo. (Esce).

Clara                             - Che sussurrava? Che avrà voluto dire?

Teresa                            - Benedetto ragazzo! Mi fa star male. Sono stata troppo buona con lui. Suo padre aveva ragione, e queste sono le conseguenze! Pensare che da piccolo era così carino! Rizzava quella sua testina tutta ricciuta verso di me, per implorare un pezzettino di zucchero: e ora, invece, mi chiede arrogante dei quattrini! E mi vien fatto di pensare, con rimorso, che, se gli avessi allóra negato il pezzetto dello zucchero, non. pretenderebbe oggi il fiorino. Questo è quello che mi tormenta. Direi quasi che neppure mi vuol bene. L'hai mai visto triste una volta, o versare ama lacrima durante tutta la mia malattia?

Clara i                           - Lo vedevo così poco e quasi solo a tavola. Aveva molto appetito, però; più di me, certo; in quei momenti.

Teresa                            - Quando un uòmo lavora... e il lavoro è così pesante...

Clara                             - Non lo nego. Gli uomini poi, son fatti così. Si vergognano più a farsi veder piangere, che dei loro peccati. Mostrare il pugno serrato, ah sì! Ma una lacri­ma! Mai! Mi ricordo che anche il babbo, quel pomeriggio che ti fecero il salasso, e il sangue non voleva venire, là al banco, in bottega, singhiozzava da straziare il cuore; ma quando mi avvicinai a lui, e guardandolo in viso, gli feci una carezza, sai che mi disse? « Bada se ti riesce di cavarmi dall'occhio questo bruscolo; ho tanto da fare, e non ci vedo».

Teresa                            - (sorridendo) Oh. lo so. E Leonardo? Come mai non viene più?

Clara                             - Faccia pure come vuole.

Teresa                            - Spero che non vi incontrerete fuori di casa!

Clara                             - Perchè pensi questo? Forse perchè ti pare che mi trattenga un pò troppo al pozzo, la sera?

Teresa                            - Ah, no, non per questo; ma non capisco. Gli avevo permesso di venir qui da noi, appunto perchè non dovesse aspettarti fuori e trattenersi con te, la sera, di soppiatto e al buio.

Clara                             - Fuori? Ma se non lo vedo mai!

Teresa                            - Siete corrucciati? Eppure è un bravo ra­gazzo, e mi è simpatico. Sembra così serio! Soltanto che riuscisse a farsi una posizione! Ai miei tempi, vedi, non gli sarebbe stato troppo difficile, e non avrebbe do­vuto aspettar tanto. Un bravo scritturale allora i signori se lo contendevano; e anche la povera gente come noi se ne serviva; e come! Bastava che egli mettesse sulla carta un semplice augurio di capo d'anno per il figlio al padre, e solo per l'iniziale d'oro, che ci faceva, inta­scava tanto da comprare una bambola alla sua bambina. Il padre, poi, con una strizzatina d'occhio, e senza far­sene accorgere, per non dare a vedere la propria igno­ranza, il giorno dopo lo chiamava in casa e, in segreto, si faceva leggere lo scritto; e gli dava altrettanto. Oh allora, sì, gli scrivani se la passavano bene; e perciò la birra rincarava. Ora invece, è tutta un'altra cosa; e noi, vecchi, che non sappiamo né leggere né scrivere, deb­biamo lasciarci dar la baia anche dai ragazzi. Il mondo progredisce; tutti son sapienti, ora. Verrà il tempo che ci dovremo vergognare anche di non saper ballare sulla corda.

Clara                             - Suonano in Chiesa.

Teresa                            - Vado. Cara figliuola, pregherò anche per te. Quanto al tuo Leonardo, vogligli bene: ma bada, né più né meno di quanto egli ne voglia a Dio. Questo è l'inse­gnamento che con la sua benedizione mi dette la mia po­vera mamma in punto di morte. L'ho serbato nel cuore, e lo do oggi a te.

Clara                             - (le porge un mazzetto di fiori) Prendi, ... .

Teresa                            - Certo, questi son di Carlo !

Clara                             - (annuisce) Sì... mamma... (Fra se) Al solito... tutto quello che le fa piacere deve venire da lui...

Teresa                            - (andandosene) ì Ah sì, Carlo è buono, e mi vuol bene... sì, mi vuole bene... (Esce).

Clara                             - (va alla finestra e la segue con lo sguardo) rm Se ne va calma calma. Tre volte Pho sognata nella bara! Oh, i sogni maligni si rivestono della nostra paura per attei» rire la nostra speranza. Ma perchè badare ai sogni? Nep­pure di quelli belli voglio più rallegrarmi, per non do. vermi poi angustiare di quelli cattivi. Ecco... è igià da» vanti al cancello del Camposanto. Vi entra. Chi vi incontra per primo? Oh, che superstizione! (Trasalendo) Dio! E' il becchino! Lo saluta, e guarda sorridendo la fossa che quello ha finito di scavare proprio in questo mo­mento. Vi getta il suo mazzolino di fiori... entra in Chiesa. Cantano! Che cantano? «Ringraziate il Signore!». Ah, sì, che tu sia ringraziato! Se mia madre fosse morta, io non avrei avuto più un minuto di pace.

Leonardo                      - (di fuori) Sei vestita? Posso entrare?

Clara                             - Vieni, vieni, non avere tanti riguardi.

Leonardo                      - Credevo ohe tu non fossi sola e, passando poco fa qui davanti a casa tua, mi era parso di veder la Barbara alla finestra, quella donna che sta qui accanto.

Clara                             - Solo per questo motivo non sei entrato?

Leonardo                      - Sempre codesto tono! Ah, noi possiamo stare giorni e settimane senza vederci, che quando ci si ritrova, non si sbaglia, col bel tempo o col cattivo tem­po, sul tuo viso ci son sempre le stesse nuvole.

Clara                             - Nuvole? Cose d'altri tempi!

Leonardo                      - Non è vero. Se tu fossi stata sempre così, noi non .saremmo diventati buoni amici.

Clara                             - Valeva proprio la pena!

Leonardo                      - Ne bai, dunque, abbastanza? Quanto a me!... ma allora, quel tuo mal... idi denti non nascon­deva altro.

Clara                             - Leonardo, come hai potuto far questo? Quanto male mi bai fatto!

Leonardo                      - Perchè? (Non dovevo legare a me per sempre la persona che amavo? Quando stavo sul pùnto­si, dico, correvo il pericolo di perderla? Credi tu che non mi accorgessi delle occhiate, che scambiavi là col segre­tario ? Ah, sì, sì, fu davvero un bel divertimento per me quel giorno. Io ti porto al ballo e tu...

Clara                             - Smettila, Leonardo, «mettila idi offendermi.

Leonardo                      - Non 'è forse vero?

Clara                             - Sì, non ho ragione di nasconderlo, il segre­tario lo guardai, ma solo per curiosità.

Leonardo                      - Perchè all'Università si era lasciato cre­scere i baffi, che a lui stanno così bene, è vero? Volevi dir questo? Ah, donne, donne! Casta che vediate un sol­dato, amebe se è una caricatura, perchè andiate in estasi. A me davanti al faccino di quel bell'imbusto, con quel pelame che glielo taglia per metà, imi par di vedere un coniglio appiattato dietro una siepe. Codesto tipo mi esaspera, te lo confesso. Ho dovuto già troppo penare a causa sua da quando ti conosco.

Clara                             - (Ma io finora non ho detto nulla di lui, per­chè tu debba riscaldarti ora a demolirlo.

Leonardo                      - A quanto sembra, però, ti preme sempre.

Clara                             - Mi preme. Siamo stati ragazzi insieme e dopo... lo sai bene.

Leonardo                      - Lo so, lo so, appunto perchè lo so.

Clara                             - Nulla di più naturale, dunque, che riveden­dolo per la prima volta, dopo tanto tempo, lo guardassi e restassi un po' sorpresa nel ritrovarlo un uomo e         -

Leonardo                      - E perchè ti facesti rossa, quando lui ti guardò?

Clara                             - Figurarsi! Per una sciocchezza! Credevo che mi osservasse per questo piccolo difetto della macchia che ho sul viso. Sì, perchè, quando mi sento fissata da qualcuno, divento rossa per questo. E allora mi pare che si debba vedere anche di più.

Leonardo                      - Sia come si sia, io ne fui seccato. Allora mi dissi: stasera la metto alla prova. Se vuol diventare mia moglie, non arrischia nulla; se invece rifiuta, allora vuol dire..,

Clara                             - Tu proferisti una gran brutta parola quando io ti sfuggii e saltai dalla panca. Cera stato un chiaro di luna fino allora che pareva mandato da Dìo per di­fendermi, ma in quel momento, anche la luna, come per scherno, se ne andò fra le nuvole. Scappai, ma nella corsa mi sentii trattenere. Credevo che fossi tu; era in­vece un rosaio che mi si era attaccato alle vesti, e mi teneva come se mi avesse preso coi denti. Tu nii oltrag­giasti, io ti odiai.

Leonardo                      - Non ho da pentirmi di nulla. So che sol­tanto così bo potuto tenerti. L'antico amore assopito stava per riaprir gli occhi; io dovevo richiuderglieli, e subito.

Clara                             - Tornata a casa, trovai mia madre ammalata, gravissima!, come colpita all'improvviso da una mano invisibile ; tanto, che mio padre avrebbe voluto man­darmi subito a chiamare là, al ballo. Ma mia madre lo aveva dissuaso per non guastarmi il piacere di quell'in­nocente divertimento. Come rimasi, poi, quando lo sep­pi! Entrai da ilei,. ma .mi tenevo; discosta, perchè non osavo toccarla. Tremavo. Lei credette invece che fosse lo smarrimento di una fanciulla inesperta dinanzi ad un malato grave, e mi fece cenno di accostarmi. Io, pure sforzandomi, mi avvicinai pian piano, e lei mi tirò a sé e mi baciò sulla bocca... contaminata! Mi sentivo mo­rire; avrei voluto confessare, gridarle: «mamma, mam­ma, è per colpa mia! E' per colpa mia che tu sei qui a letto! ». E lo gridai, infatti; ma i singhiozzi soffocarono fra le lacrime le mie parole, mentre lei, prendendo per la mano mio padre, e volgendo su di me il suo sguardo sorridente, gli disse: « Guardala, tua figlia, che anima bella! ».

Leonardo                      - Ora è guarita; anzi, ero venuto per ralle­grarmi con lei e per... che pensi?

Clara                             - Eh...?

Leonardo                      - Sì... e per domandare a tuo padre la tua mano.

Clara                             - Ah!

Leonardo                      - Non ti va bene?

Clara                             - Bene! Non ho più scelta. Sarebbe la morte per me, se non divenissi presto tua moglie. Ma tu non conosci mie padre; e lui non potrà capire perchè noi abbiamo tanta fretta; né, d'altra parte, possiamo dir­glielo. Poi, egli ha dichiarato cento volte che non avrebbe data sua figlia ad uno che avesse soltanto dell'amore nel cuore e non anche del pane in dispensa. Sono le sue parole. Vedrai che ti dirà: « Aspetta ancora un anno, figliuolo mio; anzi, e sarà meglio, due ». E tu che gli ri­sponderai?

Leonardo                      - Sciocca! Proprio codesto ostacolo ora non c'è più. Ormai il posto me lo sono assicurato: sono cassiere.

Clara                             - Cassiere! E l'altro? Sì, dico,, l'altro concor­ rente, il nipote del pastore ?

Leonardo                      - iDi quello non se ne parla, più. Immagina, che quando si presentò all'esame, era ubriaco; e, invece di salutare il borgomastro, fece uh (grande inchino alla stufa. Poi, nel mettersi a sedere dette un tale urtone al tavolo, che buttò in terra tre tazze. Tu sai com'è 'bizzoso quel vecchio, e puoi pensare se andò su tutte le furie! Tuttavia si mor9e le labbra e riuscì a contenersi. Man­dava, però, certi lampi attraverso igli occhiali che guizzavano come serpenti, e aveva la 'faccia contratta. Si passò quindi alla contabilità. Non ti dico che sorta .d'abbaco di sua invenzione adottasse il mio competitore... e, che inverosimili resultati ine ricavasse. Allora il borgomastro idisse: Si sbaglia! E, con un sorriso, da cui ho potuto capire ohe la mia nomina doveva considerarsi ormai si­cura, mi porge la mano; e io, nonostante il puzzo di tabacco, glie l'ho ossequiosamente baciata. Ecco qua la mia nomina, con tanto di firma e di bollo!

Clara                             - Veramente?

Leonardo                      - Ti pare strano, eh? Ma ho da dirti, per la verità, che non tutto si deve al caso. E, infatti, perchè non mi son fatto vedere per ben quindici giorni in casa vostra?

Clara                             - Non lo so. Forse, perchè l'ultima domenica ci bisticciammo.

Leonardo                      - Macche! Quel bisticcio lo feci nascere apposta per nascondere la vera ragione della mia as-Senza.

Clara                             - Non ti capisco.

Leonardo                      - E, infatti, non è facile. Ebbene, senti: tatto questo tempo io l'ho impiegato a far la corte a quella gobbette che è nipote del borgomastro, e che ha tanto ascendente isullo zio ; si può dire, anzi, che è il suo braccio destro, come l'usciere ne è il sinistro. Con lei non mi sono lasciato andare se non a qualche compli­mento sui suoi capelli - tu sai che li ha rossi! -; ma le ho detto, però, una cosa che le ba fatto molto piacere, e sul conto tuo...

Clara                             - Sul conto mio?

