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Merope

Merope

Di Scipione Maffei

PERSONAGGI

POLIFONTE

MEROPE

EGISTO

ADRASTO

EURISO

ISMENE

POLIDORO

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

POLIFONTE e MEROPE.

POLIFONTE

Merope, il lungo duol, l'odio, il sospetto

scaccia omai dal tuo sen; miglior destino

io già t'annunzio, anzi ti reco. Altrui

forse tu no 'l credesti; ora a me stesso

credilo pur, ch'io mai non parlo indarno.

In consorte io t'elessi e vo' ben tosto

che la nostra Messenia un'altra volta

sua reina ti veggia. Il bruno ammanto,

i veli e l'altre vedovili spoglie

deponi adunque e i lieti panni e i fregi

ripiglia; e i tuoi pensier nel ben presente

riconfortando omai, gli antichi affanni,

come saggia che sei, spargi d'oblio.

MEROPE

O ciel, qual nuova spezie di tormento

apprestar mi vegg'io! Deh, Polifonte,

lasciami in pace, in quella pace amara

che ritrovan nel pianto gl'infelici;

lasciami in preda al mio dolor trilustre.

POLIFONTE

Mira, s'ei non è ver che suol la donna

farsi una insana ambizion del pianto!

Dunque negletta, abbandonata e quasi

prigioniera restar più tosto vuoi,

che ricovrar l'antico regno?

MEROPE

Un regno

non varrebbe il dolor d'esser tua moglie.

Ch'io dovessi abbracciar colui che in seno

il mio consorte amato (ahi rimembranza!)

mi svenò crudelmente? E ch'io dovessi

colui baciar che i figli miei trafisse?

Solo in pensarlo io tremo, e tutte io sento

ricercarmi le vene un freddo orrore.

POLIFONTE

Deh! come mai ti stanno fisse in mente

cose già consumate e antiche tanto

ch'io men ricordo appena! Ma i' ti priego,

da' loco a la ragion: era egli giusto

che sempre sui messeni il tuo Cresfonte

solo regnasse e ch'io, non men di lui

dagli Eraclidi nato, ognor vivessi

fra la turba volgar confuso e misto?

Poi tu ben sai che accetto egli non era,

e che non sol gli esterni aiuti e l'armi,

ma in campo a mio favor vennero i primi

ed i miglior del regno; e finalmente

ciò che a regnar conduce ognor si loda.

Ché se per dominar, se per uscire

di servitù, lecito all'uom non fosse

e l'ingegno e 'l valor di porre in opra,

darebbe Giove questi doni indarno.

MEROPE

Barbari sensi! L'urna e le divine

sorti su la Messenia al sol Cresfonte

diêr diritto e ragion; ma quanto ei fosse

buon re, chiedilo altrui, chiedilo a questo

popolo afflitto che tuttora il piange.

Tanto buon re provollo esso, quant'io

buon consorte il provai. Chi più felice

visse di me quel primo lustro? E tale

ancor vivrei, se tu non eri. Insana

ambizion ti spinse, invidia cieca

t'invase; e quale, o Dio, quale inaudita

empietà fu la tua, quando nel primo

scoppiar de la congiura, i due innocenti

pargoletti miei figli — ah figli cari! —

che avrian co' bei sembianti e con l'umile

lor dimandar mercé, le tenerelle

lor mani e gli occhi lagrimosi alzando,

avrian mosso a pietà le fere e i sassi,

trafiggesti tu stesso? E in tutto il tempo

che pugnando per noi si tenne Itome,

quanto scempio talor de' nostri fidi

in Messene non festi? E quando al fine

ci arrendemmo, perché contro la fede

al mio sposo dar morte? O tradimento!

E ch'io da un mostro tale udir mi debba

parlar di nozze e ricercar d'amore?

A questo ancor mi riserbaste, o dèi?

POLIFONTE

Merope, omai t'accheta; tu se' donna,

e qual donna ragioni. I molli affetti

ed i teneri sensi in te non biasmo,

ma con gli alti pensier non si confanno.

Or dimmi: e perché sol ciò che ti spiacque

vai con la mente ricercando, e ometti

quant'io feci per te? Ché non rammenti

che il terzo figlio, in cui del padre il nome

ti piacque rinnovar, tu trafugasti

e ch'io 'l permisi; e che a la falsa voce,

sparsa da te de la sua morte, io finsi

dar fede e in grazia tua mi stetti cheto?

MEROPE

Il mio picciol Cresfonte, ch'era ancora

presso di me, non giunto anco al terz'anno

ne' primi giorni del tumulto, in queste

braccia morì pur troppo, e de la fuga

al disagio non resse. Ma che parli?

Cui narri tu d'aver per lui dimostro

cor sì benigno? Forse Argo e Corinto,

Arcadia, Acaia e Pisa e Sparta, in fine

e terra e mare ricercar non festi

pel tuo vano sospetto? E al giorno d'oggi

forse non fai che su quest'empia cura

da' tuoi si vegli in varie parti ognora?

Ah! ben si vede che incruenta morte

non appaga i tiranni; ancor ti duole

che la natura prevenendo il ferro,

rubasse a te l'aspro piacer del colpo.

POLIFONTE

Ch'ei non morì, in Messene a tutti è noto.

E viva pur; ma tu che tutto nieghi,

negherai d'esser viva? E negherai

che tu nol debba a me? Non fu in mia mano

la tua vita sì ben, come l'altrui?

MEROPE

Ecco il don dei tiranni; a lor rassembra,

morte non dando altrui, di dar la vita.

POLIFONTE

Ma lasciam tutto ciò, lasciam le amare

memorie al fine; io t'amo e del mio amore

prova tu vedi che mentir non puote.

Ciò ch'io ti tolsi, a un tratto ecco ti rendo,

e sposo e regno e figli ancor, se in vano

non spero. Forse nel tuo cor potranno

più d'ammenda presente antichi errori?

MEROPE

Deh dimmi, o Polifonte: e come mai

questo tuo amor sì tardi nacque? E come

desio di me mai non ti punse allora

che giovinezza mi fioria sul volto,

ed or ti sprona sì che già, inclinando

l'età e lasciando i miglior giorni addietro,

oltre al settimo lustro omai sen varca?

POLIFONTE

Quel ch'ora i' bramo, ognor bramai; ma il duro

tenor de la mia vita assai t'è noto.

Sai che a pena fui re ch'esterne guerre

infestâr la Messenia e, l'una estinta,

altra s'accese, e senza aver riposo

or qua accorrendo or là, sudar fu forza

un decennio fra l'armi. In pace poi

gli estranei mi lasciâr, ma allor lo stato

cominciò a perturbar questa malnata

plebe, e in cure sì gravi ogni altro mio

desir si tacque. Or che a la fine in calma

questo regno vegg'io, destarsi io sento

tutti i dolci pensier; la mia futura

vecchiezza io vo' munir co' figli, e voglio

far pago il mio, fin qui soppresso, amore.

MEROPE

Amore, eh? Sempre chi in poter prevale

d'avanzar gli altri anche in saper presume,

e d'aggirare a senno suo le menti

altrui si crede. Pensi tu sì stolta

Merope che l'arcano e 'l fin nascosto

a pien non vegga? L'ultimo tumulto

troppo ben ti scoprì che ancor sicuro

nel non tuo trono tu non sei; scorgesti

quanto viva pur anco e quanto cara

del buon Cresfonte è la memoria. I pochi,

ma accorti amici tuoi sperar ti fanno

che, se t'accòppi a me, se regnar teco

mi fai, scemando l'odio, in pace al fine

soffriranno i messeni il giogo. Questo

è l'amor che per me t'infiamma, questo

è quel dolce pensier che in te si desta.

POLIFONTE

Donna non vidi mai di te più pronta

a torcer tutto in mala parte. Io fermo

son nel mio soglio sì che nulla curo

d'altrui favor, e di chi freme in vano

mi rido e ognor mi riderò. Ma siasi

tutto ciò che tu sogni; egli è pur certo

che il tuo ben ci è congiunto. Or se far uso

del tuo senno tu vuoi, la sorte afferra,

né darti altro pensier; molto a te giova

prontamente abbracciar l'effetto e nulla

l'indagar la cagion.

MEROPE

Sì, se avess'io

il cor di Polifonte e s'io volessi

ad un idol di regno, a un'aura vana

sagrificar la fé, svenar gli affetti,

e se potessi, anche volendo, il giusto

insuperabil odio estinguer mai.

POLIFONTE

Or si tronchi il garrir. Al suo signore

ripulsa non si dà; per queste nozze

disponti pure e ad ubbidir t'appresta.

Che a te piaccia o non piaccia, io così voglio.

Adrasto, e come qui? T'accosta.

MEROPE

Ismene,

non mi lasciar più sola.

SCENA SECONDA

ADRASTO, ISMENE e detti.

ADRASTO

In questo, punto,

signore, i' giungo

ISMENE

(in disparte)

Io non ardia appressarmi

vedendo il ragionar. Ma, mia reina,

perché ti veggio sì turbata?

MEROPE

Il tutto

saprai fra poco.

POLIFONTE

E che ci rechi, Adrasto?

ADRASTO

Un omicida entro Messene io trassi,

perché col suo supplicio ogni men fausto

augurio purghi e gir non possa altrove

col vanto dell'aver rotte e schernite

le nostre leggi.

POLIFONTE

E chi è costui?

ADRASTO

Di questa

terra ei non è, ma passagger mi sembra.

POLIFONTE

E l'ucciso?

ADRASTO

Nol so, perché il suo corpo

gettato fu dentro il Pamiso, ch'ora

gonfio e spumante corre, né presente

al fatto io fui; ma il reo no 'l niega. Al loco

dove tuttora, o re, tu con la squadra

dei cavalier di soggiornar m'imponi,

recato fu che al ponte indi non lunge

rubato s'era pur allora e ucciso

un uomo, e che il ladron la via avea presa

ch'è lungo il fiume. Io, ch'era a sorte in sella,

spronai con pochi e lo raggiunsi. Alcune

spoglie, ch'ei non negò d'aver rapite,

fede mi fêr ch'al sangue altro che vile

avidità nol trasse; al rimanente

non credi ciò, se al suo sembiante credi:

giovane d'alti sensi in basso stato

ed in vesti plebee di nobil volto.

POLIFONTE

Fa ch'io 'l vegga.

(Adrasto parte)

MEROPE

(in disparte)

Costui forse delitto

lo sparger sangue non credea, ove regna

un carnefice.

ISMENE

Al certo s'ogni morte,

s'ogni rapina Polifonte avesse

col supplicio pagata, in questa terra

fôran venute meno e pietre e scuri.

SCENA TERZA

ADRASTO con EGISTO e detti.

ADRASTO

Eccoti il reo.

MEROPE

Mira gentile aspetto.

POLIFONTE

In così verde età sì scelerato!

Chi se' tu? Donde vieni? E dove i passi

pensavi indirizzar?

EGISTO

Di padre servo

povero i' sono e oscuro figlio; i' vengo

d'Elide e verso Sparta il piè movea.

ISMENE

Che hai, regina? Oimé quali improvise

lagrime ti vegg'io sgorgar dagli occhi?

MEROPE

O Ismene, nell'aprir la bocca ai detti

fece costui col labro un cotal atto,

che 'l mio consorte ritornommi a mente,

e me 'l ritrasse sì com'io 'l vedessi.

POLIFONTE

Or ti pensavi tu forse che in questo

suolo fosse a' sicari ed a' ladroni

a posta lor d'infuriar permesso?

E ti pensavi che poter supremo

or qui non fusse e ch'io regnassi in vano?

EGISTO

Né ciò pensai, né a far ciò che pur feci

empia sete mi spinse o voglia avara.

Anzi a chi me spogliare e uccider volle

per mia pura difesa a tôr la vita

io fui costretto. In testimon ne chiamo

quel Giove che in Olimpia, ha pochi giorni,

venerai nel gran tempio. Il mio cammino

cheto e soletto i' proseguia, allor quando

per quella via che in vêr Laconia guida,

un uom vidi venir d'età conforme,

ma di selvaggio e truce aspetto. In mano

nodosa clava avea. Fissò in me gli occhi

torvi, poi riguardò, se quinci o quindi

gente apparia; poiché appressati fummo

appunto al varco del marmoreo ponte,

ecco un braccio m'afferra e le mie vesti

e quanto ho meco altero chiede; e morte

bieco minaccia. Io con sicura fronte

sprigiono il braccio a forza, egli, a due mani

la clava alzando, mi prepara un colpo

che, se giunto m'avesse, le mie sparse

cervella fôran or giocondo pasto

ai rapaci avoltoi. Ma ratto allora,

sottentrando, il prevenni ed a traverso

lo strinsi e l'incalzai. Così abbracciati

ci dibattemmo alquanto, indi in un fascio

n'andammo terra; ed arte fosse o sorte,

io restai sopra ed ei percosse in guisa

sovra una pietra il capo che il suo volto

impallidì ad un tratto e, le giunture

disciolte, immobil giacque. Allor mi corse

tosto al pensier che, su la via restando

quel funesto spettacolo, inseguito

d'ogni parte i' sarei fra poco. In core

però mi venne di lanciar nel fiume

il morto o semivivo; e con fatica,

ch'inutil era per riuscire e vana,

l'alzai da terra. In terra rimaneva

una pozza di sangue: a mezzo il ponte

portailo in fretta, di vermiglia striscia

sempre rigando il suol; quinci cadere

col capo in giù il lasciai. Piombò, e gran tonfo

s'udì nel profondarsi, in alto salse

lo spruzzo, e l'onda sopra lui si chiuse.

