Mattinate d’aprile

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MATTINATE D’APRILE

Commedia in quattro atti

Di ALESSANDRO DE STEFANI

PERSONAGGI

IRENE

LINDA

FORTU­NATA

ELENA

ANITA

FRANCESCA (tutte del par­tito «patrizio»)

ANDREINA

VITTORIA

EUGENIA

LUCIA

CARLA (tutte del partito «plebeo»).

LA DIRETTRICE

LA MAE­STRA DI PIANO

MARIANO

PIERO

SERGIO

TITTA,

messo comunale e guardiacaccia

IL FARMACISTA.

Un lampionaio che non parla.

Una cameriera che non parla.

I primi tre atti, nel 1907, in un paesetto di montagna; il quarto, in città, oggi.

ATTO PRIMO

(La scena rappre­senta la sala da stu­dio del collegio. Un grande pianoforte a coda; un altro pia­noforte verticale. Leggio per violini; un'arpa, violoncello, ecc. In fondo gran­dissima terrazza: at­traverso i vetri si ve­dono le grandi mon­tagne e gli alberi oramai fioriti della primavera, vicini. Sono le sei di sera: ma c'è ancora una diffusa luce di gior­no. Al pianoforte sie­dono un'allieva, Ire­ne, e la maestra di piano. L'allieva fa degli esercizi di mec­canica, mentre la maestra ogni tanto la interrompe. Irene avrà diciassette anni, e bionda, un pò esaltata, d'una sensualità romantica e puramente fantastica. In disparte, su un divano, poco discosto dal pianoforte a coda sul quale Irene studia, altre due allieve del corso di piano: Vittoria ed Eugenia. Vittoria è miope, ma abbastanza bella: sedici anni. Porta gli occhiali. Eugenia invece è brutta, sgraziata, spettinata, troppo alta, magra).

La Maestra                      - Daccapo. (Irene eseguisce).

Irene                                - Ha visto?

La Maestra                      - (un po' distratta, riscotendosi) Che cosa?

Irene                                - Ho sbagliato. Apposta. E lei non mi ha detto niente. (Eugenia scoppia a ridere).

La Maestra                      - (ad Eugenia) Che c'è da ridere?

Eugenia                           - Non ridevo.

La Maestra                      - (ad Irene) Non fare la sciocca. Andiamo. Credi che io mi diverta a ripetere sempre le stesse cose ed udire sempre queste scale?

Irene                                - Oh, per quello neanche noi, sa!

La Maestra                      - Ma è per il vostro bene. Il pianoforte può essere la risorsa per una ragazza. Non si sa mai quello che riserba l'avvenire.

Irene                                - Oh, mio padre è ricco.

La Maestra                      - Che vuol dire? Anche il mio era ricco: eppure se non avessi avuto il mio diploma...

Vittoria                            - (avvicinandosi) Sì? Com'è stato, signora?

La Maestra                      - Tu, torna al tuo posto. Su, da brava, Irene. Daccapo... (Irene riprende a fare le scale croma­tiche). Più alto il gomito. Quante volte lo devo ripetere?

Irene                                - (guarda intanto l'orologio) Oh! (e si ferma di botto nel proprio esercizio).

La Maestra                      - Che c'è?

Irene                                - Sono le sei e mezzo. Non vede?

La Maestra                      - (alzandosi) Va bene. (Sospira; si avvi­cina ad Eugenia e Vittoria. Ad Eugenia) Hai fatto il basso numerato?

Eugenia                           - (porgendo un quaderno) Ecco! (Intanto Irene s'è alzata e Vittoria ha preso il suo posto).

La Maestra                      - (dopo aver osservato il quaderno, mentre Vittoria comincia ad eseguire un « Notturno » di Chopin) No: ti ho detto tante volte...

Vittoria                            - E' così poetico!

La Maestra                      - Che significa? L'anno venturo potrai anche suonare Chopin. Ora accontentati di Czerni.

Vittoria                            - (smettendo di suonare) Czerni è meccanico.

'La Maestra                      - (restituendo il quaderno ad Eugenia) Va bene. (A Vittoria) Meccanico, che vuol dire? Intanto non è vero. E poi bisogna imparare la meccanica.

Vittoria                            - Io non so la metrica, eppure le mie poesie... (Irene scoppia a ridere). Che hai?

La Maestra                      - Mi raccomando... Ragazze!! Su, da brava, Vittoria, studia!

Vittoria                            - Ho la mano corta. Io che ci posso fare? Non riuscirò mai...

La Maestra                      - Che vuol dire?i Ci sono stati dei grandissimi pianisti che avevano la mano piccolissima.

Vittoria                            - (ad Eugenia) Hai visto? Che ti dicevo io?

La Maestra                      - Smettetela! (Vittoria comincia un eser­cizio di Czerni; la maestra guarda l'orologio) Per mezz'ora! Siamo intesi? (Esce. Vittoria continua un po', mentre Irene sorveglia dalla porta l'allontanarsi della maestra: quando s'è accorta che se n'è andata lontana a sufficienza, si volta verso Vittoria).

Irene                                - Non ti può sentire. (Vittoria smette di colpo). E perchè non ce le fai leggere le tue poesie?

Vittoria                            - Sono cose intime.

Irene                                - D'amore?

Vittoria                            - Se ti dico che sono intime.

Eugenia                           - Io, una l'ho letta.

Vittoria                            - Cosa? Bugiarda!

Eugenia                           - E invece l'ho letta. (Recitando) « Stamane i fiori - sbocciano per me - e sono i baci della pri­mavera... ».

Vittoria                            - Dove l'hai trovata? Sei andata a spiare nel mio armadio?

Eugenia                           - Io? Figurati se metto le mani tra la tua roba!

Vittoria                            - Ho visto che c'era disordine.

Eugenia                           -  Il tuo quaderno di matematica...

Vittoria                            - Be'?

Eugenia                           - Non mi hai prestato ieri il tuo quaderno? Dentro c'era la poesia!

Vittoria                            - Ah!

Irene                                - Mica male del resto: « E sono i baci della primavera »!

Vittoria                            - (a Irene) Non mi prendere in giro.

Irene                                - lo? Dico sul serio. Ti darò da leggere il mio romanzo.

Vittoria                            - L'hai finito?

Irene                                - Stanotte.

Vittoria                            - E' bello? Passionale?

Irene                                - Sì. Ma speravo di più. C'è poca voluttà.

Vittoria                            - Ah, poca...?

Irene                                - Io, almeno, non sono riuscita a trovarla. Nana sarebbe una donnaccia. Ma in fondo non fa poi niente di straordinario.

Vittoria                            - Dove l'hai nascosto?

Irene                                - Dentro la camicia da notte.

Vittoria                            - Che bellezza! Stanotte non chiuderò occhio.

Irene                                - Sta attenta. Hai la vista debole. E non dir niente ad Andreina.

Eugenia                           - Oh, glielo dico io.

Irene                                - Si capisce: se puoi fare un dispetto-..

Eugenia                           - Un dispetto? E' mio dovere. Vittoria non deve accettare niente da te, e tanto meno dei libri scan­dalosi.

Irene                                - Cos'è? Regolamento?

Eugenia                           - Tu sei di quelle altre! Allora le leggi che abbiamo fatto non servono a niente?

Vittoria                            - E' vero. Io sono tua nemica.

Irene                                - Come vuoi. Non ti do il mio romanzo.

Vittoria                            - Se lo sapevo mi mettevo nel tuo partito!

Eugenia                           - Non avresti potuto. Tu non sei nobile. Con Irene sono solo le patrizie!

Vittoria                            - E Fortunata allora perchè è tra le pa­trizie? Suo padre vende legname.

Irene                                - Noi siamo aristocratiche nello spirito. Voi siete per l'eguaglianza sociale.

Eugenia                           - Si capisce. Noi siamo l'avvenire, voi il passato. Mio papà lo dice sempre: c'è della gente ri­masta ancora a prima della rivoluzione francese. Ritar­datari. E anche Giolitti, quando parla con papà...

Irene                                - Ce l'hai detto cento volte. A noi che ce n'importa di Giolitti?

 Eugenia                          - (con molto disprezzo) Infelice! (Entra Linda: si avvicina ad Irene).

Linda                               - (piano) Ti devo parlare.

Irene                                - (ad Eugenia e Vittoria) Be', andatevene. Linda ha da parlarmi.

Eugenia                           - Sono segreti?

Irene                                - Si capisce. (Entra Elena mangiando un dolce).

Eugenia                           - Andiamo. (Vittoria un po' a malincuore si avvia. Eugenia le dice piano) Manderemo una spia nel campo avverso per sorvegliare... (Escono).

Irene                                - (a Linda) Che c’è?

Linda                               - Elena non deve...

Irene                                - E' del nostro partito: può sentire.

Linda                               - (esitante) No.

Elena                               - Perchè?

Linda                               - Perchè se ti danno un confetto racconti tutto.

Elena                               - Come esageri! Io racconto quello che voglio raccontare. Del resto non sono curiosa! Io, se vuoi, me ne vado.

'Linda                              - Esci in terrazza. Scusa, sai!

Elena                               - (piccata) Figurati!

Linda                               - E' una cosa che bisogna che Irene sola sappia. Lei è la nostra comandante.

Elena                               - Oh, sapete benissimo che non me la prendo! (Esce sulla terrazza lasciando aperta la vetrata).

Irene                                - Avanti, allora: racconta!

Linda                               - Irene, è una cosa grave.

Irene                                - Coraggio.

Linda                               - Devi promettermi il segreto.

Irene                                - Puoi fidarti di me. Mi conosci.

Linda                               - Per questo ho scelto te... Ma è terribile anche con te... Eppure ormai non c'è più tempo.

Irene                                - Ma, insomma, che c'è?... (Entra Anita, la più giovane di tutte, di corsa).

Anita                               - Irene, Irene!

Irene                                - Lasciami stare. Ora non ho tempo!

Anita                               - Quelle altre hanno un giornale.

Irene                                - Che giornale?

Anita                               - Non so. Un giornale: se lo stanno leggendo di nascosto.

Irene                                - Non importa. Ora vattene!

Anita                               - Linda, che hai? Hai pianto?

Linda                               - Perchè? No.

Elena                               - (dalla terrazza, affacciandosi) Anita, vieni: hanno dei segreti. Noi siamo escluse.

Anita                               - Se è così... (si avvia verso la terrazza).

Irene                                - (richiamandola)Ma non sai che ci sia d'in­teressante in quel giornale?

Anita                               - Sicuro che so. Ma non lo dico neanch'io.

Elena                               - Brava!

Anita                               - Parla del processo.

Irene                                - (interessata) Del processo? Con i particolari?

Anita                               - E che particolari! (corre via).

Linda                               - Davvero ho gli occhi sciupati? Si capisce che ho pianto?

Irene                                - Io non me n'ero accorta!

Linda                               - Hai uno specchio?

Irene                                - Non so. Che t'importa? Stanotte riposi e domani hai i tuoi begli occhioni di prima.

Linda                               - No.

Irene                                - Come, no?

Linda                               - Devono essere belli stasera.

Irene                                - Perchè? E' questo il segreto?

Linda                               - (fa un cenno affermativo del capo, poi come in un soffio) Io bisogna che esca.

Irene                                - Che esca come?

Linda                               - Di qui. Dal cancello. Fuori.

Irene                                - E dove vuoi andare?

Linda                               - E' venuto lui.

Irene                                - Quassù?

Linda                               - Sì. E' in paese. Vuole vedermi.

Irene                                - Dio! Dio! E come fai a saperlo?

Linda                               - Mi ha scritto.

Irene                                - Una lettera? Una lettera d'amore?

Linda                               - Sì.

Irene                                - E come hai fatto a riceverla?

Linda                               - E' scritta con linguaggio convenzionale: era­vamo rimasti d'accordo così. Sembra una lettera qua­lunque.

Irene                                - (un po' delusa) Allora non c'è nessuna frase appassionata?

Linda ì                             - Eh, no. Eccola (cava dal seno un foglietto)Cara nipote...». Fa finta d'essere uno zio, «Martedì sarò a Venezia... ». Venezia significa invece qui. « Non vedo l'ora di risalutare la mia cara città ». Città è la mia bocca.

Irene                                - - Davvero? Fa vedere. (Leggendo) «Risalutare la mia cara città ». Avrebbe dovuto dire « baciare ».

Linda                               - Baciare una città! Tutti avrebbero capito.

Irene                                - E poi? «Girerò nei dintorni di San Marco ».

Linda                               - Girerà nei dintorni del collegio. «Resterò forse sette od otto giorni lì ».

Irene                                - Resterà qui sette od otto giorni?

Linda                               - Ma no. Girerà nei paraggi del collegio tra le sette e le otto, stasera.

Irene                                - Emozionante!

Linda                               - (continuando a leggere) «Aspetterò che Gio­vanni mi venga a raggiungere, come ha promesso ».

Irene                                - Giovanni saresti tu.

Linda                               - Sì. « Studia e sorridi. Zio Felice ».

Irene                                - Sorridi?

Linda                               - Sorridi significa per noi «ti adoro».

Irene                                - Ti adoro? Proprio «adoro »?

Linda                               - Io non volevo.

Irene                                - Perchè?

Linda                               - E' una bestemmia: non si deve adorare che Dio. Ma lui è così prepotente... E poi non è tanto religioso.

Irene                                - Ti adoro! Sorridi! Io avrei scelto un'altra parola... E tu che vuoi fare ora?

Linda                               - Io bisogna che esca, che lo raggiunga.

Irene                                - Linda! Uscire? Proprio uscire dal cancello?

Linda                               - Sì. E' venuto per questo. E poi lo amo.

Irene                                - E vuoi rimaner quanto fuori?...

Linda                               - Non so: mezz'ora, un'ora. Occorre che tu m'aiuti. Capisci? Se no, non te n'avrei parlato. Ho rice­vuto altre lettere sue. Ma non ho mai detto niente.

Irene                                - E' un pezzo che lo ami?

Linda                               - Dall'estate scorsa. Dalle vacanze.

Irene                                - Com'è?

Linda                               - Alto. Sai, sembra un ufficiale di marina in borghese. Avrà venticinque anni.

Irene                                - Così giovane? Non mi piace.

Linda                               - Giovane? Ha otto anni più di me.

Irene                                - A me gli uomini piacciono più uomini. Qua-rant'anni.

Linda                               - Sono vecchi!

Irene                                - Non dire sciocchezze. Gli altri sono ragazzi. Ma non importa... E di': allora ti stringerà tra le braccia? '

Linda                               - Sì.

 

Irene                                - Tra mezz'ora... Tre quarti d'ora... Se riesci ad uscire...

(Durante questa scena dalla porta aperta della vetrata ha fatto spesso capolino Andreina, seguita da Eugenia: tentano di ascoltare quello che si dice qui. Si sono ac­corte che si leggeva una lettera).

Linda                               - Se riesco? Bisogna che ci vada. Morirei se non potessi andare.

Irene                                - Hai ragione. Lascia fare a me.

Linda                               - Irene!

Irene                                - Lo ami tanto?

Linda                               - Terribile! E ho i rimorsi. Sapessi! E' proprio peccato?

Irene                                - Vi siete baciati?

Linda                               - Qui, no. Laggiù. Qui non oserei mai, con don Tiburzio. Guai!

Irene                                - Vi sposerete, allora?

Linda                               - Certo.

Irene                                - Quando?

Linda                               - Presto. Io non posso aspettare. Già non riesco a studiare più. A pensare ad altro.

Irene                                - Porta il monocolo?

Linda                               - No. Perchè?

Irene i                              -. Io vorrei che portasse il monocolo. E' molto più distinto. Allora tra poco tu sarai tra le sue braccia... Ti stringerà a sé... Sentirai battere il suo cuore contro il tuo...

Linda                               - Non si sente. Non l'ho mai sentito.

Irene                                - Ti accarezzerà i capelli...

Linda                               - Irene, bisogna pensare a come sia possibile... Il cancello è chiuso a chiave.

Irene                                - Hai ragione. Ma c'è la porticina del giar­diniere.

Linda                               - E' chiusa anche quella.

Irene                                - Ma io so dove il giardiniere nasconde la chiave.

Linda                               - Irene!!

Irene                                - Ssst! Vieni con me: ora andiamo a fare un sopraluogo. Come si chiama?

Linda                               - Chi?

Irene                                - Lo zio Felice!

Linda                               - Piero.

Irene                                - E’ un nome banale. Il mio, invece, si chiama Dimitri.

Linda                               - Anche tu hai...?

Irene                                - Il mio non è vero: è di fantasia. Lo faccio io come voglio: lo cambio spesso. Se mi fa arrabbiare lo tradisco con un altro. Tu non lo tradisci mai il tuo Piero?

Linda                               - Gli ho giurato fedeltà fino alla morte.

Irene                                - (pensosa)             -. E' bello giurare... Ma è bello anche tradire. Dimitri allora mi picchia, diventa furioso.

Linda                               - Andiamo a vedere se troviamo la chiave...

Irene                                - Sì- E Piero non ti picchia mai? (Escono dalla terrazza. Subito dopo compare Andreina che dà degli ordini ad Eugenia a bassa voce).

Andreina                         - Tu, seguile: senza farti vedere. Pian piano. (Eugenia scompare dalla terrazza. Andreina viene in scena seguita da Fortunata, Vittoria, Lucia).

Vittoria                            - Che cosa sarà?

Andreina                         - Era vero; io lo immaginavo.

Fortunata                         - Che cosa?

Andreina                         -      - (Linda ha un amante. Lucia             - Come, un amante? Io non ho sentito niente.

Andreina                         - Ho sentito poco anch'io. Ma una frase l'ho sentita bene. Irene diceva: «Il mio invece si chiama Dimitri ».

Lucia                               - Allora è Irene che ha l'amante...

Andreina                         - Irene inventa sempre tutto. Avrà il solito cugino bocciato agli esami d'università. E lei se lo fa diventare Dimitri, aiutante di campo dello Zar! Ma Linda invece... Io l'avevo scoperta.

Lucia                               - Allora la lettera che stavano leggendo?

Vittoria                            - Stavano leggendo una lettera? Io non ho visto!

Andreina                         - i Silenzio. C'è Anita. (Ammutoliscono di colpo quando entra Anita).

Anita                               - Andreina?

Andreina                         - Che vuoi?

Anita                               -. Di quando è il giornale?

Andreina                         - Che giornale?

Anita                               - Dove c'è il processo d'America.

Andreina                         - E' recente. E' il « Corriere della Sera » di Milano.

Anita                               - Che vuoi per darmelo da leggere?

Andreina                         - Niente.

