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(Il commerciante)

commedia in 5 atti

di Plauto

A cura di Ettore Paratore

A. Mondadori Editore - Milano - 2000

PERSONAGGI

CARINO (giovane)

ACANZIONE (servo)

DEMIFONE (vecchio)

LISIMACO (vecchio)

SERVO ARMATO DI FRUSTA

EUTICO (giovane)

PASICOMPSA (cortigiana)

DORIPPA (matrona)

SIRA (vecchia)

CUOCO

(La scena è ambientata ad Atene )


ARGOMENTO I

Un giovane, inviato da suo padre a fare commercio, com­pra e porta con sé una donna di bellissimo aspetto. Il vec­chio padre, appena la vede, chiede chi ella sia; il servo in­venta sul momento una frottola: la donna è stata comprata dal padroncino per donarla come serva a sua madre. Il vec­chio se ne innamora e, fingendo di venderla, la affida a un vicino; ma la moglie di costui crede che le sia stata portata in casa una sgualdrina. Carino poi trattiene l'amico dall'an­dare in esilio, dopo avergli ritrovato la donna amata.

ARGOMENTO II

Il padre di un giovane scapestrato lo caccia di casa e lo man­da a fare il commerciante. Costui, nel corso dei suoi viaggi in paesi stranieri, si innamora della schiava di un suo ospite, la compra e la porta con sé. Arrivato in patria scende dalla nave; nel frattempo il padre accorre, vede la fanciulla e se ne innamora perdutamente. Chiede a chi essa appartenga; il servo risponde che si tratta di un'ancella comprata dal pa­droncino per sua madre. Il vecchio, mirando al proprio in­teresse, prega il figlio di poter vendere la donna a un suo amico; questi ribatte di volerla vendere a uno suo. Perciò egli ha chiesto la cooperazione del figlio di un vicino mentre il padre ha tirato dalla sua parte il vicino stesso. Il vecchio riesce a comprare la donna per primo. Ma la moglie di quel vicino la sorprende in casa sua, la accusa di essere una don­naccia e si scatena contro il marito. Il giovane mercante, pri­vo di speranza, si risolve ad andare in esilio, ma ne viene di­stolto dall'amico che, insieme al proprio genitore, scongiura il padre di lui a ritirarsi in favore del figlio.


ATTO I

Scena I

CARINO

Due sono i compiti che mi sono proposto di svolgere con­temporaneamente: esporre l'argomento della commedia e parlare del mio amore. Non intendo comportarmi come vidi altri fare sulle scene, i quali, spinti dalla forza della passione, narrano i motivi della propria infelicità alla Notte o al Giorno, al Sole o alla Luna; perché questi, penso io, delle lamentele degli uomini poco si preoccupano e che co­sa essi vogliano o che cosa non vogliano a loro non interes­sa; sarà dunque piuttosto a voi che racconterò le mie at­tuali sventure. Questa commedia ha in greco il titolo di Emporos ed è di Filemone: in latino si intitola Mercator e l'autore ne è Tito Maccio. Mio padre mi mandò a Rodi a far del commercio e ormai son passati due anni da quando partii da casa. In quella città mi innamorai di una donna bellissima e vi dirò come sia rimasto irretito dalle sue gra­zie se avete la voglia di ascoltarmi e la benevolenza di pre­starmi attenzione. Veramente io, secondo l'abitudine degli amanti, non mi son soffermato su questo: vi ho interrogato e poi mi son messo subito [a parlare senza attendere rispo­sta].0 L'amore, si sa, si porta dietro lo strascico di tutti questi difetti: preoccupazioni, malinconia, eccesso di sofi­sticazione... e questo costa caro non solo agli amanti ma a tutti quelli che ne sono affetti: non c'è nessuno, per Polluce, che non abbia avuto gran danno se si è concesso dei lussi troppo sofisticati, al di sopra delle proprie possibilità. Ma anche altri inconvenienti, di cui non ho ancora parlato, tengon dietro all'amore: insonnia, afflizioni, errori, terrori, voglia di fuggire, inettitudine, stoltezza, temerarietà, man­canza di ragionamento, di buon senso, di misura, aggressi­vità, smania, malignità; e non basta: c'è anche l'avidità, la malavoglia, l'ingiustizia, la miseria, la litigiosità, gli sperpe­ri, il parlar molto senza dir quasi niente. Questo sprolo­quiare deriva dal fatto che chi ama, spesso e fuori luogo, ti­ra fuori cose che nulla hanno a che vedere col nocciolo della questione e che a nulla servono; quindi io ripeto che è un parlare inconsistente perché non esiste amante che sap­pia usare con tanta abilità le parole da giovare al suo inte­resse. Ecco perché non dovete arrabbiarvi con me per la mia eccessiva parlantina: è stata Venere che me l'ha messa addosso nello stesso giorno che mi ha donato l'amore. Ma adesso torno al punto di partenza e vi racconto le mie traversie. All'inizio, quando uscii dall'adolescenza e mi distolsi dagli interessi puerili, mi innamorai perdutamente di una meretrice, qui ad Atene: ed ecco che i soldi di mio padre cominciarono subito a passare di nascosto dalle sue tasche a quelle della donna. La colpa era del padrone di lei, uno sfrontato lenone, che insaziabilmente arraffava tut­to quel che poteva. Mio padre non cessava di rinfacciarmi ciò notte e giorno, sciorinandomi davanti le azioni perfide e ingiuste dei lenoni e lamentando che le sue sostanze veni­vano dilapidate mentre quelle di quel tipaccio crescevano. In genere mi faceva delle scenate, talora invece brontolava sommessamente, e mi disconosceva perfino come suo fi­glio. Andava poi a sbraitare per tutta la città e ad avvertire tutti che si guardassero bene dal concedermi dei prestiti, se li avessi chiesti. Sosteneva che l'amore aveva indotto molti a sperperare: che io non avevo né freno né misura né senso della giustizia e che mi portavo via tutto quel che potevo da casa sua, fino all'esaurimento di ogni cosa; che in modo indegno, sopraffatto dall'amore, dilapidavo quello che lui accortamente e a prezzo di molte fatiche aveva messo insie­me; che per tanti anni già aveva mantenuto quell'obbro­brio che io ero; che se non me ne vergognavo potevo anche decidermi a farla finita. Mi si proponeva come esempio: non appena era uscito dall'adolescenza non aveva fatto come me, dandosi agli amori e alla bella vita: del resto nem­meno lo avrebbe potuto, tanto stretti erano i limiti che suo padre gli imponeva. Aveva dovuto faticare molto nella squallida campagna senza poter fare, se non ogni quattro anni, una scappata in città da dove, appena data un'occhia­ta al Peplo, veniva immediatamente rispedito dal padre nei campi; e lì lavorava molto di più dei servi stessi, perché suo padre gli diceva: «È per te che ari, per te che zappi, per te che semini e infine mieti: questa fatica ti porterà prospe­rità». Quando suo padre morì, mi disse, egli vendette il campo e con il ricavato allestì una nave capace di trecento barili e con essa trasportò merce da ogni parte fino a co­stituirsi quell'agiatezza di cui ora godeva; anch'io avrei do­vuto fare lo stesso se ero un ragazzo come si deve. Quando mi accorgo che mio padre mi vede di malocchio, anzi che sono proprio odioso a chi dovrebbe invece volermi bene, benché sempre folle d'amore, mi faccio forza e gli dico di esser disposto ad andare a fare il mercante, se questa è la sua volontà, e che rinuncerò all'amore pur di obbedirgli. Mi ringrazia e loda la mia forza di carattere; però continua a starmi alle calcagna per darmi modo di mantenere la pro­messa. Fa costruire una nave leggera e veloce, compra della merce, ve la fa caricare e mi mette in mano, una sull'altra, tante dracme da fare un talento d'argento; e mi fa accom­pagnare da un servo che mi aveva istruito da piccolo, con l'intenzione che continui a proteggermi. Finiti così i prepa­rativi, salpiamo. Arriviamo a Rodi ove riesco a vendere tutta la merce che ho portato al prezzo che voglio. E ci faccio so­pra un bel guadagno, ben oltre la stima che mio padre aveva fatto di questa merce: mi metto da parte un gruzzolo non in­differente. Ma mentre me ne sto a passeggiare per il porto di Rodi, uno che era stato mio ospite mi riconosce e mi invita a cena. Ci vado, vengo accolto con grande cordialità e mi sie­do a una ricca tavola. Quando la sera viene il momento di andare a letto, ecco che mi si presenta una donna, la più bel­la che abbia mai visto, e limane con me per tutta la notte per ordine del mio ospite. Giudicate voi stessi quanto mi sia piaciuta: la mattina dopo vado dal mio ospite e lo prego di ven­dermela, promettendogli la mia gratitudine e dei favori in cambio della sua cortesia. C'è bisogno che dica altro? La compro e ieri me la son portata qui. Non voglio che mio pa­dre lo venga a sapere: così l'ho appena lasciata al porto insie- me al mio servo. Ma come mai vedo proprio lui, il servo, nire di corsa dal porto, quando gli avevo proibito di   lasciare la nave? Ho paura che sia successo qualcosa.

Scena II

ACANZIONE CARINO

ACANZIONE Dài, fa' tutto quello che puoi, cerca con tutte le tue forze di salvare col tuo zelo il tuo padroncino! Co­raggio, Acanzione, dimentica la stanchezza, non lasciarti andare alla pigrizia! Ma ho il fiato grosso che quasi soffo­co, per Ercole, e poi mi intralciano quelli che vengono in senso contrario a me sui marciapiedi gremiti. Scacciali, spingili, buttali in mezzo alla strada! Qui c'è la pessima abitudine di non degnarsi di scansarsi neanche di un dito davanti a uno che corre e ha fretta! Così devi fare tre cose insieme, quando avevi cominciato a farne una: correre, combattere con chi ti si para davanti e urlargli contro.

CARINO    Che motivo ci sarà mai perché costui cerchi tanto affannosamente di farsi spazio per correre? Temo che mi porti notizie di qualche brutto affare!

ACANZIONE Sto perdendo tempo e più ne perdo più il ri­schio si aggrava.

CARINO    Mi sa che viene a comunicarmi qualche disgrazia.

ACANZIONE Le mie ginocchia mi abbandonano, non voglio­no più correre. Sono finito! La milza si ribella, si ingrossa, invade lo stomaco. Sono finito! Non riesco più a tirare il fiato: sarei un pessimo flautista!

CARINO    Ma, per Polluce, prendi un lembo della veste e asciugati il sudore!

ACANZIONE Non c'è bagno o piscina al mondo che mi to­glieranno mai di dosso questa stanchezza! E Carino dov'è? A casa o fuori?

CARINO    Mi tiene in sospeso. Sono ansioso di sapere che cos'è successo per liberarmi da questa paura.