Né 'l vidi più, ché 'l rapido torrente

l'avrà travolto e ne' suoi gorghi spinto.

Giacean nel suol la clava e negra pelle,

che nel pugnar gli si sfibbiò dal petto:

queste io tolsi, non già come rapine,

ma per vano piacer, quasi trofei.

E chi creder potria che spoglie tali,

o di nessuno o di sì poco prezzo, m'avesser spinto a ricercar periglio

ed a dar morte altrui?

ADRASTO

Onesta è sempre

la causa di colui che parla solo.

POLIFONTE

Ma in van, per non aver chi parli incontra,

il tutto a suo favor dipinge e adorna,

ch'io qual custode delle leggi offese

l'avversario sarò.

MEROPE

Non correr tosto,

Polifonte, al rigor. Ché non sospendi

finché si cerchi alcun riscontro? Io veggo

di verità non pochi indizi e parmi

ch'egli merti pietà.

POLIFONTE

Nulla si nieghi

in questo giorno a te; ma alle tue stanze

tornar ti piaccia omai, ché al tuo decoro

non ben conviensi il far più qui dimora.

ISMENE

Non un'ora già mai, non un momento

abbandona il sospetto i re malvagi.

POLIFONTE

Tua cura, Adrasto, fia ch'egli frattanto

non ci s'involi.

(Polifonte parte)

MEROPE

Adrasto, usa pietade

con quel meschin; benché povero e servo,

egli è pur uomo al fine e assai per tempo

ei comincia a provare i guai di questa

misera vita. In tal povero stato

(Indietro e dall'altro lato della scena)

oimé ch'anche il mio figlio occulto vive;

e credi pure, Ismene, che se il guardo

giugner potesse in sì lontana parte,

tale appunto il vedrei, ché le sue vesti

da quelle di costui poco saranno

dissomiglianti. Piaccia almeno al cielo

ch'anch'ei sì ben complesso e di sue membra

sì ben disposto divenuto sia.

SCENA QUARTA

EGISTO e ADRASTO.

EGISTO

Dimmi, ti priego, chi è colei?

ADRASTO

Reina

fu già di questa terra, e sarà ancora

fra poco.

EGISTO

I sommi dèi l'esaltin sempre

e della sua pietà quella mercede,

che dar non le poss'io, rendanle ognora.

Donna non vidi mai, che tanta in seno

riverenza ed affetto altrui movesse.

Ma tu, che presso al re puoi tanto, segui

così nobile esempio e a mio favore

t'adopra. Deh, signor, di me t'incresca

che nel fior dell'età, senza difesa,

senza delitto alcun, per fato avverso

in tal periglio son condotto. In questa

sì famosa città non far che a torto

sparso il mio sangue sia; lungo tormento

agl'innocenti genitori afflitti,

i quai la sola assenza mia son certo

ch'or fa struggere in pianto.

ADRASTO

In tuo vantaggio

io già da prima il tutto esposi. E forse

non t'accorgesti ancor quanto cortese

io fui vêr te? Tu vedi pur ch'io tacqui

del ricco anello, che da te rapito

io ti trassi di man. Per qual cagione

pensi ch'io 'l celi? Per vil brama forse

di restar possessor di quella gemma,

né darla al re? Mal credi, se ciò credi,

ch'a me non mancan gemme. Io per tuo scampo

e non per altro, il fo; poiché, se scopro

che sì gran preda hai fatta, il tuo delitto

troppo si fa palese, anzi s'aggrava

di molto, perché appar ch'uom d'alto grado

fu l'ucciso da te.

EGISTO

Tu pur se' fisso

in voler ch'involata io m'abbia quella

scolpita pietra; ma t'attesto ancora

che dal mio vecchio padre in dono io l'ebbi.

Credilo e sappi ch'io mentir non soglio.

ADRASTO

Veggo più tosto che mentir non sai:

non mi dicesti tu che il padre tuo

in fortuna servil si giace?

EGISTO

Il dissi

e 'l dico.

ADRASTO

Or dunque in tuo paese i servi

han di codeste gemme? Un bel paese

fia questo tuo; nel nostro una tal gemma

ad un dito regal non sconverrebbe.

EGISTO

A ciò non so che dir, né del suo prezzo

più oltre i' so; ma ben giurar poss'io

che, non ha ancor gran tempo, il giorno in cui

compiea suo giro il diciottesim'anno,

chiamommi il padre mio dinanzi a l'ara

de' domestici dèi; e qui, piangendo

dirottamente, l'aureo cerchio in dito

mi pose e volle ch'io gli dessi fede

di custodirlo ognora. Il sommo Giove

oda i miei detti, e se non son veraci,

vibri sue fiamme ultrici e in questo punto

m'incenerisca.

ADRASTO

Un'arme è il giuramento

valida molto e ch'adoprata a tempo

fa bellissimi colpi; ma tu ancora

non sai che meco non ha forza alcuna.

Or lasciam queste fole; il punto è questo:

ch'io per tuo bene al re non farò motto

di ciò; e che tu altresì, s'esser vuoi salvo,

altrui no 'l faccia mai.

EGISTO

Tanto prometto,

e credi come vuoi, pur che m'aiti;

anzi pur che a salvezza in tanto rischio

tu mi conduca, io di buon cuor ti faccio

di quella gemma un don.

ADRASTO

Leggiadro dono

per certo è questo tuo, quando mi doni

quel ch'è già in mio potere e ch'è già mio.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

EURISO e ISMENE.

ISMENE

No, Euriso, di veder Merope il tempo

questo non è; benché tu sia quel solo

che d'ogni arcano suo fu sempre a parte,

lasciala sola ancor, finché piangendo

si sfoghi alquanto. Tu non sai qual nuova

sciagura il cor le opprima.

EURISO

Io già pur ora

da serpeggiante ambigua voce ho inteso

Polifonte affrettar le minacciate

nozze, e per accertarmi a lei correa.

ISMENE

Questo a lei sembra atroce mal; ma questo

quasi ch'or si disperde e in sen le tace,

ch'altro maggior l'alma le ingombra e preme.

EURISO

Che avvenne mai? Forse del figlio, ch'ella

bambino diede a Polidoro, il vecchio

servo, perché qual suo lungi il nodrisse,

novella infausta è giunta?

ISMENE

Ah! tu 'l pensasti,

Euriso: tu ben sai ch'altro conforto

non avea l'infelice in tanti mali

che 'l mandare in Laconia il fido Arbante

ogni sei lune occulto. Al suo ritorno,

di cui l'ore contava ed i momenti,

quasi uscia di sé stessa e cento cose

volea a un fiato saper; dalla sua bocca

quinci pendea per lungo tempo, il volto

cangiando spesso e palpitando tutta:

poi tornava e volea cento minute

notizie ancora e no 'l lasciava in pace

finché gli atti, il parlar, le membra, i panni

dipinti non aveva a parte a parte

il buon messo, e talor la cosa stessa

dieci volte chiedea.

EURISO

Non ti dar pena

di ciò ridire a me, ch'io la conosco

troppo bene; e talvolta a me da poi

tutto narrava e, s'un bel detto avea

da raccontarmi del suo figlio, o Dio!

le scintillavan d'allegrezza gli occhi

nel riferirlo. Or dimmi pur qual nuova

abbiasi di Cresfonte.

ISMENE

È giunto Arbante,

che tardò questa volta oltra 'l costume,

e porta che Cresfonte appresso il mesto

vecchio più non si trova e ch'ei tuttora

ne cerca invan, né sa di lui novella.

EURISO

O speme tronca, o regno afflitto, o estinto

sangue de' nostri re!

ISMENE

Ma tu mi sembri

altra Merope appunto, che di lancio

negli estremi ti getti; io non ti dico

che la sua morte ei rechi.

EURISO

Sì, ma credi

tu che a caso o da sé sarà svanito?

L'avrà scoperto Polifonte al fine,

gli avrà teso l'aguato e l'avrà colto.

ISMENE

Nulla di questo: afferma Polidoro

ch'era preso il garzon da viva brama

d'andar vagando per la Grecia e alcune

città veder che del lor nome han stanca

la fama. Egli or co' prieghi ed or con l'uso

di paterno poter per alcun tempo

il raffrenò, ma al fin l'ardente spirto

vinto dal suo desio, partì di furto,

e 'l vecchio, dopo averlo atteso invano,

era già in punto per seguirlo e girne

ei stesso in traccia, investigando l'orme.

EURISO

Oh! questo è un male assai minore, e forse

né pure è mal: ché a qual periglio esponsi

col suo peregrinar, se, non che altrui,

ma né pure a sé stesso ei non è noto?

A ciò pensando, avrà conforto in breve

la madre afflitta.

ISMENE

Oh sì, ti so dir io

ch'or ben t'apponi: tutti i rischi, tutti

i disagi che mai ponno dar noia

a chi va errando, s'odi lei, già tutti

stanno intorno al suo figlio. Il sole ardente,

le fredde piogge, le montagne alpestri

va rammentando, né funesto caso

avvenne in viaggio mai che alla sua mente

non si presenti: or nel passar d'un fiume

dal corso vinto ed or le par vederlo

in mezzo a' malandrin ferito e oppresso.

Ma ricorda anche i sogni e d'ogni cosa

fa materia di pianto; in somma, Euriso,

s'io debbo dirti il vero, alcuna volta

parmi che il senno suo vacilli.

EURISO

O figlia,

tutto vuol condonarsi a un cor di madre;

quello è l'affetto in cui del suo infinito

divin poter pompa suol far natura.

Quando tu 'l proverai, vedrai s'io mento.

ISMENE

Per me non proverollo al certo, ch'io

imparo tutto dì quanta follia

è 'l girsi a procacciar sì gran dolore.

EURISO

Questo è un dolor che con piacer s'acquista.

ISMENE

Credimi pur che in tal pensier son fissa.

EURISO

Ma bramata e richiesta il pensi in vano,

che 'l tuo sembiante al tuo pensier fa guerra.

ISMENE

Ecco Merope.

SCENA SECONDA

MEROPE e detti

MEROPE

O Euriso, nel vederti

ripiglia il lagrimar l'usata via.

EURISO

Pur or l'avviso udii.

MEROPE

Questo è ben altro

che gir pensando, or che al vigor degli anni

era giunto Cresfonte, al miglior modo

di palesarlo omai; questo è ben altro

che figurarsi di vederlo or ora

de la plebe al favor portar feroce

sul tiranno crudel la sua vendetta.

EURISO

Ma perdona, o reina: e chi distrusse

queste dolci speranze? E che rileva,

se lodevol desio guida alcun tempo

per le greche provincie il giovinetto

di sapere e di senno a far tesoro?

Tu omai nel pianto la ragion sommergi.

MEROPE

Ah! tu non sai da qual timor sia vinta.

EURISO

Dillo, reina.

MEROPE

Già due giorni, al ponte

che le due strade unisce, un uom fu ucciso.

EURISO

Il so, ché Adrasto l'omicida ha colto.

MEROPE

Or quell'ucciso io temo — e piaccia al cielo

che 'l mio timor sia vano — io temo, Euriso,

non sia stato Cresfonte.

EURISO

O eterni numi!

Dove mai non vai tu cercando ognora

i motivi d'affanno!

MEROPE

Troppo forti

son questa volta i miei motivi. Ascolta.

Qui de' messeni alcun non manca, ond'era

quell'infelice un passagger; confessa

il reo ch'era d'età a la sua conforme,

ch'era povero e solo e che veniva

di Laconia. Non vedi come tutto

confronta? Appresso egli stringea una clava.

Forse il vecchio scoperta al fin gli avea

l'erculea schiatta, ond'ei de l'arme avita

giovanilmente facea pompa e certo

qua sen veniva per tentar sua sorte.

EURISO

Piccioli indizi per sì gran sospetto.

MEROPE

Io penso ancor ch'Adrasto, del tiranno

l'intimo amico, il reo condusse. Or dimmi:

perché venne egli stesso? Egli senz'altro

potea mandarlo. E perché mai nel fiume

far che il corpo si occulti e si disperda,

né alcuno il vegga?

