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Ménage

Ménage

di

Giuseppe Manfridi


In una stanza dapprincipio iridescente. Che tutto appaia subito molto vero e tangibile, sin troppo; poi, col fluire dell'azione, la storia renderà chiare le sue maschere e i suoi camuffamenti. 
Al centro, un ampio tavolo. Si rivelerà l'asse di un campo di battaglia. Ma pure: ciglio di pulpito, mediatore di dispute, altare muto, zona franca, nonché semplice supporto fisico. Tra il resto del mobilio, un divano che è come un antico e immarcescibile galeone tirato a secco. Gonfio di cuscini. Le sue vele.
Sul fondo è campita una porta, l'unica visibile, che conduce di fuori. E' come un punto di fuga lontanissimo e irraggiungibile. Dovremo sorprenderci ogni qual volta uno dei personaggi vi si accosterà o vi armeggerà rendendola di colpo reale. Poi, sbocchi laterali (spigoli di corridoi, di svolte) per raggiungere gli altri spazi interni dell'abitazione. 
Suggerisco di non sottovalutare l'ampia superficie traslucida del soffitto: quasi che, a tratti, sembri calare.
Le finestre sono talmente ampie da buttar dentro, ma lo ripeto: solo dapprincipio, tanto di quello splendore che, anche oscurato, insisterà comunque a promanare una luminescente penombra. A quel punto si avrà la sensazione che le cose e le stoffe siano state spennellate di smalto.
Gli oggetti indispensabili al nostro racconto, e la cui lista è da evincere via via che verranno evocati, sono tutti compresenti sin da subito, ma dissimulati l'uno tra gli altri, abiti compresi, in modo che il loro trovarsi lì, o non lo si noti a colpo d'occhio, o appaia come un aspetto naturale dell'ambiente. Unica eccezione di rilievo: lo scatolone che verrà introdotto da lei, e che più volte, nel corso della storia, subirà traslochi da dentro a fuori. Non starò a dire come questa sopita confusione debba essere organizzata nello spazio. Non sono scenografo. Ho un'immagine mia dell'insieme, ma è senz'altro possibile trovarne di migliori, di più teatrali, di più opportune. E circa i cambi d'abito, idem: non sono costumista, perciò non mi proverò a dir nulla su cosa vada tolto e cosa indossato. Indicherò solo i punti in qui questi cambi debbono avvenire. O meglio, li indicherò ‘più o meno', poiché si tratterà di azioni a volte prolungate, da affidare alla discrezionalità degli interpreti e del regista.
Insomma, penso a un luogo sinottico, eppure semplice, non equivoco. Che offra, ad apertura, un'impressione di assoluta naturalezza.
I personaggi sono due. Lei si chiama Giulia, mentre lui, di cui pure sapremo il nome, preferisco indicarlo come L'altro. Ad aumentare l'incisività della sua presenza, e non certo a diminuirla.
La fila di puntini di sospensione significa, ovviamente, un'interruzione d'atto.

Mi piacerebbe discutere con alcuni amici se la casa dove si svolge la vicenda si trovi in collina, in campagna, al mare, o semplicemente appena fuori città. Potrebbero derivarne scenografie olfattive diverse e precise.

E ora, la recita.

(Un uomo, attorno ai quaranta, seduto presso un tavolo pieno di carte e di tante altre cose che, come accennato, emergeranno in seguito. Rimesta tra i fogli con una mano. L'altra tiene una tazzina di caffè. Getta sguardi generici su quella massa confusa, poi tira via una busta. Si direbbe a caso. Poggia la tazzina, sfila il foglio contenuto nella busta. Legge. Da fuori, un certo trambusto)

L'ALTRO: “La passione, scoprirai, è niente”. (Come per cosa già saputa) Ah-ah... “Sono solo, preso dal mio bisogno e dal mio vizio...” - Evviva.

GIULIA: (Da dentro) Più forte, Professore, più forte!

L'ALTRO: (Lanciando la voce) Ma vuole daccapo?

GIULIA: (Idem) Non c'è bisogno, continui.

L'ALTRO: (Si schiarisce; riprende) “... e dal mio vizio. Nudo, dinnanzi a te, nella mia depravazione, a implorare il tuo aiuto. Aiutami...”

GIULIA: (Idem) Più forte, non sento! 

(E giunge il tonfo di qualcosa in terra)

L'ALTRO: Oh, se c'è bisogno che venga, non faccia complimenti!...

GIULIA: (Idem) No, stia. Mi diverte sentirla.

L'ALTRO: (Obbedendo) “...il tuo aiuto. Aiutami. A farmi chiamare fogna... (si frena, preso in contropiede. Prosegue) dalla donna che chiamo tro... (Smorza la voce, imbarazzato) ia...” 

(Tende l'orecchio. Silenzio)

GIULIA: (Idem) Sì, troia. So che c'è scritto. Vada avanti.

L'ALTRO: “Probabilmente questa lettera non ti sembrerà molto intima. Invece, credimi, lo è. Più sconcia delle mie più sconce. Parole tue: sconcissime, quelle che oggi ti sei convinta siano le più naturali e logiche”. (Sospende. Poi forte...) E queste, quali...? (Silenzio) Cioè, dico queste che sarebbero proprio... le sconcissime, via?...

GIULIA: (Idem) Ci sono, ci sono. Gliele sto portando.

(L'uomo allunga una mano per pescare un altro foglio. Di sotto le carte incontra qualcosa che al tatto lo sorprende. Tira a sé l'oggetto trascinandolo sul ripiano del tavolo. Si tratta di una pistola)

GIULIA: (Idem) Allora?... Già smesso?

(L'uomo risospinge la pistola nel mucchio e, turbato da quel che ha visto, legge)

L'ALTRO: “La passione, scoprirai, è niente. (Breve pausa) Giulia cara. Se tutto deve finire, finisca. La decisione, come vuoi tu, è lì, presa. Inverosimile. La tua. Me l'hai suggerita con un'alzata di spa...”

(Si azzittisce. Entra lei. Alta. Magra. Elegante a prescindere da come veste. Indossa un soprabito leggero. Aperto. I capi della cinta le pendono ai lati. Ha pochi più anni di lui. Porta uno scatolone che poggia in terra)

GIULIA: Lei si fida di me?

L'ALTRO: Serve un aiuto?

GIULIA: C'è tempo.

L'ALTRO: Anche queste sarebbero da...?

GIULIA: Si fida sì o no?

L'ALTRO: Semmai dovrei essere io a domandarglielo.

GIULIA: Intanto svicola.

L'ALTRO: Sul serio, ha giocato d'anticipo, mi ha tolto le parole di bocca.

GIULIA: Se ne fa una scusa. Risponda. 

L'ALTRO: Parola d'onore. 

GIULIA: Neanche un bambino.

L'ALTRO: Ci terrei a saperlo, sul serio.

GIULIA: E non ne ha la prova? Guardi qua! (Le carte)

L'ALTRO: Sin troppo esagerata per reputarla tale.

GIULIA: Appunto. Temevo che la mia condiscendenza la mettesse in sospetto.

L'ALTRO: Per carità, mi pone solo degli interrogativi. Ma mica su di lei: su me.

(Lei pure si siede al tavolo; insinua una mano tra i fogli. Lui ha un soprassalto. Lei recupera a colpo sicuro un paio di dadi e inizia a giocherellarci)

GIULIA: Insomma, si fida?

L'ALTRO: Ciecamente. Se ho ben capito a che si riferisce.

GIULIA: Sicché non ciecamente: ha bisogno di puntualizzare. Non ciecamente. (Lancia i dadi) Tre.

L'ALTRO: E' come chiedermi se mi fido, boh, di come cucina. 

GIULIA: Ah-ah. Lancio per lei?

L'ALTRO: Dico per dire, ovvio. O di come, toh, porta la macchina, ecco.

GIULIA: E come cuoca?... Così a intuito. (Lancia) Sette, ha vinto.

L'ALTRO: (Ci pensa, poi tanto per dire) Beh, a intuito... no, come cuoca, no.

GIULIA: Cioè, avrebbe vinto. - Non m'ha risposto a intuito. Ci ha ragionato troppo.

L'ALTRO: L'intuito va svegliato. Il mio dormiva.

GIULIA: E un viaggio in macchina con me lo farebbe? Guidando io, s'intende.

L'ALTRO: Perché no.

GIULIA: E tutte le sere, baldoria, al ristorante.

L'ALTRO: Ah, per forza. Pur io i fornelli, Dio ci scampi. 

(Lei lancia di nuovo i dadi)

GIULIA: Otto. Ha meno chances di prima, gioca lo stesso?

(Lui, interdetto, ha l'espressione di chi allarghi le braccia. Lei serra i dadi nel pugno facendoli sparire alla vista. Stranamente, non compariranno più)

GIULIA: Ma non è questo che c'interessa, vero?

L'ALTRO: No, non è questo. Però una cosa debbo ammetterla. Che sentirsi domandare a bruciapelo ‘Si fida di me?' da qualcuno di cui non diffidiamo affatto, induce, beh sì, a una certa diffidenza. In effetti. Ma per questo, non per altro.

GIULIA: E prima che glielo domandassi? Si fidava?

L'ALTRO: Ciecamente.

GIULIA: Ora invece?

L'ALTRO: No, scherzavo, uguale.

GIULIA: (Accennando alle lettere) Notato?

L'ALTRO: Cosa?

GIULIA: Che tante cominciano allo stesso modo.

L'ALTRO: Già, stavo appunto. La passione...

GIULIA: Quasi un motto, non le pare?

L'ALTRO: Ma lei saprà senz'altro perché.

GIULIA: Scriveva come parlava. Per frasi fatte. Ma fatte da lui. Non luoghi comuni. Tipo quella. Un incipit replicato per un anno intero. Sino alla fine. Se li inventava da sé i suoi luoghi comuni. Nella sua natura. Nella mia, quella di abituarmi a lui.

L'ALTRO: E insomma, diceva, rinuncerebbe anche a queste?

GIULIA: Oh, affatto.

L'ALTRO: Cioè no?... Mi sembrava di aver capito il contrario. E non solo io.

GIULIA: Dico affatto dal mio punto di vista. Altrimenti non avrei mai preso questa decisione. Non rinuncio a un bel nulla. Io voglio solo... mettere da parte nel modo più sicuro... (in un orecchio) e a spese della comunità. (Si scansa) La prenda per una confidenza, non lo dica troppo in giro.

L'ALTRO: Ma così, chiuse in una biblioteca, non potrà più sfogliarle e rileggerle ogni volta che vorrà. 

GIULIA: Oi, che storia è? Invece di convincermi, cerca di dissuadermi?

L'ALTRO: Non vorrei, poi, che se ne dovesse pentire.

GIULIA: Sano realismo. Non le ho rilette una sola volta una negli ultimi vent’anni, perché dovrei nei prossimi?

L'ALTRO: Mai? Possibile?

GIULIA: Le so a memoria. Quella, ad esempio... “La decisione, come vuoi tu, blà blà... Me l'hai suggerita con un'alzata di spalle. Ciò che siamo costretti a fare non è che un orpello; in realtà, è già avvenuto”. Di qualche importanza, direi. Visto che è l'ultima.

L'ALTRO: Perciò, dicevo... capisco i libri, e certi autografi, ma carte talmente private...

GIULIA: (Alzandosi per poggiare lo scatolone sul tavolo) Vedrà queste.... uff. Pesa, la carta.

(Lui, goffamente, si appresta in ritardo a darle aiuto)

L'ALTRO: Oh, mi scusi, io...

GIULIA: Fatto. Che ci sono anche blocchi, taccuini, quaderni. Pesa, pesa.

L'ALTRO: E... ehm, stesso tono di quelle che già stavo...?

GIULIA: Più... (cerca) energiche. Ma stesso spirito.

L'ALTRO: A maggior ragione.

GIULIA: Se non le giudica interessanti è un altro discorso.

(Un tempo. Lui, disorientato, torna a sedere. Si stropiccia le mani come se avesse lavorato e se le fosse impolverate)

L'ALTRO: La verità?

GIULIA: Ci mancherebbe. Al mille per mille.

L'ALTRO: Un po', forse... le direi equivocabili. Le conviene?

GIULIA: Santo cielo, che?

L'ALTRO: Beh, di sollevare pruriti. - Sia chiaro: se sì, padronissima, ma il rischio c'è.

GIULIA: Dice per qualche particolare decisamente... spinto?

L'ALTRO: Oh, così, in generale.

GIULIA: E non ha ancora messo mano allo scatolone!... Si appresti a una girandola di sorprese. Le legga bene. Ha tutto il tempo che vuole. Le ho preparato la stanza. Sa dove. La cucina pure gliel'ho mostrata. C'è tutto. Ho il treno fra un'ora. La sua valigia è di là. Non mi sono permessa di aprirla. Con ciò, amico caro, io andrei.

L'ALTRO: Ripeto, però, che un certo imbarazzo...

GIULIA: Ho solo proposto la via più pratica. Se il Comune ha scelto lei...

L'ALTRO: L'Università. Il Comune non c'entra.

GIULIA: E' il Comune che ha scelto l'Università. Quindi, lei. Credo nelle proprietà transitive. Ragiono così.

L'ALTRO: Sì, ma lasciarmi solo, a casa sua... cioè, mi lusinga, ma...

GIULIA: A che serve l'orecchio se ti dice le stesse cose dell'occhio?

L'ALTRO: Prego?

GIULIA: Ci rifletta. E compulsi, valuti, scelga. 