ACANZIONE Sono ancora qui fermo? Che cosa aspetto a sfa­sciare la porta? Qualcuno mi apra! Cerco Carino, il mio padrone! È in casa o fuori? C'è qualcuno che si degna di venire ad aprire la porta?

CARINO    Se cerchi me, Acanzione, sono qui!

ACANZIONE Non c'è altro luogo ove la gente se la prenda più comoda!

CARINO    Che cosa ti tormenta?

ACANZIONE Molte cose, che non riguardano solo me, ma anche te.

CARINO    Che cosa è successo?

ACANZIONE Siamo fritti!

CARINO    Serbati questo esordio per quando parli a un nemico!

ACANZIONE Invece tocca a te di sentirlo.

CARINO    Di qualunque cosa si tratti, butta fuori!

ACANZIONE Calma! Voglio tirare il fiato! Per colpa tua mi son scoppiati i polmoni, e da un po' sputo sangue!

CARINO    Ingoia della resina egiziana mista a miele: ti rimet­terà a posto!

ACANZIONE E tu beviti della pece bollente, ti passerà l'in­quietudine!

CARINO    Mai conosciuto un uomo più stizzoso di te!

ACANZIONE E io nessuno capace di dire più cattiverie!

CARINO    Cattiverie, quando ti suggerisco un rimedio per la tua salute?

ACANZIONE Ti raccomando questa salute che si paga con tormenti !

CARINO    Dimmi un po', c'è forse un bene che si possa ottene­re senza che sia accompagnato da male o da fatica?

ACANZIONE Io non me ne intendo di queste cose. Non so far della filosofia perché non l'ho mai imparato! So solo che non voglio un bene che porti con sé un male.

CARINO    Su, dammi la mano, Acanzione!

ACANZIONE Eccotela!                             

CARINO    Vuoi aiutarmi o no?

ACANZIONE E me lo domandi? Guarda cos'ho fatto per te! Mi sono distrutto correndo perché tu potessi sapere subito quello che io so.

CARINO    Entro pochi mesi farò di te un uomo libero.

ACANZIONE Tu mi aduli.

CARINO    Ti pare che mi permetterei mai di farti delle false

promesse? Ti accorgi subito se mento, ancor prima che di­ca una parola!

ACANZIONE Ah! Parli, parli e non fai che aumentare la mia

stanchezza! Mi sfinisci!

CARINO    È così che mi aiuti?                        

ACANZIONE Che vuoi che faccia?  

CARINO    Quel che voglio io.

ACANZIONE E che vuoi dunque?              

CARINO    Te lo dirò.                                     

ACANZIONE Dillo.                                     

CARINO    Ma con calma, per favore!

ACANZIONE Hai paura di svegliare dal sonno gli spettatori?

CARINO    Sta' attento a te, sai!

ACANZIONE Ma è a te che io porto dal porto tutto ciò...

CARINO    Che cosa? Di', presto!

ACANZIONE Violenza, paura, tormento, preoccupazioni, liti, miseria!

CARINO    Povero me! Mi hai portato un cumulo di mali. Mi hai annientato!

ACANZIONE Veramente sei...

CARINO    So già che cosa dirai: che sono un disgraziato.

ACANZIONE Volevo dir questo anche se non l'ho detto.

CARINO    Ma di che disgrazia si tratta?

ACANZIONE Non stare a chiedermelo: è il massimo delle sventure!

CARINO    Ti scongiuro, toglimi finalmente da questa incertez­za che dura da troppo tempo!

ACANZIONE Un momento! Voglio sapere un po' di cose pri­ma di prender delle legnate.

CARINO    Per Ercole, le prenderai se non ti decidi: parla o vattene.

ACANZIONE Guarda, guarda che belle maniere! Non c'è nessuno più garbato di lui quando ci si mette!

CARINO    Ma se ti prego e ti scongiuro, per Ercole, di dirmi subito di che cosa si tratta! Mi son ridotto a dover suppli­care il mio servo !

ACANZIONE Te ne sembro tanto immeritevole?

CARINO    Meritevolissimo, per carità!                           

ACANZIONE Mi dichiaro soddisfatto.                          

CARINO    Allora, per favore, è la nave che abbiamo perso?

ACANZIONE La nave è salva, nessun timore!

CARINO    E tutti gli attrezzi?

ACANZIONE Tutto a posto.

CARINO    Ti decidi dunque a dirmi qual è il motivo per cui poco fa correvi per la città cercandomi?

ACANZIONE Ma sei tu che continui a togliermi la parola di bocca!

CARINO    Non dico più nulla.

ACANZIONE Bene! Se dovessi darti una buona notizia chissà come mi salteresti addosso, dato che adesso, che te ne aspetta una cattiva, insisti tanto per farmi parlare!

CARINO    Sarà una cattiva notizia ma ti prego, per Ercole, ve­di di comunicarmela!

ACANZIONE Dal momento che me ne preghi, te la dirò. Tuo padre...

CARINO    Che cosa fa mio padre?

ACANZIONE ... la tua amante...            

CARINO    Che le ha fatto?                                              

ACANZIONE L'ha vista.

CARINO    L'ha vista? Me infelice! Rispondi alla mia domanda.

ACANZIONE Chiedi ciò che vuoi.         

CARINO    Come ha potuto vederla?                                     

ACANZIONE Con gli occhi!                                            

CARINO    Ma come?

ACANZIONE Li aveva aperti.

CARINO    Va' alla malora! Ti permetti di scherzare quando per me si tratta di vita o di morte!

ACANZIONE Come sarebbe che scherzo, per la miseria, se mi limito a rispondere alle tue domande?

CARINO    Ma sei sicuro che l'ha vista?

ACANZIONE Così sicuro come lo sono che io ti vedo e tu ve­di me!

CARINO    Dove l'ha vista?

ACANZIONE Dentro la nave, quando si è imbattuto in lei: e le ha parlato.

CARINO    Padre mio, mi hai rovinato! Ma tu, mascalzone, tu, perché non hai badato che non la vedesse? Perché non l'hai nascosta, canaglia, per evitare che la trovasse?

ACANZIONE Perché eravamo impegnati nei nostri impe­gni: stavamo piegando le vele e mettendole a posto. In­tanto tuo padre arrivava su una piccola barca e nessuno l'ha visto prima che salisse sulla nave.

CARINO    O mare, invano sono riuscito a sfuggire alle tue tem­peste! Quando credevo di essere ormai al sicuro in terra ferma mi accorgo invece di essere trascinato contro gli sco­gli dall'infuriare dei marosi! Ma dimmi: che cosa è succes­so poi?

ACANZIONE Dopo che tuo padre ha adocchiato la donna ha cominciato a chiedere a chi appartenesse.

CARINO    E lei che cosa ha risposto?

ACANZIONE Mi son messo in mezzo io di corsa e ho rispo­sto che l'avevi comprata per regalarla a tua madre come ancella.                             

CARINO    Ti è sembrato che ci credesse?

ACANZIONE E me lo chiedi? Però quel mascalzone ha co­minciato a palpeggiarla.

CARINO    A palpeggiare lei?

ACANZIONE Già. Doveva forse farlo con me?

CARINO    Per Polluce, povero cuore mio come ti stai squaglian­do goccia a goccia come sale messo nell'acqua! Sono finito!

ACANZIONE Ecco! Questa è l'unica cosa giusta che hai det­to. È stupidaggine vera e propria.

CARINO    Che devo fare? Mai più mio padre crederà che io l'abbia comprata per mia madre; poi, tra l'altro, mi sembra vergognoso dirgli una bugia. Lui non può credere, e la co­sa non è credibile, che io abbia comprato come serva per mia madre una donna tanto bella.

ACANZIONE Vuoi stare un po' zitto, sciocco? Lo crederà, per Ercole! Ha già creduto a me.

CARINO    Ho una terribile paura che mio padre sospetti come sono andate veramente le cose. Rispondi a questa doman­da, per favore.

ACANZIONE Dimmi.

CARINO    Ti è sembrato che sospettasse che fosse la mia a-mante?                                             

ACANZIONE No. Credeva ciecamente a tutte le frottole che gli raccontavo.

CARINO    Così almeno è sembrato a te.

ACANZIONE Niente affatto. Ci credeva veramente.

CARINO    Me infelice! Sono perduto! Ma perché sto qui a lamentarmi e disperarmi e non corro invece alla nave? Vie­ni con me.

ACANZIONE Se ci vai per quella strada, vai a finire dritto in bocca a tuo padre: si accorgerà subito che sei spaventato e giù di corda e ti tratterrà, ti farà delle domande: da chi l'hai presa, quanto l'hai pagata e così via. Approfitterà del tuo disorientamento per indagare.

CARINO    Allora prenderò quest'altra strada. Credi che mio padre ormai se ne sia andato dal porto?

ACANZIONE Ma è proprio per questo che ho cercato di arri­var qui di corsa prima di lui, perché non ti cogliesse alla sprovvista e ti torchiasse!

CARINO    Bravissimo!


ATTO II

Scena I

DEMIFONE

È stupefacente il modo con cui gli dei si prendono gioco degli uomini! Mandano loro nel sonno dei sogni pieni di simboli strani. Proprio come è successo a me durante la scorsa notte, in cui ho dormito un sonno agitato e tor­mentoso. Mi è sembrato di comprare una bella capra. Per far sì che l'altra capra che già avevo in casa non le facesse del male e le due bestie, trovandosi nello stesso luogo, non litigassero, ho sognato di dare in custodia il nuovo acquisto a una scimmia. Ma dopo non molto tempo quella scimmia viene da me e mi fa una scenata coprendomi di insulti: so­stiene che per colpa di quella capra che io le ho affidato si è coperta di vergogna e ha subito un grave danno: la bestia infatti ha dato fondo completamente alla dote di sua mo­glie. A me, in sogno, pareva molto strano che quella capra da sola avesse fatto fuori la dote della moglie. Ma la scim­mia insiste sulla sua versione e infine minaccia, nel caso che non mi affretti a portarle via la capra, di riportarmela lei stessa a casa e metterla nelle mani di mia moglie. Io mi rendevo conto, nel sogno, di voler un gran bene alla capra, ma, per Ercole, non sapevo a chi affidarla. E perciò mi tor­mentavo e non sapevo che fare. Nel frattempo ecco che mi viene incontro minaccioso un capro e mi spiattella di aver portato via alla scimmia la capra e comincia a schernirmi. E io a piangere e a soffrire per questo furto. E adesso non riesco a capire che cosa voglia significare questo sogno. A meno che... Mi viene il sospetto di aver già scoperto chi rappresenti e che cosa significhi la capra. Stamattina all'al­ba sono andato al porto. Sbrigati i miei affari, ecco che ve­do la nave con cui ieri mio figlio è arrivato da Rodi; mi è venuta voglia di farci una visitina; salgo su una barca e giungo fino alla nave. E lì ti vedo una donna bellissima che mio figlio ha portato con l'intenzione di darla come ancella alla madre. Mi basta vederla che sono preso da un amore non comune, un amore da pazzi. Mi è capitato, per Ercole, di innamorarmi quando ero giovane, ma mai così follemente come ora. E una cosa mi è ben chiara: che sono per­duto! Del resto potete vedere da soli in che stato mi trovo. Adesso sono sicuro: quella donna è la capra. Ci sono però anche quella scimmia e quel caprone che mi creano guai, ma non riesco a capire chi possano essere. Basta! Non par­lo più, perché il mio vicino sta uscendo.