EURISO

Deh! quanto ingegnosa

tu sei per tormentarti!

MEROPE

Ah! ch'io ne' miei

divisamenti errar non soglio mai.

E notasti tu, Ismene, qual cura ebbe

Polifonte in partir ch'io, rimanendo,

col reo non ragionassi? E ti sovviene

quanto pronto e giulivo ei mi concesse

ciò che richiesi in suo favore?

ISMENE

In fatti

molto cortese fu, molto clemente

egli allor si mostrò; non può negarsi

che diverso è pur troppo il suo costume.

EURISO

Ma gioverebbe in questo caso a lui

più 'l divulgar che l'occultare il fatto

per troncare a chi l'odia ogni speranza.

MEROPE

Non già, ché troppo il popol questa nuova

atrocità commoverebbe a sdegno.

EURISO

Ma come vuoi ch'egli abbia or di repente

scoperto il figlio tuo?

MEROPE

Chi de' tiranni

può penetrar le occulte vie? Fors'anco

sol per spogliarlo il rio ladron l'uccise,

e dipoi s'è scoperto.

EURISO

Or io di questo

labirinto, che tu a te stessa ordisci,

spero di trarti in breve. Avrà fra poco

Adrasto assai mestier dell'opra mia;

non fia però che a compiacermi io 'l trovi

restio: lascia che seco i' parli e trarne,

mia reina, ben tosto io ti prometto

quanto basti a chiarirci.

MEROPE

Ottimo in vero

è tal consiglio; fallo dunque, Euriso;

ma fallo tosto, non frappor dimora.

EURISO

Non dubitar, ma in tanto ne' tuoi danni

non congiurar tu ancor con la tua sorte

e non crearti con la mente i mali.

MEROPE

O caro Euriso, i' veggio ben che questo

nulla è più che un sospetto; ma se ancora

fosse falso sospetto, or ti par egli

che il sol peregrinar del mio Cresfonte

mi dia cagion di dover esser lieta?

Rozzo garzon, solo, inesperto, ignaro

de le vie, de' costumi e dei perigli,

ch'appoggio alcun non ha, povero e privo

d'ospiti, qual di vitto e qual d'albergo

non patirà disagio? Quante volte

all'altrui mense accosterassi, un pane

chiedendo umìle? E ne sarà fors'anche

scacciato, egli, il cui padre a ricca mensa

tanta gente accogliea. Ma poi se infermo

cade, com'è pur troppo agevol cosa,

chi n'avrà cura? Ei giacerassi in terra

languente, afflitto, abbandonato, e un sorso

d'acqua non vi sarà chi pur gli porga.

O dèi! che s'io potessi almeno ir seco,

parmi che tutto soffrirei con pace.

ISMENE

Regina, odi romor; qua Polifonte

sen viene.

MEROPE

Io mi sottraggo; Euriso, a core

ti sia cercar Adrasto.

EURISO

Egli senz'altro

sarà col re: tosto che il lasci, io pronto

l'afferro e il tutto esploro e a te ritorno.

SCENA TERZA

POLIFONTE e ADRASTO.

POLIFONTE

Or dimmi: pârti che deponga omai

gli empi pensier la fluttuante ognora

città superba e 'l procelloso volgo?

ADRASTO

La turba vil, che peggiorar non puote,

odia sempre il presente e cangiar brama,

e 'l re che più non ha, stima il migliore.

POLIFONTE

Troppo è vero; qualor le vie trascorro

io veggo i volti di livor dipinti

e leggo il tradimento in ogni fronte.

ADRASTO

Affretta, o re, queste tue nozze; affretta

di soddisfar con quest'immagin vana

di giustizia e di pace il popol pazzo.

POLIFONTE

Meglio sarìa far di costoro scempio.

ADRASTO

Tu stesso a te torresti allora il regno.

POLIFONTE

In voto regno almen sarei sicuro.

ADRASTO

Ma ciò bramar, non già sperar ti lice.

POLIFONTE

E credi tu che sia per poter tanto

nel sentimento popolare il solo

veder del regio onor Merope cinta?

ADRASTO

Sol l'incerto romor che di ciò corre

molti già ti concilia, e ci ha chi spera

che di Cresfonte la consorte debba

risvegliar di Cresfonte in te i costumi.

POLIFONTE

Sciocco pensier. Ma se costei ricusa?

ADRASTO

La donna, come sai, ricusa e brama.

POLIFONTE

Mal da l'uso comun questa misuri.

ADRASTO

Di raddolcir la disdegnosa mente

con alcun atto a lei gradito è forza

por cura; arduo non fia che il primo passo.

Fatto questo e ridotta anche ritrosa

e ripugnante a sofferire il nome

di tua sposa, espugnar tutto il suo core

fia lieve impresa; ché a placar la donna

e a far ben tosto del tuo affetto acquisto,

somma han virtude i maritali amplessi.

Fors'anco allora con lusinghe e vezzi

(per alma femminil forte tortura)

giugner potresti il gran segreto a trarle

di bocca: dove quel suo figlio occulti,

qual fin che ha vita, aver tu non puoi pace.

POLIFONTE

Questa è la spina che nel cor sta fissa.

ADRASTO

Ciò potrebbe avvenir; ma se persiste

contumace e superba anche in suo danno

e piegar non si vuol, conviensi allora

forza e minacce usar; ché a tutto prezzo

vuolsi ottener di coronar nel tempio

agli occhi dei messeni, in fra la pompa

di festoso imeneo, costei, vêr cui

è tanta la pietà, tanto è l'affetto,

pace dando ed onore a questo avanzo

de la famiglia a lor cotanto cara.

POLIFONTE

Adrasto, vaglia il ver, tu ben ragioni.

Fa che si chiami Ismene. Al mio pensiero

il tuo è conforme; or più non stiasi a bada:

ciò ch'è ben fare, differire è male.

Vanne tu al sacerdote, e di' che appresti

pel nuovo giorno pubblico e giulivo

sacrificio solenne. Il vulgo sciocco

vuol sempre a parte d'ogni cosa i dèi.

Pe' trivi poi t'aggira e la novella

spargi con arte e in mio favor l'adorna.

ADRASTO

Saggiamente risolvi; ad ubbidirti

m'affretto.

SCENA QUARTA

ISMENE e POLIFONTE.

ISMENE

Che m'imponi o re?

POLIFONTE

Dirai

a Merope che amor non soffre indugio

e ch'io non vo' moltiplicare il danno

di tanta età perduta. Al nuovo sole

però n'andremo al tempio, ove del mio

sincero cor, di mia perpetua fede

tutti farò mallevadori i dèi.

Quinci di cento trombe al suon festivo

fra 'l giubilo comun, fra i lieti gridi

sposa uscirà e regina. Un tanto dono

dee far grata, qual sia, la man che il porge.

ISMENE

Come, signor? Il fermo tuo volere

oggi, dopo 'l meriggio, esponi e vuoi

che a così strano cangiamento...

POLIFONTE

E voglio

che tutto ciò diman, pria del meriggio,

sia eseguito: lode è protrar le pene,

ma non già i benefici. Or perché veggia

Merope quanto sul mio cor già regni,

dille che, avendo scorto il suo disìo

intorno all'omicida, io le do fede

che in danno suo non sorgerà funesto

decreto alcuno; e in avvenir si accerti

che sempre grideran le leggi in vano

contra chi fia dal suo favore assolto.

Or vanne e fa che in così lieto giorno

piacciale illuminar di gioia il mesto

volto e le membra circondar di pompa.

ISMENE

Sappi, o re, ch'ella da alcun tempo, in quelle

ore tranquille ch'al riposo e al sonno

per noi si dàn, dissimulato in vano

soffre di febre assalto: alquanti giorni

donare è forza a rinfrancar suoi spirti.

POLIFONTE

Il comando intendesti; or tuo dovere

è l'ubbidir, non il gracchiare al vento.

SCENA QUINTA

ISMENE, poi MEROPE.

ISMENE

Sventurata reina! A tanti affanni

questo mancava ancor, e questo appunto

per l'infelice il tempo era opportuno

da vedersi condurre a nozze, e nozze

con Polifonte. O misero destino!

MEROPE

Da te che volle Polifonte, Ismene?

ISMENE

Oimé, sposa ti vuole al sol novello.

MEROPE

Di Cresfonte il pensier tanto mi strinse

che quest'altro dolore io quasi avea

posto in oblio. Ma che? Morte da questo

a mio piacer trar mi saprà, sol ch'io

potessi pria del figlio e di sua vita

contezza aver.

ISMENE

Aggiunse che quel reo,

sol perché in suo favor piegar ti vide,

ei da morte assicura.

MEROPE

Or vedi, Ismene,

s'occulto arcano è qui? Qual nuova cura

di secondar con animo sì pronto

un lampo di desir che in me tralusse?

ISMENE

Ecco Euriso che torna e con sereno

sembiante; ei ti previen di già col riso,

qual uom che porta in sen liete novelle.

SCENA SESTA

EURISO e detti.

EURISO

Lodato il ciel, regina; io questa volta

ti trarrò pur d'affanno. Oh se d'ogn'altro

trar ti potessi in questo modo un giorno!

MEROPE

Tu mi rallegri, Euriso; e che mi rechi

di così certo?

EURISO

Io con Adrasto appena

a parlar cominciai che venni in chiaro

come l'ucciso dal ladrone al ponte

il tuo figlio non fu.

MEROPE

Grazie agli dèi,

da morte a vita tu mi torni; e pure

cresceva in me il sospetto. Or quai di questo

aver potesti tu sì chiare pruove?

EURISO

Io ten dirò una sola: il tuo Cresfonte,

nodrito in umil tetto e qual di servo

figlio tenuto, in basso arnese è forza

che vada errando.

MEROPE

È ver purtroppo.

EURISO

Or sappi

che quel misero avea superbe spoglie

e ricchi arredi.

MEROPE

Se quest'è, Cresfonte

ei per certo non fu; tu ben ragioni.

Ma quali furon queste spoglie e dove

sono?

EURISO

Io di esse questa sola gemma

vo' che tu vegga: con fatica Adrasto

a le mie mani l'affidò; rimira

se un tesoro non vale.

MEROPE

O quanto, Euriso,

io tenuta ti sono! Oimé, traveggo?

Aita, o dèi, sì ch'io non mora in questo

punto.

ISMENE

Che sarà mai?

EURISO

Pensar nol posso.

MEROPE

Ah ch'io non erro! È dessa. Questa gemma

avea dunque colui che fu trafitto?

EURISO

Aveala; or che ti turba?

MEROPE

Avete vinto,

perverse stelle; or sarai sazia, o sorte:

vibrato hai pur l'ultimo colpo; o dèi!

EURISO

Io son confuso.

ISMENE

Il cor palpita e trema.

MEROPE

Questo è l'anel che col bambino io diedi

a Polidoro e ch'io di dar gl'imposi

al figlio mio, se mai giungesse a ferma

etade; egli vi giunse, oimé, ma in vano.

EURISO

Deh che mai sento!

ISMENE

O maraviglia!

MEROPE

Io madre

già più non sono; ogni speranza è a terra.

ISMENE

Deh che forse tu sbagli! E come vuoi

dopo sì lungo tempo aver sì fissa

d'un anello l'idea? Ma inoltre forse

non si pôn dar due somiglianti gemme?

MEROPE

Che somigliar, che sbagli? Un lustro intero

portata ho in dito questa gemma; questo

fu il primo dono del mio sposo, e vuoi

che riconoscere or nol sappia? Pensi

tu ch'io sia fuor di senno? Ecco la volpe

ch'egregio mastro vi scolpì; con essa

spesso improntare il re solea.

EURISO

Ma forse

smarrilla il vecchio in sì lungh'anni, e forse

involata gli fu.

MEROPE

Non già, ché Arbante

custodita appo lui sempre la vide.

EURISO

È forza di destino!

ISMENE

Il cor gliel disse.

EURISO

Presentimento hanno le madri ignoto.

MEROPE

Or che più bado? E in questa vita amara

che più trattienmi? Per tant'anni tutto

il nodrimento mio fu una speranza;

or questa è al vento; altro non resta: il figlio

mio non vedrò mai più. Or Polifonte

regnerà sempre e regnerà tranquillo.

O ingiusti numi! Il perfido, l'iniquo,

il traditor, l'usurpator, colui

che in crudeltà, che in empietà, che in frode

qual si fu mai più scelerato avanza,

questo voi proteggete, in questo il vostro

favor tutto versate e contra il sangue

del buon Cresfonte, contra gl'infelici

germi innocenti di scoccar v'è a grado

gli strali, e duolvi forse ora che, omai

estinti tutti, ove scoccar non resta.

