Mario e Maria

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(1915)

Commedia in tre atti

di Sabatino LOPEZ

Rizzoli Editore Milano - 1960

PERSONAGGI

MARIA

LA BARONESSA DI KRUBELICH

LUCIETTA

ETTORE FRECCI

IL BARONE DI KRUBELICH

ADOLFO PREVEDÒN

TOMIOTTI

DAINELLI

ROMIATI

A Venezia. 1915.

Alla memoria del mio piccolo Cesare

ATTO  PRIMO

Un salottino elegante in casa di Maria, che dà su di un Canale. Quadri alle pareti. Pianoforte.  Una ve­triata sul fondo.

(La scena è vuota. Una scampanellata interna. Dopo un minuto entra Lucietta seguita da Adolfo.)

LUCIETTA      (alla porta di sinistra, a Adolfo)  Che passi, che passi. (Poi chiama)  Signorina Maria, si­gnorina Maria!

MARIA           (di dentro)     Oo!

LUCIETTA      C'è Suo cugino.

MARIA           (di dentro)     Vengo subito.

LUCIETTA      (a Adolfo)  Ha sentito?  Viene subito.

ADOLFO        Benissimo. Io, per l'esattezza, non sono il cugino della signorina Maria: sono il cugino del­la sua povera mamma. E difatti non abbiamo lo stesso cognome: lei Delcamìn, io Prevedòn. E poi anche l'età, parla. Ho più di cinquant'anni, sai. Quasi sessanta. Si vedono? - Sii schietta. Si ve­dono?

LUCIETTA      (indifferente)     Non saprei.

ADOLFO        Eh, sì: il lunedì, il mercoledì, il venerdì, si vedono: perché non mi faccio la barba.

LUCIETTA      Se intanto vuol accomodarsi... Guardi, lì c'è la Gazzetta.

ADOLFO        Come se non la sapessi a mente. L'ho letta a Treviso... e l'ho riletta in treno. Ho spie­gato anche la sciarada: « Vapore ». Il mio primiero corre, il secondo è un fiume, il terzo... Ma non vuol dire: ti ringrazio ugualmente della buona inten­zione. - E se hai da fare, va' pure.

LUCIETTA    Riverisco. (Esce a sinistra.)

(Adolfo guarda attorno curiosamente.)

MARIA           (vestita con abitino semi-maschile, colla zazzerina bionda, corta, saluta, di sulla porta)  Buon­dì, Adolfo. Hai fatto buon viaggio?

ADOLFO        (la guarda poco convinto, ma non troppo sorpreso di vederla a quel modo)  Buono. E tu? Tu, voglio dire, stai bene? Domando di salute, per­ché di aspetto si vede... che stai male.

MARIA           (sorride)  Perché?

ADOLFO        Perché stai male. Le donne mi piaccion donne.

MARIA           (maliziosa)     Ancora?

ADOLFO        (offeso)  Come, ancora? (Poi, debolmen­te)  Ancora. Non mi pare di essere un vecchio cadente.

MARIA           Cadente, no.

ADOLFO        Parliamo d'affari, piuttosto.

MARIA           Ma sì, parliamo d'affari. (Gentilissima)  Vuoi una sigaretta?

ADOLFO        (seccamente)     No.

MARIA           Vedi come sei? Sei poco gentile. Invece di offrirne tu a me...

ADOLFO        Io non dò tabacco alle donne.

MARIA           (trae di tasca un porta-sigarette e accende una sigaretta)   Ma le donne fumano ugualmente.

ADOLFO        Dunque: affari.  I Martinez sono esausti. Naturalmente non lo confessano, ma l'ho capito da un colloquio che ho avuto col loro legale. La causa si trascina da mesi, sicché sono disposti a transi­gere se tu riconosci loro il diritto a quello che essi chiamano un indennizzo, un compenso. Dimmi se in massima accetti di transigere: poi, se mai, di­scuteremo la misura.

MARIA           Tu che ne pensi? Sai che ho piena fiducia in te. Sei rustico, ma scrupoloso e incorruttibile.

ADOLFO        Ti ringrazio. Siccome però i denari sono tuoi e devi pagare tu, non io, così prima di con­cludere sono venuto a chiederti, lo ho fatto lonta­namente sperare: niente di compromissorio. Ven­timila. Credo che con ventimila subito i Martinez si taciterebbero. Le parole sono brutte, ma la cosa mi pare buona. I Martinez, come ti ho sempre det­to, non hanno diritto a nulla. La loro richiesta dal punto di vista legale è temeraria. Ma tu ti toglie­resti un fastidio. E anche moralmente faresti una buona cosa. E la gente approverebbe.

MARIA           Delle approvazioni della gente non me ne curo.

ADOLFO        (calmo, ma canzonatorio)  Si capisce: ba­sta guardarti. - Ma, insomma, i Martinez sono dei poveri diavoli. - Più poveri che diavoli. - E conta­vano almeno su un boccone di eredità. Invece non hanno avuto nemmeno una briciola. Tu dài il boc­cone. Ventimila. E non corri l'alea di una sentenza contraria: quando si va in Tribunale tutto è pos­sibile, anche vincere quando si ha ragione. Ma non accade spesso. Se vuoi il mio parere... Lo vuoi?

MARIA           Sicuro! Te l'ho anche chiesto.

ADOLFO        Io darei le ventimila.

MARIA           E tu da' le ventimila. Ti ho detto che ho piena fiducia in te.

ADOLFO        Allora, se mi riesce, concludo?  Le pago senz'altro? (Maria acconsente col capo.)  È detta. - E con questo tutto finito. Fra otto giorni al più tardi ti porterò i conti. (Le batte sulla spalla.)  Va' là, ti è andata bene. Se non ti resta il milione, poco ci manca. Che brava donna quella tua zia di Barcellona!

MARIA           Bravissima. Chi sa mai perché avrà lascia­to a me tutto il suo.

ADOLFO        (tranquillo)  Perché era pazza.

MARIA           Grazie.

ADOLFO        Scusa: come ha lasciato a te, poteva la­sciare a me... o al Patriarca di Venezia, o al Presi­dente della Camera dei Deputati. A tutti, e a nessuno.

MARIA           No. Io ero sua nipote, dunque...

ADOLFO        Nipote di suo marito, dal quale era divisa dopo sei mesi di matrimonio. Almeno i Martinez, pur non essendo che lontani parenti, si chiama­vano Martinez come lei. E ti aveva veduto tre volte in tutta la vita! Se non era matta lei, domando...

MARIA           Quelle tre volte le son piaciuta. E non ho adoperato alcun artifizio per piacerle. Sono stata meno che gentile. Appunto perché non sospettasse che volessi entrare nelle sue grazie per i quattri­ni... Figurati! Mi conosci oramai. - Ma forse ap­punto quella mancanza di ogni servilismo da parte mia, le è piaciuta. Mi ricordo che l'ultimo giorno che fu a Venezia, mi disse: « Un giorno o l'altro aspettati qualche cosa da me. Sarà una sorpresa ». - Io aspettavo, non so... una mantilla, una chitarra, magari una lama di Toledo... Invece niente. Chi ci pensava più! Malattia, morte, telegramma del console: erede universale... Gran brava donna, gran brava donna... Cinquantamila lire ho dato allo scul­tore per il monumento funebre. Se lo merita!...

ADOLFO        Ma sì. - E ora che fai? (Semplice)  Ti sposi?

MARIA           (stupita)  Con chi?

ADOLFO        Ah, con chi vuoi. Con chi ti pare... Sei sola, padrona di te e sei diventata anche ricca. Un anno fa dovevi essere scelta, ma adesso c'è il milione... dunque puoi scegliere. Non hai che da allungare la mano, perché gli uomini siano tutti per te.

MARIA           Vedremo. (Sorridendo)  Intanto... tu mi spo­seresti?

ADOLFO        Se tu ti vestissi in un'altra maniera!

MARIA           Vedi che non basta nemmeno il milione per sposare chi si vuole. Metti che avessi un debole per te? Niente. Ma sei difficile!

ADOLFO        Anzi, sono facilissimo. Ma sono normale. Detesto l'eccentricità, la stravaganza, il menimpipismo. - Io non mi so spiegare...

MARIA           (calma)  Che cosa non ti sai spiegare? Ve­drò di aiutarti.

ADOLFO        Perbacco! Sei una bella donnina... (si cor­regge)  saresti una bella donnina, e ti riduci a quel barbaro modo: né carne né pesce!

MARIA           (sorridendo)  Carne ce n'è così poca... Non vedi?

ADOLFO        Già: ma non occorre per questo che tu ti faccia buffa, e sfidi il ridicolo.

MARIA           Oh per l'amor del cielo! il ridicolo! - Il ridi­colo... è la moda di sei mesi fa, o la moda di fra sei mesi: il cappellino che tutte le signore porta­vano ora è un anno, o il cappellone che porteranno tutte la primavera ventura. Volta a volta è ridi­colo bere acqua da tavola... o bere vino... o bere latte... o non bere affatto. È stato ridicolo che una donna  fumasse: oggi è ridicola una donna che non fumi.

ADOLFO        Non tanto. E poi, sia: ma non mi dirai che fra sei mesi non sarà più di moda che una donna porti le gonnelle.

MARIA           Chi lo sa!

ADOLFO        (protesta)     Ah, questo!

MARIA           E intanto, anche se mi vestissi da uomo, non sarei la prima. E non sarei neanche l'ultima. Rosa  Bonheur era una grande pittrice.

ADOLFO        Di animali.

MARIA           Ah! Lo sai? (Concedendo)  Di animali. Ma i suoi quadri sono al Louvre, e portava i calzoni. Giorgio Sand era una donna.

ADOLFO        Una romanziera:  so anche questo.

MARIA           I suoi libri sono in tutte le biblioteche e anche lei portava i calzoni.

ADOLFO        Ma tu mi devi dimostrare questo, cara: che i quadri di Rosa Bonheur o i romanzi di Gior­gio Sand sono belli perché sono stati dipinti o sono stati scritti da donne in pantaloni, invece che da donne in sottane.

MARIA           Forse.

ADOLFO        Oh Sant'Antonio benedetto... non mi far dir spropositi!

MARIA           (più energica)  Forse. Se quelle lì avessero portato anche nelle vesti la nota femminile, se invece di sviluppare la nota maschia che era in loro - la indipendenza, il coraggio, lo spirito d'os­servazione, la nerezza - avessero carezzato, colti­vato la delicatezza, la malizia, la tendenza alla menzogna, non sarebbero riuscite quello che fu­rono.

ADOLFO        Benissimo. E tu che cosa sei? Sì: e cosa scrivi? Che mai dipingi?

MARIA           Io? niente. Figurati! Ho fatto scuola quan­do ero in miseria, ma adesso... ho l'obbligo di non far nulla per non prendere il posto a qualcuno. Sto a vedere.

ADOLFO        Bene. E qualora tu avessi i calzoni?

MARIA           Starei ugualmente a vedere.

ADOLFO        Ecco. E allora, per stare a vedere, puoi rimanere ugualmente in gonnella. A che ti servi­rebbero i calzoni?

MARIA           Se non altro a darmi maggior libertà di movimento. La sera, quando esco coi miei amici, chi mi vedesse con loro mi scambierebbe per un giovanotto o per un giovanetto, non per una co­cotte o per l'amante di uno di loro, come forse pensa nel vedermi sola donna fra tanti uomini. E anche i miei amici sarebbero più liberi nei loro discorsi, nei loro apprezzamenti, e non provereb­bero l'eterno inciampo della presenza di una don­na. E poi, e poi... (Sorridendo)  Io ho ventisei anni: hai capito? ventisei anni! Per ragazza sono quasi vecchia, per uomo sarei quasi un ragazzo.

ADOLFO        Quest'ultima ragione è la buona. Dun­que: volontà di apparire più giovane. Vesti ma­schili, ma civetteria femminile.

MARIA           Niente, niente femminile. Tu che sei uo­mo, che ci tieni a esser uomo, non ti tingi i baffi?

ADOLFO        (un po' scosso)     Mi tingo... mi tingo...

MARIA           (recisa)    Ti tingi. Alla tua età?

ADOLFO        La mia età, la mia età...! Quando avrei dovuto tingermi? quando ero nero del mio?

MARIA           Ma io non mi tingerò mai, nemmeno quan­do sarò vecchia.

ADOLFO        Io non mi son vestito mai da donna, nemmeno quando ero giovane.

MARIA           (dò in una lunga risata)  Va' va' che saresti bello. Ti vorrei vedere. Invece io, vestita da Mario, sarei carina.

ADOLFO        Come hai detto? Vestita da Mario?

MARIA           Sì. - Ah! il giorno che mutassi d'abito vorrei cambiare anche nome. Per gli amici io già sono Mario. Sono un amico, non un'amica. E gli amici già mi chiamano Mario e mi trattan da Mario.

ADOLFO        E io vi tratto da matti tutti quanti.

MARIA           Perché?

ADOLFO        Perché sì. E tu più matta di tutti, che vai sciupando il più bel fiore, il più bel profumo, la più bella gemma della donna.

MARIA           Quanta roba... Fiore, profumo, o gemma? Decidi. E quale sarebbe secondo te questo pro­fumo?

ADOLFO        Il pudore.

MARIA           No, tu confondi l'ignoranza col pudore. Ma l'ignoranza del convento, l'ignoranza della casa di campagna isolata dal mondo, non è più possibile, non dico a una ragazza vecchia come me, ma a una bambina di dieci anni. A ogni gita in vapo­retto, in ogni sala di cinematografo, le ragazzine perdono un po' di quello che tu chiami pudore e che io chiamo ignoranza. E più avanti con gli anni è peggio. Se ci tenete in casa a ingrassare co­me tante gallinelle, e sgobbate voi, soltanto voi uo­mini... eh? ma quando della moglie, o della so­rella o dell'amorosa ne fate una maestra, o una dattilografa, o una commessa, o comunque la gettate in mezzo alla folla perché sia produttiva, do­vete rinunziare alla sua santa ignoranza, al suo pudore, come lo chiami tu, al fiore, al profumo, alla gemma... per farne la gallina dall'ovo d'oro. Tu vorresti l'ovo e la gallina? Eh, no, caro, sa­rebbe comodo, ma è troppa roba: o l'ovo o la gal­lina.

(Tre voci di dentro, dall'acuto al grave, caricaturali)

PRIMA  VOCE   Si  può?

SECONDA VOCE    Si può?

TERZA VOCE    Si può?

MARIA           (verso la porta)  Un momento.

(Le tre voci di dentro, sempre in tono diverso)

PRIMA VOCE   Non si può.

SECONDA VOCE    Non si può.

TERZA VOCE    Non si può.

MARIA           (a Adolfo)  Di' un po': sono tre amici, tre artisti...

ADOLFO        Quelli che ti chiamano Mario.

MARIA           Sì. Li vuoi vedere o non li vuoi vedere?

ADOLFO        Lo chiedi a me? Sei in casa tua, dunque..

MARIA           (verso la porta)  Avanti.

(Le tre voci di dentro sempre in tono diverso)

PRIMA VOCE   Avanti.

SECONDA  VOCE   Avanti.

TERZA VOCE    Avanti.

(La porta si apre ed entrano Tomiotti, Dainelli, Romiati.)

I TRE             Ciao, ciao, ciao.

MARIA           Ciao. (Presenta)  Il ragioniere Adolfo Prevedòn di Treviso, mio cugino e mio uomo d'affari. Il pittore Romiati, lo scultore Dainelli, il pittore Tomiotti.

(Inchini e strette di mano.)

DAINELLI       (a Adolfo)  Ah, il signore è di Treviso. Bella città Treviso. Non ci sono mai stato. Ma ci ho un cliente che mi ha comprato un mezzo busto e una figura al vero. Tutte le mie simpatie per Treviso.

TOMIOTTI     Io invece ho avuto un'amante di Treviso. Un bel giorno scappò portandomi via l'oro­logio che dovetti poi riscattare al Monte di Pietà. Non conosco Treviso, ma non mi piace.

ADOLFO        (gentilmente a Romiati)  E Lei cosa mi di­ce di Treviso?