Scena II

LISIMACO DEMIFONE SERVO

LISIMACO (rivolto al servo) Voglio senz'altro che castriate quel caprone che in campagna vi procura noie.

DEMIFONE (tra sé) Mi disturbano assai questo augurio e quest'auspicio. Ho paura che mia moglie mi prenda per un caprone e mi castri e che sia lei a sostenere la parte della scimmia.

LISIMACO (sempre al servo) Va' dunque alla fattoria e conse­gna proprio nelle mani di Pisto, il fattore, questi rastrelli. Fa' sapere a mia moglie che ho da fare in città, in modo che non mi aspetti: dille che ci sono tre cause da discutere oggi. Vai, e ricordati tutto.

SERVO     C'è qualcos'altro?

LISIMACO     No. Basta così.

(Il servo esce)

DEMIFONE Salve, Lisimaco!

LISIMACO     Ah, eccoti Demifone, salute anche a te. Come stai? Che c'è di nuovo?

DEMIFONE Sono conciato malissimo.

LISIMACO Che gli dei ti aiutino!

DEMIFONE Sono proprio loro i responsabili!

LISIMACO Di che cosa?

DEMIFONE Te lo posso dire, se hai tempo per ascoltarmi.

LISIMACO Per quanto sia impegnato, se hai bisogno di qual­cosa, Demifone, sono sempre disponibile per un amico.

DEMI PONE Non c'è bisogno che mi ricordi la tua gentilezza: la conosco. Che età dimostro?

LISIMACO     Sei pronto per l'aldilà, un vecchio decrepito.

DEMIFONE La vista ti inganna: sono un bambino di sette an­ni, Lisimaco!

LISIMACO     Sei in te? Come puoi affermare di essere un bam­bino?

DEMIFONE Dico la verità.

LISIMACO Adesso capisco, per Ercole, che cosa intendi: quando uno diventa vecchio e rimbambisce, si suole dire che rimbambinisce.

DEMIFONE Al contrario: valgo due volte quel che valevo prima!

LISIMACO     Benissimo! Me ne congratulo!

DEMIFONE E se vuoi saperlo, ci vedo anche molto di più di quel che vedevo prima.

LISIMACO     Benissimo!

DEMIFONE E no! Intendo che vedo meglio i guai.

LISIMACO     Questo non va bene!

DEMIFONE Posso parlarti in confidenza?

LISIMACO     Senza dubbio!

DEMIFONE Stammi attento!

LISIMACO     Sono tutto orecchi!

DEMIFONE Oggi ho cominciato ad andare alla scuola ele­mentare, Lisimaco, e ho già imparato tre lettere.

LISIMACO     E quali?

DEMIFONE AMO.

LISIMACO     Tu, con quei capelli bianchi, ami, vecchio spor­caccione?

DEMIFONE Bianchi, rossi o neri, amo.

LISIMACO     Penso proprio che tu mi stia prendendo in giro, Demifone!

DEMIFONE Tagliami la testa sui due piedi, se mento! Per convincerti che sono innamorato, prendi un coltello: ta­gliami un dito o un orecchio o il naso o un labbro: se mi muoverò o mostrerò dolore, Lisimaco, ti autorizzo... ad ammazzarmi nell'amore!

LISIMACO     Avete mai visto la caricatura di un uomo innamo­rato? Bene: eccolo qui. A mio parere un vecchietto decre­pito vale quanto uno scarabocchio su un muro!

DEMIFONE Tu mi vuoi rimproverare, credo.

LISIMACO     Io?

DEMIFONE Non c'è proprio motivo che ti arrabbi con me: è capitato prima ad altri uomini rispettabili. È umano amare e umano anche perdonare;... e questo ci tocca per impo­sizione degli dei. Quindi, per favore, non prendertela con me: non sono stato io a volerlo.

LISIMACO     Ma io non ti rimprovero.

DEMIFONE E non avere di me un'opinione peggiore per que­sto motivo.

LISIMACO     Io di te? Gli dei me ne guardino!

DEMIFONE Ne sei sicuro?

LISIMACO     Certo.

DEMIFONE Ma proprio?

LISIMACO     Mi hai scocciato! Quest'uomo ha perso la testa per amore! Alle corte: vuoi altro?

DEMIFONE No. Addio.

LISIMACO     Sto andando di fretta al porto: ci ho qualcosa da fare!

DEMIFONE Buona passeggiata!

LISIMACO     Sta' bene!

DEMIFONE Anche tu. (Tra sé) Ma anch'io ho qualcosa da fa­re al porto. Bene. Adesso ci vado. Ma eccoti qui mio figlio, giusto a proposito. Lo aspetto. Devo vedere come poterlo persuadere a vendere quella donna invece di darla a sua madre: perché ho sentito che l'ha portata per regalargliela. Ma devo stare molto attento che non si accorga in qualche modo che io mi sono incapricciato di costei.

Scena III

CARINO DEMIFONE

CARINO    (senza vedere il padre) Non esiste uomo più infelice di me, uno a cui capiti come a me una disgrazia dietro l'al­tra. È possibile che, qualsiasi cosa io cominci a fare, mai e poi mai mi vada a finire come desidero? Sempre mi succe­de qualche inconveniente che manda a monte il mio bel progetto. Mi ero trovato un'amante che mi piaceva, l'avevo ottenuta a caro prezzo, ritenendo di potermela godere in pace all'insaputa di mio padre. Ma quello è venuto a saper­lo, l'ha vista e così sono rovinato. E non ho ancora pensato che cosa devo dirgli quando me ne chiederà conto, tale è la ridda dei sentimenti nel mio cuore! E ora non so proprio a che partito appigliarmi, tanta è la confusione e l'angoscia che c'è nell'animo mio: talora mi piace l'idea che ha avuto il mio servo, talaltra non mi va, perché non mi pare possi­bile persuadere mio padre a credere che quella donna sia stata comprata per farne un'ancella di mia madre. Adesso, se gli vado a dire come stanno veramente le cose e gli rive­lo che io per me l'ho comprata, che idea può farsi di me? Me la strapperebbe di mano e la riporterebbe oltre mare per venderla. So bene quanto è duro. L'ho provato a mie spese. Dunque a questo si riduce l'amore? Allora è meglio arare che amare! Già tempo fa mio padre mi ha scacciato di casa, obbligandomi ad andare a fare il mercante: ed è stata l'occasione per incappare in questa disgrazia! Quan­do l'amarezza è più forte del piacere, che c'è più di bello in esso? È stato vano che facessi di tutto per sottrarre alla vista altrui la mia donna, per tenerla nascosta; mio padre è una mosca: non gli sfugge nulla; non c'è cosa sacra né pro­fana su cui di colpo non piombi. Non ho proprio nessuna speranza di riuscire a farcela!

DEMIFONE Che cosa sta borbottando tra sé mio figlio? Mi sembra preoccupato per qualcosa!

CARINO    Toh! Chi si vede! Mio padre! Gli andrò incontro e gli parlerò. Come va, padre mio?

DEMIFONE Da dove vieni e dove vai, figlio mio?

CARINO    Tutto bene!

DEMIFONE Mi fa piacere! Ma come mai hai cambiato colo­re? Ti senti male, per caso?                                              

CARINO    Sono triste, non so perché, padre mio! E in più sta­notte non ho dormito abbastanza, a mio parere.

DEMIFONE Sei stato tanto in mare! Adesso ti sembra strana  la terra.                                                                          

CARINO    Credo piuttosto...

DEMIFONE Certo è così. Ma ti passerà subito. Però sei pro­prio pallido, per Polluce! Abbi buon senso, va' a casa, met­titi a letto e dormi.

CARINO    Non posso: devo prima occuparmi di alcune cose.

DEMIFONE Le farai domani o dopodomani.

CARINO    Ma padre mio, ti ho spesso sentito dire che chi è saggio deve fare per prima cosa quello che deve.

DEMIFONE Per carità, fallo! Non voglio certo contrastare i tuoi principi.

CARINO    (tra sé) Sono a posto se tien fede a quanto dice.

DEMIFONE (tra sé) Come mai non mi bada e parla tra sé? Non credo che egli abbia potuto venire a sapere che sono innamorato: non ho ancora fatto nessuna sciocchezza co­me di solito gli innamorati fanno.

CARINO    (tra sé) Tutto è ancora sotto controllo, per Ercole! Non sa ancora niente della mia amica, ne sono certo. Se lo sapesse la musica sarebbe diversa.

DEMIFONE (tra sé) Perché non mi decido a parlargli di lei?

CARINO    (tra sé) Perché non mi schiodo da qui? (Forte) Allora vado ad adempiere la mia missione di amico presso gli amici.

DEMIFONE Resta ancora un momento. Voglio sapere ancora qualcosina da te.

CARINO    Su, dimmi che cosa vuoi.

DEMIFONE Sei sempre stato bene?

CARINO    Sempre bene finché son rimasto là; ma appena sono giunto qui nel porto mi ha colto un certo scoramento.

DEMIFONE  Credo che sia colpa del mal di mare; ti passerà subito. Ma dimmi un po': è vero che hai portato da Rodi una schiava per tua madre?

CARINO    Sì.

DEMIFONE Ah sì? E come si presenta la donna?

CARINO    Piuttosto bene.

DEMIFONE E a moralità come sta?

CARINO    A parer mio, non ne ho conosciuta nessuna più a posto.

DEM1FONE Ho avuto anch'io la stessa impressione quando l'ho vista.

CARINO    Ah sì? L'hai vista?

DEMIFONE Sì, sì. Ma non è un tipo nostrano e non mi piace del tutto.

CARINO    Come mai?

DEMIFONE Perché non ha un aspetto che si confà alla nostra casa. Noi abbiamo bisogno solo di serve che sappiano tes­sere, macinare, spaccare la legna, filare, scopare la casa e prendere le botte; e poi devono preparar da mangiare ogni giorno per tutti: quella lì non sarebbe in grado di far nulla di tutto ciò.

CARINO    Perché no? È proprio per questo che l'ho portata a casa alla mamma.