Leonardo                      - Sì, non c'è nulla da nascondere, perchè se l'ho fatto, è stato con la migliore intenzione. Le ho dato ad intendere che fra me e te non c'è stato mai nulla... di serio. La cosa mi è riuscita bene, fino al mo­mento in cui ho potuto aver questo nelle mani; e quella stupida, ci ha creduto.

Clara                             - Leonardo!

Leonardo                      - Eh, via, bambina! Sii tu semplice come una colomba, e lascia a me d'essere astuto come un ser­pente. Marito e moglie non fanno una cosa sola? Ebbene, noi realizziamo in due il idetto del Vangelo. (Ride) « Semplice come una colomba, astuto come un serpente ». (Rìde) 'E neppure che quel igiovinotto fosse ubriaco pro­prio nel momento più decisivo della sua vita, fu solo un caso. Infatti, tu non hai mai sentito dire di lui che sia dedito al bere?

Clara                             - No, .davvero.

Leonardo                      - Per questo mi ifu tanto più (facile riuscire nel mio piano. Son bastati tre bicchieri! Due miei com­ pagni s'erano preso l'impegno di farlo bere. «Ci si può congratulare con l'amico Ermanno? ». « Oh, è troppo pre­ sto!». «Ma via, se la cosa è igià fatta con quel tuo zio...». «Su, su beviamo! bevi, fratello, bevi! ». E sta­ mani, nel venire da te, l'ho trovato alla spalletta del ponte che guardava il fiume. L'ho salutato, e così, come in tono di scherzo, gli ho domandato se gli era caduto qualcosa nell'acqua. « Sì », mi ha risposto senza alzare gli occhi, «e sarebbe bene che l'andassi a raggiungere».

Clara                             - Tu hai fatto questo?

Leonardo                      - Non far la bambina! Piuttosto, in confidenza, dimmi un'altra cosa... Tuo padre ha ancora i suoi mille talleri investiti nella farmacia?

Clara                             - Non ne so niente.

Leonardo                      - Niente! Di una cosa tanto importante?

Clara                             - C'è mio padre, chiedilo a lui.

Leonardo                      - No, stanimi a sentire. 'Si dice, lo sai?, che il farmacista è per fallire.

Clara                             - Lasciami. Debbo andare in cucina. (Via).

Mastro Antonio            - (entra) Signor cassiere!... Buon giorno. (Si leva il cappello e si mette in capo un berretto di lana) Mi permettete, è vero, di tenere in capo?

Leonardo                      - Mastro Antonio! Voi, dunque, sapete?

Mastro Antonio            - Sì, che lo so; da ieri sera. Me ne andavo sul tardi a casa del mugnaio, quello che è morto, a prendergli la misura della cassa, quando ho incon­trato due vostri buoni amici che ne parlavano, e, natu­ralmente, vi tagliavano i panni addosso. Allora, mi son detto: « Di certo, a Leonardo non è andata male e non si è rotto l'osso del collo, e seppi poi tutto dal sagre­stano che era arrivato prima di me a consolare la ve­dova, e a prendere, come è suo solito, una sbornia ».

Leonardo                      - E a Clara non avete detto niente? Ha dovuto saperlo per prima da ime!

Mastro Antonio            - Ma, scusate, se a voi non preme di farglielo sapere e di dare questo piacere alla ragazza, o perchè dovrebbe premere a me? Io, in casa mia, non accendo altre candele che le mie, perchè così so che nessuno può venirmele a spegnere da un momento al­l'altro, quando mi fanno più lume.

Leonardo                      - Ma voi come potete pensare che io.... non volessi...

Mastro Antonio            - Che voi... no! Io non penso nulla, né di voi né di altri. Io fo il falegname e piallo gli assi, non gli uomini. Quella di occuparmi degli altri e di giudicarli è una fisima che mi è passata da un pezzo. Ecco, se vedo un albero che mette le foglie, penso: fio­rirà!; e, se fiorisce, dico: farà frutto; e così son sicuro di non restare deluso. E' la mia abitudine. Ma quanto agli uomini, è un'altra cosa! Io non penso di loro né bene né male; uè bene, per non doverne poi inorridire, né male per non doverne arrossire. Mi basta d'imparare a conoscerli. Li guardo e gli occhi non pensano, vedono! Quanto a voi, credevo di avervi conosciuto abbastanza, ma ora debbo confessare di non esserci riuscito che a metà.

Leonardo                      - Avete torto in questo, Mastro Antonio. Voi rovesciate le cose. Il vento, o la siccità possono far seccare l'albero, ma l'uomo ha il suo carattere.

Mastro Antonio            - Credete? Oh, noi vecchi dobbiamo esser contenti che la morte ci lasci ancora un po' fra voi giovani per istruirci. Prima il mondo credeva, stolto!, che il padre dovesse insegnare al figliuolo! Oggi invece è il figliuolo che deve insegnare al padre, perchè questo vecchio sempliciotto non abbia a far brutta figura anche coi vermi del suo sepolcro. Grazie a Dio, io ho trovato nel mio Carlo un bravo maestro; ah sì, un bravo maestro, che non vizia per troppa indulgenza il vecchio bimbo, ma ne combatte severamente i pregiudizi. Così, non più tardi di stamattina, mi ha dato due buone lezioni, e senza aprir bocca. La prima, col dimostrarmi che non occorre affatto mantenere una promessa; la seconda, che è del tutto inutile andare in chiesa a rinfrescarsi la memoria sui Comandamenti di Dio. Ieri, infatti, mi aveva promesso di farlo, anche perchè pensavo che avrebbe voluto render grazie al Signore della guarigione di sua madre. Ma non c'era; cosicché, là nel mio banco, che veramente è un po' stretto per due persone, ci son potuto stare 'ben più comodo. Ebbene, che ne direbbe lui, se io alla mia volta adottassi senz'altro il suo insegnamento, e non mantenessi neanch'io la mia promessa? Gli avevo detto, infatti, che per il suo compleanno gli avrei fatto un vestito nuovo; ora, chi sa come sarebbe contento di vedermi mettere in pratica le sue lezioni. Ma i pregiudizi son pregiudizi, e io non lo farò!

Leonardo                      - Forse, non si sentirà bene.

Mastro Antonio            - Ecco, può darsi. Basterebbe do­mandarne a mia moglie, e direbbe lo stesso. Per lei, in questi casi, è sempre ammalato, perchè, vedete, su tutto il resto quella brava donna mi dice la verità, ma su questo punto, quando si tratta del figliolo, no! Tuttavia, anche ad ammettere che non fosse proprio ammalato, bisogna pur riconoscere che i giovani d'oggi hanno di fronte a noi vecchi un grande privilegio. La chiesa per loro è dovunque; e possono fare le loro devozioni in ogni luogo e in ogni occasione; là, dove si trovano! A caccia, a passeggio, magari all'osteria: «Padre nostro che sei nei cieli» - «...Piero, ci vediamo stasera al ballo? » - « Sia santificato il tuo nome » - « ... Allegra, allegra, Caterina, che si va bene !» - « Sia fatta la tua volontà » -a... Ah, ipovero me, 'debbo ancora farmi la barba! » e così via. La benedizione se la danno da se. E infatti o non sono uomini anche loro né più né meno del prete? La santità non può operare con la tonaca come con la giubba? Per conto mio, non ho nulla da dire; e, se anche volessero intercalare le sette petizioni del « Padre nostro» con sette bicchieri di birra, affar loro! Non spetta a me dimostrare che birra e religione vanno poco d'accordo. E chi sa poi che un bel giorno non si rin­novi anche la liturgia, e non sia quella una nuova maniera di comunicarsi! Io, certo, vecchio peccatore come sono, non mi sento tanto all'altezza dei tempi per poter-mici adattare. Ah no! Purtroppo! Come potrei, infatti, ritrovar la devozione per la strada, come se ci andassi a chiappar maggiolini? No, il cinguettìo dei passeri e delle rondini non possono fare per me le veci del­l'organo. Per provare una vera elevazione, io ho bisogno di sentirmi sbattere alle spalle le porte della chiesa, come fossero le porte del mondo, stringermisi intorno le pareti, e non vedere la luce cruda e sfacciata di fuori che attraverso il filtro delle vetrate; e in fondo, davanti a me, l'ossario con la sua morte secca scolpita .sul muro. Ma io, sono io, e il progresso è il progresso!

Leonardo                      - Voi prendete le cose troppo sul serio.

Mastro Antonio            - E' vero, è proprio vero! Però, in coscienza, oggi debbo confessarvelo, non tanto! In chiesa, per esempio, quel posto vuoto, lì accanto a me, mi infastidiva, e le mie devozioni le ho perdute; e solo quando sono uscito ne ho ritrovata la compunzione. Ma sapete dove? Sotto il pero qui del mio orto. Vi stupisce? Ep­pure è così! Me ne venivo amareggiato e abbattuto verso casa, e mi son fermato là, sotto quel pero che c'è là, divorato dai vermi. Mi dicevo : « Quel ragazzo è spoglio e arido come questo pero...! Pazienza! ». Ma, intanto, non so come, mi è venuto sete, e una <gran voglia di andare all'osteria. Naturalmente ingannavo me stesso, che, non era già per la voglia di andarci a bere un bicchier di birra, ma solo per cercarvi il mio ragazzo, e sgridarlo. Là, pensavo che ce l'avrei trovato di sicuro. Stavo per avviarmi, quand'ecco, codesto bravo pero di giudizio mi lascia cadere ai piedi una pera matura, come per dirmi: « Piglia su, se hai sete, e non paragonarmi a quel tuo bricconcello! ». Sono tornato in me, ho addentato la pera e sono entrato in casa.

Leonardo                      - Vi capisco. Sapete che il farmacista è sul punto di dichiarar fallimento?

Mastro Antonio            - Davvero? Me ne dispiace, ma se la veda lui!

Leonardo                      - Come? Non v'importa nulla, a voi che...

Mastro Antonio            - A me! Perchè? Io sono un buon cristiano, e quell'uomo ha un sacco di figliuoli.

Leonardo                      - E in monte di creditori. E' vero che anche i figliuoli sono debiti...

Mastro Antonio            - Fortunato chi non ha né degli uni, né degli altri.

Leonardo                      - Credevo, invece, che voi... col vostro...

Mastro Antonio            - Oh! è una cosa finita da un pezzo!

Leonardo                      - Comprendo, siete un uomo previdente e vi sarete fatto rimborsare il vostro denaro non appena vi accorgeste del pericolo.

Mastro Antonio            - Il mio denaro? Ma io non ho più alcuna paura di perderlo, perchè è già parecchio tempo che l'ho perso.

Leonardo                      - Scherzate!

Mastro Antonio            - Dico sul serio.

Clara                             - (affacciandosi all'uscio) Avete , chiamato, babbo?

Mastro Antonio            - Ti fischiavano ,gli orecchi?

Clara                             - Il giornale. (Glielo porge ed esce).

Leonardo                      - Già, voi siete un filosofo!...

Mastro Antonio            - Che cosa intendete dire... col filosofo?

Leonardo                      - Voglio dire che sapete farvi una ragione delle cose.

Mastro Antonio            - Vedete! io, delle volte, al collo, invece del colletto, ci porto una macina; ma questa, anziché farmi andare a fondo, mi rinforza la schiena.

Leonardo                      - Beato chi vi può imitare!

Mastro Antonio            - E io dico, invece, che uno potrebbe ballarci sotto il peso, se avesse la fortuna d'i trovare un aiuto come voi. Perbacco! Siete diventato pallido! Cosi-solo a sentirvelo dire? Questa sì, che si chiama sensi­bilità.

Leonardo                      - Non vorrete 'già dire icfoe io sia un...

Mastro Antonio            - Oh no, no. (Tamburellando con le dita sopra il cassettone) Io non dico nulla. Non si può rimproverare al legno di non esser trasparente come il vetro.

Leonardo                      - Cioè?

Mastro Antonio            - Nulla. Dico che il nostro padre Adamo fu un gran minchione a prendersi in moglie Eva nuda e bruca come Dio l'aveva fatta, senza neppure la dote della foglia di fico. Noi due, voi ed io, invece, l'avremmo cacciata via a frustate dal paradiso terrestre, come una pitocca. Che ve ne pare?

Leonardo                      - Si capisce che ora siete di malumore per causa di vostro figlio. Ma io sono venuto da voi per la vostra figliuola e per...

Mastro Antonio            - Fermatevi, non mi dite altro! Ho capito! Ebbene... Può anche darsi che io non vi dica di no.

Leonardo                      - Lo spero. Però lasciate che io vi esprima francamente il mio parere a proposito di quanto avete detto prima. La dote; neppure i santi patriarchi la sde­gnarono ; se è vero che anche Giacobbe, che amava Ra­chele, servì, sì, per lei sette anni Làbano; ma me ebbe poi in compenso tanti grassi montoni e tante belle pe­core; e non pare che ci scapitasse di reputazione. Ora, pretendere di comportarsi meglio di lui, sarebbe come un volerlo fare arrossire. Quanto a 'me, non avrei visto male che vostra figlia mi avesse portato in dote un qualche cosa come duemila talleri; perchè si sarebbe trovata meglio. D'altronde, è naturale che, se una ragazza si porta almeno il letto con sé, non ha bisogno di inco­minciare dallo scardarsi la lana e filarsi la tela per la materassa. Ma non è il caso d'insistere su questo punto, e non parliamone più! Vuol dire che del desinare di magro faremo quello della domenica, e di quello della domenica, il pranzo di Natale! e tireremo avanti lo stesso.