(Infila una mano tra le carte e recupera disinvoltamente la pistola. La intasca senza preoccuparsi di darlo a vedere) 

GIULIA: Ha tre giorni. In perfetta solitudine. - Non intenderà portarsi qualche amichetta, spero. Se le va, non si faccia scrupoli a negarlo. L'abuso di fiducia è opera dell'uomo, ma l'abuso di sfiducia è opera del demonio. Questo pensano certuni, io altrettanto.

L'ALTRO: Non vuole lasciarmi almeno un suo recapito?

GIULIA: Perché?

L'ALTRO: Così, qualsiasi cosa.

GIULIA: Non prevedo necessità, né mie né sue. E siamo entrambi abbastanza cresciutelli.

L'ALTRO: Servisse, potrò usare il telefono?

GIULIA: Non ne ha di quei trabiccoli moderni, lei... di quelli che uno si porta appresso?

L'ALTRO: Di qui non funziona.

GIULIA: Ah. - Se comunque potesse farne a meno.

L'ALTRO: Neanche rispondere, nel caso che...?

GIULIA: Non chiamerà nessuno.

L'ALTRO: Forse per me.

GIULIA: D'accordo. Faccia. Ma tanto non chiamerà nessuno.

(E si volta dandogli le spalle. Nell'istante, scocca l'affermazione di lui)

L'ALTRO: Lei si comporta, posso dirlo?, come lui scriveva.

(Lei si volta. Fintamente infastidita)

GIULIA: La prego, non s'avventuri in argomenti interessanti quando ho i minuti contati. E' irritante.

L'ALTRO: Attrezza scenari per un delitto.

GIULIA: Si è messo in testa di farmi perdere il treno, per caso?

L'ALTRO: L'ultimo dei miei pensieri.

GIULIA: Invece temo proprio di sì. Vorrebbe trascinarmi in una disputa alquanto artificiosa. Cosa a cui sono molto sensibile. Tanto che lo sposai. Con mio marito alcune parole era impossibile usarle a casaccio. Vietatissimo. Una regola che ho fatto mia. Tipo ‘delitto'. Non è un fatto, diceva, ma una situazione. Adorava sprofondarci nelle situazioni. Sono più importanti, lo cito, di chi le vive. Prenda esempio e s'immerga in quel che deve.

L'ALTRO: Anche la mia era una citazione. Apprestarsi a un nuovo progetto, ha scritto, è come attrezzare scenari per un delitto. Qualcosa di simile a quello che vedo fare a lei.

GIULIA: Suggerisce che dovrei provare a prendere il testimone e cimentarmi a scrivere?

L'ALTRO: Oh, un'osservazione che non alludeva a nulla.

GIULIA: Tanto valeva risparmiarsela. Ora mi costringe a correre.

(L'aria si adombra, ma per poco. Lei ne è per un attimo distratta e guarda fuori. Poi rimbraccia senza alcuno sforzo lo scatolone e lo porta via. Rientra. Si muove per la stanza come controllando che tutto sia a posto. Lui tace. Nervoso)

GIULIA: E' già stato anche dalle altre?

L'ALTRO: Quali altre?

GIULIA: Sì, d'accordo, ha ragione, lasciamo stare. Lavorato?

L'ALTRO: Molto.

GIULIA: Proficuamente?

L'ALTRO: Sì, molto.

GIULIA: Telefonate?

L'ALTRO: Nessuna.

GIULIA: Non crederà che abbia tolto la comunicazione.

L'ALTRO: No, c'è. (E si leva la giacca buttandola sgraziatamente su una sedia)

GIULIA: Quindi ne ha fatte?

L'ALTRO: Ho solo provato per vedere se funzionava.

GIULIA: L'ho chiamata due volte, non ha risposto. Come mai?

L'ALTRO: A che ora?

GIULIA: Una di pomeriggio, appena arrivata. L'altra iersera.

L'ALTRO: Ho lavorato spesso in giardino. Non avrò sentito.

GIULIA: Povero telefono, accusato ingiustamente.

L'ALTRO: Voleva dirmi qualcosa?

GIULIA: Solo avere notizie. Ama il rhum?

L'ALTRO: Non ora, grazie.

GIULIA: Io da matti. 

(Si versa e beve. Poi, a sua volta, si sfila il soprabito e lo adagia sulla spalliera del divano. Ronza attorno al tavolo, da cui l'uomo, adesso, si tiene distante)

GIULIA: Sa quante mogli ha avuto mio marito?

L'ALTRO: Certo, quattro.

GIULIA: Quattro con me.

L'ALTRO: Ovvio, con lei.

GIUALIA: Tre più una.

L'ALTRO: Quattro, lo so.

GIULIA: Già già. Il suo biografo ufficiale!... E da loro, è già andato?

L'ALTRO: C'entra col suo lascito? Non vedo come.

GIULIA: Dovrò leggerlo il suo libro prima o poi.

L'ALTRO: Perché? Non l'ha fatto?

GIULIA: Sta lì, in cima a tutti, ma poi, una cosa e un'altra, c'è sempre un ultimo arrivato pronto a passargli avanti. La secca?

L'ALTRO: Tutt'altro, anzi. Mi sorprendeva che non me ne parlasse. Stupisce solo il fatto che... cioè, non tanto per me, ma trattandosi di suo marito.

GIULIA: E un po' di me.

L'ALTRO: Naturale.

GIULIA: Quanto di me?

L'ALTRO: Credo in giusta proporzione.

GIULIA: Rispetto a cosa? A lui? Al resto dell'harem?

L'ALTRO: In proporzione, intendevo, rispetto al ruolo che ha avuto nella sua vita.

GIULIA: E pensa di saperlo?

L'ALTRO: Suo marito mi ha onorato per ben due volte della sua confidenza. Ho fatto largo uso delle nostre interviste. Credo che se lo leggesse...

GIULIA: Non le converrebbe che lo facessi a lavoro finito?

L'ALTRO: Perché?

GIULIA: Ho gusti radicali: se non apprezzo disprezzo.

L'ALTRO: E' come se rifuggisse dal voler capire chi sono.

GIULIA: (Sedendosi comoda e scalciando via le scarpe) Quel che ha da fare, questo m'interessa, non lei.

(Un tempo. Lui la fissa a dovere)

L'ALTRO: Im-per... sonalità. 

GIULIA: Per dire?

L'ALTRO: Che la scopro sua allieva. Non molto distante dall'immagine tratteggiata nelle pagine che le ho dedicato. 

GIULIA: Tutto quello che scriveva lo discutevamo insieme. Giurerebbe che ogni suo pensiero fosse assolutamente suo?

L'ALTRO: Ah, questo che le è appena uscito di bocca senz'altro. Che il pensiero non ha stile. Lo ammette a più riprese di non aver fatto altro che redigere filosofie altrui.

GIULIA: E se pur io la pensassi così?

L'ALTRO: Perciò dico ‘allieva'.

GIULIA: Ma se questo fosse il mio pensiero da sempre?

L'ALTRO: Credo che lui le risponderebbe: “Allieva non dei miei pensieri, ma delle mie parole che ti hanno fatto scoprire i tuoi, per cui oggi puoi dire: li pensavo da sempre”. E' lui che le dà del tu, non io.

GIULIA: �a va sans dir.

L'ALTRO: Già. Con ciò...

GIULIA: Da quando sono entrata mi guarda con cattiveria, me la spiega?

L'ALTRO: (Senza guardarla) Proprio vuole?

GIULIA: Eccomi.

L'ALTRO: (Idem) Cosa suppone che abbia fatto sino ad oggi, qui da solo per tre giorni e tre notti, tre, se non sopportare la provocazione a cui mi ha costretto?

GIULIA: Decifri.

L'ALTRO: No, signora, lo faccia lei per me!... Queste (le carte)... perché?

GIULIA: Ah. Ora sì, un barlume. Ma com'è complicato, lei! Cova rancori davvero assurdi, e li ostenta in un modo che solo un'estrema confidenza potrebbe giustificare. E fra noi, Professore, ne corre pochissima.

L'ALTRO: Il mio è semplice smarrimento.

GIULIA: Semplice?

L'ALTRO: Sfido chiunque.

GIULIA: Non chiunque, sfidi se stesso.

L'ALTRO: E' lei che sembra avermi voluto gettare il guanto in faccia. E, poiché non ritengo di significare molto ai suoi occhi, mi domando: contro chi vuole accanirsi attraverso di me? Con chi ce l'ha?

GIULIA: Il mio mondo finisce entro il recinto di quel giardino, dunque...

L'ALTRO: Se dico ‘scandalizzare' è più pertinente?

GIULIA: Attraverso di lei?

L'ALTRO: Sì, mi ha scandalizzata, signora. E se l'ha fatto gratuitamente, aggiungerei che mi ha pure offeso.

GIULIA: Non c'è dubbio, scendiamo da pianeti diversi.

L'ALTRO: Ma almeno quello di suo marito pensavo l'avessimo in comune.

GIULIA: E io le ho dato le sue parole da leggere, mica le mie! Disconosca che ho preteso innanzitutto la sua fiducia!... Ci provi. Non può. Sapevo quanto fosse necessaria, e lei, Professore, m'ha risposto con una superficialità che, vuol saperlo?, mi è parsa addirittura un po' infantile, ma l'ho presa per buona; e i risultati, ahinoi, ce li abbiamo sotto gli occhi. Questo suo muso duro!... Peccato. - Per chi è che si batte ora,?... Per lui?... Per restaurare dentro di sé il decoro del suo idolo frantumato dopo quello che ha letto?

L'ALTRO: Faccia il piacere di non parlare a nome mio.

GIULIA: Se non lo fa lei...

L'ALTRO: So farlo eccome.

GIULIA: Saprà pure giocare a tennis, ma non gliel'ho visto fare.

L'ALTRO: Non immaginavo di essere sotto esame.

GIULIA: Fatto sta che non vuole andarsene. Bizzarro. E' sposato?

L'ALTRO: No, che c'entra?

GIULIA: Preferisce gli uomini?

L'ALTRO: Ma di che parla?

GIULIA: Dell'individuo che ho ospitato a casa mia, che ho fatto dormire nelle mie stanze e per cui ho spalancato ogni dispensa. Me l'invento?

L'ALTRO: Capiamoci... è stata lei a chiamare, non io. La donazione è lei che vuole farla, non io. Un'idea generosamente sua. Ancora grazie, ma nessuno, non certo il qui presente, che l'abbia spinta. Son venuto solo per mettermi a sua disposizione. Le ho chiesto qualcosa? Non mi sembra.

GIULIA: (Serissima) Impotente? Frigido? Che?... 

L'ALTRO: Sarò scortese, ma il Diparimento non usa regalare il tempo dei propri dipendenti per niente, e io, al ritorno, dovrò fronteggiare tanto di quel lavoro arretrato che mi costringe, se vuol saperlo, signora, già quasi a rinfacciarglielo.

GIULIA: Quello che ha letto sarebbe niente?

L'ALTRO: Peggio.

GIULIA: Mi aspettava davvero a pugni serrati, vedo.

L'ALTRO: Mi ha dato dell'imbecille, praticamente, e gliene chiedo ragione.

GIULIA: Le ho domandato se è sposato, basta; l'avessi fatto tre giorni fa, al nostro primo incontro, l'avrebbe trovato naturale; oggi, invece, le sembra sconveniente. Lo è o no?

L'ALTRO: Sì, è sconveniente, molto.

GIULIA: Dicevo: lo è o no, sposato.

L'ALTRO: Le ho detto no.

GIULIA: Bene, questo è acclarato. E ora si commenti un po'. Così, come le viene. Improvvisi. Ambizioni, progetti. Dica, son tutta orecchi.

L'ALTRO: Mi spieghi queste lettere.

GIULIA: Spiegare cosa?... Di una tale evidenza!

L'ALTRO: Perché me le ha fatte leggere?

GIULIA: Parlo e non m'ascolta. Poi si offende. Lei, non io. Che paradosso!... Ho proposto un patto, non faccia finta di passarci sopra. Le offro quell'intimità che spiegherebbe gran parte di ciò che, assurdamente, abbiamo tentato di dirci sino adesso. Ma lei al solito... marcia indietro. Eppure dovrebbe essere terreno di sua competenza. Buone maniere. Perché le scansa? Si faccia più discinto, si riveli, dopodiché tranquillo, procederemo insieme di pari passo. Promesso. 

L'ALTRO: Ho la franchezza di dichiarare che la mia vita non contiene troppi segreti. Anzi, per niente.

GIULIA: Che confessione lugubre.

L'ALTRO: (Con un'occhiata al tavolo) Roba del genere da me non ne trova.

GIULIA: Così non mi allontana, tutt'altro: m'avvicina. (Si alza. Beve. Si versa e beve ancora) Rifuggo dalle affinità. La mia, di vita, ne ha già stipate abbastanza. Ho alle spalle, mi creda, un matrimonio davvero esaustivo. Da questo punto di vista, s'intende. Allora... mi racconti delle sue chiarezze.

L'ALTRO: Che pedaggio sarebbe? E' ridicolo.

GIULIA: Provo ad accenderle una lampadina, le va?... Qui si parla, in modo più o meno ornato, di nostre certe copule. Delle sue con me. E di varie fisime a riguardo. Ora, la vera indecenza, non è quello che ha letto. Lei, di me, e di noi, questo in parte lo sapeva. Che mi avesse brancicata, e io con lui lo stesso, scopate, via, e roba del genere. Mi adeguo all'argomento, debbo. Come pure sa che, d'abitudine, ho bisogno di liberarmi gli intestini e di orinare. Lo sa senza bisogno di dirselo, né che sia io a confessarglielo, ma lo sa. Si presenta alla porta, suona, entra, mi conosce e sa, da subito, che la padrona di casa tende, di base, a evacuare una volta al giorno. Lo sa. Tutti lo sanno, e tutti lo sanno di tutti. Come io lo so di lei. Ma provare a discuterne, secondo la sua forma mentis, le appare osceno. Concordo; e dunque insisto. Discutere di quelle lettere è il modo più infallibile per renderle indecenti. Leggerle è il meno, non fosse che, leggendole, si sarà detto: E ora?... Ne dovrò discutere. Dio, no!... Detesta doverlo fare, ma ne ha bisogno e cerca la maniera. Son qui, mi va di assecondarla. Perciò, mi aggiorni su come digerisce... lo faccia, e le garantisco che non mi fermerò dal dirle tutto quello che vuol sapere. 