EURISO

Il funesto, impensato, orribil caso

m'ha trafitto così, così m'ha oppresso

che assai più d'uopo io stesso ho di conforto

ch'atto or mi sia per dar conforto altrui.

Non pertanto, o reina, il buon desio

e 'l sommo duol che del tuo duolo io sento

fan ch'io pur ti dirò che il tempo è questo

in cui tu devi richiamare al cuore

tutto il valor di tua virtù; e siccome

sovra il corso mortale ed oltre all'uso

del tuo sesso in tutt'altro ogn'altro hai vinto,

così in durar contra quest'aspro colpo

ugual ti mostra e fa arrossir gli dèi.

Oscure, imperscrutabili, profonde

son quelle vie per cui, reggendo i fati,

guidar ci suol l'alto consiglio eterno.

Tu ben sai che il gran re per cui fu tratta

la Grecia in armi a Troia, in Auli ei stesso

la cara figlia a cruda morte offerse;

e sai che 'l comandâr gli stessi dèi.

MEROPE

O Euriso, non avrian già mai gli dèi

ciò comandato ad una madre. Un uomo

intendere non può, non può sentire

qual divario ci corra; e poi colei

per la salute universale a morte

n'andò come in trionfo, e al figlio mio

sotto il braccio plebeo spirar fu forza

d'un malandrino. Empio ladron crudele,

con che astuto parlar, con quai menzogne

il tutto dipingea! Chi non gli avrebbe

prestata fede? Or odi, Euriso; io in vita

non vo più rimaner; da questi affanni

ben so la via d'uscir, ma convien prima

sbramar l'avido cor con la vendetta.

Quel scelerato in mio poter vorrei

per trarne prima s'ebbe parte in questo

assassinio il tiranno; io voglio poi

con una scure spalancargli il petto,

voglio strappargli il cor, voglio co' denti

lacerarlo e sbranarlo. In ciò m'aita,

o fido amico, in ciò m'assisti e dopo

ciò ti conforma al tempo. La tua fede

non avrà più per cui servarsi; omai,

segui i felici e quel partito abbraccia

per cui son tutti dichiarati i dèi.

EURISO

Sì stretto ho 'l cor che in vece di parole

non mi tramanda che singulti e pianto.

ATTO TERZO

SCENA PRIMA

POLIFONTE e ADRASTO.

POLIFONTE

Con sì gran fretta io ti richiesi, Adrasto,

perché felici, alte novelle io sono

impaziente di versarti in seno.

Cresfonte è morto; ei fu colui che al ponte

trucidato restò. Dirmi or ben posso

re di Messenia, or posso dir che al fine

incomincio a regnar.

ADRASTO

Veduto ho sempre

creder l'uom di leggèr ciò che desia.

E chi recò sì gran novella?

POLIFONTE

Un servo

di Merope, che quanto a lui riesce

di penetrar mi svela, a ragguagliarmi

corso è pur or com'ella su tal morte

smania, e il segreto, che per lunga etade

tacque sì cauta, or forsennata il grida,

cruciandosi d'aver con tanti inganni

e con tanto sudor sol conseguito

di fabricarsi una maggior sventura.

ADRASTO

E tu a lei presti fede? E perché mai

chi mentito ha vent'anni or dirà il vero?

POLIFONTE

Tu sospetti a ragion; ma io no 'l credo

ai detti suoi, al suo dolore il credo.

Videla il servo lacerata il crine,

di pianto il sen, piena di morte il volto,

videla sorger furibonda e a un ferro

dar di piglio, impedita a viva forza

dall'aprirsi nel seno ampia ferita.

Or freme ed urla, or d'una in altra stanza

sen va gemendo e chiama il figlio a nome;

qual rondine talor, che ritornando

non vede i parti e trova rotto il nido,

ch'alto stridendo gli s'aggira intorno

e parte e riede e di querele assorda.

ADRASTO

Ma come mai ciò rilevò?

POLIFONTE

Ben chiaro

ciò non comprese il servo, ma assicura

che a dubitar loco non resta.

ADRASTO

Or dunque

felice te, per cui tutto combatte

e in cui favor s'è armato il caso ancora.

Non sol di tôrre il tuo rival dal mondo,

ma s'è presa anche cura la fortuna

di risparmiare a te il delitto.

POLIFONTE

Ho imposto

che si disciolga l'uccisor, sol ch'egli

del palagio non esca; or vo pensando

se il già prefisso a me troppo noioso

imeneo tralasciar si possa. Il volgo

non ha più che sperar, né ci ha in Messene

chi regger voglia temerarie imprese.

D'altra parte non è sprezzabil rischio

l'avvicinarsi quella furia; imbelle

domestico nimico assai più temo

che armato in campo, e tu ben sai che offesa

femmina non perdona.

ADRASTO

Anzi ora è il tempo

di dare omai con ciò l'ultimo impulso

ai voler vacillanti e per tal morte

resi dal disperar vêr te più miti.

Certo esser déi che acquisterà più lode

quest'apparenza di pietà, che biasmo

cento oscuri misfatti. Dell'altera

Merope dopo ciò fanne a tuo senno.

Quanto d'atroce sen spargesse, allora

perderà fede presso il volgo, e tutto

maldicenza parrà. Vuolsi non meno

ben tosto ampia inalzar funerea pompa

e con lugubre onor, con finto pianto

del tuo nemico celebrar la morte,

sì per mostrar d'aver cangiato il core,

come per publicar ciò che ti giova.

POLIFONTE

Tutto si faccia, e poiché vuol Messene

esser delusa, si deluda. Quando

saran da poi sopiti alquanto e quieti

gli animi, l'arte del regnar mi giovi.

Per mute, oblique vie n'andranno a Stige

l'alme più audaci e generose. Ai vizi,

per cui vigor si abbatte, ardir si toglie,

il freno allargherò. Lunga clemenza

con pompa di pietà farò che splenda

sui delinquenti, ai gran delitti invito

onde restino i buoni esposti e paghi

renda gl'iniqui la licenza, ed onde

poi fra sé distruggendosi, in crudeli

gare private, il lor furor si stempri.

Udrai sovente risonar gli editti

e raddoppiar le leggi che al sovrano

giovan servate e trasgredite. Udrai

correr minaccia ognor di guerra esterna,

ond'io n'andrò su l'atterrita plebe

sempre crescendo i pesi e peregrine

milizie introdurrò. Che più? Son giunto

dov'altro omai non fa mestier che tempo.

Anche da sé ferma i domìni il tempo.

ADRASTO

Certo negar non si potrà che nato

a regnar tu non sia. Quanto col grado,

con la mente altrettanto altrui sovrasti.

SCENA SECONDA

EGISTO e detti.

EGISTO

Eccelso re che i miseri difendi

e che i decreti di clemenza adorni,

sovra di te versi sempre il cielo

letizia e pace e ogni desir t'adempia.

POLIFONTE

Il tuo delitto — se pur dee delitto

dirsi il purgar d'uomini rei la terra —

poiché tanto valore in te palesa,

grazia seppe acquistar nel mio pensiero.

EGISTO

Qual si fosse il vigor che in quell'incontro

a mia difesa usai, finch'io respiri,

sarò pronto ad usarlo in tua difesa.

POLIFONTE

Qual è il tuo nome?

EGISTO

Egisto è il nome mio.

POLIFONTE

Or io vorrei che di colui che oppresso

cadde sotto i tuoi colpi, ancor mi dèssi

più precisa contezza.

EGISTO

Io già ne dissi

quanto ne seppi, e a ciò che già narrai

nulla aggiunger potrei.

POLIFONTE

E pur si trova

chi n'ha notizie assai migliori. Il fatto

già vedi che per me si approva e loda.

Nulla hai più da temer, svelare or puoi

francamente ogni cosa: assai m'importa

quel ch'or ti chiedo. De l'ucciso il corpo,

che forse del torrente altri già trasse,

ho spedito a indagar; ma dimmi intanto

ciò ch'egli disse e ciò che seco avea,

ciò che togliesti tu, ciò che rimase.

ADRASTO

Signore, i' veggio Ismene, indizio certo

che Merope s'appressa. Un sì noioso

incontro sfuggi e 'l primo impeto schiva

del suo dolor; lascia che a suo piacere

con l'uccisor favelli, onde scorgendo

che innocente pur sei di questo sangue,

nuovo motivo d'abborrir tue nozze

non le si desti in cor.

POLIFONTE

Ben pensi, Adrasto,

né fia che tempo a investigar ci manchi.

SCENA TERZA

MEROPE, EGISTO e ISMENE.

ISMENE

Egli è qui solo.

MEROPE

Iniquo, orribil ceffo!

Or fa ch'Euriso accorra, e fa che indugio

non ci frammetta.

EGISTO

O regal donna, o esempio

di virtute e d'onor, lascia ch'io stempri

su le tue vesti in umil bacio il cuore.

Quella pietà, che a rea prigion mi tolse

e che nell'ombre di mortal periglio

balenò a mio favor, certo son io

che da te il moto e da te preso ha il lume.

Gli eterni dèi piòvanti ognora in seno

tutti i lor doni, e se cader già mai

dovessi in caso avverso, essi la mano

porgano a te, qual tu la porgi altrui.

Io per più non poter, dentro il mio core

t'ergerò un tempio, in cui, finché lo spirto

reggerà queste membra, in qual mi porti

strania terra il destin, la tua memoria

e 'l beneficio tuo per me s'onori.

Ma tu torbida e in te raccolta ascolti,

se pur m'ascolti, né d'un guardo pure

mi degni: ingombran forse alti pensieri

il regio seno e intempestivo io parlo.

Deh perdona il mio fallo e soffri ancora

ch'io di compir l'opra ti prieghi: intera

la libertà sospiro, i patrii amati

lari tu sola puoi far ch'io riveggia

ed in te sola ogni mia speme è posta.

SCENA QUARTA

EURISO, ISMENE e detti.

EURISO

Eccomi a' cenni tuoi.

MEROPE

Tosto di lui

t'assicura.

EURISO

Son pronto; or più non fugge,

se questo braccio non ci lascia.

EGISTO

Come!

e perché mai fuggir dovrei? Regina,

non basta dunque un sol tuo cenno? Imponi,

spiegami il tuo voler; che far poss'io?

Vuoi ch'immobil mi renda? immobil sono.

Ch'io pieghi le ginocchia? ecco le piego.

Ch'io t'offra inerme il petto? eccoti il petto.

ISMENE

Chi crederia che sotto un tanto umìle

sembiante tanta iniquità s'asconda?

MEROPE

Spiega la fascia, e ad un di questi marmi

l'annoda in guisa che fuggir non possa.

EGISTO

O ciel, che stravaganza!

EURISO

Or qua spediamci,

e per tuo ben non far né pur sembiante

di repugnare o di far forza.

EGISTO

E credi

tu che qui fermo tuo valor mi tenga?

E ch'uom tu fossi da atterrirmi e trarmi

in questo modo? Non se tre tuoi pari

stessermi intorno; gli orsi a la foresta

non ho temuto d'affrontare io solo.

EURISO

Ciancia a tuo senno, pur ch'io qui ti leghi.

EGISTO

Mira, colei mi lega, ella mi toglie

il mio vigor, il suo real volere

venero e temo; fuor di ciò, già cinto

t'avrei con queste braccia e sollevato

t'avrei percosso al suol.

MEROPE

Non tacerai

temerario? Affrettar cerchi il tuo fato?

EGISTO

Regina, io cedo, io t'ubbidisco, io stesso

qual ti piace m'adatto; ha pochi istanti

ch'io fui per te tratto dai ceppi ed ecco

ch'io ti rendo il tuo don; vieni tu stessa,

stringimi a tuo piacer, tu disciogliesti

queste misere membra e tu le annoda.

ISMENE

Or non cred'io che dar potesse un crollo.

MEROPE

Or va, rècami un'asta.

EGISTO

Un'asta! O sorte!

Qual di me gioco oggi ti prendi? E quale

commesso ho mai nuovo delitto? Dimmi

a qual fine son io qui avvinto e stretto?

MEROPE

China quegli occhi, traditore, a terra.

ISMENE

Eccoti il ferro.

EURISO

Io 'l prendo e, se t'è in grado,

gliel presento a la gola.

MEROPE

A me quel ferro.

EGISTO

Così dunque morir degg'io, qual fiera

nei lacci avviluppata e senza almeno

saperne la cagion?

MEROPE

Non la sai eh?

Perfido mostro! Or odi: la tua morte

fia il minor de' tuoi mali; a brano a brano

qui lacerar ti vo', se in un momento

tutto non sveli o se mentisci. Parla:

come scoprillo Polifonte? e come

riconoscestil tu?

EGISTO

Che mai favelli?

MEROPE

Non t'infinger, ladron, ché tutto è in vano.