Mastro Antonio            - Bravo! Parlate bene. Son sicuro che Dio approva le vostre parole! E allora voglio dimen­ ticare che per quindici giorni, ogni sera, all'ora del tè, mia figlia ha apparecchiato qui sul tavolo una tazza per voi, inutilmente! e giacché state per diventare mio ge­ nero, voglio dirvi anche dove sono rimasti gli altri mille talleri. Ecco come sta la faccenda. Da giovane, le cose andavano piuttosto male per me. Morto mio padre, che s'ammazzò dalla fatica, lavorando senza requie giorno e notte, la mia povera mamma mi tirò su come potè, col magro guadagno del suo filato: ma, come si può imma­ ginare, senza farmi imparare un bel nulla di nulla; cosicché, divenuto già quasi un giovinetto, io non ero ancora in grado di guadagnarmi un soldo, e me ne ver­ gognavo! Mi sarei tolto volentieri persino il malvezzo di mangiare; ma che volete? se a mezzogiorno mi davo per malato e allontanavo il piatto, la sera, poi, lo sto­ maco mi costringeva, purtroppo, a dichiararmi guarito. Un giorno, però, capitò, per caso, in casa nostra mastro Gabbar do, appunto codesto mugnaio che abbiamo sep­ pellito ieri sera. Mi guarda, corruga la fronte, e, arric­ ciando il naso, proprio come era solito, quando aveva in mente di fare qualche buona azione, dice a mia madre: « 0 sposa, o che avete messo al mondo questo ragazzo per farvi divorar viva? ». Proprio in quel momento io avevo tirato fuori dalla madia il pane e stavo per tagliarmene una fetta. Mi sentii punto, e lo riposi; mia madre, ta invece, di quelle parole che il mugnaio aveva detto, del resto, con buona intenzione, se ne adontò e sdegnosamente gli rispose che il suo figliolo era un gran bravo e buon ragazzo e non c'era assolutamente nulla da dire su di lui; che perciò si chetasse. «Bene! - disse allora mastro Gebbardo - quando sia come dite, lo vedremo! te: Anzi, sentite, se ne ha voglia, può, anche così come si trova, venir subito con me al mulino. Vi va? Per il noviziato non domando un soldo; quanto al vitto e al vestiario, penso io; e se, poi, non gli parrà fatica di in alzarsi presto la mattina e di andar a letto tardi la sera, ci sarà, ogni tanto, anche qualche po' di mancia da buscare per la sua vecchia mamma». Mia madre si mise a piangere; io, invece, a saltare; e quando finalmente un. venne il momento di incominciare a parlare sul serio della cosa, Gebbardo non volle stare a sentire un bel nulla; si turò gli orecchi e, facendomi cenno di seguirlo, uscì. E io,... il cappello non ebbi bisogno di prenderlo, perchè non ce l'avevo... senza neanche dire addio alla mamma, gli andai dietro. Ma sapete? La domenica dopo, la prima volta che potei tornare a. vederla per per un'oretta, le potei portare un mezzo prosciutto, che Gebbardo mi aveva dato per lei. Dio benedica quel brav'uomo, e ora che è morto, l'abbia in gloria! Mi par di dar sentirlo ancora dirmi in tono quasi stizzoso : « Tonino, dei piglia su e mettitelo «otto la giubba, che mia moglie non veda! ».

Leonardo                      - Voi piangete, Mastro Antonio!

Mastro Antonio            - Bisogna che non ci ripensi. Per quanto da tanto tempo mi sia intasato il canale delle lacrime, pure di quando in quando, ecco, dà ancora qualche sprizzo. E non è male! Vuol dire che, se mi verrà l'idropisia, saranno tante gocce di meno da tirarmi fuori. (Cambiando a un tratto di tono) Ma ora, ditemi, che fareste voi, se una bella domenica dopo pranzo, per fare insieme una fumata a pipa, andaste a trovare un uomo come quello lì, un uomo a cui dovete tutto; e lo sorprendeste confuso e stralunato con un coltello in mano? Con quello stesso coltello con cui ha affettato tante volte il pane per merenda? E col collo insanguinato? E lo vedeste fare uno sforzo penoso per tirarsi il fazzoletto fino al mento per coprirsi... e per non dare a dividere... quel che voleva fare?...

Leonardo                      - Ah, ecco perchè il vecchio Gebbardo andò sempre in giro col collo fasciato.

Mastro Antonio            - Appunto, per nascondere la cica­trice. Ora, se voi arrivaste proprio nel momento in cui lo potete salvare, e lo potete aiutare, non soltanto con lo strappargli il coltello di mano, e col fasciargli la gonne tenta, ma col tirar tuori dai vostri pur sudati risparmi un miserabile migliaio di talleri, che fareste? Anche, se per indurre quel disgraziato ad accettarli, voi doveste fare questa buona azione in silenzio, perchè nessuno ne detto venga a saper nulla? Ditemi voi, che fareste?

Leonardo                      - Io, celibe e libero, come sono, senza moglie né figli, sacrificherei il denaro.

Mastro Antonio            - Moglie e figli? Ah, ci vuol altro Ma ne aveste anche dieci di mogli, come i turchi, e tanti figli quanti ne furono promessi al padre Abramo, io vi dico che, se foste capace di rimanere 'in forse un solo istante, di fronte a un caso simile, voi sareste... Bè! Non diciamo nulla! Voi state per diventare mio genero... Ed ecco ohe ora sapete dove sono andati quei talleri. Oggi ve l'ho potuto dire, perchè quel vecchio è sotto­terra ; ma un mese fa, anche sul letto di morte, vi giuro che gli avrei mantenuto il segreto. La ricevuta gliel'ho cacciata sotto la testa, al morto, quando stavano per inchiodare la bara, e, se sapessi scrivere ci avrei messo, in calce: «Saldato» da galantuomo! Ma ignorante come sono mi son dovuto contentare d'i fare uno strappo per lungo al foglio e lasciarglielo. Lui capirà lo stesso, e così ora riposerà tranquillo, come spero di fare anch'io, un giorno, quando mi seppelliranno accanto a lui!

Teresa                            - (entra nella stanza con una certa vivacità) Mi riconosci?

Mastro Antonio            - (alludendo all'abito nuziale) Sì, la cornice è quella... e anche abbastanza conservata, ma il quadro, eh no, non molto! Mi sembra che ci sieno ve­nute a posare parecchie ragnatele. Non si può negare, però, che ci sono voluti parecchi anni.

Teresa                            - Che lingua, eh, il mio uomo! Come la dice chiara e netta a sua moglie! Ma non c'è bisogno di lo­darlo in particolare per questo che la sincerità è la virtù dei mariti.

Mastro Antonio            - Che! forse, ti rincresce d'essere stata a vent'anni più in fiore che a cinquanta?

Teresa                            - Neanche per idea, anzi, mi vergognerei del contrario, per te e per me.

Mastro Antonio            - Qua, allora, dammi un bacio. Mi son fatta la barba e meglio del solito.

Teresa                            - Acconsento, solo per vedere se ci hai ancora un po' di garbo. E' tanto tempo che non t'accade di farlo.

Mastro Antonio            - Cara moglie! Cara madre di fami­glia! Tu vuoi dire che son vecchio e, infatti, hai ragione; ma pur vecchio che sia, non ti credere già di dovermi chiuder gli occhi! Eh, no! Questa è una cosa troppo importante; e non tu a me, ma io a te la voglio fare. Sì, voglio essere io a renderti quest'ultima carità. Senonchè, per questo, tu mi devi dar tempo, molto tempo, affinchè mi ci possa preparare e diventare forte e duro come l'acciaio, e che, per debolezza, non ci debba fare la fi­gura di un buono a nulla! E anche allora, sì, anche allora, sarà sempre troppo presto!

Teresa                            - Caro il mio vecchio! Grazie a Dio, noi siamo sempre qui, e col suo aiuto ci resteremo, spero, anche dell'altro.

Mastro Antonio            - Lo credo!, perchè, guarda!, le tue gotine hanno ripreso ora una tintarella rosa che è un piacere a guardarle.

Teresa                            - Burlone! Burlone che non sei altro! Come quel tipo là del nostro nuovo beccamorti. Sai che mi ha detto stamani quando son passata di lì, ohe stava scavando una fossa? Gli ho chiesto per chi era, e lui: «Per chi Dio vorrà, cara sposa! Magari, non si sa mai, anche per me! 0 che non mi potrebbe succedere quello che suc­cesse al mio nonno buon'anima, che, avendone scavata una di più, la notte, nel tornare a casa dall'osteria, le contò male, e ci si ruppe l'osso del collo? ».

Leonardo                      - (che nel frattempo ha letto il giornale) Il .mariuolo non è di qui, il giornale può raccontarci tutte le frottole che vuole...

Teresa                            - Gli ho domandato che idea fosse la sua di mettersi a scavar fosse prima che gliel'ordinassero. E lui: « Ecco vedete, oggi sono invitato a un matrimonio, e, se non sono falso profeta, prevedo per domani un po' di fumo nel capo. Ora, se qualcuno, come è facile, m'i fa il brutto tiro di morire oggi, io domattina dovrei alzarmi presto senza poterci schiacciare un pisolino di più ».

Mastro Antonio            - Buffone! Non gliel'hai detto? E se la fossa non corrisponde alla misura?

Teresa                            - Gliel'ho detto, sì, ma quel diavolo, sai che mi ha risposto? « Quanto a questo, la misura l'ho presa su quella del compare Weit, il tessitore, che supera d'un buon palmo tutti rjnanti, come Saul; e perciò credo che ci può accomodare chiunque sia. Nessuno, state certa, la troverà troppo piccola. Se poi sarà troppo grande, poco male, tranne per me che lavoro a prezzo fisso, e ci rimetto del mio ». Io ci ho buttati i fiori che avevo in mano, e ho detto: «Sta bene, questa è impegnata».

Mastro Antonio            - Voglio ben credere che scherzasse. Ma guarda che bella impertinenza, questa di scavar fosse in anticipo! E' come aprir la botola alla morte! Son cose, queste, da farlo cacciar via a pedate. (A Leonardo) Eb­bene! Che novità, giovinotto?

Leonardo                      - Leggo un comunicato dell'Ufficio di Poli­zia che dà notizia di un furto di oggetti preziosi. Strano, coi tempi che corrono, c'è ancora della gente che pos­siede dei gioielli!

ìMastro Antonio           - Un furto di gioielli? A chi?

Leonardo                      - Al negoziante Wolfram.

Mastro Antonio            - Wolfram! Come? No! E' impossi­bile. Wolfram? Quello da cui, due giorni or sono, è stato Carlo a riverniciargli uno stipo? O come va questa cosa?

Leonardo                      - Spariti, pare, proprio 'di lì.

Teresa                            - (a Mastro Antonio) Vecchio, vecchio, che pensi? Dio ti perdoni il cattivo pensiero!

Mastro Antonio            - Già, hai ragione, è stato un pen­siero indegno!

Teresa                            - Padre senza cuore verso tuo figlio !

Mastro Antonio            - Sta bene, non parliamone più.

Teresa                            - Se è diverso da te, solo per questo deve es­sere cattivo ? !

Mastro Antonio            - Basta, non parliamone più, ho capito! Ma dov'è ora? Scommetto che di là, il desinare si sciupa, perchè Clara ha l'ordine di non apparecchiare finché lui non è tornato...

Teresa                            - Dove vuoi che sia? Si può sapere... E' dome­nica, e d'altra parte, anche se si è fermato non so... a qualche giuoco di bocce, niente di male... .Solo è proba­bile che per non esser scoperto da te, chissà quanto sarà dovuto andare lontano! E così ora tarda a tornare! Io non so proprio che cosa tu abbia contro un giuoco cosi innocente.

Mastro Antonio            - Contro il giuoco? Io no, non ce l'ho contro il giuoco; trovo anzi che il giuoco è un gran bel passatempo, ma pei signori, specie per quelli che stanno più in su. E penso che senza il re di bastoni per­sino il re vero si annoierebbe; cosicché a non aver altro tra mano i grandi principi non si periterebbero a giuo-care alle bocce magari con le nostre teste. Ma per un artigiano, no! la cosa è diversa! Un artigiano che rischia al giuoco il suo salario, che si è dovuto guadagnare con tanto sudore, commette un vero e proprio delitto! Biso­gna aver rispetto di ciò che uno si guadagna con la sua fatica, e farne buon conto, se non vuol perdere con la fiducia in se stesso, la stima del proprio lavoro. Ma come ci si può tendere con tutti i nostri nervi a guadagnare un tallero, se poi s'ha da buttarlo via? (Si sente suonare il campanello della porta).

Adamo                          - (entrando con un usciere, a Mastro Antonio) «Gente in divisa rossa non entrerà mai in casa mia! ». Mastro Antonio! Chi l'ha detto paghi la scommessa... ec­coci qua in due! (All'usciere) Fate come me, tenete in capo. Non è il caso di far tanti complimenti. Siamo tra pari.

Mastro Antonio            - Fra i tuoi pari, mascalzone!

Adamo                          - Ah, mo! Avete ragione. Infatti, furfanti e ladri non son nostri pari. (Indica il cassettone) Aprite, e voi state tre passi discosto, che non abbia a sparir nulla.

Mastro Antonio            - Nulla! Che cosa?

Clara                             - (entra con la tovaglia e le stoviglie) Posso apparecchiare? (Resta muta).

Adamo                          - Siete capace di leggere questo foglio?

Mastro Antonio            - No! non son capace. Non arrivava a tanto neanche il mio maestro.