(Una pausa)

L'ALTRO: Mi sbagliavo. Lei non è stata una sua allieva, ma una sua preda. 

GIULIA: E chissà mai che non lo sia stata gioiosamente.

L'ALTRO: Un gioco che non le farò continuare col sottoscritto.

GIULIA: Forse fra noi si pone solo un problema di vocabolario. Afferma: non ho segreti. Sta' a vedere a che si riferisce. Le malattie, ad esempio... sarà stato ammalato qualche volta, almeno questo sì. Per me possono essere dei segreti, altroché, e non solo alcune. Metta una malattia esantematica... varicella, morbillo... ci traduce in uno spurgo di fetori. Ne ha mai parlato a nessuno di quei suoi fetori?

L'ALTRO: Siamo tutti di carne, signora cara, e fatti per la terra. C'è bisogno di fare ogni giorno l'appello di ciò che prescinde dalle nostre reciproche identità?

GIULIA: Per uno andato a scuola da mio marito, sì.

L'ALTRO: Per piacere, non lo riduca a uno stereotipo da sussidiario.

GIULIA: Quel che voleva! Giudicava una vita pienamente riuscita solo se passibile di essere ridotta a formula. Non per nulla aveva il culto delle epigrafi. I veri libri, diceva. Un uomo nasce, cresce e muore. Questo il fil di ferro, il resto... estetica. Impersonalità. Lo diceva lei: il suo chiodo. 

L'ALTRO: Debbo prendere appunti?

GIULIA: Mi peritavo solo di ricordarle ciò che sta alla base del nostro incontro. Lui. Ne tratteggi la statura definitiva. Ha gli strumenti. Dopo l'eccesso, la sintesi. Nella sintesi, la formula. La trovi. La sua fortuna, amico mio, ne sarà incrementata.

L'ALTRO: Lì, signora... lì si parla di carni devastate, di case ridotte a lager. Di digiuni, di carcerazioni assurde. Di perversioni che non stanno né in cielo né in terra.

GULIA: Mai sentito ‘Rivendico, per godere, il mio diritto a soffrire'?

L'ALTRO: Di sadismi... inconcepibili.

GIULIA: Ripeto: mai sentito?

L'ALTRO: Di istigazioni al suicidio, per dio!

GIULIA: ‘Rivendico, per godere...', mai sentito?

L'ALTRO: Sì, da lui! Ma parlando di anima, anima, anima.

GIULIA: Parola, le garantisco, a cui dava un senso molto, molto, molto particolare. Come a ‘delitto'. Già. Non era di qui che dovevamo riprendere la nostra discussione? Ce l'eravamo ripromesso, ma lei non fa che depistare. Che uomo noioso! Beh, lui l'anima le vedeva piena di nervi, e i nervi, a pungerli, friggono. Pare che San Lorenzo, sulla graticola, se la sia goduta un mondo.

L'ALTRO: Lì si parla di morti.

GIULIA: Certo, di noi.

L'ALTRO: Non solo di voi.

GIULIA: Dei mille morti che avremmo potuto essere.

L'ALTRO: Da come è scritto non si direbbe.

GIULIA: E lei sarebbe il migliore dei suo esegeti? Che tristezza.

L'ALTRO: Se ha qualcosa da spiegarmi, lo faccia, sennò, per me, ho finito. Troverà eserciti di lauereandi pronti a dirle grazie per tutto questo orrore che a loro sembrerà un autentico ben di dio.

(Lei, con un colpo secco, batte sul tavolo il bicchiere rovesciato)

GIULIA: Non sia tanto miope: lo è. Se lo goda lei questo ben di dio. Non se l'è meritato e se lo ritrova tra le mani. Avesse una moglie, farebbe bene a non dirle nulla o la picchierebbe per tanto scialo. Io lo farei.

L'ALTRO: Ne ho avuta una, non ce l'ho più. Ma credo che se avessi potuto offrirle l'esempio di un simile rifiuto, forse ce l'avrei ancora.

GIULIA: Interessante. Interessantissimo.

L'ALTRO: Nulla da aggiungere.

GIULIA: Indossa la menzogna come un capetto tagliato su misura.

L'ALTRO: Non ci provi.

GIULIA: Lo faccia lei, insista.

L'ALTRO: Le ho detto, non ci provi.

GIULIA: Allora se ne vada.

L'ALTRO: Sto per farlo. 

GIULIA: Non ricordo il suo nome.

L'ALTRO: Mi pare fuori luogo. 

GIULIA: Lei il mio lo sa. E' scorretto. 

L'ALTRO: Le ho detto: me ne sto andando.

GIULIA: E che racconterà? Dovrà giustificarla questa diserzione. Sarà in grado di essere convincente? Mi illumini, come?

L'ALTRO: Si preoccupa per chi? Per me, o per sé?

GIULIA: E' lei quello che scappa.

L'ALTRO: Mi capiranno quando spiegherò da cosa.

GIULIA: Lo farà?

L'ALTRO: Non è questo il mio pensiero adesso.

GIULIA: Ma lo sarà appena superata quella porta.

L'ALTRO: Sicché ci tiene che resti. Strano.

(Lei si versa, appena un goccio, ma stavolta non beve)

GIULIA: Ho bevuto rhum per la prima volta a termine di una cena molto particolare. E molto educativa. In qualche modo, terribile. Andrea mi ci ha portato apposta, con un suo progetto. Peraltro dichiarato. Un esperimento, ha detto. Stasera voglio sottoporti a un esperimento, ti va? - La mia risposta non era da mettersi in conto. Neppure tra me e me. La nostra storia viveva di esperimenti. - Stia, stia. Io intanto, sa che faccio, Professore?... Mi volto, mi metto comoda, bevo, e non la guardo. 

(E si volta, ma non beve)

GIULIA: Le chiedo solo di essere molto silenzioso. Soprattutto muovendosi. Può anche andarsene, se vuole. Nel caso, tiri la porta con delicatezza. Scoprirò alla fine se è rimasto oppure no. Dunque. La cena. Mi dice: Farò in modo di farti sedere vicino a una certa persona. Mi piacerebbe che tu provassi a discuterci. - Io nemmeno gli domando se si tratti di un uomo o di una donna. “Se non me lo dice, penso, sarà irrilevante”. Era un uomo. Sui quaranta. Rugoso. Dalle guance rosee e con pochi capelli grigi attorno alle orecchie. Intuisco che la sua calvizie è anomala, forse recente. Per una di quelle malattie, insomma, che possono essere inestirpabili segreti. - Andrea mi raccomanda solo di buttare sul tavolo argomenti di conversazione, qualsiasi, come mi viene, ma evitando di fargli domande. Nel modo più assoluto. L'esperimento lo pretendeva. Obbedisco. Veniamo presentati e converso con lui per quasi un'ora. Mi sembra un tipo assai malleabile. Aveva le sue opinioni, ma se mi provavo a contrastarle, quello trovava subito del giusto nelle mie obiezioni e l'argomento moriva lì. Fui molto abile, l'istinto mi aiutò alla perfezione, nell'evitare, come richiesto, ogni punto interrogativo. Potevo quasi scrutare la mia punteggiatura nel tempo stesso in cui pronuciavo le frasi con cui lo inducevo a disvelarsi. L'atonia totale. Piuttosto ordinario, gli dissi dopo, a mio marito, una volta a casa. Ah, ordinario, fa lui. Sì, niente di più. E ci dormiamo sopra. La mattina appresso mi spiega il senso dell'esperimento, e che in fondo, sì, lo giudica riuscito. Mi dice: Quell'uomo, tre anni fa, ha commesso un'orribile leggerezza. Nel giugno soffocante che ricorderai ha lasciato il suo bambino di neppure un anno chiuso nella macchina parcheggiata a mezzogiorno in pieno centro. Aveva una piccola commissione da sbrigare, sennonché la faccenda si rivelò un po' più lunga del previsto. In breve, lo ritrovò cotto. I giornali ne hanno parlato. Notizia che tu hai letto, mi dice, me lo ricordo benissimo. Beh, eccolo, quello con cui hai cenato è lui. Ci hai chiacchierato per tutta la sera con uno che ha condannato suo figlio a morire infornato. Dì, ti è parso tragico? - No, dico io, per niente. - Bene, ora che ci hai dormito sopra, riconsidera ogni suo gesto, ogni tono, ogni parola, e ti renderai conto di dove ogni tono e ogni parola affondassero le loro radici. In quale abisso di imprescindibilità. Poiché, non c'è dubbio, a cosa volevi che pensasse mentre ti parlava se non a quella macchina, alla sua commissione e al caldo che faceva?... Anche che se non riteneva di farlo. No, quell'uomo non è tragico, altrimenti non avrebbe conversato con te di viaggi, come mi dici, e di letture. Vi ho sentiti, Quell'uomo, piuttosto, può permettersi di apparire ordinario poiché lo è, e ciò che ha vissuto, e che vive, non ha aumentato di nulla la sua intelligenza. Perciò continua a supporre di poter pensare qualsiasi cosa. Ma egli incorpora la tragedia. Che invece è silenziosa, taciturna. E così ferocemente impersonale. Vuoi rivederlo ancora? - No, gli rispondo, non ne ho bisogno. - In qualche modo, mi dice, non trovi?, hai avuto a che fare con un autentico personaggio. Ma la cosa non conta nulla. 

(E si volta, vede che l'altro è ancora lì. Lei va a infilarsi un altro paio di scarpe) 

GIULIA: Ho fatto parlare Andrea tra virgolette, senza la pretesa, ovvio, di averlo citato alla perfezione, ma quasi. Non c'è cosa, di lui, che non ricordi quasi alla perfezione.

L'ALTRO: Esemplare. Ma a me, non riuscirà a farmi parlare d'altro.

GIULIA: Ma se non mi riesce nemmeno di mandarla via!

L'ALTRO: A ogni modo, le ricordo che mi chiamo Luca.

GIULIA: Luca... ah. Certo. L'avevo notato. Pure sulla copertina, vero. Luca. - Dolcissimo evangelista.

(L'uomo va a prendere il suo impermeabile. Lo indossa. Gira attorno al divano. Un tempo. Si siede. La luce cala d'intensità. Un rombo lontano. I due si scambiano un sorriso. La conversazione riprende tranquilla. Perlomeno alle prime battute)

GIULIA: Sempre astemio, Professore?

L'ALTRO: Mai detto.

GIULIA: L'ultima volta le proposi del rhum, e se non ricordo male...

L'ALTRO: Forse allora avrò rifiutato. Ma non sono astemio. Tutt'altro.

GIULIA: Dunque, adesso, qualcosa?

L'ALTRO: Grazie. Dopo, forse.

GIULIA: Piove ancora molto?

L'ALTRO: Ne ho trovata venendo, a cateratte, ma ora pare che abbia quasi smesso.

GIULIA: Certi tuoni.

L'ALTRO: Mezza città è allagata.

GIULIA: Bene. Eccellente. Si parla del tempo.

L'ALTRO: Plausibile, è da prima pagina. Oltre il ponte hanno sfollato l'intero quartiere.

GIULIA: Quartiere... baracche.

L'ALTRO: Intanto...

GIULIA: Andrea sosteneva... o io?... Si ricorda i nostri ultimi battibecchi?... Chi ha detto a chi, chi ha pensato che, chi ha insegnato a chi...

L'ALTRO: Cosa diceva Andrea?

GIULIA: ...chi ha defraudato chi.

L'ALTRO: Sì, un po' ricordo.

GIULIA: ...chi stuprato chi.

(Lui annuisce per passare oltre)

GIULIA: Era così furibondo.

L'ALTRO: Forse lei più di me.

GIULIA: Piccineria il tuo nome è recensione.

L'ALTRO: Sempre funambolica nei suoi collegamenti.

GIULIA: Ma tanto astrusa?

L'ALTRO: Scommetto che di mie non ne ha letta nemmeno una.

GIULIA: E a chi di dirle se ha vinto o perso?... A me?... Si fiderebbe?

L'ALTRO: La prego, dobbiamo ancora discutere di fiducia data e ricevuta? Per piacere.

GIULIA: E perché no? Il viatico di tutte le nostre liti.

L'ALTRO: Roba morta e sepolta.

GIULIA: Ci giurerebbe? In fondo, non abbiamo condiviso altro.

L'ALTRO: A ognuno di tirare le sue somme.

(Silenzio. Lei fissa lui. Lui fissa altrove)

GIULIA: Recensore, censore. Le parole raccontano se stesse. Perciò scappò via a gambe levate, e poi magari si è convinto di essere stato cacciato.

L'ALTRO: A gambe levate è un'aggiunta sua.

GIULIA: Per dire col passo più svelto alla portata della sua età, e della sua forma fisica, che comunque non trovo sensibilmente peggiorata. Quant'è? Due anni?

(Lui si sfila l'impermeabile e se lo poggia affianco)

L'ALTRO: Quasi tre. Ma ci siamo rivisti un'altra volta prima di oggi, quella non la conta?