ROMIATI        Io, niente. - Lei, signor Prevedòn, è a Venezia di passaggio o si ferma?

ADOLFO        Di passaggio. Son venuto per parlare con Maria, (si corregge)  pardon, con Mario; mi sono messo d'accordo con lei e riparto stasera.

TOMIOTTI     Fa benissimo. Cioè, benissimo... Lei è ragioniere, se parte avrà le sue ragioni per partire. Sa come diceva Marco Visconti? « Bella città è Lucca, ma non è Milano » - Bella è Treviso, ma non è Venezia. E per questo noi restiamo a Venezia.

ROMIATI        (tranquillo a Adolfo)  Non lo giudichi male: si libera con molta lentezza di una piccola sbornia che ha preso iersera.

TOMIOTTI     (a Adolfo)    Treviso è città interna...

ADOLFO        (con comica umiltà)  Eh, sì, disgraziata­mente.

TOMIOTTI     Senz'acqua.

ADOLFO        Tutta acqua minerale (malizioso)... ma c'è molto vino.

TOMIOTTI     Voglio dire senza mare. Io, vede, po­trei riconciliarmi con Treviso e le potrei procurare il mare. Le potrei vendere una bella marina che ho finito appunto ieri. Lei la metterebbe a capo del letto: la mattina si sveglierebbe con l'acqua in camera. Ci pensi! Mare calmo, in bonaccia, e una barca chioggiotta in fondo. Per un uomo d'affari c'è anche il simbolo: mare in bonaccia, e in ogni caso una vela. In termini poveri: mare in bonac­cia, gli affari vanno bene e « chi ha da pagare, paga », ma se gli affari vanno male, alla peggio c'è la vela per piantar baracca e burattini. (Alla maniera di Ferravilla)  Ha capito il simbolo? Ven­do a poco ma a contanti. Venga a visitare il mio studio.

ADOLFO        (sorridendo)  Volentieri, se non partissi. Devo partire stasera.

ROMIATI        (canzonatorio a Tomiotti)  Sarà per un'al­tra volta.

TOMIOTTI     (a Adolfo)  Ma ci conto. (Indicando Ro­miati)  Non vada da lui. Lui non fa che figure: è specialista in nudi. Belle donne, ma eccitanti. Fanno spendere quattrini: non è pittura adatta per un uomo d'affari.

MARIA           (che intanto ha offerto delle sigarette)  Ma mio cugino è anche uomo di mondo.

ADOLFO        Eh, sì, difatti possono giudicare dall'abito.

MARIA           Che vuol dire? Sei in viaggio. E in viaggio professionale. Quando io davo lezioni di tedesco...

TOMIOTTI     Ci siamo. Alle lezioni di tedesco, ci siamo.

MARIA           Che è? Ne parlo spesso? Naturale. Prima della eredità, della famosa eredità, ero una mae­strina... Voi lo sapete meglio di me.

TOMIOTTI     Appunto perché lo sappiamo. - Bene, fuori: che cosa ti è successo di straordinario quan­do davi lezioni di tedesco?

MARIA           Crepa. Non lo dico più. - Ditemi piuttosto voi, ragazzi: la vostra visita mi è graditissima, ma che siete venuti a fare?

TOMIOTTI     (volgendosi agli altri)  Non ha mica tor­to. Cosa siamo venuti a fare? Ah!... niente. Noi due, Dainelli e io, eravamo insieme quando abbia­mo trovato Romiati al Ponte della Paglia e... (So­spende.)

MARIA           Sì. Avanti.

TOMIOTTI     Allora abbiamo detto: in due ci si an­noiava: almeno adesso... ci si annoia in tre. Guar­diamo se ci riesce... di annoiarci in quattro. E siamo venuti sperando anche in un ristoro, perché fa un gran caldo.

MARIA           (sorridendo)  In termini poveri, volete bere.

DAINELLI       Ecco: e se ci fossero non rifiuteremmo nemmeno dei biscotti.

TOMIOTTI     Con prosciutto. Dacché siamo a chie­dere, con prosciutto.

MARIA           Ma sì, ho capito; vado e provvedo. Vi fac­cio preparare di là. (Esce.)

TOMIOTTI     (ad Adolfo)  Sa che è una gran brava ragazza quella Sua cugina?

DAINELLI       Buona, allegra, intelligente, alla mano...

ROMIATI        Purché non prenda marito.

TOMIOTTI     In ogni caso io mi farò presentare al marito. È una compagna troppo simpatica.

104

ADOLFO        (trae un sospiro)  Ah! Non possono im­maginare il piacere che provo sentendo che dicono « una buona compagna, chi sa che non prenda ma­rito », insomma che la considerano ancora una donna... Eh, sì, perché lei mi aveva detto che per voi è un amico, è un uomo, è Mario.

DAINELLI       Sì, è un uomo, nel senso che noi ci dimentichiamo che è una donna giovane e gra­ziosa. Ma non potrei giurare che nella nostra ami­cizia scambievole non ci sia una punta di genti­lezza, di tenerezza che non ci sarebbe se non fosse una donna. Come certe bibite un po' troppo forti, temperate da un po' di cedro o da qualche goccia di sciroppo. Ma, in un certo senso, Maria non ha torto di dire che è un nostro amico.

TOMIOTTI     Si figuri che è anche il nostro cassiere. Badi, veh, che ci ricorriamo di rado. Io non le ho mai chiesto un soldo... se non quando diceva di sentirsi uomo. Ha capito il simbolo? Dovere denari a una donna, mai! Quando ci fa da cassiere allora è veramente Mario.

ROMIATI        Ogni tanto, poi, le diciamo i nostri pic­coli crucci, e lei ci carezza un poco, ci consola un poco, si intenerisce un poco, e allora è Maria.

TOMIOTTI     Ma guai a dirglielo che è Maria! Lei non vuol essere che un compagno, un camerata. Lei fuma, non perché le piaccia fumare, no, ma perché fumare è da uomo. E ogni tanto le sfugge una pa­rola grossa; ossia, le sfugge: la cerca, perché è da uomo. E magari, anche, chiede a qualcuno di noi un piccolo prestito per ventiquattr'ore, senza aver­ne bisogno, perché così è uomo fra uomini.  È  il suo piccolo tic. Ognuno ha il suo tic. L'ha eredi­tato; è nato con lui; se l'è fabbricato, tanto per averlo. E lei ha il ticchio d'essere Mario, mentre è tanto Maria.

ADOLFO        Già, ma non tutti sanno; e anche se sa­pessero non tutti giudicano come Loro. Questo tic mi pare che si aggravi. Io sono l'uomo d'affari di Maria, ma sono anche il suo solo parente. Curo i suoi interessi, nutro molto affetto per lei e non voglio che si pregiudichi.

DAINELLI       In che? Nel concetto della gente? Ah, Venezia immortale ha visto tante cose che non si turberebbe nemmeno se quella graziosa donnetta indossasse vesti maschili come dice di voler fare.

ADOLFO        Ah, lo ha detto anche a Loro?... Non è dun­que una frottola. Quella ragazza mi pare che si avvii per una brutta strada.

ROMIATI        Ma no, non abbia paura per lei. E non abbia paura nemmeno di noi. Creda, poche donne sono rispettate come lei anche se non le diamo della signorina ogni due parole. Il primo che le mancasse di riguardo avrebbe una buona lezione dagli altri.

DAINELLI       E se non la rispettassimo noi, ci pense­rebbe lei a farsi rispettare. Creda: il suo atteggia­mento è più che altro un innocente capriccio, e la sua mascolinità durerà soltanto fino al giorno che i sentimenti intimi non entreranno in gioco.

TOMIOTTI     Lei come tutte: il giorno che lei, o un'al­tra come lei, avesse un bambino, vorrei vedere se si farebbe chiamare babbo o mamma.

MARIA           (rientrando)  Ho dato gli ordini. Fra dieci minuti tutto è pronto.

DAINELLI       (desolato)  Ancora dieci minuti?

TOMIOTTI    Non si beve di qua?

MARIA           No, si mangia di là, goloso. - Sai che stama­ne ho visto l'Anselmi e mi ha parlato di te, dei tuoi quadri?

TOMIOTTI     E che ha detto quel somaro?

MARIA           Ah non ti ha risparmiato: insolenze, male parole,  vituperii.

TOMIOTTI     (contento)  Bene. Specifica.

MARIA           Ha detto che sei un bestione.

TOMIOTTI     Press'a poco quel ch'io dico di lui. Avanti.

MARIA           Che se tu fossi suo scolaro all'Accademia, ti boccerebbe.

TOMIOTTI    Io non lo vorrei bidello. Avanti.

MARIA           Che il giorno che si riducesse a dipingere come te, si taglierebbe le mani.

TOMIOTTI     Perché i suoi quadri li dipinge coi pie­di. (Allegro)  Benone. Son contento. Mi detesta, dunque mi teme, dunque mi ammira.

MARIA           Bel ragionamento.

TOMIOTTI     Sicuro. L'indifferenza, offende; l'ingiu­ria, solleva. Quell'uomo li, mi stima.

MARIA           Ti stima un bestione, te l'ho detto.

TOMIOTTI     No, cara. Mi proclama tale: la cosa è diversa. Finché guardava e passava, io ero nessu­no per lui. Ora guarda e s'indigna. - Sai quel che ti dico? Che la cosa mi fa piacere perché Anselmi è un artista che ha molto talento, ecco.

(Entra Lucietta.)

MARIA           (a Lucietta)  Pronto?

LUCIETTA      Pronto. Ma c'è un signore...

ROMIATI        (protesta)  Ah, no.

DAINELLI       Io protesto.

TOMIOTTI     Io ho fame.

MARIA           (a Lucietta)  Chi è?

LUCIETTA      (piano)  È il signor Frecci. Dice che le vuol parlare, ma da solo.

MARIA           Sta bene. (Agli altri)  Allora, scusate, ra­gazzi, andate intanto di là a mangiare.

ADOLFO        Sono anch'io fra i ragazzi?

MARIA           Si capisce! Sbrigo la visita e vengo.

DAINELLI       Ma noi marciamo all'attacco senza di te.

MARIA           Si capisce anche questo. Buon appetito.

DAINELLI       Grazie.

ROMIATI        Gra­zie.

TOMIOTTI     Grazie.

(Dainelli, Adolfo, Tomiotti, Romiati escono a sinistra.)

MARIA           (a Lucietta)  Fa' passare il signor Frecci. (Si dà un colpetto ai capelli, si aggiusta la veste. Lucietta è uscita.)

ETTORE         (entra)  Buon giorno. Scusa se ti disturbo. So che hai gente di là.

MARIA           Sì, gli amici che si rimettono lo stomaco. Se dopo vuoi passare anche tu...

ETTORE         Grazie, ho premura. (E tace.) 

MARIA           Parla. Non hai detto che hai premura?

ETTORE         (quasi sopra pensiero)  Già. (Ma non si decide.)

MARIA           E dunque? Sono qui. Che c'è?

ETTORE         C'è che ho venduto il quadro alla Mostra.

MARIA           Bene!  Noo? - Me lo dici con un tono...

ETTORE         No... non ho detto esattamente. Correggo e completo: il mio quadro è stato venduto, ma io ricorro a te, perché quella vendita sia annullata e perché tu lo ricompri. Bisogna.

MARIA           Spiegami, perché non arrivo a intenderti.

ETTORE         Il quadro è stato venduto stamani. – Due ore fa, quando ancora non avevo avuto da parte della Segreteria comunicazione della vendita, gi­rando le sale dell'Esposizione ho scorto il cartello d'acquisto. Dice: « Venduto al signor N. N. ». Sono corso subito in Segreteria per conoscere il nome del compratore misterioso e la cifra d'acquisto. Il quadro è stato pagato a prezzo di catalogo: seimila lire. Ma ho saputo chi è l'acquirente e non posso permettere che il mio dipinto resti nelle sue mani.

MARIA           Perché? Non ha mica pagato con biglietti falsi? - O è il tenutario di una bisca, una spia? . E allora, se tu non mi spieghi!?

ETTORE         Non occorre.

MARIA           No? (Secca)  Mi pare di si: tu mi hai detto: « Bisogna che tu lo ricompri ». Ho dunque diritto di sapere qualche cosa di più.

ETTORE         Hai ragione. L'acquirente... tu lo conosci: è il Barone di Krubelich.

MARIA           Ah! (Silenzio.)

ETTORE         L'ho subito cercato e gli ho detto che il quadro era già venduto prima che lui lo acqui­stasse, che il cartello di compra non era apparso soltanto perché io non avevo ancora comunicato alla Segreteria la vendita fatta da me direttamente e avvenuta dopo trattative amichevoli solo iersera. Bisognava dunque che lui rinunziasse all'acquisto. Il Barone, che non voleva cedere, per prima cosa mi ha domandato a chi lo avessi venduto, e io gli ho fatto il tuo nome.

MARIA           Ah! senza chiedermi prima...

ETTORE         Bisognava pure che gli dicessi un nome. E occorreva il nome di una persona amica e ben provvista sicché la cosa assumesse la parvenza della verità. Difatti, appena sentito che si trattava di te, non ha mostrato alcun segno di stupore. E mi ha detto: « Sta bene, sono pronto a cedere il passo. Soltanto voglio essere io a usare cortesia alla signorina: andrò io da lei e così mi procurerò il piacere di salutarla ». - Forse gli era rimasto un tenue sospetto e vuole assicurarsi.

MARIA           Ma perché il tuo quadro non può restare nelle sue mani? adornare un suo salotto?

ETTORE         Non mi chiedere, ti prego.

MARIA           Figurati! (Decisa)  Ma io non mi presto al tuo gioco.

ETTORE         No? Io ti speravo più gentile!

MARIA           E io ti credevo più fiducioso. Del resto, par­liamoci chiaro: quando si chiede un favore e sopra tutto una complicità, non ci si può permettere il lusso di aggiungere alla richiesta anche una buona dose di orgoglio.

ETTORE         E sia. (Con una leggera esitazione)  La Baronessa Krubelich... è la Mignon.

MARIA           Lo so.

ETTORE         Siamo stati buoni amici.

MARIA           So anche questo.

ETTORE         Dunque... (E si ferma.)

MARIA           Il tuo dunque non conclude. Il Barone non può comprare un tuo quadro, perché tu sei stato l'amico di sua moglie quando ancora non era sua moglie? È una ragione di indegnità essere il ma­rito di una tua ex amante? Pretendi un po' trop­po, tu.

ETTORE         Non c'è indegnità da parte sua a compra­re: ci sarebbe da parte mia a vendere.

MARIA           (sempre tranquilla)  Non mi pare.

ETTORE         Se è così, sia per non detto. Certe cose si capiscono o non si capiscono.

MARIA           E io credo di capirle. Ma non voglio con­fidenze a mezzo. Tu in qualche modo hai abusato del mio nome. Non te ne faccio troppo carico, per­ché sono tuo amico, dici che sono tuo amico, ma quale amico? Tu mi consideri una creatura infe­riore, indegna di fiducia, perché sono una donna.

ETTORE         No, né inferiore né indegna. Sei un amico a parte, una persona a parte. Certe confidenze a nessuno; tanto meno a una donna. Anche se tu ti atteggi a uomo, rimani una donna. A certe confi­denze si oppone una barriera; quella della discre­zione.

MARIA           Dunque io manco di discrezione a chiederti.

ETTORE         Non so: so che ne mancherei io, se ti rac­contassi.

MARIA           Va' là, non c'è bisogno che parli tu perché io sappia. Tu sei ancora l'amante di Mignon.

ETTORE         Chi ti ha detto?

MARIA           Sei come un bambino: non smentisci il fat­to; ti preme di conoscere da chi ho saputo. L'ho capito da te, adesso, dal tuo atteggiamento.

ETTORE         Hai capito male, perché con quella donna ho finito da un pezzo.

MARIA           Falso, falso: tu non vuoi prendere quattri­ni dal marito, visto che gli prendi la moglie. Vedi che capisco. Si potrebbe anche pensare da qual­cuno che sia stata lei a spingere il Barone all'ac­quisto. E per questo non vuoi che il tuo quadro sia suo. In qualche modo, Mignon ti pagherebbe... Continuo a capire. Non è così?