DEMIFONE Non devi dargliela e non devi nemmeno dirle che l'hai portata.

CARINO    (tra sé) Gli dei mi vengono in aiuto.

DEMIFONE (tra sé) A poco a poco lo smuovo. (Forte) Oltre­tutto, cosa che ho dimenticato di dire, quella lì non potreb­be accompagnare dignitosamente tua madre e io non lo permetterei.

CARINO    E perché?

DEMIFONE Non sarebbe decoroso che una ragazza con quel po' po' di forme accompagnasse tua madre. Per strada al suo passaggio tutti gli uomini si volterebbero a guardarla, a far cenni col capo, a strizzar gli occhi, a fischiare; e giù pizzicotti, e richiami: insomma darebbero un sacco di fa­stidio. E verrebbero a far serenate davanti a casa e a scri­vere col carbone dichiarazioni d'amore sulla porta. Maldicenti come sono le persone oggigiorno, rinfaccerebbero a mia moglie e a me di fare i ruffiani. Che bisogno c'è di cacciarci in questa situazione?

CARINO    Per Ercole, hai ragione e io sono d'accordo con te. Ma che ne sarà di lei ora?

DEMIFONE Andrà tutto bene. Io comprerò per tua madre una robusta servotta, una Sira o un'Egiziana, brutta quan­to si conviene alla schiava di una madre di famiglia; questa macinerà, farà cucina, filerà e si prenderà le sue brave fru­state: e per causa sua non succederà nessuno scandalo che leda la nostra famiglia.

CARINO    E che ne diresti se la restituissimo a chi me l'ha ven­duta?                                                                                             

DEMIFONE Nemmeno per idea.

CARINO    Eppure il proprietario mi aveva detto che l'avrebbe ricomprata lui se non fosse piaciuta.

DEMIFONE Non ce n'è proprio bisogno; non voglio che si facciano questioni e che tu sia accusato di non mantener la parola. Preferisco di gran lunga, per Polluce, scapitarci, se proprio sarà il caso, che permettere che venga fuori uno scandalo per colpa di una donna. Penso di potertela ven­dere, e a un prezzo più che soddisfacente.                          

CARINO    Purché tu non la venda a meno di quanto l'ho com­prata.

DEMIFONE Tu non pensarci. C'è un vecchio che mi ha incari­cato di comprarla... cioè di comprarne una con un aspetto del genere.

CARINO    Guarda un po'! Anche a me un giovane ha chiesto di comprarne una sul tipo di quella.

DEMIFONE Io credo di poterla vendere per venti mine.

CARINO    Ma io, se voglio, ne ottengo ventisette.

DEMIFONE E io...

CARINO    Io piuttosto...

DEMIFONE Non sai ancora che cosa voglio dire: allora taci. Io posso aggiunger altre tre mine per fare trenta.

CARINO    E adesso dove vai?

DEMIFONE Dal compratore.

CARINO    E dove è mai costui?

DEMIFONE Già lo vedo. Mi consiglia di aggiungere altre cin­que mine.

CARINO    Gli dei lo maledicano, chiunque egli sia!

DEMIFONE Figurati che mi fa cenno di aggiungere altre sei mine.

CARINO    Il mio me ne propone altre sette.

DEMIFONE Ma non potrà spuntarla su di me oggi.

CARINO    Dice che la pagherà in contanti.

DEMIFONE È un'offerta inutile. L'avrò io.

CARINO    Ma è stato lui a fare per primo l'offerta.

DEMIFONE Non me ne importa niente.

CARINO    Arriva a cinquanta.

DEMIFONE Non l'avrà nemmeno per cento. La smettiamo di tirar su il prezzo contro la mia volontà? Farai un grandissi­mo affare, per Ercole! Quello che la vuol comprare è un vecchio che è innamorato pazzo di lei. Spunterai il prezzo che vuoi.

CARINO    Ma, per Polluce, anche il giovane per cui la voglio comprare muore d'amore.

DEMIFONE Se tu sapessi! Il vecchio molto di più!

CARINO    Per Polluce, non è possibile che quel vecchio sia o possa essere più folle d'amore di quel giovane per cui io sto trattando.

DEMIFONE Calma, caro! Provvederò io a quest'affare nel migliore dei modi.

CARINO    Come dici?

DEMIFONE Che c'è ancora?

CARINO    Io non sono legalmente il suo padrone.

DEMIFONE Ma lui lo diverrà. Sta' tranquillo.

CARINO    Tu non puoi venderla legalmente.

DEMIFONE Troverò il modo.

CARINO    E c'è di più. Non sono il solo ad averla comprata: l'ho in comune con un altro. Che ne so di come la pensa lui, se vuol venderla o no?

DEMIFONE Io so che acconsente.

CARINO    Io invece credo che ci sia qualcuno che non accon­sente.

DEMIFONE E a me che importa?

CARINO    È giusto che quello possa disporre della roba sua.

DEMIFONE Ebbene?

CARINO    Ti ho detto che è proprietà comune. E l'altro padro­ne ora non è qui.

DEMIFONE Mi dài delle risposte prima che te le chieda.

CARINO    E tu compri prima che io venda, padre. Non so pro­prio se quello voglia privarsene.

DEMIFONE Ma come? Se fosse comprata da quello che l'ha commissionata a te, allora l'amico vorrebbe, se invece la compro io per quello che ha incaricato me, allora non vuo­le più? Racconti storie inutili. Non l'avrà mai nessuno se non chi dico io.

CARINO    Sei proprio deciso?

DEMIFONE A te che cosa sembra? Tant'è che vadosubito al­la nave e lì la venderò.

CARINO    Vuoi che ti accompagni?

DEMIFONE No.

CARINO    Cattivo!

DEMIFONE È meglio che tu ti occupi delle cose che hai da fare.

CARINO    Tu me lo impedisci.

DEMIFONE Bravo! E tu da' la colpa a me! Di' che tu ci hai messo tutto il tuo zelo. Comunque, ti ordino di guardarti bene dal venire al porto.

CARINO    Obbedirò.

DEMIFONE Io ci vado. (Tra sé) Bisogna stare attenti che non venga a sapere come stanno le cose; quindi non la comprerò io ma darò l'incarico al mio amico Lisimaco. Mi ha appena dettoche andava al porto. Perdo tempo stando qui.

CARINO    È tutto finito! Sono perduto!

Scena IV

CARINO EUTICO

CARINO    Si dice che le Baccanti abbiano fatto a pezzi Penteo: bazzecole in confronto al modo con cui io sono dila­cerato e straziato. Perché vivo? Perché non muoio? Che c'è di buono per me nella vita? Ho deciso: andrò da un medico, mi farò dare del veleno e con esso mi ucciderò, dato che mi si toglie l'unica ragione di vita.

EUTICO    Aspetta, Carino, aspetta, ti prego.

CARINO    Chi cerca di trattenermi?

EUTICO    Eutico, il tuo amico e compagno e vicino di casa.

CARINO    Tu non sai quante disgrazie mi opprimono.

EUTICO    E invece lo so, perché dalla porta di casa ho udito tutto e sono al corrente di tutto.

CARINO    Vediamo: che cosa sai?

EUTICO    Tuo padre vuol vendere...

CARINO    Sai tutto!

EUTICO    ... la tua amica.

CARINO    Sai anche troppo!

EUTICO    ... alla faccia tua.

CARINO    Sai moltissimo. Ma come hai scoperto che quella è la mia amica?

EUTICO    Ma se sei stato tu a raccontarmi tutto ieri!

CARINO    È possibile che mi sia dimenticato di avertene par­lato?

EUTICO    Non c'è da meravigliarsene.

CARINO    Allora ti chiedo un consiglio: di qual morte pensi che sia meglio ch'io muoia?

EUTICO    Chiudi la bocca! Non dire cose del genere!

CARINO    Che cosa vuoi che dica?

EUTICO    Vuoi invece che io la faccia in barba a tuo padre nel migliore dei modi?

CARINO    Figurati se non voglio.

EUTICO    Vuoi che vada al porto...

CARINO    Andarci soltanto? Vola piuttosto!

EUTICO    ... e che proponga un prezzo per comprare la ra­gazza?

CARINO    Macché proporre! Riscattala a peso d'oro!

EUTICO    E l'oro, dove lo si trova?

CARINO    Pregherò Achille che mi dia quello con cui fu riscat­tato Ettore!

EUTICO    Vaneggi?

CARINO    Se fossi sano di mente non cercherei te come medico.

EUTICO    Allora vuoi che la compri allo stesso prezzo che tuo padre propone?

CARINO    Mettici anche mille nummi di giunta.

EUTICO    Ma taci! Sai che cosa dici? Dove troverai i soldi da dare a tuo padre quando li chiederà?

CARINO    Si troveranno, si cercheranno, qualcosa si farà. Mi fai morire!

EUTICO    È proprio questo "qualcosa si farà" che temo!

CARINO    Ti decidi a star zitto?

EUTICO    Comanda: non apro più bocca!

CARINO    Hai capito bene quel che devi fare?

EUTICO    Non preoccuparti! Pensa ad altro, se puoi.

CARINO    Non posso.

EUTICO    Cerca di star bene.

CARINO    Nemmeno questo posso, prima che tu torni.

EUTICO    È meglio se ti tieni da conto.

CARINO    Addio, vinci e salvami!

EUTICO    Lo farò. Aspettami a casa.

CARINO    Fa' in modo di tornarci con la preda.


ATTO III

Scena I

LISIMACO PASICOMPSA

LISIMACO     (entra in scena con la ragazza) Mi son comportato da amico, facendo un piacere a un amico: ho accontentato il vicino e ho fatto questo acquisto. Adesso tu sei mia pro­prietà, seguimi dunque. Non piangere: fai una grande sciocchezza a rovinare quei tuoi begli occhi. E poi mi pare che tu abbia piuttosto motivo di ridere che di lamentarti.

PASICOMPSA Per piacere, mio buon signore, dimmi...

LISIMACO     Che cosa vuoi sapere?

PASICOMPSA Perché mi hai comprato?

LISIMACO     Io? Perché tu faccia quel che ti si comanda: del resto io son disposto a fare quel che comandi tu.

PASICOMPSA Son decisa ad accontentare tutti i tuoi desideri secondo quel che so e posso.

LISIMACO     Non ti imporrò dei lavori pesanti.

PASICOMPSA Bravo il mio vecchio! Perché io proprio non sono abituata a portar pesi, a pascolare le pecore in campa­gna e a far da balia ai bambini.

LISIMACO     Se ti comporterai bene, ti andrà tutto bene.

PASICOMPSA Allora sono a posto!

LISIMACO     Perché?

PASICOMPSA Perché è alle male femmine che nel paese da cui vengo di solito le cose vanno bene!

LISIMACO     Sembra che tu voglia dire che non esiste una don­na buona.