EGISTO

Regina, in qualche error tua mente è corsa;

frena l'ira, ti priego; io ciò che chiedi

né pur intendo.

MEROPE

Empio assassin, tuo scempio

dal trarti gli occhi io già comincio. Ancòra

non mi rispondi?

EGISTO

O giusti numi, e come

risponder posso a ciò che non intendo?

MEROPE

Che non intendo? Polifonte adunque

tu non conosci?

EGISTO

Oggi il conobbi, oggi

due volte gli parlai; s'io mai più il vidi,

s'io di lui seppi mai, l'onnipotente

Giove da le tue mani or non mi salvi.

ISMENE

Hanno il lor Giove i malandrini ancora?

EURISO

Ma quel sangue innocente e chi t'indusse

a sparger dunque?

EGISTO

Di colui che uccisi

parli tu forse? E chi vuoi tu che indotto

m'abbia? La mia difesa, il naturale

amor della mia vita, il caso, il fato,

questi fûr che m'indussero.

MEROPE

O fortuna,

così dunque perir dovea Cresfonte!

EGISTO

Ma com'esser può mai che tanto importi

d'un vil ladron la morte?

MEROPE

Audacia estrema!

Tu vile, tu ladron, tu scelerato!

EGISTO

Eterni dèi, ch'io venerai mai sempre,

soccorretemi or voi; voi riguardate

con occhi di pietà la mia innocenza.

MEROPE

Dimmi: pria di spirar, quell'infelice

che disse? Non ti fe' preghiera alcuna?

Quai nomi proferì? Non chiamò mai

Merope?

EGISTO

o non udii da lui parola.

Ma il re pur anco di costui chiedea:

che mai s'asconde qui?

EURISO

Donna, tu perdi

il tempo e la vendetta; in questo loco

di leggèr può arrivar chi ti frastorni.

MEROPE

Mora dunque il crudele.

EGISTO

O cara madre,

se in questo punto mi vedessi!

MEROPE

Hai madre?

EGISTO

Che gran dolor fia 'l tuo!

MEROPE

Barbaro, madre

fui ben anch'io e sol per tua cagione

or nol son più; quest'è ciò che ti perde.

Morrai, fiero ladrone.

EGISTO

Ah padre mio,

tu mel dicesti un dì ch'io mi guardassi

dal por già mai nella Messenia il piede.

MEROPE

Nella Messenia? E perché mai?

EGISTO

Bisogna

credere ai vecchi.

MEROPE

Un vecchio è il padre tuo?

dal capo ai pie m'è corso un gelo, Euriso,

che instupidita m'ha. Dimmi, garzone:

[le cade l'asta di mano]

che nome ha...

ISMENE

Ecco servi, ecco il tiranno.

MEROPE

O stelle avverse! Fuggi, Euriso, fuggi

tu ancora Ismene, io nulla curo.

SCENA QUINTA

POLIFONTE, MEROPE edEGISTO.

EGISTO

Accorri

o re, mira qual trattansi in tua corte

color che assolvi tu; qui strettamente

legato m'hanno a trucidarmi accinti

per quella colpa che non è più colpa,

poiché l'approvi tu che regni e grazia

poiché appo te seppe acquistare e lode.

MEROPE

Egli l'approva e loda? E mostrò prima

d'infuriarne tanto. Ah fui delusa!

POLIFONTE

Colui si sciolga.

EGISTO

O giusto re, la vita

dolce mi fia spender per te ad ogn'ora;

sì gran periglio a' giorni miei non corsi.

Ma se vivo mi vuoi, tuo regio manto

dal furor di costei mi faccia schermo.

POLIFONTE

Vanne e nulla temer; mortal delitto

d'or innanzi sarà recarti offesa.

Premio attendi e non pena, hai fatto un colpo

che fra gli eroi t'inalza, e 'l tuo misfatto

le imprese altrui più celebrate avanza.

MEROPE

Che dubitar? Misera, ed io da un nulla

trattener mi lasciai.

EGISTO

Or de l'avversa

sorte ringrazio i colpi, se il mio petto

io sol per essi assicurar dovea

de la grazia real col forte usbergo.

SCENA SESTA

POLIFONTE e MEROPE.

POLIFONTE

Merope, omai troppo t'arroghi. Adunque,

s'a me l'avviso non correa veloce,

cader vedeasi trucidato a terra

chi fu per me fatto sicuro? Adunque

veder doveasi in questa reggia avvinto

per altrui man chi per la mia fu sciolto?

Quel nome, ch'io di sposa mia ti diedi,

troppo ti dà baldanza e troppo a torto

in mia offesa sì tosto armi i miei doni.

MEROPE

A te che regni e che prestar pur déi

sempre ad Astrea vendicatrice il braccio,

spiacer già non dovria che d'ira armata

sovra un empio ladron scenda la pena.

POLIFONTE

Quanto instabil tu sei! Non se' tu quella

che poco fa salvo lo volle? Or come

in un momento se' cangiata? Forse

sol d'impugnare il mio piacer t'aggrada?

Se vedi ch'io 'l condanni, e tu l'assolvi;

se vedi ch'io l'assolva, e tu 'l condanni.

MEROPE

Io non sapeva allor quant'egli è reo.

POLIFONTE

Ed io seppi ora sol quant'è innocente.

MEROPE

Pria mi donasti la sua vita, adesso

donami la sua morte.

POLIFONTE

Iniquo fôra

grazia annullar a Merope concessa.

Ma perché in ciò t'affanni sì? Qual parte

vi prendi tu? Di vendicar quel sangue

che mai s'aspetta a te? Del tuo Cresfonte

esso al certo non fu, ch'ei già bambino

morì nelle tue braccia e de la fuga

al disagio non resse.

MEROPE

Ah! scelerato,

tu mi dileggi ancora. Or più non fingi,

ti scopri al fin; forse il piacer tu speri

di vedermi ora qui morir di duolo.

Ma non l'avrai; vinto è il dolor da l'ira;

sì che vivrò per vendicarmi. Omai

nulla ho più da temer, correr le vie

saprò, le vesti lacerando e 'l crine,

e co' gridi e col pianto il popol tutto

infiammare a furor, spingere all'armi.

Chi vi sarà che non mi segua? A l'empia

tua magion mi vedrai con mille faci;

arderò, spianterò le mura, i tetti,

svenerò i tuoi più cari, entro il tuo sangue

sazierò il mio furor. Quanto contenta,

quanto lieta sarò nel rimirarti

sbranato e sparso! Ahi che dich'io! che penso!

Io sarò allor contenta? io sarò lieta?

Misera, tutto questo il figlio mio

riviver non farà. Tutto ciò allora

far si dovea che per cui farlo v'era.

Or che più giova? Oimé, chi provò mai

sì fatte angosce? Io 'l mio consorte amato,

io due teneri figli a viva forza

strappar mi vidi e trucidare. Un solo

rimaso m'era appena; io per camparlo

mel divelsi dal sen mandandol lungi,

lassa! e 'l piacer non ebbi di vederlo

andar crescendo e i fanciulleschi giuochi

di rimirarne. Vissi ognora in pianto,

sempre avendolo innanzi in quel vezzoso

sembiante ch'egli avea, quando al mio servo

il porsi. Quante lagrimate notti!

quanti amari sospir! quanto disìo!

Pur cresciuto era al fine e già si ordiva

di porlo in trono e già pareami ognora

dirgli insegnando qual regnar solea

il suo buon genitor; ma nel mio core,

misera, io destinata infin gli avea

la sposa, ed ecco un improviso colpo

di sanguinosa inesorabil morte

me l'invola per sempre e senza ch'io

pur una volta il vegga e senza almeno

poterne aver le ceneri, trafitto,

lacerato, insepolto ai pesci in preda,

qual vil bifolco da torrente oppresso...

POLIFONTE

Non cetre o lire mi fûr mai sì grate

[in disparte]

quant'ora il flebil suon di questi lai,

che del spento rival fan certa fede.

MEROPE

Ma perché dunque, o dèi, salvarlo allora?

Perché finora conservarlo? Ahi lassa,

perché tanto nodrir la mia speranza?

Ché non farlo perir ne' dì fatali

della nostra ruina, allora quando

il dolor della sua misto al dolore

di tante morti si sarìa confuso?

Ma voi studiate crudeltà; pur ora

sul traditor stetti con l'asta e voi

mi confondeste i sensi, ond'io rimasi

quasi fanciulla; mi si niega ancora

l'infelice piacer d'una vendetta.

Cieli, che mai fec'io? Ma tu che tutto

mi togliesti, la vita ancor mi lasci?

Perché se godi sì del sangue, il mio

ricusi ancor? Per mio tormento adunque

vedremti infino diventar pietoso?

Tal già non fosti col mio figlio. O stelle,

se del soglio temevi, in monti e in selve

a menar tra pastori oscuri giorni

chi ti vietava condannarlo? Io paga

abastanza sarei, sol ch'ei vivesse.

Che m'importava del regnar? Crudele,

tienti il tuo regno e 'l figlio mio mi rendi.

POLIFONTE

Il pianto femminil non ha misura.

Cessa, Merope, omai; le nostre nozze

ristoreran la perdita e in brev'ora

tutti i tuoi mali copriran d'oblio.

MEROPE

Nel sempiterno oblio saprò ben tosto

portargli io stessa; ma una grazia sola

donami, o Giove: fa ch'io non vi giunga

ombra affatto derisa e invendicata.

ATTO QUARTO

SCENA PRIMA

ADRASTO e ISMENE.

ADRASTO

In somma tutto si restringe in questo

che, se diman non cangerà pensiero,

e se pronta a seguir la regia voglia

non mostrerassi, tutti i suoi più cari,

tutti gli antichi amici, a me ben noti,

saranle a forza strascinati innanzi

e ad uno ad uno sotto gli occhi suoi

saran svenati. Quest'è ciò che imposto

ha il re ch'io a te e che tu poscia a lei

senz'altro rechi.

ISMENE

O ferità inaudita!

non più intesi di barbarie esempi!

ADRASTO

Non si dolga del mal chi 'l ben ricusa.

ISMENE

Ahi questo è un ben che tutti i mali avanza.

ADRASTO

il vano immaginar fa inganno ai sensi

e d'ogn'altro gioir sa far dolore.

ISMENE

Gioir ti sembra il soffrir nozze in tempo

che tutto ciò che vede e ciò che ascolta

non le desta nel seno altro che pianto?

ADRASTO

Di lei così han disposto il cielo e 'l fato.

ISMENE

Il ciel l'ha abbandonata e 'l fato oppressa.

EGISTO

Quanto passò, taccia una volta e oblii.

ISMENE

Può ben tacere, ma obliar non puote;

ché 'l silenzio è in sua man, ma non l'oblio.

ADRASTO

Di sé si dolga chi al peggior s'appiglia.

ISMENE

Nulla è peggio per lei del re crudele.

ADRASTO

Crudel chi le offre onor, gioia e diletto?

ISMENE

Diletto amaro a chi col cor ripugna.

ADRASTO

Perché ripugna a ciò ch'ogn'altra brama?

ISMENE

Ella brama più tosto e strazio e morte.

EGISTO

Sì, se non fosse morte altro che un nome.

ISMENE

La virtù di costei tu non conosci.

ADRASTO

Dunque se di virtù cotanto abbonda,

facciasi una virtù conforme al tempo.

Già per disporsi ella non ha che questa

omai distesa notte; se tu l'ami,

qual mostri, fa che il suo miglior discerna

e che i suoi fidi non esponga a morte.

Pazzo è 'l nocchier che non seconda il vento.

SCENA SECONDA

ISMENE, poiEGISTO.

ISMENE

Deh qual fine avrà mai l'amaro giuoco,

che di quell'infelice la fortuna

si va prendendo? Di veder già parmi

che siam giunti a quel punto ov'ella omai

contro sé stessa sue minacce adempia,

funestandoci or or col proprio sangue

e gli occhi e 'l core. O lagrimevol sorte!

EGISTO

Deh, se t'arrida il ciel, leggiadra figlia,

dimmi, ti priego: chiude ancor sì atroce

Merope contra me nel cor lo sdegno?

Lungo esser suole in regio cor lo sdegno,

ed io ne temo sì ch'ogni momento

mi par d'averla con quell'asta al fianco

e quest'ora notturna, in cui riposo

penso che prenda, m'assicura appena.

ISMENE

Sgombra il timor, vano timor che troppo

fa torto a lui che regna e a te fa scudo.

EGISTO

Ciò mi rincora, sì; ma per mia pace

impetrami da lei, figlia cortese,

di qual error non so, ma pur perdono.

ISMENE

Uopo di ciò non hai, perché il furore,

contra di te dentro il suo cor già acceso,

per sé si dileguò.

EGISTO

Grazie agli dèi.