ETTORE         Non è così.

MARIA           No? E allora non compro. Non c'è nessuna ragione che io compri. Se ho da inventare storie, se ho da mentire, se ho da tenere un quadro che non avevo scelto, almeno voglio mentire per qual­che cosa.

(Ettore tace)  Che scegli, che decidi? Par­lare o rinunziare. - È così!?

ETTORE         È così.

MARIA           Ecco. - Hai ragione. Dal momento che è così, hai ragione: è pulito che tu non venda al barone. Ed è anche opportuno. Più di un artista ti invidia, perché hai la fama e perché passi per fortunato anche quando non sei. . Avere una Mi­gnon per amante, non è una fortuna. - Non stareb­bero molto a dire che quella signora comprando i tuoi quadri ti paga. - È grave. Sarebbe grave. Dunque, sento il dovere di aiutarti, e ti aiuterò nell'inganno. Compro io il tuo quadro.

ETTORE         Grazie.  Ma  non occorre che tu compri. Occorre che tu finga di averlo comprato... I denari li prendo alla Segreteria e li restituisco al Barone. Ci rimetto la percentuale che spetta alla Mostra.

MARIA           Già, ma poi? Il quadro deve restare a me poiché si è detto che è mio. E non puoi sperare di venderlo ad altri.

ETTORE         E va bene. Te lo regalerò.

MARIA           Tu sei pazzo. Perché tu mi devi regalare un quadro di seimila lire?

ETTORE         E perché tu mi devi regalare seimila lire?

MARIA           (a Lucietta che entra) Che c'è, adesso?

LUC1ETTA    Il barone di Krubelich.

ETTORE         (a Maria)  Te lo avevo detto! - Resto o vado?

MARIA           Meglio che non ti veda. Ma gli dirò che sei già stato da me. La verità fin che si può. (A Lu­cietta)  L'hai fatto passare?

LUCIETTA      Nel salone. In sala da pranzo ci son quegli altri signori...

MARIA           (a Ettore)  Puoi andare, che non l'incontri.

ETTORE         (a Maria)  Grazie. Non ti dico altro.

MARIA           A stasera. Al Florian. Ti informerò. Ora fa' presto.

(Lucietta esce con Frecci poi rientra col Barone.)

IL BARONE    (è un bel vecchio canuto, dai gran baffi, leggermente curvo, che parla velocemente italiano con accento russo, a tratti intacca ma si riprende subito e procede sicuro. Di sulla porta fa un grande inchino)    Amica mia!

MARIA           Buon giorno, Barone. Siate il benvenuto, vi aspettavo.

IL BARONE    (le bacia la mano)  Ah, sì? Vi ha parla­to il cuore? Avete il cuore gentile, se si accorge di un vecchio straniero che viene a trovarvi.

MARIA           (accennandogli di sedere)  No, Barone, non mi ha parlato il cuore: mi ha parlato il pittore Frecci che è uscito adesso.

IL BARONE    Ah, mi ha presceduto! Era più gra­ziosa la mia supposizione: ma la verità è più sem­plice. - Dunque, dite a me: è vero di questo quadro che voi avete comperato?

MARIA           Verissimo. Mi duole, caro Barone, che voi siate arrivato tardi.

IL BARONE    Mi duole, cara amica, che voi siate arrivata presto, cioè prima di me: voi sapete che io  sono acquirente uffiziale, che io ho già pagato. Il  quadro è mio per regola di commerzio.

MARIA           (con leggero rimprovero)  Ah, Barone!

IL BARONE    Aspettate: c'è anche regola di cortesia. Io volevo prima assicurarmi si voi veramente avete comprato e che questa non è una istoria dello pittore. Voi mi dite sì: cedo il passo. Spezialmente quando cedo a una piccola dama-uomo come voi.

MARIA           (ringrazia col capo)  Non dubitavo della vo­stra cortesia. So di procurarvi un dispiacere, ma d'altronde io tengo troppo a quella pittura.

IL BARONE    No. Uno dispiacere a me personalmen­te, no. A mia moglie. Io vi confesso che la pittura dello signor Frecci mi piace, ma non fino a seimila franchi. (Sorridendo)  Un poco meno. (Sorridendo ancora)  Molto meno, lo amo pittori antiqui, com­pero pitture antique. Ma la Baronessa subito dal primo giorno si è fermata dinanzi, e ieri aveva risoluto acquistarla: e io sto alli ordini della Baro­nessa: ogniuno sta alli ordini di qualcheduno altro. No?

MARIA           Siete un brav'uomo.

IL BARONE    (sorridendo)  Sì, sono un brav'uomo. -Vuol dire che quando voi mi renderete i seimila franchi che io ho pagato, li darò alla Baronessa, perché si comperi uno gioiello o li dia per beneficensa... A sua scelta. - Io credo che sceglierà lo gioiello.

MARIA           A ogni modo presentate le mie scuse alla signora Baronessa. I miei ringraziamenti a lei e a voi. - Posso almeno offrirvi un rinfresco?

IL BARONE   No, grasie. Una sigaretta? Sì.

MARIA           E niente altro? (E gli porge e gli accende la sigaretta.)

IL BARONE    (con leggera esitazione)  Sì, sì, avrei altro. Io vi pregherei di uno favore personale. Vor­rei tornare domani da voi a prendere un tè... qui in casa vostra... ma non solo. (E non la guarda per timidezza)  Con la mia moglie. La Baronessa sa­rebbe onorata di conoscervi. (Ora la guarda)  Il favore per voi è piccolo, ma lo piacere (si corregge subito)  il piacere per noi sarà grande.

MARIA           (esitante)  Prego.

IL BARONE    (molto lieto)  Prego, vuol dire sì? (È una domanda quasi affermativa.)

MARIA           Sì. Ben volentieri. Figuratevi.

IL BARONE    Grasie. (E si alza sorridente)  La mia visita per quadro era uno pretesto, una occasione per chiedervi questo. Domani verso cinque ore; sta bene?

MARIA           Benissimo.

IL BARONE    Mi credete: la Baronessa vede poche persone perché signore sono disdegnose di essa, ma è migliore della sua fama, e desidera molto conoscervi. Voi le portate via uno quadro: dategli in compenso una tazza di tè... (Maria sorride)  Es­sa è assai curiosa di voi. Vi ama già uno poco, per­ché io vi amo molto.

MARIA           Sarò molto lieta di ricevervi, voi e lei. Vo­lete trovare i miei amici o preferite nessuno?

IL BARONE    Come voi volete.  (Gentilissimo, ora premuroso di uscire, quasi temendo che Maria si penta)  Basta che ci siate voi, amica mia. Siete una piccola gentiluomo. (Le bacia le mani, fa un inchino ed esce.)

MARIA           (lo vede uscire, va alla porta di sinistra, e dice.)  Avrete finito adesso?

VOCI             (di dentro)  Sì, sì. Finito, finito. Vieni tu?

MARIA           Che vengo a fare? se avete finito venite voi. Avanti, la strada è libera.

(Tomiotti, Dainelli, Rondati, Adolfo rientrano.)

TOMIOTTI    Chi era?

DAINELLI       Chi era se è lecito? La visita.

ROMIATI        Visita lunga.

MARIA           Era il Barone.

TOMIOTTI    Quale barone?

MARIA           Il Barone di Krubelich.

DAINELLI       Oh là! E che voleva, si può sapere?

MARIA           Voleva annunziarmi che verrà con sua mo­glie domani a prendere un tè.

ROMIATI        Qui? A casa tua?

MARIA           A casa mia.

ROMIATI        E tu che cosa gli hai detto?

MARIA           Gli ho detto che venga.

DAINELLI       Con la Baronessa?!

MARIA           Con la Baronessa.

TOMIOTTI    Con la Mignon?

MARIA           Con la Mignon.

ADOLFO        Chi è che si chiama Mignon?

DAINELLI       (a Adolfo)  Non sa che la Krubelich è la Mignon? Ma in che mondo vive Lei?

TOMIOTTI    Si vede proprio che Lei è di Treviso.

DAINELLI       La Krubelich è la bella Mignon.

TOMIOTTI     Che non si chiama Mignon, ma si chia­ma Cesira.

DAINELLI       Mignon, nata Cesira, diventata Mignon, e ritornata Cesira. Cesira, figlia di poveri sì, ma disonesti genitori, cresciuta tra uno scapaccione paterno e una pedata materna.

MARIA           (seccata)  Vi prego, non è di buon gusto quello che dite.

ROMIATI        Non è forse vero? Ballerinetta a sedici anni, era celebre per la bellezza dellegambe.

DAINELLI       E del resto.

ROMIATI        (approva)  E del resto. E allora si chia­mava Mignon. Modella a venti anni per il busto...

DAINELLI       E per il resto...

ROMIATI        E per il resto...

MARIA           La volete finire?

ROMIATI        Ah, ce n'è per poco... (Continuando)  A ventidue anni era l'amante del pittore Frecci.

DAINELLI       Bel giovane, il Frecci. Lo conosce?

ROMIATI        E bell'artista. Sa di esserlo, lo esaltano troppo, ma è un bell'artista.

TOMIOTTI     A venticinque anni moglie di un vec­chio barone russo, ex gran ciambellano, oggi pro­prietario di uno dei più bei palazzi del Canale. E la presentazione è finita.

DAINELLI       Un ultimo tratto. Dacché si è sposata, si chiama Maria Cesira Baronessa di Krubelich. (A Maria)  Ma lo sai che, a quel che si dice, è tut­tora l'amante del tuo caro Frecci?

TOMIOTTI     È vero, è vero. Sicuro! Frecci ha preso il biglietto di andata e ritorno. Grattate il russo e c'è sotto il veneziano.

MARIA           Grattate il veneziano, e c'è sotto il maldi­cente. - È l'amante di Frecci? - e che me ne im­porta? Il Barone mi ha chiesto, direi, umilmente, di ricevere sua moglie: io la ricevo: non gli posso usare uno sgarbo, perché è un buon amico, e vi piaccia o no la riceverò.

DAINELLI       (a Adolfo)  La sente? Questa è l'occa­sione opportuna perché Lei intervenga, e metta il veto.

ADOLFO        (timidamente a Maria)  Eh, sì. Se le cose stanno come dicono questi giovanotti, mi pare che se tu potessi disimpegnarti...

MARIA           Io ti ripeto che il Barone è mio amico e che non gli voglio usare uno sgarbo.

T0MI0TT1    È un buon amico, ma è un imbecille.

MARIA           Tomiotti, ti prego... Io ricevo chi mi pare e piace.

TOMIOTTI     Anzi due volte imbecille: non si sposa una Mignon, ma quando si sposa, si ha il buon senso di restarsene a casa e non di accompagnarla in visita da una signora a modo.

DAINELLI       E tanto meno da una signorina.

MARIA           Una signorina?! E chi vi dice che io sia una signorina?

(Mormorii, proteste generali.) 

Io sono Mario, Mario, Mario. E voi siete dei gelosi (proteste dei tre), degli aspiranti respinti (altre proteste), degli innamorati inferociti. (Altre prote­ste. - Ai tre)  Tutti i sospiri per la ballerinetta, quan­do ballava, per la modella, quando posava; per la baronessa, una volta sposata, vi son rimasti nel gozzo o sullo stomaco! Avete rancore col Barone che l'ha sposata, con Frecci che l'ha avuta, con lei che, se voleva acquistare una buona reputazio­ne, doveva scegliere solo voi... sì, uno di voi per amante. - Perché, se mai va a trovare qualcuno, va da Frecci... Se invece venisse a trovare uno di voi, allora niente da dire, niente da ripetere, niente da strillare. E me la incollereste, me la attacche­reste, sarebbe una donna onesta, degna di rispetto, di ammirazione, di devozione... (Mutando tono, sem­plice e pungente)  Insomma voi non siete uomini: siete donnette, donnette e donnette.

(Proteste: la più violenta quella di Tomiotti.)

TOMIOTTI    Maschiaccio! maschiaccio! maschiaccio!


ATTO SECONDO

La stessa scena del primo atto.

(Maria sparge dei fiori, riordina dei ninnoli, dispone con maggior grazia la stanza. - Tomiotti è seduto nell'atteggiamento di chi non ha nulla da fare.)

TOMIOTTI    Mariooo!

MARIA           (senza voltarsi)    Ooo!

TOMIOTTI    Vorresti un fonografo?

MARIA           Per farne?

TOMIOTTI     (lento)  C'è un amico che ha un buon fonografo con tutti i dischi degli inni nazionali.

MARIA           Bene, e poi?

TOMIOTTI     Sta qui in calle San Bartolomeo. Se vuoi te lo faccio prestare. Così lo carichi quando entrano il Barone e la Baronessa e li accogli al suono dell'inno russo.

MARIA           (ridendo)     Va' all'inferno.

TOMIOTTI    E subito dopo, la marcia reale.

MARIA           E poi... l'inno a Tripoli; e poi il diavolo che ti porti.

TOMIOTTI     Perché li ricevi di qua, e non nel salone?

MARIA           Qui siamo più raccolti.

TOMIOTTI     Quando venivo su per le scale, ho in­contrato... i sandwiches per il tè. Ne ho mangiato uno.

MARIA           Hai fatto bene.

TOMIOTTI     Allora ti dirò che ne ho mangiati due. Sono eccellenti. Mi dispiace di non trattenermi perché mangerei il terzo.

MARIA           Se non hai da fare, fermati.

TOMIOTTI     Non disturbo? Già, se disturbo me lo di­ci. Se è per le cinque poco ci manca. - Starei quasi per dire di sì. Io lo conosco bene, il Barone!

MARIA           Me lo hai detto, e me lo ha detto anche lui.

TOMIOTTI     Benemerito della città di Venezia, quel­lo lì: tutte le miniature false, tutte le tele rogno­se, tutte le « vere » di scarto le compra tutte lui. Famoso... per farsi imbrogliare. « El russo, el rus­so »: gli antiquari lo conoscono tutti, e anche i ri­gattieri, e lo saccheggiano. Niente di male: i foresti hanno derubato Venezia; è giusto che Venezia de­rubi i foresti. - La Baronessa, no, non la conosco altro che di vista. Bella donna! Bel corpo! Ma di vista soltanto e di lontano. Mi diceva mio fratello che quando faceva la modella... (Si ferma per di­screzione.)  Ma io non faccio che marine. E poi do­mandalo a Frecci: lui la conosce intus et in cute, che vuol dir nella pelle.

MARIA           (che ha finito di disporre)  Ecco fatto. (E siede anche lei, distante.)

TOMIOTTI    Non ti vai a vestire?

MARIA           Uhm, mi pare di esser vestita.

TOMIOTTI     Ah, così la ricevi?

MARIA           Così. Perché? Sto male?

TOMIOTTI    O Dio, potresti star peggio.

MARIA           Che è questa novità? Mi devo mettere in ghingheri per la Baronessa? Mi avrete visto que­st'abito oramai una diecina di volte, mi avete det­to:  « è carino », e oggi tutt'a un tratto...

TOMIOTTI     Sì, nel suo genere è carino. Ma non è adatto il genere. Per noi, per i tuoi amici di tutti i giorni, va bene; per i tuoi amici maschi, fin trop­po... Ma quando si tratta di lottare con delle si­gnore e specialmente con delle signore che non sanno fare altro che spogliarsi e vestirsi... e spe­cialmente spogliarsi... bisogna armarsi di altre armi. Ecco quello che non vuoi capire: uomo tra uomi­ni, passi; ma tra donne, donna.

MARIA           Quanto sei bestia! Se io volessi lottare con lei, se le volessi portare via il marito...

TOMIOTTI    Il marito?!

MARIA           O l'amante... Ma io non voglio portar via nessuno a nessuna. - Povera donna! ci credi, mi fa compassione. Lei, come le altre della sua catego­ria. Infelici! tutto il giorno allo specchio, o dalla sarta, o dal manicure, o dalla modista, per tenersi su: debiti se son povere, sperperi se son ricche; pianti al primo capello bianco, disperazioni alla prima ruga, convulsioni al primo dente che ingial­lisce... Ah, povere donne, povere donne! Gran di­sgrazia nascer donne.