Anita                               - Non me lo dai?

Andreina                         - Perchè no? Ma è per te sola o per tutte le altre?

Anita                               - Per me.

Andreina                         - Allora lo leggi qua, in faccia a noi.

Anita                               - Sì.

Andreina                         - Lucia, fa un po' attenzione... (Lucia va a far da palo sulla porta: e allora Andreina prende un quaderno di scuola che aveva sotto il braccio, ne scosta la copertura di carta, e cava fuori dì lì il ritaglio di gior­nale. Lo dà religiosamente ad Anita). In compenso dimmi quello che sai su Linda.

Anita                               - (esitando a prendere il giornale) Non faccio la spia, io! E poi non so niente.

Andreina                         - (con un soffio) Linda è innamorata.

Anita                               - Siamo tutte innamorate.

Andreina                         - Ma lei di un uomo vero.

Anita                               - (col giornale in mano) Proprio? Chi sarebbe? Il dottore?

Andreina                         - Ma che! C-li scrive. Imposta.

Anita                               - E' in Asia?

Andreina                         - Come, in Asia? Perchè?

Anita                               - Niente. Non so. Io vorrei che il mio inna­morato fosse in Asia.

Andreina                         - Leggi presto, se vuoi leggere. E poi ri­dammelo.

Anita                               - (leggendo) « White l'aveva corrotta assicuran­dola che a sedici anni tutte le ragazze... » (s'interrompe) Oh!

Lucia                               - (dalla porta) La direttrice! (Andreina prende il giornale e lo mette via in fretta e furia dentro il libro. Entra la direttrice).

|La Direttrice                   - La vetrata aperta? Non fa ancora ab­bastanza caldo, mi pare!

Lucia                               - E' già primavera, signora direttrice. Gli alberi fioriscono tutti.

Andreina                         - Quando andiamo a fare l'escursione? Ce l'ha promessa!

La Direttrice                    - Vedremo!

Andreina                         - No, non dica vedremo! Fissi un giorno. Facciamo colazione nel bosco.

Lucia                               - Sì, sì. Io voglio cogliere le stelle alpine.

La Direttrice                    - Va bene. Se sarà possibile, dopodo­mani...

Lucia                               - Che brava! Grazie, signora direttrice. A che ora andiamo via?

La Direttrice                    - Non è ancora detto.

Lucia                               - Sì, sì: è detto. Andiamo al Piccolo Paradiso?

La Direttrice                    - Mica fino in cima, però.

Lucia                               - Perchè? Di lassù c'è una vista che dicono stu­penda!

La Direttrice                    - Avete visto che ci siano delle com­pagne nel parco?

Andreina                         - Non saprei.

(La direttrice esce dalla terrazza e scompare nel parco).

Anita                               - (che è rimasta colpitissima di quel che lui letto sul giornale) E' vero che a sedici anni tutte le ra­gazze sono corrotte?

Andreina                         - In America.

Lucia                               - Esagerazioni! (Lo fanno per difendere l'as­sassino...

Andreina                         - (a Lucia) Tu lo assolveresti o lo condan­neresti quel marito?

Lucia                               - Non mi domandare. Te l'ho detto: non bi­sogna mai uccidere.

Andreina                         - Neanche per amore?

Lucia                               - Dicono anche che sia pazzo, quel marito.

Anita                               - (ritornando alla propria idea) > Ma che cosa vuol dire con esattezza: « corrotte »?

Fortunata                         - Che rubano, che non si lavano... (Le altre ridono).

Vittoria                            - Che ha cento amanti, che si fa baciare da tutti: ecco che cos'è la corruzione. Evelina Nesbit era talmente bella, del resto, che si capisce. Tutti la ten­tavano.

Lucia                               - > Avrebbe dovuto resistere.

Andreina                         - L'avranno ubbriacata. M'han detto che in America le donne si ubbriacano molto. (Eugenia rientra di corsa: tutte le vanno incontro).

Eugenia                           - (senza fiato: ha corso) E' uscita.

Andreina                         - Uscita? (Tutte rimangono ammutolite dallo stupore per l'enormità della cosa).

Vittoria                            - Linda? (Eugenia fa cenno di sì).

Andreina                         - Sola?

Vittoria                            - Sì. Dalla porta del giardiniere.

Anita                               - Dove può essere andata?

Andreina                         - Sta zitta.

Lucia                               - Bisogna avvertire...

Andreina                         - Perchè? Irene era con lei?

Eugenia                           - Sì: ma Irene è rimasta di qua.

Andreina                         - Come hanno fatto ad avere la chiave?

Eugenia                           - Era nascosta vicino al tabernacolo della Madonna! L'hanno presa lì. Linda s'è inginocchiata, ha pregato...

Andreina                         -...che non la scoprissero.

Fortunata                         - E' corrotta!

Andreina                         - Sta zitta. (Rimangono tutte perplesse, in silenzio: rientra la direttrice con Elena).

Elena                               - (alla direttrice) Non facevo niente di male. Gironzolavo così.

La Direttrice                    - A quest'ora non si gironzola più. (La direttrice chiude la vetrata). Ragazze, mi hanno detto che tra di voi circolano di nascosto dei romanzi. Voglio spe­rare che non sia vero.

Andreina                         - Chi gliel'ha detto?

La Direttrice                    - Avete una bella biblioteca di libri sani, a vostra disposizione. Non avete bisogno di leggere altro, alla vostra età.

Vittoria                            - Io, la biblioteca l'ho letta tutta.

Anita                               - Son libri noiosi.

La Direttrice                    - Badate, che se scopro che abbiate davvero dei libri che non vanno, sarò costretta ad in­fliggere delle gravi punizioni e ad avvertire le famiglie. Allora, chi di voi sa qualcosa?

Andreina                         -Io, niente.

Vittoria                            - Niente.

Tutte                                - Niente. Niente.

La Direttrice                    - Se non altro mi compiaccio col vostro spirito di solidarietà. Leggere dei romanzi è 'brutto, ma fare la spia è peggio. (Esce).

Elena                               - E' stata quel serpente della maestra di gin­nastica a dirglielo. Ora, nel parco.

Andreina                         - Dopodomani, durante l'escursione, ci ven­dichiamo. Ci penso io. Che ora è?

Elena                               - Le sette e un quarto.

Andreina                         - Se non c'è all'appello, la scoprono.

Lucia                               - Che vuoi fare?

Fortunata                         - Avvertiamo la direttrice...

Andreina                         - Guai a voi. Tradire una compagna è ver­gognoso.

Fortunata                         - Ma è delle nemiche!

Andreina                         - E' una compagna lo stesso. (Ad Elena, con autorità) A te che hanno detto?

ElenA                              - Se sono tua sorella, non è una ragione. Io sono con quelle altre.

Andreina                         - Avanti, presto. Non fare la scema.

Elena                               - E poi non m'hanno detto niente. Che è suc­cesso? (Dietro la vetrata chiusa compare Irene, batte ai vetri).

Andreina                         - Eccola qui. Nessuno apra bocca. Parlo io. Apri, Anita. (Anita si precipita, ad aprire la vetrata. Irene entra: tutte la squadrano con curiosità e stupore. Essa attraversa la scena come per andarsene).

Irene                                - Elena, vieni con me.

Andreina                         - Aspetta.

Irene                                - Che c'è?

Andreina                         - La direttrice ha saputo che circolano dei romanzi.

Irene                                - Chi ha fatto la spia?

Lucia                               - Non siamo state noi.

Elena                               - E' stata la maestra di ginnastica.

Andreina                         - Sappiamo benissimo che i romanzi sono tuoi.

Irene                                - E allora?

Andreina                         - La direttrice ora ci ha interrogate, appunto per sapere.

Irene                                - E voi avete detto...?

Andreina                         - Niente. Abbiamo taciuto.

Irene                                - Grazie.

Andreina                         - Come vedi, le plebee sanno anche essere nobili, di cuore.

Irene                                - Va bene. Vi ho ringraziate.

Andreina                         - Non basta. Vogliamo sapere dov'è andata la Linda...

Irene                                - (scattando) Come? Cosa?

Andreina                         - L'abbiamo vista uscire.

Irene                                - Non è vero.

Andreina                         - L'hai accompagnata tu. E' una cosa d'una gravità...

Irene                                - (impetuosa) Voi, comunque, dovete fingere d'ignorarlo. Qui non ci sono più partiti. C'è. solo una compagna da difendere.

Andreina                         - E chi ti dice che non la vogliamo difen­dere? Ma vogliamo anche sapere.

 

Irene                                - Se l'avete vista... Sì: è uscita. Tra poco rien­trerà. Ha dovuto...

Andreina                         - (avvicinandosi con le altre compagne vici­no) Se la scoprono, può anche essere espulsa.

Irene                                - Lo so. E appunto per questo...

Lucia                               - Non gliel'hai detto?

Irene                                - Sì: ma non era possibile fare altrimenti. E' arrivato suo fratello.

Fortunata                         - I fratelli possono venire qui, in parla­torio.

Andreina                         - Linda non ha fratelli. E' figlia unica. Per­chè vuoi mentire con noi? Bada: patti chiari. Se vuoi che la proteggiamo, tutte, vogliamo sapere.

Vittoria                            - Sì, sì: vogliamo sapere.

Irene                                - No: è un segreto. Non lo posso rivelare.

Andreina                         - Un uomo? C'è un uomo?

Irene                                - Io non vi ho detto niente.

Vittoria                            - Si capisce che c'è un uomo. Solo per amore si fa un'enormità simile!

Anita                               - Un uomo? E' andata a raggiungere...?

Andreina                         - Sta zitta.

Fortunata                         - Suo zio è monsignore! (e scoppia a ri­dere).

Andreina                         - Smettila! (Ad Irene) Tu lo conosci?

Irene                                - Io, no. So solo che è giovane.

Vittoria                            - Quanti anni ha? E' ufficiale?

Irene                                - Perchè ufficiale?

Vittoria                            - Così. Dio! Questo è il romanzo vero... (Tutte ora sono frementi, vicino ad Irene).

Anita                               - Racconta, racconta.

Irene                                - Non c'è niente da raccontare.

Andreina                         - Quando rientra?

Irene                                - Ora. Subito. Tra poco. Gliel'ho raccoman­dato.

Vittoria                            - Allora non passa la notte con lui?

Irene                                - Ma Vittoria...!

Vittoria                            - Io passerei la notte...

Andreina                         - E' quello che le scriveva?

Lucia                               - E' uno del paese?

Eugenia                           - L'ha incontrato durante le passeggiate?

Irene                                - No, no. E' un fidanzato. Non c'è niente di male. E' venuto quassù: lei l'ha saputo. Ha voluto ve­derlo. E siccome non avrebbero permesso, qui...

Andreina                         - Fidanzata? Se fosse fidanzata ce l'avrebbe detto...

Irene                                - Si sposeranno: quindi sono fidanzati.

Vittoria                            - In segreto? Magnifico. E' la famiglia di lei che non vuole?

Irene                                - Non lo so.

Vittoria                            - Chissà come la sta stringendo, in questo momento!

Fortunata                         - Si baceranno?

Andreina                         - Ma certo che si baceranno! Se no, per­chè sarebbe andata a raggiungerlo?

Eugenia                           - Baci... (Tutte rimangono sognanti).

Anita                               - (piano a Vittoria) Tu sei mai stata baciata?

Vittoria                            - Oh, sì.

Anita                               - Proprio sulla bocca?

Vittoria                            - Ma non di sera. Così, di sera, dev'essere terribile!

Andreina                         - (lentamente ad Irene) Sono molto inna­morati?

Irene                                - Certo.

Andreina                         - > Come fa a rientrare? E' rimasta aperta la porticina?


Irene                                - No. S'è presa la chiave.

Andreina                         - E come sapeva che lui era di fuori...?

Irene                                - Ha fischiato.

Eugenia                           - Sì: ho udito anch'io il fischio.

Elena                               - Le avrà portato dei dolci.

Vittoria                            - Scema!

Lucia                               - Allora si stanno baciando...

Andreina                         - (come un soffio) Sì. (Pausa di tutte). Si stanno baciando...

Elena                               - (ad Andreina) Che hai? Ti senti male?

Andreina                         - No, no. Niente!

Irene                                - Che ti senti?

Andreina                         - Niente... E' passato. Com'è? Dimmi, com'è?

Irene                                - Cosa?

Andreina                         - Lui. L'uomo che l'aspettava.

Irene                                - Non lo so. Non m'ha detto nulla.

Andreina                         - Impossibile. Bisogna che sappiamo.

Vittoria                            - Altro che Nana o i processi stampati sui giornali. Lei vive la sua passione...

Lucia                               - Chi l'avrebbe detto? Così devota!

Eugenia:                          - Parlava poco.

Andreina                         - Pensava a lui.

Vittoria                            - Com'è bello essere innamorate! E che uno venga a trovarti fin quassù...

Fortunata                         - Che ne sai tu?

Vittoria                            - Lo immagino. Mi metto al posto di Linda.

Anita                               - Vorresti esserci?

Vittoria                            - Magari!

Anita                               - Ma se non sai nemmeno come sia quel gio­vane...?

Vittoria                            - Non importa. Basta che abbia dei bei denti.

Eugenia                           - Elegante, che sia elegante!

Lucia                               - Intelligente.

Anita                               - Che abbia viaggiato, molto viaggiato.

Irene                                - Dev'essere così voluttuoso...

Andreina                         - (con un brivido) Taci! (Entra la maestra di pianoforte).

La Maestra                      - Che fate con questo buio? (Va ad ac­cendere la lampada a petrolio centrale). Beh, che c'è?

Andreina                         - (come colta in fallo) Niente, signora maestra.

Tutte                                - (con esagerata prontezza e turbatissime) Niente...

La Maestra                      - Andiamo: si va a pranzo. Stasera sto io con voi. (Irene guarda ansiosa verso la vetrata).

Andreina                         - (piano ad Irene) Resti tu, per Linda?

Irene                                - Aspetta. (Forte) Signora maestra, Linda aveva un po' di mal di testa. La prega di scusarla. Non mangia. E' salita di sopra a riposare.

La Maestra                      - Che ha?

Irene                                - Oh, niente: non si preoccupi.

La Maestra                      - Vado su a vedere.

Irene                                - Non occorre. Ha detto che la lasciassimo tranquilla.

La Maestra                      - Vado a trovarla. Aspettatemi qui: torno subito.

Andreina                         - Ma no, creda... (La maestra è già uscita: tutte le ragazze restano costernate).

Lucia                               - E ora, come si fa?

Irene                                - Guardate fuori se torna... Che faccia presto...

Anita                               - Dio! Dio! Che momenti... (Eugenia e For­tunata vanno sulla terrazza a spiare nella notte, se ve­dano rientrare Linda).

 

Andreina                         - Che diciamo ora alla maestra?

Irene                                - Bisogna guadagnar tempo. Non può tar­dare. M'aveva promesso...

Andreina                         - E se una andasse fuori a chiamarla, ad avvertirla? Non sarà lontana.

Irene                                - Chi vuoi che vada?

Vittoria                            - Io.

Irene                                - Non ci vedi! Bel campione...

Lucia                               - Se volete che vada io...

Irene                                - Te la senti?

Lucia                               - Sì, - sì, se si tratta di salvarla.

Andreina                         - Allora corri.

Irene                                - Non è possibile. Ha lei la chiave. Ha chiuso e l'ha portata con sé.

Anita                               - E allora che si fa? Che s'inventa?

La Maestra                      - (ricomparendo) Non c'è, di sopra.

Irene                                - Come, mi aveva detto... Credevo proprio...

Andreina                         - Sì: avevo sentito anch'io che aveva mal di testa.

Elena                               - Forse sarà discesa nel parco.

La Maestra                      - E' proibito. Con questo buio. E voi che fate lì fuori?

Eugenia                           - (rientrando) Niente. Guardavamo...

Irene                                - Ora ricordo: sì, sì, è discesa nel parco. Tor­nerà subito.

La Maestra                      - Sempre fare di testa sua!

Andreina                         - Vuole che andiamo a cercarla? A chia­marla?

La Maestra                      - Andiamo insieme.

Vittoria                            - (sulla terrazza, chiamando) Linda!

La Maestra                      - Ssst! Se poi la direttrice sente, la mette in castigo. Venite pian piano. Siete sicure che sia andata nel parco?

Irene                                - Sì, sì: magari nascosta. Ma è lì. (La maestra esce dalla terrazza seguita da tutte le ragazze. La scena rimane vuota un istante, poi dal fondo ricompare Lucia che si guarda attorno, come per cercare se la fuggitiva sia rientrata. E' raggiunta da Vittoria).

Vittoria                            - Ah, sei tu? Avevo visto un'ombra rien­trare... Credevo fosse lei.

Lucia                               - No. Che succederà, ora?

Vittoria                            - Toccami il polso: sono gelata.

Lucia                               - Avvertiranno suo padre. Chissà che scan­dalo!

Vittoria                            - Magari la maestra la scopre proprio quando rientra...

Fortunata                         - (ricomparendo dal fondo) E' venuta?

Lucia                               - No.

Fortunata                         - Irene conduce la maestra dall'altra parte per darle via libera. Avvertiteci se torna      (e scompare dal fondo).

Lucia                               - Cosa le è venuto in mente?

Vittoria i                          - Ha fatto bene! Come si può ragionare quando c'è l'amore?

Lucia                               - Esaltata! (Entra la direttrice dalla porta che dà nell'interno).

La Direttrice                    - Ragazze, ma non venite a mangiare?

Lucia                               - Sì, veniamo, veniamo.

La Direttrice                    - E le altre dove sono?

Vittoria                            - Sono andate... Vengono subito... Ora le chiamiamo.

La Direttrice                    - (vedendo la vetrata aperta) Ancora nel parco?

Lucia -                             - Non sono sole, signora direttrice. C'è la maestra di piano con loro.

La Direttrice                    - Che sono andate a fare?

Vittoria                            - Una aveva perduto un fazzoletto... E allora...

La Direttrice                    - E voi naturalmente avete approfit­tato per sparpagliarvi subito...

Lucia                               - Noi, no. Siamo rimaste qui. (Dalla vetrata compare di corsa Elena: fa per dire qualcosa. Vede la direttrice: si ferma e tenta di riscappare via).

La Direttrice                    - Dove vai? Vieni qui. Non ti muo­vere.

Elena                               - Nossignora.

La Direttrice                    - Dove sono le altre?

Elena                               - Sono giù.

Vittoria                            - Cercano il fazzoletto... Il fazzoletto per­duto...

Elena                               - Non l'hanno trovato.

La Direttrice                    - (andando sulla terrazza) Signora Palazzi! Signora Palazzi!