Ma di tanto furor, di tanto affanno

qual ebbe mai cagion? Dai tronchi accenti

io raccoglier non seppi il suo sospetto.

Certo ingumbrolla error e per un vile

ladron selvaggio in van si cruccia.

ISMENE

Il tutto

scoprirti io non ricuso, ma egli è d'uopo

che qui t'arresti per brev'ora: urgente

cura or mi chiama altrove.

EGISTO

Io volentieri

t'attendo quanto vuoi.

ISMENE

Ma non partire

e non far poi ch'io qua ritorni indarno.

EGISTO

Mia fé do in pegno, e dove gir dovrei?

Per consumar la notte e alcun ristoro

per dar col sonno al travagliato fianco

e agli afflitti pensier io miglior loco

di quest'atrio non ho; dove adagiarmi

cercherò in alcun modo e dove almeno

dai freddo della luna umido raggio

sarò difeso.

ISMENE

Io dunque a te fra poco

farò ritorno.

SCENA TERZA

EGISTO

O di perigli piene,

o di cure e d'affanni ingombre e cinte

case dei re! Mio pastoral ricetto,

mio paterno tugurio, e dove sei?

Che viver dolce in solitaria parte,

godendo in pace il puro aperto cielo,

e della terra le natie ricchezze!

Che dolci sonni al sussurrar del vento,

e qual piacer sorger col giorno e tutte

con lieta caccia affaticar le selve,

poi ritornando nel partir del sole,

ai genitor che ti si fanno incontra,

mostrar la preda e raccontare i casi

e descrivere i colpi! Ivi non sdegno,

non timor, non invidia; ivi non giunge

d'affannosi pensier tormento o brama

di dominio e d'onor. Folle consiglio

fu ben il mio, ché tanto ben lasciai

per gir vagando. O pastoral ricetto,

O paterno tugurio, e dove sei?

Ma in questo acerbo dì fu tanta e tale

la fatica del piè, del cor l'affanno,

che da stanchezza estrema omai son vinto.

Ben opportuni son, se ben di marmo,

questi sedili. O quanto or caro il mio

letticiuol mi sarìa! Che lungo sonno

vi prenderei! Quanto è soave il sonno!

SCENA QUARTA

EURISO e POLIDORO.

EURISO

Eccoti, o peregrin, qual tu chiedesti,

nel palagio real; per queste porte

alle stanze si passa, ove chi regge

suol far dimora; penetrar più oltre

a te non lice. Ma perché dagli occhi

cader ti veggo in su le guance il pianto?

POLIDORO

O figlio, se sapessi quante dolci

memorie in seno risvegliar mi sento!

Io vidi un tempo, io vidi questa corte

e riconosco il loco: anche in quel tempo

così soleasi illuminar la notte.

Ma allor non era io già qual or mi vedi:

fioria la guancia e per vigore, o fosse

nel corso o in aspra lotta, al più robusto,

al più legger non la cedea. Ma il tempo

passa e non torna. Or io della benigna

scorta che fatta m'hai, quante più posso

grazie ti rendo.

EURISO

Assai più volentieri

nelle mie case io t'averei condotto,

perché quivi le membra tue, cui rende

l'età più del cammino afflitte e lasse,

ristorar si potessero.

POLIDORO

Io ti priego

di qui lasciarmi. E non vuoi tu ch'io sappia

di chi mi fu così cortese il nome?

EURISO

Euriso di Nicandro.

POLIDORO

Di Nicandro

ch'abitava sul colle e che sì caro

era al buon re Cresfonte?

EURISO

Per l'appunto.

POLIDORO

Viv'egli ancora?

EURISO

Ei chiuse il giorno estremo.

POLIDORO

O quanto me ne duole! Egli era umano

e liberal; quando appariva, tutti

faceangli onor. Io mi ricordo ancora

di quando ei festeggiò con bella pompa

le sue nozze con Silvia ch'era figlia

d'Olimpia e di Glicon, fratel d'Ipparco.

Tu dunque sei quel fanciullin che in corte

Silvia condur solea quasi per pompa;

parmi l'altr'ieri. O quanto siete presti,

quanto mai v'affrettate, o giovinetti,

a farvi adulti ed a gridar tacendo

che noi diam loco!

EURISO

La contezza, amico,

che tu mostri de' miei, maggior desio

risveglia in me d'esserti grato. Io dunque

ti priego ancor che tu d'ogni mia cosa

per mio piacere a tuo piacer ti vaglia.

POLIDORO

Altro per or da te non bramo, Euriso,

se non che tu mi lasci occulto e nullo

con chi che sia di me ragioni.

EURISO

In questo

agevol cosa è il compiacerti. Addio.

SCENA QUINTA

POLIDORO e EGISTO.

POLIDORO

Ben mia ventura fu l'essermi in questo

uom cortese avvenuto, il qual disdetto

non m'ha di qua condurmi anche in tal ora;

poiché da quel ch'esser solea mi sembra

questa città cangiata sì che quasi

io non mi rinveniva. Ottimo ancora

consiglio fu, cred'io, l'entrar notturno

e inosservato; ché in men nobil parte

pria celerommi e benché a pochi noto

ed a niun forse sospetto, pure

più cauto fia nelle regali stanze

entrar poi di nascosto. Or qui ben posso

prender fra tanto alcun riposo.

I' veggio

un servo là che dorme. Quella veste

strano risalto m'ha destato al core;

desio mi viene di vedergli il volto

ch'ei si cuopre col braccio. Ma udir parmi

gente ch'appressa; questa porta s'apre:

convien ch'io mi nasconda.

SCENA SESTA

ISMENE, poi MEROPE.

ISMENE

Or se ti piace,

qui dunque attendi. A fé ch'io più no 'l veggo!

Ben in vano sperai che tener fede

ei mi dovesse e forse ancor più in vano

mi lusingava che sì sciocco ei fusse

di lasciarsi condur là entro. Or dove

cercar si possa, i' non saprei. Ma taci,

Ismene, eccol sepolto in alto sonno.

Esci, regina, esci senz'altro; ei dorme

profondamente.

MEROPE

Ed in qual parte?

ISMENE

Mira,

vedi, se in miglior guisa e più a tuo senno

il ti poteva presentar fortuna.

MEROPE

È vero, i giusti dèi l'han tratto al varco.

Ombra cara, infelice e fino ad ora

invendicata del mio figlio ucciso,

quest'olocausto accetta e questo sangue

prendi che per placarti a terra io spargo.

SCENA SETTIMA

POLIDORO e detti.

POLIDORO

Ferma, reina; oimé ferma, ti dico.

MEROPE

Qual temerario!

EGISTO

O dèi, o dèi, soccorso!

Pur ancor questa furia!

MEROPE

Sì, sì, fuggi.

POLIDORO

T'arresta oimé, t'accheta.

MEROPE

Fuggi pure per questa volta ancor; da queste mani non sempre fuggirai, non se credessi di trucidarti a Polifonte in braccio.

POLIDORO

O dèi, ché non m'ascolti?

MEROPE

Ma tu, pazzo, tu pagherai... la tua canizie il colpo m'arresta. E qual delirio? e quale ardire?

POLIDORO

Dunque più non conosci Polidoro?

MEROPE

Che?

POLIDORO

Sì, t'accheta, ecco il tuo servo antico; quegli son io, e quei che uccider vuoi

quegli è Cresfonte, è 'l figlio tuo.

MEROPE

Che? vive?

POLIDORO

Se vive! Nol vedesti? Non vivrebbe

già più, s'io qui non era.

MEROPE

Oimé!

POLIDORO

Sostienla,

sostienla, o figlia; l'allegrezza estrema

e l'improviso cangiamento al core

gli spirti invola: tosto usa, se l'hai,

alcun sugo vitale; or ben t'adopri.

Quanto ringrazio i dèi che a sì grand'uopo

trassermi e fêr ch'io differir non volli

pur un momento a entrar qua dentro. O quale,

s'io qui non era, empio inaudito atroce

spettacolo!

ISMENE

Son io tanto confusa

fra l'allegrezza e lo stupor, che quasi

non so quel ch'io mi faccia. O mia reina,

torna, fa core; ora è di viver tempo.

POLIDORO

Vedi che già si muove, or si riscuote.

MEROPE

Dove, dove son io? sogno? vaneggio?

ISMENE

Né sogni, né vaneggi. Eccoti innanzi

il fedel Polidor, che t'assicura

del figlio tuo, non vivo sol, ma sano,

leggiadro, forte e, posso dir, presente.

MEROPE

Mi deludete voi? Se' veramente

tu Polidoro?

POLIDORO

Guarda pur, rimira;

possibile che ancor non mi ravvisi,

se ben di queste faci al dubbio lume?

A te venuto er'io, perché in più parti

a cercar di Cresfonte e perché insieme...

MEROPE

Sì che se' desso; sì ch'io ti ravviso,

benché invecchiato di molto.

POLIDORO

Ma il tempo

non perdona.

MEROPE

E m'accerti ch'è mio figlio

quel giovinetto? E non t'inganni?

POLIDORO

Come

ingannarmi? Pur or là addietro stando,

del suo sembiante che da quella parte

tutto io scopria, saziati ho gli occhi. Or quale

impeto sfortunato e qual destino

t'accecava la mente?

MEROPE

O caro servo,

empia faceami la pietà, del figlio

il figlio stesso io l'uccisor credea.

S'accoppiâr cento cose ad ingannarmi,

e l'anel, ch'io ti diedi, ad un garzone

da lui trafitto altri asserì per certo

ch'ei rapito l'avesse.

POLIDORO

Ei da me l'ebbe,

benché con ordin d'occultarlo.

MEROPE

O stelle,

e sarà ver che il sospirato tanto,

che il sì bramato mio Cresfonte al fine

sia in Messene? E ch'io sia la più felice

donna del mondo?

POLIDORO

Tu di tenerezza

fai lagrimar me ancora. O sacri nodi

del sangue e di natura! Quanto forti

voi siete e quanto il nostro core è frale!

MEROPE

O cielo, ed io strinsi due volte il ferro

ed il colpo librai! Viscere mie!

Due volte, Polidor, son oggi stata

in questo rischio. Nel pensarlo tutta

mi raccapriccio e mi si strugge il core.

ISMENE

Con così strani avvenimenti uom forse

non vide mai favoleggiar le scene.

MEROPE

Lode ai pietosi, eterni dèi che tanta

atrocità non consentiro, e lode,

Cintia triforme, a te che tutto or miri,

dal bel carro spargendo argenteo lume.

Ma dov'è 'l figlio mio? Da questa parte

fuggendo corse; ov'e' si sia, trovarlo

saprò ben io. Mia cara Ismene, i' credo

che morrò di dolcezza in abbracciarlo,

in stringerlo, in baciarlo.

POLIDORO

Ove ten corri?

MEROPE

Perché m'arresti?

POLIDORO

Sta.

MEROPE

Lascia.

POLIDORO

Vaneggi.

Non ti sovvieni tu ch'entro la reggia

di Polifonte or sei? Che sei fra mezzo

a' suoi custodi ed a' suoi servi? Un solo

che col garzon ti veggia in tenerezza,

dimmi, non siam perduti? In maggior rischio

ei non fu mai, né ci fu mai mestieri

di più cautela. Dominar conviene

i propri affetti; e chi non sa por freno

a quei desir che quasi venti ognora

van dibattendo il nostro cor, non speri

d'incontrar finché vive altro che pianto.

Non sol dall'abracciarlo, ma guardarti

con gran cura tu déi dal sol vederlo;

perché il materno amor, l'argin rompendo,

non tradisca il segreto ed in un punto

di tant'anni il lavor non getti a terra.

Ma perch'ei sappia contenersi, io tosto

l'esser suo scoprirogli e d'ogni cosa

farollo instrutto. Co' tuoi fidi poi

terrem consiglio e con maturo ingegno

si studierà di far scoccare il colpo.

Tutto s'ottien, quando prudenza è guida.

Per altro assai sovente i gravi affari,

con gran sudor per lunga età condotti,

veggiam precipitar sul fine, e sai

non si lodan le imprese che dal fine;

e se ben molto e molto avesse fatto,

nulla ha mai fatto chi non compie l'opra.

MEROPE

O fido servo mio, tu se' pur sempre

quel saggio Polidor.

POLIDORO

on tutti i mali

vecchiezza ha seco, ché restando in calma

dalle procelle degli affetti il core,

se gli occhi foschi son, chiara è la mente,

e se vacilla il piè, fermo è 'l consiglio.

MEROPE

Or dimmi: il mio Cresfonte è vigoroso?

POLIDORO

Quanto altri mai.

MEROPE

Ha egli cor?

POLIDORO

Se ha core!

Miser colui che farne prova ardisse.