Adamo                          - Allora, ascoltate. E' stato commesso un furto di gioielli... Vostro figlio, è già al sicuro. Ora dobbiamo fare la perquisizione.

Teresa                            - Mio figlio! No! non vero! Dio mio! Mio figlio. (Cade a terra e muore).

Clara                             - Mamma! Mamma! Mamma rispondi, mam­ma! Gesù!

Leonardo                      - Un medico! Vado a chiamare un medico.

Mastro Antonio            - (terribilmente calmo) Fermatevi! Non ce n'è più bisogno! Guardatela! Vedete! Ha già il viso della morte! Lo conosco, l'ho visto cento volte. Dor­mi in pace, Teresa. Quella notizia t'ha uccisa. Bisognerà scrivertelo sulla fossa.

Leonardo                      - Non di meno... (Uscendo) E' una cosa orri­bile! Ma per me... forse... è meglio... andiamo. (Esce).

Mastro Antonio            - (tira fuori un mazzo di chiavi e le butta in terra) Avanti, aprite, aprite tutti i cassetti! La chiave del baule non c'è più. Pigliate un'accetta, una man­naia... Su via... allegri! Ladri e furfanti! (Rovescia le tasche) Qui, non c'è nulla.

L'Usciere                       - Calmatevi, Mastro Antonio, tutti sap­piamo che siete un fior di galantuomo.

Mastro Antonio            - Io, eh? (Ride) Ma io solo è vero? Qui in famiglia l'onore e l'onestà sembra che me li sia presi tutti per me, e non ne abbia lasciato neppure un briciolo per quel mio ragazzo. E anche quella lì (indica la morta) sì, anche quella lì era troppo onesta! (Si rivolge risolutamente a Clara).

Clara                             - Babbo!

L'Usciere                       - (ad Adamo) Non vi fanno pietà?

Adamo                          - Pietà! Ne ho avuta anche troppa. Gli dovevo far levare gli stivali e rovesciare le calze, sarebbe stato il suo avere. Dov'è la stanza di vostro fratello?

Clara                             - (indicando l'uscio) Là in fondo. (Gli uscieri escono) Babbo, egli è innocente. Deve essere innocente! E' vostro figlio, è mio fratello!

Mastro Antonio            - Innocente, ecco là... sua madre! L'ha uccisa lui!

Una Domestica             - (entra e consegna una lettera a Clara)

                                      - Si può... scusate... posso entrare? (Nessuno risponde) La signorina Clara...

Clara                             - Sono io...

La Domestica                - Ho questa lettera...

Clara                             - Da parte di chi?

La Domestica                - Da parte del signor Leonardo..

Clara                             - (prende la lettera in silenzio guardando il padre)

                                      - Date!

La Domestica                - (dopo un lieve imbarazzo saluta) Buongiorno! ( Via).

Mastro Antonio            - Puoi fare a meno di leggere. So già di che si tratta. Ti pianta... Benissimo. (Battendo un pugno sul tavolo) Ah, farabutto!

Clara                             - (ha scorso la lettera, non dice nulla, ma si copre gli occhi e china la testa).

Mastro Antonio            - (interrogando con lo sguardo) Eh!

Clara                             - E' vero! Dio mio! (Dà in un sommesso sin­ghiozzo).

Mastro Antonio            - Farabutto! Non piangere. E lascialo andare!

Clara                             - Babbo! (Con un grido soffocato)

Mastro Antonio            - Che c'è?

Clara                             - Babbo, non posso!

Mastro Antonio            - (colpito dalla risposta della figlia) Perchè? Perchè non puoi? Che vuoi dire? Forse... che...

Clara                             - (si abbatte nascondendo il capo. Gli uscieri rientrano).

Adamo                          - (maliziosamente) Cercate e troverete.

L'Usciere                       - Che dite? Non si è trovato nulla fin'ora.

Adamo                          - Zitto, voi; andiamo!

Mastro Antonio            - Ah, dunque lui è innocente e tu... tu... non puoi!...

Clara                             - Babbo, babbo... per carità... mi fate paura!

Mastro Antonio            - (la prende per mano e, duramente frenandosi, le parla con straziata ironia) No, figlia mia, che paura! Carlo è uno sciagurato. Ha fatto morire sua madre. Eccola là! Ma è finita? No! Il padre è ancora qui vivo! Ebbene non puoi mica pretendere che faccia; tutto lui da solo, quel ragazzo. Su, via, Clara, via, vieni a dargli una mano. Finisci tu... il resto. Questo vecchio tronco ti sembra ancora saldo e duro, eh? Ma no, non credere, non è! Anche questo vacilla, e non ti costerà troppa fatica dargli l'ultima spinta, anche senza pren­der l'accetta. Tu hai un ibel volto! Non te l'ho mai detto! Ma oggi voglio dirtelo, per farti coraggio! Questi occhi, questo naso, questa bocca, debbono piacere... a molti... Diventa... tu... mi hai capilo... diventa... O forse, c'è ifl caso che tu lo sia di già! Una....

Clara                             - (fuori di sé. cade ai piedi della madre morta, gridando come una bimba atterrita e disperata) Mam­ma! Mamma!

Mastro Antonio            - Sul capo di questa morta giurami che sei quale devi essere!

Clara                             - Giuro... giuro... che io... Non sarà mai che io vi disonori!

Mastro Antonio            - Sta bene! (Si mette il cappello in capo) Il tempo è bello. Ora fuori, dunque per le strade, fra la gente che ghigna!

FINE DEL PRIMO ATTO

ATTO SECONDO

(Stanza in casa del falegname. Mastro Antonio e Clara sono a tavola).

Mastro Antonio            - (si alza da tavola) Neanche oggi mangi?

Clara                             - Non ho più fame.

Mastro Antonio            - Ma, se non hai mangiato nulla.

Clara                             - Avevo già mangiato in cucina.

Mastro Antonio            - Chi non mangia, è segno che ha dei pensieri. Ci sarà pure un motivo! Che c'era, il veleno nella zuppa? O forse ho colto la «cicuta fra i cavoli e i porri del nostro orto?

Clara                             - Dio santo!

Mastro Antonio            - Ma, insomma, che hai con codesta faccia pallida che sembra quella della Madonna dei Sette Dolori? Animo, su, via! Quando si è giovani, si ha il dovere di essere vispi e coloriti. Una sola fra noi po­teva permettersi il lusso 'di diventar pallida; ma quella non c'è più! Animo, dunque, e guai a chi si taglia un dito e dice soltanto: ohi! Nessuno ha da mostrarsi scon­tento e tenebroso qui dentro, fino a quando, almeno, c'è un uomo che... Hai visto come ho fatto io, quando il compare stava per inchiodarle il coperchio sulla bara?

Clara                             - Sì.

Mastro Antonio            - Gli ho strappato il martello di mano e ci ho piantato i chiodi io stesso. E' stato il mio capo­lavoro! Il maestro di scuola, quando è venuto con i ra­gazzi a cantare davanti alla porta le preghiere dei morti   -

Clara                             - Credeva che foste impazzito.

Mastro Antonio            - Impazzito? La testa che, al buon momento, sa mozzarsi da sé, è la più saggia. La mia, però, deve esser troppo dura, perchè, se no!... Già! Ci si era rincantucciati qua, e si credeva di starci caldi, caldi, come nel più tranquillo dei rifugi, quando, che è che non è?, si mette il lume sulla tavola, e ci si accorge 'di ritro­varsi in una spelonca di ladri! E allora, tutto a catafascio da ogni parte. Per fortuna, qui dentro, c'è uno che ha il cuore di pietra. _,

Clara                             - Babbo, è proprio così.

Mastro Antonio            - Ma tu che ne sai? E ora, ci ho forse colpa io, se il tuo scrivano ti ha piantato? Non sgomentarti! Troverai pur sempre qualche altro che ti porterà a spasso la domenica, qualche altro che ti farà i complimenti per le guance rosa e gli occhi azzurri; e arriverà anche a sposarti, se lo meriti. Di qui a trent'anni, poi, quando, dopo avere affrontato e sostenuto con rassegnazione e in silenzio tutte le avversità della vita, i patimenti, le disgrazie e i colpi della morte, quel tuo stesso figliolo, che avrebbe dovuto essere il bastone della tua vecchiaia, e prepararti il giaciglio per i tuoi sonni tranquilli, ti si levasse contro e ti coprisse a un tratto di tanta infamia da farti gridare: «Apriti, terra, e inghiot-limi col tuo fango, se non ti fo schifo, perchè son dive­nuto più lurido di te! », solo allora avresti il diritto di scagliare contro il destino tutte le imprecazioni che io reprimo. Ma tu soltanto, però, perchè tu non sei un uomo !

iClara                            - Ah, Carlo!

Mastro Antonio            - Sarei curioso di vedere che cosa farò quando una bella sera, prima che s'accenda il lume, mi ricomparirà davanti con la testa rasa - perchè, sai, là, all'ergastolo i riccioli non sono mica permessi! -e me lo vedrò qui dentro, con la mano ancora sulla ma­niglia della porta, balbettare la buona sera... Eh, qual­cosa, di certo, farò. Ma chi sa mai che cosa? (Digri­gnando i denti) Ma anche, se ce lo terranno chiuso dieci anni là nel mastio, qui mi ritroverà vivo! Sì, io vivrò fino allora! Ricordatelo. Morte, vivrò!, e la tua falce si dovrà spezzare contro una selce, se la vorrai sferrar prima d'allora contro di me!

Clara                             - (lo prende per mano) Babbo, ora dovreste andare a coricarvi, e riposarvi un po'; almeno una mez­z'ora.

Mastro Antonio            - Riposare? E sognare? Sognarmi, per esempio, che tu sei incinta e che io ti afferro a un tratto così, e poi... e poi mi pento e ti dico: «Perdonami, figliola! Non sapevo che cosa mi facessi ». Riposare? No, grazie! La notte scorsa ho sognato Carlo, il nostro Carlo, con una pistola in mano. Lo fissavo negli occhi; e lui ha sparato. Contro chi? Non so. Ho sentito un grido, ma, tra il fumo che mi accecava, non ho visto nessun cranio spaccato, mentre, a un tratto, il mio signor figlio si era trasformato in un gran riccone e lì, ritto in piedi, pas­sava da una mano all'altra, per contarli, di gran pezzi d'oro. (Accenna se stesso) Però, stia in guardia, eh! Qual­cuno potrebbe far giustizia e presentarsi poi da sè stesso al Gran Giudice!

Clara                             - Calmatevi, babbo.

Mastro Antonio            - Calmarmi? Calmati e riacquista la salute! Tu sei malato, galantuomo! Dammi tu allora il calmante! Guariscimi tu, medico! E poiché tuo fratello è il peggiore dei figlioli, sii tu, figlia, la migliore delle figlie! Io mi ritrovo ad essere davanti al mondo come un miserabile fallito! Gli dovevo un brav'uomo al posto di questo invalido (indica se stesso) e gl'i ho dato un furfante! Si tu, come tua madre, e allora si dirà che, se il fi­glio è uscito di strada, la colpa non è dei suoi, perchè la figlia è diritta e dà l'esempio. (Con freddezza terribile) Per parte mia farò tutto il possibile per aiutarti ad esser tale; e ti sarà più facile che a tante altre. Ma, se un giorno mi accorgessi che incominciano a segnare a dito anche te, ricordalo! quel giorno mi tagliere... (accenna alla gola)... la barba; e la farò finita. Tu potrai dire che è stata... la paura... di un cavallo che è scappato, di un gatto che ha rovesciato la seggiola, d'un... topo... che mi è salito sulle gambe... Oh, chi mi conosce e sa che non sono tanto pauroso, scrollerà la testa. Ma che importa? Il fatto è che non ci potrei più resistere a questo mondo, al pensiero che la gente dovrebbe spulare in terra nel vedermi passare, per non diventar mia complice.

Clara                             - Ma babbo! che .cosa .debbo fare?

Mastro Antonio            - Niente, cara figliola, niente. Forse... sono troppo severo, lo riconosco, troppo severo anche con te. Non far nulla, ti dico, resta quella che sei. Ma io ho sofferto e soffro una tale ingiustizia, che sono forzato ad essere così ingiusto per non morire di spasimo quando la rabbia mi soffoca. Pensa a che son ridotto! Vo per istrada, e .chi incontro? Quel mariuolo butterato, quel ladro che feci mettere in galera, perchè mi aveva rubato ben tre volte qui in casa. Prima non osava più nem­meno guardarmi in viso, ora, invece, mi si avvicina e mi stende la mano. Volevo tirargli un maledetto ceffone... ma poi ci ho ripensato... e ho detto: «Siam parenti... e tra parenti... si sa. ci si saluta». Il parroco, che è venuto a trovarmi ieri, anche lui, brav'uomo!, dice che ognuno è responsabile soltanto delle proprie azioni, e che è un peccato d'orgoglio volerne rispondere anche per il pro­prio figliolo; perchè, altrimenti, anche Adamo... E lo capisco; sì, capisco che lo stesso Adamo, se in Pa­radiso dovesse martoriarsi per tutti i ladri e per tutti gli assassini che discendono da lui .sarebbe, anziché (beato, .dannato. Nondimeno, anche lui, per Caino, fai strappò i ca.pelli. Però... quello che .è toccato a me... è troppo! E' troppo! Persino la mia ombra, a volte, mi pare che sia divenuta più nera. Tutto, tutto posso sof­frire, e l'ho dimostrato, mono il disonore! Caricatemi di qualunque peso, ma non mi tagliate quest'unico nervo che mi tien su.