Lucia                               - (piano) Ora ci va di mezzo anche la povera maestra!

La Direttrice                    - Vado io! Se questo è il modo di rispettare il regolamento...

Vittoria                            - Vuole che veniamo anche noi?

La Direttrice                    - Non vi muovete! (Esce nel parco chiamando) Signora Palazzi!

Elena                               - Un fazzoletto! Potevi trovare di meglio...

Vittoria                            - Lì per lì ho detto quello che m'è venuto in mente.

Elena                               - Una spilla. Una cosa di valore.

Vittoria                            - Sì, al buio! In un parco!!

Lucia                               - (che è andata a guardare sulla terrazza) Ssst! C'è qualcuno... Linda!

Anita                               - No. Sono io!

Lucia                               - Ora c'è anche la direttrice in allarme.

Anita                               - Ho paura che la maestra sospetti di qualche cosa. Irene ha tentato di tutto per tenerla lontana dalla porticina del giardiniere e la maestra ha finito con lo stupirsi. Ha voluto andare da quella parte.

Vittoria                            - Se scoppia lo scandalo, si sposeranno subito.

Anita                               - Io sono andata fino al cancello grande a guardare dalle sbarre se la vedevo, per avvertirla. Non c'era nessuno.

Vittoria                            - Che sia fuggita con lui?

Lucia                               - Non dire sciocchezze! (D'improvviso dal fondo, tremante, ricompare Linda).

Anita                               - Linda!

Lucia                               - Presto, presto... Ti stanno cercando...

Linda                               - Dove?

Lucia                               - Sono nel parco. La maestra di piano. La direttrice. Irene ci ha detto... Non aver paura. Non si saprà niente.

Linda                               - (che trattiene a fatica i singhiozzi) Non m'importa... Non m'importa più nulla... (Cade a sedere e si nasconde il viso tra le mani).

Lucia                               - Che c'è? Che hai?

Vittoria                            - (ad Anita) Va a dire ad Andreina che è tornata. Ma sta attenta di non farti pescare...

Anita                               - Ci vuol altro (e corre via dal fondo).

Vittoria                            - (a Linda) Che hai? Non ti ama più?

Lucia                               - L'importante è che tu sia rientrata.

Vittoria                            - Coraggio, ora. Bada che abbiamo detto che avevi mal di testa.

Linda                               - (scoppiando a piangere) Dio! Dio! Voglio morire!

Vittoria                            - Perchè ti ha sedotta e ora ti pianta?

Lucia                               - Vittoria, non dir sempre delle idiozie!

Vittoria                            - Non piangere, intanto. Se no, ti vedono gli occhi. Capiscono tutto!

Linda                               - T'ho detto che non m'importa più.

Lucia                               - Taci. Son qui tutte. (Rientra prima Irene, di corsa: vede Linda, respira di sollievo).

Irene                                - (rapidissima) Meno male. Ora ti raccomando. Di' una cosa qualunque. Che eri dalla parte della pic­cionaia. Lì non siamo andate. (Dalla terrazza rientrano la maestra di piano, la direttrice e tutte le altre ragazze).

La Direttrice                    - (alla maestra) Se è lei che dà il cattivo esempio...

La Maestra                      - Ero preoccupata. Non si trovava più la Magrini. E le altre avevano un così curioso modo di rispondere, pieno di contraddizioni... (A Linda) Dove ti eri cacciata?

Linda                               - Mi scusi...

Vittoria                            - Dalla parte della piccionaia...

La Direttrice                    - Resterai a casa, durante l'escursione. Ecco! E voi tutte, statemi bene a sentire: se fate un'altra volta una infrazione al regolamento, sarò costretta...

Irene                                - Lei è tanto buona, signora direttrice... Sa­pesse come le vogliamo bene!

La Direttrice                    - Non è una ragione. Se mi voleste bene davvero non mi fareste arrabbiare.

La Maestra                      - Ora andiamo. Le altre sono già in re­fettorio. C'è il dolce con le castagne, stasera. Presto!

Elena                               - Davvero! (La direttrice e la maestra escono verso l'interno seguite da Elena e Fortunata: le altre invece si precipitano impazienti, avide, su Linda).

Eugenia                           - Parla. Che è successo?

Anita                               - Che t'ha detto?

Vittoria                            - Quanti baci t'ha dato?

Linda                               - (indignata) Irene, perchè m'hai tradita?

Irene                                - Ti avevano vista uscire. E' stato per forza che ho dovuto dire...

Andreina                         - Non aver paura. Ti aiuteremo.

Irene                                - Sono state tutte generose. Devi ringraziarle!

Andreina                         - Non importa. Racconta, invece. Vogliamo sapere.

Linda                               - No. Non dico niente.

Vittoria                            - Sei dispettosa!

Eugenia                           - Io t'ho fatto copiare il teorema d'algebra.

Andreina                         - Per te abbiamo dimenticato le nostre lotte. Ci siamo unite.

Anita                               - Porta i baffi?

Vittoria                            - Ha dei bei denti?

Linda                               - Non mi tormentate!

Vittoria                            - Ma perchè? Io, se fossi stata baciata, sento che mi metterei a cantare! Canterei tutta la notte!

Lucia                               - Ci mancherebbe altro!

Vittoria                            - Farei almeno dieci poesie, subito!

Irene                                - Non esser triste. Non ti ama?

Andreina                         - Non ti ama più? (Linda fa cenno di no, mestamente, col capo).

Anita                               - Che vigliacco!

Vittoria                            - Avrà incontrato un'altra donna. Magari sposata!

Eugenia                           - Una Evelina Nesbit!

Irene                                - E te l'ha detto?

Linda                               - Ma no! Mi ama.

Andreina                         - E allora?

Vittoria                            - Il resto che cosa conta? Basta che ti ami.

Eugenia                           - Se non vi potete sposare, farete l'amore libero!

Andreina                         - Allora ti ha baciata?

Linda                               - Sì. (Tutte ammutoliscono e guardano Linda con rispetto, ammirazione, invidia).

Andreina                         - (piano, religiosamente quasi) Tanto?

Linda                               - Sì.

Irene                                - Ti ha stretta tra le braccia?

Linda                               - Sì.

Vittoria                            - Forte?

Linda                               - Sì.

Vittoria                            - Dio! Che voluttà!

Lucia                               - Sta zitta! Non nominare sempre Dio! E poi tu che c'entri?

La Maestra                      - (di là) Ragazze, insomma, venite sì o no?

Eugenia                           - Veniamo, veniamo subito!

Irene                                - (a Linda) E allora che è successo? Perchè hai pianto?

Lucia                               - Ce lo racconterai stanotte: ora andiamo di là a mangiare.

Linda                               - Non potrei mangiare.

Vittoria                            - Neanch'io. Con tutti quei baci sulla bocca. Sarebbe una profanazione! mi voleste

Irene                                - Bisogna farsi forza.

Andreina                         - No: che aspettino di là. Non importa. (Tocca le braccia di Linda come per trovare l'impronta dell'uomo) Cosa ti ha detto? Che parole? Come te le diceva? Piano? All'orecchio?

Vittoria                            - Aveva le labbra che sanno di fumo? Io adoro le labbra che sanno di fumo! Di sigaretta!

Linda                               - Mi ha detto... Mi ha detto...

Irene                                - Che ti ha detto?

Linda                               - (prorompendo nuovamente in lacrime) Che va in America!

Eugenia                           - In America?

Lucia                               - Perchè?

Irene                                - Come mai? Anita            - Ha ragione. Bisogna viaggiare!

Vittoria                            - Se ti ama non deve partire.

Irene                                - Per quanto tempo?

Linda                               - Non lo so. Anni. Ha un buon posto.

Lucia                               - Tornerà per sposarti!

Linda                               - Chissà quando! E' finita! E' finita!

Irene                                - Ma no. Se ti ama davvero...

Vittoria                            - Se parte non ti ama. Si sacrifica l'avve-nire, il dovere, la salute, tutto all'amore.

Linda                               - Come, non mi ama? E' venuto fin quassù per trovarmi!

Irene                                - E parte ora per l'America?

Linda                               - Tra poco. Il mese venturo.

Andreina                         - E non vi rivedrete più?

Linda                               - Sì: domani sera. Rimane qui in paese per questo.

Vittoria                            - E perchè non ti porta in America con sé? Fuggite...

Lucia                               - Vittoria!

Vittoria                            - Soli, soli, sull'oceano.

Linda                               - Ora sta passeggiando fuori della cinta... Spera di potermi rivedere alla finestra della mia ca­mera. (A Vittoria) Vedi come mi ama!

La Maestra                      - (di dentro) Ma che fate, stasera?

Linda                               - E io gli ho promesso...

Irene                                - Che gli hai promesso?

(

Linda                               - Che aspettasse lì... Se avessi potuto avrei eseguito per lui l'«Ideale» di Tosti col mio violino. Gli piace tanto. Se c'è silenzio, di fuori si sente.

La Maestra                      - (comparendo) Volete proprio farmi arrabbiare sul serio?

Eugenia                           - Ma no. Che dice?

La Maestra                      - Che facevate?

Irene                                - Niente...

La Maestra                      - Su: andiamo. (Guardando Linda) Che c'è? Hai pianto?

Linda                               - No, no.

La Maestra                      - (alle altre) Ha pianto.

Tutte                                - No. No.

La Maestra                      - (affettuosa, a Linda) Andiamo: oramai siete bambine grandi. Non si piange più. Venite. An­dreina, abbassa la lampada. (La maestra esce con tutte le allieve, meno Andreina che si avvicina alla lampada, l'abbassa. Poi, furtiva, va a una custodia di violino: toglie lo strumento. Si avvicina alla vetrata. La apre. E rivolgendo il suono verso la notte e verso Z'« ignoto » che nella notte è in ascolto e in attesa, comincia ad ese­guire, con passione, Va. Ideale » di Tosti. Cala lenta­mente il sipario).

Fine del primo atto

ATTO SECONDO

(La scena rappresenta un piccolo ripiano della mon­tagna: alberi non alti, il gorgoglio di una piccola fonte, grossi macigni, e dietro il gran cielo e il panorama delle vette ancora candide di neve. Dapprima la scena è vuota: poi entra Mariano, giovane tra i venticinque e trenta, giacca di fustagno. Si guarda attorno, va al ru­scelletto, s'inginocchia e beve. Entra Titta, fucile a tra­colla, giacca verde. Si ferma a guardare l'altro. Titta potrà avere cinquantanni: gran baffoni, cappello verde, con una piumetta di pernice sopra. Mariano, per bere, avrà posato accanto a uno dei macigni il proprio fucile a doppietta).

Titta                                 - Bella giornata, eh?

Mariano                           - Oh, Titta! Quassù?

Titta                                 - (indicando il fucile di Mariano) Se l'avessi saputo, avrei scelto un'altra direzione. Occhio non vede, multa non viene.

Mariano                           - (ridendo) Guarda! (Apre il fucile) Sca­rico. Nessuna cattiva intenzione.

Titta                                 - Infatti sarebbe un po' prestino, aprile. Che te lo porti allora? Per decorazione?

Mariano                           - M'han detto che ci sono dei falchi che agguantano galline da Pasquale. Se t'impallino un falco, sarà permesso, no?

Titta                                 - E come! Se è falco. Anche aquila. Senza complimenti!

Mariano                           - E tu? (Gli indica il fucile) Con chi ce l'hai?

Titta                                 - Io sono pubblico ufficiale. L'arma ci vuole. Per l'autorità.

Mariano                           - Si capisce. Vuoi un goccio di grappa?

Titta                                 - Chi rifiuta offende la provvidenza. (Mariano dà a Titta una fiasca e Titta beve a lunghi sorsi).

Mariano                           - Buona, eh? Lasciane un po' anche per me.

Titta                                 - (restituisce e si asciuga i baffi) Sempre sia lodato il Signore! Mi raccomando, eh, Mariano... Presto comincia la campagna per le elezioni amministrative. Non ti mettere a strillare come l'altra volta per i socia­listi.

Mariano                           - Che vuoi? Che abbia cambiato colore?

Titta                                 - Tanto, sai che riescono gli altri: i nostri.

Mariano                           - E che me ne importa?

Titta                                 - Ti fai odiare per niente.

Mariano                           - Per niente, lo dici tu! Sai quanto ho gua­dagnato con quelle altre elezioni, a novembre? Due­centoventi lirazze, mio caro!

Titta                                 - E chi te l'ha date?

Mariano                           - I tuoi, per farmi star zitto. Tu, con la tua fedeltà, che hai avuto? Qualche mezzo litro all'oste­ria. (Titta si gratta in testa). E' la base della politica, caro. Sapere chi ha più fondi, e buttarsi dall'altra parte, a capofitto e squarciagola. Vengono subito a patti so­nanti per tapparti la bocca.

Titta                                 - (dopo aver riflettuto) Io non potrei: sono stipendiato dal Comune. Però è così. Io regalie da cento non ne ho mai viste!

Mariano                           - E' vero che ieri da quassù è passata una automobile?

Titta                                 - S'è fermata in piazza. Non camminava più. Dice che aveva la panna.

Mariano                           - Italiana?

Titta                                 - Si capisce!

Mariano                           - Però, eh? Io l'ho sempre detto che ce l'avrebbero fatta, malgrado la salita.

Titta                                 - Ho sentito che parlavano anche di una tra­versata della Cina con l'automobile...

Mariano                           - C'è su tutti i giornali. Da Pechino a Pa­rigi. Il principe Borghese...

Titta                                 - Io non lo conosco, ma se lo conoscessi gli direi: « Eccellenza, porti con sé anche due buoni ca­valli e una corda. Non si sa mai ».

Mariano                           - Io ho sentito uno, giù al caffè, che ha detto che l'automobile avrà un grande avvenire. E bat­terà in velocità anche il treno.

Titta                                 - E tu l'hai bevuta? Il treno è treno, mio caro. E poi, ragiona: in tutti i modi il treno ha le rotaie e non ha obbligo di fermarsi. Il teufteuf lì che può fare? Andare come un asinelio per la strada: sassi, polvere e chiusura dei passaggi a livello. Non c'è lotta. Sai quanto arriva a fare il treno, dove c'è la linea retta? Cinquanta chilometri all'ora!! E quando mai l'automobile, che ne può fare sì e no trentacinque...?

Mariano                           - Il deputato però dice che vuol comprare l'automobile.

Titta                                 - Quello comprerebbe anche la luna, se fosse da vendere, tanto per far vedere che ha i quattrini. Be', io vado...

Mariano                           - Da che parte?

Titta                                 - Vieni con me?

Mariano                           - Era per andare dall'altra parte.

Titta                                 - > Va bene. Ma se sento uno sparo...

Mariano                           - Falco!

Titta                                 - Va bene, falco, tu, e pesce io. Acqua in bocca.

(Titta esce dalla parte opposta da quella dov'era en­trato. Mariano si mette il fucile a tracolla e comincia a cantare una canzone alpina; poi si avvia in senso con­trario a Titta: la canzone si allontana. Entra Lucia col passo stanco di chi ha compiuto una salita: si volta indietro).

Lucia                               - Qui, qui. C'è una sorgente. Presto. (Dietro di lei compaiono Andreina, Eugenia, Vittoria e Carla: sono seguite dalla direttrice. Le ragazze portano una piccola bisaccia per le provviste).

Eugenia                           - (precipitandosi verso la fonte) Uff! Io muoio di sete!

La Direttrice                    - Eugenia! Siete sudate... Può farvi male. Aspettate un momento.

Andreina                         - E' stata dura.

La Direttrice                    - Perchè l'avete presa con troppo impeto, da principio. Io ve l'avevo detto.

Vittoria                            - (ascoltando) Chi è che canta?

Lucia                               - Sarà un cacciatore.

La Direttrice                    - La caccia è proibita in questa sta­gione.

Carla                                - (alta, bionda, bella ragazza prosperosa, andando a guardare) Eppure è un cacciatore. Eccolo là: ha il fucile.

La Direttrice                    - Non lo porterà per cacciare.

Lucia                               - Sarà un brigante.

La Direttrice                    - Lucia, rifletti un po' prima di aprir bocca.

Eugenia                           - Mangiamo qualche cosa?

La Direttrice                    - E' troppo presto.

Eugenia                           - Io ho un appetito...

Carla                                - Fame sì dice, fame.

La Direttrice                    - Aspettiamo le altre. Si vedono?

Eugenia                           - (andando a guardare dalla parte donde sono salite) Non ancora. Noi abbiamo filato... (Piano) Le aristocratiche hanno i muscoli di crema.

La Direttrice                    - (che ha creduto di udire) Che hai detto?

Eugenia                           - Niente. Che, come alpiniste, quelle altre...

La Direttrice                    - No, no. Aristocratiche... Chi sareb­bero le aristocratiche?

Andreina                         - Be', Irene è figlia di un diplomatico. Allora si dà delle arie. E noi...

La Direttrice                    - Non voglio queste divisioni. Qui siete tutte eguali. Quello che conta è lo studio, la con­dotta, l'educazione...

Eugenia                           - Libertà, eguaglianza, fraternità.

La Direttrice                    - Vuoi star zitta?

Eugenia                           - République francaise. (La direttrice è andata a sedere un po' in disparte: le ragazze han de­posto la òisaccia delle provviste),

Carla                                - (stirando le braccia) Ah, che bellezza, un po' di vacanza! E niente violoncello, stamane!

Vittoria                            - Se non ti piace, perchè lo studi?

Carla                                - Una cosa bisogna scegliere. Dato che sono alta, meglio il violoncello. (Piano) E poi, ha una voce maschile.

Vittoria                            - Il violoncello? (Prima ride beffarda, poi s'interrompe, riflette) E' vero, non ci avevo pensato.

Andreina                         - (a Lucia) Mia cugina, che quest'inverno si sposerà, m'ha scritto che quest'anno la ricchezza della gonna sarà tutta dietro.

Eugenia                           - Io, quando sarò uscita di qui, voglio crearmi un tipo: vestirmi a modo mio.

Andreina                         - Per far ridere la gente! E poi tuo ma­rito non te lo permetterà.

Eugenia                           - Non avrò mai marito.

Andreina                         - E cos'avrai, allora?

Eugenia                           - Amore libero. Papà l'ha detto anche in uno dei suoi discorsi politici.

Andreina                         - Ma va'.

Eugenia                           - Ti giuro che l'ha detto: l'ho letto anche sul giornale.

Andreina                         - Se poi tu metti in pratica quello che ha detto, sentirai che sculaccioni!

Vittoria                            - (piano) Be', ora si potrà bere, no? Non siamo più sudate.