PASICOMPSA Non lo dico perché non è mia abitudine ripe­tere quello che credo tutti sappiano.

LISIMACO     (tra sé) Da come parla, questa qui sembra valer di più del prezzo a cui è stata comprata. (Forte) Ti voglio chie­dere una cosa sola.

PASICOMPSA Tu parla e io ti risponderò.                               

LISIMACO     Dimmi: come ti chiami?                                        

PASICOMPSA Pasicompsa.

LISIMACO     Il nome risponde al tuo aspetto. Ma dimmi, Pasicompsa, potrai, se ce ne fosse bisogno, filare un filo sottile?

PASICOMPSA Certo.

LISIMACO     Allora, se sai far quello, penso che saprai filare an­che un filo più grosso.

PASICOMPSA Quanto a lavorar la lana, non temo nessuna del­le mie coetanee.

LISIMACO     Sono convinto che darai buoni risultati e deduco che sei di età abbastanza matura, dato che sai fare il tuo dovere, ragazza mia.

PASICOMPSA Ho imparato bene, per Polluce! E non per­metterò che il mio lavoro sia criticato.

LISIMACO     D'accordo: questo è quanto. Ti consegnerò quella pecora lì di sessant'anni, tutta per te.

PASICOMPSA Così vecchia, mio signore?

LISIMACO     È di razza greca. Se ne avrai cura, vedrai che è ottima e si lascerà tosare molto bene.

PASICOMPSA Per rispetto a te, qualunque cosa mi si darà mi andrà bene.

LISIMACO     Ascolta, donna, non voglio che ti inganni, non de­vi pensare di appartenermi.

PASICOMPSA Allora, di grazia, a chi appartengo?

LISIMACO     Sei stata ricomprata dal tuo padrone: è lui che mi ha pregato di farlo.

PASICOMPSA Torno a respirare, se lui mi è restato fedele.

LISIMACO     Sta' di buon animo: lui ti libererà. È talmente paz­zo di te, per quanto ti abbia vista solo oggi per la prima volta!

PASICOMPSA Per Castore! Ma se la storia è cominciata due anni fa? Te la racconterò, dato che so che sei suo amico.

LISIMACO     Che dici mai? Son già due anni che ha una storia con te?

PASICOMPSA Certo. E ci siamo giurati reciprocamente che mai con altri, se non tra noi due, avremmo fatto l'amore e scambiato baci.

LISIMACO     Per gli dei immortali! Rifiuterà il letto coniugale?

PASICOMPSA Ma per favore! Credi che sia sposato? Lui non lo è e non lo sarà.

LISIMACO     Non vorrei che lo fosse ma, per Ercole, ti ha men­tito e ha spergiurato!

PASICOMPSA Non amo nessun giovane più di lui.

LISIMACO     Macché giovane, sciocca: è addirittura un bambi­no! Non è molto tempo che gli son caduti i denti!

PASICOMPSA Che dici? I denti?

LISIMACO     Niente, niente. Seguimi, per favore. Mi ha prega­to di darti alloggio in casa mia per questo solo giorno, pro­prio perché mia moglie è fuori città.

Scena II

DEMIFONE

Finalmente sono riuscito a risolvermi a sgarrare dai miei principi: mi sono procurato un'amica di nascosto dalla mo­glie e dal figlio. Ho preso la decisione di tornare alle mie antiche abitudini e di accontentare i miei desideri. Non mi resta ormai più molto tempo da vivere: lo riempirò coi pia­ceri del vino e dell'amore. E perfin troppo giusto darsi bel tempo a quest'età. Quando si è giovani, nel pieno del vigo­re, bisogna impegnarsi per costruirsi una fortuna; poi però, quando si è vecchi, allora è il caso di mettersi finalmente a riposo e concedersi di amare, finché si può. Se si è ancora in vita, è tutto un guadagno. Lo dico e lo metterò in pratica. Mentre aspetto di farlo andrò a dare un'occhiatina in casa; ma dentro c'è mia moglie che crepa di fame mentre mi aspetta e appena avrò messo piede in casa mi coprirà di insulti. Infine, per Ercole vada come deve andare! Non rientrerò subito ma vedrò di incontrare prima il mio vicino. Voglio che cerchi per me una casa in affitto dove man­dare ad abitare questa donna. Ma ecco proprio lui che esce di casa.

Scena III

LISIMACO DEMIFONE

LISIMACO     (parlando a Pasicompsa che è all'interno) Appena lo trovo, lo porto da te.

DEMIFONE (tra sé, tutto contento) Allude a me!

LISIMACO     Come va, Demifone?

DEMIFONE È in casa la donna?

LISIMACO     Che pensi di fare?

DEMIFONE E se entrassi subito a vederla?

LISIMACO     Calma! Che fretta hai?

DEMIFONE Allora che devo fare?

LISIMACO     Quel che bisogna: pensarci su!

DEMIFONE E che dovrei pensare? So io, per Ercole, quel che bisogna: andar dentro.

LISIMACO     Questo vuoi fare, scimunito? Andar dentro?

DEMIFONE E che altro?

LISIMACO     Prima ascoltami con attenzione: c'è qualcosa che è giusto che tu faccia prima; perché se entri là, vorrai subi­to abbracciarla, sussurrarle cose dolci e baciarla.

DEMIFONE Tu sì che mi capisci! Sai già quel che farò.   

LISIMACO     Ma farai malissimo.

DEMIFONE Uno fa male perché ama?

LISIMACO Tanto meno devi lasciarti andare. Così affamato, sporcaccione d'un vecchio caprone, ti metterai a baciare una donna? Per farle venire il vomito appena ti accosti a lei? Sì sì, per Polluce, è chiaro che sei innamorato, dato che non ti trattieni dall'esporre questi propositi davanti a me.

DEMIFONE Che ne dici se mi limitassi a questo: andare a pe­scare un cuoco, se ti va, che ci prepari un pranzo a casa tua per poi spassarcela fino a stasera?

LISIMACO     Questo mi va bene. Adesso parli da persona sen­sata e non da spasimante.

DEMIFONE Allora che cosa aspettiamo? Perché non andia­mo a fare una bella spesa per il pranzo per poi godercela?

LISIMACO Ti seguo. Però tu, per Ercole, bada a trovarle una sistemazione; non potrà fermarsi da me più di un giorno. Ho una gran paura di mia moglie, che se domani torna dal­la campagna e la trova qui, guai!

DEMIFONE Tutto a posto! Seguimi...

Scena IV

CARINO EUTICO

CARINO    Sono o non sono un infelice? Non trovo pace in nessun luogo! Se sono a casa il mio cuore è fuori, se sono fuori è in casa! L'amore divampa come un incendio nel mio petto; se le lacrime che mi colano dagli occhi non lo impedissero, credo che la testa mi andrebbe a fuoco. La speranza ce l'ho ancora ma ho perso la salute: se la recupe­rerò, non lo so. Se mio padre la spunta con la sua prepo­tenza, io non guarirò più; se invece il mio amico è riuscito a mantenere la promessa, sono salvo. Ma quel benedetto Eutico, anche se avesse la gotta, a quest'ora dovrebbe esser tornato dal porto! È questo il suo più grande difetto: è una lumaca rispetto alla mia aspettativa. Ma non sarà lui quello che vedo venire di corsa? Sì sì, è proprio lui! Gli vado in­contro. O tu che infondi speranza negli uomini e li domini, ti ringrazio per aver esaudito la mia speranzosa attesa!Ora, dato che si ferma... oh! me disgraziato! Ha una faccia che non mi piace affatto! Viene avanti mogio (brucio nell'incertezza) scuote il capo... Eutico!

EUTICO    Carino!

CARINO    Prima di tirare il fiato dimmi una sola cosa: devo considerarmi tra i vivi o tra i morti?

EUTICO    Né l'uno né l'altro.

CARINO    Sono a cavallo! Ho ottenuto l'immortalità! È riusci­to a comprarla e l'ha fatta in barba a mio padre! Non co­nosco nessuno più persuasivo di lui! Allora dimmi: se non sono qui in terra né sulle rive dell'Acheronte, dove sono?

EUTICO    In nessun posto.

CARINO    Sono di nuovo a terra! Questa risposta mi uccide!

EUTICO    È antipatico tirare in lungo oziosamente il discorso quando si ha qualcosa da dire.

CARINO    Comunque sia, vieni al dunque.

EUTICO    Primo: siamo perduti.

CARINO    Questo l'ho capito, ma perché non mi dici quel che non so ancora?

EUTICO    Hai perso la donna.

CARINO    Eutico, stai commettendo un delitto!

EUTICO    Perché?

CARINO    Perché uccidi un libero cittadino, tuo coetaneo e amico!

EUTICO    Gli dei non vogliano!

CARINO    Mi hai conficcato la spada nella gola. Sto per morire.

EUTICO    Per carità, non perderti d'animo!

CARINO    Non ho più un animo da perdere; va' avanti con le cattive notizie. Come è stata comprata?

EUTICO    Non lo so proprio. Era già stata aggiudicata e porta­ta via quando son giunto al porto.

CARINO    Ohimè! Mi stai seppellendo sotto valanghe di tor­mento bruciante! Va' avanti a torturarmi, carnefice, dato che hai cominciato!

EUTICO    Non credere di provare uno strazio maggiore di quello che ho provato io oggi.

CARINO    E chi l'ha comprata?

EUTICO    Anche questo non lo so, per Ercole!

CARINO    È tutto qui l'aiutoche mi dà un buon amico?

EUTICO    Che posso fare?

CARINO    Quello che faccio io: disperarti. Hai almeno chiesto che faccia aveva quello che l'ha comprata, per vedere se in tal modo ci si possa mettere sulle tracce della donna? Oh, povero me!                                                                     

EUTICO    Smettila di lamentarti! Sai far solo quello! Qual è la mia colpa?

CARINO    Mi hai rovinato e ti sei giocato la fiducia che avevo in te!

EUTICO    Sanno gli dei che in quest'affare io di colpa non ne ho nessuna!

CARINO    Andiamo bene! Chiami a testimoni gli dei che chis­sà dove sono! Come posso crederti?                               

EUTICO    Perché ti ho dato motivo di credere, come io ho mo­tivo di parlare.

CARINO    Oh! in quello sei arguto e non ti manca certo la battu­ta appropriata; invece, quando si tratta di fare quel che ti si è chiesto, sei zoppo, cieco, muto, monco, inefficiente! Mi ave­vi promesso di mettere nel sacco mio padre. E io ti ho credu­to, convinto di affidare l'incarico a un esperto: e invece vado ad affidarlo a uno che non sa da che parte voltarsi.

EUTICO    Ma che cosa avrei dovuto fare?