Clara                             - Carlo ancora non ha confessato, e non gli hanno trovato nulla.

Mastro Antonio            - Eh, lo so, ma che importa? Ne ho chiesto in .giro per la città. Solo all'osteria, ì suoi debiti ammontano ad assai più di quanto egli avrebbe potuto guadagnare in tre imesi con me, lavorando anche tre volte di più. E capisco, ora, come con tanti debiti fosse il primo ad alzarsi la mattina e a .smettere la sera due ore dopo di me. Ma si vede, però, che non bastava, o che, a lungo andare, gli sembrò troppa fatica; e allora, non appena gli se n'è presentata l'occasione...

Clara                             - Voi pensate sempre il peggio di Carlo. Avete fatto sempre così. Ma non vi ricordate che...

Mastro Antonio            - Tu parli come parlava tua madre. Ebbene, io ti risponderò allora, .come rispondevo a lei, tacendo!

Clara                             - Ma se Carlo fosse innocente, se i gioielli si ritrovassero?

Mastro Antonio            - Ah! allora, oh! in questo caso ven­derei fino la camicia per prendermi un avvocato e per vedere se il borgomastro aveva o no il diritto di mettere in galera il figlio di un galantuomo! E, quando fosse così, chinerei il capo, come qualunque altro, e la con­sidererei una fatalità, sebbene mi sia costata tanto cara. Se Dio colpisce, infatti, che ci resta da fare?, se non ten­dere ie mani verso di Lui e dire: « Sigaore, Signore, tu sai il perchè ». Ma, caso mai non fosse così, e il borgomastro avesse abusato del suo potere per dare una soddisfazione al negoziante suo cognato, oh, allora, si vedrà se manca un articolo nel codice che reprima l'abuso, e se il re, che sa benissimo di dover ripagare con la giustizia la fedeltà e l'obbedienza dei suoi sudditi, ne vorrà rima­nere debitore con me, col più umile di essi! Ma questi son tutti discorsi! E' meno probabile che tuo fratello esca innocente dal processo, che non tua madre esca viva I dalla fossa! No, non c'è da sperar nulla per lui! (Si avvia per uscire, ma torna indietro) Stasera rincaserò tardi! Vado dal vecchio mercante di legname, su in mon­tagna. Mi guarda ancora come prima. Non ha ancora appreso la mia vergogna: è sordo! Anche a sgolarsi con lui, capisce tutto a rovescio. (Via).

Clara                             - Dio, abbi pietà di questo povero vecchio!, e chiamami a te! Non ho altra salvezza. Tutto vive e vuol vivere: gli uccelli, i fiori, le erbe. L'oro del sole si posa sulla strada così vivo, che i bambini tendono le mani per prenderlo ; e i malati, anche quelli che più soffrono, quelli che disperatamente, per tutta una notte di spasimo hanno invocato la fine, provano ancora alla luce del sole un qualche sollievo sul loro giaciglio, e tremano dinanzi alla morte. Ma io t'invoco, invece, o morte! E non tremo! Vieni! Solo risparmia mio padre .che tanto combatte con te! Concedigli di contemplare.ancora questo mondo; non affrettargli il momento della desolazione e della tenebra; prendi me per lui; e non rabbrividirò, quando stenderai su di me la tua mano di ghiaccio ; anzi, la strin­gerò con coraggio e ti seguirò contenta come mai nes­sun altro al mondo.

Wolfram                        - (entra) Buongiorno, signorina Clara. Vo­stro padre è in casa?

Clara                             - iNo, è uscito proprio ora. Voi qui, signor Wolfram?

Wolfram                        - Sì, ivengo... qui... scusatemi... per una cosa...

Clara                             - Quale? Dite.

Wolfram                        - .1 gioielli...

Clara                             - Ebbene i gioielli?

Wolfram                        - Sì, ,i miei .gioielli sono stati ritrovati.

Clara                             - No! E' vero? E' vero?

Wolfram                        - Sì, signorina...

Clara                             - Oh, babbo mio! Che dite?

Wolfram                        - La verità, signorina.

Clara                             - Oh, babbo! E tu non sei qui?... Qui ci sono i suoi occhiali... Oh, tornasse indietro a riprenderli. Ma come, dunque?... Dite. Dove erano? Chi li aveva?

Wolfram                        - Signorina... non ci credereste...

Clara                             - Chi dunque?

Wolfram                        - Mia moglie.

Clara                             - Vostra moglie?

Wolfram                        - Sì... purtroppo... E' così, ed è una cosa assai triste...

Clara                             - Mio Dio, parlate!

Wolfram                        - Avete mai sentito dir nulla a proposito di mia moglie?

Clara                             - Ah... sì! mi pare di sì...

Wolfram                        - Avete sentito dire... ohe essa... non è più... sì, che è da tempo (accenna alla fronte per significare che non è più sane di mente)... voi m'intendete, che da tempo essa non è più perfettamente a posto con la mente?

Clara                             - Sì, sì, l'ho sentito dire.

Wolfram                        - E' una cosa infinitamente dolorosa. Dio mio! Non so quello che lio fatto per vedere se la potevo guarire! E che «osa non ho dovuto subire perchè non si venisse a conoscere!... Ma tutto è stato inutile! Coi do­mestici!... pensate! 'Non ne ho più licenziato uno; ho chiuso gli occhi su tutte le loro malefatte... ho dato a ciascuno il doppio... ma invano! Ipocriti! Ingrati, tutti! Oh, poveri .figli miei! Per voi, solo per voi l'ho ifatto.

Clara                             - Ah, capisco! Ma perchè inveite contro i vostri dipendenti? Ormai l'hanno vista centinaia di persone, vo­stra moglie. Quando bruciò la casa della vicina, batteva le mani e soffiava sul fuoco come per attizzarlo. 'La si credette un demonio, o una pazza...

Wolfram                        - E' vero, è vero! Tutta la città conosce ormai la mia disgrazia; e sarebbe stolto pretendere anche da voi il silenzio. Ebbene, ascoltatemi... Quel furto per cui vostro fratello è in prigione, è stato un atto di de­menza.

Clara                             - Vostra moglie? E' stata lei?!

Wolfram                        - E' stata lei, signorina! Purtroppo. Chi avrebbe potuto crederlo? Era l'anima più buona e più nobile di questo mondo! Ed è diventata così: cattiva e maligna, tanto che, se succede qualche disgrazia in casa, se, per esempio, una domestica rompe un vetro e si taglia, lei non se ne duole, no, anzi, se ne rallegra e .grida dalla gioia. Ma questo lo sapevo da un pezzo. Che arrivasse, però, a sottrarre anche gli oggetti di casa, a nascondere il denaro, e a strappare persino le carte più importanti, l'ho appreso oggi soltanto, solo stamani. Stamani, m'ero 'buttato un po' sul letto e avevo inco­minciato a prender sonno, quando, nel riaprir gli occhi, la vedo avvicinarmisi, per guardare se m'ero già addor­mentato. Ho ifatto finta di nulla, e li ho richiusi. E lei, pian piano, dal panciotto posato sulla seggiola, tira fuori la chiave della cassaforte, che ho lì in camera. L'apre, prende un rotolo di monete e rimette la chiave al suo posto. Son rimasto allibito; ma non mi son mosso, per non farmene accorgere. Solo, quando è uscita di camera, l'ho seguita. E' montata in soffitta, e là, in un vecchio cas­sone abbandonato di mio nonno, ha buttato il rotolo; poi si è guardata in giro sospettosa ed è scappata via senza avvedersi di me. Allora, acceso un fiammifero, ho guardato e frugato lì dentro e, pensate... con una bàm­bola della mia bambina più piccola, con un paio di bab­bucce della serva, un vecchio registro polveróso e delle lettere, pensate, signorina Clara, ci ho trovato... sì, giù, giù, in fondo in fondo... Ah non so farmene una ra­gione!... anche i gioielli!...

Clara                             - Madre mia! E? orribile!

Wolfram                        - Non so quello che darei, perchè non fosse accaduto quello che è accaduto..., ma non è colpa mia... Io, come vedete, non potevo sapere... Vostro fratello era stato da me a rilucidare il forziere, e i gioielli erano spariti proprio allora. Nel prendere alcune carte dai cassetti, me ne sono accorto poco dopo che vostro fra­tello era uscito; e, allora, nonostante la stima che ho sem­pre avuta per la famiglia di un uomo quale è vostro padre, era naturale ohs io sospettassi di lui. Ma non volli far subito troppo rumore col denunciarlo, e mi limitai ad accennare al fatto coll'usciere Adamo, pregandolo però di iniziare le sue indagini con ogni prudenza. Non volle ascoltarmi! Mi rispose che non era il caso di usare troppi riiguardi con un giovane come vostro fratello, noto­riamente dedito al bere e carico di debiti; e che la de­nunzia era necessaria. Non mi è stato possibile quie­tarlo; non so che cosa abbia contro vostro padre!, ed è scappato via, turandosi gli orecchi, e dicendo: «Se me li aveste regalati quei gioielli, non mi avreste fatto tanto piacere! ». Così, influente com'è col borgomastro, che fa tutto come vuole lui..., la cosa è andata avanti...

Clara                             - Ho inteso. Lo conosciamo bene quell'Adamo! Una volta, all'osteria, posò sul tavolo il suo bicchiere accanto a quello di mio padre per toccarlo e bere alla sua salute. Mio padre scostò il suo e disse: « Una volta le persone in giubba rossa e col bavero turchino beve­vano in tazze di legno e restavano fuori del locale da­vanti alla finestra, o, se pioveva, sotto l'arco 'della porta, dove l'oste portava loro da bere, e bevendo dovevano scoprirsi. Se poi, fosse loro venuto in mente di toccare il bicchiere con qualcuno, dovevano aspettare finche pas­sasse il bargello ». Oggi, invece... Dio mio... E mia madre è morta! Che cosa non può avvenire a questo mondo!

Wolfram                        - Dov'è vostro padre?

Clara                             - E' andato là in montagna, dal mercante di legname!

Wolfram                        - Monto a cavallo e corro da lui. Sono pas­sato dal borgomastro, ma per disgrazia non l'ho trovato in casa, se no, vostro fratello a quest'ora, sarebbe già qui. Ma il segretario l'ha fatto avvertire, e, certo, lo rive­drete prima di sera. (Esce).

Clara                             - (sola) Tutto, dunque si risolve! Sento che qualche cosa sta per avvenire per cui tutto finirà in bene!... Io sola... Dio! Dio!

Federico                        - (entra) Buongiorno!

Clara                             - (si turba, si appoggia ad una sedia per non ca­dere) Federico!

Federico                        - Vostro padre non è in casa?

Clara                             - No, è uscito un momento fa.

Federico                        - Gli porto una buona notizia! Vostro fra­tello... Ma, Clara! Posso io continuare a parlarti come se non ti conoscessi? Fino i tavoli e le sedie e gli ar­madi mi conoscono qui dentro. Se li saluto, mi rispon­dono! Ci siamo rincorsi tante volte, io e te da fanciulli qua, e sarebbero i primi loro, ora, a canzonarmi, se non cambiassi subito tono con te! Debbo darti del tu, come allora... Vuoi? Oppure prenderai con me un aspetto se­vero, per far capire a questo irriducibile ragazzone che sogna ancora, come una volta, che ormai tu non sei più una bambina? - avevi undici anni allora, eri tant'al-tal... - (indica l'altezza a un punto dello stipite), e che ora sei una donna! Non più quella pupattola che non arrivava neppure a prendere lo zucchero di su l'armadio, dove lo mettevano come in cima a una torre, per sal­varlo da noi. E noi ci si affannava a scacciarvi le mo­sche che potevano, beate loro!, volarci sopra a succhiar­selo allegramente!

Clara                             - Credevo che all'Università, fra tanti maestri e tanti libri, queste cose si fossero ormai scordate.

Federico                        - Questo è un rimprovero! e non hai torto!... Certo, è un bel caso, se, tra codici e pandette, tra Giu­stiniano e Caio, non ci si dimentica d'ogni cosa più cara! Non per nulla i ragazzi sono tanto nemici dell'abbece­dario. Sanno 'bene che cosa gli prepara quel libriccino con tutte quelle sue lettere e sillabe: i tomi della Bibbia e tanti volumoni! Ma che vuoi? Rimangono alla pania vedendo dipinto un hel gallo rosso e un gran paniere di uva dietro la « G » maiuscola. E così per tutte le altre, dall'« A » fino alla « Z », finché poi, senza saper come, un bel giorno si ritrovano in pieno « Corpus juris ». Allora, e soltanto allora, si accorgono dove li hanno portati quelle ventiquattro maledette lettere dell'alfabeto che. da principio, combinate come erano in parole saporose e odorose, quali «ciliegia» e «rosa», parevano così innocenti!

Clara                             - (come assente) E allora?

Federico                        - E allora, secondo i casi... Vi sono di quelli che ci si mettono di buona lena e se la cavano più o meno bene, rialzando da quei pruneti, dopo tre o quattro anni, il capo alla luce del igiorno; per quanto, sempre un po' dimagriti e pallidi, e senza colpa loro. Sono an­ch'io del numero! Altri, invece, vi si buttano a capo fitto, pur dicendo di non volerci stare che per qualche tempo. Ma è raro il caso che ne escano. Ne conosco uno, per esempio, che da tre anni sorseggia la sua birra all'ombra della « Lex Julia ». Forse, se l'è scelta per qual­che caro ricordo di una qualche Giulietta. Altri, poi, per paura di perdervisi, se la danno subito a gambe, ma sono i più sciocchi, perchè fuggono da un macchione per ingolfarsi subito in un altro. E di macchioni ce ne sono tanti a questo mondo, sterminati ed orribili! Però, quante chiacchiere fo' per non riuscire a dire quello che vorrei, quello che ho nel cuore!