Carla                                - Aspetta: qui ci sono i bicchieri. (Va a pren­dere i bicchieri nella bisaccia).

Lucia                               - (alla direttrice) Io vado in esplorazione in­tanto.

La Direttrice                    - Non ti allontanare. (Lucia esce. Vit­toria beve. Carla prende dalla bisaccia un panino e lo sgranocchia. Andreina le fa cenno che la direttrice non vuole: Carla alza le spalle e la invita a star zitta. An­dreina allora a gesti chiede a sua volta un panino. Carla glie lo dà e Andreina mangia).

Eugenia                           - Danne uno anche a me!

Carla                                - Sst! (Ma la direttrice intenta a leggere un libro non s'è accorta di niente: le tre ragazze ora man­giano, sul davanti della scena, mentre Vittoria va cer­cando fra Verba qualcosa).

Andreina                         - Ha pianto ancora, stanotte?

Eugenia                           - Linda? No. Io non ho sentito niente...

Andreina                         - Le sei vicina di letto.

Eugenia                           - Ma io dormivo.

Andreina                         - Dà troppa importanza a delle sciocchez­ze. Amore di ragazza...

Eugenia                           - Ma se tu stessa l'altra sera...

Andreina                         - C'era buio: un'altra cosa. Di mattina, con un sole come questo, con un'aria pura che a respirarla ti gira la testa, che vuoi che contino quelle puerilità? Va in America? Buon viaggio.

Vittoria                            - (che ha trovato un fiore alpino, alle amiche, mostrandolo) Cosa sarebbe? Che nome ha?

Eugenia                           - E chi lo sa? (Vittoria, che non s'è accorta che le compagne mangiano, va verso la direttrice).

Vittoria                            - Scusi, che fiore sarebbe questo?

La Direttrice                    - (lo osserva, poi alzando le spalle) Non saprei. Non l'ho mai visto.

Vittoria                            - Allora lo metto via. Forse è una rarità.

Lucia                               - (rientrando) Un serpente! Ho visto un ser­pente!

Andreina                         - Dove?

Eugenia                           - Sarà stato un verme.

La Direttrice                    - Cosa?

Lucia                               - Un serpente. Insomma, una biscia. Venite. E' ancora lì.

Vittoria                            - Io ho paura. Non ci vengo.

La Direttrice                    - Andiamo a vedere. Serpenti, quassù? Ma chissà che ha visto!

Carla                                - A me piacciono tanto i serpenti.

Vittoria                            - Che gusti! Devi essere corrotta... (Tutte escono seguendo Lucia).

Lucia                               - Di qui. (Scompaiono, lasciando in scena la bisaccia con le provviste. Rientra Mariano: vede la bi­saccia, si avvicina, prende, dei panini, del salame, e sor­ridendo si ficca tutto nelle capaci tasche della propria casacca. Poi cava il resto dalla bisaccia, piatti, posate, bicchieri: dispone il tutto su un macigno, e in mezzo, infilata su uno stecco, la bisaccia vuota. Poi si allontana soddisfatto. Compare la maestra di piano, con Irene).

 

Irene                                - (vedendo l'apparecchiamento)  Qui. Sono qui. Vede?

La Maestra                      - Hanno già mangiato.

Irene                                - Potevano aspettare. (Entrano Anita, Elena, Fortunata, Francesca e ultima Linda: sono tutte accal­date e un po' stanche).

Anita                               - Ma dove saranno andate?

Elena                               - (chiamando) Oh, oooh! (Hanno anch'esse una bisaccia: la depongono).

La Maestra                      - (ad Anita) Va un po' a vedere se le peschi. (Anita esce).

Fortunata                         - (esaminando i piatti) Ma i piatti sono puliti.

Elena                               - E la bisaccia è vuota. Mangiamo anche noi, signora maestra?

Irene                                - Non qui dove hanno mangiato le altre.

ILa Maestra                     - Perchè?

Irene                                - Così. Non c'è panorama. E' meglio andare un po' più all'aperto. Aspettate: ora cerco io il posto. (Esce con Fortunata).

La Maestra                      - (a Linda) Andiamo, su! Che è questa luna?! Tutta la mattina senza aprir bocca. Non mi piace.

Linda i                             - Non ho la luna.

La Maestra                      - Voglio vederti ridere. Se non ridete voi che avete sedici, diciassette anni!

Francesca                         - Non è poi una fortuna: non siamo più ragazze e non siamo ancora donne.

Elena                               - Non giochiamo più colla bambola. E non giochiamo ancora con gli uomini.

La Maestra                      - Elena! Non sai quello che dici!

Elena                               - Perchè? Era un doppio senso?

La Maestra                      - Ma, Elena!! Mi meraviglio... Be', hai fatto ridere Linda. Meno male!

Linda                               - Signora maestra, senta una cosa... (la trae in disparte).

La Maestra                      - Che c'è?

Linda                               - E' vero che domattina facciamo la comu­nione?

La Maestra                      - Sicuro.

Linda                               - Tutte?

La Maestra                      - Tutte.

Linda                               - (dopo una breve pausa) Perchè?

La Maestra                      - Come, perchè?

Linda                               - Io non la faccio.

La Maestra                      - Che ti viene in mente? Ma se sei stata sempre la più zelante.

Linda                               - Io non sono come le altre. Per me è una cosa seria, importante.

'La Maestra                      - Per tutte.

Linda                               - Sì, forse, ma è un'altra cosa.

La Maestra                      - Cos'hai? Una piccola crisi di co­scienza?

Anita                               - (rientrando) La direttrice ora viene con le altre. Ma la squadra con la maestra di ginnastica ha sbagliato strada. Ha preso l'altro versante. Si vedono di qui.

La Maestra                      - Oh, Dio! Ma saremo noi invece che abbiamo sbagliato, allora... Di dove si vedono?

Anita                               - Venga con me.

La Maestra                      - Vieni anche tu, Linda.

(Anita torna ad uscire con la maestra e Linda. Restano sole in scena Francesca ed Elena).

Elena                               - Sapessi che cosa ho sognato stanotte!

Francesca                         - Una torta di mandorle...

Elena                               - Che il principino si innamorava di me.

Francesca                         - E' un po' piccolo per innamorarsi.

Elena                               - Mica ora, si capisce. Tra una ventina di anni.

Francesca                         - E allora non sarai più tu abbastanza giovane.

Elena                               - Forse si tratta del principe di un altro paese. (Rientra Irene).

Irene "                              - Ho trovato il posto: magnifico. Portiamo tutto là. C'è anche l'eco. (Si sente Anita e la maestra che chiamano verso l'altro versante).

La Maestra                      - (di dentro) Ooooh!

Anita                               - (di dentro) Ooooh!

Elena                               - Chiamano quelle della ginnastica. Hanno preso un'altra strada. Non le ritroveremo più.

Irene                                - E chi se ne...

Francesca                         - Per fortuna che noi siamo le aristo­cratiche!

Irene                                - Per tua regola, certe parolacce le possono dire solo gli aristocratici: è una cosa che ha detto un giorno mia madre. Credeva che io non sentissi.

Elena                               - Oh, per quello, tua madre non si accontenta solo di dirle: le fa.

Irene                                - (di scatto) Cosa?

Elena                               - Niente.

Irene                                - Di' subito, se no guai a te.

Elena                               - Niente. Non è divisa da tuo padre, tua madre?

Irene                                - E con questo?

Elena                               - Già. Se è divisa, non vivrà mica sola. (Irene di colpo dà uno schiaffo ad Elena, e poi le si butta] addosso per picchiarla).

Francesca                         - (per dividerle) Ma no... andiamo...

Irene                                - Voglio cavarle gli occhi!

Elena                               - Aiuto! Aiuto!

La Direttrice                    - (comparendo) Che c'è? (Le due avversarie sono immobili, un po' scapigliate) Che è suc­cesso? Chi gridava?

Elena                               - Ero io. Ma era per scherzo...

La Direttrice                    - Perchè sei così rossa?

Irene                                - E' stato...

Elena                               - (interrompendola) Ho corso. Irene ha tro­vato dove fare colazione. Un posto magnifico.

Francesca                         - C'è l'eco. (Frattanto sono ricomparse Andreina, Vittoria, Lucia, Eugenia, Carla. Andreina vede la bisaccia vuota).

Andreina                         - Chi ci ha preso la roba?

La Direttrice                    - Che roba?

Andreina                         - I viveri. Non ci sono più.

Irene                                - Non avete già mangiato, voi?

Andreina                         - Neanche un boccone.

La Direttrice                    - Non facciamo scherzi idioti. Chi ha nascosto quello che c'era nella bisaccia?

Irene                                - (ad Elena) Sei stata tu?

Elena                               - Perchè io, proprio io?

Irene                                - Perchè quando si tratta di mangiare...

Francesca                         - Quando noi siamo arrivate qui, la bi­saccia era già vuota, piantata lì in mezzo.

Andreina                         - Ma va'. E chi ti crede?

Francesca                         - Irene, dillo tu!

Irene                                - E' la verità.

Francesca                         - Sarà stato...

Andreina                         - Chi? Il vento?

Elena                               - Non si lasciano soli, incustoditi, i viveri.

Eugenia                           - Siamo andate a vedere il serpente...

Irene                                - Che serpente?

Vittoria                            - (ridendo) Era Lucia che lo aveva visto.

Lucia                               - A me pareva...

La Direttrice                    - Zitte! Bisogna ritrovare la roba... Dov'è la maestra?

Elena                               - E' di qua. Venga. (Elena dirige la com­pagnia).

Andreina                         - E chi resta a guardia della roba?

Eugenia                           - Brava! Ora ci pensi... Prima bisognava... (Escono tutte. Rientra Mariano. Depone sui piatti tutte le cibarie che s'era mésso in tasca. Fa per andarsene; poi riprende una tartina, si mette a mangiarla e torna ad uscire. Ricompare Anita con la maestra di piano, seguite dalla direttrice).

La Maestra                      - Non è possibile...

Anita                               - La roba c'è. Guardate!

:La Direttrice                   - Non c'era. (Tutte le ragazze ricom­paiono di corsa).

Andreina                         - Chi l'ha rimessa?

Elena                               - Qui non era rimasto nessuno.

Lucia                               - Che ci siano gli spiriti folletti?

Andreina                         - Va bene: sono i giochetti che ci fanno le altre...

Irene                                - Ti giuro...

La Direttrice                    - Non si giura così, per niente. Allo­ra portiamo tutto di là, ed apparecchiamo. Avanti, por­tate la roba. Attente a non rompere i piatti. (Mentre iniziano a trasportare la roba Fortunata comincia a can­ticchiare piano una canzone: le altre a poco a poco la seguono e fanno coro; coro che cresce sempre di tono e di intensità).

Andreina                         - (riempiendo la boccia con l'acqua della sorgente) Vino, sarebbe meglio!

Irene                                - E perchè non cognac? (Maestra, direttrice e qualche ragazza se ne sono andate).

Elena                               - (a Irene) Quello schiaffo però me lo paghi.

Irene                                - Sei tu che devi domandarmi scusa. (Man mano le ragazze se ne vanno: ultime restano Linda e Irene. Linda cercava il momento di poter parlare da sola a sola con Irene. Il coro intanto un po' lontano ora s'alza ora s'abbassa).

Linda                               - C'è la comunione domani. Io non posso farla. Non posso confessarmi.

Irene                                - Non puoi sottrarti.

Linda                               - E dovrei dire a don Tiburzio...? Mai.

Irene                                - Che vuoi che sia per qualche bacio? Sorri­derà e ti assolverà.

Linda                               - No, Irene, non posso.

Irene                                - Perchè?

Linda                               - Ho tanto pregato il Signore Iddio anche ieri sera...

Irene                                - Lo so. Ho visto.

Linda                               - Sono la più pia di tutte. E non ho avuto la forza di resistere. E' spaventoso.

Irene                                - Ma che vuoi dire?...

Linda                               - Io non posso prendere il sacramento.

Irene                                - Il confessore ha il segreto... Nessuno saprà niente.

Linda                               - No, no. Mi sentirei morire. E poi non mi assolve. Non mi dà l'assoluzione.

Irene                                - E perchè non dovrebbe dartela?

(

Linda                               - Bisognerebbe che promettessi di non fare più peccato. Di non baciarlo più, di non vederlo più... E' quello che ho promesso l'anno scorso al confessore del mio paese. E non ho mantenuto,

Irene                                - Fai lo stesso anche ora.

Linda                               - No. Allora credevo di riuscire a mantenere la promessa. Ora so che non posso. E sarebbe ipocrisia promettere sapendo di non poter mantenere. Io certo non faccio questo con il Signore che vede e sa. E così non mi dà l'assoluzione. No, no. Non vado in chiesa domattina. Non ci vado.

Irene                                - Di' che sei malata. Domattina ti svegli ma­lata. Intanto guadagna tempo.

Linda                               - Che posso fare? Che posso fare?

Irene                                - Non fare tragedie per così poco.

Linda                               - Poco? Ma per me Dio è tutto.

Irene                                - Anche più di Piero?

Linda                               - Non dire bestemmie.

Irene                                - Vieni. Oh, guarda che ho schiaffeggiato Ele­na: c'è una questione di onore, tra noi due.

Linda                               - Che aveva fatto?

Irene                                - Aveva sparlato di mia madre.

Linda                               - Non può essere. Che vuoi che sappia? Fa­rete la pace.

Irene                                - Se chiederà scusa. Con tutte le regole. (Escono. Scena vuota. Il coro riprende, distante, a ondate. Ricompare Mariano: ascolta. Depone il fucile. Cerca nella tasca della casacca, ritrova il panino rimastogli dal saccheggio di poc'anzi e lo guarda. Poi lo addenta. Compare Anita con la brocca d'acqua da riempire. Il canto continua. Essa vede l'uomo e resta stupita, im­mobile).

Mariano                           - Non abbia paura. Il fucile è scarico. E non tiro sulle belle ragazze.

Anita                               - Posso prender acqua?

Mariano                           - Si figuri. La sorgente non è mia. (Anita si curva a riempire la brocca). Ma che chiasso fanno le altre!

Anita                               - La disturba?

Mariano i                         - Un po'. Disturba le mie intenzioni.

Anita                               - Era qui per riposare?

Mariano                           - No...

Anita                               - (riconoscendo dalla mezza tartina che l'uomo ha in mano una delle proprie) Ma quel panino...

Mariano                           - Già!

Anita                               - Allora è stato lei che...?

Mariano                           - Ma ho restituito tutto. Insomma, quasi tutto.

Anita                               - Un bel coraggio!!

Mariano                           - Uno scherzo! Vi conosco. Siete quelle del collegio.

Anita                               - E allora che cosa fa qui?

Mariano                           - Una cosa proibita.

Anita                               - Davvero?

Mariano                           - Caccia. Ci sono dei conigli selvatici. Ma voi me li spaventate col vostro canto.

Anita                               - Conigli selvatici? Dove sono?

Mariano                           - Ora sono nascosti. Vengono fuori quando c'è silenzio. Vengono qui a bere.

Anita                               - E lei li ammazza?

Mariano                           - Se posso.

Anita                               - E' vergognoso.

Mariano                           - Lo so: fino in agosto è proibito.

Anita                               - Ma è vergognoso anche in agosto. Povere bestiole!

Mariano                           - E i vitellini allora, non sono povere be­stiole? Eppure si ammazzano per fare le cotolette per voi.

Anita                               - Io non sarei capace di ammazzarli.

Mariano                           - Si capisce: voi sapete solo mangiarli. Sssst! Ho visto qualcosa muoversi.

Anita                               - (in un soffio) Dove?

Mariano                           - (indicando una macchia) Lì. (Pausa). Eh, no: se quelle cantano, niente da fare.

Anita                               - Ora vado a farle smettere. Poi torno.

Mariano                           - E se vede Titta, che fa il guardiacaccia, non mi tradisca. Se no piglio la contravvenzione.

Anita                               - Non abbia paura. Quando c'è la passione io capisco. (Breve pausa). Ho anch'io la mia passione.

Mariano                           - Ah, sì?

Anita                               - Per i francobolli. Ma solo d'Asia. Lei non ne ha da darmi?

Mariano                           - Io no; veramente.

Anita                               - Ora le faccio smettere. Ma non ammazzi i conigli. (Esce con la brocca d'acqua. Mariano imbraccia il fucile e sorveglia la macchia. Il coro delle ragazze cessa. Mariano sta in guardia. Pausa. Compare Eugenia, con un'altra brocca vuota).

Mariano                           - (piano) Ferma. Sssst!

Eucenia                            - Che c'è?

Mariano                           - Ma che! Se n'è andato. Era lì che spiava.

Eugenia                           - Chi?

Mariano                           - Il coniglio.

Eugenia                           - Sarà stata una lepre.

Mariano                           - No; era un coniglio.

Eugenia                           - L'ha visto?

Mariano                           - Le orecchie.

Eugenia                           - Dev'essere emozionante cacciare...

Mariano                           - Di questa stagione sì, poiché non è an­cora permesso.

Eugenia                           - Allora lei sarebbe... nn cacciatore di frodo?

Mariano                           -. Eh!

Eugenia                           - Insomma, una specie di contrabbandiere...

Mariano                           - Se vuole...

Eugenia                           - Quindi un delinquente.

Mariano i                         - Ora esagera.

Eucenia                            - No, no: chi viola la legge commette reato. Chi commette reato è delinquente.

Mariano                           - Se ci tiene. E le faccio orrore?

Eugenia                           - No. E questo è lo spaventoso. Si vede che i delinquenti non sono poi molto diversi dall'altra gente.

Mariano                           - Sssst! (Pausa di silenzio: Mariano imbraccia il fucile, punta).

Eugenia                           - (di colpo) No. Non spari.

Mariano                           - Buonanotte. E' scappato ancora.

Eugenia                           - Mi scusi.

Mariano                           - Cos'ha? Pietà anche lei per i conigli?

Eugenia                           - No. Era solo paura dello sparo. (Compare Vittoria con un'altra brocca da riempire).

Mariano                           - Non faccio per dire, ma siete tante spu­gne. Accidenti, come bevete!

Vittoria                            - Non bestemmi.

Mariano                           - Ho bestemmiato?

Vittoria                            - Accidenti!

Eugenia                           - Non è una bestemmia.

Vittoria                            - L'ha preso?

Mariano                           - Cosa?

Vittoria                            - Il coniglio...

Mariano                           - Ah, lei sa già?

Vittoria                            - Si capisce. Abbiamo tirato a sorte chi do­veva venire a prender l'acqua. Sono riuscita io prima, Lucia seconda, Irene terza, Andreina quarta...