CARINO    Che cosa avresti dovuto fare? E vieni a chiederlo a me? Avresti dovuto prendere informazioni sull'acquirente, chiedendo in giro chi era, da dove veniva, di quale famiglia era, se era di qui o straniero.

EUTICO    Dicevano che era dell'Attica.

CARINO    Avresti dovuto scoprire, se non il nome, almeno do­ve abitava.

EUTICO    Nessuno lo sapeva.

CARINO    Chiedere che faccia aveva...

EUTICO    L'ho fatto.

CARINO    E l'aspetto?

EUTICO    Te lo dirò: un vecchiaccio coi capelli bianchi, le gambe storte, il pancione, il muso sporgente, bassotto, co­gli occhi piuttosto scuri, le guance flosce e i piedi in fuori.

CARINO    Tu non mi stai descrivendo un uomo ma un cumulo di magagne! Hai qualcos'altro da aggiungere?

EUTICO    No, non ne so altro.

CARINO    Per Polluce, quel tipo con le guance flosce mi ha proprio afflosciato! Non resisto! Voglio andar via di qui, in esilio! Sto pensando che città scegliere: Megara, Eretria, Corinto, Calcide, Creta, Cipro, Sicione, Cnido, Zacinto, Lesbo o la Beozia.

EUTICO    Come ti è venuta questa idea?

CARINO    Perché l'amore mi tormenta.

EUTICO    Ma che cosa dici? Quando sarai arrivato in uno dei luoghi che citi, se anche lì ti innamorerai e l'oggetto della tua passione ti sfuggirà, scapperai anche da lì? E poi dal luogo successivo, se succederà la stessa cosa? Quando allo­ra la smetterai di scappare e cercare nuovi luoghi? Dove troverai una patria o una casa ove fermarti? Rispondimi! Se te ne vai da questa città, credi di lasciar qui l'amore? Se credi che sia così, se ne sei proprio convinto, allora non sa­rebbe molto meglio che tu te ne andassi in campagna, ti si­stemassi là e ci vivessi fino a quando ti fossi liberato da questa smania amorosa?

CARINO    Hai finito?

EUTICO    Sì.

CARINO    Non è servito a niente. Ho assolutamente deciso: vado a casa, saluto mio padre e mia madre, poi, di nascosto da loro, parto per l'estero o deciderò qualcos'altro...

EUTICO    Se ne è andato in un batter d'occhio! Povero me! Se partirà tutti diranno che è stato per colpa della mia inetti­tudine! Bisogna che mi dia da fare ad assoldare tutti i ban­ditori che esistono per andare a cercare quella donna e sco­varla. Poi andrò subito dal pretore perché sguinzagli i suoi segugi in tutti gli angoli della città. Mi par proprio che non mi resti nient'altro da fare.


ATTO IV

Scena I

DORIPPA SIRA

DORIPPA Mio marito ha mandato un messaggero per avver­tirmi che non sarebbe venuto in campagna, così ho fatto quel che il mio cuore mi dettava e son tornata io, per non mollare chi cerca di evitarmi. Ma non vedo più dietro di me la mia vecchia serva Sira. Ah, eccola finalmente che ar­riva! Non puoi andare più in fretta?

SIRA        No, per Castore! Troppo è il peso che sto portando.

DORIPPA Ma quale peso?

SIRA        Metti in conto gli ottantaquattro anni che ho e aggiun­gici la servitù, la fame e la sete: tutte queste cose mi sfian­cano.

DORIPPA Su, dammi qualcosa per ornare l'altare del nostro vicino. Ecco, questo ramo d'alloro. Poi entra in casa.

SIRA        Va bene.

DORIPPA Apollo, ti prego di esserci propizio, di dare salute e tranquillità alla nostra famiglia e in particolare di protegge­re benevolmente mio figlio.

SIRA        (torna fuori subito) Ah! Che disastro! Che rovina! Oh me infelice!

DORIPPA Ti dà di volta il cervello? Perché urli?

SIRA        O Dorippa, Dorippa mia!

DORIPPA Perché strilli il mio nome, che c'è?

SIRA        C'è una donna sconosciuta qui in casa!

DORIPPA Che donna?

SIRA        Una prostituta.

DORIPPA Dici sul serio?

SIRA        Sei stata ben furba a non restare in campagna! Per quanto anche uno sciocco poteva subodorare [che non per ca­so quel signore aveva voluto restare qui; è chiaro] che quella è l'amica di quel bel tomo di tuo marito!

DORIPPA Non ho dubbi, per Castore!

SIRA        Vieni con me, o mia Giunone, affinché tu possa consta­tare la presenza della concubina, di questa tua Alcmena!

DORIPPA Per Castore, mi sbrigo subito a venire!

Scena II

LISIMACO

A Demifone non basta il guaio di essere innamorato! Deve essere per di più anche spendaccione? Anche se avesse in­vitato a cena dieci personaggi importanti avrebbe comun­que comprato troppo cibo! Faceva filare i cuochi allo stes­so modo che il comandante della ciurma usa coi rematori. Quanto a me ho affittato un cuoco: e mi stupisco che non sia ancora qui come gli ho detto. Ma chi esce da casa no­stra? Si apre la porta...

Scena III

DORIPPA LISIMACO

DORIPPA Non c'è e non ci sarà mai una donna più infeli­ce di me, che mi sono sposata un tale marito! O me di­sgraziata! Ecco a che uomo mi sono affidata, corpo, ani­ma e sostanze, ecco a chi ho portato dieci talenti di dote! Per dover arrivare a veder questo, a sopportare quest'af­fronto!

LISIMACO     Per Ercole, sono perduto! Mia moglie è tornata dalla campagna e certo ha visto quella donna in casa. Ma da qui non riesco a sentire quello che dice: le andrò più vi­cino.

DORIPPA O me disgraziata!

LISIMACO     E io altrettanto.

DORIPPA È una rovina!

LISIMACO     La rovina è per me invece, per Ercole! L'ha vista! Che tutti gli dei ti maledicano, Demifone!

DORIPPA Ecco, per Polinice, il motivo per cui si è rifiutato di venire in campagna!

LISIMACO     Che cosa devo fare? Meglio andarci a parlare. (For­te) Il marito saluta sua moglie! I campagnoli sono tornati a essere cittadini?

DORIPPA       I campagnoli si comportano più correttamente di quelli che non lo sono.

LISIMACO     Qualche peccatuccio non lo si fa in campagna?

DORIPPA Meno che in città e ci si tira addosso meno guai!

LISIMACO  Ma che male hanno fatto i cittadini? Dimmelo, sono curioso di saperlo!

DORIPPA  Non provocarmi! Sai bene di che cosa parlo! Di chi è quella donna che c'è in casa?

LISIMACO     L'hai vista?

DORIPPA Certo.

LISIMACO     E mi chiedi di chi è?

DORIPPA Verrei a saperlo comunque.

LISIMACO     Vuoi che ti dica chi è? È... è... per Polluce! Che guaio! Non so che cosa dire.

DORIPPA Sei nei pasticci.

LISIMACO     Non ho mai visto uno che lo sia di più!

DORIPPA Parli o no?

LISIMACO     Se permetti...

DORIPPA Dovresti già esserti spiegato.

LISIMACO     Non ci riesco, mi aggredisci come se fossi un col­pevole.

DORIPPA Per carità! Sei un innocentino!

LISIMACO     Puoi dirlo tranquillamente!

DORIPPA Allora parla!

LISIMACO     Certo.

DORIPPA Devi deciderti.

LISIMACO     Quella lì è... Vuoi sapere anche il nome?

DORIPPA Continui a cincischiare. Ti ho sorpreso in colpa.

LISIMACO     Che colpa? Questa qui è quella...

DORIPPA Quella chi?                                       

LISIMACO     Quella...                

DORIPPA Be'?                                                                        

LISIMACO     Ormai... Se non fosse necessario non lo direi!

DORIPPA Per caso non sai chi è?

LISIMACO     Lo so benissimo: sono stato costretto a far da giu­dice in questo caso.

DORIPPA Da giudice? Ah! Ho capito! L'hai fatta venire per interrogarla!

LISIMACO     Proprio così. È stata affidata alla mia responsabi­lità.                                                                                  

DORIPPA Ah! Capisco!                                                         

LISIMACO     Non c'è niente di male, per Ercole!                     

DORIPPA Accampi delle scuse.

LISIMACO     (tra sé) Mi sono andato a cacciare in un grosso pasticcio.  Adesso sì che non so più che cosa dire!

Scena IV

CUOCO LISIMACO DORIPPA SIRA

CUOCO    Su, svelti, camminate, devo preparare la cena per un vecchio innamorato. Veramente, a pensarci bene, è per noi che la dobbiamo preparare, non per chi ci ha assoldati. A un innamorato, se ha con sé l'oggetto del suo amore, quello gli basta al posto del cibo: guarda la sua donna, la abbraccia, la bacia e parla con lei. Ma noi, ci conto, torne­remo a casa ampiamente soddisfatti. Venite per di qua. Ma ecco il vecchio che ci ha mandati a chiamare.

LISIMACO     (tra sé) Ecco chi arriva! Il cuoco! Son fritto!

CUOCO    Eccoci qui.                                                                

LISIMACO     (a bassa voce al cuoco) Vattene! 

CUOCO    Come?                                                                     

LISIMACO     St! Va'via!                                                      

CUOCO    Devo andarmene?                                                   

LISIMACO     Sì.

CUOCO    Non dovete cenare?                                    

LISIMACO     Siamo già pieni.                                          

CUOCO    Ma...

LISIMACO     Son rovinato!

DORIPPA       Che stai dicendo? Ti hanno fatto portare anche questa roba quelli che ti hanno eletto giudice?

CUOCO    È questa la tua amante, quella donna di cui dicevi di  essere innamorato quando facevi le provviste?

LISIMACO     Taci o non taci?

CUOCO    Bel pezzo di donna! Ma è vecchia!

LISIMACO     Vuoi andare alla malora?

CUOCO    Non c'è proprio malaccio!

LISIMACO     Tu invece fai schifo!

CUOCO    Deve essere un'amante che sa il fatto suo.

LISIMACO Vuoi toglierti dai piedi? Non sono io quello che poco fa ti ha assoldato.

CUOCO    Che cosa? Ma, per Ercole, se sei tu in persona!

LISIMACO     Me disgraziato!

CUOCO    E mi hai detto che tua moglie era in campagna e hai anche detto che la odiavi come una serpe.

LISIMACO     Io ti ho detto questo?

CUOCO    Precise parole, per Ercole!

LISIMACO     Per l'amor di Giove, moglie mia, non l'ho proprio mai detto!

DORIPPA Insisti a negarlo? Da quanto vedo, è chiaro che mi detesti.

LISIMACO     Non è assolutamente vero!