TOMIOTTI    Hai sempre pensato così?

MARIA           Io? sempre. Da che ho l'età della ragione. Già, dimmi: tu credi che siano veramente donne tutte le donne? No: generalmente sono donne le donne ricche, nate ricche, e quelle che fanno le donne per mestiere. Ma le altre? Pensa a me: dai quindici ai venticinque anni, quando - se mai - si è più donne, io ho dato lezioni di tedesco e di in­glese agli Italiani; lezioni di italiano agli Inglesi e ai Tedeschi. Uomo o donna ch'io fossi, sarebbe sta­to perfettamente lo stesso: i miei scolari mi avreb­bero dato ugualmente i loro tre franchi a lezione, e avrebbero imparato poco ugualmente. Il mio me­stiere mi ha mascolinizzato. Se anche qualcuno di­stratto o intraprendente tentava di farmi capire che era di un sesso diverso dal mio, con un'occhia­ta, con una parola lo rimettevo al posto. E come ero io allora, sono adesso migliaia, migliaia, mi­gliaia di altre ragazze: tutte quelle che sgonnellano per le strade senza impillaccherarsi e si levano i cappellini negli uffici, ma non si levano anche la sottana. Anche mio cugino ieri...

TOMIOTTI     Giusto: sai che tuo cugino non è più partito? No. Dainelli gli ha fatto perdere il treno. Ci si era messo d'impegno e vi è riuscito. E sta­notte è venuto con noi in baldoria: gli abbiamo fatto vedere... Venezia al lume di luna. È amenissimo. Si diverte e si vergogna di divertirsi. (Si è alzato e guarda dalla vetriata, verso il canale)  Te': eccoli là, i tuoi Russi. Scendono adesso di gondola. Elà! sono in pompa magna: lui in rendigote, e lei pare la dogaressa. (Con ammirazione)  Ah, sarà quel che sarà ma è una gran bella donna!

MARIA           (alzandosi)  Fa' vedere. (Guarda dalla ve­triata, poi incerta)  Forse era meglio se... (Deciden­dosi)  Li ricevi intanto tu?

TOMIOTTI    Dove vai?

MARIA           Dici che così sto male: mi cambio d'abito. Tu mi scusi con loro. (E via di corsa.)

TOMIOTTI     (le grida dietro)  Senti, senti: dico che hai gente... che c'è tuo cugino. Quello di Treviso.

MARIA           (di lontano)     Sì, sì. (esce.)

TOMIOTTI     (come fra sé ma ad alta voce)  Il Baro­ne! Che imbecille... ma come lo capisco. E come lo invidio. (Esce).

(La sala resta vuota un minuto, poi Tomiotti riapparisce con la Baronessa e il Barone.)

LA VOCE DEL BARONE (di dentro)  Ciao, Tomiotti.

TOMIOTTI     Signor Barone: la signorina si scusa se tarderà qualche minuto. Ha una visita d'affari: un suo cugino che è venuto da Treviso. Se il signor Barone mi fa l'onore di presentarmi alla Baronessa...

IL BARONE    (presentando)  Mio giovane amico, si­gnor Tomiotti, pittore e anche intenditore di antiquità. (Ridendo)  Forse per questo, mio amico.

TOMIOTTI     (s'inchina, sorridendo)  Oh, non per questo, Barone.

CESIRA          Tomiotti! In altri tempi io ho conosciuto un Tomiotti. E le assomigliava.

TOMIOTTI     (sempre in piedi)  Sì. Mio fratello maggiore.

CESIRA          Ah! le ha detto che mi conosce? Marco Tomiotti, medico chirurgo: ricordo il biglietto da visita. Ma era medico senza clienti, perché non esercitava al tempo mio. E che fa Suo fratello adesso?

TOMIOTTI    Adesso esercita.

CESIRA          Male.

TOMIOTTI     E ha preso moglie.

CESIRA          Peggio. È finito anche lui - era un mio ammiratore. Così diceva. - Comunque, era un gio­vane simpatico.

TOMIOTTI     (buffo)   È mio fratello.

CESIRA          Stia comodo, la prego. (Gli altri siedono.)

IL BARONE    (a Cesira)  Questo signor Tomiotti ha visto quella pittura su legno che io ho comperato.

CESIRA          (a Tomiotti)     Ah, che ne pensa?

IL BARONE    (a Cesira)  Dice vale nulla. Niente quattroscento: mille novescento... e qualche cosa. (Sorride)  Mi sono fatto imbrogliare. Allora questo signor Tomiotti invece dir male di Venezia che mi ha imbrogliato, dice male di Russi che non capi­scono niente. (Sorridendo)  Così è fatta la giustizia del mondo.

TOMIOTTI     Proprio così. E in tutto, sa? Se la mo­glie inganna, l'imbecille è il marito.

IL BARONE    (sorridendo)  Un po' forte, ma vero anche questo. - Io adoro cose antique: bellissime, ma occorre dar da mangiare antiquari: detestabili. Io li odio: sono pesgio dei diplomatici. Dice nero: è bianco. Dice bianco: è nero. Dice: questa cornice è cedro: è pesco. Dice: è pesco: è ciliegia... Confon­dono frutta.

CESIRA          Sei tu che hai torto. Loro fanno il loro mestiere.

IL BARONE    No, no: voi siete uno grande popolo, ma avete due difetti: avete negosianti antiquità, e non viasgiate.

CESIRA          Te l'ho sentito dir tante volte.

IL BARONE    (tranquillo)  Ma signor Tomiotti non ha sentito. - Voi non conoscete Inghilterra, non conoscete Germania, non conoscete nemmeno Ita­lia. Conoscete alberghi di Svizzera e cabaret di Parigi: niente altro. Io ero già stato Italia tre viasgi prima di adesso, con mia prima moglie. Que­sta seconda moglie dice: « Io voglio restare Italia ». « Bene: restiamo Italia. Io conosco Italia ». Voi non avreste mai detto questo alla vostra moglie. Voi non venite mai in Russia.

TOMIOTTI     (guardando la Baronessa)  Si sta così bene in Italia.

IL BARONE    Capisco: Italia è come bella donna. Non si lascia bella donna, se non per altra bella donna. Ma Russia è altra bella donna di altro tipo.

TOMIOTTI     Ma bisogna fare un viaggio troppo lun­go per andare a trovarla. La Russia è lontana per un  Italiano.

IL BARONE    Tanto quanto Italia è lontana per uno Russo. - No, no: dite questo, invece: voi non viag­giate. E per questo voi trovate anche ridicole molte cose che non sono affatto ridicole. Voi, per esem­pio, trovate me ridicolo.

TOMIOTTI     (gentilmente smentisce)  No, e perché?

IL BARONE    Sì, voi dite: « Quello è vecchio con moglie giovane ». Voi trovate ridicolo uno vec­chio che sia galante con signore. Noi Russi troviamo che è molto peggiore giovani italiani villani con signore. - Perché è ridicolo un vecchio galante? o anche amoroso? Vecchiessa non è nel capello; molti diventano con capello bianco e restano con cuore giovane. In ogni caso io non sono da ridere: io sono da piangere (E sorride.)  Pensate, mio gio­vane signor Tomiotti. a lo periodo di passasgio fra le due età... (Alla moglie)  Tu non sentire! (Ripren­de)  ...quando sempre piacciono le donne e si vor­rebbero tutte, pensando: « Io ho ancora qualche appetito, ma tra poco non mangerò più ». Terribile, non ridicolo: terribile. - Quando proverete anche voi, non riderete... o riderete malamente. (Si volge.) 

Oh, è qui la padrona di casa. (Si alza, va incontro a Maria, le bacia la mano, e presenta)  Ecco la mia piccola amica.

(Le due donne si toccano appena la mano.)

CESIRA          Tanto lieta...

MARIA           Anch'io, Baronessa.

(All'invito di Maria tutti siedono. Un breve silenzio.) 

Bella giornata oggi.

CESIRA          Sì, bella giornata.

(Un altro silenzio.)

MARIA           Più bella di ieri. Già, ieri sul tardi ha piovuto.

CESIRA          Ma non ha rinfrescato... Poche gocce e poi...

(Ancora silenzio.)

IL BARONE    Vedete, caro signor Tomiotti: quando due persone si incontrano per la prima volta, si studiano come due bestie nemiche. Spezialmente se persone sono due belle signore.

MARIA           (al Barone)  Dite di noi?

IL BARONE    Dico di voi. Lasciate stare il tempo. Piove, non piove: ogniuno vede da sé. (Alla Ba­ronessa)  Tu conoscevi la signorina? Sì, l'avevi in­contrata con i suoi amici. (A Maria)  E anche voi la mia moglie? Sì. È difficile non vedersi, non co­noscersi a Venessia. (A Tomiotti, indicando prima Maria, poi la Baronessa)  Lei perché pare un ragasso con sàssera; lei perché la vedono con me. E quando vedono dicono: « Ecco bella signora con suo padre ». Io sarei suo padre. (E ci ride su.)

CESIRA          Devi dire piuttosto che ci conoscono per­ché abbiamo vissuto molto a Venezia. Lei è vene­ziana, vero?

MARIA           (è distratta, tutta intenta a guardarla, ad am­mirarla)  Sì, sono veneziana. Non sono mai uscita da Venezia.

CESIRA          Alla pronunzia non si direbbe.

MARIA           Nemmeno di Lei si direbbe.

CESIRA          Ma io sono stata anche fuori. Quando bal­lavo. E ho fatto i miei studi a Milano all'Accade­mia di Ballo della Scala.

IL BARONE    (sorridendo)  Come se essa dicesse lau­reata all'Università di Bologna.

TOMIOTTI     (che è in contemplazione)  E non balla più? - Nemmeno per beneficenza?

CESIRA          Nemmeno per mio marito. La mia arte è di quelle che non si continuano a esercitare quan­do ci si ritira.

IL BARONE    Dovete aggiungere che voi ingrassate uno poco troppo per ballare ancora.

CESIRA          Che vuol dire? Quelle che furono una vol­ta cantanti, seguitano a far le cicale in famiglia anche quando non hanno più fiato.

TOMIOTTI     Peccato!! È un vero peccato che Lei non balli più. Mi diceva mio fratello di averla veduta nel ballo « Le quattro stagioni » e che era... una vera artista.

CESIRA          Sì. Non c'era male. (Al Barone)  Ti ricordi? Ci siamo conosciuti allora. « Le quattro stagioni »: sicuro. - Non faccio per dire, eravamo quattro fior di ragazze. Io ero l'Estate. Avevo delle spighe d'o­ro nei capelli; dei rosolacci sul petto... e poco più. Stavo bene.

TOMIOTTI     (con un breve sospiro comico)  Bella sta­gione,  l'estate.  Bella stagione.

MARIA           (lo guarda di traverso)  Per favore, Tomiot­ti, suonate. Suonate.

TOMIOTTI     (distratto, ingenuo)  Ma io non so suo­nare.

MARIA           (stizzita)  Il campanello! due volte.

(Tomiotti si alza, va al campanello elettrico e suona due volte.)

CESIRA          (guarda attorno)  Che bella casa! Ci sta da un pezzo?...

MARIA           No, Baronessa. Non mi potevo permettere questi lussi. - Dacché è morta mia zia.

CESIRA          Ah! già: come me.

IL BARONE    Non precisamente come voi: sono an­cora vivo io.

CESIRA          Volevo dire che ero una povera ragazza anch'io. Soltanto Lei non è stata ballerina come me.

(Lucietta e un cameriere entrano col servizio da tè con due vassoi dei pasticcini e dei sandwiches.)

MARIA           (a Tomiotti che è ancora in contemplazione)  Tomiotti, aiutatemi voi, qui, a servire. (E quando Tomiotti si avvicina gli dice seccamente)  Da' il tè alla Baronessa e vattene.

TOMIOTTI     (sbalordito)  Perché, disturbo?

MARIA           Disturbi, e fai schifo con quella tua ado­razione. Pare che tu non abbia mai visto una don­na. Vattene, hai capito?

TOMIOTTI     (tutto umiliato del rabbuffo)  Ho capito. (Prende una tazza di tè e la porge alla Baronessa.) 

Onoratissimo di averla conosciuta, Baronessa. (E s'inchina.)

CESIRA          Perché? Se ne va?

TOMIOTTI     Devo andare. Ho da fare.

IL BARONE   A Venessia dove nessuno ha da fare. Strano!

CESIRA          Venga a trovarci. Quasi tutte le sere re­stiamo in casa. C'è fresco. C'è qualche serenata... Le piacciono le serenate?

(Tomiotti fa un gran dire di sì colla testa.) 

Ci troverà dei colleghi: il professor Vannini, il pittore Frecci...

TOMIOTTI     Grazie. Verrò. Ora vado. Buona sera, Barone.

IL BARONE   Ciao, Tomiotti.

MARIA           (che ha portato il tè al Barone, quando vede Tomiotti avviarsi)  Voi, Tomiotti, non pren­dete il tè?

TOMIOTTI     (esita, incerto se deve tornare indietro)  Ma...  non saprei.

MARIA           Ah, già, mi ricordo che a voi non piace.

TOMIOTTI     (butta giù male, e saluta)  Buona sera, Maria. (Ed esce.)

MARIA           (si versa il tè e quando è uscito, dice)  Non l'ho trattenuto perché non sapevo se si doveva oppur no parlare del quadro di Frecci davanti a lui. (Alla Baronessa)  Io le sono molto grata della Sua condiscendenza. So che Lei ci teneva...

CESIRA          (franca, recisa)   Io sì, molto.

MARIA           Tanto più. - Ma ci tenevo anch'io. (Sorri­dendo)  Avevo cercato di ottenerlo a meno di sei­mila lire, e così le trattative amichevoli con Frecci si erano prolungate. Ma Frecci è stato irremovibile. E proprio l'altra sera, dopo essermi rassegnata a pagare a prezzo di catalogo, conclusi con lui.

CESIRA          Io non l'ho più veduto. Che ci serbi anche rancore perché gli volevamo comprare un suo quadro? Mi pare un po' troppo. (A Maria)  Che ne dice Lei?

MARIA           Ah, certo.

CESIRA          Lei lo ha visto?

MARIA           Sì.  Ieri sera.

CESIRA          E gli ha detto che oggi venivamo da Lei?

MARIA           Sì, gliel'ho detto.

ETTORE         (entrando)  Buona sera, Maria, Barones­sa, Barone... (E saluta intorno.)

MARIA           (annuvolata)     Buona sera.

CESIRA          (a Ettore)  Eravate dietro la porta? Ne avrei piacere. Dicevo male di voi. Che non vi siete fatto più vivo, mentre ci spettava almeno una pa­rola di rammarico.

ETTORE         Sono venuto per questo: per dirla, e so­pra tutto per pagare il mio debito, che assomiglia troppo a un debito di gioco per non essere saldato nelle ventiquattr'ore. (Trae fuori una busta e la dà al Barone.)  Ecco: le seimila lire. Sono proprio quelle stesse che avete pagato ieri alla Mostra. Rin­graziamenti. E scuse.

IL BARONE    (guarda la busta e dice)  Ben tornate, carine. - Ma io avevo già speso, non sono denaro mio. (Alla Baronessa)  Sono tuo. Tu sei padrona disporne come credi.

CESIRA          Intanto metti in tasca. Vuol dire che ser­viranno per un altro quadro del nostro Frecci, quando ce ne sarà uno in vendita. Speriamo di giungere a tempo quest'altra volta, e speriamo che i prezzi non siano aumentati troppo. - Siete bravi, ma vi siete fatti preziosi. Un quadro oramai costa più di un anello.

ETTORE         Secondo il quadro e secondo l'anello. Quello che avete in dito, per esempio, vale molto di più.

CESIRA          Ah, vi piace? (E stende la mano a Ettore perché lo osservi. È un modo come un altro di sen­tire la sua carezza.)

IL BARONE    Era della mia prima moglie. Ieri ho dato anche questo a lei. Ora essa ha tutto quello di mia prima moglie. La vita non è che una con­tinua spoliassione di cadaveri.