Mariano                           - Ma sarà una processione, allora! No, non l'ho preso, e con questa prospettiva non lo prenderò mai.

Vittoria                            - Ci tiene tanto?

Mariano                           - Perchè? Certo. Se no, che sarei venuto a fare quassù?

Vittoria                            - A godere il panorama. E' una così bella giornata di primavera. La natura è in fiore. (Ad Eugenia) Tu torna dalle altre. Moriranno di sete. Abbiamo qui tutte e due le brocche. Ti aspettano.

Eugenia                           - Vado, vado. Tanto lo so: sono brutta.

Vittoria                            - Non è vero. Ma non sai pettinarti. E la prima cosa per una donna sono i capelli. (A Mariano) Non le pare? (Intanto Eugenia se ne è andata).

Mariano                           - Veramente non saprei: non me ne intendo.

Vittoria                            - Che nome ha?

Mariano                           - Chi?

Vittoria                            - Lei.

Mariano                           - Io, Mariano. (Pausa).

Vittoria                            - Peccato.

Mariano i                         - Cosa?

Vittoria                            - Preferivo che si chiamasse Sigfrido.

Mariano                           - Perchè?

Vittoria                            - Così. Ma lei è Sigfrido lo stesso. Le di­spiace?

Mariano                           - Per me...

Vittoria                            - Io invece sono Vittoria. Si può chiamarmi Viti. O Ria. Ma preferisco Vittoria, tutto intero. (Pausa). Quando si è così in alto l'aria è talmente più fina che dà alla testa. Non trova?

Mariano                           - iBe', io ci sono abituato. E allora...

Vittoria                            - Ci viene spesso sulla montagna?

Mariano                           - Sì. Faccio un po' il cacciatore, e, quando capita, anche la guida.

Vittoria                            - Con le corde e la picca?

Mariano                           - Certo.

Vittoria                            - Lungo gli abissi? E magari quando c'è un passo difficile prende in braccio una donna e la tra­sporta?

Mariano                           - Alle volte.

Vittoria                            - Deve dare le vertigini...

Mariano                           - L'abisso? Basta non guardarlo.

Vittoria                            - No: la donna tremante stretta fra le sue braccia.

Mariano                           - (ridendo) Ah, per via che magari è giova­ne? Già.

Vittoria                            - Allora lei deve essere molto forte...

Mariano                           - Sì, abbastanza...

Vittoria                            - E' bello esser forti. A me gli uomini piac­ciono forti o niente.

Mariano                           - Ah, le piacciono gli uomini?

Vittoria                            - Sì, sono molto sensuale.

Mariano                           - (ridendo) Davvero?

Vittoria                            - Non c'è niente da ridere.

Mariano                           - Un bel guaio. In collegio non avrete molte amicizie maschili.

Vittoria                            - Nessuna. Lei non passa mai davanti alla nostra villa?

Mariano                           - Qualche volta.

Vittoria                            - A che ora?

Mariano                           - La sera, verso le nove, io faccio la mia passeggiatina da quelle parti. Passo davanti al cancello.

Vittoria                            - Alle nove noi siamo già a letto.

Mariano                           - Peggio delle galline.

Vittoria                            - Il regolamento è severo. (Compare Lucia).

Lucia                               - (a Vittoria) Così non va.

Vittoria                            - Come?

Lucia                               - Una alla volta va bene. Ma se tu ci stai sempre alla sorgente!

 

Mariano                           - Carina, quest'altra! Chi è?

Vittoria                            - Oh, l'ultima della classe, Lucia. E poi quella, sa, non sente niente. (Forte) Dovresti fare da palo. Che non vengano a disturbare... Qui c'è la selvag­gina... Noi stiamo buoni, buoni, in attesa che compaia... Ma se ce la spaventate così, continuamente... Vero, Sig­frido?

Lucia                               - Lo chiami per nome?

Vittoria                            - Siamo amici. (Piano) Da che parte la man­diamo?

Mariano                           - Guardi: vada di là. E se vede il guardia-caccia...

Lucia                               - Com'è?

Vittoria                            - Come dev'essere? E' un uomo.

Mariano                           - Vestito di verde. Una piuma sul «appello.

Lucia                               - Come gli alpini.

Mariano                           - Ecco. (Se lo vede, mi fa un fischio.

Lucia                               - Ma io non so fischiare.

Vittoria                            - Quella non sa far niente. Caccia uno strillo. Fa quello che vuoi. Insomma, avvertici.

Lucia                               - Va bene. (Esce).

Vittoria                            - Ha visto? Sempre così. Testona. Vuole che le tenga io il fucile?

Mariano                           - Per carità!

Lucia                               - (ricomparendo) Sentite...

Vittoria                            - Che altro c'è?

Lucia                               - Il guardiacaccia...

Vittoria                            - Ebbene?

Lucia                               - Sorveglia che non si faccia contrabbando. Al­lora, se avete paura di lui, significa che qui si fa qual­cosa di proibito...

Vittoria                            - Uff! Quante storie... Tutto è proibito a questo mondo, si capisce.

Lucia                               - No. Allora io non vado a far da palo. Mando magari un'altra, se volete.

Vittoria                            - Ecco: manda un'altra. (Lucia esce). Visto? Tutta ipocrisia. Per non aver domani nessun peccato da confessare al confessore.

Mariano                           - E lei quanti peccati avrà da confessare?

Vittoria                            - Tanti. Sono una tremenda peccatrice.

Mariano                           - Ah, sì? Di gola?

Vittoria                            - Macché!

Mariano                           - Di pigrizia?

Vittoria                            - Di lussuria.

Mariano                           - Ah! Le piace il lusso?

Vittoria                            - Lussuria... Voluttà...

Mariano                           - Ho capito. Sogni. Desideri.

Vittoria                            - Eh! Purtroppo... Ma se noi chiacchie­riamo, la selvaggina non la pigliamo più...

Mariano                           - Non importa.

Vittoria                            - Dio! Avanti, avanti... Dica ancora...

Mariano                           - E' una bella ragazza, sa, lei...

Vittoria                            - La mia bocca. Mi parli della mia bocca. Le compagne dicono che ho una bocca provocante. E' vero?

Mariano                           - Certo che... Insomma...

Vittoria                            - ILa bocca della sua fidanzata com'è? Mi­gliore?

Mariano                           - Non sono fidanzato.

Vittoria                            - Davvero? Come sono felice!

Mariano                           - Perchè?

Vittoria                            - Così. Lei deve essere un uomo pieno di profondità. Gli uomini che vivono a contatto con l’immensità sono sempre misteriosi ed affascinanti. Marinai ed alpinisti. Mare e montagna. La natura. Semplici. Rudi.

Mariano                           - (impacciato) Be', non saprei... Io, vera­mente...

Vittoria                            - Non dica niente. Lei non sa parlare.

Mariano                           - Come, non so parlare...

Vittoria                            - No. (Declamando) Ma ci sono dei silenzi che valgono più d'ogni parola. E' un verso. Mio. Le piace la poesia?

Mariano                           - Sì. Ma non sono pratico.

Vittoria                            - La poesia è questa: una fonte, l'aprile, lei che ha vent'anni...

Mariano                           - Trenta...

Vittoria                            - Io che ne ho quindici...

Mariano                           - E' sviluppata però, per la sua età... (Irene, Andreina e Francesca si sono avvicinate, ma caute, non si son fatte vedere. Spiano tra il fogliame ed ogni tanto fanno capolino).

Vittoria                            - (palpitante) Si... Vero?

Mariano                           - (pigliando il fucile) Ferma! S'è mosso un ramo. E' lì.

Vittoria                            - Dov'è? Non vedo... (In un soffio mentre egli rimane col fucile pronto) Sono un po' miope...

Mariano                           - Stia zitta...

Vittoria                            - (in un soffio, dopo una pausa) Vero che è una bellezza essere un po' miopi? Non lo era anche Venere? (Essa è vicinissima al viso di lui: d'improvviso Mariano la bacia a lungo. Il coniglio selvatico traversa la scena, durante il bacio, e va alla sorgente a bere. Dalla macchia viene un fischio d'allarme. I due si sciol­gono. Il coniglio scappa).

Mariano                           - Che c'è? Titta?

Irene                                - (uscendo dal verde) No; il coniglio. E' uscito. Ha bevuto. Se ne è andato per i fatti suoi.

Vittoria                            - E tu l'hai visto?

Irene                                - Si capisce. Tutto ho visto.

Andreina                         - (comparendo a sua volta) Eravamo di sentinella...

Mariano                           - Ho capito. Stamane non si può cacciare...

Vittoria                            - (piano a Mariano) Stasera alle nove al cancello...

Irene                                - (a Mariano) Non si lamenti. Non è cortesia.

Mariano                           - (avvicinandosi ad Irene) E' sensuale an­che lei?

Irene                                - Ohe, dico! Per chi mi piglia?

Andreina                         - E' la comandante delle aristocratiche, quella...

Mariano                           - Scusi. Non avreste, per caso, un altro di quei panini imbottiti? Erano eccellenti.

Irene                                - No. Non ne abbiamo più.

Mariano                           - Peccato! (Francesca, che ne aveva ancora uno, glielo porge) Grazie. Plebe?

Francesca                         - No.

Mariano                           - Non importa. Arrivederci. (Mariano si allontana. E appena fuori di scena comincia a intonare la sua canzone: si allontana).

Andreina                         - E' un bell'uomo.

Vittoria                            - Tu sta zitta. Non è roba tua. Dio, come sono felice!

Fine del secondo atto

ATTO TERZO

(La scena è divisa in due dal muro che recinge il col­legio. A destra c'è la strada che costeggia il muro: lungo questa strada delle panchine. Accanto ad una di esse un lampione a fanale. A sinistra il parco del collegio, con i suoi viali ed il suo verde. Nel muro il cancello d'ingresso della villa, con la sua inferriata. E' buio: potranno essere le otto e mezzo di sera. Viene lungo la strada il lampista con 'la sua stanga in) cima alla quale c'è la fiammella: apre lo sportellino del fanale, accende lo stoppino a petrolio che c'è dentro, poi fischiettando se ne va. Da un viale viene di corsa Vittoria, si guarda un po' d'attorno, poi va a spiare dietro la cancellata. Non vede nessuno. Poco dopo, cauta, compare Anita, che si avvicina a sua volta al cancello).

Vittoria                            - Che fai qui a quest'ora?

Anita                               - E tu?

Vittoria                            - Avevo sentito fischiare...

Anita                               - Anch'io.

Vittoria                            - Era il lampista, che ha acceso il fanale. Chi credevi che fosse?

Anita                               - Nessuno. Così.

Vittoria                            - Be', vattene. Io ho un appuntamento.

Anita                               - Tu? E con chi?

Vittoria                            - Insomma, ho un appuntamento. Non te n'occupare. Le altre sono a letto?

Anita                               - Qualcuna. Ma quando viene l'ispettrice a spegnere...

Vittoria                            - Ho fatto un fagotto al mio posto. Non dovrebbe accorgersi di niente. Io dormo sempre col viso sotto le lenzuola. E ora va via.

Anita                               - Non posso.

Vittoria                            - Se ti dico che ho un appuntamento, qui.

Anita                               - Anch'io.

Vittoria                            - Tu? Ma se sei una bambina!

Anita                               - Che vuol dire? E tu cosa sei, allora?

Vittoria                            - Sviluppata.

Anita                               - Che vuol dire? E' un uomo a cui piacciono le gl'asse?

Vittoria                            - Grassa? Non sono grassa. Son ben fatta.

Anita                               - Diventerai grassa. Hai la tendenza: anche tua madre. M'hai fatto vedere il ritratto.

Vittoria                            - Perchè non ha m|ai fatto ginnastica. Io sono souple.

Anita                               - Non hai la linea. Le vere donne fatali de­vono essere magre, alte, con gli occhi verdi.

Vittoria                            - Invece tutte le Veneri dei musei sono rotonde, cicciose.

Anita                               - Quelli erano altri tempi. E poi sono nude.

Vittoria                            - Che vuol dire? La bellezza tipo è quella. E poi, insomma, io piaccio così. E basta.

Anita                               - Anch'io. Per nostra fortuna gli uomini hanno gusti diversi.

Vittoria                            - Ma perchè gli hai dato appuntamento proprio qui?

Anita                               - E' stato lui che m'ha detto: « Stasera alle nove davanti al cancello».

Vittoria                            - E dove l'hai visto?

Anita                               - In montagna. Il cacciatore.

Vittoria                            - No?!!!

Anita                               - Come, no?

Vittoria                            - Non dire delle cose simili, perchè altri­menti...

Anita                               - Altrimenti, cosa?

Vittoria                            - Insomma, una di noi deve cedere il posto.

Anita                               - Perchè?

Vittoria                            - Perchè aspetto anch'io lo stesso uomo.

Anita                               - Ha detto anche a te la stessa cosa?

Vittoria                            - Sì. No. Gliel'ho detta io. Fa lo stesso. Siamo rivali.

Anita                               - Io non lo sapevo.

Vittoria                            - Neanch'io. Lo ami molto?

Anita                               - No. Era così, per cominciare...

Vittoria                            - Cominciare cosa?

Anita                               - Cominciare a vedere com e... Ma se tu invece...

Vittoria                            - Sì: io l'amo pazzamente.

Anita                               - Be', allora te lo cedo.

Vittoria                            - Grazie. Sei un'anima generosa. Vero che è bello?

Anita                               - Sì, è un bell'uomo.

Vittoria i                          - Lo dici senza entusiasmo. E' di più. Ha il sapore delle nevi eterne, dei ghiacciai e dei rododen­dri e delle stelle alpine e del latte appena munto...

Anita                               - Che sapore complicato deve essere!

Vittoria                            - (in grande confidenza) Ho composto un sonetto, oggi, su di lui. Lo vuoi sentire?

Anita                               - Non ci vedrai a leggerlo...

Vittoria                            - Lo so a memoria. « Eri bello nel fascino d'aprile... ».

Anita                               - Oh, gli dai già del tu...

Vittoria                            - In poesia si dà sempre del tu. «Armato e minaccioso come un dio».

Anita                               - Armato?

Vittoria                            - Non aveva il fucile?

Anita                               - Ma minaccioso...

Vittoria                            - Per il coniglio, si capisce.

Anita                               - Come un dio. Ma un dio che spara ai co­nigli...

Vittoria                            - Finiscila. Se no non ti dico niente. (Irene si è intanto avvicinata cauta alle due, ed ascolta dietro a esse la poesia). « Eri bello nel fascino d'aprile - ar­mato e minaccioso come un dio - che d'improvviso appari al guardo mio - e mi colpisci il cor... ».

Irene                                - (completando) ….con il fucile!

Vittoria                            - Scema!

Irene                                - E smettila! Ora ti sei montata la testa. Non ti vergogni?

Vittoria                            - Di cosa? Non ho diritto anch'io di avere un amore? Di conoscere l'ebbrezza della felicità?

Irene                                - E dire che sei una persona educata, di buona famiglia... Le idiozie che hai potuto raccontare stamane a quel disgraziato...

Vittoria                            - Tutta invidia. Perchè non eri tu al mio posto.

Irene                                - Cosa? Credi che io, col primo sconosciuto che incontro... Ho un po' di dignità io, per tua norma.

Vittoria                            - Come, il primo sconosciuto. Era...

Irene                                - Sì: un giovane dio. Lo sappiamo.

Vittoria                            - Il cuore non ha bisogno di biglietti da visita. Quand'è ora, palpita. Quello è il mio uomo.

Irene                                - Ma sai chi sia?

Vittoria                            - Che m'importa? La sua bocca era quella del destino. Vuoi sentire come continua il sonetto?

Irene                                - Va a dormire, invece.

Vittoria                            - No. Io devo aspettare qui.

Irene                                - Per fortuna il cancello è chiuso...

Vittoria                            - Sssst. Eccolo.

Irene                                - Non è solo. Ha portato un amico per rin­forzo.

(Dalla parte di destra della scena compaiono Ma­riano e il farmacista. Fumano la pipa tutti e due. Ma­riano è in maniche di camicia: una camicia di flanella e senza cappello. Il farmacista ha cappello e pastrano).

Il Farmacista                    - L'incontro di Gaeta fra il nostro re e il re d'Inghilterra ha un significato. Hanno firmato un trattato segreto d'alleanza. Io lo so. Me l'ha detto una persona importante. L'Inghilterra sulle prime ha fatto delle difficoltà. Ma... Se... Però... Allora l'Italia ha alzato la voce: o amici o nemici. Edoardo ci ha pensato su un po' e poi ha detto: « Va bene, amici ». E ha fir­mato. Guglielmo, quando l'ha saputo, ci ha fatto una malattia...

Irene                                - (sottovoce) L'hai visto il tuo eroe?! Bello un dio in maniche di camicia.

Vittoria                            - (idem) E' forte. Non ha bisogno di coprirsi.

Anita                               - (idem) Io lo preferivo stamattina...

Vittoria                            - Beh, lassù, si capisce...

Irene                                - (idem) E poi con la pipa! Che volgarità...

Vittoria                            - (idem) Che c'entra? Anzi, è chic. Gli inglesi fumano la pipa.

Il Farmacista                    - E gl'inglesi quando hanno firmato... Però fa un po' frescolino ancora, di sera. Come fai tu ad andare così e non prendere una polmonite?

Mariano                           - Ho le «palle dure, io. Allora Guglielmo, quando ha saputo, cos'ha fatto?

Il Farmacista                    - Voleva protestare. Ma ormai la cosa era fatta. Si è consultato con Francesco Giuseppe perchè, voglia o non voglia, c'è la Triplice Alleanza.

Mariano                           - (guardando verso il cancello) Già.

Anita                               - (piano) No; col fucile stava meglio. Così non mi piace più.

Vittoria                            - Come sei volubile! Del resto, meglio. Così non soffrirai. (Alle altre due) Andatevene, se no non posso farmi vedere.

Irene                                - (piano) E del farmacista che ne fai?

Vittoria                            - (piano) Ora se ne andrà. Sigfrido lo man­derà via.

Irene                                - (piano) Smettila con Sigfrido.

Il Farmacista                    - (sedendo sulla panchina) Sediamoci un momento qui... L'Italia vuole Trento e Trieste. H pro­blema è tutto lì; vuoi un po' di tabacco? To'?

Mariano                           - Grazie. Io, «e fossi l'Austria, direi: «Fac­ciamo il male a mezzo. Pigliati Trento. E piantiamola di cavarci gli occhi. Io mi tengo Trieste ».