Clara                             - Che bella giornata oggi! Una giornata di paradiso!

Federico                        - Oggi con questo sole i gufi cascano dal nido, i pipistrelli si uccidono, sgomenti d'essere i figli del diavolo, le talpe si sprofondano sottoterra, e non tornan più su, a meno ohe, a forza idi rodere, non Me­scano agl'i antipodi e si ritrovino, come a qualcuno ac­cade, in America. Le spighe si 'gonfiano, i papaveri ri­pigliano il loro colore, rossi dalla vergogna di non averlo ancora. E l'uomo che farà? Vorrà esser ,da meno e of­fendere il buon Dio, rinunciando a igodere con faccia lieta e occhio sereno di tante cose helle e buone? Ah no! Quando io vedo un rospo saltar fuori dal buco e guardar con quella sua fronte grinzosa e con quei suoi occhi stupidi il cielo, come fosse un foglio di carta sugante per la pioggia che chiama, dico: Ora, di certo, piove! Perchè il Padre Eterno non può fare a meno di stendersi davanti agli occhi una cortina di nuvole, per non vedere quella faccia rugosa. Esseri simili, credo che si dovrebbero poter tradurre dinanzi a qualche tri­bunale come gente di malaugurio e guastafeste. Ma non è già un render grazie a Dio e cantar le sue lodi questo soltanto di sentirsi vivi? Su, dunque, uccellino, .vola e canta! ohe se no, tu non meriti codesto dono di Dio.

 Clara                            - Com'è vero! Mi verrebbe da piangere.

Federico                        - Io non l'ho detto per te, Clara! So bene in che ansie hai dovuto vivere durante questi ultimi otto giorni, lo so benissimo; soprattutto conoscendo tuo padre! Ma, grazie a Dio, son venuto a liberarti da ogni pensiero, ormai! Son venuto, anzi, per questo. Tuo fra­tello sarà qui stasera, e da oggi non più lui, ma quelli che l'hanno mandato iniquamente in carcere dovranno essere additati al disprezzo della gente. E non merito un bacio per una bella indizia come questa? Sia pure soltanto un bacio da sorella, se un altro non è lecito. Oppure debbo prendermelo da me, e far con te, come allora, a mosca cieca? Su via! Eccomi, ti piglio! Se non ti piglio alla prima, «on .contento di restare a bocca asciutta e di ricevere, anzi, da te un bello scapaccione,

Clara                             - (tra sè) Mi par d'essere invecchiata di mille anni e che il tempo si sia fermato per me, e che io noni| possa andare più né avanti né indietro. E questo sole che sembra inchiodato nel cielo! E questa festa di luce che mi circonda.

Federico                        - Che dici? Non rispondi! Ah, mi ero scor­dato che tu sei fidanzata. Già! Fidanzata! Clara! Perchè mi hai fatto questo? E' vero, però, che non ho il diritto di rimproverarti. Dovevo ricordarmi, sì, chi avevo lasciato qui: te che eri la stessa bontà e tutto il mio jamore; e, invece, noti me ne sono ricordato; e ho lasciato passare degli anni, quattro anni!, come se tu non esistessi più! Così, ben si comprende come tu non ti sia ritenuta in obbligo di aspettarmi; di aspettare chi non si faceva più vivo. Ma, almeno, quello che ti sei scelto 'fosse una per­sona a modo, degna di rispetto!... Invece, codesto Leo­nardo...

Clara                             - (appena sente quel nome) No, no! debbo esser sua ad ogni modo... debbo andare da lui; subito... adesso...! Non sono più la sorella di un ladro, ora. E lui sentirà, sentirà il dovere di mantenere la sua parola... Dio mio! Che cosa voglio, infine? Lo farà... lo farà, non potrà esser, no! così cattivo con me! E tutto allora tornerà come prima!... (Impaurita a quest'idea) Come prima! (A Federico) Perdonami! Non offenderti! Oh .Dio!... Mi sento le gambe inchiodate...

Federico                        - Tu vuoi dunque, andare da...!

Clara                             - Da lui, da Leonardo. Da ohi, se no? E' l'unica via che mi rimane.

Federico                        - Tu lo ami, dunque? Allora se è così...

Clara                             - (con impeto selvaggio) Amarlo!... o lui, ormai, o la morte! Ti sorprende? Lo intendo, ma credi che se Io fo, non lo fo certo per me!

Federico                        - Lui o la morte? Questo è un parlare da disperati! Che debbo credere? Che!... Forse!?...

Clara                             - Non parlare; impazzisco. Io amo te, soltanto te! Federico, te soltanto, te Io grido, come 'dalla tomba, dove nessuno arrossisce più, dove nella santa, se pur ter­ribile, vicinanza di Dio, nessuno si dà più pensiero per gli altri.

Federico                        - Me? Mi ami ancora? Me, dunque, me sempre! Oh, io lo sentivo; sì, l'ho sentito fino dal primo momento che ti ho riveduta, quel giorno, là al ballo.

Clara                             - Te, sì; ma pure... c'è anche l'altro!... (Cupa­mente come parlando a se stessa) Mi si piantò davanti; gridandomi: «O lui o me!». E, allora quasi per per­suadere me stessa e dare a lui una prova di fedeltà o, forse, anche per soffocare in me un affetto, se ancora poteva chiamarsi così, io... allora... Dio mio! Che ho fatto? Dio, ahbi pietà di me, come io l'avrei se io fossi in te!

Federico                        - Clara, sii la mia sposa. Io son tornato per rivederti, per guardarti ancora una volta negli |0;cchi, come allora. Se tu non avessi compreso, io mi sarei al­lontanato inosservato e in silenzio; ma dal momento che tu mi dici di amarmi ancora, eccomi qua: vuoi? Ti offro lutto me stesso, per quello che valgo, con quello che posseggo. E' poco, lo so, ma potrà diventare di più. Sarei venuto molto prima da te, se tua madre non fosse stata ammalata e poi... con la sua morte...

Clara                             - (ride come folle).

Federico                        - Non fare così, mia cara. Ti sei promessa a quell'uomo? Egli ha la tua parola; e ciò ti tormenta. Certo, è una brutta faccenda... Ma come, come, Clara, hai potuto far questo?

Clara                             - Non chiedermelo! Pensa piuttosto quante cose possono congiurar contro a una povera ragazza, e farle perdere il dominio di se stessa. Insinuazioni e ma­lignità, da ogni parte. Tu eri all'Università ne ti facevi più vivo, io continuamente qui in casa, nel vicinato, da amici e conoscenti a sentir sussurrare: « Ci pensa sem­pre! ». «Spera ancora; povera illusa! ». «Ma le scrive, almeno? »; e la mamma: « Contentati di un giovane della tua condizione, non mirare più in su. L'ambizione può procurarti dei dispiaceri. Infine, anche Leonardo è un bravo ragazzo, e tutti si meravigliano, anzi, dbe tu lo tratti con tanta severità ». E poi, anche il mio cuore mi diceva: «Ormai ti ha scordata, che aspetti? Ebbene, mo­stragli che anche tu...». Dio, mio! (Nasconde il capo fra le mani).

Federico                        - La colpa è mia! Lo riconosco. Nondimeno, ciò che è difficile non è del tutto impossibile. Sarò io a farti restituire la tua parola.

Clara                             - La mia parola! Eccola! (Gli getta la lettera di Leonardo).

Federico                        - (legge) « Capirai, nella (mia nuova condi­zione di cassiere... Con tuo fratello imprigionato per furto... mi dispiace infinitamente... ma non posso fare altrimenti... ». (A Clara) E questo lo ha scritto il giorno stesso che tua madre è morta? E nella slessa lettera con cui ti faceva le condoglianze?

Clara                             - Sì!

Federico                        - Miserabile! O buon Dio, il diavolo, di certo, si deve essere rallegrato ai rettili e alle belve, che ti sono uscite di mano il giorno della creazione. Ma Dell'imitarti ha voluto far meglio di te, e li ha saputi mettere sotto una pelle d'uomo accanto ai tuoi figli. Così da non riconoscerli più se non quando, come in questo caso, mordono e graffiano. (A Clara) Sta bene. (Le apre le braccia) Vieni con me, Clara, con me, per sempre! Con questo bacio...

Clara                             - Per sempre? No, solo per un momento, per questo momento! Per appoggiarmi un po' a te, e non cadere in terra! (Gli si abbandona sul petto) Ma un bacio... no.

 Federico                       - Tu non l'ami; tu sei libera ormai...

Clara                             - (si alza, poi cupamente) E nondimeno, andrò ugualmente da lui ad implorarlo in ginocchio che mi sposi, non per me, ma per carità di mio padre... per i suoi capelli bianchi...

Federico                        - Clara!... E' vero?...

Clara                             - Sì!

Federico                        - (si stringe più fortemente Clara sul petto) Clara! Clara!

Clara                             - Vai, dunque, ora, va'!

Federico                        - (cercando col pensiero) A meno che... sì. Toglier di mezzo quel cane che sa!... Oh, se non fosse un vigliacco! Se osasse di misurarsi con me! Potessi portarlo a questo! Son certo che non sbaglierei il :Colpo.

Clara                             - No, Federico, ti scongiuro!

Federico                        - (andandosene) Lasciami fare. A buio lo troverò! (Torna indietro e prende Clara per la mano) Addio. (Esce)

Clara                             - (sola) Stringiti, cuor mio, che non m'entri più una stilla di sangue nelle vene a riaccender la vita. Rinasceva una speranza! Dna speranza? Ma, no! Nessun uomo, lo ha detto, potrebbe accettare... una cosa... come questa. E, se anche fosse, potrei accettarla io? Ne avrei il coraggio? Chiuditi dunque, inferno, chiuditi sulla mia testa, anche se qualcuno, ora, tenta di sforzar la tua porta. Babbo! Tua figlia non ti spingerà al suicidio. Sarò presto la moglie di quell'uomo, oppure... no, no, mio Dio!... Non è la mia felicità che chiedo! Corro alla mia rovina... e vi corro per te! Andiamo: qui è la sua lettera! (Prende la lettera) Troverai tre pozzi sulla tua strada: non fer­marti a nessuno: non ne hai ancora il diritto.

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

QUADRO PRIMO

(L'ufficio delle imposte. Leonardo, solo, è seduto a una scrivania).

Leonardo                      - (soprappensiero fischietta).

Clara                             - (entrando) Buona sera, Leonardo.

Leonardo                      - Clara! Non hai ricevuto la mia lettera? O vieni, forse, a pagare le imposte per tuo padre? A quanto ammontano? (sfoglia un registro) Vediamo, seb­bene dovrei saperlo a memoria.

Clara                             - Vengo a restituirti la tua lettera. Eccola qui! Vuoi rileggerla?

Leonardo                      - (legge assumendo un contegno di molta se­rietà) Mi sembra una lettera molto sensata. Come può un uomo cui è affidato il pubblico denaro imparentarsi con una famiglia della quale fa parte un... (mangiandosi la parola che sta per dire)... tuo fratello?

Clara                             - Leonardo!

Leonardo                      - Oppure, non è vero, come tutti qui sanno, che tuo fratello è in galera? o... che c'è stato? E itu non sei la sorella di un... di tuo fratello?

Clara                             - Sono figlia di mio padre, .Leonardo! Mio fra­tello è stato vittima di un'accusa ingiusta, ed è già stato dichiarato innocente. Non vengo qui, dunque, a piangere e a tremare per l'offesa fatta al mio onore. (A mezza voce) Tremo, invece, davanti a te, solo per quel vecchio di cui sono figlia.

Leonardo                      - Ebbene, che vuoi?

Clara                             - Me lo domandi? Dio mio! Me lo domandi? Leonardo!, mio padre si taglia la gola, se viene a sa­pere. Leonardo!, sposami!

Leonardo                      - Tuo padre si...?

Clara                             - L'ha giurato. Sposami, Leonardo!

Leonardo                      - Via! Altro è dire altro è morire, non temere!

Clara                             - L'ha giurato. Sposami e ammazzami poi, se vuoi. Te ne sarò grata.

Leonardo                      - Ma senti, «ara, parliamoci chiaro. E' pro­prio per amore, si, proprio perchè mi vuoi ibene, che sei venuta qui da me ora? Sono proprio io l'uomo senza il quale tu non puoi vivere? Su, rispondimi.

Clara                             - Risponditi da te a questa domanda.

Leonardo                      - Puoi giurare di amarmi davvero come una donna deve amare l'uomo a cui sta per unirsi per sempre?

Clara                             - No! Posso giurarti, però, che quando mi avrai per moglie io sarò per te quale una moglie deve essere, quale tu hai ragione di pretendere; né avrai mai da chiederti se io ti ami o non ti ami. Lavorerò, ti servirò; e, se non vorrai pensare a me, non fa niente. Provvedere io stessa al mio mantenimento. Cucirò, filerò per fuori... e, quando non avrò lavoro, soffrirò la fame; e stai certo che non ricorrerò a mio padre! Egli non ne dovrà mai saper nulla! Vorrò mangiarmi le carni, piut­tosto che ricorrere a lui. E, se mi batterai, per sfogare su di me il tuo malumore, invece che sul tuo cane, non temere per i vicini... non darò un grido. Delle mie livi­dure, se non me le risparmierà la frusta, racconterò menzogne. Dirò di avere urtata la testa 'contro uno spi­golo... di essere scivolata sul pavimento... e questo, prima ancora che me ne domandino. Sposami, dunque! Non vivrò a lungo! Se poi ti sembrerà ch'io ci metta ancor troppo a morire, compra del veleno per i topi, caccialo là in casa, in qualche parte, dove credi... lo troverò da me, e lo ingoierò senza che ti sia neppur necessario di farmene un cenno.