CESIRA          Perché me l'hai dato se ti dispiaceva?

IL BARONE    (semplice)    Perché me lo hai chiesto. - Perché tra morto che dice « non dare » e vivo che dice « da' », sempre vivo comanda. - Offerta colla­na: non vuole; offerto altro anello, moderno: non vuole. Vuole quello. - Lo prendi.

MARIA           (a Ettore)  Prendete tè, voi? Un sand­wich, un petit four?

ETTORE         No, grazie.

MARIA           (inconsapevolmente per attirarlo a sé)  Avete incontrato Tomiotti? È uscito adesso.

ETTORE         Non l'ho visto.

MARIA           Avete sostituito il mio nome a quello del Barone sul cartello d'acquisto?

ETTORE         L'ho detto alla Segreteria della Mostra. Sul quadro non è necessario... A meno che voi non ci teneste. - C'era N. N., è rimasto N. N. È meglio così! avete fatto dei migliori acquisti. Il vostro nome di intenditrice d'opere d'arte non soffrirà menomazioni con la compra di un lavoro mediocre. (E sorride.)

MARIA           E ridete! La faccia è in contrasto con le parole. Siete un furbacchione e un fintone anche voi.

ETTORE         No: dico sul serio. Volete paragonare la mia roba a quella Madonna del Morelli che avete nella camera da letto, ai due Palizzi, a quel Tito... (Ha trovato il modo di restar solo con la Barones­sa.)  Voi, Barone, non conoscete i tesori d'arte che ha la nostra amica?  Peccato.

IL BARONE   Non sapevo. Vedrei volontieri.

ETTORE         (a Maria)  Hai sentito? Il Barone gradi­rebbe...

MARIA           (para il colpo)  Fategli voi gli onori di ca­sa, Ettore. Mostrate voi al Barone anche quella pala d'altare. - Non credo che la Baronessa s'interessi ugualmente, e non oserei nemmeno mostrar­le le stanze della mia casa. Con voi (al Barone)  ho più confidenza. - Non ho né stoffe, né gemme, io: niente che possa piacere a una signora mon­dana. - Ettore, vi prego. Siete un buon Cicerone. Farete miglior figura di là che di qua.

IL BARONE    Vi ringrassio molto.

(Il Barone si av­via. Ettore lo segue, a malincuore. - Un breve si­lenzio. Le due donne si osservano, un poco ostili.)

CESIRA          Siamo rimaste sole. Le due bestie nemiche, come dice il Barone delle donne che s'incon­trano per la prima volta. Sarebbe dunque questo il momento per avventarci l'una contro l'altra. Ma vedrà che non ci sbraneremo.

MARIA           Oh! lo spero.

CESIRA          Quantunque Lei ne abbia una gran volontà.

MARIA           Io?! (E ci ride su.)

CESIRA          Brava: rida. L'ho detto anch'io per ri­dere e per farla ridere. Ma mi guarda in un certo modo...

MARIA           Non mi accorgo. - L'ammiro. (Con lieve ironia)  Lei del resto ci deve essere avvezza al­l'ammirazione...

CESIRA          Troppo buona... Sa che io avevo una gran­de curiosità di conoscerla?

MARIA           Già! passo per una bestia singolare...

CESIRA          Sì: per qualcuno... ma io non ho trovato, non trovo. - No, ero curiosa per quello che mi aveva detto... mio marito di Lei.

MARIA           E che le aveva detto?

CESIRA          Grandi cose, grandi cose. Della Sua intel­ligenza. Mio marito è un Suo ammiratore.

MARIA           E un buon amico.

CESIRA          Ci può contare. E non su lui soltanto. Altri... altri mi hanno parlato di Lei. e così bene, tutti! Noi due - Lei e io - abbiamo amici a comune, gusti a comune, tendenze a comune...

MARIA           Tendenze non saprei.

CESIRA          Ma sì: anche Lei compra quadri, e le piaccion proprio quelli che piacciono a me - per­ché non mi piacciono solo le stoffe e i gioielli - anche Lei ama gli artisti, anche a Lei piace te­nersi vicina agli uomini.

MARIA           Nell'esteriorità, sì, vicina agli uomini. Nel modo di vivere, anche, perché è più semplice, più schietto; ma se intendesse nell'altro senso, come mi pare che voglia dire Lei, il mio contegno è il migliore per tenerseli lontani, gli uomini.

CESIRA          E perché se li tiene lontani? in quel senso che dice Lei ora?... e che non volevo dire io. - Ne ha paura forse? No, sa: i giovani al più sono in­grati, gli anziani al più sono vili. - Ma paura, no. Io ho vissuto • ho vissuto molto - perché tacerlo con Lei... che lo sa? - Creda dunque alla mia espe­rienza: sugli uomini non si può fare assegnamento, ma non si deve nemmeno aver paura di loro. Mi permetto di parlarle così apertamente perché tra­verso gli amici comuni mi pare di conoscerla da un pezzo. - Frecci per esempio mi ha parlato tante volte di Lei. Chissà quante volte lui le ha parlato di me... (E sospende interrogando.)

MARIA           (secca)  No.

CESIRA          No?

MARIA           No.

CESIRA          E nemmeno Lei gli ha parlato di me?

MARIA           No.

CESIRA          Non lo avrei creduto!

MARIA           Eppure!

CESIRA          Se lo dice Lei... - Capisco che Lei non mi conosceva.

MARIA           Ecco. E non mi interessava.

CESIRA          Quantunque les amis de nos amis... Spe­cialmente quando les amis sono le amiche.

MARIA           Il Suo nome con lui non l'ho fatto mai pri­ma di ieri a proposito del quadro.

CESIRA          Che non era venduto.

MARIA            Come dice?...

CESIRA          Dico che ieri, quando io l'avevo acquistato non era ancora venduto. - Il Barone crede alla sto­riella dell'incontro casuale dei due compratori... io no. - Pensi che proprio il giorno prima Frecci si doleva con me perché le sue « Fanciulle al ba­gno » alle quali aveva lavorato con tanto fervore, che egli giudicava il suo miglior dipinto, nessuno lo voleva... Dunque, le lunghe trattative, in seguito alle quali si è decisa a comprare, sono una gentile invenzione. Il Barone ci crede: io che so, non ci posso credere.

(Maria si è chiusa in un silenzio ostinato.) 

Mi segue?

MARIA           Altroché.

CESIRA          Quando Frecci ha saputo che io avevo com­prato, solo allora... - chi sa perché - si è dato at­torno per riuscire a trovare chi lo aiutasse nel trucco. Ha cercato il compare, come si dice. . E Lei, per favorirlo, sì è prestata gentilmente a far da compare. - Mi segue?

MARIA           Altroché.

CESIRA          Tutto questo e dell'altro che le dirò, avrei dovuto dirlo a Frecci, ma non si è fatto ancora vedere da me, da me sola. Può ripeterglielo Lei, se crede. - S'immagini che io pensavo che Frecci mi sarebbe stato riconoscente per il pensiero: sì, perché volevo aver qualche cosa di suo.

MARIA            Pagandolo.

CESIRA          Naturalmente. - I quadri, penso, li fa per vendere.

MARIA           Ma per venderli agli altri, non a Lei o a Suo marito. Se li vende a Lei o al Barone, si diso­nora. E per questo mi permetto di consigliarla sin d'ora a rinunziare al proponimento di acquistare altri quadri di lui. Se vuole, le indicherò altri ar­tisti meritevoli della Sua attenzione.

CESIRA          E perché si disonora?

MARIA           Il perché Lei lo sa meglio di me. La mal­dicenza, il sospetto, la calunnia circolano sempre, dovunque, in ogni caso: si figuri nel gruppo degli artisti, e quando alle voci malevoli si dà un ap­piglio! - Si crede, anche quando una cosa non è: pensi un po' quando è veramente.

CESIRA          Io non sono dunque padrona di comprare un quadro che mi piace?

MARIA           Sì, ma non è padrona di comprare un qua­dro perché le piace il pittore, quando si sa che le piace il pittore.

CESIRA          E chi lo sa?

MARIA           Oh! nessuno...: tutta Venezia.

CESIRA          Perbacco! Frecci e il Barone mi avevano prevenuto che Lei era una donna libera... sì, li­bera nel parlare, schietta, ma non credevo... Non manca di sincerità e di audacia, Lei. Potrei offen­dermi: non mi offendo. - Che sappia Lei, che sappia tutta Venezia, come Lei dice, non m'importa. - Io, vede, ho sempre fatto quello che ho creduto di fare, senza guardarmi d'attorno, mai. Ci mancherebbe altro! Ho guardato sempre e soltanto davanti a me.

MARIA           (calma)  E invece bisogna guardarsi anche d'attorno, quando si tratta di compromettere, di in­famare un uomo.

CESIRA          Non dica parole grosse. Io compravo quel­lo che era in vendita, davo il prezzo del catalogo. Non regalavo nulla: facevo un acquisto, un affare.

MARIA           E forse anche un buon affare. I quadri di Frecci saliranno di prezzo...

CESIRA          Mi piace il Suo entusiasmo. Ha tanta fi­ducia Lei nel suo avvenire?

MARIA           Io sì, molta. Lei avrebbe fatto forse un buon affare. Lui certo uno pessimo. Anch'io mi permetto di parlare con Lei con tutta la schiet­tezza del mio carattere, come se la conoscessi da un pezzo. - Lei è bella, ammirata, oggi ha un gran nome. Lui non ha che la sua arte. - Se gli vuol bene, veramente bene, perché Lei non lo lascia?

CESIRA          Ancora una volta potrei offendermi e non mi offendo; ma invece di rispondere, domando a Lei - continui a essere sincera - a chi lo dovrei lasciare?

MARIA           Oh! è semplice: dovrebbe lasciarlo al suo lavoro.

CESIRA          Ah! Lei si chiama « il suo lavoro »? Mi era stata presentata con altro nome.

MARIA           Baronessa, la stoccata è forte, ma non col­pisce il bersaglio... (e indica il petto.)  Ne ho date anch'io a Lei delle buone, e vuol rifarsi. - No, quel­lo che Lei dice non mi turba perché non mi tocca. Ognuno intende soltanto quello che è nella cerchia dei suoi interessi e dei suoi sentimenti. Fra i Suoi sentimenti l'amicizia non c'è, e così Lei non sa immaginare che si possa essere amici e soltanto amici.

CESIRA          Amici chi? Lei e Frecci? Frecci per Lei, sì, perché Frecci ha un'amante; Lei per Frecci, sì, se Lei avesse un amante; e non so se l'abbia. - Si può essere il meno quando altrove, con un altro, si è il più. - Diffido dell'amicizia fra uomini, diffido dell'amicizia tra donne: s'immagini se credo alla amicizia tra un uomo e una donna. Un uomo gio­vane e una donna giovane! - No, Lei, cara signo­rina, cova nel cuore una passione infelice, non cor­risposta. Si distragga, si curi, vada a viaggiare, a conoscere un po' di mondo, visto che non è mai uscita di Venezia. Le farà bene.

BARONE        (che rientra con Ettore)  Bello, molto bel­lo. Veramente avete uno piccolo museo. Tutto pic­colo, ma grassioso come la padrona di casa. (La Baronessa si è alzata.)  Quando voi volete andare sono alli vostri ordini. (A Maria.)  E non istate a guardare: verrà essa, verrò io, verrete voi... Nien­te scerimonia. (E salutando col gesto Ettore)  A rivederci.

ETTORE         Scendo anch'io.

MARIA           No, Ettore, ho da parlarvi, vi prego.

CESIRA          (tende la mano, e fa un leggero inchino)  Signorina...

MARIA           (prende la mano tesa, senza stringerla)  Baronessa...

CESIRA          A rivederci Frecci. A presto. Non vi fate desiderar tanto.

ETTORE         Lavoro.

CESIRA          Di giorno. Ma la sera... Voi pittori siete come i pipistrelli: non vi si vede che la sera, quando vi si vede.

IL BARONE    Oggi pipistrello è uscito anche con sole. Capisco: eccezione, non regola.

(Maria ha suonato per il servizio: una volta. - Il Barone le manda un piccolo bacio sulla mano, con galanteria.)  Buona sera.

(Il Barone e la Baronessa escono.)

ETTORE         (appena usciti)  Fumo. Non ti disturba? - Comoda questa poltrona! Novità.

MARIA           C'era anche ieri.

ETTORE         Ma io avevo altro a pensare...

MARIA           Anche oggi, finora. Ma ti volevo chiedere perché sei venuto oggi, proprio quando sapevi che c'erano... i Russi. - Io non ti avevo invitato.

ETTORE         (sorpreso)  Mi occorre un invito per veni­re da te? (Ridendo)    Da quando in qua?

MARIA           Sì, per oggi occorreva.

ETTORE         (amichevole, cordiale)  Bada che se non mi hai detto propriamente « vieni », non mi hai detto neppure « non ci venire ». Ti ho chiesto se credevi opportuno che pagassi te presente, e mi hai risposto: « Non so. Pensaci tu ». Mi è parso che fosse bene ci fossi anche tu quando restituivo i denari... così tutto era liquidato. E son venuto.

MARIA           « Pensaci tu » era un modo come un altro per dirti: « Non mi pare opportuno ».

ETTORE         Io non ho sospettato un minuto di dover dare questa interpretazione alle tue parole. Sei così esplicita quando vuoi... Anzi, guarda. Ricordo più esattamente le tue parole di ieri. Tu hai ag­giunto: « Mi pare che sia meglio. È più spiccia ».

MARIA           (condiscendente)  Sarà. (Quasi lo investe)  Tu morivi dalla voglia di vedermi accanto a lei, di vedere come l'avrei accolta, quale impressione mi faceva. È seducentissima: sei contento? Ma ti fa torto. E fa torto anche a me. - Che tu inganni quel pover'uomo del Barone è cosa che riguarda te, la tua coscienza, ma che io in qualche modo ti sia complice nell'inganno... mi ripugna. Sì, è vero, ieri non ti ho detto niente: ma certe cose bisogna vederle, per soffrirne. Anzi ti prego: se c'è lui, quando c'è lui, non capitar più.

ETTORE         Scusa. Non pensavo di dispiacerti. Del re­sto mi pare che tu ecceda un poco. Sì, tu sei di­ritta, sei leale, ogni inganno ti offende... Ma il mondo è tutto pieno di inganni. Di quella specie d'inganni, poi!

MARIA           Il mondo è sudicio. Ecco com'è il mondo! - Da quando le vuoi bene?... Sì, da quando è la tua amante?

ETTORE         Da anni. Ci siamo presi, ci siamo lasciati. E ogni volta ci siamo presi con la volontà di la­sciarci, ci siamo lasciati con la volontà di ripren­derci. Ci siamo forse amati sempre, o almeno de­siderati, e intesi mai. Non andiamo mica d'accor­do... - Ma guarda di che mi fai parlare!

MARIA           Io... io sono un uomo, io. Dunque non an­date d'accordo?

ETTORE         Lei vuol tenermi. Soprattutto, quello: te­nermi - Non le importava, non capiva di avvilirmi. Mi comprava un quadro: a modo suo mi dava una prova d'amore... Non bisogna chiederle squisitezze e sottigliezze: a modo suo mi vuol bene. Con me ha dato sempre prova del maggior disinteresse. Quan­do si è cominciato, io ero un pittorucolo che prin­cipiava, uno dei tanti, e lei una ballerinetta di ultimo ordine, una della fila: io vivevo in una porti­neria, lei in una soffitta, e avevamo appena il pane io e lei.

MARIA           Non fare della storia, e della storia roman­tica, adesso. Nessuno te la chiede.

ETTORE          Rispondevo a una domanda.

MARIA           E adesso a che cosa lavori? Sì, in questo momento che cosa fai?...

ETTORE         Sono incerto: ho sul cavalletto una figura d'uomo, un vecchione del ricovero, e ho abbozzato. un traghetto ai primi albori.

MARIA           (ironica)  Nuova quella! L'idea è nuova: non ci ha mai pensato nessuno a dipingere un tra­ghetto.