Era suo scherzo travagliar le selve

e 'l guerreggiar le più superbe fere;

in cento incontri e cento io mai non vidi

orma in lui di timor.

MEROPE

Ma sarà forse

indocile e feroce.

POLIDORO

Nulla meno.

Vêr noi, ch'egli credea suoi genitori,

più mansueto non si vide. O quante

e quante volte in ubbidir sì pronto

scorgendolo e sì umil, meco pensando

ch'egli era pure il mio signor, il pianto

mi venìa fino a gli occhi e m'era forza

appartarmi ben tosto ed in segreto

sfogare a pieno il cor, lasciando aperto

a le lagrime il corso.

MEROPE

O me beata!

Non cape entro il mio core il mio contento.

E ben di tutto ciò veduto ho segni;

ché sì umil favellar, sì dolci modi

meco egli usò che nulla più; ma quando

altri afferrar lo volle, oh se veduto

l'avessi! Ei si rivolse qual leone

e se ben cesse al mio comando, ei cesse

quasi mastin, cui minacciando è sopra

con dura verga il suo signor, che i denti

mostra e raffrena e in ubbidir feroce

s'abbassa e ringhia e in un s'umilia e freme.

O destino cortese, io ti perdono

quanti mai fûr tutti i miei guai; sol forse

perdonar non ti so ch'or io non possa

stringerlo a mio piacer, mirarlo, udirlo.

Ma quale, o mio fedel, qual potrò io

darti già mai mercé che i merti agguagli?

POLIDORO

Il mio stesso servir fu premio, ed ora

m'è il vederti contenta ampia mercede;

che vuoi tu darmi? Io nulla bramo; caro

mi sarìa ciò ch'altri dar non puote;

che scemato mi fosse il grave incarco

degli anni che mi sta sul capo e a terra

il curva e preme sì che parmi un monte.

Tutto l'oro del mondo e tutti i regni

darei per giovinezza.

MEROPE

Giovinezza

per certo è un sommo ben.

POLIDORO

Ma questo bene

chi l'ha no 'l tien, che, mentre l'ha, lo perde.

MEROPE

Or vien, ché sarai lasso e di riposo

sommo bisogno avrai.

POLIDORO

M'è intervenuto

qual suole al cacciator che al fin del giorno

si regge appena e appena oltre si spinge;

ma se a sorte sbucar vede una fera,

donde meno il credeva, agile e pronto

lo scorgi ancòra e de' suoi lunghi errori

non sente i danni e la stanchezza oblia.

Pur t'ubbidisco e seguo. Questa scure

qui lasciar non si vuol.

MEROPE

Benché in balia

del suo fatal nimico or sia Cresfonte,

attristarmi non so, temer non posso,

ché preservato non l'avrebbe in tanti

e sì strani perigli il sommo Giove,

se custodir poi nol volesse ancora

in avvenir.

POLIDORO

Facciam, facciam noi pure

quanto per noi si dee, ché l'avvenire

caligin densa e impenetrabil notte

sempre circonda e l'hanno in mano i dèi.

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

POLIDOROe EGISTO.

EGISTO

Padre, non più, non più; ché se creduto

avessi io mai di tal recarti affanno,

morto sarei prima che por già mai

fuor de la soglia il piè. Fra pochi giorni

io ritornar pensai; ma strani tanto,

come pur ora i' ti narrava, e tanto

acerbi casi sono in che m'avvenni,

ch'ebbi a bastanza nell'error la pena.

POLIDORO

Ma così va chi a senno suo si regge.

EGISTO

Tu mai più declinar da' tuoi voleri

non mi vedrai; e poiché fatto ha 'l cielo

che qui mi trovi, io ti prometto ogn'arte

ben tosto usar, perché mi sia concesso

partirmi e tornar teco al suol natio.

POLIDORO

S'ami il tuo suol natio, partir non déi.

EGISTO

Vuoi che lasci in dolor la madre antica?

POLIDORO

La madre tua qui ti desia.

EGISTO

Qui? forse

perch'ora ho il padre appresso?

POLIDORO

Anzi la madre

hai presso e il padre troppo lungi.

EGISTO

Come?

Che di' tu mai? Qui tra le fauci a morte

sempre sarò; vuol Merope il mio sangue.

POLIDORO

Anzi ella il sangue suo per te darebbe.

EGISTO

Se già due volte trucidar mi volle!

POLIDORO

Odio pareva, ed era estremo amore.

EGISTO

Me n'accorgeva io ben, se il re non era.

POLIDORO

Ma non t'accorgi ancor ch'ei vuolti estinto.

EGISTO

Se dall'altrui furore ei mi difese!

POLIDORO

Amor pareva, ed odio era mortale.

EGISTO

Padre, che parli? Quai viluppi e quali

nuovi enigmi son questi?

POLIDORO

O figlio mio,

o non più figlio, è giunto il tempo omai

che l'enigma si scioglia, il ver si sveli;

già t'ha condotto il fato ove non puoi

senza tuo rischio ignorar più te stesso.

Perciò nel primo biancheggiar del giorno

a ricercarti io venni; alto segreto

scoprir ti deggio alfin.

EGISTO

Tu mi sospendi

l'animo, sì che il cor mi balza in petto.

POLIDORO

Sappi che tu non se' chi credi; sappi

ch'io tuo padre non son, tuo servo i' sono;

né tu d'un servo, ma di re sei figlio.

EGISTO

Padre, mi beffi tu? scherzi, o ti prendi

gioco?

POLIDORO

Non scherzo no, ché non è questa

materia o tempo da scherzar; richiama

tutti i tuoi spirti e ascolta. Il nome tuo

non Egisto, è Cresfonte. Udisti mai

che Cresfonte, già re di questa terra,

ebbe tre figli?

EGISTO

Udillo, e come uccisi

fur pargoletti.

POLIDORO

Non già tutti uccisi

fur pargoletti, poiché il terzo d'essi

se' tu.

EGISTO

Deh che mai narri!

POLIDORO

Il ver ti narro:

tu di quel re sei figlio; all'empie mani

di Polifonte Merope tua madre

ti sottrasse ed a me suo fido servo

ti diè, perch'io là ti nodrissi occulto

e a la vendetta ti serbassi e al regno.

EGISTO

Son fuor di me per meraviglia e in forse

mi sto s'io creda o no.

POLIDORO

Creder mi déi,

ché quanto dico, il giuro, e quella gemma

— gemma regal — Merope a me già diede;

e spento or ti volea, perch'altri a torto

le asserì che rapita altrui l'avevi,

e l'omicida in te di te cercava.

EGISTO

Ora intendo, o gran Giove. Ed è pur vero

che mi trasformo in un momento e ch'io

più non son io? D'un re son figlio? È dunque

mio questo regno, io son l'erede.

POLIDORO

È vero,

s'aspetta il regno a te, se' tu l'erede.

Ma quanto e quanto...

EGISTO

In queste vene adunque

scorre il sangue d'Alcide. O come io sento

farmi di me maggior! Ah! se tu questo,

se questo sol tu mi scoprivi, io gli anni

già non lasciavo in ozio vil sommersi;

grideria forse già fama il mio nome;

e ravvisando omai l'erculee prove,

forse i messeni avrianmi accolto e infranto

avriano già del rio tiranno il giogo.

I' mi sentia ben io dentro il mio petto

un non so qual non ben inteso ardore,

che spronava i pensier, né sapea dove.

POLIDORO

E perciò appunto a te celar te stesso

doveasi; il tuo valor scopriati, e all'armi

di Polifonte e t'esponea all'inique

sue varie frodi.

EGISTO

In questo suolo adunque

fu di mio padre il sangue sparso? In questo

gl'innocenti fratelli... E quel ribaldo

pur anco regna? e va superbo ancora

del non suo scettro? Ah! fia per poco; io corro

a procacciarmi un ferro; immerger tutto

gliel vo' nel petto, qui fra mezzo a tutti

i suoi custodi; io vo' che ciò senz'altro

segua; del resto avranne cura il cielo.

POLIDORO

Ferma.

EGISTO

Che vuoi?

POLIDORO

Dove ne vai?

EGISTO

Mi lascia.

POLIDORO

O cieca gioventù! Dove ti guida

sconsigliato furor?

EGISTO

Perché t'affanni?

POLIDORO

La morte...

EGISTO

Altrui la porto.

POLIDORO

A te l'affretti.

EGISTO

Lasciami al fin.

POLIDORO

Deh, figlio mio — ché figlio

sempre ti chiamerò — vedimi a terra:

per questo bianco crin, per queste braccia

con cui ti strinsi tante volte al petto,

se nulla appresso te l'amor, se nulla

pònno impetrar le lagrime, raffrena

cotesto insano ardir; pietà ti muova

de la madre, del regno e di te stesso.

EGISTO

Padre, ché padre ben mi fosti, sorgi;

sorgi, ti prego, e taci; io vo' che sempre

tal mi veggia vêr te, qual mi vedesti.

Ma non vuoi tu ch'omai m'armi a vendetta?

POLIDORO

Sì, voglio; a questo fin tutto sinora

s'è fatto; ma le grandi ed ardue imprese

non precipizio, non furor, le guida

solo a buon fin saper, senno, consiglio,

dissimulare, antiveder, soffrire.

I giovani non sanno; io mostrerotti

come t'abbi a condur; ma creder déi,

ché mi credea tuo padre ancora, e i saggi

suoi consiglier non disprezzaron mai

il mio parere. E pur quali uomin fûro!

Non ci son più di quelle menti.

EGISTO

E credi

tu che se questo popolo scorgesse

l'odiato usurpator morder la terra,

e che s'io mi scoprissi, entro ogni core

non pugnasse per me l'antica fede?

POLIDORO

Qual fede? O figlio, or non son più que' tempi.

A tempo mio ben si vedea, ma ora

troppo intristito è 'l mondo e troppo iniqui

gli uomin son fatti. Io mi ricordo e voglio

narrarlo: erasi...

EGISTO

Taci, esce il tiranno.

POLIDORO

Fuggiam, ci occulteremo dietro quelle

colonne.

SCENA SECONDA

POLIFONTE e ADRASTO.

POLIFONTE

Tu m'affretti assai per tempo,

ben sollecito sei.

ADRASTO

Già tutto è in punto.

Coronati di fior, le corna aurati

stannosi i tori al tempio; arabi fumi

di peregrino odor, di lieto suono

musici bossi empiono l'aria; immensa

turba è raccolta e già festeggia e applaude.

POLIFONTE

Or Merope si chiami. Io di condurla

a te lascio il pensier. Precorrer voglio

ed ostentarmi al volgo, esso schernendo

che non ha mente, ed i suoi sordi dèi,

che non ebbero mai mente né senso.

Qual uom, qual dio tôrmi di man lo scettro

potrebbe or più, poiché son ombra e polve

tutti color che già potean sul regno

vantar diritto? Il mio valore, Adrasto,

il senno mio fûro i miei dèi. Con questi

di privato destin scossi l'oltraggio,

e fra l'armi e fra 'l sangue e fra i perigli

a un soglio alfin m'apersi via; con questi

io fermo ci terrò per sempre il piede.

Fremano pur invan la terra e 'l cielo.

Parmi Merope udir; di lei tu prendi

cura, e s'ancor contrasta, un ferro in seno

vibrale al fine; e se con me non vuole,

a far sue nozze con Pluton sen vada.

SCENA TERZA

MEROPE, ISMENE e ADRASTO.

MEROPE

O qual supplizio, Ismene, o qual tormento!

ISMENE

Fa core al fin.

MEROPE

Mai non mi diero i dèi

senza un ugual disastro una ventura.

ISMENE

Vinci te stessa e ai lieti dì ti serba.

MEROPE

Cresfonte mio, per te soffrir m'è forza.

ADRASTO

Reina, io pur t'attendo: or che più badi?

MEROPE

Di malvagio signor servo peggiore.

ADRASTO

Ad opra così lieta in mesto ammanto?

MEROPE

Del sommo interno affanno esso fa fede.

ADRASTO

Offende quest'affanno il tuo consorte.

MEROPE

Che dì'tu? Non per anco è mio consorte.

ADRASTO

O questo, o de' tuoi cari un fiero scempio.

MEROPE

Pensamento maligno, empio, infernale!

ISMENE

(in disparte)

Cedi, cedi al destin; non far che guasto

resti il gran colpo già a scoccar vicino.

MEROPE

Questo è il solo pensier che pur mi frena

dal trapassarmi il sen; questa è la speme

per cui ceder vorrei, per cui mi sforzo

far violenza al mio cor. Ma oimé rifugge

l'animo e si disdegna e inorridisce.

ADRASTO

Se di strage novella or or non vuoi

carco vedere il suol, tronca ogn'indugio;

condur per me si dee la sposa al tempio.

MEROPE

Di' più tosto la vittima.