Leonardo                      - Davvero! E ti potrai meravigliare, ora, se un uomo da cui ti aspetti tante (belle prodezze, ti risponde di no?

Clara                             - Non mi giudicare severamente, se son ve­nuta io da te per la prima, non chiamata. Se si fosse trattato solo di me, ti giuro che avrei sofferto in silenzio, come in espiazione di non so quale delitto, la mia di­sgrazia; e contro tutto il mondo! Io posso anche rimaner sola col mio bambino, che amerò immensamente, anche se somiglierà al padre, fiduciosa e sicura che il povero innocente, una volta cresciuto e in grado di comprendere, non disprezzerà né maledirà sua madre. Ma non si tratta di me! Io non sono sola, lo sai e nel giorno del giu­dizio, dinanzi a Dio, mi sarà più facile rispondere alla domanda: «Perchè ti sei uccisa?» che non a quella: «Perchè hai spinto a tal punto tuo padre? ».

 Leonardo                     - Tu parli come se tu fossi la prima e l'ultima a trovarsi nelle tue condizioni. Ma quante altre ci si sono trovate prima di te e hanno saputo rassegnarcisi, e quante ancora ci si troveranno, e sapranno adattarsi al loro destino. O credi, invece, che nessuna meriti considerazione all'infuori di te? Anch'esse avranno avuto i loro babbi, che saranno andati da prima sulle furie parlando di ammazzare e di ammazzarsi, e poi, come sempre avviene, dopo essersi sfogati ad imprecare ed a bestemmiare, si saranno magari messi essi stessi a cullare il neonato.

Clara                             - Ma la tua parola, il tuo giuramento!

Un Ragazzo                  - (entrando, a Leonardo) Ho questi fiori per voi.

Leonardo                      - Chi li manda?

Il Ragazzo                     - Non posso dirvelo.

Leonardo                      - Belli davvero! (Si batte la fronte) Oh, santo cielo, che smemorato! Avrei dovuto mandarne an­ch'io. E ora, come si fa?... non sono punto pratico di queste cose... e la piccina ci tiene, ma lei non ha altro da pensare... (Prende i fiori) Tutti, però, non li prendo. (Al ragazzo) Dunque, stai bene attento, ragazzo, a quello che ti dico. Questi li tengo e me li metto qui, dalla parte del cuore; questi altri, invece, così rossi che sem­brano di fiamma, questi riportali indietro. Hai capito? Oh, bravo! E quando le mele del mio orto saranno ma­ture, rifatti vedere.

Il Ragazzo                     - Grazie, dovrò aspettare un pezzo! (Esce).

Leonardo                      - Mia cara! Tu parli di mantenere la parola; ebbene, appunto perchè sono un uomo di parola dovevo risponderti come ti ho risposto, dopo essermi congedato da te otto giorni fa ed averti scritto questa lettera. Eccola qui! Puoi negarlo? (Dà la lettera a Clara che la prende come assente) Ti ho scritto in quel modo perchè nulla allora, nulla poteva lasciar pensare che tuo fratello non fosse veramente l'autore del furto. Ora, tu dici che l'han- | no riconosciuto innocente... Tanto meglio. Ne sono lieto! Peraltro, in questi otto giorni è avvenuto qualche cosa che ha modificato profondamente la situazione! Debbo dirtelo. In questi otto giorni io ho stretto una nuova relazione! Mi sentivo ormai libero, di fronte alla mia coscienza ed alla legge. D'altra parte, tu non mi hai fatto sapere niente. E ora, soltanto OTa ti rifai viva; proprio ora, quando ho già impegnata la mia parola con un'altra, che già, si trova anch'essa, forse, nello stesso tuo stato... Oh, povera Clara! Ti comprendo, però, oh come ti com­prendo! (Le accarezza i capelli, Clara lo lascia fare, come non vedesse e non sentisse) Ma anche tu devi capire, sai... col borgomastro non c'è molto da scherzare.

Clara                             - (come in sogno) Non c'è da scherzare...

Leonardo                      - Vedi che cominci a ragionare anche tu? Quanto a tuo padre, digli pure, e senza reticenze, che la colpa se mai, è tutta sua. Non guardarmi a quel modo! E non dire di no! E' tutta sua, ti dico. Diglielo anche tu, e vedrai che finirà col riconoscerlo. Perchè chi ha delle figliole e non tien conto del suo, e lo regala e lo butta via con questo e con quello, come fa lui, non deve poi lamen­tarsi se gli rimangono in casa zitelle. Ah, quando ci penso, mi sento pruder la lingua e anche le mani... e vorrei dargli una lezione a quel vecchio. Ma sì! Perchè ora sono costretto ad essere così duro con te? Perchè lui ha fatto il pazzo ; e le conseguenze della sua pazzia ricadran­no soltanto su di lui. Questo è chiaro come il giorno. (A Clara) Vuoi ohe iglielo dica da me, che ci parli io? Sta bene: dovessi rischiare la testa, ci parlerò io stesso, non dubitare. Faccia pure il villano quanto vorrà, dia pure in escandescenze, mi tiri dietro magari una seggiola, ina la verità dovrà sentirsela dire e riconoscerla.

Clara                             - (si alza e rigida con tutta la persona) Ho ca­pito, grazie... (Si avvia per partire).

Leonardo                      - Vuoi che ti accompagni? Non ho mica paura!

Clara                             - Grazie, ti dico. Lasciami andare sola! Ti rin­grazio! Ti ho conosciuto ormai, mi si sono aperti gli occhi. Qualunque debba essere il mio destino, ormai non ho più nulla a che fare con te. E questa è già per me una liberazione. E, se la misericordia di Dio vorrà volgere gli occhi prima su di te e poi su di me, e considerare quello di cui sei stato capace, sono certa .che non mi condannerà se... Ohi è punto da un serpente può bene aprirsi le vene per farne uscire il veleno. Tu solo, tu solo mi avrai con­dotta a questo... Come avrei potuto giungervi da me sola? Una cosa, però, questa soltanto ancora... Mio padre non sa nulla e non sospetta di nulla. Ricordatelo! E perchè, ap­punto, non arrivi mai a saperlo... ine ne vo, e non di qui soltanto, ma dal mondo! Posso pensare che tu?... (Muove risolutamente verso di lui) Ah sciocca! Che pazzia! Per to sarà un sollievo.

Leonardo                      - Se ne vedono tanti di questi casi! Tristi, senza dubbio, ma che ci si può fare?

Clara                             - Via di qui, via! Quest'uomo è anche capace di dir quel che pensa.

Leonardo                      - Ma pensi che io ti creda?

Clara                             - No.

Leonardo                      - Grazie a Dio! Tu non puoi ucciderti senza uccidere anche la tua creatura.

Clara                             - Sì, tutti e due, piuttosto che uccidere mio pa­dre! Oh, lo so bene che non si espia un peccato con un altro; ma questo che io commetto ricade solo su di me; saremmo invece in due a risponderne, se vi spingessi mio padre, mentre io dovrò risponderne in ogni modo; ed è questo che mi dà coraggio e forza nella disperazione. Tu, invece, tu... farai fortuna a questo mondo. (Esce).

Leonardo                      - Cara, Clara! (Solo) La dovrei sposare! E perchè? E perchè vuol risolversi ad un atto disperato per impedirlo a suo padre? E comunque, perchè dovrei essere proprio io a togliere l'una e l'altro d'impiccio, col commettere una sciocchezza anche più grande? No, non ci si può neppure pensare.

Federico                        - (entrando) Buona sera!

Leonardo                      - Voi, signor segretario? A che debbo que­sto onore?

Federico                        - Lo saprai subito.

Leonardo                      - Lo saprai?! Del tu?! Mi trattate con inso­lita confidenza. E' vero ohe siamo stati compagni di scuola.

Federico                        - E potremo divenire compagni in altra sede, magari sottoterra! (Tira fuori due pistole) Te ne intendi?

Leonardo                      - iNon vi capisco.

Federico                        - (carica la pistola) E’ facile... si fa così. La punti contro di me, così come fo... io con te, e premi così...

Leonardo                      - Che dite mai?

Federico                        - Uno di noi.due deve sparire, e subito.

Leonardo                      - Sparire?... Morire!

Federico                        - Sì, e tu sai perchè.

Leonardo                      - Ma io non so niente di niente, santo Iddio !

Federico                        - iNon fa nulla. Te ne ricorderai al momento di render l'anima.

Leonardo                      - iMa io non arrivo proprio ad immaiginare... che cosa...

Federico                        - Cerca di ricordartene, perchè, se no, potrei trattarti come si tratta un cane arrabbiato, che, pur senza rendersi conto di quel che si facesse, ha morso una persona a me infinitamente cara; e, allora, dovrei ammazzarti come un cane; mentre ancora per mezz'ora debbo considerarti come un mio simile.

Leonardo                      - Non parlate così forte; qualcuno potrebbe sentire!

Federico                        - Se così fosse, tu avresti già gridato da un pezzo.

Leonardo                      - Ma, se si tratta della ragazza, io son dispo­sto a sposarla; questo appunto avevo deciso di fare. E' stata qui da me... ora.

Federico                        - Qui da te? Ed ha dovuto andarsene senza vederti cascare in terra annichilito ai suoi piedi? Andia­mo, andiamo!

Leonardo                      - Vi scongiuro! Voi mi troverete pronto a tutto!... a tutto quelle che voi vorrete. Mi fidanzerò sta­sera. E' questo che volete?

Federico                        - Ah, questo no, questo lo farò io, o nessun altro, cascasse il mondo! Tu non le devi toccar più nep­pure l'orlo del vestito. Su, su, via, con me, nel bosco qui vicino; e bada! Ecco, ti tengo sottobraccio... Se per la strada ti azzardi soltanto ad alzare la voce... (Alza la pi­stola) Ci siamo intesi? Persuaso? Su, dunque. Passeremo dalle strade di dietro, attraverso i giardini... perchè non ti venga la tentazione di...

Leonardo                      - Una di quelle pistole è per me, datemela!

Federico                        - Un momento! Per che farne? Per but­tarla via lungo la strada, e mettermi al punto o di ammaz­zarti, o di lasciarti scappare? No, no, abbi pazienza. Te la darò quando saremo sul posto. Puoi fidarti di ime; farò le cose per bene, da uomo d'onore.

Leonardo                      - (muovendosi butta inavvertitamente in terra il bicchiere che era sul tavolo) Non ci berrò più, dunque?

Federico                        - Forse ti andrà bene, e chissà! Dio e il dia­volo sono sempre in lotta a questo mondo. Ohi può dire quale dei due l'avrà vinta? Andiamo! (Lo piglia sotto-braccio ed esce con lui).

QUADRO SECONDO

(Una stanza in casa di Mastro Antonio).

Carlo                             - (entrando) Non c'è nessuno in casa? Se non avessi saputo dove ripongono la chiave quando son fuori, non avrei potuto entrare. Non sarebbe stato un gran male. Avrei potuto fafe anche venti volte il giro della città solo per il piacere di sentirmi a piede libero. Accendiamo il lume. Sono sicuro che anche i fiammiferi sono allo stesso posto, perchè in casa mia anche questo fa parte dei co­ mandamenti di Dio. « Il cappello deve essere attaccato al terzo becchitello, non al quarto », « Alle nove s'ha da essere stanchi e riposarsi », « Prima di San Martino non si può avere freddo, né, dopo San Martino, sudare », e così via di seguito, come se si dicesse: «Io sono il Signore Iddio tuo, non avrai altro Dio prima di me! ». Ho sete. Mamma! Che stupido! Come se non sapessi dov'è! e che è là, dove neanche il ragazzo del birraio, con quella sua bocca a pesce, risponde più «Vengo subito»! Dal fondo di quella tana, là in torre, ho sentito sonare a morto, e non ho pianto!... Quello sbirro cane non mi lasciò tirare nep­pure l'ultima palla che avevo in mano! Ma ti ritroverò! Oh, se ti ritroverò! Forse stasera. Lo so dove tu bazzichi verso le dieci, né ti darò neppure il tempo di respirare. Poi d'un salto, a bordo! evia! Dove sarà Clara? Ho anche una certa fame, oltre che sete. Ah, ecco, oggi è giovedì. Hanno fatto il brodo col lesso. Già è primavera. D'inverno, in­vece, sarebbero stati cavoli bianchi, prima di berlingaccio, e dopo berlingaccio, come di regola, verdi. Ci si può con­tare come a rimettere al giorno il calendario.

Clara                             - (entra) Carlo! Oh, Carlo! Sei qui. (Lo abbrac­cia e lo bacia).

Carlo                             - Finalmente! Che cosa hai lì?

Clara                             - Lì, dove? Che cosa?

Carlo                             - Come che cosa? Lì in mano?

'Clara                             - Oh, nulla.

Carlo                             - Nulla? Son segreti? (Le strappa di mano la lettera di Leonardo) Dà qua, quando il padre non c'è tocca al fratello. (Dopo aver letto) Mondo cane! Ah, triste ceffo! La mano che ha scritto questa lettera voglio spezzartela! Va a prendermi una bottiglia. O non hai neanche più un soldo nel tuo salvadanaio?

Clara                             - Ce n'è ancora una in casa. L'avevo comprata per il natalizio... della mamma che sarebbe stato... do­mani...