ETTORE         Che vuol dire? L'importante è trovare il colore. E chi ha visto l'abbozzo trova che il colore c'è.

MARIA           E chi l'ha visto?

(Ettore non risponde. Maria ha capito.) 

Ah! - Anche giudice d'arte, è di­ventata. - Gli uomini, gli uomini... anche quelli che sembrano forti... - Sai perché ti piace? perché ti tiene? Perché è ben vestita e perché è baronessa.

ETTORE         No, vedi: ti ho detto adesso che eravamo insieme quando lei era una stracciona.

MARIA           Ma eri uno straccione anche tu. - Giusto: perché non l'hai sposata?

ETTORE         Perché non l'ho sposata?! Perché... Per­ché no. Perché faceva la ballerina...

MARIA           No... no... Perché sapevi che avrebbe avuto degli amanti. Va': non esser vanitoso anche tu. - edi, è quella specie lì che mi rende odiose le donne.

ETTORE         Sei ingiusta. Nel caso speciale sei ingiu­sta.

(Breve silenzio.)

MARIA           (carezza melanconica un mazzo di fiori. Poi, umile e affettuosa)  Vuoi un fiore? Lo vuoi un fiore?... o hai paura che lo riconosca?

ETTORE         Non ne porto mai.

MARIA           (strappa il fiore e lo getta via)    L'hai conosciuta dunque prima di conoscere me. E non me ne hai mai parlato. Si vede che c'è in ognuno di noi un cantuccio nell'ombra, ignoto anche agli ami­ci più fidati e più vecchi. (Torna gaia.)  Perché si può dire che siamo amici vecchi, noi due, da quella rumorosa assemblea del Circolo Artistico!

ETTORE         Mi rammento. La nostra amicizia comin­ciò con un dissenso. Pare che sia il modo migliore. Tu sostenevi che le donne avevano diritto a far parte del Consiglio e io non vi ci volevo.

MARIA           E avevi torto!

ETTORE         Sventolavi la bandiera del femminismo anche allora. E avevo ragione io: eravate tre don­ne in tutto, e le altre due erano bruttine assai.

MARIA           E io? io com'ero?

ETTORE         Eri come sei adesso. Né bella né brutta: simpatica.

MARIA           (gira inquieta per la stanza; poi d'un tratto)  Stasera ceno fuori. Non ho pensato a dirlo agli al­tri. Li cercherò sotto le Procuratie. Se no, pranzo sola. Non approvi?

(Ettore non dice né sì né no, indifferente.) 

Come se fosse la prima volta! A meno che tu non mi faccia compagnia!

ETTORE         Ho un impegno.

MARIA           Non ti puoi liberare?

ETTORE         Troppo tardi.

MARIA           Vai dalla Baronessa?

ETTORE         (semplice)  Io no. Non ho un motivo. Né un pretesto.

MARIA           Ti scriverà. O ti vorrà vedere domani. Ha qualche cosa di interessante da dirti.

ETTORE         Come lo sai?

MARIA           Quando ci avete lasciate, qui abbiamo par­lato di te.

ETTORE         E che ti ha detto?

MARIA           Lo saprai da lei.

ETTORE         Dimmelo tu adesso.

MARIA           La vedrai domani.

ETTORE         Sai che sia tornata a casa?

(Maria accenna che non sa.) 

Forse il Barone l'ha lasciata per via. Vado per vedere se la incontro. (Ed è già sulla porta per uscire.)

MARIA           (di lontano)    Di', Frecci, si dà la buona sera.

ETTORE         Scusa. Buona sera. (Ed esce).

(Un minuto di quiete, Maria rimane pensosa, poi s'alza, e suo­na: due volte.)

LUCIETTA      Comanda?

MARIA           Sbarazza.

LUCIETTA      (sbarazza in silenzio. Va, torna.)

MARIA           (prende un libro, lo depone, si muove per la stanza, irrequieta)  Bepi è andato?

LUCIETTA      Sì, signorina, è andato.

MARIA           Chiunque venga, non sono in casa.

LUCIETTA      Sì, signorina. (Poi timidamente)  Quando ho finito posso andare anch'io?

MARIA           (un po' aspra)  Dove? (Più dolce)  Dove vuoi andare?

LUCIETTA      La signorina mi aveva detto... (E tace.)

MARIA           Che cosa ti avevo detto? Non ricordo.

LUCIETTA      Che questa sera pranzava fuori.

MARIA           Invece non vado.

(Lucietta tace.) 

E che te ne importa, se vado, se resto? Che ti entra in tasca?

LUCIETTA      Lei non si rammenta più... mi aveva detto che stasera ero libera.

MARIA           Ah, già. È vero. (Aspra)  Invece sarà per un altro giorno. Non è lo stesso?

(Lucietta tace.) 

È lo stesso o non è lo stesso?

LUCIETTA      Oggi è lunedì. E lui non è libero che il lunedì.

MARIA           Lui, chi?... - Ah, c'è un lui...! Che fa questo lui?

LUCIETTA      È garzone di parrucchiere. E di lunedì non ha da badare al negozio.

MARIA           Dunque ci hai il moroso? Anche tu fai all'amore... Tutti in amore, oggi. - Ti sposa?

LUCIETTA      Sì, signorina, mi sposa. A carnevale. Se non lo richiamano soldato, ci si sposa.

MARIA           Quando l'hai conosciuto?

LUCIETTA      Saranno sei mesi. Sta lì, nel « salone » in faccia. È il primo garzone, sa?

MARIA           Niente meno! (Aspra)    Farete della miseria.

LUCIETTA      Guadagna bene, sa? Quando ci sono i forestieri, specialmente. Poi per Natale ha le man­ce. E per questo ci sposiamo in carnevale.

MARIA           Figurarsi che cuccagna! - Qui con me non stai bene? Bevi, mangi, dormi, tutti i miei spogli son tuoi... No, non ti basta, ti vuoi sposare, anche te. Per mettere al mondo dei figliuoli, logorarti, sciuparti: a vent'anni ne dimostrerai trenta, a tren­ta sarai vecchia, a quaranta decrepita. - Sposati, sposati, farai un bell'affare.

LUCIETTA      Sono innamorata. Lui mi vuol bene. Ne ha parlato anche ai suoi dicasa, e sono con­tenti. Anche i miei sono tanto contenti!

MARIA           E stasera dove andavi? a passar la sera con lui in qualche osteria, in qualche caffè?

LUCIETTA      No, signorina. Andavo a cena in fami­glia sua. Era la prima volta.

MARIA           Allora vai... Prendi la chiave.

LUCIETTA      Sì, signorina.

MARIA           Non far tardi.

LUCIETTA      Sì, signorina.

MARIA           E giudizio, veh!

LUCIETTA      Sì, signorina.

MARIA           Apri lì la vetrata: si soffoca, qui.

LUCIETTA      Sì, signorina. (Va, apre. Un raggio te­nue illumina la stanza. - Contenta a Maria)  Ooo! c'è la luna.

MARIA           E che me ne importa?

LUCIETTA      (umilmente)     Scusi. - Buona sera.

MARIA           Buona sera. - Quando torni ti fai sentire.

(Siede accanto alla vetrata. - Lucietta in punta di piedi esce, richiude. - Maria è tutta presa dalla dol­cezza, dalla mollezza dell'ora. Un sospiro. - Si sente il grido lontano di un gondoliere.)

LA VOCE DEL GONDOLIERE (di dentro)  Prè­miii!...


ATTO TERZO

La scena del primo atto.

LUCIETTA      (entrando)  Signorina: c'è Suo cugino... (Correggendosi)  Il cugino della mamma.

MARIA           Oh, avanti. Fallo passare.

(Lucietta esce; entra Adolfo. Senza guardarlo) 

Buondì.

ADOLFO        Buondì, Maria, buondì.

MARIA           Un'altra volta a Venezia?

ADOLFO        No, devi dire: « Ancora a Venezia?! - Per­ché non sono più partito, dall'altro ieri. I tuoi amici scalpellini e imbrattatele mi hanno tratte­nuto per forza. E io mi sono fermato per debo­lezza, per viltà. Che facciano i matti loro, niente di strano... Ma io?!... Un ragioniere! - Perché da quarantott'ore io vado perdendo a brandelli ogni serietà e ogni prestigio. Ero forte, rigido: mi in­fiacchisco come un orientale. Mi proclamo indegno, ecco.

MARIA           Indegno di che?

ADOLFO        Così: indegno. In senso assoluto. Cerco qualcuno che mi scuota, che mi bastoni.

MARIA           (seria)  Se non vuoi altro! (E alza la mano.)

ADOLFO        Sono mani di donna le tue, inadatte a pestarmi a sangue.  I tuoi cari amici mi hanno portato in giro, mi hanno fatto bere come una spugna e mi hanno fatto spendere un sacco di de­nari: in due giorni, quasi cento lire.

MARIA           Se mai un sacco di palanche. Sii preciso.

ADOLFO        Insomma io sono scontento di me; sono avvilito... Ah, qualcuno degli amici capiterà qui: Dainelli e Romiati non ti hanno visto in questi due giorni... Già, siamo stati sempre in giro. Mica ti porteranno... dove han portato me? . Ma io stasera vado via. A Treviso mi aspettano: persone serie, persone d'affari, che forse sono scese apposta di campagna per vedermi. Avevo detto che proba­bilmente sarei tornato domenica stessa e siamo a martedì! Un miracolo se non hanno già fatto ri­cerca di me per mezzo della Questura. Tu non hai avuto nessun telegramma?

MARIA           Io no. Ma non ti preoccupare: il mondo cammina anche senza di te: anche il piccolo mondo quieto di Treviso. - Tutte le volte che ci si ammala, oltre il dolore si hanno a soffrire di queste delu­sioni. Ci si mette a letto pensando: « Dio mio, chi sa come andranno avanti senza di me! Che cosa mai accadrà? Una qualche rovina ». E invece non accade nulla; e la nostra immobilità non solo non è una rovina, ma qualche volta è una combina­zione fortunata. - Ah, siamo dei grandi illusi e dei pretenziosi, tutti quanti!

ADOLFO        Anche tu mi sembri di cattivo umore. Sbaglio o indovino?

MARIA           Per miracolo hai indovinato.

ADOLFO        Di' un po': bada, non garantisco, perché ero tra nebbia di sigari e tintinnio di bicchieri, ma così, tra un fumo e l'altro, mi è parso di sentire che hai comprato un quadro all'Esposizione. Un quadro di prezzo. Sbaglio?

MARIA           Oggi ti vanno tutte bene. Hai indovinato anche questa.

ADOLFO        Non ho indovinato: ho sentito. Ho l'im­pressione di aver sentito.

MARIA           Hai sentito bene.

ADOLFO        Un quadro di Frecci? Seimila lire?

MARIA           Esatto.

ADOLFO        E dove lo metti?

MARIA           Ah, bravo: continua a indovinare. No, non indovineresti. Lo metto in casa tua. Te lo regalo.

ADOLFO        (sbalordito)  Lo regali a me?! Un quadro di seimila lire!? E che me ne faccio?

MARIA           O bella: lo guardi.

ADOLFO        E quando l'ho guardato?

MARIA           Lo torni a guardare.

ADOLFO        Già, capisco, ma... È un quadro di valore?

MARIA           Lo sai: seimila lire.

ADOLFO        Domando se è bello.

MARIA           Mah!

ADOLFO        Come, mah!

MARIA           Tre per quattro.

ADOLFO        Come?

MARIA           Tre per quattro.

ADOLFO        Tre per quattro  dodici.

MARIA           Mi chiedi se è bello, e siccome non me ne intendo, ti rispondo quello che è sicuro: che è tre metri di altezza, per quattro di larghezza.

ADOLFO        Acci... E dove lo metto?

MARIA           Dove vuoi. Raffigura tre fanciulle al bagno: lo metti nella stanza da bagno.

ADOLFO        Tre per quattro! Fanciulle al bagno! Ci sto appena io nella stanza da bagno, figurati se ci possono stare anche tre fanciulle. E poi pensaci: tre fanciulle che si bagnano... mentre io entro in tinozza! (Impazientendosi)  Io dico... Ma perché me lo regali?

MARIA           Per farmi un piacere. Non per farti un pia­cere: per farmi. Per levarmelo d'intorno. Per giu­stificare in qualche modo un acquisto.

ADOLFO        Io non so... ho dormito poco... o ho dor­mito troppo. Devo essere intontito, perché non capisco.

MARIA           Capirai dopo, se sarà necessario. - Dimmi invece questo: ti sai battere?

ADOLFO        (stupito)     Perché?

MARIA           Maledetto vizio! Rispondi a una domanda con un'altra domanda.

ADOLFO        Mi so battere. Almeno in altri tempi sa­pevo tirare di scherma. Sono stato sottufficiale, io. (E fa un « a fondo »)     Elà!

MARIA           Ti può servire. Tu sei il mio solo parente. C'è il caso che tu ti debba battere per me.

ADOLFO        (sbalordito)  Io? Perché? Con chi?

MARIA           Non lo so.

ADOLFO        (irritato)  Se mi devo battere, almeno sa­pere con chi!

MARIA           Forse con nessuno; forse col pittore Frecci.

ADOLFO        Ma come?! Gli compri un quadro, glielo paghi seimila lire e anche pensi che ti possa sfi­dare... cioè, ti possa... mi possa sfidare a duello?

MARIA           Ti ripeto che non so. Ieri è stata qui la Baronessa. Le ho detto il fatto suo: da uomo a uomo... Sì. come se fossimo due uomini. Ma siccome due uomini non siamo, e può aver riferito al suo amante...

ADOLFO        Ah! Frecci è proprio il suo amante?

MARIA           Sicuro, è il suo amante. Ci hai qualche cosa in contrario tu?

ADOLFO        Io?!

MARIA           Se lei manda lui, io mando te. Mando, si capisce, per modo di dire. Quando fosse il caso, un pretesto si troverebbe.

ADOLFO        Lo vedi a che cosa ci si ritrova a voler fare da uomini quando si è donne? Che al momento decisivo bisogna metter nelle peste qualcun altro. Ecco il bel risultato.

MARIA           Hai paura?

ADOLFO        No... Ma non è piacevole.

MARIA           Hai paura!

ADOLFO        Ti dico di no. Ma se lo sanno a Treviso?... Altro che liquidatore! Invece di liquidare gli altri, liquidano me.

MARIA           Va là, non aver preoccupazioni. Te l'ho detto per vedere su chi posso contare io. Tu torne­rai a Treviso, tu non avrai fastidi: o chi sa che non venga anch'io con te.

ADOLFO        Tu?

MARIA           Non a casa tua: non comprometto la tua fama di uomo maturo e morigerato; a un albergo, in una pensione, in una casetta, se tu me ne trovi una. Voglio venir via, sono stanca di Venezia.

ADOLFO        Possibile? È così bella. Con la luna!

MARIA           Appunto, è troppo bella. Non voglio più cose belle intorno. Troppi palazzi, troppe baro­nesse...

ADOLFO        (con lo stesso tono)    Troppi pittori.

MARIA           Anche: tutto troppo. Cercami una villettina, un giardinetto, un orto. Qui mi stanco e m'im­malinconisco: Venezia è tutta un sospiro. Io ho bisogno di respirare, non di sospirare. Ho bisogno di un pezzo di cielo e di verde; ma di verde auten­tico, non di verde dipinto. E poi, chi sa! Venezia è troppo grande, troppo ricca: quel po' di bene che ci potrei fare - e non ho fatto finora - si sperde. Invece in una cittadina modesta potrei dare la mia attività utilmente, potrei spendere qualche denaro utilmente, fondare qualche scuola...

ADOLFO        (con lo stesso tono)  Farti crescere un'al­tra volta i capelli... trasformarti, insomma, ritor­nare una donna come tutte le altre...

MARIA           (sorridendo)  Sei uno sciocco, ma sei uno sciocco simpatico.

LUCIETTA      (entra)  C'è il signor Tomiotti.

MARIA           Beh; anche lui! Che venga.

(Lucietta esce.)

TOMIOTTI     (entra)  Ciao! Ieri mi hai trattato male, ma non ti serbo rancore. Ciao, Adolfo.