GIULIA: No, fosse stata qui, ma fuori, in mezzo un mucchio di gente, no che non conta. Mai un attimo solo per noi, vis à vis, a commentare, se avessimo voluto, quel nostro piccolo incidente di qualche tempo fa. Però è servita. Mi ha aiutato a mettere un punto fermo che la riguarda. E' a quella sciocca riunione che l'ho vista a tutto tondo nella sua corposa natura. Di recensore, appunto. 

L'ALTRO: Appunto.

GIULIA: Nel frattempo avevo già letto il suo libro, sa. Averla conosciuta fisicamente me l'ha fatto apprezzare di meno, altrimenti avrebbe senz'altro ricevuto un mio biglietto di affettuose congratulazioni. Niente di che, ma una gentile testimonianza di assenso. Come dire: sì, bravo, ho ritrovato qualcosa di lui.

L'ALTRO: E di sé?

GIULIA: Che smancerie!

L'ALTRO: Una volta a casa, allora, l'ho ripreso e controllato. Non lo sfogliavo da parecchio, e non ricordavo di averla messa così in primo piano. Mi ha sorpreso.

GIULIA: La natura impone i propri spazi, e se noi stentiamo a darglieli, ecco che se li prende lo stesso. E' il segreto della poesia. Di cui il suo saggio è confusamente intriso.

L'ALTRO: Un'emanazione di cui sono debitore al soggetto. Io ho solo cercato di non opporvi resistenza.

GIULIA: Il segreto della poesia.

L'ALTRO: Invece, conoscendomi... come mai? La poesia è svanita?

GIULIA: Conoscendola, ho interpretato quel libro come un suo gesto, non come un suo scritto. Un tentativo di salvezza. Per esistere. L'unica volta, forse, in cui abbia tentato di farlo. E allora, mi son detta, che merito dargli?... Anche l'ultima lettera di un qualsiasi condannato a morte può scatenare lampi di bellezza, ma a farlo è la vita che rantola, non lui.

L'ALTRO: Im-per... sonalità. Sempre lì. 

GIULIA: Un giorno le è scappata la parola ‘laureandi'. A proposito di qualcuno da candidare suo posto. La cosa mi è rimasta impressa. Avrebbe potuto pensare a un suo collega, a un pari grado. L'ipotesi più plausibile. Ma no, ha detto ‘laureandi'. Forse per sembrare più aggressivo. Irridente. Poi, di là, in archivio, ho avuto la conferma. 

(E va a prendere qualcosa dal tavolo, una sorta di pacco. Lo rimette tra le mani dell'uomo, che scarta e nota) 

GIULIA: E voilà. Se l'aspettava? Roba sua. Le ho fatto tana. 

(Versa da bere. Si bagna le labbra. Lui, incantato, è fermo alla prima pagina)

GIULIA: ‘Al mio Maestro, per capire chi mi ha fatto capire', bella dedica intorcinata. Sicché lei è stato il primo a scrivere una tesi su mio marito. Sono brava o no?... Giovane lui, giovane lei. Una tesi alquanto fuori dagli schemi. Di uno scrittore, su uno scrittore. Il libro che ha tirato fuori ventanni dopo, praticamente. Da grande. Quando già era divenuto un implacabile recensore. Da giovani, a volte, si può fare ciò che accade di compiere in punto di morte, e sfiorare il mondo con una sensibilità inaudita. Tesi e libro le hanno portato fortuna e tutt'oggi stanno lì a benedire la carriera che le fa da scafandro. Alla sua ombra. Sua di lui. E dunque un po' alla mia.

L'ALTRO: Mi avrebbe chiamato per questo?

GIULIA: E' lei che mi ha chiamata.

L'ALTRO: Ma lei che mi ha proposto di venire.

GIULIA: Poiché non è il tipo che si invita da sé.

L'ALTRO: Le ho detto no.

GIULIA: La prima volta.

L'ALTRO: Se essere gentili le pare un indizio...

GIULIA: Di quelli che inchiodano. Ora un sorso?

L'ALTRO: Dopo, dopo.

GIULIA: Ma perché non lo ammette di essere astemio? Mi fa bere sempre da sola, uffa. 

(Si serve ancora, stavolta beve)

L'ALTRO: Aspetto ancora di sapere cosa sosteneva suo marito a proposito di quelli che parlano del tempo.

GIULIA: Ah-ah. Già. Certo. Che sono gli unici a dire la verità. Solo parlando di ciò che non siamo possiamo aderire perfettamente a ciò che sentiamo. Piove, non piove. Ha smesso, ancora no. Sottinteso senza malinteso. Se le dico ‘Sono le tre' può essere che io intenda: E' tardi, se ne vada, oppure: E' ancora presto, rimanga. Ciò non toglie che: o sono le tre, o non lo sono. Inganni alla portata di chiunque. Appartengono alla natura del cervello come la corteccia all'albero. A volte passavamo ore a giocare questo gioco. A dire cose reali che fossero alla portata di chiunque, ma che al contempo dicessero intimità assolute.

L'ALTRO: Cekov ne è pieno.

GIULIA: Non era di carne e ossa Cekov?

L'ALTRO: Carne votata alla carne. Da buon medico.

GIULIA: Vero, era medico. E di carne, ma rarefatta. L'ha mai spiato nella sua camera da letto? Quando non intendeva essere affatto uno di quei miserabili che popolavano le sue dace in perenne clima di sgombero, non dico lì: l'ha mai spiato altrove?... Può dubitare che non abbia mai tentato di svuotarsi dal peso dell'impersonalità che ci avvince, tutti, sforzandosi, poveraccio, di essere per davvero se stesso... Anton Cekov con sua moglie nella sua camera da letto?... A dirsi cose che per altri sarebbero state prive di qualsiasi significato. A parlare di un certo bruciore nell'utero di lei o di una fitta alla prostata di lui che nessun altro avrebbe potuto curarsi a nome suo. Né tantomeno capire. No. Tutto ciò non esiste. E neppure nelle sue commedie. La sua vita autentica non corrispondeva che agli spiccioli della vita autentica. Come per Andrea, o per me, o per lei.
L'ALTRO: Bene, una conferenza.

GIULIA: Io perciò ho voluto spingerla a una mossa forte, ma l'ha scansata. Perché?... Quelle lettere sono ancora lì. Nessuno ci ha messo le mani. Sempre a sua totale disposizione.

L'ALTRO: E lei come mai non le ha passate ad altri?

GIULIA: E lei come mai non ne ha parlato a nessuno?

(L'uomo tace)

GIULIA: Direbbe ancora che la sua vita sia del tutto priva di segreti?

(L'uomo tace)

GIULIA: Questo cos'è?

(L'uomo tace)

GIULIA: Come lo chiamerebbe?

(L'uomo tace)

GIULIA: Gliele vado a prendere?

(Ancora un silenzio)

L'ALTRO: Un goccio del suo rhum, piuttosto.

GIULIA: Capisco... è davvero tornato per loro.

L'ALTRO: Poi non insista che sono astemio.

GIULIA: (Servendolo) Quanta teoria, vero?... Eppure il succo del mistero è decisamente teorico. Ha impostato la sua tesi su questo punto. Ma era un ragazzo e poteva permettersi di intuirlo. Capisce cosa le sto dicendo? Che lei operò quasi d'anticipo sulla sua filosofia. Per cui... si rinneghi se ne ha il coraggio!... Le avesse avute tra le mani allora, le mie lettere... ah, cosa non ne avrebbe fatto!... Da geniale laureando. Ma purtroppo ancora non esistevano, mentre oggi, forse, è troppo tardi. Leggere di feci, di digiuni e sodomie l'ha fatta balzare sulle sedia. E con che palpiti!... Povero diavolo! Capire che gli organi in questione fossero esattamente i miei e che quel membro fosse davvero il suo l'ha abbagliata, ma non come accadrebbe a un cieco che d'improvviso debba sopportare un fiotto di luce scaturito dal profondo delle proprie viscere. Peggio. Come un miope, che non sappia capacitarsi di vedere un po' meglio di quanto possa. - Le vado a prendere?

L'ALTRO: Un esperimento?

GIULIA: Naturale.

L'ALTRO: Allora solo per tenerle qui. 

GIULIA: Vado.

L'ALTRO: Solo per tenerle qui.

GIULIA: Non intendevo altro.

(La donna si allontana. Nel tempo in cui è assente, l'uomo svuota il suo bicchiere nel vaso di una pianta molto poco da salotto. Lei torna con le lettere. Le poggia sul tavolo. Lui giocherella col bicchiere vuoto tra le mani. La luce inizia a farsi nuovamente limpida)

L'ALTRO: Quella sciocca riunione a cui si riferiva prima...

GIULIA: Sì?...

L'ALTRO: Mi stavo domandando... perché ‘sciocca'? Un po' il suo trionfo direi. Una fondazione che porta il suo nome. E con che onori! Bella rivincita per una moglie mai troppo esibita.

GIULIA: Non l'ho fatto per questo.

L'ALTRO: Ma ci teneva a essere presente. So che quelli dell'organizzazione hanno dovuto dannarsi per trovare una data che le andasse bene. Qualcosa vorrà dire.

GIULIA: L'idea era solo di non offrire un'idea sbagliata. 

L'ALTRO: Soddisfatta, almeno, del lavoro svolto?

GIULIA: Escluse le lettere, c'era solo da archiviare.

L'ALTRO: Ma una mole inaudita.

GIULIA: Lavoro di pazienza. Mi hanno mandato dei buoni artigiani.

L'ALTRO: E se fosse toccato a uno di loro venire tre anni fa al posto mio, si sarebbe comportata allo stesso modo?

GIULIA: Credo di sì.

L'ALTRO: Ah.

GIULIA: Geloso?

L'ALTRO: Per capire.

GIULIA: Cosa?

L'ALTRO: Quanto fossi sostituibile.

GIULIA: Tre anni fa al cento per cento. Oggi, non più. Difatti son lì.

L'ALTRO: Che siano ancora lì l'avevo interpretata diversamente. Confidavo in una presa di coscienza. Di averla indotta a qualche scrupolo, se capisce che intendo.

GIULIA: So che mi ha sognata.

(Silenzio)

GIULIA: So che lei, Professore, mi ha sognata.

(Lui va a poggiare il bicchiere sul tavolo. Si risiede)

L'ALTRO: E' vero. 

GIULIA: Ma non una volta, parecchie.

L'ALTRO: Sì, è vero.

GIULIA: Pensa l'abbia buttata a caso?

L'ALTRO: Francamente... beh, sì.

GIULIA: Una mattina io e Andrea stavamo facendo colazione. Ora le racconto una cosa piuttosto buffa. Stavamo facendo colazione, come al solito, e lui mi fa: Giulia, guarda... il bicchiere vicino a te, si sta muovendo. - Guardo, era vero. Si stava muovendo. Faceva piccoli cerchi, regolari. Magari, penso, dell'acqua sotto che lo fa scivolare... no. Si muoveva... si muoveva e basta. Da sé. Io d'istinto ci metto la mano sopra e lo fermo. Da allora ha preso a succedere tutte le mattine che facevamo colazione insieme. Ma il bicchiere doveva essere sempre lo stesso, altrimenti nulla. 

L'ALTRO: Succede ancora?

GIULIA: Ovviamente no.

L'ALTRO: Questo per dire?

GIULIA: Che io so... che lei mi ha sognata.

L'ALTRO: Ah.

(L'uomo, irrequieto, si alza di nuovo e va riprendere il bicchiere per giocherellarci una volta tornato a sedere)

L'ALTRO: Stavolta, mi perdoni, ma il suo racconto non mi ha fatto un grande effetto.

GIULIA: Pur io l'ho sognata. L'ho sognata che mi sognava: E nel sogno facevamo le stesse identiche cose. Lei sognava me che sognavo lei. Sapeva che sapevo. E poi facevamo le stesse identiche cose. Porcherie. - Ero pronta alla sua telefonata. (Silenzio) Perché non va a recuperare un po' di rhum dalla terra dove l'ha gettato?

(Lui solleva gli occhi a guardarla. Poi porge con determinazione il bicchiere. Lei glielo riempie. Lui beve. Tutto d'un fiato)

L'ALTRO: E adesso?... Che dovrebbe succedere?

GIULIA: Sono qui. Come le lettere sul tavolo.

L'ALTRO: Io... beh, non posso fare quello che non voglio.

GIULIA: Tutto possiamo volere, tranne il nostro volere.

L'ALTRO: E lei cos'è che vuole?

GIULIA: Sono muta. Come Cekov nella sua camera da letto.

L'ALTRO: Non ha senso.

GIULIA: E sognando se lo domandava se ne avesse?

L'ALTRO: Sì, e mi svegliavo.

GIULIA: Ma sempre troppo tardi. Mi svegliavo anch'io, lo so.

L'ALTRO: Mi spiace, non fa per me. Mai trafficato in chiromanti e robe simili.

GIULIA: Com'è sgarbato!

L'ALTRO: Mi ci costringe.

GIULIA: Stavolta, però, non se ne andrà tanto presto. Chissà come mai.

L'ALTRO: Volessi...

GIULIA: Sbaglia, non siamo a una resa dei conti.

L'ALTRO: (Mostra l'orologio) Le cinque. Tra mezz'ora, può giurarci, sarò a casa mia.

GIULIA: Sa che ne ho fatto di quel bicchiere? Dopo la sua morte l'ho rotto e calpestato. Come gli ebrei ai loro matrimoni. Le schegge le ho sepolte con lui. - Sta pensando a sua moglie, per caso?

L'ALTRO: Non ce l'ho più.

GIULIA: Però stava pensando a lei.

L'ALTRO: Forse. Ma tra mille altre cose.