Carlo                             - Portala!

Clara                             - (porta la bottiglia. Carlo beve più bicchieri uno dopo l'altro) E così si ricomincia: piallare, segare, inchiodare; mangiare, bere e dormire negli intervalli, e poi di nuovo, piallare, segare e inchiodare per ringra­ziarne alla fine il Signore Iddio, la domenica! Evviva la vita! Alla salute dei cani a catena... che non mordono!

Clara                             - Non bere tanto, Carlo : « Nel vino - come dice il babbo - c'è dentro il diavolo ».

Carlo                             - Davvero! Il prete, invece, dice che c'è il buon Dio. (Beve) Voglio vedere chi ha ragione. Quell'A­damo è venuto anche qui? Come si è comportato?

Clara                             - Come fossimo un branco di ladri! E appena quello sgherro ha aperto bocca, Dio!, la mamma è caduta in terra fulminata.

Carlo                             - Mascalzone!... Clara, se domattina sentirai dire che l’han trovato morto... non imprecare contro l'uccisore.

Clara                             - Carlo! Questo mai! Per carità!

Carlo                             - E chi può venire a saperlo? Non ha altri nemici che me? Sarà la prima volta che han tentato di fargli la pelle? Il vero autore non lo scopriranno mai, a meno che non vi lasci il cappello o il bastone. Ma sia chi sia che tenti il colpo…. In bocca al lupo! (alza il bicchiere)

Clara                             - Carlo, come parli?

Carlo                             - Lascia andare, e lasciami fare. Non mi vedrai ancora per molto tempo qui.

Clara                             - No! (spaventata) Perché? Che dici?

Carlo                             - Voglio fare il marinaio e navigare. Non mi hai ancora capito? È inutile che il vecchio vada sulle furie e minacci come al solito di mettermi fuor di casa! Me nt vado da me. E allora, sarebbe come se il carceriere mi dicesse: «O esci di carcere, o ti butterò fuori io »!

Clara                             - Sei tu che non mi capisci.

Carlo                             - Bene. (Canta):

« Una nave là gonfia la vela

Che già sibila tesa nel vento »...

Questa è la verità. Nulla più ormai mi tien legato al mio banco. Da che la mamma è morta, poi, non c'è nessuno qua dentro che debba stare in pensiero per me. Sul mare, dunque! Tu sai che fin da ragazzo non ho desiderato altro! Qui si ammuffisce e si intarla.

Clara                             - Vuoi lasciar solo tuo padre? Pensa che hi sessantanni!...

Carlo                             - Lasciarlo solo? E non ci sei tu?

Clara                             - Io!...

Carlo                             - Tu, la sua beniamina! Di che malinconie mi vai parlando? Lo lascio con te, con te! Non sei tutta la sua gioia, tutta la sua consolazione?, e lo libero così di me, che gli son sempre causa di tanti dispiaceri. Perche poi, dovrei restare? Noi, tanto, non siamo fatti per an­dare d'accordo. Lui odia l'aria e lo spazio, e vorrebbe restringersi in un pugno; lo, invece, vedi, per respirar meglio, e solo che si potesse, mi leverei di dosso anche la pelle, come una volta mi levavo di dosso il mio mantello da bimbo. (Canta):

« Già l'ancora a bordo è levata,

già in rotta si drizza il timone,

la nave già fila sul mar! ».

Ma dillo anche tu. Ha mai dubitato un momento, lui!, ch'io non fossi un ladro? Ha mai finito di ripetere sul ieonto mio, come per consolarsi con la sua ragione di uomo infallibile: «Eh, già, questo me l'aspettavo! Qu& sto l'ho sempre pensato! Non poteva finir che così! ». Sei invece, si fosse trattato di te, -oh, per te si sarebbe am­mazzato addirittura.

Clara                             - Che martirio! Debbo andarmene! Debbo an­darmene!...

Carlo                             - Dove? Dove vuoi andare? Che vuoi dire?

Clara                             - -Nulla... Dove vuoi che... vada?... in cucina!» (Battendosi la fronte) Dio! E solo per questo, solo per Ini. son tornata! (Via).

Carlo                             - Strani discorsi!

« Un più audace gabbiano

s'aggira salutando il grand'albero là ».

Clara                             - (ritorna) La solita bevanda della sera per il babbo, è sul fuoco. Tutto è fatto; non mi resta altro da fare. Quando ho richiuso dietro di me la porta di cucina, mi son sentita rabbrividire pensando: «Non ri­metterai più piede qua dentro! ». Uscirò da questa stanza, da questa casa e dal mondo!

Carlo                             - (continua a cantare. Muovendosi per la stanza, Clara rimane nel fondo)

« Su nel cielo fiammeggia il gran sole;

qualche vivido pesce d’argento

vede l’ospite al guizzo brillar! ».

clara                              - Ma perché non lo faccio? Non lo farò mai? Rimanderò d’ora in ora, di minuto in minuto? Eppure non c’è più da esitare. Ma resto qui!:… Non riesco a muovermi. Mi pare che dendro il mio grembo si levino delle manine verso di me per pregare… mi pare che degli  occhi... (Si lascia andare sopra una sedia) Che vuol dir ciò? Son troppo debole per farlo? E allora? Son io forte abbastanza per vedere mio padre con la gola ta­gliata? (Si alza) No! no! «Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il nome tuo ». Dio, Dio! La mia povera testa! Non posso nemmeno pregare. Fratello, aiutami!

Carlo                             - Che ti prende?

Clara                             - Nulla. « Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ni nostri debitori ». A lui perdono... sì, gli perdono. Non penso più a lui. Buona notte, Carlo!

Carlo                             - Così presto a letto? Buona notte!

Clara                             - Addio! (S'avvia per uscire).

Carlo                             - Senti, potresti portarmi prima un bicchier d'acqua? Ben fresca eh?!

Clara                             - (subito) Sì! Andrò a prenderla al pozzo.

Carlo                             - Non è molto distante...

Clara                             - No... non è distante...

Carlo                             - Abbi giudizio, però... quella botola non mi pare ancora ben fermata al suo posto.

Clara                             - C'è la luna! Signore Iddio, perdonami. Ora io vengo a te per impedire di far lo stesso a mio padre. Perdonami! Usa clemenza con me! (Esce).

Carlo                             - (canta):

«Che bei tuffi vorrò far là dentro!

Il mio regno, il mio regno è sul mar! ».

Sì, ma prima... (Guarda l'orologio) Che ore sono? Le nove!

« Sono giovane ancor.

Viaggiare Io null'altro desidero.

Andare Dove andare? Dovunque! Si va! ».

Mastro Antonio            - (entrando) Oh, sei qui? Bene, do­vrei farti delle scuse, ma se ti perdono di aver fatto dei debiti di nascosto, e per di più te li pago, credo di po­termele anche risparmiare.

Carlo                             - Quanto alle scuse, bontà vostra! Quanto ai debiti, non è necessario. Basta che venda i miei cestiti buoni della domenica per poter interamente soddisfare da me quei tali cui debbo qualche paio di talleri; cosa, anzi, che farò subito domani dato che, una volta ma­rinaio, non mi servono più!

Mastro Antonio            - Marinaio! Che discorsi son questi?

Carlo                             - Non è la prima volta che me li sentite fare questi discorsi. Ma oggi potete rispondermi quello che volete; la mia decisione è presa ed è irremovibile!

Mastro Antonio            - Ah, è vero... Tu sei maggiorenne!

Carlo                             - E per questo appunto posso parlarvi con tutta calma. Noi siamo agli antipodi. Perchè continuare a leticare? Non c'intendiamo, quindi è meglio che me ne vada; e, una delle due: o voi non mi rivedrete più, o un bel giorno mi picchierete sulla spalla dicendomi: «Hai fatto bene! ».

Mastro Antonio            - Staremo a vedere. Allora... vuol dire che... quel lavorante che avevo preso durante la tua assenza, non c'è più bisogno che lo licenzi. C'è altro?

Carlo                             - Niente altro; e grazie di tutto!

Mastro Antonio            - Benissimo. Ma... dimmi un po'. Per andare dal borgomastro, l'usciere, è vero che, invece di portarti direttamente al magistrato, ti ha fatto fare tutte le strade della città?

Carlo                             - Vero! Mi ha fatto passare come il bue di mar­tedì grasso: per il corso, per il mercato e per la piazza! Ma non dubitate, farò i conti anche con lui prima di andarmene.

Mastro Antonio            - Su ciò non hai torto; però te lo proibisco!

Carlo                             - Quanto a questo...

Mastro Antonio            - Ti terrò d'occhio, e sarò io stesso a difendere quel mascalzone, se tu oserai di mettergli le mani addosso. Ricordalo!

Carlo                             - Ah, non avrei mai pensalo che voi... Cre­devo che un po' di bene glielo voleste pila mamma.

Mastro Antonio            - Sì, e te lo proverò.

Federico                        - (entra pallido e vacillante premendosi con la pezzuola il petto) Dov'è Clara? (Cade sopra una sedia) Buona sera! Dio sia ringraziato! Vi trovo! E lei dov'è?

Carlo                             - E' andata... si deve essere fermata là... Ma perchè non torna?... Perchè non torna?... Voglio ve­dere. (Esce).

Federico                        - E' vendicata! Quello sciagurato è caduto... Sebbene... anch'io... sono... Oh, perchè, perchè questo, o Signore?... Non ne posso più.

Mastro Antonio            - Che avete? Che vi è successo?

Federico                        - Per me è finita. Mastro Antonio, datemi la vostra mano!

Mastro Antonio            - Che c'è?

Federico                        - Datemi la vostra mano e promettetemi...

Mastro Antonio            - Avanti...

Federico                        - Promettetemi d'i non scacciare vostra figlia, avete capito? Di non scacciarla se... essa...

Mastro Antonio            - Che discorso è questo? Scacciare mia figlia? Perchè la dovrei scacciare? Perchè? Perchè? Ah! capisco!... Avevo dunque ragione di sospettare!...

Federico                        - Datemi la mano!

Mastro Antonio            - No! (Si mette le mani in tasca) Non mi resta dunque che cederle il posto qui dentro. E lei lo sa; gliel'ho detto... Se un giorno mi accorgessi... che tu...

Federico                        - Le avete detto questo?! Ora, ora soltanto comprendo perchè... Disgraziata!

'Carlo                            - (precipitandosi nella stanza) Babbo! Babbo! Là nel pozzo... c'è qualcuno. Ed io, io che dianzi... qual­cuno c'è cascato!...

Mastro Antonio            - Qualcuno! Presto! Qua la scala lunga, il gancio! Le funi! Muoviti dunque! Chiunque eia... presto! Fosse anche quell'Adamo!

Carlo                             - Ma ecco qua... Hanno visto! Portano tutto i vicini. Speriamo che non sia...

Mastro Antonio            - Chi?

Carlo                             - Clara!

Mastro Antonio            - Clara! (Si appoggia al tavolo per non cadere).

Carlo                             - Vera andata ad attingere l'acqua per me. Hanno trovato il suo grembiule sull'orlo del pozzo.

Federico                        - Mascalzone! Come ho colpito giusto! E' lei!

Mastro Antonio            - Va' tu a vedere... io non posso... (Carlo esce) Tuttavia!... (Mastro Antonio si alza e a Fe­derico) Se vi ho capito bene, dunque, lutto è... a posto.

Carlo                             - (ritorna) Morta! Si è spaccato il capo, è orribile! Sull'orlo del pozzo!... Non vi è caduta, vi si è gettata! Barbara, la nostra vicina l'ha vista!

Mastro Antonio            - Non si può dire così alla prima, non si può affermare. Bisogna vedere... ed ora non fa abbastanza chiaro per poterlo sapere con sicurezza.

Federico                        - E' inutile che cerchiate d'ingannare voi «tesso, Mastro Anto­nio! Non ci riuscite! Siete stato voi a spingerla a questo; sì, voi, come è tutta mia la colpa, se lei non s'è trat­tenuta dal farlo. Voi, che per rispet­to umano, per timore delle male lin­gue, lingue di .rettili!, le diceste quelle parole inconsulte che l'hanno spinta alla disperazione; e io, che invece di stringermela fra le mie braccia, quando nella più grande an­goscia mi lasciò intendere il suo stato, ebbi paura, istolto! ebbi paura del ridicolo e dei motteggi della gen­te! Ed ecco che pago con la vita la vigliaccheria d'essermi fatto schiavo di un tipo come quello... Ora, voi, oh, avete un bello starvi qui dinanzi a me, ritto e tutto d'un pezzo! Verrà un giorno in cui ve ne pentirete, e vi affliggerete al pensiero di non pò-tervela vedere vicina, ad asciugarvi le tempie sul vostro letto di morte!

Mastro Antonio            - Nulla, nulla essa mi ha risparmiato. Nulla!

Federico                        - Ha fatto tutto quello che ormai poteva fare per voi,' e voi non lo meritate.

Mastro Antonio            - Lei, piuttosto!

Federico                        - Voi, non lo meritate!...

Carlo                             - (si ode dello strepito di fuori) La portano qui! (Sta per andarsene).

Mastro Antonio            - (immobile fino alla fine, grida cupo a Carlo) Qui no! Là, nel tinello dove fu posta sua madre!

Federico                        - (vuole alzarsi) Da lei, da lei! (Fa per alzarsi, ma ricade) O Carlo! Portami da lei!

Mastro Antonio            - (ritto in piedi scuote lentamente il capo) Io... non capisco più il mondo!

FINE DELLA TRAGEDIA