ADOLFO        Ciao.

MARIA           (sorpresa)   Siete al tu? Così presto?

ADOLFO        (desolato)   Siamo al tu.

TOMIOTTI     (a Maria)  Gli abbiamo fatto questo onore ieri sera, dietro una abbondante elargizio­ne di frutti di mare e di vin bianco. Del tu! come se fosse un artista o affine, mentre non è che un contabile liquidatore. E di Treviso! - Ora dì' un po', Maria, è vero quel che mi hanno detto alla Se­greteria della Mostra? Che tu...

MARIA           È vero, è vero, è vero. - Mi rovino per Frec­ci, sono  l'amante del Frecci... Tutto quello che volete, tutto quello che sì dice, tutto quello che non si dice... Vero tutto, purché non se ne parli più.

TOMIOTTI     Scusa, non credevo... (Vuol dire « di offenderti ».)

MARIA           (interrompe)  Ecco: non credevi. L'argo­mento è esaurito. Parliamo d'altro.

TOMIOTTI     Parliamo d'altro. (A Adolfo)  Le hai detto? No? Ti dico io. Vengo con un gradito in­carico: tra un'ora Dainelli, Adolfo e io andiamo...

ADOLFO        No, io no, io parto per Treviso.

TOMIOTTI     (imperioso)  Zitto là, ragioniere. (E ricomincia)  Tra un'ora Dainelli, Adolfo e io an­diamo a fare uno spuntino nello studio del pit­tore Carobi, che festeggia la sua nomina a cava­liere. L'hanno fatto cavaliere, quel somaro! - Il pit­tore Carobi terrebbe ad avere tra i festaloli anche te. Ci vieni?

MARIA           Perché no?  Volentieri.

TOMIOTTI     Torniamo a prenderti?

MARIA           Tornate a prendermi. Sfoggerò un vestito nuovo, un tailleur più maschile di tutti i tailleurs che mai siano stati fatti per donna. Tanto per dare un altro dispiacere qui ad Adolfo.

ADOLFO        (supplicante)  Lasciatemi tornare a Treviso.

TOMIOTTI     Domani. Stasera tu vieni con noi.

MARIA           (ad Adolfo)  Eh sì, stasera tu resti a Venezia. (Ridendo)  Non ti ho detto che posso aver bisogno di te?

ADOLFO        Ah, già. (Rassegnato)  E sia. Povero il mio studio! Poveri i miei clienti!

TOMIOTTI     (a Maria)  Tra mezz'ora o poco più saremo qui, ma non stiamo a salire. Ti chiamerò di giù.

ADOLFO        Anche questa!

TOMIOTTI     (a Adolfo) Non temere. E non bronto­lare: quando si chiama di giù, si dice « Mariooo! ». Non si dice: « Maria ». E lei, che è più intelligente di te, scende. . Sappiamo il vivere del mondo, noi. Non siamo mica ragionieri di Treviso. (A Maria) A più tardi.

ADOLFO        Lasciatemi almeno telegrafare.

TOMIOTTI     Questo sì: ma con me. Andiamo insieme all'Ufficio telegrafico... Ah, non ci scappi! Con me e con Dainelli.

ADOLFO        Come tra le guardie! Nemmeno fossi un fallito.

LUCIETTA      (entra)    C'è il Barone di Krubelich.

MARIA           Ah! Fallo passare.

(Lucietta esce.)

TOMIOTTI     Giusto; è rimasta un pezzo la Baronessa?

MARIA           Sì, un pezzo.

TOMIOTTI    Come la trovi? Vero che è bella?

MARIA           Bellissima. Simpaticissima. Amabilissima. Ora andatevene.

TOMIOTTI     Troppi superlativi. Non ci credo. - Ma non ti perdere in chiacchiere col Barone; vengo più tardi?

MARIA           Sì. Fate presto. (E li mette fuori).

(Alla porta, i due s'incontrano col Barone. I tre uomini si salutano col capo.)

IL BARONE    Salute, Tomiotti. (S'inchina, bacia la mano a Maria.)

MARIA            Sedete, Barone.

IL BARONE    Mia cara amica!.. (Ha un po' d'affan­no e si riposa.) Le scale. - La Baronessa è rimasta enchantée della vostra amabilità.

MARIA           Davvero?

IL BARONE    Veramente. Io prevedevo. Voi incan­tate tutti. Siete piccola sirena... S'io avessi - poco - trenta anni meno, vi farei la corte. - Ma che cosa avete? Non solito umore. Siete sofferente anche voi?

MARIA           No.

IL BARONE    Bene. Voi non dovete sofferire mai. Quando si è giovani, come voi siete giovane, tutto bello, tutto pieno luce, tutto salute. - Ora sentite me: domani sera c'è un piccolo ricevimento da noi. Pochi, pochi amici. Ma Baronessa conta ve­dervi domani. A ogni modo io anticipo suo invito, e aggiungo la mia preghiera. (Quasi affermativo)  Verrete?

MARIA           No.

IL  BARONE  (dolente)   Oh!  Avete  altri  impegni?

MARIA           Non ho altri impegni. Ma non verrò. Voi siete un amico, voi mi piacete... ma la Baronessa non mi piace.

IL BARONE    (colpito) Oh! Voi dite questo perché siete turbata! Perché? - Non è venuta oggi di per­sona, ma io vi assicuro...

MARIA           (decisa) No. Ve l'ho detto: la Baronessa non mi piace. Sono avvezza a dire sempre tutto, e a tutti, il mio pensiero.

IL BARONE Essa non è stata grassiosa con voi? Non mi avete fatto capire ieri. Non mi ha detto. Sarei desolata

MARIA           Perché, Barone? La simpatia e l'antipatia non si impongono. La Baronessa non mi è riuscita simpatica. E credo di aver fatto la stessa impres­sione a lei.

IL BARONE    (protesta)  No. Vi ho detto enchantée. Si è dichiarata enchantée.

MARIA           Perché non ha voluto darvi un dispiacere, visto che voi avevate insistito perché io la cono­scessi, ma ha mentito. Mi dorrebbe molto se que­sta mia dichiarazione dovesse troncare i miei rap­porti di amicizia con voi, ma io non posso tacere i miei sentimenti o nascondere le mie impressioni; ve l'ho detto. Qui da me troverete sempre una sigaretta e una tazza di tè per voi, ma venire io in casa vostra, no.

IL BARONE    (un po' triste ma sicuro)  Siete catti­va, mia piccola amica. Molto cattiva. Voi non ave­vate bisogno di dichiararmi perché non volete ve­nire in casa mia. Bastava diceste ogni volta: « Non posso ». - Si non alla prima volta, alla seconda vol­ta, si non alla seconda volta alla terza volta, io avrei capito. - Sono vecchio, ma non ancora per­fettamente imbescille.

MARIA           Credetemi, caro Barone. Sono dolente di avervi parlato così, ma dovevo.

IL BARONE   Non credo.

MARIA           Se mi sono espressa in questo modo...

IL BARONE   Prego, silensio. Meglio silensio.

MARIA           No, Barone. Io vi voglio dire...

IL BARONE    (gentilissimo, ma deciso)  Non fate questo. Questo che voi volete fare. Non fate. Ave­te già detto troppo. Eravate mia piccola amica: non diventate mia piccola nemica. - Permettete invece a un vecchio sciambellano darvi uno consi­glio, sicuro - sempre - in qualsiasi occasione. Si voi siete dubitosa non dire - non dite. Quando io sono entrato voi eravate dubitosa: « Dico, non di­co ». Vi ho visto inscerta. Ora avete deciso. Come uno moscone, voi picchiate lo piccolo muso su la­stra di cristallo. Lastra di cristallo sono io. Più duro di cristallo si non voglio intendere. - Io non volevo intendere. - Forse dentro voi vi volete per­suadere che rendete uno servisio a me con la vo­stra sincerità, mentre servite uno piccolo vostro rancore. (A un moto di protesta.)  Sì. Quello che volevate dirmi e non volevate dirmi, io so.

(Maria lo fissa interrogativa.) 

Sì, io so. Dunque, inutile. (Accompagnando la parola col gesto, l'indice sulla bocca)  Silensio. (Lento)  So. Prima che io la spo­sassi, dopo che io la sposassi.

MARIA           Come?... - Ma io...

IL BARONE    (ripete il gesto)  Silensio. - Spiego. -Voi vedete in vetrina uno anello che vi piace. Voi comperate. Qualchiduno vi dice: « Badate, possono rubarvelo: badate, ruberanno ». Non conta. Si vi piace, voi comperate ugualmente. Così io. - La mia prima moglie, no: non mi ha ingannato. Posso giurare. (Stende la mano solennemente.)  Giuro. Anche si questa seconda inganna, è una su due: non posso lamentarmi - Voi fate una smorfia... No, mia piccola amica nemica: io non sono cynique... (Pronunziando con qualche difficoltà)  Scinìco. Mia prima moglie era uno fiore, uno fiore. (Si scalda, e poi si commuove nel ricordo.)  Mi è morta tra i bracci. Me l'hanno portata a casa con la testa sfra­cellata da una bomba. Laggiù a Mosca. (Fa il gesto.)  Falciata come un fiore di grano. Mi è morta senza sentire me che urlavo: « apri li occhi, mon amour! ». Quello è stato uno dolore. (Freddo)  Questa: le corna?  M'infischio.

MARIA           Ma perché l'avete sposata? Perché la te­nete? Con la memoria di quell'altra così diversa, così tenera, così appassionata! A che serve dunque essere state donne innamorate e devote, se non si riesce a lasciare nemmeno un ricordo?

IL BARONE    (interrompe)  Perché ho sposato? Per­ché non si vive di ricordo. (Con un sorriso un po' triste)  Perché io sono visioso. Questa donna mi ha piaciuto, mi ha dato alla testa. Essa non voleva sapere di me. Bisognava comperare o niente. Pren­dere o lasciare, come dite voi. Io ho preso. « Avete fatto male », dite voi. No. Non ho fatto male. Bi­sogna adattarsi alla vita tutti: dallo Czar al mugik. (Insinuante.)  Si voi amate qualcuno...

MARIA            Io?

IL BARONE    (lento)  No? (Breve silenzio.)  Ipote­si. Si voi amate qualcuno, ascoltate me: comperate. Siete ricca, comperate.

MARIA           Per essere ingannata più tardi? Per sof­frirne poi?

IL BARONE    (calmo, interrompendo)  Dopo. Voi sofferireste dopo. - Sentite uno vecchio amico: quando potete prendere, prendete. - E poi: voi sie­te giovane: voi potete battervi, non lasciare che altri metta la mano sullo vostro anello. Voi non siete (e fa un grazioso inchino)  uno vecchio sciam­bellano a riposo, come me. Ascoltate me: comperate.

MARIA           (melanconica)  E che volete ch'io compri? Non c'è nulla sul mercato. Per comprare bisogna che le cose siano in vendita.

IL BARONE    Non è necessario: si offre. Si dice: « Perché voi non vendete? Io compererei ». Quan­do siamo piccoli, tutti crediamo che anche sorelline e fratellini si comprano.

MARIA           Ma io non sono più piccola... Da un gran pezzo, caro Barone.

IL BARONE    Quando c'è convenienza si ritorna piccoli. Tutto si compera: anche, Dio mi perdoni, paradiso. Con elemosine, con buone azioni. Io ho comperato mia moglie, mia moglie ha comperato titolo di baronessa. Finché si compera si è vivi: quando spendono li altri, tutto finito.

LUCIETTA      (annunzia)  Il signor Frecci.

IL BARONE    (ha una piccola lancettata e fa una breve smorfia.)

MARIA           Che aspetti.

IL BARONE    (a Maria)  Si per me, fate pure passa­re. Io vado. (Si alza.)

MARIA           (a Lucietta)  Suonerò.

(Lucietta esce.)

IL BARONE    (a Maria con finezza)  Voi avete com­perato il quadro dello pittore Frecci. Io si fossi voi,  avrei comperato lo pittore.

MARIA           (pronta per troncare)  Buona sera, Barone. (Poi con dolcezza.)  Perdonatemi se vi ho dato un dolore. Quando ci rivedremo? Se volete proprio ch'io venga da voi, verrò.

IL BARONE    Buona sera, amica mia. (E si avvia. Quasi alla porta si volta.)  Datemi uno bacio. (Maria gli dà un bacio sulla guancia.)  Così. Anche l'altra parte. (Maria dà un altro bacio sull'altra guancia.)  Vedete? anche questi, comperati. Comperati con buono consiglio. Quello dello pittore. (Fa un in­chino ed esce.)

MARIA           (resta un minuto pensosa, incerta. Poi suo­na per far entrare Ettore.)

ETTORE         (serio, secco)  Buona sera.

MARIA           Buona sera, Ettore. (E poiché l'altro ta­ce.)  Da dove vieni, dimmi?

ETTORE         Torno di là... dal palazzo. E ho parlato con la Baronessa. E ho saputo. - Bene: molto bene! Ho tutte le ragioni per essere contento, di lei e di te. Mi hai mandato col Barone a giro per la casa per rendermi un bel servizio!

MARIA           Che cosa ti ha raccontato la Baronessa?

ETTORE         Il vostro colloquio 3i ieri; come si è svol­to e come si è chiuso. Mi ha riferito il vostro dialogo. Finissimo! E specialmente il tuo saggio consiglio: di lasciarmi in pace o in altri termini di piantarmi.  Neghi di aver detto così?

MARIA           Non nego. È un atto di accusa il tuo, lo sento dal tono. Continua.

ETTORE         Ti servo. Vorrei sapere di che sei andata a immischiarti, tu; perché ti sei intromessa fra me e lei. - L'avermi reso un servizio del quale vo­levo sdebitarmi subito - e ho insistito - ma tu non hai voluto - non basta per conferirti il diritto di dare pareri e consigli, di mostrarti tanto bene in­formata delle cose mie, e soprattutto di farmi ap­parire come un minorenne impigliato nelle reti di una esperta civetta... Un ragazzo, insomma, che è ricorso a te per aiuto.

MARIA           Hai finito? Non sei giusto, e non sei nem­meno bene informato. Ho parlato perché sono sta­ta provocata a parlare. La Baronessa di Krubelich - senti con quanto rispetto le dò il titolo nobiliare acquisito - la Baronessa di Krubelich ha mostrato di sapere che io sapevo... se no, non avrei parlato. Mi ha provocato, ieri. D'altronde tu eri in perico­lo, non passeggero, ma permanente, e ho cercato di giovarti una volta per sempre dicendo quello che pensavo, quello che appariva. La situazione classica, cioè vecchia, e frusta: l'artista e la dama... anzi l'artista povero e l'amante ricca. Tu sei un artista sulla buona strada ma non sei ancora ar­rivato, soggetto a tutta l'invidia di quelli che ti lasci indietro. - Non per il solo acquisto del quadro, ma per tutti i rapporti che corrono fra te e la Baronessa, i sospetti più ingiuriosi nascono e vi­vono; e vegetano. - Ho creduto di giovarti parlando e ho parlato.

ETTORE         Ma io non avevo chiesto il tuo intervento.

MARIA           Che importa? se io lo ritenevo utile! Su cento malati, appena dieci dicono al chirurgo: « Tagli ». Il chirurgo taglia senza chiedere, quando lo ritiene necessario. Taglia prima che venga la cancrena. In certi casi l'amico è il chirurgo, non desiderato ma necessario.

ETTORE         Ma occorre, per lo meno, che questa ne­cessità sia evidente, assoluta. . Sei l'amico. Ma an­che l'amico può essere indiscreto. E io mi doman­do quello che, sia pure senza dirtelo, certamente si è chiesto la Baronessa: perché, fra tanti amici, ti sei accesa, turbata, propriamente tu che sei un'amica.

MARIA           Me lo ha fatto capire, me lo ha detto. Non dubitare, tutto mi ha fatto capire. - Perché? perché gli altri amici tuoi si divertono con te, o al più ti ammirano, ti vezzeggiano, magari dietro le spal­le ti deridono o ti sospettano, ma non ti contra­stano - oh! è più comodo - e se possono, in quello che possono, ti sfruttano. - Tutta gente che non ti vuol bene.