GIULIA: E si è detto: Non c'è più. - E oggi, forse, lei vuole che non ci sia più.

L'ALTRO: Sarà quello che sta pensando lei di di...

GIULIA: Sì, lo stesso. Posso procedere benissimo anche senza di lui. Ma non dovrei.

L'ALTRO: Non dovrebbe perché?

GIULIA: Non sia importuno. Io gliel'ho confessato di avere dei segreti. E, su tutti, uno che li sommerge tutti.

(Una pausa)

L'ALTRO: Suo marito, la volta di quello a cui era morto il figlio... oh insomma, lui poi glielo spiegò il significato del suo esperimento... il giorno appresso, ma lo fece.

GIULIA: Con ciò?

L'ALTRO: E' troppo sperare che ora lei faccia altrettanto con me?

GIULIA: Che pretende? Di passare la notte insieme?

L'ALTRO: Eviterei. Meglio subito.

GIULIA: Ci sono cose per cui ci vogliono anni. E se mi dice che tra mezz'ora... 

L'ALTRO: Al massimo. Non oltre. Già sono le cinque passate.

(L'uomo si allenta la cravatta e se la leva. Lei gli si accosta. Morbidamente. Lo bacia sul collo. Lui la lascia fare. La luce torna a essere di nuovo quella dell'inizio)

GIULIA: (Mostrando l'orologio) Ta-tàn...le cinque e mezza. Ti rendi conto?... Ora, in questo momento esatto, sta scoccando l'ora del nostro... terzo anniversario. Alle cinque e mezza di tre anni fa tu dicesti, proprio da lì, dove sei adesso: “Va bene, resto”. Prima, alle cinque, tutto duro: “Me ne vado”; poi, alle cinque e mezza ci ripensi e mi dici: “Resto”. E sei rimasto. 

L'ALTRO: Non prenderla come una tua vittoria. Casomai, di entrambi.

GIULIA: Chi lo nega!

L'ALTRO: Non sei stata solo tu a convincermi. Pur io lo volevo. Bello, però, che te ne sei... io, capirai... ma come hai fatto? Brava, accidenti.

GIULIA: Ci tengo. Per me è importante. (Occhio all'orologio) Ecco... ora. (E sfiorandogli le labbra) Buon anniversario, amore mio. 

L'ALTRO: A te. - Scusami... avrei dovuto... che sembri fatta apposta per certe cose, tu. Risolvi tutto, e un poveraccio si sente sempre in debito. D'accordo, ci sto. Poi ti meravigli che a uno venga subito voglia di sposarti. Non ci credevo, è vero.

GIULIA: Sai perché a lui non andò bene con quelle che ha avuto prima di me?... 

L'ALTRO: Chi?... Ah. E' un po' che non ci penso. 

GIULIA: Bugia grande come una casa. Dài, te lo sei mai chiesto?

L'ALTRO: Cose della vita, immagino. Capita.

GIULIA: Vuoi saperlo? Se vuoi te lo dico. Così comincio a rovesciare una prima carta, te lo meriti. - Perché quelle non gli permettevano di tentare il suo esperimento, semplice. Con me, invece... per questo è durata.

L'ALTRO: Ma si è ammazzato!

GIULIA: E allora?

L'ALTRO: Io non ne ho mai parlato perché pensavo che non volessi.

GIULIA: E io perché pensavo che non avresti capito. 

(Lei, se ha una camicetta, inizia a slacciarsela; se ha una maglia, a sfilarsela) 

GIULIA: Anche se è un po' presto, dì... ti va di salire?

(Una pausa)

L'ALTRO: No. Preferisco qui.

GIULIA: Certo. Allora, però, ricordati quello che ti ho chiesto.

(Una pausa, poi l'uomo annuisce va a una finestra. Prende il capo di una tenda e, lentamente, inizia a tirarlo per oscurare)

........................................

(Lui prosegue l'esatto identico gesto che stava compiendo prima dell'interruzione. Lei, per contro, procede nella sua spoliazione e nella successiva rivestizione indossando un'altra maglia o un'altra camicetta)

GIULIA: T'avverto. Ora che vedranno tirato, quelli cominceranno a preoccuparsi.

L'ALTRO: Quelli chi?

GIULIA: I vicini.

L'ALTRO: Perché?

GIULIA: Si ricordano di quando già una volta chiudemmo tutto, e lui avrebbe anche voluto spezzare la chiave nella toppa. Che esagerazione, vero?... - M'ha fatto stare così per mesi finché gli ho detto: “Basta, oggi esco”. (Lo guarda. La guarda) Appena m'allontano che... bum. Corro indietro. Già erano tutti alla finestra. Quello che sai.

L'ALTRO: (Facendo per riaprire) Se vuoi che tolgo.

GIULIA: No, lascia. Ma volevo dirtelo.

L'ALTRO: Mi pareva fossi stata tu a proporlo.

GIULIA: Se non ti secca metterli in agitazione...

L'ALTRO: Si fottano.

(E conclude il suo gesto oscurando. Si direbbe che ora la stanza faccia da fonte di luce a se stessa. Lei termina di cambiarsi. Lui muove qualche passo rasente i muri, vacillando)

GIULIA: Stordito?

L'ALTRO: (Con un gesto della mano) Così.

(I due si tengono di mira, si puntano. Come in una selva. Forse è un gioco. Lui si irrigidisce. Lei può raggiungerlo. Toccarlo)

GIULIA: Ti senti come ipnotizzato, per caso?

L'ALTRO: No. - Forse. Appena appena.

GIULIA: Che potresti fare tutto quello che, se te lo chiedessi... davvero tutto?

L'ALTRO: Del genere?

GIULIA: Dovrei pensarci, tutto.

L'ALTRO: Ho visto una volta scucchiaiare un cervello. Si potrebbe fare così pure con l'anima.

GIULIA: Forse.

L'ALTRO: No, non forse. Dovesse succedere, non illuderti: l'avrei voluto io. Con me, uno ci ha provato, ma per gioco. A una festa. Uno mai visto. Dicono bravo. Dai, provaci anche tu. Per me, faccio, d'accordo. Si sforza, si sforza, poi lo vedo sbiancare. Rovescia la faccia all'indietro e cade giù svenuto. Gli avevo fatto come da specchio, capisci. Una barriera. Più voleva ficcare i suoi occhi nei miei, più se li ributtava addosso. E non è che avessi fatto resistenza. Per niente. Cioè, non volontariamente. Sai che anche gli animali si possono ipnotizzare tra di loro?

GIULIA: E tu lo sai che a volte non c'è neppure bisogno di guardarsi negli occhi? A volte, invece, può essere una circostanza, qualcosa di più impalpabile.

(E va prendere dal tavolo, tra le carte, qualcosa che addenta. Uno strano panino)

L'ALTRO: Socratica. Perché dica da me come stanno le cose. 

GIULIA: (Gli porge quello che sta mangiando) Vuoi?

L'ALTRO: E' così?

GIULIA: Forse.

L'ALTRO: Ipnotizzato non da te, ma da noi due.

GIULIA: Forse. (Porgendo ancora) Guarda che non c'è altro.

(Lui si accosta. Addenta. Lei mangia l'ultimo boccone)

GIULIA: Già vissuta. Si parla, si parla, e ci si dimenticava di comprare la roba. Poi la compri... si parla, si parla, e ci si dimentica di metterla in tavola. E quando c'è, di mangiarla. Finché lo stomaco si riduce a una pallina da ping-pong, e ci si abitua.

L'ALTRO: E intanto, blà blà. Chiamasi: suicidio bianco.

GIULIA: Lancio l'allarme. Coi nostri, di blà blà, stiamo andando ancora più a rottadicollo.

L'ALTRO: Per me, benissimo. Mi spiace solo che il tuo apprendistato l'abbia fatto con un altro.

GIULIA: Io, lo sai, ti amo sul serio. 

L'ALTRO: Uh! Si parla, si parla. Come con Andrea.

GIULIA: Come con te, e basta.

L'ALTRO: I piatti sporchi comunque li ho buttati.

GIULIA: Giusto, d'accordo.

L'ALTRO: Sembravano... paludi secche. Non sentivo più un sapore, solo schifo.

GIULIA: Ripeto, d'accordo.

L'ALTRO: Di quelle croste che a prenderli graffiavano. Ci tenevi?

GIULIA: Regalo di nozze. No.

L'ALTRO: Temevo. Mi togli un peso.

(E si accovaccia in terra. Lei si lecca le briciole da una mano. Offre l'altra a lui perché faccia lo stesso. Lui lo fa. Poi si lecca le proprie)

GIULIA: Hai voglia a ripeterti ‘Ti amo'. Mai che tu mi risponda ‘Pur io'.

L'ALTRO: Certe storie sono doppie. Tutte le storie sono doppie. Uno che dice: E' durata un anno e lei che dice: Sei matto? Almeno due. - Sai tu che significa il tuo dirmi ‘Ti amo', so io che significa il mio starmene zitto. - (E sbircia da una tenda) Quei deficienti, là in giardino, ma li vedi?... Sempre a fare su e giù. E come allungano il collo! Li caccerei a fucilate.

GIULIA: Rassègnati, è meglio. T'avevo detto: Chiudi e vedrai che succede. Anzi che per qualche giorno ci hanno lasciato in pace. Sono pure in ritardo.

L'ALTRO: Non mi stupirei che ci mettessero nell'ordine del giorno alle riunioni del consorzio. Perché non ci vai? Le convocazioni le ho viste, continuano a mandartele.

GIULIA: C'è uno a cui abbiamo dato una delega perenne.

L'ALTRO: E chi?

GIULIA: Un militare. Ora in pensione. Alta grado della Marina, mica una sciocchezza. Quando è venuto per il foglio con la firma, “Questa la do in fotocopia. - ha detto - L'originale se permette me lo tengo. Un autografo che col tempo...”

L'ALTRO: Perché lui?

GIULIA: Non m'interessa. Tanto meno a te.

L'ALTRO: Chi fu a sceglierlo?

GIULIA: Non io.

L'ALTRO: Di nuovo in tre. Di nuovo in tre.

GIULIA: Perciò non m'interessa. Te ne supplico.

(Lui si sdraia. Lei gli va sopra)

L'ALTRO: Sei diventata tutto il paesaggio che mi resta, Giulia, te ne rendi conto? Tutto quello che mi resta. Che è molto più di quello che avevo. Preferiresti un ‘Ti amo' a questa confessione? Fatta una volta non la ripeto più. Allora? Rispondi.

(Lei non risponde, ma se rispondesse direbbe ‘no')

L'ALTRO: Sei lo stesso che dire ogni minuto che vivo. Ti ho scritto un mucchio di lettere, lo sai? (Silenzio) Sul retro delle sue.

(Lei solleva il capo e annuisce. Ora i due rotolano e si rovesciano. Lei quasi scompare sotto di lui)

L'ALTRO: Di notte non faccio altro che scriverti scriverti scriverti. Ma finite le sue, non ne avanza più per le mie. Temo non ne seguiranno altre.

GIULIA: Carta ce n'è.

L'ALTRO: Ci voleva quella. Calligrafia contro calligrafia. E la mia prende più spazio.

(Lei si sottrae. Si alza. Sembra commossa) 

L'ALTRO: Non so come sia accaduto, ma oramai.

(Silenzio)

L'ALTRO: Giulia!

(Lei lo guarda fisso, intensamente. Quello che lui le ha implorato di fare)

L'ALTRO: Per me non è un esperimento. Da parecchio. Forse all'inizio.

GIULIA: Per me ancora sì. Per questo conta. (Scandendo) Deve - essere - un esperimento. Altrimenti... (silenzio) in questo modo ha un senso. Cioè, voglio dire che in questo modo è una cosa vera. Mia. Mia e tua.

L'ALTRO: Mia e tua?... Quasi non mi tocchi più.

GIULIA: Come puoi dirlo? Guarda oggi, ora: moltissimo.

L'ALTRO: Oggi, ora... ma ieri?... E domani? Come sarà? Come oggi o come ieri?

GIULIA: Tu, per caso, lo sai quello che faccio mentre dormi?

L'ALTRO: No, che?

GIULIA: Tutto. Più di tutto. Ti basta?

L'ALTRO: No, che?

GIULIA: Tutto quello che mi passa per la testa.

L'ALTRO: Dai, dimmelo. Che?

GIULIA: Le mie fantasie possono cambiare da una notte all'altra. Mi spiace.

L'ALTRO: Una!

GIULIA: Ti stringo dove, da sveglio, dici che ti faccio male. Poi ti svuoti e spalanchi gli occhi. E a me diverte sbirciare come te la sbrighi al buio, per asciugare e sistemarti, mentre tu invece pensi che dormo. Ieri notte, ad esempio.

L'ALTRO. La voglia che avrei di... di...

GIULIA: Scannarmi?

(Lui si porta le mani sul volto. Un silenzio. Poi, parlando a volto coperto...)

L'ALTRO: Ho in mente alcuni cambiamenti importanti. Parlartene adesso forse è prematuro. Ma credo che mi deciderò presto. Sia a dirtelo che a farli.

GIULIA: Purché non sia a nome mio.

L'ALTRO: (Facendo scivolare giù le mani) E come pensi di tirarti fuori?

GIULIA: Neppure so di che si tratta. 

L'ALTRO: Se vuoi...

GIULIA: Non ti do fretta. Quando ti va.

(Silenzio)

L'ALTRO: Perché non usciamo?... Prendiamo la macchina, guido io, e andiamo in città a vederci un film? Quello che capita.

GIULIA: Domattina non devi essere in Facoltà prestissimo?

L'ALTRO: Beh, ce la faccio.