Il Farmacista                    - Ah, comodo sarebbe! Trieste è un gran porto. No, no. E poi non ci danno neanche Trento. L'Austria è così: non molla. (Mariano frega un fiammi­fero sulla suola della scarpa e riattizza la pipa).

Anita                               - (piano) No: è troppo volgare.

Vittoria                            - (piano) Che stupidaggini... E' rude, non volgare.

Il Farmacista                    - Lo aiuti tu domattina il macellaio?

Mariano                           - Sì. C'è una bella bestia. Venga a prendersi un bel pezzo di fesa.

Irene                                - (piano) E' l'aiuto macellaio...

Vittoria                            - (c. s.) Vuol dire che non ha paura del sangue.

Irene                                - (c. s.) Te lo lasciamo tutto! Vieni, Anita...

Vittoria                            - (disperata in cuor suo per il crollo delVidoló) Si capisce. Voi, patrizie, se non hanno stemmi e corone...

Irene                                - (avviandosi) Fatti dare un po' di rognoncino...

Anita                               - (piano) Una costata da Sigfrido; magari ti fa uno sconto! (Si allontanano; Vittoria resta sola).

Il Farmacista                    - Il pericolo viene dall'Oriente. Il pe­ricolo giallo. Il Giappone! E' lì che non ci vedo chiaro. Hai visto la Russia? Port Arthur? Tsushima? Bisogna stare, in guardia. (Alzandosi) E con questo vado a letto. Vieni in paese anche tu?

Mariano                           - Be', io la saluto. Faccio ancora due passi.

Il Farmacista                    - Buonanotte!

Mariano                           - Buonanotte! (// farmacista si allontana. Mariano si avvicina al cancello. Guarda dentro. Vittoria rimane nascosta. Mariano si scosta. Un campanile lontano batte le ore. Mariano si mette a fischiare la canzone del secondo atto. S'interrompe: torna a spiare traverso la cancellata. Niente. Silenzio. Riprende a fischiare. Poi scrolla le spalle e si allontana. Vittoria allora si avanza, guarda tra le sbarre: poi cava una grossa chiave da sotto la veste, apre il cancello, pian piano lo tira, esce, va a guardare verso dove è sparito Mariano: è avvilita, triste, le sue illusioni sono crollate. Ritorna dentro; richiude. Compare Linda).

Linda                               - Che fai? Chi è che fischiava?

Vittoria                            - Uno che.passava.

Linda                               - Chi?

Vittoria                            - No: non è il tuo amore.

Linda                               - Come lo sai?

Vittoria                            - La so. (Con il pianto in gola) Era il gar­zone del macellaio.

Linda                               - Ah!

Vittoria                            - Lo aspetti?

Linda                               - Sì.

Vittoria                            - Beata te!

Linda                               - Ma che hai?

Vittoria                            - Niente, niente. Se vuoi uscire, ecco la chiave del cancello-.

Linda                               - Come l'hai avuta?

Vittoria                            - L'avevo rubata stasera in portineria.

Linda                               - Ma perchè? Che volevi fare?

Vittoria                            - Niente. Credevo... A me non serve.

Linda                               - Rimettila dov'era.

Vittoria                            - Non vuoi uscire tu? Non c'è lui?

Linda                               - No… Non devo. Non dovevi nemmeno dirmi che avevi la chiave.

Vittoria                            - Ma l'altra sera..

Linda                               - No. Non la voglio. (Vittoria si allontana un poco. Ricompare Irene, che rimane a qualche passo). Dam­mela. Tanto la portineria è chiusa: non puoi rimetterla a posto. (Vittoria gliela dà, poi si allontana).

Irene                                - (avvicinandosi piano) Linda!

Linda                               - Mi hai fatto paura.

Irene                                - Avevi detto che non saresti discesa...

Linda                               - Non ho resistito.

Irene                                - Che vuoi fare?

Linda                               - Niente. Che vuoi che faccia?

Irene                                - Vittoria ti ha dato la chiave del cancello...

Linda                               - Come l'aveva? Che voleva farne?

Irene                                - Anche lei la sua grande avventura d'amore. Si era ubriacata di sole, stamane. Ma qui non siamo più a millecinquecento metri.

Linda                               - Che vuoi dire?

Irene                                - Va bene che è delle plebee, ma il garzone macellaio non piace neanche a lei.

Linda                               - Che ora è?

Irene                                - Non so. Bada che il cancello cigola.

Linda                               - Non ho nessuna intenzione di aprirlo. No, non te ne andare.

Irene                                - Perchè?

Linda                               - Tremo tutta. Forse è l'ultima volta che lo vedo.

Irene                                - Perchè? Non morirà.

Linda                               - Parte. Ogni volta che si stacca da me è uno strazio. Mi manca il fiato. E ora... ora... Così lontano. Se anche torna, non mi ritrova più.

Irene                                - Che dici? Andiamo!

Linda                               - No: lo sento. Mi consumerò. Non potrò resi­stere. Morirò.

Irene                                - Sei piena di salute!

Linda                               - E' un uomo così superiore... Non è come gli altri. Se tu sapessi... E poi tutte le donne se ne innamo­rano, me lo porteranno via...

Irene                                - Ma no; perchè?

Linda                               - Perchè tutte vedranno quel che ho visto io. E allora... E' Spaventoso!

Irene                                - Hai preparato il terreno con la direttrice per domattina?

Linda                               - Che cosa?

Irene                                - Se devi essere malata per non scendere in chiesa...

Linda                               - Sta zitta. Non dire.

Irene                                - Perchè? Ma che hai?

Linda                               - Paura. Paura di tutto. (Un po' esaltata) Andrò: mi confesserò. Dirò la verità. E' necessario.

Irene                                - Prometterai anche di non vederlo più?

Linda                               - Che serve? Non lo vedrò più egualmente. In America. Posso promettere qualunque cosa.

Irene                                - Sei coraggiosa...

Linda                               - E' diverso: sono disperata, Irene! No. Non ho la forza di rivederlo...

Irene                                - Ma come? Se è l'ultima volta...

Linda                               - Appunto. Non posso. Non resisto. Sento che non potrei... Irene! Io morirò stasera!

Irene                                - A che ora deve venire?

Linda                               - Dovrebbe già essere qui. Perchè tarda tanto? Che avrà fatto?

Irene                                - Calmati. E perchè qui poi e non laggiù? Dalla porticina del giardiniere?

Linda                               - Perchè volevo vederlo senza uscire. Ma forse hai ragione... Forse è laggiù che mi aspetta... Vuoi an­dare a vedere? No: vado io. Corro. (Sparisce nel parco. Irene rimane presso il cancello. Di fuori si avvicina Piero, si accosta).

Irene                                - No. Non sono Linda. E' andata presso la por­ticina del giardiniere.

Piero                                - Ah! (fa per avviarsi).

Irene                                - Nò. Torna subito. Si fa più presto dall'in­terno. Le conviene aspettare qui.

Piero                                - Grazie. Lei è...?

Irene                                - La sua grande amica.

Piero                                - Lo so. M'ha parlato tanto di lei.

Irene                                - E' così buona, Linda. Non la faccia soffrire.

Piero                                - E perchè dovrei farla soffrire?

Irene                                - Con l'America. Sapesse com'è disperata! Tanto più che domattina ha la comunione.

Piero                                - Bisogna che parta.

Irene                                - Come si fa a partire quando si è innamorati davvero? E poi lei non è ancora giovane per andare in America?

Piero                                - Bisogna andarci giovani se si vuol riuscire a qualcosa.

Irene                                - E quando tornerebbe?

Piero                                - Non so. A Linda non lo dica, ma tutto è ancora indeciso. Vado a Filadelfia.

Irene                                - E' crudele, ma l'ammiro.

Piero                                - Perchè?

Irene                                - Perchè va per il mondo, solo, a farsi la sua strada. E' molto bello.

Piero                                - Sarà una vita rude, laggiù. Non mi faccio illusioni. Ma mi piace lavorare.

Irene                                - Ma la famiglia?

Piero                                - La mia famiglia? Mio padre...

Irene                                - No: farsi una famiglia. Sposare, avere dei figliuoli..

Piero                                - Certo. E' il mio sogno. Non creda che io soffra meno di Linda, a staccarmi da lei. Le voglio molto bene. Ma bisogna sacrificarsi: quando una cosa è impossibile...

Irene                                - Un uomo come lei non dovrebbe pronunciare mai questa parola.

Piero                                - Come vuole che si faccia? Se mi vuole bene anche lei, mi aspetterà. E' necessario.

Irene                                - E' troppo saggio per un giovane.

Piero                                - Se poco fa, ha detto...

Irene                                - Sì: ma tuttoi sommato non approvo. Se non fa ora qualche sciocchezza piena di poesia e di ebbrezza, quando la vuol fare? A cinquantanni? Troppo positivo.

Piero                                - Al giorno d'oggi, con le difficoltà della vita, guai.

Irene                                - Come ha fatto Linda a innamorarsi di lei?

Piero                                - Ora non mi ritiene neanche degno del suo amore...?

Irene                                - Non è questo: ma conosco Linda. E' così sensibile: non capisco come...

Piero                                - E' stato a una recita di beneficenza... Dove­vamo recitare le parti di due innamorati. Abbiamo pro­vato tanto...

Irene                                - Allora si spiega...

Piero                                - Perchè?

Irene                                - Lei parlava con parola altrui. Magari in versi.

Piero                                - Sì. Era la « Partita a scacchi » di Giacosa.

Irene                                - Ebbene, ha torto ad andarsene: Linda ha dell'altra gente che si interessa a lei.

Piero                                - Come? Se m'ha detto che è disperata per me.

Irene                                - Non vuol dire. Anche una donna disperata può piacere ad altri. C'è sempre gente pronta ad offrire una consolazione.

Piero                                - Per Linda metto la mano sul fuoco.

Irene                                - Non si sa mai. (Ricompare Linda: resta un po' indietro). Che hai fatto?

Linda                               - Aspettavo lì. Non sapevo... Gli hai parlato? Vero che è affascinante?

Irene                                - (piano) Sì. Forse non parte più.

Linda                               - Cosa?

Irene                                - Se sei furba, non parte. Ma non sei furba... Vi lascio. (A Piero) Buonasera. E buon viaggio. (Esce).

Linda >                           - Piero!

Piero                                - Vieni più vicina.

Linda                               - No.

Piero                                - Perchè?

Linda                               - Ho paura, Piero. Ho talmente paura...

Piero                                - Ma di che? Tutt'a un tratto?

Linda                               - Sì; stasera.

Piero                                - Ma così non ti vedo nemmeno.

Linda                               - E' meglio.

Piero                                - Ci sono già le sbarre tra noi! Non ti basta?

Linda                               - E intanto paesano i minuti. Li buttiamo via.

Piero                                - Linda! Linda!

Linda                               - Sono il tuo primo amore, io?

Piero                                - Il primo vero amore.

Linda                               - Giuramelo!

Piero                                - Te lo giuro. Dammi un bacio.

Linda                               - Quando si va a trovare qualcuno in prigione, dev'essere così: un bacio traverso le sbarre.

Piero                                - Hai fiducia in me? Dimmi che hai fiducia: che mi aspetterai.

Linda                               - Sì. Quello che vuoi.,

Piero                                - Non essere così triste.

Linda                               - Triste? Se non piango nemmeno!

Piero                                - Sapessi che forza mi occorre per strapparmi di qui. Fammi vedere i tuoi occhi. Non li vedo bene. Voglio ricordarli.

Linda                               - Oggi avevo tanto coraggio... mi pareva di averlo. No: non li guardare. Ho paura che piangano.

Piero                                - Non potevi uscire stasera? Dall'altra parte?

Linda                               - No.

Piero                                - Perchè?

Linda                               - Sono io che non ho voluto. E' peggio-.

Piero                                - Linda! Perchè?

Linda                               - Guarda: ho la chiave anche di questo cancello.

Piero                                - Dàlia a me.

Linda                               - No, no. Dopo, come vuoi che faccia a stac­carmi da te?

Piero                                - No: apro io.

Linda                               - Bada: cigola. Si sente di sopra se si apre il cancello. (Piero gira la chiave nella serratura).

Piero                                - Farò piano piano.

Linda                               - No: io non esco. Piero! Se qualcuno sente, scappo... Bada, se si accende un lume a una finestra, scappo...

Piero                                - Non aver paura. Ecco! Hai visto? Vieni.

Linda                               - No.

Piero                                - Perchè?

Linda                               - Non posso.

Piero                                - Entro io nel parco.

Linda                               - No: è peggio. Non vengo perchè domattina devo confessarmi.

Piero                                - Bambina!

Linda                               - Tu ridi di me. Non ridere...

Piero                                - No. Ma Dio non può certo condannarci se ci.1 vogliamo bene.

Linda                               - Non so. Non tutto è permesso.

Piero                                - Vieni tra le mie braccia. (Linda esce furtiva­mente). Vieni qui.

Linda                               - No: sta buono. (Si stringono). E ora? E ora come si fa a separarci? Dimmelo!

Piero                                - Mi ami tanto?

Linda                               - Tanto. E' più forte di me. Sai, tutte le mie compagne, qui, sono innamorate di te.

Piero                                - Come? Se non mi conoscono!

Linda                               - Sarà per questo!

Piero                                - Impertinente!

Linda                               - Non dovevamo amarci. Quando dopo bisogna soffrire tanto, meglio non amare.

Piero                                - Avresti potuto fare diverso?

Linda                               - No.

Piero                                - E allora?

Linda                               - Ma domani che dico- al confessore?

Piero                                - Non dir niente.

Linda                               - Non posso. E' un peccato, questo!

Piero                                - Non è un peccato.

e peccato.

Piero                                - tenzioni?

Linda                               -

Linda                               - Sì che è peccato. Se poi io sposo un altro

Come, se sposi un altro? Hai di queste in-No. Amerò solo te, tutta la vita. Ma, e se invece... Piero! Capisci? E' peccato. E' troppo dolce per non essere peccato. E poi il confessore mi chiederà... Bi­sogna che glielo dica. Che gli dica tutto.

Piero                                - Se in tutta la vita non dovrai avere peccati più gravi!

Linda                               - Che credi? Che debba diventare una pec­catrice?

Piero                                - Ma no... Povera piccola!

Linda                               - Come faccio? Non oserò mai. E poi... poi...

Piero                                - Che c'è?

Linda                               - Se mi chiedono di rinunciare a te, come pe­nitenza, io non posso....

Piero                                - Sarò così lontano.

Linda                               - Non te n'andare. Non mi lasciare sola.

Piero                                - Che vuoi che faccia? Bisogna.

Linda                               - Piero! E se avessi un bambino?

Piero                                - Cosa dici?

Linda                               - Sì. Che succederebbe con te laggiù?

Piero                                - Ma no, cara. Non è possibile. Non ti esaltare.

Linda                               - Tutto è possibile.

Piero                                - Ma no.

Linda                               - (abbracciando stretto Piero) Sei mio, mio, mio.

Piero                                - Amore!

Linda                               - Baciami ancora.

Piero                                - Mio tesoro...

Linda                               - Dimmi ancora, come dicevi l'altra sera, che guarderai la nostra stella...

Piero                                - Ora mi hai rubato il coraggio. Non so più neanch'io cosa fare.

Linda                               - Di': ci sarà mai stato nessuno che si è amato così nel mondo?

Piero                                - Che so? Che m'importa degli altri?

Linda                               - Quando c'è un amore così si dovrebbe aver la forza di compiere qualcosa di degno di quest'amore. Di grande.

Piero                                - Che vuoi fare, bambina?

Linda                               - Non sono una bambina. Oramai...

Piero                                - Cosa sei?

Linda                               - Tua moglie. La tua donna. Davanti a Dio. Nessuno può separarci. Niente.

Piero                                - Sì.

Linda                               - Vengo con te.

Piero                                - Che dici?

Linda                               - Fuggo. Lascio il collegio. Ora. Scappo con te.

Piero                                - Linda!

Linda                               - Non vuoi? Non mi ami abbastanza?

Piero                                - Non bestemmiare...

Linda                               - Se esiti, vuol dire che non mi ami abba­stanza.

Piero                                - Io non esito. Ho solo paura per te. Che sarà? Se ti penti?

Linda                               - Non mi pento. Non posso far altro. Senza di te non posso vivere. Non potrei vivere.

Piero                                - E la tua famiglia?

Linda                               - Ci sposeremo. Acconsentiranno a sposarci su­bito. Vuoi?

Piero                                - Amore! Vieni...

Linda                               - No.

Piero                                - Come, no?

Linda                               - Era per vedere quanto mi amavi. Se era vero il tuo amore. Ora lo so. Mi basta. Sono quasi felice. Puoi partire solo.

Piero                                - Così fanno i ragazzi che vogliono provare a fare come i grandi. Noi non siamo ragazzi.

Linda                               - Oseresti?

Piero                                - Sì: devi venir via. Ha ragione quella tua compagna, Irene. Siamo troppo borghesi, pratici. Una pazzia bisogna farla nella vita. E bisogna farla ora quando si è giovani. Tu m'hai suggerito quale dev'essere...

Linda                               - (tremante) No, Piero, no. Non dir più neanche una parola.

Piero                                - Devi fuggire con me. Sarà quel che sarà. Vieni.

Linda                               - Piero!

Piero                                - Hai paura? Non ti fidi del mio amore?

Linda                               - Non è questo. Non posso' lasciare il collegio, gli studi...

Piero                                - Ami più il collegio di me?

Linda                               - Sarà un grande dolore per papà.

Piero                                - Lo ami più di me?

Linda                               - Come si fa?

Piero                                - Non ripassi più il cancello... lo lasci così.

Linda                               - No! Senza dir niente a nessuno?

Piero                                - Senza dir niente a nessuno.

Linda                               - Ci scopriranno subito. Con questi vestiti!

Piero                                - Domani saremo già lontani.

Linda                               - Dove? Dove saremo?

Piero                                - Dovunque, felici.

Linda                               - Dio!

Piero                                - Che fai?

Linda                               - Zitto. Lasciami pregare. (Si fa il segno della croce). Se Iddio non vuole, qualcuno comparirà a richia­marmi e io rientrerò... Comparirà óra. Mentre sto pre­gando. (Bisbiglia una preghiera) Non c'è nessuno?

Piero                                - Vieni. Era destino... (Escono lungo il viale).

Irene                                - (comparendo dietro il cancello) C'ero io. Ma non m'hanno veduta... (chiude piano piano il cancello).