CUOCO    Ma no! Non era te che diceva di detestare, ma sua moglie! E quella era in campagna, secondo lui.

LISIMACO     Invece è questa qui. Perché non mi lasci in pace?

CUOCO    Perché sostieni di non conoscermi. A meno che tu non abbia paura di questa donna.

LISIMACO     So quel che faccio: di moglie ho solo questa.

CUOCO    Vuoi mettermi alla prova?

LISIMACO     No.

CUOCO    Allora dammi quanto mi spetta.

LISIMACO     Vieni a chiedermelo domani e l'avrai. Ora vattene.

DORIPPA O me infelice!

LISIMACO Adesso mi accorgo della verità di quell'antico  proverbio: "Da un vicino cattivo ti vien sempre qualche danno".

CUOCO    E noi perché restiamo ancora qui invece di andarce­ne? Se hai dei fastidi non è colpa mia.

LISIMACO     E come! Mi hai rovinato!

CUOCO    Adesso ho capito che cosa vuoi: che io me ne vada.

LISIMACO     Te l'ho detto.

CUOCO    Va bene: ma voglio una dracma.

LISIMACO     Ti sarà data.

CUOCO    Comanda che me la diano mentre i miei aiutanti mettono giù le provviste.

LISIMACO     Te ne vai o no? Riesci a smetterla di seccarmi?

CUOCO    (agli aiutanti) Sbrigatevi, mettete giù le provviste ai piedi del vecchio: quanto alle stoviglie, più tardi o domani manderò a ritirarle. Venite con me.

LISIMACO (a Dorippa) Forse ti stupisci che sia venuto quel cuoco a portar questa roba. Ti voglio spiegare tutto.            

DORIPPA No, non mi stupisco affatto che tu combini dei danni e ti copra di vergogna. E nemmeno, per Polluce, posso sopportare di aver fatto un così brutto matrimonio e tollera­re che in casa mia si facciano entrare, come niente fosse, del­le prostitute. Sira, va' da mio padre e pregalo a mio nome di venire da me: che lo faccia subito e venga qui insieme a te.

SIRA        Subito.                                                                      

LISIMACO     Ma non sai come stanno le cose, moglie mia, ti prego... Ti farò ora un solenne giuramento! Con quella non ho mai avuto niente a che fare... Ma Sira se ne è già an­data? Per Ercole, sono perduto! (Anche Dorippa esce di scena) E anche lei se ne è andata. Che guaio, povero me! Ma è colpa tua, maledetto vicino! Che tutti gli dei e le dee ti fulminino, te, la tua amica e i tuoi amorazzi! Quel ma­scalzone ha fatto cadere su di me i più immeritati sospetti, mi ha riempito la casa di nemici, tra cui mia moglie è la più sfegatata! Andrò al foro e dirò chiaro e tondo a Demifone che trascinerò quella donna per i capelli e la sbatterò in strada, se non se la porta via subito, dovunque, purché fuori da questa casa. Moglie mia! Ascoltami! Per quanto tu ce l'abbia con me, abbi un po' di buon senso e fa' portare dentro tutte queste provviste: potremo farci una bellissima mangiata!

Scena V

SIRA EUTICO

SIRA        Il padre della mia padrona, da cui lei mi ha mandato,   non è in casa: dicono che sia andato in campagna. Vado a dirlo alla padrona.

EUTICO    Mi sono stancato di andare a caccia per tutta la città senza riuscire a trovare nessun indizio di quella donna. Ma mia madre deve essere tornata dalla campagna: vedo Sira davanti alla porta. Sira!

SIRA        Chi mi chiama?

EUTICO    Il tuo padroncino!

SIRA        Salve, bambino mio!

EUTICO    Dimmi: mia madre è già tornata dalla campagna?

SIRA        Sì, per fortuna di questa famiglia.

EUTICO    Che cosa significa?

SIRA        Quel bellimbusto di tuo padre si è portato un'amica in casa.

EUTICO    Possibile?

SIRA        Certo. Tua madre al suo ritorno se l'è trovata davanti, proprio in casa.

EUTICO    Per Polluce! Non avrei mai pensato che mio padre fosse tipo da fare una cosa del genere. E quella donna è an­cora qui?

SIRA        Sì.

EUTICO    Vieni con me.

Scena VI

SIRA

Come sono infelici le donne, per Castore! Esse vivono se­condo una legge molto più dura e ingiusta che gli uomini! Se un uomo si porta una donnetta in casa, di nascosto dalla moglie e questa poi lo viene a sapere, l'uomo non ci ri­mette niente. Se invece una donna esce di casa di nascosto dal marito, questi prende subito il pretesto per chiedere il divorzio. Ci fosse mai uguaglianza di leggi per il marito e per la moglie! Una moglie onesta si accontenta di un solo uomo ma esiste un uomo a cui basti una sola donna? Per Castore! Sarei contenta se i mariti che si portano in casa di nascosto la propria amante fossero puniti allo stesso modo delle donne, che addirittura vengon ripudiate se si mac­chiano di una colpa! Allora ci sarebbero certo più uomini soli che non donne!


ATTO V

Scena I

CARINO

                               

O porta, con il tuo arco e la tua soglia, io ti saluto e ti di­co addio! Oggi è l'ultima volta che esco dalla casa paterna! La possibilità di viverci non esiste più, il godere di questa casa e l'abitare qui dentro mi son tolti per sempre: sono fi­nito! O dei penati dei miei avi, o Lare protettore della mia famiglia, vi affido la casa dei miei padri perché la custodia­te! Io vado alla ricerca di altri penati, di un altro Lare, di un'altra città, di altri concittadini: quelli di Atene mi fanno orrore. Una città in cui i mali costumi crescono di giorno in giorno, dove non è dato riconoscere un amico fedele da uno che non lo sia, dove quello che più ami ti viene strap­pato, ebbene di una simile città, anche se me ne fosse dato lo scettro, lo rifiuterei.

Scena II

EUTICO CARINO

EUTICO    O tu che infondi speranza negli uomini e li domi­ni, ti ringrazio per aver esaudito la speranza che tanto ar­dentemente nutrivo. C'è forse qualche dio che provi la beatitudine che provo io ora? Quel che disperatamente cercavo era in casa. Ho ritrovato sei compagni: la voglia di vivere, l'amicizia, il buon rapporto di cittadinanza, la gioia,il piacere di divertirsi e di scherzare! E grazie al loro ritro­vamento ho mandato alla malora sentimenti e situazioni orribili: ira, inimicizia, tristezza, lacrime, esilio, povertà, so

EUTICO    Se tu ti affrettassi verso di me, invece che di là, fare-sti meglio. Il vento spira favorevole in questa direzione: invertì la rotta. Qui soffia il Favonio che porta il sereno, là l'Austro piovoso: questo porta la bonaccia, quello scatena i marosi: torna a terra, Carino! Vieni qui e guardati indietro: non vedi là, a sinistra, incombere una nera nube che pro­mette pioggia mentre dall'altra parte il cielo è tutto uno splendore? Non lo vedi?

CARINO    Mi ha fatto venire uno scrupolo. Ritornerò lì.

EUTICO    Adesso ragioni, Carino! Ritorna sui tuoipassi! Avvicinati! Allunga il braccio!                                            

CARINO    Prendilo! L'hai afferrato?            

EUTICO    Ce l'ho.

CARINO    Bene.                                                                     

EUTICO    Dove te ne andavi?

CARINO    In esilio.

EUTICO    E che cosa ci avresti fatto?                                    

CARINO    Quello che fa un infelice.

EUTICO    St! Non aver paura! Ti restituirò la tua gioia di un tempo! Ascolterai quello che più di tutto desideri ascoltare    e sarai felice. Amico mio, il tuo amico viene da te pieno di buone notizie. La tua amica...

CARINO    Che cosa le è successo?                        

EUTICO    So dov'è.                                                   

CARINO    Tu? È possibile?                                

EUTICO    Ed è sana e salva!                                                

CARINO    Dov'è?                                                                 

EUTICO    Lo so io.                                                               

CARINO    Preferirei esser io a saperlo.

EUTICO    Sei capace di star tranquillo?                                      

CARINO    Come è possibile, se sono in un mare di incertezza?

EUTICO    E io ti riporterò al sicuro, ti ridarò la tranquillità: non aver paura!

CARINO    Ti scongiuro, sbrigati a dirmi dov'è, dove l'hai vista. Non parli? Con questo silenzio mi uccidi!                       

EUTICO    Non è lontana da qui.

CARINO    E perché non la fai vedere anche a me, se la vedi tu?

EUTICO    Veramente ora non la vedo, ma l'ho appena vista.

CARINO    Me la fai vedere sì o no?                                      

EUTICO    Presto.

CARINO    È sempre un tempo troppo lungo per un innamo­rato!

EUTICO    Non ti fidi ancora? Ti spiegherò tutto. Non c'è nessuno che mi sia più amico di quello che l'ha ora in cu­stodia, non c'è uomo a cui io giustamente debba voler più bene.

CARINO    Non mi interessa niente di costui: voglio sapere di lei.

EUTICO    Ora ti dico di lei. Mi son proprio dimenticato, poco fa, di dirti dov'è.

CARINO    Dimmelo adesso: dov'è?

EUTICO    In casa nostra.

CARINO    Se è vero, mi piace questa casa: la trovo bella e ben costruita. Ma come faccio a crederci? L'hai vista tu, la mia donna, o me lo riferisci per averlo sentito?

EUTICO    L'ho vista coi miei occhi!                                 

CARINO    Dimmi chi è stato a portarvela.     

EUTICO    Vuoi proprio saperlo?

CARINO    Sì.

EUTICO    Non hai un minimo di tatto, Carino. Che te ne im­porta con chi sia venuta?

CARINO    Purché sia proprio lì.

EUTICO    Sta' tranquillo: c'è.

CARINO    Come compenso per questa notizia esprimi il desi­derio che vuoi.

EUTICO    E quando l'avrò fatto?

CARINO    Prega gli dei che te lo concedano.                        

EUTICO    Mi prendi in giro!

CARINO    Ormai è tutto a posto, se potrò vederla. Ma perché non mi tolgo questi abiti da viaggio? (Gridando rivolto a casa sua) Ehi! Qualcuno venga fuori e mi porti un pallio.

EUTICO    Adesso mi piaci.

CARINO    (a un servo che è accorso) Hai fatto bene a venire: prendi la clamide e aspetta qui. Se per caso la notizia non è vera mi affretterò a riprendere il viaggio che avevo proget­tato.

EUTICO    Ma come? Non mi credi?

CARINO    Figurati! Credo a tutto quel che mi dici ma aspetto che tu mi faccia entrare in casa per vederla.

EUTICO    Ancora un po' di pazienza.              

CARINO    Perché?                                            

EUTICO    Non è il momento di entrare.     