GIULIA: Sarebbe uno shok. Non vado al cinema da quando ho tredicianni, ci credi?... La mia prima uscita senza i miei. Mi sentivo chissacchì. Eravamo io e una mia compagna di classe. Facevano un film comico. Quando finisce si accendono le luci e la donna che stava un posto dopo il mio si mette a urlare. Il suo uomo stava lì con gli occhi sbarrati, un po' piegato verso di me e la bocca così, mezza aperta. Gli vedo la punta della lingua che gli sporge fuori dai denti. Prima dell'intervallo era ancora a vivo e aveva comprato da bere per sé e per lei. Aveva offerto anche a noi due, se volevamo qualcosa. La mia amica si è fatta prendere delle patatine da sgranocchiare. Potrei dirti com'era vestito. Poi è morto, zitto zitto, dopo che è tornato il buio. Avrei riso se fosse rimasto vivo, ho riso lo stesso mentre moriva, e pure dopo. Non mi ero accorta di nulla. E il film non è cambiato per il fatto che quello, intanto, era morto. Ma lo era. L'amichetta con cui ero andata l'ho rivista solo in classe, non siamo più uscite insieme. Lei ogni tanto si avvicinava per attaccare discorso ma mi dava fastidio e cercavo di evitarla. Forse perché un po' si era approfittata di lui mentre io non ne avevo avuto il coraggio. Non lo so. Col cinema, uguale. Sempre evitato. L'esperienza che poteva darmi me l'aveva data. Chiuso.

L'ALTRO: Mh. Tutto è simbolo e analogia. Capisco.

GIULIA: Io no. Nel senso?

L'ALTRO: Beh, non ha un po’ a che fare con l'esperimento quello che poi, qualche annetto dopo... eh?... (una pausa) Dai, l'esperimento... me l'hai raccontato che eravamo... mah, saranno stati i primordi. Ti sei girata di spalle e hai sentenziato: “Se vuole se ne vada, ma senza far rumore”. (Breve pausa). Quello a cena col tizio che ti ha fatto conoscere tuo marito. Tanto strampalato come rimando?

GIULIA: Era solo per dirti: lascia perdere. Domattina devi alzarti presto.

L'ALTRO: Pare che ho chiesto chissacché! Solo una risposta, mica la fine del mondo.

GIULIA: Poi ti conosco, sarai morto di sonno.

L'ALTRO: T'ho detto, ce la faccio. Insomma, ha a che fare o no?

GIULIA: Ha a che fare che non mi ero accorta di nulla. Che per me lì c'era sempre quel signore che era stato gentilissimo, e sua moglie che gli dice di non insistere troppo. Comprensibile. Avevo tredicianni, sono pochi ma non pochissimi. E invece non c'era lui, no. C'era un cadavere con la vedova affianco. Non una cosa, ma l'altra.

L'ALTRO: Perciò dicevo.

GIULIA: Ha a che fare che... guardami bene, Luca... visto che ci tieni, per essere più chiari... tu di me... ti sei accorto di nulla?... Guardami!... Di me... non ti sei accorto ancora di nulla?

L'ALTRO: Bella mia, viva sei viva.

GIULIA: E a parte questo?

L'ALTRO: Che ogni tanto non capisco esattamente quello che intendi.

GIULIA: A parte questo? Provaci. Ti sei accorto di nulla?

L'ALTRO: No, di niente.

GIULIA: Già. Forse hai ragione. E' ancora troppo presto.

(Le loro posizioni, quali che fossero, si sciolgono. Ora lei è sdraiata sul divano con una coperta indosso. Lui abbandonato su una poltrona dove stenta a trovare una posizione allungata per cui sarebbe senz'altro più consono un letto. Come se lei fosse malata, e lui stremato dal doverla accudire)

GIULIA: Discorso sciocco. Lasciare la cattedra. Non ne vedo il motivo.

L'ALTRO: E' indispensabile parlarne?

GIULIA: Se lo fai per me, sì. Era questo a cui ti riferivi prima dell'estate col tuo proposito di prendere certe iniziative? Beh, se era questo e se lo fai per me, te lo ripeto: lascia perdere.

L'ALTRO: Per tutta una serie di cose.

GIULIA: Limitiamoci a quello che mi riguarda. Lo fai per me?

L'ALTRO: Certo che sì. Mi pare logico. Hai bisogno di me più tu di dell'Accademia. Guarda come sei ridotta. Bruci.

GIULIA: Allora te lo sogni. Piuttosto prendo e scompaio, non mi vedi più.

L'ALTRO: E sia, va bene vattene, scompari. O cacciami. Che poi sarebbe la cosa più logica. Il giusto epilogo. Mai diventata casa mia, questa. Quindi, non vedo perché dovresti andartene tu. 

GIULIA: Tra le cose più cattive che ti abbia mai sentito dire.

L'ALTRO: Te le chiami.

GIULIA: Per rimanere a farmi da gendarme. 

L'ALTRO: Qualcuno ti serve.

GIULIA: Gente che si può pagare. Ce n'è. Basta assumerla. Non potrei farlo?

L'ALTRO: Tu pensa solo se ti dicessi di sì. Pensa se, impazzito, tutto a un tratto ti dicessi: d'accordo, troviamo qualcuno che ci aiuti. Che venga. Che viva qui dentro, con noi. - Allora? Che faresti? (Silenzio) Meno male che non sai che dire.

GIULIA: Semplicemente mi darei da fare.

L'ALTRO: Dio, non sai la rabbia di quando riesci a prenderci in giro tutti e due come stai facendo adesso!

GIULIA: Se proprio debbo essere accudita, permetti che mi senta un po' più sicura con uno che lo fa di professione?

L'ALTRO: Ancora! 

GIULIA: O forse, davvero, è uno di quei momenti in cui facciamo a gara per non capirci noi due.

L'ALTRO: Va bene!... Ti dico: va bene, più di questo?!... Cerchiamola. Sù, mettiamoci all'opera. Hai amiche informate? Non mi risulta. Allora, chi comincia? Tutti e due insieme, o vuoi pensarci solo tu?... Ah, non abbiamo poi chiarito le mansioni. Cerchiamo una cameriera o un infermiere?

GIULIA: Sei odioso.

L'ALTRO: Io? Dico solo quello che vedo.

GIULIA: Per cortesia.

L'ALTRO. Per cortesia che? Affrontiamole le situazioni, è meglio.

GIULIA: Hai ragione, certo, come no.

L'ALTRO: Altro piccolo problema. Tasto dolens. Il più umiliante. Lo stipendio. Avanti, proponi. Come regolarsi? Gente così, lo saprai, guadagna più di me. Dovremo consegnarle pari pari tutto quello che prendo, poi?

GIULIA: Tutto quello che prendi non è tutto quello che abbiamo.

L'ALTRO: Ormai - sì.

GIULIA: Per carità.

L'ALTRO: Ma chi li tiene i conti? Tu? Non pubblico più articoli da tre anni.

GIULIA: Idea tua.

L'ALTRO: No, tua. Cioè, mia ma attraverso di te. Strategie che da quel dì... oh! Non me le devi più insegnare. 

GIULIA: Ricordo solo che un giorno sei venuto e hai proclamato tutto fiero: Col giornale ho chiuso.

L'ALTRO: Per smettere di farti ribrezzo, se la cosa ha un senso. Oggi, francamente, non potrei più giurarci. Me l'invento? Dì se me l'invento. Hai fatto un mucchio di scene - capacissima, come te nessuna - ma era quello che volevi e ho detto basta. Tutto il nostro ménage è all'insegna del Basta. Regola tua. Mai dichiarata ma di ferro. Da quando tutta questa vicenda è cominciata, io ci sto affogando nei tuoi ‘basta', e se oggi me lo domandi neanche saprei dire com'è successo.

GIULIA: Basta a che?

L'ALTRO: Basta. A tutto ciò che non ti riguarda.

GIULIA: Dio mio, e ne valeva la pena? Per una matta così?

L'ALTRO: Parliamo delle nostre entrate, conviene.

GIULIA: E' brutto che l'hai chiamata vicenda. A me non sarebbe mai venuto.

L'ALTRO: Una storia a due, lo è.

GIULIA: Per farne un bel pacco e metterlo da parte.

L'ALTRO: Sì, con me dentro.

GIULIA: E io no?

L'ALTRO: Appunto, pure.

GIULIA: E con tutte queste angosce per i soldi, vorresti lasciare anche l'Università? 

L'ALTRO: Non ho detto che siamo a zero, c'è crisi e crisi, ma che se dovessimo rivolgerci a qualcun altro sarebbe una catastrofe. A meno di non cambiare casa.

GIULIA: Non se ne parla.

L'ALTRO: Questa, dovresti saperlo, costa.

GIULIA: Non se ne parla.

L'ALTRO: Il giardino, fuori, sta andando in malora.

GIULIA: Ti ci stavi dedicando.

L'ALTRO: Se non io chi? Per forza. 

GIULIA: Lo fai anche bene.

L'ALTRO: Il minimo. Ma per sistemarlo in modo decente ho bisogno di tempo. Puzza di marcio. Un camposanto. Fiuta, si sente anche da qui.

GIULIA: Per quello basta una buona spazzata.

L'ALTRO: Non passa l'inverno, da' retta.

GIULIA: Resiste, resiste. Non è la prima volta che subisce tracolli. 

L'ALTRO: Beh, io non mi ci so abituare.

GIULIA: Come se io, invece, ne fossi contenta.

L'ALTRO: Ah, lo sai tu. Magari sono aspetti di te che ancora debbo scoprire. Ti conosco solo da quando vivo qui; di quello che eri prima non rispondo.

GIULIA: Vive qui, lui.

L'ALTRO: Sì, vivo qui.

GIULIA: Chissà perché.

L'ALTRO: Sino a prova contraria.

GIULIA: Dire ‘da quando stiamo insieme' ti fa cascare lingua.

L'ALTRO: Mi va di essere concreto.

GIULIA: Dire ‘amore', poi, un'onta.

(Un silenzio. Entrambi sembrano imbalsamati nelle loro posture)

L'ALTRO: Sai quanto ci è arrivato di diritti per questo semestre? Prova a dire. Lo zero virgola zero dell'anno scorso, che già era la metà dell'anno prima. 

GIULIA: Ci sono sempre quelli di Andrea.

L'ALTRO: Tesoro... io è di quelli che dico. I miei non esistono più, uff... sai da quanto.

GIULIA: Ma se adesso, come sembra, con le ristampe... beh, qualcosa si vedrà.

L'ALTRO: Come sembra a chi?

GIULIA: Sei stato tu a portare la notizia. Tutto festante. 

L'ALTRO: Sognatelo. 

GIULIA: Natale scorso, mica me l'invento.

L'ALTRO: Appunto. E' più di un anno e non se n'è fatto nulla. 

GIULIA: Se non mi tieni al corrente, scusa.

L'ALTRO: Sono discreto, disturba?

GIULIA: Non vedo questo che c'entra. 

L'ALTRO: Come se io non ci tenessi.

GIULIA: Chi lo nega? Sei il suo mèntore. Ti ci sei legato a filo doppio, non avresti dovuto. Un autore troppo recente. Esposto al declino. Tant'è. Se non leggono più i suoi libri, figurati i tuoi su di lui. Imprevidente come un poeta.

L'ALTRO: Tuo marito è un autore di culto. Chi lo ama lo sa a memoria e se lo tramanda flatus vocis. Cosa che, peraltro, aveva auspicato. 

GIULIA: Mio marito sei tu.

L'ALTRO: Per il mondo è lui.

(Una pausa)

GIULIA: Vieni qui, stupido... dai, vieni!

(Lui, infine, va a sedersi sul bordo del divano, presso di lei. Ne segue una curiosa pausa di tenerezze silenziose e nutrite di gesti assai parchi. Le parole riaffiorano solo a capo di questa breve vacanza del pensiero)

GIULIA: Non avevi iniziato a scrivere qualcosa di nuovo? Perché non provi a finirla?

L'ALTRO: Magari è anche per questo che mi licenzio.

GIULIA: Balle. E' che non sai più cosa diavolo fare del tuo cervello.

L'ALTRO: Ci hai messo due anni per convicermi a mollare tutto, e adesso che mi sono deciso, sentitela!

GIULIA: Quali due anni?

L'ALTRO: Da quando ti sei ammalata. O finto di. Non lo so.

GIULIA: Finto di?...

L'ALTRO: Tanto assurdo?

(Lei si alza. Piega a dovere la coperta. La ripone. Lui si sfila le scarpe e si sdraia al posto della donna, come a invertire le parti. Parlerà molto pigramente. Nel mentre, la luce cala e risale, ma già non è più quella di prima)

GIULIA: Come volevasi dimostrare. Staccato.

L'ALTRO: Immaginavo. 

GIULIA: I soldi per pagare la bolletta c'erano. Lo dicevi a me, ci pensavo io. 

L'ALTRO: Che cambia? Tanto non lo usavamo mai.

GIULIA: Ma a te poteva servire.

L'ALTRO: L'ultima telefonata l'ho fatta sai quando? Quattro mesi fa. In Facoltà. Per dire che me ne andavo.

GIULIA: Qualche volta però ha squillato.

L'ALTRO: Mi hai mai sentito rispondere? O eri tu che ci tenevi? Se eri tu... si va, si paga, e tempo un giorno te lo rimettono.

GIULIA: Non è questo.

L'ALTRO: Allora che?

GIULIA: Basta che poi non me lo rinfacci.

L'ALTRO: Se tutto deve finire, finisca.

GIULIA: Pare la volta del coltello.

L'ALTRO: Che volta?