Fine del terzo atto

ATTO QUARTO

(Un giardino nella villa di Irene, poco lontana da una grande città. L'autunno ha ingiallito gli alberi. Una tavola è apparecchiata sul davanti con una decina di coperti: tavola preparata con un grandissimo gusto. E' verso il tramonto: ma c'è ancora la luce del giorno. Un radiogram­mofono a destra. Qualche poltrona in istile novecento, sul davanti. All'alzarsi del sipario, Mariano, cameriere molto distinto di circa sessantanni, sta dando gli ultimi tocchi alla tavola. Entra Irene, la padrona di casa, vestita elegan­temente di nero: è una donna di circa cinquantanni, che ha conservato la linea snella, elegante di quand'era ragazza, comandante delle patrizie: ora è più patrizia che mai, ma con tatto, signorilità e discrezione; da quando ha perduto il marito veste di nero; ha i capelli lieve­mente grigi).

Irene                                - Siamo a posto?

Mariano                           - Sì, signora contessa.

Irene                                - Hai portato i dischi?

Mariano                           - Tutti quelli che ho trovato.

Irene                                - Non hanno mandato l'« Ideale » di Tosti?

Mariano                           - Mi pare. Aspetti. (Va a verificare tra i dischi) Sì, signora contessa. C'è.

Irene                                - Va bene. L'autista è andato?

Mariano                           - Sarà già mezz'ora, signora contessa. (Entra Sergio, ventisei anni, ufficiale di marina).

Sergio                              - E lo champagne? Non hai preparato Io champagne, mamma?

Irene                                - Ci sarà anche lo champagne.

Sergio                              - Lo dici per tentarmi? No: dovevi invitare allora anche le figlie delle tue amiche. Allora...

Irene                                - Non credo che ci siano figlie. Almeno che io sappia...

Sergio                              - Non sai? Non sono amiche?

Irene                                - No: compagne di collegio. E' un'altra cosa. Ci siamo perdute di vista da tanti anni.

Sergio                              - E allora che t'è venuto in mente proprio oggi?...

Irene                                - E' stato per la signora Palazzi: la nostra vecchia maestra di piano. Compie settant'anni.

Sergio                              - Salute!

Irene                                - Allora ho pensato di radunare le antiche sue allieve; quelle che si potevano ripescare... Ma ne ho ripe­scate poche...

Sergio                              - Perchè?

Irene                                - Disperse. Qualcuna morta. Qualcuna finita chissà dove.

Sergio                              - Sei rimasta sentimentale, mammina. Non vai d'accordo con i nostri tempi.

Irene                                - Vedrai quando avrai cinquant'anni, come ti piacerà ritrovarti ogni tanto con i tuoi compagni dell'ac­cademia...

Sergio                              - Allora chissà le cose che avrete da dirvi, stasera! Sarei tentato di rimanere. Ma forse la mia pre­senza impedirebbe le confidenze. Non credi?

Irene                                - Dove avevi intenzione d'andare?

Sergio                              - Non so ancora bene: aspetto ordini telefonici.

Irene                                - Ah! Ho capito...

Sergio                              - Però non farò tardi: te lo prometto.

Irene                                - Le due? Le tre soltanto? Io, della tua li­cenza, godo ben poco.

Sergio                              - Abbi pazienza, mamma. Purtroppo le licenze di noi marinai non sono per le mamme. Che ci vuoi fare?

Irene                                - Abbi giudizio, almeno!

Sergio                              - Non sei soddisfatta di me? Hai qualche cosa da obbiettare? Mimma non è deliziosa? Avanti: confessa.

Irene                                - Si capisce che è deliziosa. Ma...

Sergio                              - Non voglio ma. Li respingo tutti sdegnosa­mente. Deliziosa, e basta.

Irene                                - Avete solo un po' precipitato le cose. Un po' troppo.

Sergio                              - Per forza: è il secolo della velocità. (Du­rante questa scena Mariano sarà scomparso, riapparso. Si udrà il rumore di una macchina).

Irene                                - Ecco Roberto.

Sergio                              - Ma no, mamma. Possibile che tu non conosca ancora il suono del nostro motore? Questa è una quat­tro cilindri. E scassatella anche. (Dal fondo compare Vit­toria, un pochino ingrassata, molto ossigenata, molto di­pinta. E' sempre miope, ma si aiuta con l'occhialino).

Vittoria                            - Dov'è? Dov'è la nostra Irene? Oh, ma che meraviglia questa tua villa! (Abbraccia Irene) Un sogno! Hai scelto un posto ideale. Io non riuscivo a trovarlo... ma vedo che sono la prima lo stesso...

Irene                                - Vittoria, lascia intanto che ti presenti mio figlio... La signora D'Agata.

Vittoria                            - Oh, ma ohe bel figliuolo-! Straordinario! Ma quando l'hai fatto? In collegio? Di nascosto?

Irene                                - E' il minore. L'altro è in Africa.

Vittoria                            - Marina ed esercito. Tutto per la patria. Magnifica! Si chiama, questo?

Irene                                - Sergio!

Vittoria                            - Bel nome! Mi piace. Ma abiti proprio in un luogo delizioso. E' città e campagna nello stesso tempo.

Irene                                - Hai detto al tuo autista di rimanere, vero? Mangia qui.

Vittoria                            - Ecco, io...

Irene                                - Sergio, vuoi avvertire per favore? (Sergio scompare).

Vittoria                            - Ti invidio: un figliuolo così!

Irene                                - Ma l'ho così poco. Licenze rare e brevi. E quando ci sono, che vuoi fare?, è sempre fuori, con gli amici.

Vittoria                            - La gioventù! Per forza! E chi ci sarà, sta­sera, delle nostre compagne?

Irene                                - Linda, Eugenia, Andreina.

Vittoria                            - Andreina? Oh, che gioia! Sono anni che non la vedo! E che fa? Sempre arte? Teatro? Cinema­tografo?

Irene                                - No, no. Ha smesso.

Vittoria                            - Non aveva vocazione. Io l'ho sentita reci­tare: dilettante. Troppo dilettante. Non trovi?

Irene                                - E poi Elena.

Vittoria                            - Ah, la ghiottona! E come le hai ritrovate? Non deve mica esser stato facile.

Irene                                - Mi ha aiutata la signora Palazzi. Lei ha con­servato gli indirizzi. Ha sempre mandato una cartolina a tutte per capodanno.

Vittoria                            - Che cara! Come ci voleva bene... E come sta ora?

Irene                                - La vedrai tra poco. Una vecchietta adorabile. Da me viene a colazione ogni martedì. (Rientra Sergio).

Vittoria                            - A me la divisa è sempre piaciuta tanto. Ricordi, Irene? In collegio mi pigliavano in giro per questa mia debolezza. Ma le spalline, allora, avevano un fascino irresistibile.

Sergio                              - Peccato che ora si mettano di rado.

Vittoria                            - Non importa.

Sergio                              - E qua! è l'arma che predilige?

Vittoria                            - Marina ed aviazione.

Sergio                              - Grazie.

Vittoria                            - No: sono confusa. Quando penso che que­sto ragazzo, in fondo, potrebbe essere mio figlio. E' scan­daloso!

Irene                                - Perchè?

Vittoria                            - Niente. Idee che mi passano per la testa. (A Sergio) Ma io ero assai più giovane di Irene. Vero, Irene?

Irene                                - (indulgente) Sì: eri più giovane, di qualche anno. Ma ora sei più giovane di molti anni.

Vittoria                            - Sì: che ci posso fare? Non mi arrendo. In­vecchiare non mi va. E' terribile per una donna che ha ancora l'anima fresca, curiosa di sensazioni. Sto scrivendo un romanzo su questo argomento. Ma non lo pubblicherò. Almeno per ora. Troppo compromettente.

Sergio                              - Ah, lei scrive?

Vittoria                            - Come? Irene non le ha detto? Sicuro. Ho anzi mandato i miei due romanzi ad Irene. Vero, Irene? Naturalmente, non li avrai letti.

Irene                                - Ma, sì: anzi.

Vittoria                            - No: non li hai Ietti.

Irene                                - Ti dirò: li ho cominciati. Ma sono così... come dire?... audaci, che...

Vittoria,                           - Come sei rimasta alle idee di una volta. Oggi ci vuole audacia. Vero, Sergia?

Irene                                - E tuo marito, che ne dice?

Vittoria                            - Oh, è della tua opinione anche lui. Ma io non gli do retta. Basta che paghi le spese d'edizione. Guai se l'arte dovesse venir mutilata dalle esigenze dome­stiche. Mio marito, purtroppo', è borghese.

Sergio                              - Credevo che, data la sua predilezione per le spalline, avesse sposato...

Vittoria                            - No. E' medico. Spero che lei resterà qui, con noi, stasera... Il pranzo sarà molto più animato se un brillante ufficiale...

Sergio                              - Ecco, veramente...

Irene                                - Ha un impegno.

Vittoria                            - Ah, Sergio! Non è bello tradirci cosi... (Ru­more di automobile).

Sergio                              - Ecco: questa è la nostra macchina. Senti, mamma?

Irene                                - Ho mandato a prendere la signora Palazzi e Linda, Abitiamo piuttosto lontani.

Vittoria                            - (scorgendo il radiogrammofono) Guardi, Sergio: si potrà anche ballare. Non ci abbandoni. (Com­paiono Linda e la maestra di piano, una vecchietta di settantanni: Irene va loro incontro).

Irene                                - Oh, brave! Cara signora... Ancora la stagione lo consente, ho fatto preparare all'aperto.

La Maestra                      - Si capisce. Benissimo.

Irene                                - Si ricorda di Vittoria?

La Maestra                      - (un po' incerta) Vittoria?

Vittoria                            - Ma sì. Che volevo sempre suonare Chopin...

La Maestra                      - Ah, già... già... Oh, ma com'è rimasta giovane!

Vittoria                            - Troppo buona. Sì, per gli altri, tutti, ho trent'anni ora. Ma con lei, che vuole? Impossibile men­tire!

La Maestra                      - Ma non era bionda...

Vittoria                            - Lo ero un po' meno. Insomma... Ma lei come sta bene!

La Maestra                      - Grazie a Dio... Settanta, sono settanta. Oramai non c'è più nessuna civetteria a diminuirseli. Tutt'altro.

Vittoria                            - Linda! E come stai?... Quanti anni!

Linda                               - Già.

Vittoria                            - Non ho mai più saputo niente di te. Non ti si vede da nessuna parte.

Linda                               - Vivo molto ritirata.

Vittoria                            - E, scusa se sono indiscreta... Famiglia?

Linda                               - No. Niente.

Vittoria                            - I tuoi genitori? Sì: tuo padre, ricordo, l'ho letto sul giornale quand'è morto. E' stato, mi pare, nel millenovecentoventi...

Linda                               - Nel millenovecentodiciotto.

Vittoria                            - Ecco, appunto, nel diciotto. Io ero a Ve­nezia. Mio marito, durante la guerra, era tenente medico'. L'ho conosciuto in un ospedale. E' stato anzi molto ro­mantico. Allora era un bell'uomo, mio marito. Poi si è ingrassato ed è diventato banale. Vieni a curarti da lui... E' bravo, sai.

Linda                               - Ma io sto benissimo.

Vittoria                            - Non importa. Tanta gente sta bene e si cura lo stesso.

Irene                                - (a Linda) Ed Eugenia? jlIinda    - f9bn può venire. fT'maiata.

Irene                                - Che ha?

Linda                               - Ha preso freddo. Non ha riguardo: con tutti i suoi traffici di assistenza sanitaria...

Irene                                - Be', domani andrò a trovarla. Mi spiace.

Linda                               - E neanche Anita... Quella poi se n'è andata. Ho telefonato. Non se n'è ricordata più o che so io. E' partita per una gita. Tornerà fra due giorni.

Irene                                - Toglieremo tre coperti, allora.

Linda                               - Due.

Irene                                - Anche Sergio non potrà rimanere...

Linda                               - No?

Irene                                - Signora Palazzi, vuole entrare un istante? Vittoria, ti faccio vedere la casa, intanto.

Vittoria                            - Magari! Sergio, viene anche lei?-

Sergio                              - Subito...

La Maestra                      - (avviandosi) E' un autunno così dolce...

Linda                               - (a Sergio) Perchè non rimane a pranzo? (Le altre tre donne si allontanano).

Sergio                              - Avrei voluto rimanere veramente... La mam­ma ci teneva... Ma ci sono degli amici... E poi questa è una festa fra di voi. Io sarei un estraneo. Disturberei.

Linda                               - Già. Non siamo persone della tua età.

Sergio                              - Che vuol dire? Non è questo. Ma avrete tanti ricordi, tante piccole cose da dirvi. Io potrei essere un impaccio. Non ti pare? E allora, ho accettato. Ma non so ancora bene... Devono telefonarmi.

Linda                               - Non è più come prima, questa volta.

Sergio                              - Ma no. Che dici?

Linda                               - Ssst. E' giusto, del resto.

Sergio                              - Linda! Perchè vuoi sempre lamentarti? Se ricordi bene, anche durante l'altra mia licenza non fa­cevi che ripetermi: non sei più lo stesso!

Linda                               - Può darsi. Perchè non eri come avrei vo­luto io...

Sergio                              - Non si è mai così. Nessuno.

Linda                               - Ma, questa volta, sempre occupato, sempre distratto. Io devo accontentarmi di parlare di te con tua mamma. E se ne parlo troppo, finisce che magari si allarma. Allora...

Sergio                              - Non immalinconirti. Non bisogna. La vita è bella.

Linda                               - Lo so. Ma è difficile essere gai quando si è soli, alla mia età.

Sergio                              - Ma perchè soli? Non è vero. Tu hai sempre la mania di prendere le cose al tragico.

Linda                               - Scusami. Ho sbagliato sempre nella vita... Tu sei il mio ultimo errore.

Sergio                              - Grazie.

Linda                               - C'è sempre uno che dà di più e soffre, l'altro che dà di meno e fa soffrire. Io ho sempre dato di più. Con te, poi... Che idea, che pazzia! Un ragazzo... Non bisogna illudersi fino a questo punto... I ragazzi, si sa, giocano. E, in fondo, ora tu mi devi disprezzare.

Vittoria                            - (ricomparendo) Traditore! Ma io intanto ho violato la sua intimità. Sono entrata anche in camera sua... Quante fotografie di donne! Complimenti!

Sergio                              - Amicizie. Innocentissime!

Vittoria                            - Bravo. Discrezione... Dunque, mi dica: questa nuova generazione come ama? Poco? Tanto? Ho come l'idea che abbiano fatto subire una svalutazione anche all'amore!

Sergio                              - Solo apparente, nel caso: quello è un valore eterno.

Vittoria                            - Bravo! Mi piace...

Irene                                - (di dentro) Sergio!

Sergio                              - Scusino... (Esce).

Vittoria                            - Irene è felice: due figlioli. E' una gran cosa. E tu, invece...

Linda                               - Che vuoi? Ci siamo separati così giovani.

Vittoria                            - E ora dov'è?

Linda                               - E' sempre rimasto laggiù: in America.

Vittoria                            - Ne hai notizie?

Linda                               - No. Da anni. Estranei. Completamente estranei.

Vittoria                            - Un peccato. Pensare che allora il vostro, per noi, sembrava il modello dell'amore perfetto, eterno. Giulietta e Romeo.

Linda                               - Anche quelli, cara, hanno avuto la fortuna di morire giovani, se no chissà come sarebbero andati a finire!

Vittoria                            - Può anche darsi. (A Mariano) Si può avere un bicchiere d'acqua? Io muoio di sete.

Mariano                           - Subito, signora.

Linda                               - Io ti ammiro: hai ancora una tale energia, tu!

Vittoria                            - Sono le ultime trincee: l'eroismo finale, prima della resa. (Mariano le porge l'acqua da bere) Grazie! (Beve). Dopo viene il periodo dei ricordi: clas­sificazione dei ricordi. (Osservando Mariano) Ma io co­nosco questo viso. Dov'era? Siete stato a servizio da me?

Mariano                           - Nossignora.

Vittoria                            - Eppure... Va be', non importa.

Mariano                           - Prego, signora. (Si allontana).

Vittoria                            - Io l'ho già visto. Non ricordo più dove. Dev'essere molto tempo fa... (Rientrano Irene e la maestra).

La Maestra                      - Ti sono così grata, Irene, di questo pensiero gentile. Tu non hai idea che cosa vuol dire per me trovarmi fra le mie care allieve, come lassù. (La maestra siede). Ricordate la direttrice? E' morta. Sono stata l'anno scorso su al collegio: l'hanno tutto rinnovato. Molto bello, ora. Le maestre sono tutte giovani. La musica si insegna meno. Ora più che altro lingue e sport. Sono cambiati i tempi. E voi, musica... Niente più?

Vittoria                            - Io vado a qualche concerto...

Irene                                - Che vuole? Allora si credeva... Poi è venuta la radio. Il cinematografo.

Vittoria                            - L'aeroplano. Non c'era nemmeno l'aero­plano, allora.

La Maestra                      - Che sconvolgimento! E guerre. E inven­zioni. E velocità.

Linda                               - Siamo vecchie. Tutta gente del secolo scorso.

Vittoria                            - Inutile dirlo lo stesso!

Irene                                - Che fa Elena?

Vittoria                            - Ha l'automobile?

Irene                                - Ma certo. E andava lei a prendere la sorella: di nascosto del marito, s'intende. La Maestra        - Perchè?

Irene                                - Il marito di Elena è un po' all'antica: e dopo che Andreina ha fatto l'artista, gli sembra una donna da non frequentarsi. Allora Elena la vede di contrabbando: e l'aiuta anche, perchè Andreina, poveretta, tira avanti con difficoltà.

Vittoria                            - Ha fatto una grande sciocchezza a pian­tare il marito. Già io sono del parere che i mariti non si piantano mai, in nessun modo. Se hanno dei torti bisogna fingere di non accorgersene. E se abbiamo dei torti noi, bisogna che nessuno ne venga a conoscenza.

Linda                               - Infatti è il sistema più pratico. Vittoria  - (prendendo in disparte Irene) Quel tuo servitore, dove l'hai pescato?

Irene                                - Perchè?

Vittoria                            - Non so. E' un viso che non mi ri nuovo.

Irene                                - Come? Ah, certo... Sai chi è? Mariano.

Vittoria                            - Mariano?

Irene                                - Sigfrido! Il cacciatore. Non ricordi in montagna, col coniglio selvatico?...

Vittoria                            - Ah?! Oh, ma è quello che io ho baciato!

Irene                                - Trent'anni fa. Non ha importanza.

Vittoria                            - Comunque, è piuttosto imbarazzante… E come mai è finito da te?

Irene                                -. Ha smesso di fare la guida. E' diventati meriere e allora...

Vittoria                            - E ci servirà a tavola?

Irene                                - Certo!