ADRASTO

E che? Forse

nuovo parrà, qualora pur si veggia

regal donna esser vittima di stato?

MEROPE

Ma si vada: sul fatto i dèi fors'anco

nuovo nel cor m'accenderan consiglio.

Andianne, Ismene, omai.

SCENA QUARTA

EGISTO e POLIDORO.

EGISTO

Quella è mia madre,

ch'or strascinata è là?

POLIDORO

Ben duro passo

è quello a cui l'astringe il fier tiranno.

Ma che s'ha a far? Forse da questo male

alcun ben n'uscirà: la sofferenza

e l'adattarsi al tempo non di rado

han cangiato in antidoto il veleno.

EGISTO

Io men vo' gire al tempio e la solenne

pompa veder.

POLIDORO

Vanne; curiosa brama

punge i cor giovinetti: vanne, figlio,

ch'io seguir non ti posso; a quella calca

reggere i' non potrei. Se tal mi fossi

qual era allor che i lunghi interi giorni

seguiva in caccia il padre tuo, ben franco

accompagnare i' ti vorrei; ma ora,

se il desio mi sospinge, il piè vien manco.

Vanne, ma avverti ognor che di tua madre

l'occhio sopra di te cader non possa.

EGISTO

Vano è che tu di ciò pensier ti prenda.

SCENA QUINTA

POLIDORO e poi EURISO.

POLIDORO

Ben ebbe avverse al nascer suo le stelle

quella misera donna. O quanto egli erra

chiunque da l'altezza de lo stato

felicità misura! E quanto insano

è 'l vulgo che si crede ne' superbi

palagi albergo aver sempre allegrezza!

Chi presso a' grandi vive a pien conosce

che, quant'è più sublime la fortuna,

tanto i disastri son più gravi, e tanto

più atroci i casi, più le cure acerbe.

EURISO

Ospite, ancor se' qui? Molto m'è caro

di rivederti; ma tu fermo hai 'l piede

in reggia scelerata, in suol crudele.

POLIDORO

Amico, il mondo tutto è pien di guai;

terra è facil cangiar, ma non ventura.

Piacque così agli dèi. Miser chi crede

— e pur chi non lo crede? — i giorni suoi

menar lieti e tranquilli. È questa vita

tutta un inganno, e trapassar si suole

sperando il bene e sostenendo il male.

EURISO

Ma perché tu, che forastier qui sei,

non vai nel tempio a rimirar la pompa

del ricco sagrificio?

POLIDORO

Oh! curioso

punto i' non son; passò stagione, assai

veduti ho sagrifici. Io mi ricordo

di quello ancora, quando il re Cresfonte

incominciò a regnar. Quella fu pompa!

Ora più non si fanno a questi tempi

di cotai sagrifici. Più di cento

fûr le bestie svenate; i sacerdoti

risplendean tutti, e dove ti volgessi,

altro non si vedea che argento ed oro.

Ma ben parmi che a te caler dovrebbe

l'imeneo de' tuoi re.

EURISO

Deh, se sapessi

in che dee terminar tanto apparato

di gioia! Io non ho cor per ritrovarmi

presente a sì funesto, orribil caso.

POLIDORO

Qual caso avvenir può?

EURISO

S'hai già contezza

di questa casa, tu ignorar non puoi

quanto a Merope amare e quanto infauste

sien queste nozze. Or sappi ch'ella in core

già si fermò, dove a sì duro passo

costretta fosse, in mezzo al tempio, a vista

del popol tutto, trapassarsi il core.

Così sottrarsi elegge, e si lusinga

che a spettacol sì atroce alfin si scuota

il popol neghittoso e sul tiranno

si scagli e 'l faccia in pezzi. Ella è purtroppo

donna da ciò; senz'altro il fa. Su l'alba

mandò per me con somma fretta; il cielo

fe' ch'io non giunsi a tempo; ella per certo

darmi volea l'ultimo addio. Infelice,

sventurata reina!

POLIDORO

Oh come il core

trafitto or m'hai! ben la vid'io partire

trasfigurata e di pallor mortale

già tinta. O acerbo, o lagrimevol fine

d'una tanta reina!

EURISO

Ma non odi

dal vicin tempio alto romor?

POLIDORO

Ben parmi

d'udire alcuna cosa.

EURISO

Al certo è fatto

il colpo, e se perciò sorse tumulto,

la sorte dei miglior correr vo' anch'io.

SCENA SESTA

POLIDORO, poi ISMENE.

POLIDORO

O me infelice! E che giovaron mai

tanti rischi e sudor! Senza costei

che più far si potrà?

ISMENE

Pietosi numi,

non ci abbandoni in questo dì la vostra

aita.

POLIDORO

Oimé, figlia, ove vai? Deh ascolta.

ISMENE

Vecchio, che fai tu qui? Non sai tu nulla?

Sagrificio inaudito, umano sangue,

vittima regia...

POLIDORO

O destino! In qual punto

mi traesti tu qua!

ISMENE

Che hai? Tu dunque,

tu piangi Polifonte?

POLIDORO

Polifonte?

ISMENE

Sì, Polifonte; entro il suo sangue ei giace.

POLIDORO

Ma chi l'uccise?

ISMENE

Il figlio tuo l'uccise.

POLIDORO

Colà, nel tempio? O smisurato ardire!

ISMENE

Taci ch'ei fece un colpo, onde il suo nome

cinto di gloria ad ogni età sen vada;

gli eroi già vinse e la sua prima impresa

forse le tante del grand'avo oscura.

Era già in punto il sagrificio, e i peli

del capo il sacerdote avea già tronchi

al toro per gittargli entro la fiamma;

stava da un lato il re, dall'altro in atto

di chi a morir sen va Merope: intorno

la varia torba rimirando, immota

e taciturna. Io, ch'era alquanto in alto,

vidi Cresfonte aprir la folla e innanzi

farsi a gran pena, acceso in volto e tutto

da quel di pria diverso; a sboccar venne

poco lungi dall'ara e ritrovossi

dietro appunto al tiranno. Allora stette

alquanto, altero e fosco, e l'occhio bieco

girò d'intorno. Qui il narrar vien manco;

poiché la sacra preparata scure,

che fra patere e vasi aveva innanzi,

l'afferrare a due mani e orribilmente

calarla e all'empio re fenderne il collo

fu un sol momento; e fu in un punto solo

ch'io vidi il ferro lampeggiare in aria

e che il misero a terra stramazzò.

Del sacerdote in su la bianca veste

lo spruzo rosseggiò; più gridi alzârsi,

ma in terra i colpi ei replicava. Adrasto,

ch'era vicin, ben si avventò; ma il fiero

giovane qual cignal si volse e in seno

gli piantò la bipenne. Or chi la madre

pinger potrebbe? Si scagliò qual tigre,

si pose innanzi al figlio ed a chi incontra

veniagli, opponea il petto. Alto gridava

in tronche voci: — È figlio mio, è Cresfonte;

questi è 'l re vostro; — ma il romor, la calca

tutto opprimea: chi vuol fuggir, chi innanzi

vuol farsi; or spinta or risospinta ondeggia,

qual messe al vento, la confusa turba

e lo perché non sa; correr, ritrarsi,

urtare, interrogar, fremer, dolersi,

urli, stridi, terror, fanciulli oppressi,

donne sossopra. Oh fiera scena! Il toro,

lasciato in sua balia, spavento accresce,

e salta e mugge: echeggia d'alto il tempio;

chi s'affanna d'uscir preme e s'ingorga

e per troppo affrettar ritarda. In vano

le guardie là, che custodian le porte,

si sforzaro d'entrar, ché la corrente

le svolse e seco alfin le trasse. Intanto

erasi intorno a noi drappel ridotto

d'antichi amici; sfavillavan gli occhi

dell'ardito Cresfonte, e altero e franco

s'avviò per uscir fra i suoi ristretto.

Io che disgiunta ne rimasi, al fosco

adito angusto che al palagio guida,

mi corsi, e gli occhi rivolgendo vidi

sfigurato e convolto — orribil vista! —

spaccato il capo e 'l fianco, in mar di sangue

Polifonte giacer; prosteso Adrasto

ingombrava la terra, e semivivo

contorcendosi ancor, mi fe' spavento,

gli occhi appannati nel singhiozzo aprendo.

Rovesciata era l'ara e sparsa e infranti

canestri e vasi e tripodi e coltelli.

Ma che bado io più qui? Dar l'armi ai servi,

assicurar le porte e far ripari

tosto si converrà, ch'aspro fra poco

senz'alcun dubbio soffriremo assalto.

SCENA SETTIMA

POLIDORO, poi MEROPE, EGISTO, EURISO

con séguito d'altri.

POLIDORO

Senza del vostro alto, immortal consiglio

già non veggiam sì fatti casi, o dèi.

Voi dal cielo assistete. O membra mie,

perché non sète or voi quai foste un tempo?

Come pronto e feroce or io... Ma ecco...

MEROPE

Sì sì, o messeni, il giuro ancora: è questi,

questi è il mio terzo figlio; io 'l trafugai,

io l'occultai finor; questi è l'erede,

questi del vostro buon Cresfonte è il sangue:

di quel Cresfonte che non ben sapeste

se fosse padre o re; di quel Cresfonte

che sì a lungo piangeste. Or vi sovvenga

quanto ei fu giusto e liberale e mite.

Colui che là dentro il suo sangue è involto

è quel tiranno, è quel ladron, quell'empio

ribelle, usurpator, che a tradimento

del legittimo re, de' figli imbelli

trafisse il sen, sparse le membra; è quegli

ch'ogni dritto violò, che prese a scherno

le leggi e i dèi; che non fu sazio mai

né d'oro, né di sangue, che per vani

sospetti trucidò tanti infelici

ed il cener ne sparse, e fin le mura

arse, spiantò, distrusse. A qual di voi

padre o fratel, figlio, congiunto o amico

non avrà tolto? E dubitate ancora?

Forse non v'accertate ancor che questi

sia il figlio mio? sia di Cresfonte il figlio?

Se alle parole mie non lo credete,

credetelo al mio cor; credete a questo

furor d'affetto, che m'ha invasa e tutta

m'agita e avvampa: eccovi il vecchio, il cielo

mel manda innanzi, il vecchio che nodrillo.

POLIDORO

Io, io...

MEROPE

Ma che? che testimon? che prove?

Questo colpo lo prova: in fresca etate

non s'atterran tiranni in mezzo a un tempio

da chi discende altronde e nelle vene

non ha il sangue d'Alcide. E qual speranza

or più contra di noi nodrir potranno

Elide e Sparta, se dell'armi vostre

sia conduttor sì fatto eroe?

EURISO

Reina,

nasce il nostro tacer sol da profonda

meraviglia che il petto ancor c'ingombra,

e più d'ogni altro a me; ma non pertanto

certa sii pur ch'ognun, che qui tu vedi,

correr vuol teco una medesma sorte.

Sparso è nel popol già che di Cresfonte

è questi il figlio; se l'antico affetto,

o se più in esso stupidezza e oblio

potran, vedremo or or; ma in ogni evento

contra i seguaci del tiranno e l'armi

il nostro re — che nostro re pur sia —

avrà nel nostro petto argine e scudo.

EGISTO

Timor si sgombri; ché se meco amici

voi siete, io d'armi e di furor mi rido.

SCENA ULTIMA

ISMENE e detti.

ISMENE

Che fai, regina? Che più badi?

MEROPE

Oimé,

che porti?

ISMENE

Il gran cortil... non odi i gridi?

Corri e conduci il figlio.

EGISTO

Io, io v'accorro.

Resta, reina.

ISMENE

Il gran cortile è pieno

d'immensa turba, uomini e donne; ognuno

chiede l'eroe che 'l fier tiranno uccise,

veder vorrebbe ognuno il re novello.

Chi rammenta Cresfonte e chi descrive

il giovinetto; altri dimanda ed altri

narra la cosa in cento modi. I «viva»

fendono l'aria; infino i fanciulletti

batton le man per allegrezza; è forza,

credi, egli è forza lagrimar di gioia.

MEROPE

O lodato sia tu che tutto reggi

e che tutto disponi. Andiamo, o caro

figlio, tu sei già re; troppo felice

oggi son io; senza dimora andianne,

finché bolle nei cor sì bel desio.

EGISTO

Credete, amici, che sì cara madre

m'è assai più caro d'acquistar che il regno.

POLIDORO

Giove, or quando ti piace, ai giorni miei

imponi pur il fin: de' miei desiri

veduta è già la meta; altro non chieggio.

EGISTO

Reina, a questo vecchio io render mai

ciò che gli debbo non potrei; permetti

che a tenerlo per padre io segua ognora.

MEROPE

Io più di te gli debbo, e assai mi piace

di scorgerti sì grato e che il tuo primo

atto e pensier di re virtù governi.

FINE