GIULIA: Prendemmo due coltelli e ce li puntammo alla gola. Non so dirti quanto saremo rimasti così. Con la punta che affondava nella carne, mica per scherzo.

L'ALTRO: Immagino.

GIULIA: Prima avevamo passato un'ora in silenzio. Ognuno a pensare per i fatti suoi. Seduto lui sul divano e io sul bordo della branda che era stata portata giù. Avevamo smesso di dormire in camera e ci eravamo stabiliti qui sotto. Insomma, un'ora così, zitti, poi andiamo in cucina, prendiamo due coltelli e ce li puntiamo alla gola. Ci alziamo, prima io e appresso lui, e calmissimi andiamo di là. Senza dirci nulla. Prendiamo i coltelli e ce li puntiamo alla gola. Tranquillissimi. 

L'ALTRO: Dovremo sempre continuare a essere in tre, noi due? Sempre in tre?

GIULIA: Se ancora ti interessa, qualcosa delle nostre lettere puoi cominciare a capirla.

L'ALTRO: Preistoria.

(E l'uomo, sempre sdraiato, si volta contro lo schienale del divano sottraendosi sdegnosamente allo sguardo di lei, che gli si siede affianco e continua a dire carezzandogli la nuca. Lui, a tratti, cerca di rintuzzare quella carezza menando piccoli schiaffetti a casaccio, come a scacciare un insetto)

GIULIA: E prima di ammutolire non è che avessimo litigato. Affatto. Anzi. Andrea mi aveva letto un paio di pagine che a me erano anche piaciute. Forse non gli avrò detto tutto quello che si aspettava di sentirsi dire, non so. O sarà stato che, in realtà, quelle pagine, che davvero mi erano piaciute, mi avevano fatto capire qualcosa che fino allora non mi era stata chiara, può essere. Fatto sta che che rimaniamo seduti a guardare il muro di fronte, tutti e due, immobili, e a rimuginare quasi le stesse identiche cose. Io, la vita che mi stava costringendo a fare, e lui altrettanto. E forse a rimpiangere a vicenda quelle che avremmo potuto vivere altrimenti. E monta un cumulo di rinfacci. Tutto un cumulo di rinfacci. E io capisco lui a cosa sta pensando. E capisco che lui lo capisce di me, allora insiste. Sgraniamo il medesimo rosario. Quando arriviamo alla fine, ci alziamo e andiamo di là. E tiriamo via i coltelli dal ceppo. Ci mettiamo uno di faccia all'altro e ce li puntiamo alla gola. A me era toccato il più grande. Ma è stato lui a lasciarmi il segno. Quando vede un po' di sangue che mi cola giù per il collo abbassa il braccio. Io invece no, ma lui mica si scansa. Poggia il coltello sul tavolo affianco, ma non si scansa, allora penso: “Perché non se ne va? Eppure lo vede che potrei farlo per davvero”. Finché rinuncio pur io. E restiamo a mani nude. Dopodiché, si torna qui, a fare l'amore per l'ultima volta. Quella è stata, forse, la nostra lite più pericolosa. Non eravamo mai arrivati sino a tanto. 

L'ALTRO: Ti ho sempre temuta quando non dici niente.

GIULIA: Quando non dico nulla io, lo fai anche tu. Qualcosa vorrà pur significare.

(Lui, che insiste a stare incantucciato di spalle, sembra avere dei dolori al petto. Lei forse vorrebbe intervenire, ma rinuncia)

L'ALTRO: Stavo pensando... visto che il discorso l'hai tirato fuori tu... perché non le usiamo? Il modo c'è.

GIULIA: Che?

(Lui solleva un braccio additando le lettere. Poi torna la salma che era)

GIULIA: Ah. E come?

L'ALTRO: Quelle, a proporle, ce le pubblicano di sicuro.

(Lei va al tavolo. Si siede. Prova a sfogliarle. Dopo alcuni istanti anche l'uomo, sciogliendosi dalla sua posizione, si alza e va ad avvoltolarsi nella coperta. Ma evita di tornare al divano. E' come un insonne: stordito, eppure incapace di indulgere al letto. Inizierà a muoversi, quasi ciabattando, per la stanza. Insomma, un grumo di recita realista)

GIULIA: (Accostando una lettera al volto) O mio Dio... stento a decifrarle. Poveri occhi... era parecchio che non li mettevo alla prova. Ricordi quando non ci facevamo nessuno scrupolo a mangiarci in mezzo?... Che matti. Questa, guarda, si è tutta incartapecorita. Acqua. O rhum. A lui piaceva quando bevevo, a te mi sa mica tanto. Le scostavamo e ci mangiavamo in mezzo. Senza mai discuterne. Mai.

L'ALTRO: Ecco. Abbiamo l'occasione, approfittiamone. Almeno una cernita, perché no.

GIULIA: Magari purgata.

L'ALTRO: Pochissimo, sennò, tanto vale.

GIULIA: E non ti seccherebbe?

L'ALTRO: Nove anni fa, probabilmente.

GIULIA: Nove anni fa ti avrebbe seccato per lui, e oggi?... Non per me?

L'ALTRO: Oh, insomma... era solo un'idea. Non ti va? Bella che morta.

GIULIA: Queste lettere non sono più mie da tempo. E' roba tua. Decidi tu.

L'ALTRO: Mie?... 

GIULIA: Tue, tue. Per spartire il presente, ti ho regalato il passato.

(Un tempo)

L'ALTRO: Bene. D'accordo. Domani me ne occupo.

(E va a recuperare lo scatolone. Vi accatasta dentro un mucchio di altri fogli che sgraziatamente tira via si sotto lo sguardo di lei e porta via. Pochi istanti e rientra. Va a sedersi sul bordo del divano rimanendo a schiena dritta. Così sta. Tossisce)

GIULIA: La corrente, allora... quella che facciamo?... Se ti tocca rimetterti al lavoro, conviene pagarla.

L'ALTRO: Non è necessario.

GIULIA: Ti ci vedo che scrivi a lume di candela. Sei il tipo.

L'ALTRO: Almeno ne abbiamo?

GIULIA: Candele? Una scorta.

L'ALTRO: Ma va'!

GIULIA: Anche con Andrea ci siamo trovati a vivere per un bel po' senza luce. Sicché, per forza.

L'ALTRO: Ma senti! E pure senza telefono, magari.

GIULIA: Transeat.

L'ALTRO: Dai, dimmelo.

GIULIA: Transeat.

L'ALTRO: Sempre in tre, sempre in tre. Non se ne scappa, eh.

GIULIA: Come se tua moglie, tu, non te la fossi portata appresso.

L'ALTRO: Non mi sembra di parlarne troppo.

GIULIA: Parlarne è il minimo.

L'ALTRO: La butti e ritiri la mano. Brava.

GIULIA: Ci stai pensando anche adesso.

L'ALTRO: Ovvio. Se dici cane, vedo un cane.

GIULIA: Oh. Come se me ne importasse.

L'ALTRO: Beh, non mi dispiacerebbe.

GIULIA: Mi vorresti gelosa?

L'ALTRO: Sarebbe mica fuori dal mondo.

GIULIA: Alla nostra età, abbastanza. 

L'ALTRO: Comunque, lavoro da fare non ne prevedo tanto.

GIULIA: Vuoi darle così?

L'ALTRO: T'ho detto, più o meno.

GIULIA: (Versando) Un brindisi?...

(Silenzio)

GIULIA: L'ultimo goccio, te lo lascio.

(Silenzio. Lui allunga la mano, ma il bicchiere è distante. L'uomo realizza che per prenderlo dovrebbe alzarsi. Rinuncia. Lei nota la sua apatia e si decide a passarglielo. Gli si accosta, con tenerezza)

GIULIA: Lei, Professore, si fiderebbe di me come cuoca?

L'ALTRO: No, come cuoca direi di no. (E beve. Appena da bagnarsi le labbra)

GIULIA: E come autista?

(Lui sorride. Poi annuisce. Respira a fatica)

GIULIA: Invece abbiamo fatto tutto l'inverso. Mai un viaggio insieme. Mai un ristorante fuori. Ad aprire cose cucinate dalle ditte. I nostri chef. - Come ti senti?

L'ALTRO: Non benissimo.

GIULIA: Qualcosa te la porto.

L'ALTRO: Tu per te la prendi?

GIULIA: No, non credo.

L'ALTRO: Allora lascia stare. 

(Rovescia la testa all'indietro. Resta così, imbambolato)

GIULIA: Che guardi?

L'ALTRO: E' vuoto lì.

(E va lentamente giù di schiena, con gli occhi sempre puntati al soffitto)

GIULIA: Lì dove?

L'ALTRO: Lì, oltre il soffitto.

GIULIA: Ah, lì.

L'ALTRO: Sì, è vuoto.

GIULIA: E come lo capisci?

L'ALTRO: Forse nello stesso modo in cui tu capisti che avevo versato il rhum nel vaso della pianta.

(Una pausa)

GIULIA: Perché ti interessa che è vuoto?

L'ALTRO: Per il fatto che non me l'hai mai detto. 

GIULIA: E cosa dovrebbe esserci, sentiamo?

L'ALTRO: Pensavo il tetto, ma prima c'è qualcos'altro.

GIULIA: Allora?

L'ALTRO: Un'altra stanza, forse. 

GIULIA: Sì, bravo. Piccola piccola.

L'ALTRO: Perché non me l'hai mai detto?

GIULIA: Perché non ci è mai servita.

L'ALTRO: Non è vero. 

GIULIA: Invece sì.

L'ALTRO: Sta' attenta, Giulia, dimmela la verità. Tanto, sennò, tu lo sai che succede... che mi addormento e lo sogno lo stesso quello che è. Debbo scoprirlo da me?

GIULIA: Meglio piuttosto che mangi qualcosa.

L'ALTRO: Vomiterei tutto.

GIULIA: Mi costringi a ricattarti. Se non mangi tu, nemmeno io.

L'ALTRO: Come vuoi. Nemmeno tu.

(Lui si mette zufolare, stupidamente, ostinatamente. Mani intrecciate dietro la nuca)

GIULIA: Abbiamo finito anche le bottiglie. Tutte.

(E lui zufola)

GIULIA: Sono durate un mese e mezzo più dell'acqua. Un buon risultato, ti pare?... Ora, per me, dì tu che preferisci. Io non vado a comprare nulla. Ma se proprio vuoi. Però non credo. Ci tieni quanto me. 

(Lui si azzittisce massaggiandosi le piante dei piedi)

GIULIA: Vero, tesoro?... Vero, sì, che ci tieni?... 

L'ALTRO: (Idem, guardandosi i polpastrelli) Ai piedi... mi esce il sangue dalle ulcere.

GIULIA: Che fai? Come la casa, che ha cominciato ad ammalarsi proprio per bene, non c'è che dire?... Già a suo tempo le è capitato, ma poi è guarita. Il giardino, invece... forse avevi ragione tu. L'avevi sentenziato. Stavolta non regge. 

(Una pausa. Lui si massaggia e lei lo fissa. Poi, repentinamente, si scuote e scompare all'interno. L'uomo sembra non interessarsene. Pochi istanti e la donna torna con una chiave e un martello, ma meglio sarebbe se gli oggetti comparissero quasi per incanto senza che debba uscire. Va alla porta, infila la chiave nella toppa e le dà un colpo secco spezzandola di netto. Lui si tira a sedere poggiandosi sui gomiti che affondano nei cuscini. Ne consegue una trazione che il suo corpo fatica a sopportare. La osserva da oltre lo schienale senza perderla di vista. Lei torna a sedere. Corrisponde allo sguardo dell'altro. Era tanto che non accadeva con una simile tenacia. Così per alcuni secondi)

GIULIA: Non avrei mai accettato, mai accettato, di vivere tutto questo con te se non avessi potuto conoscerti a fondo sin da subito. 

(Detto ciò, si alza e scaglia la seggiola dove stava seduta contro lo schienale del divano. Lui fa un balzo all'indietro, si sbilancia e scivola per terra. Si tira sù sveltamente per non perderla di vista. Un piede viene poggiato a stento)

GIULIA: La verità?... Noi, amore, abbiamo vissuto insieme da molto prima di iniziare a vivere insieme. Altra carta rovesciata. Ci tenevi tanto a saperlo. Un mese fa. Un mese fa, quando ti accorgesti di quella stanza là sopra... ti interessa ancora? Insistevi tanto. Un'ossessione. Per una settimana non hai parlato d'altro. I tuoi sogni ti hanno tradito, non ti hanno detto nulla. Neanche i miei. Povero caro. E' così che abbiamo vissuto insieme noi due. Io lì, e tu qui. Quando ti sentivi tanto imbarazzato a trovarti da solo in casa mia. Tre giorni e tre notti. Quelli lì. Quelli della prima volta. A scoprire l'oscenità di certe situazioni. Viverle com'è?... Meglio?... Oggi puoi dirlo. E ti ho lasciato solo. Ma non del tutto. Sono il tipo, lo sai, che se certe cose se le mette in testa. Non mi serviva di far nulla. Solo di stare qui. Con te. Sentirti ogni tanto sbraitare. Passeggiare. Dormire. Non telefonare mai a nessuno. Sentivo il frusciare delle carte. Tutti i tuoi brontolii. I tuoi silenzi. I vicini che cominciavano a farsi vivi. Non sapevano chi fossi e che diavolo ci stessi a fare tu qui. E' gente premurosa. Già una volta hanno dovuto preoccuparsi per me, e allora... - Ma questo, adesso, non c'entra. E come ti sforzavi di non far entrare nessuno. Un mestiere che conosco. - Io sono più addestrata di te a digiunare. Ho potuto benissimo. I miei bisogni so ridurli al minimo. Tre giorni, per me, oh... sono una sciocchezza. Poi sono scesa e rientrata come tornando dall'altro capo del mondo. (Indica la porta) Da lì. E praticamente ti ho detto: Resta. Proviamo. - Un po' per capirlo, ma sei rimasto.