Vittoria                            - Irene, io non sono formalista... Ma farmi servire da un cameriere che io ho baciato...

Irene                                - (candida) E' la prima volta?

Vittoria                            - Irene! Ma cosa credi? Sento che arrossirò…

Irene                                - Nessuno se n'accorgerà.

Vittoria                            - Ma è inaudito... (osserva Mariano con l'occhialino). Sicuro! Era una mattina d'aprile...

Irene                                - Già...

Vittoria                            - Io prima gli ho chiesto ingenuamente se era stato a servizio da me... Era una faccia che mi ricordava qualcosa.

Irene                                - (ridendo) E lui?

Vittoria                            - Oh, niente; impassibile.

Irene                                - E' pieno di discrezione.

Vittoria                            - Ma credi che m'abbia riconosciuta? Difficile ritrovare in me la ragazzina d'allora.

Irene                                - Può darsi che non ti abbia riconosciuta. (Entrano dal fondo Elena ed Andreina).

Elena                               - Scusateci: siamo in ritardo. Abbiamo bucato una gomma...

Irene                                - Elena! Ricordi tutti, vero? Vittoria... Linda….

Elena                               - (alla maestra) Posso darle un bacio?

La Maestra                      - Grazie, cara. E Andreina?

Andreina                         - Cara signora...

Elena                               - Addio, Linda... Spero che ci metteremo subito a tavola. Io ho fame!

Irene                                - Aspettavamo solo voi.

Elena                               - Non c'è nessun'altra?

Irene                                - Le superstiti. L'ultima pattuglia ancora unita. Mariano! Puoi servire.

Linda                               - E tuo figlio?

Irene                                - (a Mariano) Chiedi un po' al signorino  cos'ha deciso.

Elena                               - La sola cosa che mi è rimasta inalterata dal collegio, è la fame. Tale e quale.

Irene                                - A capotavola mettiamo la festeggiata. O in mezzo?

La Maestra                      - Dove volete.

Irene                                - In mezzo. E poi sediamoci così come viene.

La Maestra                      - No: mettiamoci come eravamo in refettorio lassù.

Vittoria                            - E chi se ne ricorda?

La Maestra                      - Io. Irene, qua, vicino a me. E Andreina alla mia sinistra.

Vittoria                            - Le due capobanda delle fazioni opposte.

La Maestra                      - Tu, Vittoria, vicino ad Andreina,  Linda vicino ad Irene. Ed Elena: in mezzo c'erano Anita e Fortunata. Ma non ci sono.

Sergio                              - (comparendo) Sono desolato... Oh, signora….. (Saluta Andreina ed Elena). Ma bisogna proprio che  vada. Mamma, prendo la macchina. Ma te la rimando subito. Buon appetito a tutta la tavolata. E auguri.

Linda                               - Di che?

Sergio                              - Non compie i settantanni?

La Maestra                      - Eh, sì.

Sergio                              - Auguri.

(Si avvia: poi ritorna, bacia un'altra volta la mano ad Andreina).

Andreina                         - Oh, perchè questa preferenza proprio a me?

Sergio                              - Così. (E se ne va definitivamente).

La Maestra                      - Un gran caro ragazzo.

(Mariano aiutato da una cameriera serve il pranzo).

Andreina                         - E dell'altro tuo figliolo, notizie?

Irene                                - Sì, ma di rado. Le mamme sono sempre un po' sacrificate, per forza.

La Maestra                      - Trent'anni. E che anni son passati! Eravate ragazze, tutte unite dai piccoli intrighi, dai pic­coli dispetti... Ed eccovi qua che avete fatto tutte la vostra vita, e non vi conoscete quasi più.

Irene                                - Oh, no.

Vittoria                            - (a Mariano che la serve) Grazie.

La Maestra                      - Sì; siete un po' impacciate. Faccio io le spese della conversazione. Allora a tavola, era un brusio: tutte chiacchieravano. E io a dirvi: «Zitte». Macché. Avevate tante cose da dirvi. Cioè, niente. Ora che avreste veramente molte cose da comunicarvi, ora tacete davvero.

Elena                               - Bisogna ritrovare l'affiatamento.

La Maestra                      - Ecco!

Vittoria                            - Quando penso che allora non si adoperava il rossetto! Incredibile! Cioè...

Elena                               - Lo adoperavi anche allora?

Vittoria                            - No: ma sapete chi lo adoperava? La maestra di piano. La nostra cara signora Palazzi!

La Maestra                      - Io?

Vittoria                            - Sicuro. Io l'ho scoperto. Solo i giorni di uscita, si intende. GlieFho trovato io. E, di nascosto, l'ho adoperato, una volta. E' stato il primo! rossetto della mia vita...

La Maestra                      - Mi fate confondere.

Irene                                - Briccona la nostra maestra. Civettina, eh?

La Maestra                      - Non ricordo, veramente...

Vittoria                            - Oh, io sì. E per chi se lo metteva, sentiamo?

La Maestra                      - Ma per nessuno.

Elena                               - No, non è possibile. Il rossetto è una dedica, la dedica della bocca.

Irene                                - Ma sentila la ghiottona!

Mariano                           - (a Vittoria) Un po' di vino? Permette?

Vittoria                            - Grazie.

La Maestra                      - Ha ragione Elena. Qualcuno c'era. Il pretore. Piccole illusioni. Niente.

Irene                                - A proposito, sapete chi si è data alla magi­stratura? Lucia. Ricordate Lucia?

Elena                               - E come! La più tonta di tutte. Quella che pigliava i rami secchi per serpenti!

Irene                                - Quella, mia cara, ha fatto strada. Suo marito è presidente di Corte d'Appello. Io l'ho rivista due o tre volte. Ora è all'estero per non so che congresso, col marito, s'intende.

Andreina                         - Anche Carla è all'estero. L'ho incontrata ad Ostenda un anno.

Linda                               - Che faceva?

Andreina                         - Oh, non so bene... Aveva molti gioielli. Molti amici.

Irene                                - Vita libera.

 Elena                              - Quello che avrebbe voluto fare Eugenia. Ri­cordate? Amore senza matrimonio...

Irene                                - Poveretta! E' rimasta zitella. Ma s'è dedicata alla Croce Rossa.

Vittoria                            - Ha fatto bene. Era così poco seducente.

Andreina                         - Che vuol dire? Non è la bellezza quella che conta!

Linda                               - In fondo, nessuna di noi ha fatto la vita che sognava di fare. Eravamo partite piene di illusioni... Di propositi travolgenti. E poi...

Elena                               - Volete che vi faccia una confessione? Vi dirò un segreto.

Vittoria                            - Sì, sì.

Elena                               - Io, in collegio, credevo d'essere destinata a qualcosa di importante. Sentivo in me il sacro fuoco.

Irene                                - Dell'arte?

Elena                               - Non lo so. Non importa. O di fare qualcosa di grande. O di essere la compagna di qualcuno che dovesse compiere grandi cose. Non dicevo niente a nes­suno, ma in fondo mi ritenevo superiore, segnata dal destino. Ed ero sicura di dovervi sbalordire un giorno colla rivelazione delle mie virtù segrete. Nessuno, nean­che Andreina era al corrente di queste mie ambizioni. Per un po' ho pensato di fare la compositrice di musica, poi la diva di cinematografo, poi di sposare un prin­cipe, poi un eroe. Che sciocchezze, vero?

Vittoria                            - No: anch'io contavo, con le mie poesie.

Linda                               - E io? Credevo d'essere l'eroina d'un amore come Tristano ed Isotta...

Andreina                         - Io ho fatto il tentativo. L'arte. Ho salito la scala che porta un po' più in su...

Irene                                - Tutte avevamo dentro di noi un grande se­greto, una grande ambizione...

Mariano                           - (a Vittoria) Un po' di vino, signora? Per­mette?

Vittoria                            - Grazie. Raccontaci com'è stato. Sì, la tua vita. Tutto, dicci tutto. Vero, signora Palazzi, che vo­gliamo sapere? Andreina, su!

La Maestra                      - Se vuole...

Andreina                         - Chissà com'è stato? Intanto credevo di esser bella. Perchè non avete detto il più importante. Che lassù tutte, per conto nostro, credevamo d'esser molto belle. Ciascuna aveva una grande idea sul proprio fascino….

Linda                               - E' vero.

Andreina                         - Era quello su cui si faceva affidamento per dopo. Anch'io, si capisce. Mi sono innamorata.

Vittoria                            - Quando?

Andreina                         - Due, tre volte. Anche di un uomo spo­sato, una volta.

La Maestra                      - Oh, che vergogna!

Vittoria                            - Tutte, da ragazze, ci siamo innamorate di qualche uomo sposato. Io due volte: ma non se ne sono accorti nessuno dei due, mai.

Andreina                         - A venticinque anni mi sono sposata. Con un professore.

Irene                                - Per amore?

Andreina                         - Credo. Aveva pubblicato dei libri di scienza.

Irene                                - Un bell'uomo anche.

Andreina                         - L'hai conosciuto?

Irene                                - Sì.

Andreina                         - Tre anni di vita quasi felice: una bam­bina, un amore di bambina. E poi...

Elena                               - E' inutile che tu racconti...

Andreina                         - No: voglio raccontare! Allora ci si con-fes8ava. Avevamo la nostra assoluzione. Oggi solo da voi posso avere l'assoluzione. Dopo tre anni ho conosciuto un pittore. Tutt'il contrario di mio marito. Tutto sogni d'arte. Poesia. Mio marito era talmente occupato che io non lo vedevo mai. Ed allora, un giorno, ho commesso la grande sciocchezza. Sono scappata con Giorgio. Ho lasciata la mia bambina. Come ho potuto fare, non lo so. Felicità nel peccato? Ma no. Quasi subito penti­mento. Troppo tardi. E poi orgoglio. Allora ho voluto conquistarmi l'indipendenza. Ho recitato. Ho fatto anche un po' di cinematografo. Ed ora eccomi qui, a quaran­totto anni, rottame già: senza più nessuno, senza casa, senza mia figlia. Sola. Ecco il peccato. Bello, vero?

Elena                               - Andreina, ti prego!

Andreina                         - Mi fa bene sfogarmi. Non ne posso più. Sapessi! Quando vedo Irene con i suoi figliuoli...

Irene                                - Ma sono sola anch'io. Vedova. Un figlio lon­tano. Un altro in mare quasi sempre.

Andreina                         - Che vuol dire? Ci sono. Vengono a tro­varti. Per loro tu sei come la madonna. Sei la mamma-Questo dovrebbe essere sempre.

Irene                                - Non ti disperare, Andreina. Ci sarà ancora, qualcosa anche per te.

Andreina                         - Che vuoi che ci sia? Mia sorella, che mi vuol bene, deve venirmi a trovare di nascosto. Suo ma­rito non permette neanche questo. Io sono infetta.

Vittoria                            - Pregiudizi borghesi!

Mariano                           - (a Vittoria) Ancora un po' di vino, signora?

Vittoria                            - Ma io non posso ubriacarmi...

Irene                                - Di' la verità, Andreina, torneresti con tuo marito?

Andreina                         - Perchè farmi dire queste cose?

Irene                                - E' un pezzo che non vedi tua figlia?

Andreina                         - Sì. Cioè, no. Ogni tanto la vedo. Ma in modo così incompleto... E' quasi un'estranea per me.

Irene                                - Allora... Andreina, voglio darti una grande notizia. Forse sarà una grande gioia. Almeno lo spero. Tua figlia si sposa..,

Andreina                         - Si sposa? E io lo so da te!

Irene                                - Sposa mio figlio.

Linda                               - Sergio?

Irene                                - Sì. (Ad Andreina) La tua Mimma! Per questo è tornato indietro a baciarti la mano.

Linda                               - Sergio si sposa?

Irene                                - Sono tanto innamorati. Anche stasera è da lei

Andreina                         - Ma allora...

Irene                                - lo ho parlato di te con tuo marito. Al matri­monio naturalmente ci sarai anche tu. Rivedrai tua figlia quando vorrai. E chissà che Filippo, rimasto solo, non voglia seppellire tutto il passato. Io gli ho accennato a qualcosa del genere. Ha fatto un gesto vago della mano. Né sì, né no. Ma non mi pare che abbia escluso.

Andreina                         - Irene! La mia Mimma ed il tuo Sergio...

Elena                               - I figli delle due capesse avversarie...

Andreina                         - Dio! Dio!

Linda                               - Lo champagne! Bisogna brindare...

Andreina                         - Riavere una casa. Una mia vera casa. Dei nipoti. Che sogno...

Linda                               - E durava da un pezzo?

Irene                                - Che cosa?

Linda                               - Tra Sergio e la figlia di Andreina...

Irene                                - No. Ma appena conosciuti si sono piaciutisubito.

Andreina                         - Mimma è un amore.

Linda                               - Quanti anni ha?

Andreina                         - Non ne ha ancora diciannove!

La Maestra                      - Allora la festeggiata non sono io. Quando ci sono due sposi!

Irene                                - Non ci sono.

Linda                               - Sono qui. Sono qui. E noi siamo felici per essi. Due madri che fanno fatica a trattenere le lacrime della loro felicità. E' giusto. Che c'è di più bello di i due giovani che si amano? Che iniziano la loro vita insieme?

Irene                                - Ci saranno ancora dei distacchi prima... La carriera della marina non è comoda per le mogli.

Linda                               - Partire. Lui che parte? Chi di voi ricorda Piero? Quando doveva andare in America?

Elena                               - Come? Era il dramma di tutte noi, quello tuo.

Vittoria                            - E la notte della tua fuga. Nessuna ha dormito in collegio. Nessuna.

Linda                               - (dopo una pausa) E' stato un errore? Forseno. L'errore l'ho commesso dopo.

Andreina                         - Quando?

Linda                               - Quando mi sono accorta che Piero mi tradiva.

Andreina                         - Ti tradiva?

Linda                               - Forse era una cosa senza importanza. Sarebbe finita da sé. Ma io, invece, partita con la convinzione dell'assoluto, credendo che la felicità fosse eterna, niente, non ho saputo tollerare niente. Mi sono ribellata. Mi pareva che ogni bellezza d'amore fosse vilipesa. Che l'ideale crollasse.

Irene                                - Come principio avevi ragione.

Linda                               - lo gli avevo sacrificato tutto: ero fuggita, Avevo schiantato la vita di mio padre che mi adorava. Credevo di meritare da lui...

Vittoria                            - Con chi ti tradiva?

Linda                               - Una qualunque. Non gli ho perdonato. Mei ne sono andata...

Vittoria                            - Se tutte le mogli facessero così...

Linda                               - Questo è stato il grande errore della mia fi vita. Più grande che non la imia fuga. Non aver compreso che ci vuole della tolleranza, della comprensione. E che tutto è relativo a questo mondo. Me ne sono andata. Son tornata da mio padre malato. Non mi ha capita neanche lui. Aveva condannata la mia follia di scappare di collegio. Ha condannato anche di più questa seconda. Aveva ragione, povero papà. E da allora... Un naufrago che f stende la mano su qualche rottame. Si afferra. Sta un 1 po' a galla. E poi è finita...

Elena                               - Hai la religione.

Linda                               - Ho tradito anche quella.

Irene                                - Dio è il solo che sappia davvero perdonare... E poi hai me.

Linda                               - No.

Irene                                - Come?

Linda                               - Ho perduto anche te.

Irene                                - Che dici? Perchè?

Linda                               - Non domandare. Non è più possibile. (Ma- I riano riempie le coppe di champagne). Beviamo alla felicità di Sergio... Alle sue nozze...

Irene                                - Ma che hai? Perchè fai così?

Linda                               - Niente, cara, niente...

Vittoria                            - (piano avvicinandosi a Irene) Mi ha rico­nosciuta.

Irene                                - Chi?

Vittoria                            - Il tuo servitore. Si vede che non sono poi troppo invecchiata, allora.

Irene                                - Da che l'hai capito?

Vittoria                            - Dai suoi occhi...

Andreina                         - (avvicinandosi a Irene) Irene! Tu non sai...

Irene                                - Sssst!

Andreina                         - Non sai quello che m'hai dato.

Irene                                - Purché siano felici loro.

Andreina                         - Partono anche loro, come siamo partite noi trent'anni fa, col loro bagaglio di chimere. Aiutiamoli noi a non smarrirsi, per strada.

Linda                               - Beviamo. Sarà la mia ultima coppa di cham­pagne...

La Maestra                      - Oh, ultima. Perchè? Io, a settant'anni, lo bevo ancora volentieri...

Linda                               - Ultima. Ho ascoltato. Questo è un bilancio. E' la chiusura dei conti. Sì: andremo avanti ancora. Madri, infermiere, mogli; io forse in un convento, chissà, certo molto in chiesa. Ma la vita finisce qui. Vittoria si ostina: non vuol cedere. E' inutile, cara. Più niente da fare. Le nostre speranze, le nostre gioie, i nostri errori, i nostri dolori: tutto quello che conta nella vita è avve­nuto, per noi. Chiusura. Più niente ci aspetta. Rassegnamoci.

La Maestra                      - Rassegnarci? E' il momento ora di acquistare la serenità. Uscite dal trambusto, vi raccogliete in disparte, e solo ora dovete cominciare ad essere soddi­sfatte d'aver vissuto. Si capisce, avete tutte sperato, par­tendo, di essere protagoniste nella vita. Avete lottato. Avete rinunciato. Ora, tirando le somme, vi avvilite: ma non è giusto. Avete combattuto tutte.

Linda                               - A che scopo?

La Maestra                      - Che importa lo scopo? E' stato bello farlo. A che scopo mi mettevo il rossetto lassù? Niente. Eppure ho avuto anch'io i miei brividi di speranza che era felicità. Li avete avuti tutte-. Per quei brividi, ringra­ziate la sorte. E brindate con me alla vita.

Irene                                - A Mimma...

Andreina                         - A Sergio...

Linda                               - A Sergio!

Vittoria                            - (a Mariano) Ancora un po': l'ho già vuotato.

Irene                                - Accendiamo. Oramai fa buio.

Linda                               - No. No. Restiamo così. Meglio il buio.

Irene                                - Ha ragione la maestra. Abbiamo fatto quello che abbiamo potuto. (Mariano, su cenno di Irene, mette in movimento il grammofono: si odono le note del­l'«Ideale » di Tosti. Le donne rimangono un istante ad ascoltare con le coppe in mano).

Linda                               - Come allora...

Irene                                - E' sempre l'ideale. Ora è per chi parte, non per chi arriva. Non piangere. Avevo capito tutto, Linda. Credi: è meglio così. (La musica continua nella notte d'autunno che oramai è discesa). E' giusto così.

FINE