ETTORE         Guarda un po'! Non ci sei che tu.

MARIA           Forse. Per lo meno gli altri non te ne vogliono quanto te ne voglio io.

ETTORE         Quanto o come? La questione è lì: si trat­ta di intensità o di maniera? Di quantità o di qualità?

MARIA           Che cosa vuoi dire? Si è cominciato: an­diamo in fondo.

ETTORE         Voglio dire che con la tua intromissione non hai mutato nulla: di quel che ti preme, nulla. La situazione è rimasta quella che era; ci siamo detti delle parole aspre al palazzo, ci siamo lasciati per oggi... torneremo insieme domani.

MARIA           Non importa. O per lo meno non basta a persuadermi di avere sbagliato. Io ho fatto quel che dovevo.

ETTORE         Già. E in più, grazie alla tua non richie­sta iniziativa, sono passato per ridicolo o per pet­tegolo. Sì, per pettegolo. Come se io, dopo averti informata, ti avessi dato l'incarico di parlare con lei! Per ottenere poi questo bel risultato! - Perché ti ho detto: voglia tu o no, quello che era rimane tale e quale.

MARIA           « Voglia tu o no ». Me lo dici come se fosse un dispetto per me, e non un castigo per te. - Nulla di cambiato? Affare tuo. . Sei nella mota e ti ci trovi bene? Ti piace di guazzare nel pantano? Di­vertiti, caro.

ETTORE         (quasi minaccioso)  Bada, veh, sei una donna ma ne abusi. Ti consiglio di tacere.

MARIA           (amara)  Ah, sì? - Non parlo più. Non parlo più. Io non pretendevo la tua riconoscenza; in ogni caso è troppo presto: hai ancora gli occhi bendati. - Ma non avrei supposto un'asprezza si­mile, una ostilità decisa e irritante come la tua - Va': ho sbagliato, riconosco che ho avuto torto. (Vibrante)  Ma in altro senso di quello che tu dici. Ho sbagliato nel giudicarti: tu non vali un centesimo più di tutti gli altri. E questo mi ad­dolora, questo mi pesa e mi brucia più che le tue parole irose, più che tutti i tuoi rimproveri da ragazzaccio.

(Silenzio. - I due si voltano le spalle. Maria riesce ad accendere rabbiosamente una si­garetta dopo aver gettato via due o tre cerini.)

ETTORE         (d'improvviso)    Che bestia!

MARIA           (si volta)    Dici a me?

ETTORE         No, dico a me. Che bestia! - Non potevo battere il cavallo? Ho battuto la sella. - Ho rancore con lei e me la prendo con te; sono debole con lei e con te faccio il prepotente... - Mi dichiaro in colpa. Facciamo la pace.

(Maria fuma zitta.) 

Vuoi che facciamo la pace?

MARIA           (a mezza bocca)  Figurati!

ETTORE         Figurati, non dice abbastanza. Devi di­re: sì, facciamola.

MARIA           (alza le spalle)     E poi...?

ETTORE         Poi niente. Niente e tutto: torniamo ami­ci come prima. (Silenzio.)  Ti va? Dammi la mano.

MARIA           (senza voltarsi gli stende la mano.)

ETTORE         Non puoi muoverti? Non ti vuoi voltare?

(Maria si alza, gli dà la mano cercando, sempre di nascondergli il viso.) 

Vedere gli occhi, se mi ser­bi rancore. Su... voglio vedere. Su la testa. (Qua­si a forza le alza il viso.) 1

***

Lacrimoni? Piangi? Per me? Ti sei sentita offesa? Oh, povera la mia Maria! (con dolcezza)  Eh, sì, Maria, perché io. se mai, ho offeso l'amico, ho offeso Mario, ma chi piange è Maria. - Mario è uomo e non sarebbe così su­scettivo, così sensibile. La lacrima, invece, è donna.

MARIA           (stizzosa)  E per questo me ne vergogno, e mi sforzavo di nascondere il viso.

ETTORE         Hai torto... Perché vergognarti? Chi pian­ge è Maria... e Maria non la conoscevo finora, si può dire. - Hai fatto tutto per nasconderti. Sei co­me una persona nuova per me. Di' la verità: sei gelosa? Sei stata gelosa? Tutte le amicizie sono gelose, come gli amori. Già le parole stesse - amicizia e amore . hanno il tema a comune: e come le parole anche i sentimenti: poi si dividono, quan­do si dividono, o poi si confondono. Vero, Maria? Tu mi vuoi bene, veramente bene, lo so, e io ho avuto torto, torto marcio a trattarti con asprezza. (Quasi scherzando.)  Mi pento, mi pento. Lascia che ti asciughi gli occhi per ammenda. - Senti... senti... ti chiedo scusa... Sono stato un brutto cat­tivo, vero? Uno zoticone che ha stretto troppo for­te una piccola bimba e le ha fatto male. Tanto male ti ho fatto... ma non credevo... non sapevo... non volevo... (Turbato, l'accarezza un poco.)

MARIA           No, lasciami... lasciami.

ETTORE         Ma perché piangi?

MARIA           Piango... perché ti perdi, perché ti sciupi l'ingegno, perché ti guasti il carattere.

ETTORE         Lo so. Non parliamone più. Vedrò di da­re uno strappo e liberarmi. Le altre volte non mi sono mai detto: « basta ». E soprattutto non ho mai veramente voluto finire... Ma stavolta vorrò. De­vo volere. Devo tornare seriamente e presto ai pennelli. - Ho una ragione di più. Ho da pagare un debito, un debito grosso, io: i tuoi seimila franchi.

MARIA           (amara)  Ti pesano tanto?

ETTORE         Quanto non puoi credere. Figurati se vo­glio dovere seimila franchi a una donna.

MARIA           Anche questo ti ha insinuato lei?!

ETTORE         Sì. Ed è giusto... ed è quello che mi fa più aspro, quasi feroce contro di me. Tu hai vo­luto comprare: ma poiché non eri stata tu a sce­gliere, io dovevo subito regalarti il quadro. Pri­ma. - Dicessero quel che volevano, sapevo di non essere in colpa. Invece, a questo modo, da una bassezza involontaria sono passato a una indelicatezza  volontaria. - Niente,  niente, mi  hai pre­stato i soldi. Il quadro te lo regalo.

MARIA           E io lo prendo... Ma a una condizione: una sola. Che sia un regalo di nozze. (Semplice ma decisa)  Sposami.

ETTORE          Che dici?

MARIA           Sposami.

ETTORE         No.

MARIA           Risposta pronta e chiara.

ETTORE         No, per un motivo che vale... un milione.

MARIA           Ho capito . Ma tu hai la tua arte.

ETTORE         E anche perché ti voglio bene... ma forse non ti amo.

MARIA           Eh! lo so. Sarebbe troppo bello. Se mi amassi mi avresti detto tu: sposami. Non te l'avrei detto io.

ETTORE         Che vuoi? Finora ti ho visto in altro mo­do... non ci ho pensato... hai vissuto come se non ci si dovesse nemmeno pensare. Per me eri l'ami­co, il compagno... eri un'altra cosa. Un momento fa ti vergognavi di piangere! E perché? Lasciati vedere, amare... così come sei, senza quella ma­schera che ti sei messa e che ti nascondeva. Non ti sapevo... non ti conoscevo.

MARIA           E nemmeno io mi sapevo, si può dire, fi­no a ieri. Io stessa mi domandavo tutta turbata: che è? che mi accade?... Ieri, quando siamo ri­masti soli noi due, io mi sentivo... (fa il segno co­me di un groppo alla gola)  e non volevo... non vo­levo... Ma non si può non volere... era più forte di me. - E una gran vergogna di farmi scorgere... Mi sentivo troppo vecchia e troppo bambina. Ero im­pacciata... era come se avessi una veste nuova... Perché?  perché questa  felicità  e questo struggimento? Questo piacere di sentirmi dolere? Que­sto desiderio di piangere e di finire con una gran­de risata?... un ridere che sapesse di pianto... non so più... non so più... Non so dire, ecco.                

ETTORE         Sì, che sai dire... Tante cose sai dire... anche quelle che non dici... E sei una piccola ma­ga. Mi sai levare di dosso dieci anni: i ricordi cat­tivi, le gioie torbide, le ansie dei sensi... La tua purezza fa puro anche me... Non mi sono mai sen­tito così giovane, così buono come adesso... Chi sa, forse inconsapevolmente io mi avvicinavo al­la crisi e mi affrettavo la liberazione... Sai quello che mi ha detto quell'altra?...

MARIA           Lascia stare, lascia stare.

ETTORE         No, te lo voglio dire: è bene che te lo dica. Dobbiamo dirci tutto oramai. L'altra mi ha detto, con la cattiva schiettezza dell'ira, che io ave­vo profittato della tua tenerezza per... Non è vero... Non sapevo... Ma se non avessi ricorso a te per aiuto, non sarei nemmeno venuto a conoscere!!! Chi sa... C'è una guida misteriosa che vi prende per mano e vi dirige alla felicità... Chi sa... Biso­gnava che io passassi traverso il male, il peccato per venire alla riva... - Piccolo, piccolo, piccolo grande bene che da tanto tempo m'eri presso e ti passavo davanti e per poco non ti calpestavo senza accorgermi, senza vederti...!

(Un breve silenzio.)

LA VOCE DI TOMIOTTI (dal basso)  Mariooo, Mariooo.

ETTORE         Non rispondere. Mario non c'è. Non c'è più. Non c'è più che Maria. La mia Maria. (Le get­ta le braccia al collo.)

F I N E

FINALE ORIGINARIO DI

MARIO E MARIA1

ETTORE         ...Lacrimoni? Piangi? Oh povera la mia Maria! ti sei sentita offesa?

(Maria scuote il capo in diniego, via a stento. Ettore, affettuoso) 

Ma offesa come? come Mario? - Eh sì: perché io, se mai, ho colpito l'amico... ma chi piange è Maria - Mario è uomo, e non sarebbe così sensibile... vero?

MARIA           È per questo che me ne vergogno, e mi sforzavo di nascondere il viso.

ETTORE         Ma hai torto, Maria! Vergognarti di cosa? Chi piange è Maria: la donna che riprende i suoi diritti. E combatte con le sue armi... - Via quelle la­crime! (Si avvicina, fa per asciugarle gli occhi.)

MARIA           (si schermisce)    Lasciami. Lasciami stare.

ETTORE         (sempre affettuoso, ma vagamente ironi­co)  Sei gelosa? Di' la verità: sei gelosa? (Attenua) 

O, almeno, sei stata gelosa. (E spiega, per atte­nuare ancora)  Tutte le amicizie sono gelose. Le amicizie e gli amori - Le parole stesse hanno il tema a comune: e, come le parole, i sentimenti. Poi si dividono... quando e se si dividono. Oppure si confondono: amore... amicizia... - Vero, Maria? (Sincero)  Tu mi vuoi bene, veramente bene, lo so, e io ho avuto torto, sì, ho sbagliato a trattarti con asprezza. (Quasi scherzando)  Mi pento, mi pento. Ti chiedo scusa, e mi prostro... Va bene così? - Ora basta, ora è finito tutto.

MARIA           (vibrata)  Eh no, eh no. Perché tu pensi... Lo so quello che pensi - te lo ha insinuato lei, la Baronessa - che io, qui, sono quella che perde, e non vuole rassegnarsi a perdere; che covo una passione infelice e piango perché ne sono la vitti­ma... E invece no: piango perché tu ti perdi, per­ché ti guasti il carattere, l'umore, perché sciupi il tuo ingegno, lo butti via.

ETTORE         (dopo un silenzio pensoso)  Chissà. Chis­sà che tu non abbia ragione. Dovrei dare uno strap­po e farla davvero finita, questa volta. (Con en­fasi un po' caricaturale)  Finita con le baronesse! Libertà, libertà! e tornare seriamente ai pennelli! Al lavoro! al lavoro! (Adesso è nuovamente spi­gliato.)  Tanto più che mi resta da saldare un de­bito, un debito molto grosso: i tuoi seimila franchi.

MARIA           (amara)    Ti pesano tanto?

ETTORE         (semplice)  Eh sì: figurati se voglio do­vere seimila franchi a una donna!

MARIA           Te lo ha suggerito la Baronessa anche questo?

ETTORE         Sì, ed è giusto. - Per liberarmi da un ob­bligo verso di lei, non sollecitato e non atteso, mi sono indebitato volontariamente con un'altra. Era meglio lasciare le cose come stavano - Insomma: non avrei dovuto chiederti, non avresti dovuto darmi nulla. E ora... (ma non prosegue.)

MARIA           (dopo un silenzio, esitante)  Vuoi liberarti dal tuo impegno? C'è un mezzo. Ma ce n'è uno solo: tu mi regali il quadro... come regalo di fidanza­mento. (Semplice, ma decisa)  Sposami.

ETTORE         Che dici?

MARIA           Sposami.

ETTORE         Io? no.

MARIA           (amara ma puntigliosa)  Risposta pronta e chiara.

ETTORE         No, per un motivo che vale... un milione: l'eredità della zia. - Tu sei ricca, io non ho nulla.

MARIA           (vibrante)  Ma hai la tua arte, e  la tua arte...

ETTORE         (interrompe)  E anche perché... perché ti voglio bene ma... ma non ti amo.

MARIA           Eh, lo so. Sarebbe troppo bello. Se mi amassi, mi avresti detto tu, sposami: non te lo avrei detto io. - Ma io non sono brutta, o almeno né brutta né bella... giovanissima no, ma nemmeno vecchia... - Insomma, se tu mi sposi, da qualcuno si direbbe che lo fai perché ho i denari... Ma non sarebbe inverosimile, non sarebbe impossibile che tu mi vuoi perché mi ami. O le due cose insieme: che male c'è? Possono anche intrecciarsi.

(Ettore vorrebbe intervenire. Maria lo ferma.) 

Zitto, zitto. Non è vero? Senti. Il tuo quadro, i tuoi quadri non mi bastano: voglio di più, voglio che tu lavori, voglio che tu mantenga le tue promesse d'arte, che già ti distinguono dagli altri, e come!... - Ve­derti salire, e io esserti vicina, tua moglie... aiu­tarti a salire... Credi a me, Ettore: io ti farei del bene. Se tu mi sposi... Non sono una sciocca e non sono troppo esigente... - E siamo pari, tra noi: tu per me lasci finalmente e per sempre la tua aman­te; io... io l'amore che ho avuto.

ETTORE         Tu?

MARIA           E perché no? Non mi credi capace? Ho amato anch'io. Prima di conoscerti. Ma era tanto povero, lui, ed ero povera anch'io, allora. E non abbiamo avuto coraggio. L'amavo, ma sono stata io a chiedergli di lasciarmi: io. . Per altruismo -credevo - per lasciarlo libero . dicevo - e invece no... per viltà, per paura... E quando l'ho capito, mi è parso troppo tardi, ormai. - Rincorrerlo? co­minciare da capo? no: mi sono chiusa in me stes­sa: in un rancore contro di me, melanconico e inutile. - Ecco: questo è tutto. E ti parrà sciocco, forse; ma, per uscirne, ci sei voluto tu, che venissi tu, che accadesse quello che è accaduto ieri... Ora mi sento forte, decisa - Ti amo, Ettore... e speravo tanto che tu, tu ti accorgessi...

ETTORE         (incerto, fra stupore e tenerezza)  Cara la mia Maria... e come avrei potuto? se finora tu sei stata... così diversa? - Eri l'amico, eri il compa­gno... eri un'altra cosa.

MARIA           (maliziosa e commossa insieme)  Sì, sì: ma adesso? Ora... mi preferisci?

LA VOCE DI TOMIOTTI (dal basso)  Mariooo! Mariooo!

ETTORE         (si è deciso: le mette una mano sulla boc­ca)  Non rispondere. Mario non c'è. Non c'è più. Non c'è più che Maria. La mia Maria. (E le getta le braccia al collo.)

F I N E

1 Da qui vedi anche il finale originario a pag. 48.

1 Si inserisce da  pag.  45, dopo ***.