(Un tempo)

L'ALTRO: Non mi hai mai detto dov'è successo. (Silenzio) Forse perché non te l'ho mai chiesto? Solo per questo? (Silenzio) Qui in questa casa, lo so. Ma dove? 

(Lei, risoluta, esce di nuovo dalla stanza. Lui le urla contro, ma è come se a dargli forza fosse il divano che gli fa da scudo e che lui non si azzarda a superare)

L'ALTRO: Inutile che te ne vai. Tanto ti tocca tornare. E se torni ti tocca rispondere. Oppure tanto vale che scompari per sempre. Vuoi che lo faccia io?... Per me, benissimo. Ci metto assai. La tua unica possibilità. Capisci quello che dico? Capisci quello che dico?... Insomma, dove?... Mi basterebbe trovare vecchi giornali per scoprirlo. Ti prego di evitarmelo. Una fatica che non mi va di fare. Dovrei andare in città, vedere gente... non lo vuoi neppure tu, per cui meglio che me lo dici. Dove?... Oh, che stai facendo? Me lo dici o no?... Dov'è?... Dov'è che si è ammazzato tuo marito?

(Lei rientra fermandosi presso la soglia. Un tempo)

GIULIA: Sì. Lissù.

L'ALTRO: Bene. Finito. Non ho bisogno d'altro.

(Così dicendo, fa una cosa assurda: si mette a sprimacciare i cuscini del divano)

GIULIA: Fra noi due, nessuno lo direbbe, ma sei tu il più violento. Sempre da te le frasi più spietate, gli imperativi più indiscutibili.

L'ALTRO: Non ci rimane più niente, Giulia, lo capisci che non ci rimane più niente? A malapena la lingua che usiamo per dirci le parole che ci diciamo.

GIULIA: E quelle che ti fai restare in gola, che sono le peggiori.

(Dalla porta entra del fumo, a folate. E mulinelli di cenere. La figura della donna ne è parzialmente avvolta)

L'ALTRO: Dio santo, che hai combinato di là?

GIULIA: Non mi andava più di tenere quel cumulo di scartoffie in cucina. Domani, domani... e non arrivava mai.. Sembravi così determinato, invece tutto quello che sei stato capace di fare è stato di traslocarle da qui a lì, nient'altro. Tanto valeva. Tranquillo, non c'è da preoccuparsi. Le ho ficcate nel lavabo. Vedi? Già stanno finendo di bruciare.

L'ALTRO: E quali?... Le sue, o le mie?

GIULIA: Dì la verità: quale ti sarebbe piaciuto di pubblicare?

L'ALTRO: Le hai mai lette, almeno?

GIULIA: Valevano le sue.

L'ALTRO: Che sapevi a memoria, come io so a memoria le mie. Non è detto che tu sia riuscita a sfuggirle del tutto. Ti sei mai accorta che te le recito durante il sonno?

GIULIA: Poi ti addormenti, e io ti tocco. Bello.

L'ALTRO: Te ne sei mai accorta, porca puttana? Non dico tanto: una volta! Una!

GIULIA: E tu?... Di cos'è che cominci ad accorgerti?... Innanzitutto: cominci, o no?

(Lui, distratto da altro, volta lo sguardo alla porta)

L'ALTRO: Rieccoli.

(Supera la donna. Va, claudicante, alla parete sul fondo. Si inginocchia. Origlia)

L'ALTRO: Stronzi!

GIULIA: Che dicono?

L'ALTRO: (Idem) Nente, ma ci sono. Spiano.

GIULIA: E' per il fumo. Ora che passa se ne vanno.

L'ALTRO: (Idem) Zitta.

GIULIA: Se ci sentono, meglio. Così si tranquillizzano. E' dalla sua morte che mi tengono sott'occhio. E te con me.

L'ALTRO: Di che hanno paura? Tu lo sai? 

(E si alza. La fissa. Silenzio)

L'ALTRO: Sto aspettando. Lo sai?

GIULIA: Magari che accada di nuovo, può essere. 

L'ALTRO: Che accada che?

GIULIA: Come con lui, può essere.

L'ALTRO: Dobbiamo forse discutere della parola ‘delitto'?... E' tempo?

GIULIA: Vuoi?... Ascolta le pareti. Chiacchierano.

L'ALTRO: Alè, bentornata alla fattucchiera. Con me, però, non ti ho mai visto far danzare i bicchieri sul tavolo, come mai?

GIULIA: Ci voleva quello. Mi spiace, l'ho rotto.

L'ALTRO: E in quale baraccone da luna-park eri andata a comprarlo? Se ti va, ci torniamo insieme. Ci metto assai.

GIULIA: Sembra che lo fai per insultarti. Smettila.

L'ALTRO: (Più forte) Smetto che?

GIULIA: (Calma) Smettila.

L'ALTRO: (Più forte ancora) Smetto che?

GIULIA: (Calma) Smettila.

(Silenzio. Solo il respiro concitato di lui)

GIULIA: Smettila, amore mio, smettila. 

(Lei gli si accosta. Gli passa la mano tra i capelli)

GIULIA: Non capisci che ho bisogno di te per sempre? Ma senza che ti spaventi. Ti spaventi così facilmente, tu. Lasciamo che siano gli altri a farlo. Già è tanto che abbiamo dato principio al nostro per sempre. Ci stiamo viaggiando dentro. - La senti più la fame?

L'ALTRO: (In un soffio) No.

GIULIA: La sete?

L'ALTRO: (Idem) No.

GIULIA: E il telefono, l'acqua... da quant'è che non ci pensi?

(Lui sorride. Poi va infilarsi una giacca da camera)

GIULIA: Te lo dico io... non ci pensavi più già da quando li avevamo ancora, vero?

(Lui fa lentamente di sì con la testa. Lei solleva lo sguardo al soffitto. Lui la nota, pochi secondi e fa altrettanto)

GIULIA: Vuoi vederla? Ti ci porto.

L'ALTRO: Ci ho provato, ma è chiusa a chiave.

GIULIA: Non c'è chiave. Basta una piccola spinta. Così. Fa ‘tump', e si apre.

L'ALTRO: Comunque, anche a saperlo, non sarei entrato.

GIULIA: Come con le nostre Giovanne D'Arco, di là. Sempre affianco, però... guai a toccarle.

L'ALTRO: Ne ho fin sopra di roba affianco. Fin sopra! Che bruci, che bruci. Io ti voglio addosso. Debbo spiegartelo?... Addosso!... Perché non lo facciamo più? Per me, io, ti voglio ancora. E se dici “Non mi sembra”, non sono io, sei tu che non lo vuoi.

GIULIA: Decisione comune.

L'ALTRO: Presa quando? Costringimi a crederti, ti supplico. Io non me lo ricordo. Quando?

GIULIA: Quando hai pensato: Questa volta è l'ultima. - E io lo stesso. Penso: E' l'ultima. Ci siamo detti: D'accordo. Ad alta voce. Solo questo. E l'abbiamo deciso insieme. E ora?... Ti va di andare avanti?

L'ALTRO: Sino a dove?

GIULIA: Non essere troppo serio. C'è bisogno?

L'ALTRO: Dire ‘sino a dove', questo che è serio?

GIULIA: Sino a dove, come sino alla fine. Sì che è serio. Molto. Prova.

(Silenzio)

L'ALTRO: Giulia!

GIULIA: Luca.

(Perché non si abbraccino è incomprensibile. Lo vorrebbero entrambi)

GIULIA: (Con voce soffocata) Dobbiamo fare attenzione. Là fuori ci hanno preso d'assedio. Ora il fumo non c'entra. Mica come un mese fa. Si danno i turni e non mollano. Zitti zitti, ma vedrai. A breve temo irruzioni. 

(Lui va alla porta. Vi accosta l'orecchio. Un tempo)

L'ALTRO: No... non mi pare, non li sento. 

(E va per sbirciare dai vetri)

GIULIA: Scosta le tende e ci piombano in casa. Non conviene. Un po' di tempo ci serve ancora. L'ultima carta, Luca, l'ultima carta.

(L'uomo scivola a sedere per terra, con la schiena poggiata alla porta. Lei pure va a indossare una veste da camera, lentamente, poi va al tavolo. A sua volta si siede. Spalle all'uomo. Passa del tempo)

GIULIA: Avevamo cominciato a dirci solo una parola al giorno noi due. La mattina lui, la sera io. Questa te l'ho risparmiata. Per svaporare insieme. E divenire una situazione pura. Sempre più spogliati di noi perché l'amore... non deve avere cuore ma cervello. Strategie. La passione è niente. - E i vicini che bisbigliavano di fuori. ‘Dovremo fare qualcosa, non è normale... senti che odoraccio! Ma sei sicuro che sono dentro? Lei pure? Non credo. Se ne è andata, l'ho vista'. - Invece c'ero. A indagini sommarie, qualsiasi bugia può reggere. Anche se qualcuno, lo so, ancora c'è che insomma. - Una volta Andrea li ha pure minacciati pistola in mano. Pesantemente. Ma, mistero, nessuno ha chiamato nessuno. Non sono stupidi, sono intelligenti. Forse avevano capito che può esserci qualcosa di molto più pericoloso di una pistola. Oh, tante, tante cose. (Apre il palmo della mano e rovescia sul tavolo quello che, misteriosamente, teneva chiuso nel pugno. Due dadi) Questi, ad esempio. Sarà che non li hanno ritrovati dove hanno trovato lui, e li avranno presi, così, come un oggetto fra gli altri. E non come la vera arma. Digiunavamo da due mesi. Più di noi. Di noi, io e te. Però la cosa non è stata raccontata. Eravamo dimagriti pochissimo. L'evidente è stato sottaciuto. Sennò sai che romanzo! - Da una parola all'altra, da una notte all'altra, abbiamo formulato il nostro discorso e ci siamo seduti qui. E abbiamo preso i dadi. Per vedere chi dovesse farlo per primo. Lui sette, io cinque. Lui. E andiamo sù. Il minuto dopo, sarebbe stato il mio. Un minuto. Entro un minuto. Il tempo necessario. Non oltre. L'unica interruzione nel nostro per sempre, poi l'avrei raggiunto. “Lo farai?” “Sì”. “Mi tradirai?” “No”. Avessimo potuto insieme. Ma la pistola era una. L'accompagno. Per essere già lì. E lo vedo quando lo fa. Ma un minuto è troppo. Avremmo dovuto dire... dieci secondi. Anche meno. Cinque. Un minuto è troppo. Troppo per smettere di essere se stessi. E l'ho lasciato com'era. Mi precipito fuori e mi metto a picchiare contro la porta urlando che era chiusa da dentro e che non potevo aprirla. E che. E che. - E' stato l'Ammiraglio a prendere in mano la situazione. Un mese dopo si è anche offerto di sposarmi. (Sorride) Al solito. Ma per lettera. - C'era una velata minaccia in quella lettera. ‘Signora, io l'ho vista uscire dopo, non prima'. E si candida a protettore. Mi scrive ancora. Non sono convocazioni, è quello. A ribadirmi la cavalleria del suo silenzio. Non è cattivo, solo paziente. (Una pausa) Da allora tutto si è tradotto in un margine. Tutto il resto, gli anni... solo un margine. La lancetta non ha mai completato il suo giro, e io sono sempre dentro quel minuto lì. Tu vivevi col calendario del muro, io no. Hai voglia a ripeterti: “Te ne accorgi? Te ne accorgi?”... Se fossi viva o no. E come. Ti sono servita? Tu a me sì. E io a te?... E' stato un buon ménage il nostro. E a lui... sono servita?... Tu che ne dici?... - L'uomo del bambino...: presente, eccomi. Come quello. Questa la donna che si è mescolata a te. Invisibile. Non tragica. Ma. Ma. E come quello del cinema. Vedevo un uomo cortese che voleva offrirmi qualcosa, e non vedevo un uomo morto. Forse tu, col tuo mago, hai fatto solo quello che facciamo tutti: ributtare lo sguardo addosso a chi ce lo punta contro. Per questo siamo sempre... un po' storditi. 

(Un lungo silenzio. La donna lancia i dadi sul tavolo. Sorride)

GIULIA: Dodici. (Una pausa) Addirittura.

(Si alza. Passa davanti a lui)

GIULIA: Vado a bere un sorso d'acqua. A questo punto. - Se poi vuoi, ti lascio il bicchiere di là. Pronto.

(Esce in direzione interna. Passano alcuni secondi. Lui si alza. Va al tavolo. Si siede. Recupera i dadi. Li lancia. Controlla il punto fatto. Aspetta. Di sopra, giunge il rumore di una piccola botta. Un ‘tump'. Lui non ci bada. Poi uno scalpiccìo. Trambusto di passi. Stavolta l'uomo ci fa caso e alza gli occhi. Aspetta ancora. Sorride)

L'ALTRO: (In un soffio) Dodici anch'io. (E riabbassa gli occhi)

(Da oltre il soffitto, un colpo. Lui sobbalza, ma non solleva più lo sguardo. Breve pausa. Guarda l'ora. Ancora una breve pausa. Si alza. Come un automa. Va all'ingresso. Verso la porta. Si ferma. Torna indietro di un passo. Guarda in direzione di dove è uscita lei. Controlla nuovamente l'ora. Si volta ancora verso la porta. Rimane fermo, così, di spalle. Una statua. Un mobile senza funzione. Penombra. Buio)