CARINO    Tu mi vuoi morto!                                                

EUTICO    Non è il caso, te l'ho detto, che tu entri adesso.   

CARINO    Ma mi vuoi dire per qual ragione?

EUTICO    Non ha tempo.

CARINO    Perché?                                                               

EUTICO    Perché non è disponibile.

CARINO    Come può non essere disponibile se lei mi ama e io l'amo? (Tra sé) Costui si prende gioco di me in mille modi. Stupido io che gli credo. La sta tirando per le lunghe. Ri­prenderò la mia clamide.

EUTICO    Fermati un momento e ascolta.

CARINO    (al servo) Su, prendi questo pallio.

EUTICO    Mia madre è arrabbiatissima con mio padre perché le ha portato in casa sfacciatamente una meretrice, mentre lei era in campagna. Sospetta che si tratti della sua amante.

CARINO    Ho già messo la cintura.

EUTICO    Adesso è in casa che indaga su questo fatto.

CARINO    Ho già la spada in mano.                           

EUTICO    Se ti faccio entrare...                                  

CARINO    Prendo l'ampollina e me ne vado.

EUTICO    Aspetta, Carino, aspetta...

CARINO    Sbagli se credi di potermi ingannare in questo modo!

EUTICO    Non me lo sogno nemmeno.

CARINO    E allora lasciami partire.

EUTICO    No che non ti lascio!

CARINO    Sto qui a perder tempo! (Al servo) Tu fila dentro. Già sono salito sul carro91 e ho già in mano le redini.

EUTICO    Sei pazzo.

CARINO    E voi, piedi miei, perché non prendete di corsa la strada di Cipro, dal momento che mio padre non mi lascia altra scelta che l'esilio?

EUTICO    Non dir così, sciocco.

CARINO    Sono deciso a non demordere e a darmi da fare per cercarla in ogni luogo possibile.

EUTICO    Ma è qui a casa mia.

CARINO    Costui non ha fatto altro che raccontarmi frottole.

EUTICO    Ma no! È tutto vero!

CARINO    Tanto io sono già a Cipro!

EUTICO    Vieni con me a vedere colei che cerchi.

CARINO    Ho chiesto dappertutto: non l'ho trovata.

EUTICO    Dài! Non faccio più nessun conto dell'ira di mia madre.

CARINO    Io parto di nuovo alla ricerca. Ora sono arrivato a Calcide: vi trovo un amico di Zacinto e gli spiego perché son lì; gli chiedo se in patria ha sentito per caso qualcosa su chi l'ha portata via, su chi la possiede.

EUTICO    Ti decidi a smetterla con queste fantasie e a venire in casa con me?

CARINO    L'amico mi risponde che a Zacinto crescono dei buoni fichi.

EUTICO    È vero.

CARINO    Ma sostiene di aver sentito che la mia amica è qui ad Atene.

EUTICO    È un Calcante questo tuo amico di Zacinto!

CARINO    Salgo su una nave, parto subito, ed eccomi di nuovo in patria. Sono tornato dall'esilio. Salve, Eutico, amico mio! Come te la sei passata? E i miei genitori? Stanno tutti e due bene? Sei gentile a invitarmi: verrò da te domani; ora vado a casa. È il caso di fare così; bisogna proprio far così!

EUTICO    Oh, tu! Che vai farneticando? Questo qui è impaz­zito.

CARINO    Allora che aspetti a darmi un rimedio, se sei un amico?

CARINO    D'accordo!                                          

EUTICO    Piano, per favore! Mi pesti i piedi! Mi ascolti, sì o no?

CARINO    È già un pezzo che ti ascolto.

EUTICO    Voglio che mio padre e mia madre facciano la pace: lei è ancora arrabbiata...

CARINO    Pensa a camminare!                   

EUTICO    ... a causa di quella lì.                                       

CARINO    Cammina!

EUTICO    Dunque stai attento...

CARINO    E tu cammina! Quanto a tua madre la renderò così ben disposta verso tuo padre come lo è Giunone con Gio­ve, quando le garba..

Scena III

DEMIFONE LISIMACO

DEMIFONE Come se tu non avessi mai fatto nessuna bricco­nata del genere!

LISIMACO              Mai e poi mai, per Polluce! Me ne son sempre ben guardato! Sopravvivo a stento, da povero infelice! Mia moglie per colpa di quella donna è tutta sottosopra!

DEMIFONE Ma io procurerò il rimedio perché si calmi.       

LISIMACO Vieni con me. Ma guarda! Sta uscendo di casa mio figlio.

Scena IV

EUTICO LISIMACO DEMIFONE

EUTICO    Vado da mio padre a comunicargli che l'ira della mamma si è calmata. (Verso l'interno) Torno subito.

LISIMACO     (tra sé) Questo esordio mi piace. (Forte) Come va Eutico?

EUTICO    Voi due arrivate proprio al momento opportuno.

LISIMACO     Perché? Che succede?

EUTICO    Tua moglie si è completamente placata. Datevi la mano!

LISIMACO     Gli dei mi salvano!

EUTICO    E a te, Demifone, annuncio che sei rimasto senza la donna.

DEMIFONE Che gli dei ti maledicano! Ma come è successo questo pasticcio?                                                     

EUTICO    Te lo spiegherò: statemi attenti tutti e due!     

LISIMACO     Pendiamo dalle tue labbra.                        

EUTICO    Coloro che son nati da buona famiglia ma hanno cattivo carattere, per colpa propria, di questo loro caratte­re, disonorano la famiglia.

DEMIFONE È vero.

LISIMACO     Guarda che parla per te.                                 

EUTICO    E in questo caso è tanto più vero, perché non era giu­sto che tu, vecchio come sei, portassi via l'amante a tuo figlio che è giovane e che in più se l'era comprata coi suoi soldi!

DEMIFONE Ma di che cosa parli? Quella donna è l'amica di Carino?

EUTICO    Come finge bene la canaglia!

DEMIFONE Ma lui aveva detto di averla comprata per dare un'ancella a sua madre!

EUTICO    Ed è questo il motivo per cui tu l'hai comprata, amante fresco fresco, vecchio bambino?

LISIMACO Benissimo, per Ercole! Va' avanti! Da parte mia, io ti terrò bordone per rovesciargli addosso tutti i rimpro­veri che si merita!

DEMIFONE Sono annientato!

LISIMACO     È stato capace di fare un simile affronto a un fi­glio che proprio non lo meritava!

EUTICO    E sono stato io a ricondurlo a casa, perché lui voleva andare in esilio! Ci stava proprio andando!

DEMIFONE C'è poi andato?

LISIMACO     Hai il coraggio di parlare ancora, verme? Sarebbe il caso che tu, alla tua età, ci andassi piano con queste prodezze!

DEMIFONE Lo confesso, ho certamente sbagliato.

EUTICO    E insisti, verme? Alla tua età non dovresti più cedere a simili indecenti tentazioni. Come variano le stagioni, allo stesso modo diverso deve essere il comportamento nelle di­verse età della vita. Se fosse lecito a un vecchio nella sua vec­chiaia darsi agli amorazzi, dove andrebbe a finire il nostro stato?

DEMIFONE Ohimè! Sono distrutto!

LISIMACO     Questa è roba da giovani! Tocca a loro occuparsene!

DEMIFONE Basta, vi prego! Prendetevela e portatevela via con tutte le sue cose!

EUTICO    Sì, restituiscigliela!

DEMIFONE Se la tenga! Per quanto sta in me, ormai può aver­la quanto vuole!

EUTICO    Era tempo, per Polluce! Ormai non ti resta altro da fare.

DEMIFONE Si prenda la soddisfazione che vuole per l'affron­to che ha subito, purché facciate in modo che ritorni la pa­ce tra noi e che mio figlio non ce l'abbia più con me! Per Ercole, se l'avessi saputo, se, anche fingendo di scherzare, avesse accennato che l'amava lui, non gliela avrei mai sot­tratta! Eutico, prego te che sei suo amico! Vieni a salvarmi e a darmi aiuto: prendi questo vecchio come tuo cliente; mi ricorderò, vedrai, di questo favore.

LISIMACO     Pregalo che perdoni le tue marachelle da ragazzino!

DEMIFONE Ti ci metti anche tu a insistere nell'aggredirmi spietatamente? Spero che mi capiterà un'occasione simile per renderti la pariglia!                                                  

LISIMACO     Io ormai queste velleità le ho messe da parte!

DEMIFONE Sta' tranquillo: da questo momento anch'io.

EUTICO    Ti illudi: ci sei abituato e ci ricascherai.

DEMIFONE Vi prego! È l'ora di finirla! Frustatemi piuttosto, se volete!

LISIMACO     Hai ragione. Ma a questo ci penserà tua moglie quando sarà informata del fatto.

DEMIFONE Non c'è bisogno che lo venga a sapere.

EUTICO    E va bene! Non lo saprà, sta' certo. Ma adesso en­triamo. Questo luogo non è sicuro: mentre stiamo parlan­do dei fatti tuoi potrebbero esserci dei passanti che tendo­no le orecchie.

DEMIFONE Hai proprio ragione. E così la commedia finirà prima!" Andiamo!

EUTICO    Qui in casa nostra c'è tuo figlio.

DEMIFONE Magnifico! Entriamo in casa passando dal giar­dino.

LISIMACO     Eutico, aspetta: voglio definire questa storia pri­ma di metter piede in casa.

EUTICO    Che cosa?

LISIMACO     Ciascuno ha in mente i suoi problemi, io ho il mio: sei sicuro che tua madre non mi farà una scenata?

EUTICO    Sicuro.

LISIMACO Pensaci bene.

EUTICO    Ti do la mia parola.

LISIMACO     Mi basta... però torna a pensarci bene!

EUTICO    Non mi credi?

LISIMACO     Sì che ti credo, ma continuo lo stesso ad avere una maledetta paura.

DEMIFONE Andiamo dentro.

EUTICO    Prima di congedarci ritengo che dobbiamo proclamare una legge per i vecchi, a cui essi debbano scrupo­losamente attenersi. Se verremo a sapere che un sessanten­ne, sia sposato che celibe, si permette delle avventure, lo perseguiremo in questo modo: lo riterremo un incapace e per quel che dipende da noi, per Ercole, resterà in mutan­de se avrà sperperato i suoi averi. Nessuno d'ora in avanti impedisca a un figlio nel fior degli anni di amoreggiare e divertirsi con le donne, nei limiti del buon gusto e della de­cenza. Se qualcuno vi si opporrà, perderà sotto banco più che se lo avesse assecondato apertamente. Che questa leg­ge vada in vigore a partire da stanotte nei confronti dei vecchi. Addio! E voi, giovani, se questa legge vi piace, ap­plaudite a tutta forza, per Ercole, alla faccia dell'intra­prendenza dei vecchi!